La valutazione dei crediti secondo quanto previsto dalla normativa

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 Corso di Laurea magistrale
(ordinamento ex D.M. 270/2004)
in Amministrazione Finanza e Controllo
Tesi di Laurea
La valutazione dei crediti
secondo quanto previsto dalla
normativa civilistica, i principi
contabili nazionali e
internazionali
Relatore
Ch. Prof. Maria Silvia Avi
Correlatore
Ch. Prof. Carlo Bagnoli
Laureando
Alessia Volpato
Matricola 806759
Anno Accademico
2012 / 2013
Ai miei genitori,
A Riccardo,
INDICE
INTRODUZIONE …………………………………………………………………...
III
CAPITOLO PRIMO
IL BILANCIO D’ESERCIZIO:
FUNZIONI E NORMATIVE CHE NE REGOLANO LA STESURA ……………..
1
CAPITOLO SECONDO
LA VALUTAZIONE DEI CREDITI ………………………………………………..
9
2.1 EVOLUZIONE DEI PRINCIPI CONTABILI NAZIONALI: DAL CODICE
CIVILE AI PRINCIPI OIC ……………………................……………………..
11
2.2 LA VALUTAZIONE DEI CREDITI SECONDO IL PRINCIPIO CONTABILE
OIC 15: “I CREDITI” IN VIGORE DAL 2005 ………………………………...
16
2.3 IL NUOVO OIC 15 “I CREDITI”: MODIFICHE INTERVENUTE IN
SEGUITO AL PROCESSIO DI REVISIONE A CUI SONO SOTTOPOSTI I
PRINCIPI CONTABILI NAZIONALI …………………………………………
27
2.4 LA VALUTAZIONE DEI CREDITI SECONDO GLI IAS/IFRS ……………..
33
2.5 NOVITÀ DERIVANTI DAL NUOVO ART.101, comma 5 DEL T.U.I.R.,
APPROVATO CON D.L. 83/2012 IL COSIDDETTO DECRETO CRESCITA
E SVILUPPO, IN MATERIA DI DEDUCIBILITÀ DELLE PERDITE SU
CREDITI ………………………………………………………………………..
41
CAPITOLO TERZO
RICLASSIFICAZIONE DEI CREDITI SECONDO LA NORMATIVA CIVILISTICA, I
PRINCIPI CONTABILI NAZIONALI ED INTERNAZIONALI E LA DOTTRINA
I 3.1 L’ANALISI DI BILANCIO ……………………………………………………
51
3.2 LA RICLASSIFICAZIONE DEI DOCUMENTI DI BILANCIO: STATO
PATRIMONIALE E CONTO ECONOMICO …………………………………..
59
3.3 LA RICLASSIFICAZIONE DI BILANCIO SECONDO LA DOTTRINA ……
65
3.4 LA RICLASSIFICAZIONE DI BILANCIO SECONDO IL CODICE CIVILE, I
PRINCIPI OIC E GLI IAS/IFRS ……………………………………………….
73
3.5 PROBLEMI E LIMITI CHE POSSONO INFLUIRE SULL’ANALISI DI
BILANCIO ……………………………………………………………………...
80
CAPITOLO QUARTO
LA GESTIONE DEI CREDITI COMMERCIALI ALL’INTERNO DELL’AZIENDA E LA
FIGURA DEL CREDIT MANAGER
4.1 IL CREDITO COMMERCIALE ED I RISCHI AD ESSO LEGATI …………
85
4.2 IL CREDIT MANAGER ………………………………………………………..
92
4.3 COME POSSONO AFFRONTARE IL PROBLEMA DELLA GESTIONE DEI
CREDITI LE AZIENDE ………………………………………………………..
99
4.4 L’IMPORTANZA DEL CREDIT MANAGEMENT PER LE AZIENDE: I
RISULTATI DI UNA RICERCA EFFETTUATA DA CRIBIS D&B-FORMAT .. 105
CONCLUSIONI ……………………………………………………………………..
111
INDICE BIBLIOGRAFICO PER AUTORE ………………………………………..
117
INDICE SITOGRAFICO…………………………………………………………….
127
II INTRODUZIONE
Questa tesi, come si può intuire dal titolo, si pone l’obiettivo di valutare com’è svolta
la valutazione dei crediti, siano essi di tipo commerciale piuttosto che finanziario, nel rispetto
della normativa civilistica, dei principi contabili nazionali OIC e di quelli internazionali
IAS/IFRS ma anche prendendo in considerazione le modifiche intervenute dal punto di vista
fiscale all’art. 101 comma 5 del T.U.I.R..
La scelta è ricaduta in questo tema perché, in seguito al periodo di crisi che il nostro
Paese, come molti altri stanno vivendo, il credito ha assunto un ruolo particolarmente centrale
tramutandosi in un problema per le aziende, le quali si trovano di fronte a clienti che non
riescono a far fronte ai propri impegni provocando ritardi, che possono diventare anche
mancati pagamenti.
Questo fatto non riguarda solo clienti di nuova acquisizione ma, al contrario, colpisce persino
clienti storici, con i quali si collabora da molti anni e con i quali si è instaurato un determinato
rapporto di fedeltà che non avevano accennato ad alcun tipo di problema in precedenza e si
trovano a loro volta coinvolti nella medesima situazione.
Contemporaneamente, per adeguarsi all’evoluzione che il sistema economico sta subendo, la
normativa in tema di redazione di bilancio è sottoposta a un processo di revisione allo scopo
di uniformare il più possibile le regole attualmente vigenti, sempre più in linea con gli
standard nazionali ed internazionali, così da ottenere bilanci uniformi e veritieri, facilmente
confrontabili anche se relativi ad aziende appartenenti a Paesi diversi.
Dopo aver effettuato una panoramica in tema di bilancio dando delle definizioni,
indicando i principali documenti che lo compongono, ovverosia lo Stato Patrimoniale, il
Conto Economico e la Nota Integrativa, e individuando le norme che ne disciplinano la
redazione (civilistica, principi contabili nazionali ed internazionali), si è passati al fulcro di
questo operato e si è andati ad analizzare il procedimento necessario per la valutazione dei
crediti.
Il primo aspetto affrontato riguarda l’analisi del principio OIC 15: I CREDITI, il quale ne da
una definizione, li classifica all’interno dello stato patrimoniale, individua i principi di
III valutazione e rappresentazione, stabilendo che vanno valutati in base al valore di presunto
realizzo, al netto di eventuali fondi rettificativi, e qualora i termini di pagamento siano
piuttosto lunghi, è necessario sottoporli ad un processo di attualizzazione.
L’analisi è poi continuata approfondendo le differenze che emergono in seguito al processo di
revisione a cui sono sottoposti i principi OIC, sia dal punto di vista strutturale che della
valutazione; principi non ancora in vigore in quanto non si è ancora conclusa la fase di
aggiornamento.
Per quanto riguarda la normativa civilistica, essendo molto carente, è semplicemente stato
precisato che nulla dice in più rispetto a quanto già affermato dai principi contabili nazionali i
quali tra i vari compiti hanno anche quello di colmare eventuali vuoti o carenze tralasciate dal
Codice Civile.
Si è passati poi a quanto previsto dagli IAS/IFRS i quali non dedicano, come gli OIC, un
principio in particolare ai crediti ma, rientrando nella categoria degli strumenti finanziari,
devono essere applicate le regole ad essi riservate.
Infine, si è conclusa la parte relativa alla valutazione evidenziando le novità apportate dal
D.L. n. 83/2012, il cosiddetto Decreto Crescita e Sviluppo, all’art. 101 comma 5 del T.U.I.R.
in tema di deducibilità delle Perdite su Crediti.
Il capitolo successivo si occupa invece della riclassificazione di bilancio quale primo
step per poter poi svolgere accuratamente l’analisi di bilancio, oltre che a fornire una serie di
informazioni utili ai vari stakeholder.
Ci sono vari modi per poter fare la riclassificazione di bilancio, per quanto riguarda lo stato
patrimoniale i più utilizzati sono quello finanziario e quello funzionale, mentre per il conto
economico quello a costo del venduto o quello a valore aggiunto.
Essendo difficilmente possibile individuare un metodo universale per poter compiere la
riclassificazione, ci si è concentrati sui vari contributi offerti dalla dottrina nonché sulle regole
previste dal codice civile piuttosto che dai principi contabili nazionali e internazionali,
ognuno dei quali prevedeva strutture e metodi diversi tra loro, nessuno dei quali compatibile
con quelli sopra citati.
L’ultimo tema affrontato riguarda la gestione dei crediti commerciali all’interno
dell’azienda, analizzando i possibili rischi che possono emergere in seguito al mancato
pagamento da parte del cliente, alle eventuali politiche che l’azienda può adottare per farvi
fronte o addirittura prevenire il verificarsi di tali eventi negativi.
IV In questo contesto assume un ruolo fondamentale la figura del credit manager il quale non ha,
come inizialmente, solo il ruolo di intervenire in caso di mancato pagamento da parte dei
clienti ma all’interno del sistema organizzativo, può assumere posizioni diverse.
V VI - CAPITOLO PRIMO -
IL BILANCIO D’ESERCIZIO: FUNZIONI E NORMATIVE CHE
NE REGOLANO LA STESURA
Il Bilancio d’esercizio è uno strumento essenziale, che svolge un ruolo piuttosto
rilevante all’interno dell’azienda e proprio per questo motivo è bene dare delle definizioni che
meglio permettano di capire l’attività da esso svolta.
Una definizione di bilancio può essere considerata quella data da Miloni il quale lo
definisce come “un modello, ossia una rappresentazione semplificata, della dinamica
gestionale dei valori economico finanziari, verificatasi nell’esercizio trascorso, pur
racchiudendo al suo interno valori determinati sulla base di prospettive future.” A questo poi
aggiunge che “… il bilancio di esercizio può essere inteso con due accezioni leggermente
diverse.
Il primo significato, più ampio e comprensivo del secondo, intende il bilancio di esercizio
come il sistema di dati periodicamente elaborati (cioè ogni esercizio amministrativo), raccolti
in un unico «package» informativo, volto nel suo complesso a illustrare lo svolgimento della
vita aziendale. In questo senso entro il bilancio possono essere sintetizzate grandezze diverse,
ottenute con logiche di determinazione sensibilmente differenti, ma il cui scopo comune sia
quello di informare sugli esiti della gestione trascorsa.
La seconda accezione, più tradizionale, vede il bilancio come la sintesi di periodo del sistema
di contabilità generale, fondata sull’impiego del conto economico come strumento elementare
di rilevazione della evoluzione di singole grandezze relative alla dinamica finanziaria ed
economica dell’azienda. Della contabilità generale il bilancio rappresenta una sintesi,
finalizzata a rappresentare le risultanze di periodi discreti (i singoli esercizi amministrativi).”1
Un’altra definizione altrettanto interessante può essere quella di Ferrara, secondo il
quale, “il bilancio di esercizio è documento a contenuto tecnico; costituisce modello
economico-finanziario che, esprimendo in modo sintetico e sistematico le operazioni di
gestione, permette di dimostrare il risultato economico conseguito nell’esercizio e, nello
stesso tempo, la composizione quali-quantitativa del capitale di funzionamento.
1
QUAGLI, in Bilancio di esercizio e principi contabili, Quagli, Torino, 2010, pag. 3
1 Su tali presupposti il bilancio di esercizio permette di conoscere lo status e l’andamento
dell’azienda.”2
Anche Balducci si è espresso in merito sottolineando che “il bilancio d’esercizio
rappresenta il cardine dell’informativa economico-aziendale e la normativa civilistica ne
sottolinea le prerogative di strumento di comunicazione della posizione aziendale
all’ambiente esterno e ne enfatizza il ruolo di documento dalla cui lettura sono derivabili
conoscenze sufficienti per la formulazione di un giudizio sulla capacità dell’impresa a
perdurare in condizioni di equilibrio dinamico.
Il bilancio d’esercizio assurge per ogni azienda a prioritario strumento di informazione, di
carattere economico, patrimoniale e finanziario, della gestione in atto, in grado di canalizzare
e veicolare all’esterno elementi conoscitivi a favore del più generale sistema ambientale.”3
Il bilancio di esercizio è, quindi, un documento di sintesi costituito da più prospetti,
che gli amministratori delle aziende devono redigere al termine di ciascun esercizio
amministrativo per rappresentare la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, ovvero
il risultato economico derivanti dalle operazioni di gestione.
La redazione del bilancio è un’operazione abbastanza rilevante, che deve essere svolta con
particolare cura e attenzione per fornire una rappresentazione veritiera e corretta della realtà
aziendale sia dal punto di vista economico che patrimoniale.
Da queste varie definizioni sopra citate, come fatto intendere dai vari autori, possiamo
evincere che il bilancio svolge una funzione molto importante, ovverosia quella di fornire una
informazioni dirette a varie tipologie di soggetti anche diversi tra loro, non necessariamente
operanti all’interno dell’azienda, legate all’andamento della gestione aziendale.
In merito, sono individuabili due finalità: “ una conoscitiva interna all’impresa e una
informativa verso l’esterno.
Conoscere il reddito e il capitale di funzionamento alla fine dell’esercizio è un’esigenza
fondamentale dei soggetti che guidano l’impresa, come gli amministratori, i soci di
maggioranza, il top management. Nel bilancio d’esercizio, infatti, essi trovano le principali
informazioni per valutare l’andamento della gestione e – quindi – i risultati delle politiche
gestionali adottate.
Tuttavia le performance dell’impresa non interessano solo i soggetti che la gestiscono.
Vi è una serie di soggetti “esterni” all’impresa (nel senso che non ne possono definire le scelte
2
3
FERRARA, Che cosa è e come si legge il bilancio, Ferrara L., Milano, 2012, pag. 3
BALDUCCI, Il bilancio d’esercizio. Principi contabili nazionali e internazionali IAS/IFRS, Balducci D.,
Milano, 2007, pagg. 25
2 gestionali, anche se in molti casi possono condizionarle) che sono altrettanto interessati ad
avere informazioni sul reddito d’esercizio e sul capitale di funzionamento. Tra questi soggetti
ricordiamo i soci di minoranza attuali o potenziali, i finanziatori a titolo di credito, i fornitori,
i clienti, i dipendenti, l’amministrazione finanziaria.”4 ; ecco che il bilancio svolge due ruoli
distinti, a livello esterno comunicando ai vari interlocutori i risultati economici e le
informazioni patrimoniali ottenuti nell’ultimo esercizio; a livello interno verificando
l’efficacia delle politiche aziendali adottate e l’efficienza della gestione effettuata durante
l’esercizio, nonché l’operato di amministratori e manager.
“L’informazione aziendale, risorsa di importanza strategica sia per il management che
per gli attori che intrattengono normali relazioni economiche, anche competitive, incontra nel
bilancio d’esercizio naturale funzione di evidenziazione e trasmissione sintetica, ma
sistematizzata, dei dati e dei valori coordinati e correlati, dalla cui conoscenza discendono, per
gli organi decisori, una serie di scelte, di importanza a volte addirittura vitale, per il
miglioramento della gestione aziendale, specie in ordine all’entità dei risultati economici ed
alle modalità di controllo, e dal cui recepimento si concretano comportamenti che anche i vari
agenti esterni possono modulare in conseguenza di tali indicazioni.
… L’obiettivo primario del bilancio di esercizio consiste nel circolarizzare un’informativa
trasparente e veritiera sull’andamento dell’attività aziendale, mettendone in luce aspetti
economici ma anche patrimoniali e finanziari, a tutti i soggetti a vario titolo interessati alla
conduzione attuale e prospettica dell’impresa: il documento è diretto ad una molteplicità di
destinatari (stakeholder), la cui estensione è peraltro direttamente dimostrativa della sua
portata informativa, quali soci (di maggioranza, di minoranza e semplici investitori), creditori
sociali (in essere o potenziali), partecipanti agli utili, istituti di credito, terzi finanziatori,
clienti, fornitori, dipendenti, collaboratori, organizzazioni sindacali, associazioni di categoria,
consumatori / utilizzatori, risparmiatori, concorrenti, organi di vigilanza, analisti e ricercatori
scientifici, amministrazione finanziaria, organi di governo, opinione pubblica e altri portatori
di interessi.”5
In merito, Allegrini ha esplicitamente dichiarato che: “il bilancio di esercizio è un importante
strumento di informazione che ha anche un rilievo sociale: rappresenta, infatti, il principale
4
5
SòSTERO, in Contabilità e bilancio, Cerbioni Cinquini, Milano, 2006, pag. 245
BALDUCCI, Il bilancio d’esercizio. Principi contabili nazionali e internazionali IAS/IFRS, Balducci D.,
Milano, 2007, pagg. 26
3 strumento utilizzato dall’azienda per informare gli stakeholder sul proprio andamento
economico e finanziario.
Sul bilancio di esercizio si vengono così a creare una serie di interessi non sempre
convergenti che necessitano di essere tutelati.”6
Dato che tale prospetto non è indirizzato esclusivamente ai soci, agli amministratori o ai
manager dell’azienda ma ad una molteplicità di soggetti interni ed esterni, deve essere il più
trasparente possibile e fornire una serie di informazioni fedeli, autentiche ed attendibili,
evitando di trarre in inganno fornendo informazioni “di comodo”.
Appurata la molteplicità di soggetti ai quali si rivolge e costatato l’importante ruolo
informativo che ottempera, è indispensabile tutelare i vari stakeholder i cui interessi
convergono nell’attività dell’impresa, attraverso una serie di norme, regole, principi e
postulati.
Nel nostro Paese, il ruolo principale è svolto dalla normativa civile affiancata poi dai
principi contabili nazionali (Principi OIC) e dai principi contabili internazionali (IAS – IFRS)
che hanno lo scopo di andare a colmare eventuali lacune o vuoti normativi o ad integrarli ove
carenti.
Il bilancio è regolato in primo luogo dal Codice Civile che stabilisce i principi di
redazione, la struttura, il contenuto dei prospetti e i criteri di valutazione.
All’art. 2423 c.c. fissa un punto fondamentale: il bilancio “… deve rappresentare in modo
veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato
economico dell’esercizio.” Attorno a questa condizione necessaria ruotano poi una serie di
principi che regolano le modalità di stesura del bilancio stesso:
-
artt. 2423-bis e 2423 -ter c.c. : si occupano dei principi di redazione e delle regole per
la stesura dei prospetti;
-
artt. 2424 - 2425 - 2427 c.c. : riguardano rispettivamente il contenuto dello Stato
Patrimoniale, del Conto Economico e della Nota Integrativa, (mentre art.2428 - 2429
c.c. della Relazione sulla Gestione e della Relazione dei sindaci e del soggetto
incaricato dal controllo contabile.)
-
art. 2426 c.c. : sancisce i criteri che devono essere osservati nelle valutazioni.
Per quanto concerne i postulati, il codice civile all’art. 2423-bis individua quelli che
devono essere rispettati nella redazione del bilancio, in particolare:
6
Allegrini, in Bilancio civilistico e imponibile fiscale. Principi contabili nazionali ed internazionali, Allegrini
M. Martini P., Napoli, 2005, pag. 7
4 -
prudenza (n. 1, 2 e 4) ha un significato molto ampio e Quagli afferma che “molto
sinteticamente, potrebbe essere definita come la regola «asimmetrica» secondo la
quale gli utili soltanto sperati non debbono essere inviati al Conte Economico ad
influire sul reddito di esercizio … mentre i costi anche non effettivamente sostenuti
ma soltanto temuti, … devono invece trovarvi collocazione.
Ma il richiamo alla prudenza assume un significato più ampio, nel senso che tutte le
voci in bilancio si tratta di presentare delle stime, di formulare delle ipotesi di
valutazione, si deve sempre scegliere, a parità di rappresentazione veritiera e corretta,
quella più prudente.”7 ;
-
prevalenza della sostanza sulla forma (n. 1) ossia rileva maggiormente l’aspetto
economico delle operazioni piuttosto che quello formale;
-
prospettiva di continuazione dell’attività (n. 1) intende che il bilancio si riferisce ad
un’azienda con l’idea di proseguire la propria attività e non di cessarla;
-
competenza (n. 3 e 4) si intende che i costi e i ricavi vanno compresi nell’esercizio al
quale appartengono, assumendo quindi rilevanza la parte economica della rilevazione
piuttosto che la data del pagamento o dell’incasso;
-
valutazione separata degli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci (n. 5);
-
costanza dei criteri di valutazione (n. 6) si intende che i criteri di valutazione non
possono essere modificati da un esercizio all’altro per evitare di alterare i valori e per
dare quindi una rappresentazione veritiera e corretta.
I principi contabili nazionali ossia i Principi OIC sono delle regole, sorte inizialmente
su iniziativa di associazioni professionali il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e
il Consiglio Nazionale dei Ragionieri, che vanno ad integrare le norme trattate parzialmente o
non considerate dalla normativa civilistica; successivamente questi principi hanno subito e
stanno tutt’ora subendo un processo di revisione da parte dell’Organismo Italiano di
Contabilità (OIC) che è appunto subentrato a queste associazioni professionali.
All’interno dei principi OIC possiamo distinguere quelli emanati dal Consiglio Nazionale dei
Dottori Commercialisti e dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri, che hanno mantenuto la
precedente numerazione nonostante le modifiche subite, da quelli emanati dall’OIC con
nuova numerazione, in modo tale che il lettore li possa distinguere.
7
Quagli, in Bilancio di esercizio e principi contabili, Quagli A., Torino, 2010, pag. 32
5 I principi contabili internazionali, infine, sono degli standard contabili, di cui si occupa
lo IASB (International Accounting Standard Board) che vanno ad integrare eventuali lacune
dei Principi OIC e devono essere obbligatoriamente adottati da alcuni tipi di imprese per le
quali non vigono più i Principi OIC e la normativa civile. Anch’essi si distinguono in due
tipologie, gli IAS (International Accounting Standard) ancora in vigore ma precedentemente
emanati dallo IASC (International Accounting Standard Committeed) dei quali continua ad
occuparsi lo IASB e gli IFRS (International Financial Reporting Standard) ossia i nuovi
documenti emanati direttamente dallo IASB.
In relazione alla composizione del Bilancio d’esercizio, esso è costituito 8 da tre
documenti obbligatori, lo Stato Patrimoniale, il Conto Economico e la Nota Integrativa e di
altri complementari ovvero sia la Relazione sulla Gestione e il Rendiconto Finanziario
(quest’ultimo richiesto solo alle aziende che intendono emettere titoli in mercati
regolamentati).
La struttura del bilancio, si articola in quattro livelli di voci, ordinate gerarchicamente dove
con le lettere maiuscole si individuano le “macro classi”, con i numeri romani le “classi”, le
“voci” rappresentate con numeri arabi ed infine le “sotto voci” con lettere minuscole.
Lo Stato Patrimoniale, disciplinato dall’art. 2424 c.c., ha lo scopo di informare sulla
composizione del patrimonio dell’impresa sia dal lato delle fonti di finanziamento, proprie o
di terzi necessarie per lo svolgimento della propria attività, che da quello degli impieghi
effettuati nel breve e medio-lungo periodo. Lo schema di stato patrimoniale, è a sezioni divise
e contrapposte, da un lato troviamo nell’attivo i fabbisogni e dall’altro, nel passivo, le fonti e
il patrimonio netto.
Il Conto Economico permette di determinare il risultato di esercizio, utile o perdita, attraverso
la contrapposizione dei relativi ricavi, costi e rimanenze sostenuti durante il periodo
amministrativo. L’art. 2425 c.c. stabilisce che deve essere redatto in forma scalare, possiamo
così distinguere9 diverse aree di attività:
-
la gestione ordinaria data dalle macro classi A) Valore della Produzione e B) Costi
della Produzione e rappresentata dall’attività normalmente svolta dall’azienda e che
può essere a sua volta scomposta in gestione caratteristica e gestione accessoria;
-
la gestione finanziaria determinata dai punti C) Proventi e oneri finanziari e D)
Rettifiche di valore di attività finanziarie e si occupa di rintracciare i mezzi finanziari
8
9
Come previsto dall’art. 2423, 1° c. Codice Civile.
Come evidenziato da Borgini e Peverelli, in Guida alle Società, Borgini Peverelli, Milano, 2011, pag. 216.
6 utili per lo svolgimento dell’attività di impresa e dell’impiego delle risorse in
eccedenza;
-
la gestione straordinaria, E) Proventi e oneri straordinari
-
la gestione tributaria per le imposte dirette che gravano sull’imponibile fiscale
d’esercizio.
La Nota Integrativa, regolata dall’art. 2427 c.c. ha lo scopo di fornire una serie di
informazioni descrittive, complementari, esplicative che vanno ad integrare, perfezionare i
dati e i valori sintetici contenuti all’interno di stato patrimoniale e conto economico. Non è
previsto un particolare schema per la stesura ma gli amministratori, al momento della
redazione, sono tenuti ad inserire una serie di informazioni obbligatorie previste dal
legislatore.
La Relazione sulla gestione, è un documento informativo redatto dagli amministratori che
viene poi allegato al bilancio; la sua funzione è quella di fornire ulteriori informazioni
andando ad integrare quelle già presenti all’interno dei tre prospetti.
7 8 - CAPITOLO SECONDO -
LA VALUTAZIONE DEI CREDITI
Prima di iniziare con la valutazione dei crediti, può essere importante dare delle
definizioni e vedere in base a vari elementi, quali categorie di crediti possono esistere.
Le definizioni date dai vari principi contabili, sia nazionali che internazionali, sono le
seguenti: in base all’OIC 15, quello attualmente in vigore, “I crediti rappresentano il diritto
ad esigere ad una data scadenza determinati ammontari da clienti e da altri. Nelle imprese
mercantili, industriali e di servizi, tale diritto deriva di solito dalla vendita di prodotti, merci
e servizi. I crediti includono anche gli ammontari che devono essere incassati per la vendita
di beni diversi da quelli che costituiscono le normali giacenze di magazzino, i prestiti a
dipendenti, a clienti ed altri.”10; i principi contabili internazionali, invece, non danno una
particolare definizione di crediti, non trattandoli nel particolare, e infatti si limitano a dire che
come qualsiasi altra attività finanziaria vengono esaminati in base alle norme previste per gli
strumenti finanziari.
Un'altra definizione, data dalla dottrina in questo caso, è quella di Giordano, il quale
sostiene che i crediti “rappresentano ciò che l’azienda deve ancora incassare da clienti o da
terzi e costituiscono, in generale, una scrittura che permette di imputare la manifestazione
economica già avvenuta, e di rinviare quella finanziaria che avverrà in futuro”11.
Ciò che possiamo trarre da queste definizioni è che l’ammontare, la scadenza e i soggetti a cui
si riferiscono, clienti o altri, sono tre elementi fondamentali e in assenza di uno di questi
possiamo dire di non essere in presenza di crediti.
A seconda del criterio in base al quale vengono identificati, possiamo individuare
varie tipologie di crediti.
La prima importante distinzione da fare, riguarda l’origine del credito e ci permette di
individuare i crediti commerciali o di funzionamento e i crediti di finanziamento. I primi
riguardano la gestione caratteristica dell’impresa, sono quelli che derivano dai ricavi ovvero
10
11
Definizione di crediti data dal Principio OIC 15 del 2005 attualmente in vigore.
GIORDANO, in Manuale delle scritture contabili, Giordano S., Sant’Arcangelo di Romagna (Rn), 2013, pag.
277
9 sia quelli che le aziende concedono alla clientela cedendo i propri beni, servizi o prestazioni
in cambio di un pagamento posticipato, dilazionato o differito nel tempo, in un’epoca
successiva, rinunciando quindi ad una liquidità immediata.
I secondi che si distinguono dai precedenti per non derivare dai ricavi, sono quelli riconosciuti
dagli intermediari finanziari, relativi alla gestione patrimoniale che hanno per oggetto il
trasferimento temporaneo di somme di denaro; attraverso i crediti finanziari, un soggetto (il
creditore) conferisce a titolo di prestito un certo ammontare ad un altro soggetto (il debitore)
il quale si impegna ad onorarlo entro una certa data prestabilita, corrispondendo quindi al
termine il capitale e gli interessi maturati nell’arco di tempo considerato.12
I crediti si distinguono anche in relazione ad altri due criteri di classificazione, a
seconda della natura del debitore e della scadenza.
Per quanto riguarda la natura del debitore, i crediti possono essere suddivisi in:
-
Crediti verso clienti: sorgono in seguito alla cessione di beni, servizi o prestazioni svolti
dall’impresa nei confronti dell’acquirente;
-
Crediti verso consociate: sorgono tra società dette appunto consociate ossia imprese
controllanti, imprese controllate, imprese collegate e imprese che si trovano sotto comune
controllo;
-
Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti: crediti che sorgono al momento della
sottoscrizione del capitale da parte dei soci nei confronti della società ma non ancora
completamente versati.
-
Crediti verso altri: tutti quei crediti che non rientrano nelle precedenti categorie, come ad
esempio quelli nei confronti dell’erario o dei dipendenti nel caso di anticipi.
In relazione alla scadenza, infine, possiamo distinguere i crediti a breve termine da
quelli a medio lungo termine. I primi sono quelli la cui scadenza prevista, rientra in un arco
temporale inferiore all’anno, per i secondi invece il termine per il pagamento supera l’anno.
Questa distinzione viene fatta essenzialmente allo scopo di fornire ulteriori informazioni sulla
situazione finanziaria nella quale versa la società.
12
Come evidenzia M.G.R. PAGLIACCI, in La politica del credito commerciale nella gestione aziendale, Mario
G.R. Pagliacci, Milano, 2007, pagg. 25 e seguenti: “Fra le differenze più rilevanti, il fatto che la concessione di
prestiti rappresenta una delle attività caratteristiche degli organismi finanziari, mentre per le aziende
dell’economia reale concedere credito alla clientela assume un valore “strumentale”, finalizzato a conseguire
obiettivi di maggiore o migliore profittabilità nell’attività commerciale. … Con la concessione di credito,
l’azienda che vende rinuncia ad una liquidità immediata ed accetta di procrastinare l’incasso, nella aspettativa di
avviare, espandere, consolidare i rapporti con la clientela, onde conseguire una maggiore profittabilità
dell’attività commerciale, duratura nel tempo. D’altro canto, l’acquirente sarà interessato a ricevere credito da
parte del suo fornitore, allo scopo di ottenere e mantenere una fonte di finanziamento integrativa - difficilmente
alternativa tout court – dei prestiti finanziari necessari a coprire il proprio fabbisogno.”
10 2.1
EVOLUZIONE DEI PRINCIPI CONTABILI NAZIONALI: DAL CODICE CIVILE
AI PRINCIPI OIC
I principi contabili nazionali, sono intesi come un insieme di regole da seguirsi nella
redazione del bilancio di esercizio, per ottenere documenti attendibili e veritieri,
rappresentativi della situazione aziendale, in modo da cercare di uniformare il più possibile il
complesso normativo attualmente in vigore.
Tali principi, “sono interpretabili come regole tecnico-contabili, che assolvono ad una triplice
funzione:
-
«interpretazione» e «chiarificazione» dei concetti giuridici contenuti nelle disposizioni
legislative e regolamenti sulla contabilità ed i bilanci;
-
«integrazione» della disciplina giuridica del bilancio laddove le norme di legge
risultino insufficienti;
-
«sostituzione» delle norme giuridiche sul bilancio, nei rari casi in cui sia lecito operare
la deroga obbligatoria di cui all’art. 2423, 4° domma, c.c., e quindi, sostituire il
precetto di legge, considerato inapplicabile, con il precetto tratto dai principi contabili.
I principi contabili, sono quei principi, ivi inclusi i criteri e i metodi di applicazione, che
stabiliscono l’individuazione delle modalità di contabilizzazione degli eventi di gestione, i
criteri di valutazione e quelli di esposizione dei valori di bilancio.”13
Balducci nella definizione di cosa sono i principi contabili, ha affermato che
“rappresentano regole di carattere tecnico-convenzionale che sovrintendono all’intero
processo di formazione del bilancio d’esercizio, dalla fase della rilevazione contabile delle
operazioni di gestione, a quella della redazione dei modelli di bilancio (stato patrimoniale e
conto economico) e della valutazione delle attività e delle passività componenti il patrimonio
aziendale.
I principi contabili si concretano in criteri tecnico-ragionieristici, elaborati ed aggiornati dalla
dottrina più autorevole, ed emessi da organismi professionali, la cui autorevole fonte
garantisce un’ampia base di consenso, condivisione, diffusione ed applicazione omogenea.”14
13
MORO VISCONTI, RENESTO, in Principi Contabili OIC e IAS/IFRS, Moro Visconti R. Renesto M., Roma,
2009, pagg. 4
14
BALDUCCI, in Il Bilancio d’Esercizio Principi contabili nazionali e internazionali IAS/IFRS, Balducci D.,
Milano, 2007, pagg.97
11 Nel panorama nazionale italiano, le prime regole relative al bilancio si possono far
risalire al 1942 con l’emanazione del Codice Civile, attualmente in vigore e sottoposto a
notevoli aggiornamenti, il quale definisce tuttora le regole generali nella redazione del
bilancio di esercizio.
Successivamente, “l’esigenza di statuire regole volte a garantire una maggiore
attendibilità al bilancio di esercizio e una maggior uniformità internazionale alle prassi
contabili, si è avvertita in Italia verso la fine degli anni Sessanta. In quegli anni, il crescere per
numero di dimensioni delle aziende e la più intensa rete di relazioni delle imprese con
l’esterno suscitava la richiesta di una più articolata tutela informativa del terzo. Di fronte a tali
cambiamenti gli orientamenti giurisprudenziali si mostrarono improntati a una maggiore
rigidità e, quasi unanimemente concordi nell’individuare nel bilancio di esercizio un
documento di interesse generale. La legittimazione di questa nuova concezione nasce con la
legge 216/1974 che, integrando la normativa civilistica in materia di bilancio di esercizio e
istituendo la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB), introdusse la
certificazione obbligatoria dei bilanci delle società quotate. (…) Nello stesso anno ebbe inizio
anche il processo di standardizzazione di norme tecniche sul bilancio di generale accettazione
da parte del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti che, insieme al Consiglio
Nazionale dei Ragionieri (CNR), istituì la Commissione Paritetica per la Statuizione dei
Principi Contabili.”15
Un altro passo in avanti è stato fatto con il D.Lgs. 9 aprile 1991, n.127, con il quale il
legislatore ha recepito due direttive europee, “la n. 78/660/CEE del 25v luglio 1978 e la n.
83/349/CEE del 13 giugno 1983 compiendo un passo significativo per un’armonizzazione dei
comportamenti pragmatici, almeno a livello formale nella redazione, dei bilanci di esercizio e
consolidati delle società di capitali. Si fissavano le nuove strutture dello Stato Patrimoniale e
del Conto Economico e si ridefinivano i precetti valutativi, “nasceva” la Nota Integrativa.”16
La Direttiva recepita con il D.Lgs. 9 aprile 1991, n.127 “mirò ad armonizzare a livello
comunitario le norme che disciplinavano la formazione e la redazione dei conti annuali delle
società, al fine di consentirne la comparabilità, aspetto di grande interesse per i mercati
finanziari. In questi, il crescente aumento dei movimenti di capitali, delle imprese e delle
persone, abbattendo le barriere politico-ideologiche e doganali, tendeva a dar vita ad un unico
15
SERINI, in Financial Accounting Costruire e leggere il bilancio secondo i principi contabili internazionali e
nazionali, a cura di, Bocchino U., Chirico A., Serini F., Milano, 2009, pagg.22
16
PONTANI, in “Il bilancio di esercizio delle società di capitali non quotate nei mercati regolamentati. Le
imprese mercantili, industriali e di servizi.” Pontani F., Padova, 2013, pagg. 10
12 grande mercato nel quale si avvertiva la necessità di poter disporre di un’informazione
economico-finanziaria ampia, caratterizzata da dati che possono essere confrontati con
riferimento alle singole realtà nazionali.”17
È opportuno sottolineare che la redazione del bilancio d’esercizio, non avviene solo ed
esclusivamente rispettando quelle che sono le regole dettate dagli artt. 2423 e seguenti del
codice civile, perché nonostante gli importanti miglioramenti avvenuti in seguito all’adozione
della IV direttiva CEE, risulta comunque piuttosto sintetico e generico ed è quindi necessario
operare un processo di integrazione con altre regole che vanno ad interpretare e perfezionare
la norma ove risulti carente.
“Nello scenario tecnico i principi contabili nazionali vedono la luce con l’attività della
Commissione Nazionale dei Dottori Commercialisti; il primo principio viene emesso nel
1975, in stretta coerenza con la, e subordine alla disciplina del 1974. Il primo aggiornamento
dei principi contabili è stato realizzato, a seguito del D.Lgs. 1991/127, a cura dei Consigli
Nazionali dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri.”18. Essi hanno emanato una serie di
regole maggiormente dettagliate rispetto al Codice Civile, con l’intenzione di perfezionare le
disposizioni già presenti e integrarle con ulteriori argomenti non trattati dal Codice.
Queste associazioni durante il loro operato, hanno pubblicato 30 documenti relativi ai principi
contabili, 21 attualmente in vigore, dei quali oggi si occupa l’Organismo Italiano di
Contabilità.
L’Organismo Italiano di Contabilità (OIC), è una fondazione, costituitasi il 27
novembre del 2001, con lo scopo di definire una serie di regole nazionali per la redazione del
bilancio d’esercizio. È sorto dall’esigenza, proveniente dalle principali parti private e
pubbliche italiane, di dar vita ad uno “standard setter” nazionale in grado di esprimere le
istanze nazionali in materia contabile.
Fanno parte di questa fondazione, in veste di Fondatori: per la professione contabile ,
l’Assirevi, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e quello dei Ragionieri; per i
preparers, l’Abi, l’Andaf, l’Ania, l’Assileia, l’Assonime, la Confagricoltura, la Confapi, la
Confcommercio, la Confcooperative, la Confindustria e la Lega delle Cooperative; per gli
users, l’Aiaf, l’Assogestioni e la Centrale Bilanci; per i mercati mobiliari la Borsa Italiana. I
17
MILONE, in IL BILANCIO DI ESERCIZIO Normativa civilistica, principi contabili nazionali ed
internazionali, Milone M., Milano, 2006, pagg. 21
18
PONTANI, in “Il bilancio di esercizio delle società di capitali non quotate nei mercati regolamentati. Le
imprese mercantili, industriali e di servizi.” Pontani F., Padova, 2013, pagg. 10
13 Ministeri della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze ovvero le Autorità Regolamentari
di Settore, Banca d’Italia, Consob e Isvap, si sono espresse in senso positivo a tale progetto.
L’OIC, ha lo scopo di emanare i principi contabili per la redazione dei bilanci di
esercizio e consolidati per quelle aziende per le quali non è prevista l’applicazione dei principi
contabili internazionali, andando così ad integrare la normativa civile ove carente ed
imprecisa. Inoltre funge da supporto al legislatore nazionale per l’emanazione di norme in
materia contabile e connesse, dando suggerimenti per uniformare la normativa vigente in
materia di bilancio, con le direttive europee e i principi contabili internazionali approvati dalla
Commissione Europea.
In riferimento agli “standard setter” europei, come ad esempio lo IASB, fornisce il supporto
tecnico per l’applicazione nel nostro Paese dei principi contabili internazionali e delle
direttive europee in materia contabile, persegue quindi l’obiettivo di armonizzazione tra i
principi contabili nazionali e quelli internazionali. Infatti, come sottolineato da Serini, “i
principi contabili, da patrimonio offerto ai fini dell’applicazione di norme di legge, hanno
assunto in Italia il carattere di norme con forza di legge attraverso l’espresso richiamo degli
IAS/IFRS nel Regolamento comunitario 1606/2002, e la relativa, prima elencazione nel
regolamento comunitario 1725/2003.
Tale processo ha inoltre favorito una razionalizzazione della normativa in materia contabile e
ha legittimato la nascita nel nostro paese dell’Organismo italiano di Contabilità (OIC),
soggetto dotato di ampia rappresentatività a cui la legge attribuisce, nella materia contabile, la
funzione di standard setters e la rappresentanza delle istanze nazionali a livello
comunitario.”19
Infine cerca di promuovere la cultura contabile e il progresso al quale sono sottoposti la
prassi aziendale e professionale attraverso la pubblicazione di ricerche, documenti e
l’organizzazione di convegni, seminari e incontri di studio.
Per quanto riguarda i principi contabili nazionali, si possono individuare due serie, una
nella quale troviamo i principi di nuova numerazione, di cui il primo è l’ OIC 1 e l’altra
individua quelli emanati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dal Consiglio
nazionale dei Ragionieri, attualmente in vigore dal numero 11 al numero 30; distinzione fatta
per poterli distinguere più agevolmente.
19
SERINI, in Financial Accounting Costruire e leggere il bilancio secondo i principi contabili internazionali e
nazionali, a cura di, Bocchino U., Chrico A., Serini F., Milano, 2009, pagg.22
14 I principi contabili nazionali, si caratterizzano per una forte e continua mutazione
dovuta ai macrocambiamenti economici, all’evoluzione della dottrina ragionieristica e della
legislazione civilistica, nonché, fattore fondamentale, l’introduzione nell’ordinamento del
nostro Paese dei principi contabili internazionali emanati dallo IASB20, in modo tale che il
bilancio possa essere compreso, valutato, interpretato e confrontato, in un’ottica globale,
anche da coloro che appartengono a Stati diversi. Questo obiettivo non può però considerarsi
ancora concluso, attualmente infatti i principi contabili stanno subendo dei processi di
aggiornamento e integrazione, per raggiungere un determinato livello di armonizzazione
dovuto alla costante e continua crescita alla quale stiamo assistendo tra i vari Paesi dal punto
di vista internazionale.
Come è noto, il nostro Paese si contraddistingue per la forte presenza di aziende di
piccole e medie dimensioni; mentre le grandi imprese e le società quotate, dal 2005 sono
tenute a redigere il bilancio in base ai principi contabili internazionali, la maggior parte delle
nostre realtà aziendali, opera ricorrendo a quelli nazionali. Proprio per questo motivo, nel
2010 l’OIC ha attuato un progetto di aggiornamento e revisione dei principi contabili
attualmente in vigore, i quali avevano già subito un adeguamento nel 2005, allo scopo di
fornire a queste piccole realtà aziendali, in quanto effettivi utilizzatori, una serie di norme più
esaustive che vanno ad integrarsi sempre più con i modelli internazionali, così da considerare
l’evoluzione che ha subito la materia contabile dall’ultimo aggiornamento avvenuto nel 2005
ad oggi.
Dato che, come sopra descritto, obiettivo fondamentale del bilancio è fornire informazioni
chiare ed esaurienti ai propri stakeholder, l’attenzione si concentra soprattutto sulla revisione
e sull’aggiornamento dei principi attualmente vigenti.
Come indicato nel sito della Fondazione OIC, “anche la Commissione Europea ha promosso
una serie di progetti per la rivisitazione delle direttive contabili europee nella prospettiva – tra
l’altro – di semplificare la disciplina ivi contenuta, soprattutto a livello di informativa per le
20
Pensiero condiviso con Balducci in Il Bilancio d’Esercizio Principi contabili nazionali e internazionali
IAS/IFRS, Balducci D., Milano, 2007, pagg.97 il quale sostiene che: “I principi contabili nazionali detengono
un basso indice di rigidità e staticità, mutandosi nel tempo in funzione dei microcambiamenti economici,
dell’evoluzione della dottrina ragionieristica e della legislazione civilistica. Un importante fattore
modificatore, che in futuro porterà a variare ulteriormente regole consolidate e prassi invalse nella
formazione dei bilanci d’esercizio, è costituito dall’introduzione, nell’ordinamento nazionale, dei principi
contabili internazionali emanati dallo IASB (International Accounting Standard Board), istituzione che ha
sostituito lo IASC (International Accounting Standards Committee), per l’elaborazione dei principi contabili
denominati IAS/IFRS.
15 piccole e medie imprese, allo scopo di realizzare una riduzione degli oneri amministrativi per
tali imprese”.
Ciò che risulterà da questo processo di rinnovamento, saranno delle regole che avranno una
struttura più semplice e quindi di più chiara comprensione e più agevole per i futuri
aggiornamenti, nonché un format molto simile a quello utilizzato per i principi contabili
internazionali IAS/IFRS.
I documenti interessati e sottoposti a questo progetto, sono complessivamente 24 ed
entreranno in vigore solo dopo che sarà terminata la fase di consultazione, ecco che
attualmente vengono utilizzati quelli rinnovati nel 2005.
2.2
LA VALUTAZIONE DEI CREDITI SECONDO IL PRINCIPIO CONTABILE OIC
15: “I CREDITI” IN VIGORE DAL 2005
Il documento OIC 15: “I CREDITI”, nella versione del 2005, ovverosia quella tuttora
in vigore e che tale rimarrà fino al completo compimento del processo di revisione
attualmente in corso, esalta come i principi contabili concedono una notevole interpretazione
delle norme civilistiche piuttosto sintetiche in molti punti. L’OIC 15, ci permette di capire
quale valore esprimere in bilancio e come determinarlo.
Il principio sopra citato, ha dato una definizione di crediti: “rappresentano il diritto ad
esigere ad una data scadenza determinati ammontari da clienti e da altri. Nelle imprese
mercantili, industriali e di servizi tale diritto deriva di solito dalla vendita di prodotti, merci e
servizi. I crediti includono anche gli ammontari che devono essere incassati per la vendita di
beni diversi da quelli che costituiscono le normali giacenze di magazzino, i prestiti a
dipendenti, a clienti ed altri.”
Questo principio ha l’intenzione di fornire delle regole per la contabilizzazione, la
valutazione e la rappresentazione dei crediti nel bilancio.
La valutazione dei crediti, richiede un’attenta analisi sulle capacità del debitore, di
adempiere agli impegni assunti, sui rischi ad essa legati, nonché i successivi oneri che si
dovranno affrontare in seguito all’adozione di eventuali azioni di recupero; la consistenza del
rischio infatti, dipende da molti fattori legati non solo al debitore ma anche ad eventuali crisi
economiche che investono un determinato settore, piuttosto che un Paese o addirittura
possono essere a livello globale.
16 “È necessario, quindi, uno screening dei crediti da iscrivere in bilancio, in modo da
individuare quelli per i quali la riscossione non presenta rischi di sorta essendo di certo
realizzo, e gli altri per i quali fondate ragioni, derivate da eventi già manifestatisi ovvero
temuti o latenti, lasciano intravedere un’inesigibilità totale o parziale e conseguenti perdite.
I principi di prudenza e di competenza, dettati dal legislatore per la redazione del
bilancio, impongono agli organi di governo dell’impresa di far gravare le perdite per
inesigibilità nell’esercizio in cui possono essere ragionevolmente previste e non negli esercizi
in cui le stesse si manifesteranno.”21
Il criterio utilizzato nella valutazione dei crediti dai principi contabili nazionali, è il
valore di presunto realizzo; ciò sta ad indicare che ciascuna voce dei crediti va iscritta,
partendo dal loro valore nominale, al netto di eventuali rettifiche dovute a svalutazioni come
ad esempio, perdite per inesigibilità, resi e rettifiche di fatturazione, sconti ed abbuoni,
interessi non maturati e altre cause. Questo perché i crediti sono caratterizzati spesso dalla
presenza di problemi legati all’inesigibilità, alcuni dei quali al momento della redazione del
bilancio possono essere già totalmente o parzialmente emersi mentre per altri non si ha alcuna
informazione sulla capacità del debitore di adempiere ai proprio obblighi; ecco perché anche
il documento n.15 sottolinea l’importanza di tenere un’aggiornata lista di anzianità dei crediti
scaduti che permette alle aziende di effettuare valutazioni sul rischio di inesigibilità.
Pontani, nella sua recente opera, ha precisato che “la definizione del criterio di
valutazione è una questione di fatto; il rinvio alle regole del prudente apprezzamento è sempre
riconducibile al caso per caso e, quindi, in relazione a circostanze che, in quanto solo in parte
oggettivamente misurabili, risentono pur sempre di una “ragionevole” discrezionalità
soggettiva, che non può, comunque, trascendere nell’arbitrio.”22
Il valore nominale dei crediti deve essere rettificato attraverso un fondo svalutazione
crediti che deve essere sufficiente (adeguato ma non eccessivo) a coprire:
-
sia le perdite per situazioni di inesigibilità già manifestatesi;
-
sia quelle per altre inesigibilità non ancora manifestatesi ma temute o latenti.
Deve inoltre coprire le perdite che si potranno subire sui crediti ceduti a terzi per i quali
sussista ancora una obbligazione di regresso.
21
MILONE, in IL BILANCIO DI ESERCIZIO Normativa civilistica, principi contabili nazionali ed
internazionali, Milone M., Milano, 2006, pagg. 295
22
PONTANI, in “Il bilancio di esercizio delle società di capitali non quotate nei mercati regolamentati. Le
imprese mercantili, industriali e di servizi.” Pontani F., Padova, 2013, pagg. 275
17 “Non è accettabile che tramite il fondo si miri a distribuire le perdite sui crediti nei
vari esercizi al fine di stabilizzare i risultati d’esercizio.
Il fondo verrà utilizzato per lo storno contabile dei crediti inesigibili nel momento in
cui tale inesigibilità sarà ritenuta definitiva. In tal modo le perdite per inesigibilità non
graveranno sul conto economico degli esercizi futuri in cui si manifesteranno, ma, in ossequio
ai principi della competenza e della prudenza, devono gravare sugli esercizi in cui le perdite si
possono ragionevolmente prevedere.”23
Quindi il fondo svalutazione previsto dall’OIC 15 in sede di valutazione, nella determinazione
del valore nominale, serve a far fronte alle perdite, nonché ai rischi ad esse legati; l’incertezza
connessa alla determinazione della perdita, implica il ricorso a criteri di svalutazione
prudenziali che genereranno valori adeguati ma non eccessivi.
I principi contabili, riconoscono due diversi metodi di determinazione del valore di
presunto realizzo, il primo, quello preferibile, è il procedimento analitico mentre il secondo è
quello sintetico, al quale si tende a ricorrere o in presenza di numerosi crediti di modesta
entità o eventualmente in aggiunta del primo metodo, per creare quindi un quadro più
completo.
“Con il procedimento analitico, i crediti sono valutati singolarmente, uno per volta. Per
ciascun credito è operata una stima del rischio di insolvenza che considera, come detto, non
solo la situazione di inesigibilità già manifestatasi, ma anche quelle probabili esistenti alla
data del bilancio. Al riguardo, utili elementi di giudizio possono essere: la natura del credito;
la durata; il grado di anzianità dei crediti scaduti; eventuali contenziosi in atto; l’affidabilità
del debitore, determinata in base alle condizioni economiche del settore, dell’azienda e al
rischio del paese.
Con il procedimento sintetico, i crediti sono valutati nella loro globalità. Il rischio di
insolvenza è determinato complessivamente, in genere in base a una certa percentuale delle
vendite o dei crediti medesimi. La determinazione di tale percentuale si dovrebbe avvalere dei
risultati che emergono dalle statistiche aziendali elaborate impiegando i dati di insolvenza
storicamente registrati.”24
Quindi, come detto da Milone che “nella pratica il procedimento analitico è utilizzato per i
crediti di dubbia esigibilità o inesigibilità, mentre quello forfettario per la massa dei crediti
23
SANTESSO, SOSTERO, in I principi contabili per il Bilancio d’esercizio Analisi e interpretazione delle
norme civilistiche, Santesso E., Sostero U., Milano, 2011, pagg.463
24
PISANI, in Il bilancio, Giunta, Pisani, Milano, 2008, pagg 657
18 che si ritengono esigibili alla luce delle condizioni economico-finanziarie del debitore, della
situazione del settore o ancora del rischio paese in cui opera il cliente.
I principi nazionali, con riferimento alle formule impiegate nel procedimento sintetico,
raccomandano di non trasformare le stesse in una regola.
Esse sono ritenute solo uno strumento pratico, la cui validità deve essere monitorata
assiduamente e devono essere variate al mutare delle condizioni sulle quali le formule usate si
basano.
In definitiva, quindi, le stesse si ritengono accettabili se consentono di raggiungere gli
stessi risultati del procedimento analitico descritto dinanzi.” 25
Come sollevato dalla dottrina, sia il codice civile che il principio OIC 15 non entrano
nel merito di come determinare il presunto valore di realizzo, forniscono esclusivamente delle
regole generali. È stata allora avanzata una proposta operativa nella determinazione di tale
valore da parte di un gruppo di docenti dell’Università di Torino, secondo i quali è possibile
determinare il corretto valore di realizzo dei crediti con un altro procedimento, più semplice
rispetto a quello che prevede l’analisi di ciascuna posizione di credito ma non per questo
meno preciso. Questo metodo prevede che “i crediti vengano suddivisi in tre gruppi:
-
crediti verso clienti nei confronti di imprese per le quali sono già emerse situazioni di
inesigibilità, indipendentemente dal fatto che siano o meno scaduti: devono essere
analizzati in modo analitico, in quanto l’amministratore per ciascun credito è in grado
di stabilire il presunto valore di realizzo;
-
crediti verso clienti non scaduti: vista la situazione, non devono ovviamente essere
svalutati, ma è riconosciuta la possibilità di effettuare una svalutazione minima, di
modesto importo qualora, grazie all’esperienza maturata, si è in grado di determinare
una certa percentuale di perdita anche se si tratta di crediti non ancora scaduti;
-
crediti verso clienti scaduti e non incassati: valutati attraverso un processo sintetico
che analizza classi di crediti uguali circa l’arco di tempo decorso dal momento in cui il
credito è scaduto; quindi, secondo gli autori, se i crediti scaduti vengono analizzati nel
modo ante descritto, il risultato in termini di presunto valore di realizzo, non sarà
qualitativamente diverso rispetto a quello conseguito ricorrendo al processo di
valutazione analitico e quindi credito per credito.
25
MILONE, in Il bilancio di esercizio, Normativa civilistica, principi contabili nazionali ed internazionali,
Milone M., Milano, 2006, pagg.297
19 Una volta, suddivisi i crediti in queste tre categorie, si deve procedere con la determinazione
della percentuale di svalutazione che verrà poi applicata ai saldi contabili delle singole
categorie omogenee. L’individuazione della percentuale di svalutazione da applicare poi ai
saldi contabili, non è questione particolarmente semplice e deve rispettare il vincolo secondo
il quale il decorrere del tempo dal momento della scadenza del credito comporta un
incremento della percentuale di svalutazione da applicare, dovuto alla minor probabilità di
incasso del credito.
Gli autori per la determinazione di tale percentuale, rimandano quindi all’OIC 15, il quale
fornendo le regole generali, stabilisce che l’amministratore deve tenere conto delle esperienze
maturate in passato e quindi da queste prendere spunto per valutare a distanza di tempo qual è
l’importo dell’ammontare effettivo che l’impresa è stata in grado di raggiungere
limitatamente alle singole categorie omogenee di crediti scaduti. Dall’applicazione delle
percentuali alle tipologie di crediti, si ricaverà il valore del saldo complessivo del fondo
svalutazione crediti. Quindi, relativamente alla svalutazione da annotare in conto economico,
la potremo ricavare dalla differenza tra l’ammontare del fondo svalutazione crediti alla data di
chiusura dell’esercizio (ante rettifiche) e il valore del fondo svalutazione come sopra
determinato.”26
Ci sono, come sopra annunciato, altri motivi che non permettono di incassare totalmente i
crediti, oltre alle perdite per inesigibilità. Spesso accade che alla data di bilancio vi siano resi
di merci o di prodotti e rettifiche di fatturazione, in quanto difettosi, eccedenti le ordinazioni,
dovuti a ritardi nella consegna o all’ applicazione di prezzi differenti rispetto a quelli
concordati.
Se questi fatti si manifestano sistematicamente o sono di ammontare abbastanza rilevante,
bisogna tenerne debito conto rilevando uno stanziamento specifico nel rispetto del principio
di competenza.
Un altro fatto di cui tenere conto nella determinazione del valore di presumibile realizzo, sono
gli eventuali sconti e abbuoni che possono essere concessi al momento non della fatturazione,
ma dell’incasso; per quanto concerne quelli natura finanziaria, questi possono essere rilevati
al momento dell’incasso.
26
BAVA, BUSSO, DEVALLE, PISONI, in “La valutazione dei crediti verso clienti in bilancio” in Contabilità
Finanza e Controllo RIVISTA DI GESTIONE AZIENDALE, 2/2012 pagg.93 e seguenti e in “Il trattamento
contabile delle nuove ipotesi di deducibilità fiscale delle perdite sui crediti alla luce del D.L. n. 83/2012” in Il
Fisco n.10/2013 pagg. 1427 e seguenti.
20 Infine in merito agli interessi non maturati inclusi nel valore del credito, l’OIC 15 afferma che
non rappresentando ancora un’attività per l’impresa, non vanno riscontati.
ATTUALIZZAZIONE
L’OIC 15 al punto D.III, tratta il problema dell’attualizzazione dei crediti di natura
commerciale che prevedo termini di pagamento lunghi, per i quali è richiesta una valutazione
particolare.
I crediti commerciali sono quelli che derivano dalla vendita di beni e servizi ai clienti
e misurano il conseguente ricavo. Se il periodo che intercorre tra la cessione del bene o
servizio e il pagamento tende a prolungarsi molto nel tempo, ci troviamo di fronte ad un
credito di lungo periodo che comporta quindi per l’impresa una rinuncia alla disponibilità
immediata che avrebbe ottenuto qualora il cliente avesse pagato subito in contanti.
Questo che possiamo definire come un “servizio” che l’impresa offre al cliente, può
comportare dei costi per il debitore e quindi il pagamento di un interesse relativo al periodo di
indisponibilità della moneta.
L’interesse può essere di due tipi, esplicito o implicito, il primo sia ha nel caso in cui
venditore e compratore si accordano e negoziano l’interesse da applicare al credito per
ottenere la dilazione di pagamento e che sarà quindi separato dal valore del bene o della
prestazione del servizio; essendo chiaramente evidenziato, non crea alcun tipo di problema
perché l’interesse viene rilevato e rappresentato per suo conto in bilancio.
Al contrario, se l’interesse è implicito, significa che è nascosto nel prezzo di vendita, lo
contiene al suo interno è quindi parte del ricavo del credito commerciale. Come sottolineato
da Pisani, “a questa distorsione deve aggiungersi quella derivante dal fatto che l’interesse
attivo non è interamente di competenza economica dell’esercizio in ci è rilevato, ma è di
competenza dei diversi esercizi interessati dalla dilazione.
È evidente, pertanto, che la rilevazione contabile operata non consente di rappresentare con
chiarezza e in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società,
né il risultato economico dell’esercizio.
Confondere due distinti valori in uno e trascurare la competenza economica non sono
certamente azioni con cui si dipinge un “quadro fedele” delle condizioni economiche di
un’impresa.”27
27
PISANI, in Il bilancio, Giunta, Pisani, Milano, 2008, pagg. 664
21 Ecco perché l’OIC 15 prevede che per fornire un quadro fedele, sia necessario
scorporare dal ricavo la quota che rappresenta l’interesse per la dilazione di pagamento,
esprimendo quindi il credito al suo valore attualizzato e successivamente ripartirlo ad un tasso
costante, tra i diversi esercizi di competenza. L’interesse andrà quindi scorporato in deduzione
al ricavo registrato in seguito alla vendita e per competenza rinviato agli esercizi futuri
attraverso i risconti passivi così da andare a costituire i redditi successivi grazie alla
maturazione degli interessi.
Il processo di attualizzazione, si concretizza in tre fasi, la prima consiste nell’individuazione
di quali crediti devono appunto essere attualizzati, la seconda quale tasso di interesse adottare
e infine l’ultima per quanto tempo deve essere applicato.
Nella prima fase, di ricerca dei crediti da attualizzare, si possono identificare tre diverse
situazioni, la prima quella dove l’interesse è esplicito ed è sufficiente addebitarlo all’anno, o
eventualmente anche ai successivi, di competenza fino alla scadenza del credito; la seconda
nella quale l’interesse è implicito e si riferisce ai crediti di media/lunga scadenza e deve allora
essere attualizzato e infine quella nella quale l’interesse è esplicito ma di ammontare
sensibilmente inferiore rispetto a quello che dovrebbe essere opportuno.
Nel caso in cui l’interesse sia implicito o inferiore rispetto a quanto appropriato, si
deve individuare quale tasso applicare, teoricamente dovrebbe essere circa uguale a quello al
quale si ricorrerebbe nel caso in cui due parti negoziassero un’operazione similare, con
l’opzione di pagare un prezzo a pronti o a termine e il tasso applicato in questo caso, fosse
quello di mercato; praticamente ci si rifarà a quello prevalente nel mercato per i crediti con
dilazione alla data dalla quale il credito sorge.
In caso di mancanza o insufficienza di un mercato similare, si ricorre ad un tasso realistico,
utilizzato comunque da imprese con vendite la cui dilazione è prolungata nel tempo, come nel
caso in cui ci si affida a terzi per ottenere finanziamenti da utilizzare nell’azienda per lo
svolgimento della gestione tipica o caratteristica.
Quanto al capitale, l’interesse deve essere calcolato proporzionalmente al credito, alla sua
durata e ad un tasso costante sul credito residuo fino al completo incasso dello stesso; il
valore del credito non deve quindi variare nel tempo, fino alla scadenza, a meno che non
incidano dei fattori che vanno a compromettere l’inesigibilità.
“È opinione unanime che il regime di capitalizzazione degli interessi sia quello composto e
dunque le quote interessi saranno, a parità di arco temporale di riferimento (il periodo
22 amministrativo), crescenti, mentre i risconti attivi iniziali decrescono, di periodo in periodo,
di pari importo, fino ad annullarsi dopo la riapertura dei conti relativa all’esercizio di incasso
del credito.”28
L’OIC prevede una serie di casi in cui tale principio non deve essere applicato come:
-
crediti derivanti dalla normale gestione, il cui incasso è previsto nell’esercizio
successivo;
-
acconti, anticipi e ed altri importi riferiti a somme che non comportano la successiva
restituzione perché riguardanti il prezzo d’acquisto del bene;
-
crediti da un tasso di interesse piuttosto basso dovuto a garanzie date da terzi o di
specifiche norme di legge, ovvero interessi non tassabili al percipiente;
-
somme che rappresentano garanzie e cauzioni date alla controparte di un contratto.
Nella dottrina economico-aziendale, si ritiene che il metodo dell’attualizzazione dei
crediti e la successiva suddivisione in relazione ai periodi amministrativi ai quali si
riferiscono, vada applicato esclusivamente a quelli di natura commerciale la cui durata super i
12 mesi e non a quelli finanziari.
Come sollevato da Antonelli, “la casistica dell’OIC 15 sembra invece ammettere
l’attualizzazione di crediti finanziari, quando questi presentano tre caratteristiche ovverosia
sono a media-lunga scadenza generano interessi implicito a un saggio particolarmente basso,
non concessi in forza di garanzie di tersi o di specifiche norme di legge, su di essi non matura
un provento finanziario non imponibile in capo al percipiente, non intendendo rappresentare
garanzie o cauzioni date all’altra parte di un contratto (depositi, parte di un credito che verrà
incassato alla scadenza del periodo di garanzia).”29
Se un credito che sarebbe dovuto essere incassato entro l’anno, subisce una variazione che
lo trasforma in un credito di lungo periodo, in tal caso la differenza derivante dal valore del
credito iscritto in bilancio e il valore attuale dei pagamenti futuri da ricevere, in base a quelli
che sono gli accordi conclusi con la controparte, viene considerata come perdita.
28
ANTONELLI V., in “Verso i nuovi OIC: attualizzazione dei crediti nell’OIC 15” in Contabilità Finanza e
Controllo, n. 8-9/2012, pagg. 647
29
ANTONELLI V., in “Verso i nuovi OIC: attualizzazione dei crediti nell’OIC 15” in Contabilità Finanza e
Controllo, n. 8-9/2012, pagg. 647
23 Il credito sarà iscritto all’interno dello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni finanziare e
verrà applicato il tasso d’interesse previsto per l’attualizzazione dei crediti a lungo termine al
momento del cambiamento.
Nel caso di interessi di dubbio incasso, l’OIC specifica che con l’entrata in vigore del
D. Lgs. 9 ottobre 2002, n.231, è stata attuata la Direttiva UE (2000/35 CE) riguardante la lotta
contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Questo implica che dal momento
in cui scade il termine per il pagamento, deve essere applicato il tasso d’interesse che il
Ministero dell’Economia e delle Finanze diffonde semestralmente.
Se il termine non è disposto contrattualmente, allora gli interessi inizieranno a decorrere, a
seconda dei casi, dopo trenta giorni dalla di ricevimento della fattura, delle merci o delle
prestazioni di servizi, ovvero dalla data di accertamento della conformità della merce o dei
servizi alle previsioni contrattuali. Nei casi in cui l’incasso degli interessi non è certo, si
effettua uno stanziamento al fondo svalutazione crediti, in relazione alla possibilità di
recupero.
Qualora invece il contratto dovesse prevedere l’applicazione di interessi al manifestarsi di
determinate condizioni, questi interessi saranno riconosciuti solo nel momento in cui saranno
certi, quindi normalmente al momento dell’incasso.
I crediti incassabili con un’attività diversa dai fondi liquidi, si valutano al valore corrente di
tali attività; nel rispetto del principio di prudenza, qualora il debitore possa scegliere se pagare
con fondi liquidi o tramite altra attività, il credito va esposto al minor valore tra quello
incassabile per contanti e quello delle attività.
Nel caso in cui, invece, si ottengono attività diverse dai fondi liquidi al momento dell’incasso
per contanti, si iscriverà a bilancio il minor valore tra il pagamento per contanti e il valore
corrente delle attività che si riceveranno.
Relativamente ai crediti dati a garanzia di prestiti, questi verranno mantenuti nello
stato patrimoniale e la garanzia sarà inserita nei conti d’ordine, fornendo eventuali ulteriori
informazioni nella nota integrativa.
Più particolare si fa la situazione in merito alla cessione di crediti con le società di factoring,
definite dall’OIC factor.
Queste operazioni possono avvenire per finalità diverse, o come garanzia da possibili rischi di
insolvenza, trasferendo quindi il credito e il rischio ad esso legato al cessionario, è il caso di
24 crediti pro soluto, ovvero per motivi finanziari, è il caso del factor che anticipa al cedente
delle somme in cambio dei crediti ceduti o infine con la finalità di mandato all’incasso e in
questo caso il factor è semplicemente tenuto a incassare la somma per conto del cedente.
Distinguiamo ora i crediti ceduti senza azione di regresso, definiti anche pro soluto, da
quelli ceduti con azione di regresso, pro solvendo.
I primi sono quelli definitivi che il cedente trasferisce al cessionario, il factor, sul quale ricade
ora il rischio di insolvenza. Il principio contabile nazionale stabilisce che i crediti ceduti pro
soluto vanno eliminati dal bilancio e l’utile o la perdita, derivano dalla differenza tra il valore
percepito e quello al quale erano stati iscritti in bilancio.
Qualora il contratto dovesse prevedere eventuali clausole che hanno l’obiettivo di ripartire il
rischio di insolvenza tra le parti che possono comportare un aumento piuttosto che una
diminuzione dell’importo ricevuto in caso di mancato incasso, allora dovrà essere inserito nei
conti d’ordine l’ammontare degli eventuali rischi e se necessario fornire ulteriori informazioni
nella Nota Integrativa. Infine, alle cessioni pro soluto, che in caso di mancato incasso del
credito da parte del cessionario alla scadenza, possono comportare la possibilità di un’azione
di regresso, si applicano le regole previste per i crediti pro solvendo.
Per quanto riguarda i crediti ceduti con azione di regresso e quindi pro solvendo,
l’OIC 15 prevede due alternative:
a) nella prima, da preferire, i crediti ceduti con azione di regresso vanno rimossi dallo stato
patrimoniale e sostituiti con L’ammontare dell’anticipazione ricevuta e il credito nei
confronti del factor per la differenza tra il valore nominale del credito ceduto e
l’anticipazione ricevuta (quest’ultimo ammontare sarà restituito dal factor al cedente al
momento dell’incasso dal debitore ceduto). Si deve inoltre procedere a mettere in
evidenza il rischio di regresso nei conti d’ordine, fornire se necessario, ulteriori
informazioni nella nota integrativa e iscrivere l’eventuale fondo rischi nel passivo di stato
patrimoniale.
b) La seconda alternativa prevede che sia consentito considerare i crediti come dati in
garanzia a fronte dei prestiti ricevuti e pertanto mantenere in bilancio detti crediti,
iscrivendo nell’attivo di stato patrimoniale l’ammontare dell’anticipazione ricevuta (al
netto delle commissioni; nel passivo il debito verso il factor per uguale ammontare e in
nota integrativa va messo in evidenza l’importo nominale dei crediti ceduti. Le
25 commissioni passive che il cedente riconosce al factor, vanno imputate a conto
economico nel rispetto del principio di competenza.”30
Un ultimo aspetto riguarda le cambiali, esse sono considerate dall’OIC 15 alla stregua
di crediti e come tali devono essere trattate, a differenza delle ricevute bancarie che sono viste
come strumenti finanziari.
“Nell’OIC 15 per «cambiali attive» intende i pagherò diretti, le cambiali tratte accettate e non
accettate. Questi strumenti non presentano sostanziali differenze rispetto agli altri crediti, di
conseguenza i principi contabili applicabili sono i medesimi. Le cambiali attive scontate o
cedute a terzi non ancora incassate alla data di bilancio vanno trattate analogamente alla
cessione dei crediti.
Gli interessi attivi su crediti e cambiali attive sono calcolati per competenza e
proporzionalmente al credito in essere. Qualora i crediti ovvero le cambiali attive cedute per
finanziamento comportano un interesse attivo, occorre riconoscere per competenza e
separatamente:
-
gli interessi attivi: proporzionalmente al credito ed alla durata residui;
-
gli interessi passivi sul finanziamento: sono riconosciuti proporzionalmente al debito
per lo sconto od il finanziamento ed alla durata residui; non vanno riscontati nel caso
in cui la scadenza cada nel periodo amministrativo successivo, in quanto per tali
crediti e cambiali attive si presume che il ricavo includa una componente finanziaria
per la quale non si procede alla separazione mediante attualizzazione.
Le ricevute bancarie non sono titoli di credito, bensì strumenti per l’incasso dei crediti. La
loro cessione alle banche non costituisce da un punto di vista sostanziale sconto di titoli di
credito e, pertanto, il credito non va rimosso dal bilancio fino all’incasso.”31
30
31
FRIZZERA, in “Guida alla contabilità e bilancio”, FRIZZERA B. (a cura di), Milano, 2007, pag. 322
FRIZZERA, in “Guida alla contabilità e bilancio”, FRIZZERA B. (a cura di), Milano, 2007, pag. 324 e 325
26 2.3
IL NUOVO OIC 15 “I CREDITI”: MODIFICHE INTERVENUTE IN SEGUITO AL
PROCESSIO DI REVISIONE A CUI SONO SOTTOPOSTI I PRINCIPI
CONTABILI NAZIONALI
Come anticipato nei paragrafi precedenti, i principi contabili nazionali sono sottoposti
ad un progetto di aggiornamento avviato dall’OIC allo scopo di tener conto degli sviluppi ai
quali stiamo assistendo della materia contabile, dovuti all’evoluzione della normativa, degli
orientamenti dottrinali e della prassi contabile e di realizzare il processo di armonizzazione
con i principi contabili internazionali, in modo che anche le imprese che non sono tenute
all’adozione dei principi IAS/IFRS nella redazione del bilancio di esercizio, possano godere
di norme che vi si avvicinino sempre più, così da creare bilanci facilmente analizzabili e
confrontabili, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda o dal fatto che operino in
mercati regolamentati.
Il progetto coinvolge 24 principi contabili, i quali sono suddivisi in gruppi che
vengono pubblicati periodicamente per un periodo, nel quale deve avvenire la consultazione e
possono essere pronunciate delle osservazioni da far pervenire alla fondazione OIC. I nuovi
principi saranno utilizzabili solo dopo che si è concluso il periodo di consultazione, nel quale
far pervenire eventuali commenti, di tutti e 24 i principi; non verranno quindi pubblicati a più
riprese ma vi sarà un’unica entrata in vigore.
In linea generale, “i principi revisionati e aggiornati contengono una sintesi dei
cambiamenti più rilevanti rispetto al testo attualmente in vigore e sono così suddivisi: ambito
di applicazione, principali definizioni, classificazione, rilevazione iniziale, valutazione e
rilevazioni successive, informazioni in nota integrativa.”32
Ogni principio, in relazione alla problematica che tratta può inserire alcune apposite sezioni.
Nell’ambito di applicazione invece è stata introdotta una nuova sezione, quella delle
“esenzioni” ovverosia situazioni che dovrebbero essere trattate in questo determinato
principio, ma per motivi di organizzazione dei documenti, piuttosto che della tipicità
dell’evento, vengono trattate in altri documenti.33
32
ROSCINI VITALI, in “Principi Contabili revisionati dall’OIC” in Contabilità e Bilancio, n. 11/2012, pagg.
60
33
come sottolineato da POZZOLI, in “Principio contabile OIC 15 – crediti: principali novità” in Contabilità &
Bilancio, Pozzoli M., n. 14-15/2012, pagg. 41
27 Analizziamo ora nel dettaglio il nuovo principio contabile OIC 15 “I CREDITI”.
Dalla bozza per la consultazione, confrontandola con il documento attualmente in vigore,
possiamo subito notare che le prime modifiche derivano dal layout, infatti come detto prima,
attuando l’obbiettivo del perseguimento dell’armonizzazione con i principi contabili
internazionali, i nuovi OIC hanno una struttura molto simile a quella utilizzata per gli
IAS/IFRS. Con questo schema si è voluto migliorare la configurazione, al fine di rendere la
lettura più agevole e per facilitare le successive modifiche, integrazioni e aggiornamenti che
in futuro si renderanno necessari.34
Un elemento che è stato inserito nella bozza, non presente nel precedente documento,
riguarda l’introduzione dell’ “abstract” che attraverso una breve sintesi descrittiva, ha lo
scopo di sottolineare quali sono gli interventi maggiormente rilevanti avvenuti nel nuovo
testo, così da facilitarne l’analisi e stimolare eventuali osservazioni, in attesa dell’entrata in
vigore al termine del processo di revisione.
Analizzando più nel dettaglio il principio contabile relativo ai crediti, emerge che è stato un
coordinato con l’Oic 19 relativo ai debiti e dalla sintesi dei principali interventi effettuati
risulta che è stata eliminata dall’OIC 15 la parte riguardante la cessione dei crediti perché sarà
sottoposta ad uno specifico approfondimento e verrà quindi fatta una specifica consultazione.
In merito alle definizioni, nel nuovo principio sono state modificate quelle riguardanti
le cambiali attive35 e alle ricevute bancarie (o Riba)36, in ogni caso le cambiali attive vengono
comunque trattate come i crediti infatti non rappresentando particolari differenze dal punto di
vista della valutazione non sono intervenute differenze; lo stesso dicasi per le ricevute
bancarie, per le quali è stata data una nuova definizione che va ad integrare quella precedente,
viene data anche una definizione di ricevute bancarie di tipo elettronico ma, come stabilito nel
principio del 2005, dato che non rappresentano titoli di credito, bensì strumenti per la
34
come sottolineato in “Fisco Oggi Rivista Telematica” da parte di Alessandro Vattovani del 5 Gennaio 2012
Definizione OIC 15 del 2012, le cambiali attive rappresentano titoli di credito che contengono un ordine o
una promessa incondizionata di pagamento verso il portatore del titolo, che pertanto ha il diritto tutelato
dalla legge di esigere il pagamento. Le cambiali attive non rappresentano dunque sostanziali differenze
rispetto agli altri crediti. Le indicazioni fornite nel presente principio sono applicabili anche alle cambiali
attive.
36
Definizione Oic 15 del 2012, le ricevute bancarie (o RIBA) sono strumenti che contengono un ordine di
incasso disposto dal creditore ad un istituto finanziario (banca assuntrice) per la riscossione di crediti verso
proprio clienti derivanti da operazioni commerciali comprovate da fatture. Le ricevute bancarie di tipo
“elettronico” sono procedure interbancarie di gestione automatica degli incassi commerciali. Esse non
costituiscono titoli di credito, bensì strumenti per l’incasso dei crediti. Il trasferimento di ricevute bancarie
non costituisce da un punto di vista sostanziale sconto o cessione del credito e, pertanto, il credito non è
rimosso dal bilancio fino all’incasso.
35
28 riscossione del credito, il loro trasferimento non è sconto o cessione del credito e per tali
motivi deve rimanere in bilancio fino a che non viene incassato.
Nella classificazione dei crediti tra attivo circolante e immobilizzazioni finanziarie,
non sono rintracciabili particolari novità e sono classificati in base alla loro natura e origine. I
crediti possono essere contabilizzati, come già previsto, per i crediti commerciali se il
processo produttivo dei beni e servizi è terminato e lo scambio è avvenuto, questo momento
normalmente corrisponde con la data di consegna, per quelli immobili con la data nella quale
avviene la stipula del contratto di compravendita e per i servizi nel momento in cui sono stati
effettuati.
I crediti finanziari invece sono iscritti se rappresentano effettivamente obbligazioni di terzi
verso l’impresa.
“Le perdite realizzate su crediti derivanti da elementi certi e precisi, pertanto non
derivanti da valutazioni, si classificano nella voce B14 «Oneri diversi di gestione» del conto
economico, previo utilizzo dell’eventuale fondo svalutazione crediti: la precisazione, riferita
all’utilizzo prioritario del fondo svalutazione crediti, non è presente nell’attuale versione del
principio. Le perdite in questione derivano, per esempio, dal riconoscimento giudiziale
inferiore al valore del credito, da transazione o da prescrizione.
È meglio formulata la seguente ipotesi: se un credito incassabile entro un anno è trasformato
in un credito a lungo termine, senza la corresponsione di interessi espliciti, l’operazione è di
natura finanziaria, ma non si effettuano attualizzazioni in quanto il diritto di esigere
determinati ammontari dal debitore è rimasto inalterato.
Il credito è trasferito, per lo stesso ammontare, dalla voce C.II dell’attivo circolante alla voce
B.III.2 delle immobilizzazioni finanziarie ed è rettificato per perdite durevoli di valore.”37
Ecco una prima innovazione dell’OIC 15 in merito alla classificazione dei crediti.
Un’altra importante novità introdotta con il progetto di revisione, riguarda il
trattamento contabile delle vendite con riserva di proprietà, non presente nell’attuale modello
del principio. In merito, l’art. 1523 del codice civile, prevede che con la vendita a rate con
riserva di proprietà, il compratore ottiene la proprietà della cosa solo in seguito al pagamento
dell’ultima rata del prezzo, al contrario dei rischi che acquisisce dal momento della sua
consegna.
37
ROSCINI VITALI, in “principi contabili revisionati dall’OIC” in Contabilità & Bilancio, n. 11/2012, pagg.64
29 “L’Oic, in ragione del fatto che il compratore assume i rischi sin dal momento della consegna,
prevede - in ossequio al principio della funzione economica dell’elemento dell’attivo e del
passivo considerato - che la rilevazione del ricavo di vendita e del relativo credito avvengano
alla consegna, anche se il passaggio della proprietà si ha, come detto, solo al completamento
del pagamento rateale.
Tale «comportamento contabile» è in linea anche con il principio della competenza
economica, poiché imputa i proventi inerenti l’operazione integralmente all’esercizio in cui la
stessa è avvenuta. Il pagamento acquista, perciò, un significato essenzialmente finanziario.38
È opportuno precisare che anche in ambito di vendite con riserva di proprietà, in presenza di
pagamenti con termini di corresponsione lunghi, dovrà essere applicato il processo di
attualizzazione.
L’attualizzazione è quel processo che viene adottato in presenza di crediti con tempi di
pagamento lunghi, il cui termine stabilito dall’OIC supera i 12 mesi. In questi casi
normalmente i crediti incorporano, o dovrebbero incorporare una componente finanziaria che
funge da compenso per il creditore il quale si è visto immobilizzare un certo importo per un
dato periodo di tempo.
Come già visto nel paragrafo precedente, la componente finanziaria può essere esplicita e
quindi ben individuabile e prevista contrattualmente, ovvero implicita e deve quindi essere
determinata.
Il nuovo principio contabile, regola con una maggiore precisione rispetto alla precedente
versione attualmente in vigore, le modalità con le quali deve essere determinato l’interesse
attivo. I crediti da attualizzare sono quelli la cui componente finanziaria è implicita o se
esplicita è inferiore rispetto a quanto dovrebbe essere; il periodo per l’attualizzazione riguarda
la durata del credito e l’interesse dev’essere ad essa proporzionale.
L’OIC 15, prevede che l’ammontare degli interessi impliciti dev’essere ottenuto sottraendo
dal valore nominale del credito, il corrispettivo a pronti e deve essere rilevato inizialmente tra
i risconti passivi. Gli interessi attivi sono considerati di competenza dell’esercizio o degli
esercizi successivi sino alla scadenza del credito e sono riconosciuti contabilmente in base
alla durata dello stesso.
In merito al tasso di interesse da applicare, “il riferimento immediato è al tasso di interesse di
mercato prevalente per il finanziamento di crediti con dilazione ed altri termini e
38
POZZOLI M., in “Principio contabile OIC 15 – crediti: principali novità” in Contabilità & Bilancio, n. 1415/2012, pagg. 42-43
30 caratteristiche similari (se non è possibile, si deve fare riferimento ad un tasso realistico per
l’impresa); il saggio di attualizzazione è quello della data dell’operazione, del tempo in cui
sorge il credito e l’impresa concede la dilazione di pagamento e non va modificato durante la
durata del credito.”39
Come sottolineato da Roscini Vitali, lo scorporo non riguarda i crediti finanziari a
media-lunga scadenza concessi a debitori senza corresponsione di interessi o con interessi
bassi, in quanto non derivano da operazioni di scambio di beni o servizi e, pertanto, non vi è
un ricavo da rettificare: tuttavia, ove rilevante, la componente finanziaria, determinata come
differenza tra valore nominale del credito e valore attuale dei flussi finanziari derivanti dal
credito, è indicata nella nota integrativa. È il caso per esempio di finanziamenti concessi a
imprese controllate.”40
L’ultimo aspetto da considerare rimane quello relativo alla valutazione.
“Con riferimento al procedimento di valutazione collettiva dei crediti (concetto di classi
omogenee), sono stati riformulati alcuni concetti.
Nel processo di stima del fondo svalutazione crediti, quando non è fattibile effettuare
un’analisi della recuperabilità dei singoli crediti, è ammesso un processo di valutazione
sintetico, se è possibile raggruppare i crediti in classi omogenee che presentano profili di
rischio simili… . A tali classi di crediti si possono applicare formule per la determinazione
della ragionevole attesa di perdite.”41
Ovviamente le formule utilizzate non devono essere considerate una regola ma vanno viste
come uno strumento che deve essere costantemente monitorate e modificate qualora mutino le
condizioni sulle quali si fondano. Il risultato che si ottiene dall’applicazione di tali formule
dev’essere uguale a quello raggiunto con il metodo analitico.
In merito alla svalutazione dei crediti assistiti da garanzie e dei crediti assicurati, il
fondo svalutazione crediti assistiti da garanzie come il pegno, l’ipoteca o la fidejussione, tiene
conto degli effetti relativi all’escussione delle garanzie, mentre il fondo svalutazione dei
crediti assicurati si limita alla parte non coperta da assicurazione, solo se si è certi che
l’impresa assicuratrice riconoscerà l’indennizzo.
39
POZZOLI M., in “Principio contabile OIC 15 – crediti: principali novità” in Contabilità & Bilancio, n. 1415/2012, pagg. 43
40
ROSCINI VITALI F., in “principi contabili revisionati dall’OIC” in Contabilità & Bilancio, n. 11/2012,
pagg.65
41
ROSCINI VITALI F., in “principi contabili revisionati dall’OIC” in Contabilità & Bilancio, n. 11/2012,
pagg.65
31 In questo capitolo, è stata trascurata la parte relativa alla valutazione dei crediti
commerciali e finanziari secondo la normativa prevista dal Codice Civile; questa non deve
essere vista come una dimenticanza o l’aver trascurato un aspetto molto importante a detta di
qualcuno ma come una scelta effettuata da parte di chi scrive in quanto la normativa civilista,
come sottolineato anche da molti autori in molte opere appare molto scarsa e sintetica.
Come già specificato nei precedenti paragrafi, infatti, uno degli obiettivi perseguiti dall’OIC è
appunto quello di andare a colmare eventuali lacune lasciate dal Codice Civile o ad integrarle
ove carenti.
In merito all’attualizzazione dei crediti, sia Milone che Balducci hanno espressamente
affermato che sul tema la normativa civilista risulta alquanto scarsa; Balducci in particolare
ha detto che “la disciplina codicistica non prevede alcuna disposizione in tal senso, ma i
principi contabili nazionali (principio 15 per i crediti; analogamente per i debiti)
raccomandando di procedere alla quantificazione del valore attuale per ottenere l’entità degli
interessi attivi da ripartire pro-quota per competenza economica nei diversi esercizi in cui si
estende contrattualmente la dilazione.”42
Anche sotto l’aspetto dell’iscrizione dei crediti in bilancio secondo il valore di presumibile
realizzo, la normativa civilistica non permette di individuare come determinare tale valore,
lasciando quindi un vuoto che potrebbe portare l’amministratore a iscrivere un valore
completamente errato; un contributo a tale problema, è stato invece offerto dall’OIC 15 il
quale afferma che i crediti devono essere iscritti al netto delle perdite per inesigibilità grazie
ad un fondo rettificativo ovverosia il fondo svalutazione crediti.43
Ecco quindi che la scelta di non considerare l’aspetto civilistico è data dal fatto che questo
può essere considerato “compreso” in quanto stabilito dai principi contabili nazionali.
42
BALDUCCI, in “Il bilancio di esercizio Principi contabili nazionali e internazionali IAS/IFRS” di Balducci
D., Milano, 2006, pag. 482
43
come sollevato da BAVA, BUSSO, DEVALLE, PISONI, in “Il trattamento contabile delle nuove ipotesi di
deducibilità fiscale delle perdite su crediti alla luce del D.L. n. 83/2012”, in Il fisco, n.10/2013, pag. 1426
32 2.4
LA VALUTAZIONE DEI CREDITI SECONDO GLI IAS/IFRS
Gli IAS/IFRS, i principi contabili internazionali derivano da un lungo processo di
evoluzione iniziato con la costituzione dello IASC (International Accounting Standards
Committee) nel 1973 a Londra, a opera dell’ IFAC (International Federation of Accountants,
una federazione che comprendeva gli organismi rappresentanti le professioni contabili di 10
paesi tra Stati Uniti, Canada, Australia, Messico, Giappone, Regno Unito, Irlanda, Francia,
Germania e Olanda) allo scopo di emanare una serie di principi contabili, denominati IAS
attualmente in vigore, la cui denominazione è rimasta invariata nel tempo per poterli
distinguere dai successivi IFRS, e per promuovere l’armonizzazione degli stessi 44 .
Successivamente, “nel 2001, venne attuata una revisione della struttura IASC e venne
costituita la «IASC-Foundation» che ha sede negli Stati Uniti, la quale ha lo scopo di
nominare i membri di IASB, SAC ed IFRIC, monitorare l’attività svolta dagli organismi e di
raccogliere fondi per l’operatività degli organismi stessi.”45
Allo IASC, è subentrato poi lo IASB, Internationa Accounting Standards Board che è
l’organismo che ha il compito di definire ed approvare i principi contabili internazionali
denominati IFRS (International Financial Reporting Standards).
La trasformazione che stanno costantemente subendo i mercati finanziari e il processo
di globalizzazione al quale le imprese stanno assistendo, comportano la necessità di avere a
disposizione bilanci redatti secondo regole comuni46 in modo tale da poter effettuare eventuali
confronti.
Dal punto di vista europeo, il processo di armonizzazione contabile dipende da un
rafforzamento avvenuto negli ultimi decenni tra gli Stati appartenenti all’Unione Europea,
conclusosi con la diffusione della moneta unica la quale ha causato un’accelerazione nel
processo di armonizzazione per soddisfare il bisogno di rendere i bilanci dei vari Paesi,
44
aspetto trattato da TETTAMANZI in “Principi contabili internazionali. L’adozione degli IAS/IFRS in Italia.
Una ricerca empirica”, a cura di Tettamanzi P., Milano, 2008, pagg. 18
45
MORO VISCONTI, RENESTO, in “Principi contabili OIC e IAS/IFRS” di Moro Visconti R. e Renesto M.,
Roma, 2009, pagg. 2
46
BAUER, in “Gli IAS/IFRS in bilancio”, di Bauer R., Milano, 2007, pag. 1
33 comparabili tra loro il più presto possibile cosicché i soggetti interessati all’impresa potessero
effettuare le proprie valutazioni e trarre delle informazioni utili.47
“Da tempo l’Unione Europea è impegnata a regolamentare ogni aspetto dell’attività
economica d’impresa, anche al fine di assicurare e favorire il regolare svolgimento delle
transazioni commerciali tra gli Stati.
Competitività ed efficienza dei mercati dipendono da molti fattori, tra gli altri, dall’elevata
qualità, dalla trasparenza e dalla comparabilità delle informazioni finanziarie prodotte dalle
imprese medesime.
Un obiettivo da perseguire è diventato pertanto l’adozione convergente di principi contabili
con ampio riconoscimento internazionale. Funzionale all’internazionalizzazione delle imprese
risulta infatti essere l’uniformità delle norme giuridiche utilizzate per la redazione dei bilanci
societari.
Questi rappresentano i documenti formali con i quali le società comunicano a tutti i soggetti,
portatori di interessi rilevanti nell’impresa, l’andamento della gestione riguardo all’utilizzo
delle risorse e al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Solo bilanci uniformi e
comparabili, perché redatti secondo regole omogenee, sono in grado di soddisfare le esigenze
informative di chi, imprese o individui, fonda le proprie decisioni economiche e finanziarie
sull’analisi, l’elaborazione e il confronto dei dati contenuti nei conti societari.
L’adozione in parola, da effettuarsi sulla base di regole quanto più possibile uniformi nei vari
paesi dell’Unione, rappresenta dunque una condizione essenziale per la crescita e lo sviluppo
delle imprese intenzionate a operare e reperire capitali al di fuori del proprio paese d’origine
e, quindi, sia a livello europeo che internazionale.”48
In questo modo il bilancio fungendo da guida, diventa un mezzo per fornire una serie di
informazioni ai vari stakeholder dando vita ad un sistema che generi valore in favore di tutti;
al contrario, se ogni paese adottasse regole diverse, in base alle proprie normative, questo
potrebbe creare informazioni fuorvianti, generare asimmetrie informative per l’investitore
sino a condurlo a prendere decisioni sbagliate, inappropriate e inefficienti, limitando anche
l’opportunità di reperire capitali al di fuori del proprio Paese d’origine.
47
LACCHINI, in “I principi di redazione del bilancio di esercizio nel paradigma IAS/IFRS” di Lacchini M.,
Trequattrini R., Padova, 2007, pagg. 3
48
TETTAMANZI, in “Principi contabili internazionali. L’adozione degli IAS/IFRS in Italia. Una ricerca
empirica”, a cura di Tettamanzi P., Milano, 2008, pagg. 5
34 In merito all’applicazione a livello europeo “dei principi IAS/IFRS, essa è subordinata
al loro recepimento formale da parte della Comunità Europea. A tal fine è prevista una
procedura di omologazione per valutarne la compatibilità con le Direttive Europee, le quali
una volta adeguate agli IAS/IFRS, continueranno ad avere validità, soprattutto per le imprese
che non sono obbligate alla immediata applicazione dei principi IAS/IFRS.
Ciò significa che tali imprese (le imprese non quotate presenti nella UE) pur seguendo le
direttive contabili, dovranno presentare bilanci redatti in linea con le indicazioni
internazionali. A tale scopo è stato costituito nel giugno 2001 l’EFRAG (European Financial
Reporting Advisory Group), organismo che dovrà favorire una modifica delle Direttive UE
attraverso la valutazione tecnica dei principi IAS/IFRS e delle relative interpretazioni
(SIC/IFRIC).”49
Per quanto riguarda il contesto italiano, i principi contabili internazionali, assumono
un ruolo rilevante in quanto costituiscono un punto di riferimento nel processo di sviluppo e
aggiornamento della normativa contabile, come indicato anche nei paragrafi precedenti
relativamente all’impegno svolto da parte dell’OIC nella fase di integrazione e
armonizzazione con i principi internazionali; inoltre rappresenta l’unica normativa adottabile
per talune tipologie di imprese, tenute alla redazione del bilancio d’esercizio secondo i
Principi contabili internazionali.
Le aziende costrette alla redazione del bilancio d’esercizio in linea con i principi IAS/IFRS,
sono quelle di grandi dimensioni ovvero che operano sui mercati di capitali; per tutte le altre
imprese, che costituiscono la parte maggioritaria nel nostro Paese, il ricorso a tale disciplina è
facoltativo o precluso e continuano ad adottare quindi la normativa civilistica o i principi
OIC.
È importante comunque ricordare che il processo di rinnovamento al quale sono sottoposti i
principi contabili nazionali, è stato attuato anche allo scopo di uniformarli e renderli sempre
più compatibili con quelli internazionali.
Il recepimento dei principi contabili adottati dall’Unione Europea nel nostro Paese, per
favorire il processo di armonizzazione, può avvenire con due strumenti diversi, o tramite le
Direttive o attraverso i Regolamenti. Mentre il regolamento, comporta l’immediata adozione
da parte del Paese, la direttiva dev’essere prima recepita e non è vincolante in tutte le sue
parti, essa lascia ampio spazio all’iniziativa normativa di ogni stato ma vincola in termini di
49
BAUER, in “Gli IAS/IFRS in bilancio”, di Bauer R., Milano, 2007, pag. 3
35 risultati da raggiungere, di obiettivi da perseguire; inoltre mentre il regolamento ha portata
generale ed è indirizzato a tutti gli stati, la direttiva può riguardare solo alcuni.
Entrando ora nel particolare e quindi parlando di crediti, possiamo dire che non esiste
un principio in particolare che regola la categoria dei crediti e quindi la sua valutazione
perché, come affermato in proposito da Moro Visconti, “a differenza dei principi contabili
nazionali, che si occupano dei crediti nel documento OIC 15, i principi contabili
internazionali non dedicano a questo argomento uno specifico documento, limitandosi a
trattare esclusivamente le operazioni in valuta estera nello IAS 21 e i crediti finanziari negli
IAS 32 e 39; è comunque possibile trarre qualche indicazione a riguardo negli IAS 1, 18 e 37.
I principi contabili internazionali non forniscono una definizione puntuale di crediti: lo IAS
32, par. 5, si limita a sostenere che i crediti, come qualsiasi attività finanziaria, vanno trattati
alla stregua degli strumenti finanziari.
In ogni caso, le disposizioni del principio OIC 15 non si discostano significativamente da
quanto dettato dai principi contabili internazionali, soprattutto in merito all’utilizzo del fondo
svalutazione crediti e all’attualizzazione dei crediti a medio-lungo termine.”50
Lo IAS 32, «strumenti finanziari: esposizione nel bilancio», si rivolge a tutte le
tipologie di aziende e si occupa di definire i principi che regolano l’esposizione in bilancio
degli strumenti finanziari i quali al loro interno ne comprendono un’ampia categoria.
Questo principio, nella definizione di strumento finanziario, al paragrafo 11, sancisce che vi
rientra “qualsiasi contratto che dia origine a un’attività finanziaria per un’entità e a una
passività finanziaria o a uno strumento rappresentativo di capitale per un’altra entità.”.51
“Il documento, per effetto delle modifiche ad esso apportate con l’emanazione dell’IFRS, si
compone ora di due sole parti: la prima dedicata all’inquadramento delle varie tipologie di
strumenti finanziari, la seconda dedicata alla esposizione degli stessi in bilancio.
L’ulteriore parte dedicata alle informazioni integrative prima contenuta nel documento è stata
eliminata in quanto oggetto di specifica trattazione nell’IFRS 7.”52
Prendiamo in considerazione esclusivamente le attività finanziarie, in quanto
argomento di nostro interesse; lo IAS 32, comprende tra le attività finanziarie le disponibilità
50
MORO VISCONTI, in “Principi contabili OIC e IAS/IFRS” di Moro Visconti R. e Renesto M., Roma, 2009,
pagg. 235
51
definizione di strumenti finanziari inserita nello IAS 32.
52
RISALITI, in “Gli strumenti finanziari derivati nell’economia delle aziende. Risk management, aspetti
operativi e principi contabili internazionali”, di Risaliti G., Milano, 2008, pagg. 287
36 liquide, gli strumenti rappresentativi di capitale di un’altra entità, i diritti contrattuali a
ricevere disponibilità liquide (crediti), i diritti contrattuali a ricevere altre attività finanziarie
(crediti) e gli strumenti finanziari derivati.
Lo IAS 39: “Strumenti finanziari: rilevazione e valutazione” ha lo scopo di fornire le regole e
le informazioni necessarie per rilevare e valutare gli strumenti finanziari di cui dispone
l’azienda. Esso classifica gli strumenti finanziari non in base alla loro natura ma alla
destinazione funzionale che gli stessi hanno nell’impresa.
Gli strumenti finanziari, possono essere classificati in quattro diverse categorie:
-
attività e passività finanziarie valutate al fair value con imputazione delle variazioni al
conto economico (fair value through profit or loss);
-
investimenti posseduti fino alla scadenza (held to maturity);
-
finanziamenti e crediti (loans and receivables);
-
attività finanziarie disponibili per la vendita (available for sale).
“Nella trattazione dei crediti, i temi da esaminare concernono la rilevazione iniziale e quella
successiva. La rilevazione iniziale dei citati strumenti finanziari va fatta al fair value
maggiorato dei costi di transazione.
Giova precisare che nei costi di transazione devono essere inclusi tutti quei costi che possono
essere direttamente imputati all’operazione tra cui si citano le commissioni pagate agli agenti,
le imposte e tasse relative alla conclusione dei contratti mentre vanno esclusi quelli rimborsati
da parte del debitore.
Il criterio da applicare nella fase di rilevazione iniziale è quello del fair value che equivale al
prezzo di mercato dell’operazione; se il suddetto prezzo non può essere rilevato in quanto la
stessa non è stata eseguita in base al prezzo di mercato si deve applicare un modello di
valutazione.
La valutazione successiva deve essere eseguita ricorrendo al criterio del costo ammortizzato
applicandovi il tasso di interesse effettivo.
Tuttavia esulano dall’applicazione del criterio del costo ammortizzato i crediti a breve
termine.”53
53
DONZÌ, in “Il bilancio delle imprese alla luce dei nuovi IAS/IFRS”, Donzì R., Milano, 2008, pag. 123 e ss.
37 “La rilevazione di un credito ha luogo nel momento in cui l’azienda diviene parte delle
clausole contrattuali dalle quali esso discende.”54
Il criterio del costo ammortizzato si applica alle attività finanziarie detenute sino alla
scadenza, ovvero ai finanziamenti e crediti e infine come eccezione all’applicazione del
criterio del fair value, alla valutazione degli strumenti classificati come fair value through
profit or loss per i quali non vi sia una quotazione di mercato e il fair value non possa quindi
essere individuato in modo affidabile.
“Lo scopo del criterio del costo ammortizzato è quello di distribuire costi o proventi
attribuibili allo strumento finanziario lungo la sua durata, attraverso la determinazione del
tasso di interesse effettivo di rendimento, cioè del tasso che eguaglia il valore attuale di
un’attività al flusso contrattuale dei pagamenti o degli incassi futuri in denaro durante la vita
attesa dello strumento. In sostanza il tasso effettivo di rendimento è il tasso che rende nullo il
valore attuale netto.”55
Secondo quanto è previsto dallo IAS 39 ad ogni data di chiusura del bilancio l’impresa
deve verificare se vi sono delle perdite di valore.
Qualora si verifichi una riduzione di valore dopo la rilevazione iniziale l’impresa deve
eseguire l’impairment loss mediante delle regole che sono diverse secondo che si tratti di
strumenti al costo ammortizzato e strumenti del fair value in cui il risultato è imputato al
patrimonio netto.
Negli strumenti al costo ammortizzato se l’impresa presume che ci sia una perdita di valore
deve calcolare l’importo come differenza del valore iniziale e il valore attuale dei flussi
finanziari futuri attualizzati in base al tasso d’interesse originario.
Il suddetto importo deve essere iscritto nel conto economico.
Se l’impresa precedentemente aveva rilevato una perdita di valore e l’importo di questa aveva
diminuito il valore dello strumento finanziario dopo che è stato eseguito l’imparment loss, lo
strumento finanziario può essere condotto al suo valore originario rettificando l’importo della
perdita o in maniera diretta o in maniera indiretta riducendo l’accantonamento .
54
MILONE, in “Il bilancio di esercizio Normativa civilistica, principi contabili nazionali ed internazionali”,
Milone M., Milano, 2006, pag. 225
55
FOSSATI, in “Il bilancio secondo gli IAS”, a cura di Comoli M., Corno F., Viganò A., Milano, 2006, pag. 379
38 Tuttavia, lo IAS 39 prevede che dopo il ripristino, il valore dello strumento non può essere
superiore a quello che avrebbe assunto se non avesse mai rilevato la perdita di valore. Il
ripristino di valore deve essere iscritto nel conto economico.”56
Come precisato da Dolce, “circa la valutazione, il paragrafo 59 dello Ias n. 39, menziona tra
gli altri i seguenti eventi di perdita:
-
significative difficoltà finanziarie dell’emittente o debitore;
-
violazione del contratto, quale un impedimento o un mancato pagamento degli
interessi o del capitale;
-
sussiste la probabilità che il beneficiario dichiari bancarotta o altre procedure di
ristrutturazione finanziaria;
-
dati osservabili che indichino l’esistenza di una diminuzione sensibile nei futuri flussi
finanziari stimati per un gruppo di attività finanziarie sin dal momento della
rilevazione iniziale di quelle attività, sebbene la diminuzione non può essere ancora
identificata con le singole attività finanziarie nel gruppo, ivi incluso:
•
cambiamenti sfavorevoli nello stato dei pagamenti dei beneficiari nel gruppo o
•
condizioni economiche locali o nazionali che sono correlate alle inadempienze
relative alle attività all’interno del gruppo.”57
Se un evento non rientra tra quelli previsti dallo Ias n. 39, non è possibile compiere una
svalutazione.
“La stima della riduzione di valore, analogamente a quanto previsto dai principi nazionali,
può essere fatta analiticamente, ove esistano singole posizioni creditorie significative, o per
gruppi di crediti negli altri casi.
Quando una singola attività viene svalutata singolarmente, essa non deve essere inclusa nei
gruppi di attività sui quali l’impairment test viene applicato collettivamente.
….. lo IAS 39 espone sostanzialmente una disciplina coincidente con quella prevista dai
principi contabili nazionali se si tiene presente che il criterio del “costo ammortizzato” è
assimilabile a quello di presunto realizzo della nostra normativa.”58
56
57
DONZÌ, in “Il bilancio delle imprese alla luce dei nuovi IAS/IFRS”, Donzì R., Milano, 2008, pag. 128 e ss.
DOLCE, in “Soggetti Ias adopter e perdite su crediti: cancellazione dipendente da eventi estintivi (art. 33,
comma 5, del D.L. n. 83/2012)” in Il Fisco, Dolce R., 12/2013, pag.1752
39 L’attualizzazione è un altro aspetto fondamentale nella valutazione dei crediti che lo
IAS 39 non trascura, anzi ai paragrafi 9 e 46, stabilisce che “l’attualizzazione dei crediti è
sempre richiesta, indipendentemente dalla scadenza dei medesimi, quando la riscossione di
disponibilità liquide o equivalenti è differita, il fair value del corrispettivo può essere minore
dell’ammontare nominale dei prezzi monetari, riscossi o spettanti.
Quando l’accordo costituisce, di fatto, un’operazione finanziaria, il fair value del corrispettivo
è determinato scontando tutte le future entrate utilizzando un tasso d’interesse figurativo. Il
tasso d’interesse figurativo è quello più distintamente identificabile fra:
-
il tasso prevalente per uno strumento simile di un’emittente con una situazione
finanziaria analoga;
-
un tasso d’interesse che sconti il valore nominale dello strumento al prezzo di vendita
corrente per il pagamento in contanti delle merci o dei servizi.”59
“Per i crediti a breve termine, tuttavia si ritiene che il valore contabile possa essere una buona
approssimazione del fair value e che nelle valutazioni successive, possa non essere applicato
il metodo del costo ammortizzato previsto dalla categoria loans and receivables, in quanto
l’impatto della logica dell’attualizzazione previsto dal metodo del costo ammortizzato sarebbe
trascurabile.”60
Ai crediti di breve termine quindi, non si applica il criterio del costo ammortizzato e durante il
processo di determinazione per la perdita di valore, non si procede alla loro attualizzazione.
Per quanto riguarda la cessione dei crediti, “i principi contabili internazionali non trattano
l’argomento, tuttavia, applicando per analogia i concetti sui quali si fonda lo IAS 18, il
criterio stabilito nell’OIC 15 per le cessioni «pro-solvendo» non sembra accettabile ai fini
dell’applicazione dei principi internazionali.”61
58
MILONE, in “Il bilancio di esercizio Normativa civilistica, principi contabili nazionali ed internazionali”,
Milone M., Milano, 2006, pag. 255
59
MILONE, in “Il bilancio di esercizio Normativa civilistica, principi contabili nazionali ed internazionali”,
Milone M., Milano, 2006, pag. 256
60
QUAGLI, in “Bilancio di esercizio e principi contabili”, Quagli A., Torino, 2006, pag. 221
61
FRIZZERA, in “Guida alla contabilità e bilancio”, FRIZZERA B. (a cura di), Milano, 2007, pag. 322
40 2.5
NOVITÀ DERIVANTI DAL NUOVO ART.101, comma 5 DEL T.U.I.R.,
APPROVATO CON D.L. 83/2012 IL COSIDDETTO DECRETO CRESCITA E
SVILUPPO, IN MATERIA DI DEDUCIBILITÀ DELLE PERDITE SU CREDITI
Nella redazione del bilancio d’esercizio in materia di analisi recupero crediti, la
normativa civilistica non è compatibile con quella fiscale in merito al trattamento delle perdite
su crediti; mentre dal punto di vista civilistico ci si affida al principio di prudenza nella
determinazione del reale valore di realizzo, indipendentemente dalla presenza di dati certi o
prove, dal lato fiscale la deducibilità delle perdite su crediti è possibile solo in seguito al
soddisfacimento del vincolo circa la presenza di “elementi certi e precisi” come da art. 101,
comma 5 del T.U.I.R.. Lo scopo di questo articolo, è principalmente quello di evitare che un
eccesso di prudenza durante l’analisi di recupero dei crediti comporti una sottostima del
reddito d’impresa imponibile.
Dato il periodo al quale stiamo assistendo, caratterizzato da forti tensioni sia
economiche che finanziarie, non solo a livello nazionale, ma in senso globale, sempre più
spesso le imprese, nella veste dell’imprenditore, si trovano ad avere a che fare con debitori
falliti, o che hanno proceduto o stanno per procedere ad una ristrutturazione dei debiti. Ecco
che nel corso del 2012, in seguito all’approvazione del D.L. 83/2012, il cosiddetto “Decreto
crescita e sviluppo”, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 7 agosto 2012, l’art.
101, comma 5, del T.U.I.R., ha subito delle modifiche.
Tale decreto, ha introdotto consistenti novità in materia di deducibilità delle perdite su crediti,
estendendo le possibilità di deduzione immediata dal reddito d’impresa, facendo emergere
però anche molti dubbi in merito all’applicabilità.
Iniziamo analizzando l’art. 101 comma 5 del T.U.I.R., il quale afferma che “le perdite su
crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi…”.
I requisiti di deducibilità, presenti anche prima dell’introduzione del Decreto crescita e
sviluppo, rappresentano le condizioni generali necessarie perché avvenga il riconoscimento
fiscale delle perdite su crediti.
Fino al 2011, la perdita su crediti era deducibile dalla società creditrice solo se era
possibile dimostrare l’esistenza degli elementi certi e precisi, come richiesto dall’art.101,
comma 5, del T.U.I.R.; dal 2012, invece, in seguito alle modifiche introdotte dal Decreto
41 Crescita e Sviluppo, le perdite su alcuni crediti potranno essere dedotte in via automatica,
senza necessità di alcuna ulteriore dimostrazione.
Fiscalmente, possiamo fare due importanti distinzioni in merito all’individuazione delle
perdite su crediti; da un lato, troviamo le perdite su crediti deducibili in ogni caso, quindi
come fissato dal comma 5 se “il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha
concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art 182-bis del
regio decreto del 16 marzo 1942, n.267”. Dall’altro lato, invece rientrano le perdite su crediti
deducibili “in presenza di elementi certi e precisi”.
Le modifiche apportate alla norma preesistente, hanno fatto si che la norma in questo
momento in vigore preveda delle situazioni nelle quali gli elementi di certezza e precisione si
possono considerare realizzati e si può allora procedere con la deducibilità automatica, se il
credito:
1.
è di modesta entità ed è scaduto da almeno sei mesi,
2.
è prescritto,
3.
è cancellato dal bilancio di un soggetto IAS adopter, in dipendenza di eventi
estintivi.62
Come sottolineato da Iori e Manzana, “in conformità al principio della competenza
economica di cui all’art. 109, Tuir occorre che la perdita presenti i requisiti:
-
della certezza quanto alla sua esistenza, e
-
della oggettiva determinabilità, quanto al suo ammontare.
Gli elementi di certezza devono essere documentati e devono esistere nell’esercizio in cui il
credito viene portato a perdita e si configura quando il creditore è in grado di dimostrare di
aver esperito, senza esito, tutte le azioni di recupero ritenute necessarie in funzione
dell’importo del credito.
Relativamente alla certezza, è importante fare una distinzione tra i crediti di importo
significativo e quelli di modesta entità. Per quelli di importo significativo, gli elementi di
certezza si possono configurare in diverse situazioni, come in caso di infruttuosità
dell’esecuzione individuale a carico del debitore, per mancato reperimento da parte
dell’Ufficiale Giudiziario di beni pignorabili nel patrimonio del debitore, per infruttuosa
notifica degli atti di precetto, per fuga e latitanza del debitore e infine per comunicazione da
62
come evidenziato da BAVA, BUSSO, DEVALLE, PISONI, in “Il trattamento contabile delle nuove ipotesi di
deducibilità fiscale delle perdite su crediti alla luce del D.L. n. 83/2012” in Il Fisco n. 10/2013, pagg. 1428 e
seguenti. 42 parte del legale incaricato del recupero del credito che sconsiglia sul piano della convenienza
economica l’iniziazione dell’azione legale in presenza di insufficiente patrimonio del
debitore.
Tali elementi devono trovare oggettivo riscontro negli atti intervenuti tra le parti e nella
procedura attivata per il recupero dei crediti stessi. Ciò non sta a significare che la perdita
deve essere definitiva, quanto che si debba dare prova della sua effettività e del suo
ammontare.”63
Analizziamo ora le modifiche intervenute nell’art. 101, comma 5 T.U.I.R. in tema di
perdite su crediti, dal punto di vista fiscale, nel caso derivino da elementi certi e precisi.
Per i crediti di modesta entità, ossia di importo non superiore a 5 mila euro per le
imprese di più rilevante dimensione, che hanno quindi un volume d’affari o ricavi non
inferiori a 100 milioni di euro, ovvero inferiore a 2 mila 500 euro per le altre imprese, è
sufficiente che siano decorsi sei mesi dalla scadenza del pagamento stesso.
Appare utile precisare che per termine di pagamento si dovrebbe intendere, nel caso in cui il
contratto preveda una precisa data di rimborso, la scadenza effettiva ovvero la data di messa
in mora o della revoca se si tratta di rapporti continuativi.
Inizialmente questo cambiamento apportato all’art. 101, comma 5, del T.U.I.R. aveva
fatto emergere dei dubbi relativamente alla modalità con la quale si deve determinare la soglia
massima da non superare per poter applicare il metodo della deducibilità automatica; dubbi
risolti grazie alla circolare 26/E del 1° agosto 2013, dell’Agenzia delle Entrate, la quale ha
fornito importanti chiarimenti.
Il problema, affrontato e risolto, riguarda il metodo da adottare nella determinazione
del limite quantitativo; “la circolare n. 26/E del 2013 chiarisce che i limiti appena indicati
vanno verificati considerando il valore nominale del credito e prescindendo da eventuali
svalutazioni effettuate in sede contabile e fiscale.
Laddove, invece, l’impresa sia subentrata nella titolarità del credito per effetto di atti
traslativi, occorre far riferimento al corrispettivo riconosciuto in sede di acquisto del credito,
essendo quest’ultimo il valore fiscalmente deducibile come perdita ex art. 106, comma 2, del
T.U.I.R..
63
IORI, MANZANA, in “Perdite su crediti: elementi certi e precisi” in Contabilità & Bilancio n. 1/2013,
pagg.15
43 La verifica del limite quantitativo deve essere effettuata considerando anche l’imposta
sul valore aggiunto oggetto di rivalsa nei confronti del debitore, mentre non assumono
rilevanza gli interessi di mora e gli oneri accessori addebitati al debitore in caso di
inadempimento, poiché fiscalmente deducibili in maniera autonoma rispetto al valore del
credito.”64
In merito all’individuazione del valore nominale “nel caso in cui l’azienda subentri nella
titolarità del credito e il credito sia stato riscosso parzialmente dall’impresa creditrice, la
verifica della modesta entità deve essere condotta assumendo il valore nominale del credito al
netto degli importi incassati.”65
L’Agenzia ha voluto fornire ulteriori delucidazioni in materia di determinazione del
valore nominale dei crediti, nello specifico caso in cui l’azienda vanta più crediti in capo allo
stesso debitore; “l’Agenzia ha distinto il caso in cui ciò deriva da rapporti giuridici autonomi,
da quello in cui il rapporto giuridico tra le parti è unitario. Nella prima ipotesi, la sussistenza
della modesta entità del credito va verificata prendendo a riferimento il singolo credito
corrispondente a ogni obbligazione attuata dalle controparti.
Diversamente, nei rapporti giuridici unitari occorre considerare il saldo complessivo
dei crediti scaduti da almeno sei mesi al termine del periodo d’imposta, riconducibile allo
stesso debitore e al medesimo rapporto contrattuale. Per le società industriali, la deduzione
della perdita è consentita solo per la parte eccedente le svalutazioni già dedotte, ai sensi
dell’art. 106, comma 2, del T.U.I.R..”66
Oltre al rispetto del limite quantitativo e della scadenza del credito da almeno sei mesi,
l’Amministrazione Finanziaria ha previsto che le perdite su crediti per essere dedotte è
necessario, che siano state imputate a Conto Economico. Quindi “il termine di sei mesi
richiesto dalla norma in esame per considerare soddisfatti i requisiti di certezza e precisione in
caso di crediti di modesta entità costituisce, il momento a partire dal quale la perdita può
essere fiscalmente dedotta, dal momento che la stessa diviene effettivamente deducibile dal
reddito d’impresa solo nell’esercizio in cui è imputata a conto economico.”67
64
UNGARO, in “Nuove ipotesi di deducibilità automatica delle perdite su crediti”, PRATICA FISCALE e
Professionale, Ungaro S., n. 37/2013, pag.23
65
DEZZANI F., DEZZANI L., in “Deducibilità delle perdite su crediti di modesta entità: 2.500 o 5.000 euro” in
Il fisco n. 32/2013 pagg. 4914
66
MIGNARRI, in “Deducibilità delle perdite su crediti. Alcune annotazioni sulla circ. n. 26/E del 1° agosto
2013 dell’Agenzia delle Entrate”, in Il Fisco, n.35/2013, pagg 5394
67
CROCI, VINCENTI, in “Deducibilità delle perdite su crediti: chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate”,
Bilancio e reddito d’impresa, Vincenti M. Croci S., n.11/2013 pag.22
44 Analizziamo ora il secondo punto che permette la deduzione automatica delle perdite
su crediti, ossia in caso di prescrizione dei crediti.
La prescrizione è un istituto disciplinato dall’art. 2934 del codice civile che decreta, qualora il
titolare non lo eserciti per un determinato periodo di tempo fissato dalla legge, l’estinzione di
ciascun diritto. Il periodo di prescrizione, momento dal quale si estingue il diritto alla
riscossione, non è costante per tutte le varie tipologie di crediti, in via generale il termine è
decennale ma gli artt. 2497 e ss. del codice civile, possono prevedere termini più brevi, come
in caso di risarcimento del danno, canoni di locazione, interessi o pagamenti periodici,
provvigioni di mediazione, ecc. .
Una volta individuato il periodo di prescrizione, la norma richiede l’individuazione del
termine della decorrenza, corrispondente al momento dal quale inizia la decorrenza
riguardante il calcolo della prescrizione; la prescrizione, in base all’art. 2935 del c.c., inizia a
decorrere dal giorno in cui il diritto è sorto, anche se, come accentuato da Zanni, “tale
momento, tuttavia, può anche non trovare riscontro nella contabilità e nella documentazione
fiscale dell’azienda creditrice.”68
In merito alle modifiche apportate dall’introduzione del Decreto crescita e sviluppo, è
pensiero condiviso, che la norma in materia di deduzione delle perdite su crediti, il cui diritto
è prescritto, non aggiunge nulla rispetto a quanto fissato in precedenza e non è quindi
caratterizzata dalla presenza di elementi nuovi, ma come rilevato anche da Mastroberti69,
piuttosto che Mignarri70, ha natura interpretativa e va quindi a convalidare l’atteggiamento
adottato dalle imprese, le quali tendevano a rinviare la deduzione delle perdite su crediti, al
momento della prescrizione, come stabilito dalle norme di legge.
La nuova formulazione della norma in merito alle perdite su crediti prevede che gli
elementi certi e precisi richiesti dal comma 5, sussistano anche in materia di prescrizione dei
crediti, decorso il termine di prescrizione e a prescindere dall’importo dello stesso, sia esso di
68
ZANNI, in “La nuova disciplina fiscale delle perdite su crediti” in Il Fisco, n.40/2012 pagg. 6405
come evidenziato da MASTROBERTI: “La norma in materia di deduzione delle perdite su crediti il cui diritto
è prescritto non ha carattere innovativo, poiché nulla aggiunge rispetto a quanto poteva già desumersi dal
quadro normativo previgente, ma è di taglio interpretativo; tende cioè a convalidare la legittimità della
condotta di quelle imprese che, avendo esaurito le iniziative di recupero del credito e non avendo a suo
tempo dedotto le perdite nell’incertezza in merito alla sussistenza degli elementi certi e precisi, erano in
attesa del compimento dei termini di prescrizione.” in “Deduzione della perdita su crediti nel solo anno di
prescrizione” in Pratica Fiscale e Professionale, n. 25/2013, pagg.26.
70
aspetto sottolineato anche da MIGNARRI: “La norma introdotta conferma la prassi seguita dalle imprese che,
data l’indeterminatezza dei requisiti di certezza e precisione richiesti dal comma 5 dell’art. 101 del T.U.I.R.,
erano indotte a rinviare la deduzione delle perdite su crediti al momento della prescrizione del relativo diritto
in ottemperanza alle disposizioni di legge.” In “La deducibilità delle perdite su crediti secondo il Decreto
Sviluppo” in Il Fisco, n.48/2012, pagg. 7665.
69
45 modesta entità o meno. Ecco che trascorsi i termini previsti dalla legge per la prescrizione,
non sono necessarie altre dimostrazioni e anche in tal caso la deducibilità della perdita può
operare in modo automatico.
“Nonostante non sia stato precisato dall’Amministrazione Finanziaria nel documento di
prassi in esame, 71 si ritiene che anche nel caso in cui sia integrato il requisito della
prescrizione del credito, la relativa perdita su crediti possa essere dedotta solo se vi è stata la
previa imputazione a conto economico del componente negativo di reddito, sia essa avvenuta
nel periodo d’imposta in cui il diritto alla riscossione del credito si è prescritto o in periodi
d’imposta antecedenti.”72
Infine, è importante considerare oltre alla presenza di eventuali interruzioni della
prescrizione durante il periodo, come dettato dall’art.2943 c.c., anche la rilevanza delle
prescrizioni presuntive di cui all’art. 2954 e ss. del c.c.; l’Amministrazione finanziaria, ha
stabilito che la disposizione sui crediti prescritti, come quella per i crediti di modesta entità,
va applicata dal 2012, sottolineando come “già in passato, tuttavia la prescrizione del credito
costituiva un elemento certo e preciso a cui far conseguire la deduzione della perdita”.
Quindi, in altre parole, si può desumere che a proposito di perdite su crediti, la cui
prescrizione è avvenuta in esercizi precedenti rispetto al 2012 e imputate a conte economico
sempre in esercizi precedenti tale periodo, non potranno essere dedotte dal reddito d’impresa
del 2012.
Un altro punto che richiede la presenza di elementi certi e precisi per procedere con la
deducibilità delle perdite su crediti è quello riguardante i soggetti Ias adopter, ovvero coloro
che redigono il bilancio d’esercizio in base ai principi contabili internazionali IAS-IFRS,
come previsto dal Regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio
del 19 luglio 2002.
La norma limitatamente ai soggetti Ias prevede che gli elementi di certezza e
precisione, che permettono l’automatica deducibilità delle perdite su crediti, si concretano in
caso di cancellazione dei crediti dal bilancio eseguita in dipendenza di elementi estintivi,
ovvero nei casi previsti per i soggetti non Ias adopter.
71
Ci si riferisce alla circolare n. 26/E dell’Agenzia delle entrate che ha per oggetto: “Perdite su crediti – Articolo
101, comma 5 del TUIR modificato dall’articolo 33, comma 5, del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.”
72
CROCI, VINCENTI in “Deducibilità delle perdite su crediti: chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate” in
Bilancio e reddito d’impresa, n. 11/2013, pagg. 24.
46 La modifica introdotta dalla nuova formulazione dell’art. 101, comma 5 T.U.I.R è che i
requisiti di certezza e precisione sussistono in ciascuna delle ipotesi in cui può essere
compiuta la derecognition73 di un credito perciò, come stabilito dallo IAS 39, un’attività
finanziaria, può essere cancellata se i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dalla
stessa scadono o i diritti contrattuali a ricevere flussi di cassa sono trasferiti a terzi o, infine,
pur mantenendo i diritti contrattuali a ricevere i flussi relativi ad un’attività finanziaria,
l’impresa assume un’obbligazione contrattuale a trasferirli a terzi. Ovviamente questa
possibilità è preclusa a chi redige il bilancio d’esercizio in base alla normativa civile e ai
principi contabili nazionali.
Queste modifiche apportate al comma 5 in tema di cancellazione dei crediti dal
bilancio Ias/Ifrs in dipendenza di eventi estintivi, non dev’essere vista come un aspetto
innovativo ma altresì, come affermato da Dezzani F. e Dezzani L., “la norma è interpretativa
del principio della derecognition, che è già stato recepito nel nostro ordinamento fiscale,
come precisa la relazione governativa al D. M. 1° aprile 2009, n. 48. Anzi, gli elementi che
qualificano la derecognition – cioè il trasferimento dei rischi e dei benefici dal cedente al
cessionario – sono gli stessi elementi certi e precisi che consentono la deduzione delle perdite
su crediti. Il comma 5 dell’art. 101 non contiene niente di più rispetto al principio della
derecognition contenuto nello Ias 39, ma dice la stessa cosa della regola contabile codificata
nel principio contabile internazionale.
73
In proposito Dolce: “con riguardo alla cancellazione (derecognition) di un’attività finanziaria, la stessa può
dipendere :
- da estinzione dei relativi diritti contrattuali (intesa come scadenza dei medesimi);
-
da trasferimento dei diritti all’incasso dei flussi derivanti dall’attività finanziaria; in tal caso il cedente deve
verificare in che misura ha trasferito i rischi e i benefici connessi alla proprietà dell’attività finanziaria.
Possono presentarsi tre ipotesi:
• il cedente ha sostanzialmente trasferito tutti i rischi e i benefici connessi all’attività finanziaria : in tal
caso l’attività finanziaria deve essere eliminata;
• il cedente ha sostanzialmente mantenuto tutti i rischi e i benefici connessi all’attività finanziaria: in tal
caso l’attività finanziaria va mantenuta;
• il cedente non ha trasferito né mantenuto sostanzialmente tutti i rischi ed i benefici connessi all’attività
finanziaria: in tal caso deve determinare se ha mantenuto il controllo dell’attività, laddove in caso
positivo deve rilevare l’attività nei limiti del coinvolgimento residuo (“continuing involvement”) mentre
in caso negativo (perdita del controllo) deve eliminare interamente l’attività.
- dall’esistenza di obblighi a (ri)servare i citati flussi ad altra/altre società , a particolari condizioni.”
DOLCE, in “Soggetti Ias adopter e perdite su crediti: cancellazione dipendente da eventi estintivi (art. 33,
comma 5, del D.L. n. 83/2012)” in Il Fisco, Dolce R., 12/2013, pag.1752
47 Si può anche dire che la regola contabile della derecognition era già implicitamente contenuta
nell’art. 101, comma 5, del T.U.I.R., per cui l’attuale esplicitazione è solamente la
divulgazione di un caso già previsto dalla stessa norma.”74
Pensiero condiviso successivamente anche da Marini e Muratori, i quali hanno affermato che
“la norma, così come modificata dal Decreto crescita, implementa quanto in parte già previsto
dall’Amministrazione finanziaria che, in un suo precedente intervento (C.M. n. 7/E del 2011),
aveva riconosciuto la legittimità della deduzione della perdita per i soggetti Ias adopter al
momento della derecognition in forza del c.d. principio della «derivazione rafforzata», che
permette ai crediti di qualificazione, imputazione temporale, e classificazione in bilancio
previsti dai principi contabili internazionali di assumere automatica rilevanza ai fini fiscali
nella determinazione del reddito d’impresa (anche se in contrasto con le disposizioni del
T.U.I.R.).”75
Rimangono ora da analizzare le modifiche apportate al comma 5, in tema di perdite su
crediti deducibili in ogni caso, ossia se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha
concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Il più volte menzionato comma 5 dell’art. 101 T.U.I.R., prevede che le perdite su
crediti sono sempre deducibili in caso di assoggettamento a procedure concorsuali da parte
del debitore ovvero abbia concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato; in tal
caso, gli elementi di certezza e precisione non è necessario vengano dimostrati dal creditore.
Quindi “nei casi in cui il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali, gli «elementi certi
e precisi» posti dalla legge quali requisito indefettibile per la deducibilità del costo si
considerano sussistere ex lege. Fa eccezione a questo principio la procedura di
amministrazione controllata. Infatti, qualora il debitore avesse ottenuto l’ammissione a questa
procedura, ciò non autorizza automaticamente la deduzione della perdita in capo al
creditore.”76
Il legislatore ha deciso di compiere tale scelta poiché data la fondatezza di un
dichiarato stato di crisi, l’insolvenza del debitore è considerata un fatto certo in quanto
74
DEZZANI F., DEZZANI L., in “Perdite su crediti: la cancellazione dei crediti dal bilancio Ias/Ifrs in
dipendenza di eventi estintivi” in Il fisco, n. 36/2012, pagg. 5764
75
MARINI, MURATORI, in “Novità in materia di deducibilità delle perdite su crediti” in Amministrazione &
Finanza, n. 3/2013, pagg.40
76
GIORDANO, in “Perdite su crediti: deducibilità in caso di procedure concorsuali” in Amministrazione &
Finanza, n. 11/2013, pagg. 19
48 l’analisi non è stata svolta dal creditore, ma riconosciuta da parte di un soggetto terzo
indipendente.
Le procedure concorsuali, ossia quei procedimenti a carattere giudiziario che vengono
adottati allo scopo di tutelare i creditori, disciplinate dalla legge italiana sono:
-
il concordato preventivo,
-
la liquidazione coatta amministrativa,
-
l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi,
-
il fallimento.
In linea generale, le modifiche apportate al comma 5, riguardano principalmente
l’introduzione dell’ipotesi di accordi di ristrutturazione del debito di cui all’art.182-bis del
R.D. n. 267/1942, ai quali è permessa la deducibilità immediata delle perdite; continuano
comunque a rimanere esclusi i piani attestati di risanamento della legge fallimentare.
Secondo Zanni, “la scelta del legislatore di non estendere ai piani attestati di risanamento
l’automatismo di deducibilità delle perdite su crediti potrebbe essere stata determinata dalla
circostanza che, a differenza di quanto accade negli accordi di ristrutturazione del debito, nei
piani attestati manca del tutto una fase giudiziale che accerti lo stato di crisi dell’imprenditore
e la inevitabilità delle riduzioni dei debiti, cui corrispondono specularmente perdite di eguale
ammontare in capo ai soggetti creditori.”77
La seconda parte del comma 5 dell’art. 101 precisa che “il debitore è assoggettato a
procedura concorsuale alla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del
provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione
alla procedura di concordato preventivo o del decreto di omologazione dell’accordo di
ristrutturazione o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle
grandi imprese in crisi.”78 ; anche in questi casi, previa imputazione a conto economico del
componente negativo.
Il “comma 5, non prevede regole particolari con riferimento alla quantificazione della perdita
deducibile, sicché risulta applicabile il principio generale della derivazione dal bilancio: ciò
vuol dire che, in presenza di una delle procedure concorsuali anzidette, sarà deducibile una
perdita su crediti di ammontare pari a quanto è stato imputato a conto economico.”79
77
ZANNI, in “La nuova disciplina fiscale delle perdite su crediti” in Il Fisco, n. 40/2012, pagg. 6406
MAZZA, PARISI, in “Perdite su crediti e procedure concorsuali” in Pratica Fiscale e Professionale, n.
41/2013, pagg. 38.
79
CROCI, VINCENTI, in “Deducibilità delle perdite su crediti: chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate” in
Bilancio e reddito d’impresa, n. 11/2013, pagg. 25.
78
49 L’ultimo aspetto, relativo alle perdite su crediti deducibili in ogni caso è quello
derivante da accordi di ristrutturazione. L’accordo di ristrutturazione dei debiti avviene tra la
società e i creditori, i quali rinunciano a parte dei loro crediti per consentire ai debitori di
realizzare il loro attivo e pagare i debiti rimanenti dopo la parziale rinuncia dei creditori.
Le perdite derivanti da tale tipologia di accordi sono pari alla differenza tra il valore nominale
e quanto incassato a seguito dell’accordo conclusosi tra le parti; la deducibilità può avvenire
dalla data del decreto di omologazione del Tribunale.
L'identificazione dell’anno nel quale si può procedere con la deduzione della perdita su
crediti, deve avvenire in base alle regole di competenza previste per la deduzione dei
componenti negativi.
“L’Agenzia delle entrate ha anche chiarito che nel caso in cui in un esercizio successivo
emergano nuovi elementi tali da attestare che la perdita su crediti è maggiore di quella
inizialmente rilevata e dedotta, anche l’ulteriore perdita purché rilevata in bilancio e corredata
da idonea documentazione assume rilievo fiscale.”80
80
MIGNARRI, in “Deducibilità delle perdite su crediti. Alcune annotazioni sulla circ. n. 26/E del 1° agosto
2013 dell’Agenzia delle Entrate”, in il fisco, n. 35/2013, pagg. 5393
50 - CAPITOLO TERZO -
RICLASSIFICAZIONE DEI CREDITI SECONDO LA
NORMATIVA CIVILISTICA, I PRINCIPI CONTABILI
NAZIONALI ED INTERNAZIONALI E LA DOTTRINA
3.1
L’ANALISI DI BILANCIO
Il bilancio, come già pronunciato nei precedenti capitoli, ha lo scopo di determinare il
risultato economico e la situazione patrimoniale dell’impresa a fine esercizio, ovvero di
fornire una serie di informazioni ai vari stakeholder interessati all’azienda relativamente allo
stato in cui versa ma, non trasmette informazioni sulla situazione reddituale, patrimoniale,
finanziaria e monetaria.
Il bilancio così redatto, in base alle regole fornite dalla normativa civilistica, piuttosto che dai
principi contabili nazionali e internazionali propone una serie abbastanza contenuta e limitata
di informazioni e per individuare alcune particolari tipologie di dati, può risultare utile
rielaborare e analizzare quelli di cui si dispone81.
Ecco che, per risolvere questi problemi sopra citati, si può intervenire con l’analisi di bilancio,
di cui vediamo ora nel dettaglio qualche definizione.
Secondo Facchinetti, “l’analisi di bilancio può essere definita come un complesso
ragionamento, basato su uno o più bilanci, volto all’interpretazione dei dati ricavati da tali
bilanci e teso a studiare particolari aspetti della gestione al fine di giungere all’espressione di
un giudizio sull’azienda o su particolari aspetti della stessa.
Si tratta di una tecnica di tipo quantitativo.
In sintesi, le analisi di bilancio sono una tecnica di confronto di dati normalmente tratti da più
bilanci d’esercizio e comparati nel tempo (con riferimento alla stessa impresa) e/o nello
81
Pensiero condiviso con TEODORI, il quale in merito al bilancio ha affermato che “per meglio identificare il
potenziale informativo contenuto e formulare articolati e completi giudizi sul profilo economico indagato, è
necessario sottoporre il bilancio ad elaborazione, utilizzando alcune tecniche riconducibili alla generica
denominazione di analisi di bilancio” in “L’analisi di bilancio” di Teodori C., Torino, 2008, pag. 4
51 spazio (con riferimento a imprese diverse) al fine di potere, entro certi limiti, studiare aspetti
della gestione aziendale complementari a quelli espressi dalla misura del reddito di esercizio e
del connesso capitale di funzionamento.” 82
Teodori, invece, ritiene che “compiere analisi di bilancio significa applicare un metodo di
ricerca in cui l’oggetto di indagine è scomposto ed esaminato nelle sue parti elementari,
significative per il raggiungimento di definiti obiettivi conoscitivi.”83
L’analisi di bilancio può quindi essere vista come uno strumento attraverso il quale
analizzare i dati per conoscere e valutare la realtà di una determinata azienda ma, in seguito
all’analisi e alla rielaborazione, anche per evidenziare alcuni particolari aspetti della gestione
e poter poi trarre delle conclusioni e prendere decisioni sulla base delle valutazioni e dei
risultati ottenuti; quindi come sostenuto da Gigli e Tieghi, “la comprensione delle dinamiche
gestionali sottostanti ai valori riportati nei bilanci di esercizio è agevolata dall’utilizzo di
opportune rielaborazioni – comunemente indicate con l’espressione «analisi di bilancio» che sono da tempo utilizzate nella prassi per approfondire le conoscenze connesse con gli
andamenti economico-finanziari e con le modificazioni della struttura del capitale di
funzionamento dell’impresa.
In particolare, tali analisi sono finalizzate a investigare come l’impresa si sia rapportata e si
stia rapportando al rispetto delle condizioni di equilibrio dinamico che la connotano.”84
Come già ampiamente detto in precedenza, data la funzione informativa ricoperta dal
bilancio di esercizio, esso si rivolge ad una pluralità di utenti i quali sono interessati alle
informazioni che possono trasmettere i documenti id bilancio.
“Il bilancio di esercizio soggetto a pubblicazione è finalizzato, oltre a rispettare un
obbligo di legge, a soddisfare il fabbisogno informativo di una molteplicità di interlocutori,
prevalentemente esterni all’azienda. Genericamente essi si identificano con i conferenti di
capitale-risparmio, i manager ed i dipendenti, l’amministrazione finanziaria, i clienti, i
fornitori, i conferenti di capitale di prestito, i concorrenti, gli investitori istituzionali, i
revisori, le agenzie di rating, i ricercatori, gli organi giudiziari, gli utilizzatori “intermedi” od
a fini statistici, la stampa economica: non per tutti questi interlocutori risulta sufficiente il
bilancio di esercizio, che deve essere opportunamente integrato da altre informazioni quali 82
FACCHINETTI, in “Analisi di bilancio” di Facchinetti I., Milano, 2008, pag. 3 e ss.
TEODORI, in “L’analisi di bilancio” di Teodori C., Torino, 2008, pag. 4
84
GIGLI, TIEGHI, in “Gli strumenti per le analisi del bilancio di esercizio” di Gigli S. e Tieghi M., Bologna,
2009, pag. 21 e ss.
83
52 quantitative. Tale molteplicità di soggetti, con caratteristiche ed interessi anche divergenti, è
causa della necessità di adeguamento della metodologia generale di analisi agli scopi
conoscitivi perseguiti.”85
I soggetti coinvolti nell’analisi di bilancio possono essere di due tipi, interni o esterni
all’azienda 86 ; l’analista esterno ha a disposizione esclusivamente i dati inseriti dagli
amministratori durante la redazione del bilancio, nello stato patrimoniale, nel conto
economico, nella nota integrativa ed eventualmente nella relazione sulla gestione o su altre
relazioni o documenti che possono integrare i documenti obbligatori del bilancio ma, com’è
facile intuire, spesso queste informazioni possono risultare insufficienti.
L’altra figura, ovverosia quella dell’analista interno, al contrario, risulta molto più agevolata
in quanto oltre ai documenti a disposizione dell’analista esterno, può godere anche di tutta
una serie di informazioni che permettono di trarre conclusioni, giudizi e valutazioni molto più
attendibili. Come indicato da Facchinetti, infatti, “l’analista interno ha accesso ai dati sulla
struttura organizzativa, ai dati della contabilità analitica, a quelli della programmazione
aziendale (piani a medio-lungo periodo e budget di periodo e sue articolazioni per
85
TEODORI, in “L’analisi di bilancio” di Teodori C., Torino, 2008, pag. 28
In proposito Antonelli e D’Alessio: “In base alla posizione che assume l’analista, si possono quindi
distinguere le analisi interne da quelle esterne. Le analisi interne:
- sono condotte dalla direzione amministrativa o finanziaria (o da un consulente pienamente addentro alle
vicende aziendali);
- trovano fondamento in dati provenienti da numerose fonti quali la contabilità analitica, il budget, il piano,
l’organigramma aziendale, i contratti in corso;
- sono precedute da una interpretazione a scopo revisionale, volta ad accertare l’attendibilità dei valori e a
sterilizzare gli effetti delle politiche di bilancio;
- sono condotte in forma libera;
86
- hanno prevalentemente scopi di autodiagnosi o di pianificazione finanziaria;
- sono destinate al vertice aziendale.
Le analisi esterne:
- sono condotte da un professionista esterno oda uno stakeholder dell’azienda esaminata (banca, fornitori,
clienti, ecc.)
- trovano il loro unico supporto informativo nei bilanci, negli altri documenti destinati a pubblicazione e nelle
notizie provenienti da fonti diverse circa l’azienda, il settore di appartenenza, le società controllate e collegate
e così via;
- devono fare affidamento sui dati ufficiali;
- sono condotte secondo schemi semi-rigidi;
- hanno prevalentemente scopi di valutazione dei profili di affidabilità, di rischio, di continuità operativa
dell’azienda esaminata,
- sono destinati a un soggetto esterno all’azienda.”
ANTONELLI, D’ALESSIO, in “Analisi di bilancio”, Antonelli V., D’Alessio R., Santarcangelo di Romagna
(RN), 2012, pag. 68
53 sottoperiodi). Inoltre l’analista interno può conoscere altre informazioni particolarmente utili
per certe indagini, quali il portafoglio ordini dell’azienda, e, soprattutto, i dati sulla dinamica
delle operazioni aziendali (dinamica delle vendite e degli acquisti, dinamica degli incassi e dei
pagamenti, dati sulle insolvenze ecc.).
Gli analisti interni sono di norma i funzionari dell’azienda.
Si considerano analisti interni anche coloro che, pur estranei all’azienda, hanno accesso alle
stesse informazioni fuori bilancio che sono disponibili per gli analisti interni. Si tratta di
consulenti, di banche o di fornitori che hanno la capacità contrattuale di imporre la messa a
disposizione di tutti i dati necessari per l’analisi e dell’amministrazione fiscale che può
accedervi in via coattiva.”87
Normalmente, gli analisti tendono a fare queste analisi per catturare una serie di
informazioni utili in futuro, per cercare di prevedere quali e come potranno essere gli
andamenti dei prossimi mesi, fare delle previsioni, prendere decisioni e fare anche delle
programmazioni, ma, all’opposto, può essere utilizzato anche per analisi storiche con le quali
si cerca di individuare quali possono essere state le cause che hanno determinato il realizzarsi
di certi eventi o per quale motivo si è manifestato un determinato fenomeno piuttosto che un
altro. È opportuno però tenere conto che essendo dati consuntivi e di conseguenza storici
possono, come vedremo in seguito, rappresentare un limite.
Le analisi, possono avere obiettivi diversi e andare a indagare aspetti differenti della
gestione, ma comunque tra loro collegati; ecco che possiamo avere analisi reddituali, piuttosto
che patrimoniali, ovvero finanziarie.
“Gli strumenti attraverso i quali si esplica l’analisi dei bilanci delle aziende sono
conseguentemente volti a indagare le condizioni che caratterizzano la gestione in relazione:
-
alla dimensione economico-reddituale, al fine di verificare la capacità/incapacità
dell’impresa di saper operare nel rispetto di adeguate e durevoli condizioni di
equilibrio economico;
-
alla dimensione finanziario-monetaria, al fine di verificare quale sia l’attitudine
dell’impresa di saper operare in costanti e convenienti condizioni di solvibilità;
87
FACCHINETTI, in “Analisi di bilancio” di Facchinetti I., Milano, 2008, pag. 6 e ss.
54 -
alla dimensione patrimoniale, al fine di verificare gli equilibri/squilibri indotti nel
tempo dalle dinamiche finanziario-monetaria ed economica sulla struttura dei
finanziamenti e degli investimenti aziendali.”88
“I tre aspetti della realtà aziendale sono concatenati e non del tutto scindibili, e,
pertanto, anche i tre tipi di analisi sono non sempre facilmente distinguibili.
Gestione economica, gestione patrimoniale e gestione finanziaria sono tre aspetti
inscindibili dell’unica realtà d’impresa, nella quale le disponibilità finanziarie che provengono
dalle fonti di finanziamento sono investite in attività patrimoniali (capitale fisso e capitale
circolante) necessarie per sviluppare il processo produttivo e distributivo dei prodotti al fine
di pervenire, attraverso la contrapposizione dei ricavi e dei costi, al conseguimento del
profitto.
Difficoltà di ordine finanziario riducono la possibilità di effettuare investimenti e quindi le
stesse prospettive reddituali dell’azienda. Difficoltà di ordine economico possono portare a
difficoltà di ordine finanziario e ad alterare gli equilibri patrimoniali. Una buona redditività
consente una politica di sviluppo senza alterare la situazione finanziaria.”89
Gli strumenti a disposizione degli analisti per svolgere queste attività, sono
essenzialmente di tre tipi:
-
la riclassificazione dello stato patrimoniale e del conto economico;
-
gli indici di bilancio;
-
i flussi monetari e finanziari.
• “La riclassificazione dei documenti contabili di sintesi presenta una doppia valenza, in
quanto:
- da un lato, essa consente un’immediata lettura e comprensione di informazioni
economiche e patrimoniali, normalmente desumibili con la stessa immediatezza dai
documenti ufficiali;
- dall’altro costituisce un adempimento necessario per la costruzione degli indici (o
quozienti) di bilancio;
•
la predisposizione e l’interpretazione degli indici, soprattutto se condotta attraverso serie
storiche, offre:
88
GIGLI, TIEGHI, in “Gli strumenti per le analisi del bilancio di esercizio” di Gigli S. e Tieghi M., Bologna,
2009, pag. 21 e ss.
89
FACCHINETTI, in “Analisi di bilancio” di Facchinetti I., Milano, 2008, pag. 5
55 - precisi elementi per la comprensione della dinamica economico-reddituale e
dell’evoluzione della struttura patrimoniale;
- alcuni elementi utili per l’esame della dinamica finanziaria;
•
l’analisi dei flussi finanziari e la predisposizione e interpretazione dei correlativi
rendiconti consente il formarsi di un giudizio circa:
- le modalità aziendali di reperimento e di impiego delle risorse finanziarie;
- la capacità di saper correttamente fronteggiare il vincolo di solvibilità.”90
Ogni tecnica di analisi, fornisce specifiche informazioni che è utile considerare
congiuntamente, integrandole tra loro per ottenere una visione d’insieme e poter costruire un
giudizio complessivo sullo stato economico, finanziario e patrimoniale in cui versa l’impresa.
Individuati gli strumenti da adottare per poter svolgere l’analisi di bilancio, vediamo
ora quali sono i passaggi da effettuare grazie all’uso di questi mezzi; la prima cosa da fare, per
procedere con l’analisi riguarda la lettura dei documenti di bilancio, fase molto importante
che non deve essere sottovalutata. “L’analisi di un qualsiasi bilancio non può e non deve
essere considerata una meccanica applicazione di strumenti attraverso i quali arrivare alla
costruzione di indici. Molte delle informazioni utili per realizzare un completo esame si
ottengono attraverso la preliminare lettura di tutti i documenti che lo compongono e, in
particolare, della nota integrativa e della relazione sulla gestione. La lettura rappresenta,
quindi, un momento insostituibile e la necessaria premessa alla concreta analisi.”91
Facchinetti ha individuato quattro step che devono essere rispettati per realizzare una
corretta analisi di bilancio.
La prima fase, da lui definita di analisi formale, consiste nel valutare l’attendibilità dei
valori rappresentati nel bilancio nel rispetto delle norme di legge e dei principi contabili. Se
tutto ciò risulta corretto e idoneo, allora è possibile procedere con la fase successiva che
consiste nella riclassificazione di bilancio nella quale i valori esposti nello stato patrimoniale
e nel conto economico vengono riorganizzati in base alle esigenze degli analisti, allo scopo di
individuare le informazioni che stanno cercando.
90
GIGLI, TIEGHI, in “Gli strumenti per le analisi del bilancio di esercizio” di Gigli S. e Tieghi M., Bologna,
2009, pag. 29
91
TEODORI, in “L’analisi di bilancio” di Teodori C., Torino, 2008, pag. 9
56 Una volta completata la riclassificazione, la fase successiva consiste nella scelta delle
tecniche di analisi da adottare, ovverosia quella per margini, piuttosto che quella per indici o
infine quella per flussi.
La quarta e ultima fase, consiste infine nella formulazione di un giudizio sullo stato
dell’azienda, attraverso l’uso dei risultati appena ottenuti.92
Com’è facile notare, la prima fase individuata da Facchinetti, è paragonabile a quella sopra
citata di Teodori concernente la lettura del bilancio.
Dopo aver completato questo processo di analisi con il quale si ottengono importanti e
numerose informazioni, i risultati ottenuti, se considerati in termini assoluti, non forniscono
una visione esaustiva. Tale obiettivo è raggiungibile confrontando i dati conseguiti con quelli
di esercizi precedenti, mettendoli quindi in relazione con la dimensione temporale, ovvero
attraverso la dimensione spaziale, relazionando le informazioni con quelle di aziende
analoghe o con valori medi di aziende appartenenti allo stesso settore.93
“È ben chiaro che studiare un sistema dinamico, complesso e aperto, che deve
ricercare e mantenere attraverso una costante interazione dinamica le proprie condizioni di
equilibrio nel tempo – quale è un’impresa – attraverso elaborazioni che abbiano per oggetto
un unico bilancio di esercizio non può certo dirsi soddisfacente, anche se si fosse certi della
buona qualità dei dati in esso esposti.
Emerge quindi sul piano logico l’esigenza di operare dei confronti. … Nell’ambito delle
comparazioni nel tempo (o temporali), oggetto di analisi è un’unica azienda i cui andamenti
gestionali vengono investigati attraverso l’esame dei suoi bilanci di esercizio riferiti a un arco
di tempo ritenuto significativo.
In sostanza i dati emergenti dall’analisi dei bilanci dell’azienda sono composti in serie
storiche e studiati in chiave evolutiva, in modo da esaminare e comprendere le ragioni che
hanno prodotto tali andamenti e – laddove possibile – da cercare di cogliere indicazioni utili a
formulare ipotesi circostanziate circa le più probabili tendenze future.
Considerando l’elevato grado di discrezionalità tecnica implicito nei processi di assestamento
del bilancio e nella conseguente quantificazione soggettiva di numerosi e importanti valori, è
92
93
Aspetto affrontato da FACCHINETTI, in “Analisi di bilancio” di Facchinetti I., Milano, 2008, pagg. 14 e 15
In merito, FAZZINI sostiene che: “L’analisi di bilancio è in grado di assicurare una serie di informazioni
articolate e fra loro complementari sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di un’impresa. I
risultati elaborati possono fornire un quadro sufficientemente chiaro delle condizioni operative, ma, se presi
in termini assoluti, essi non permettono una panoramica completa se non sono posti in relazione con
almeno due dimensioni: quella temporale e quella spaziale.”, in “Analisi di bilancio Metodi e strumenti per
l’interpretazione delle dinamiche aziendali”, 2009, pag.25
57 importante che l’arco di tempo rispetto al quale si effettua l’«osservazione» dei bilanci sia
sufficientemente ampio. … L’altra tipologia di comparazione, quella infra-aziendale (o
spaziale), postula un confronto fra i dati di bilancio di più aziende rispetto a un medesimo
periodo amministrativo.
Questo tipo di analisi, per quanto seducente, sconta tuttavia forti limiti, stante non solo la
diversa «qualità» dei bilanci oggetto di analisi, ma anche l’oggettiva possibilità che medesimi
fatti gestionali siano stati riflessi in bilancio utilizzando criteri di valutazione e/o di
rappresentazione differenti.”94
Mentre la dimensione temporale richiede un periodo di tempo piuttosto ampio nel
quale effettuare le proprie analisi, la dimensione spaziale è molto sensibile al campione di
aziende individuato, aspetto che gli analisti devono valutare molto attentamente prima di
poterlo utilizzare; problema molto meno rilevante qualora si tratti di un gruppo di imprese le
quali sono tutte tenute ad adottare le stesse regole di redazione di bilancio riducendo
sensibilmente la possibilità di adottare un’alternativa piuttosto che un’altra.95
È praticamente impossibile individuare un modello universale da poter poi applicare a
tutte le realtà aziendali, in quanto quello costituito per un’impresa manifatturiera, quasi
sicuramente non sarà direttamente applicabile ad una banca o a un’azienda assicuratrice, in
quanto hanno strutture diverse, svolgono funzioni differenti.
Per questo è possibile creare uno schema generico che sarà poi modificato e adattato a quella
precisa tipologia di impresa, perché può anche capitare che l’analista non disponga di certi
dati ed informazioni e quindi non può di conseguenza utilizzare determinati strumenti e
formulare specifici giudizi.
94
GIGLI, TIEGHI, in “Gli strumenti per le analisi del bilancio di esercizio” di Gigli S. e Tieghi M., Bologna,
2009, pagg. 25 e ss.
95
L’importanza della dimensione spaziale e temporale, era già stata sollevata da Facchinetti nella definizione
che ha dato di analisi di bilancio nella sua opera FACCHINETTI, in “Analisi di bilancio” d“Analisi di
bilancio Metodi e strumenti per l’interpretazione delle dinamiche aziendali”, 2009, pag.38 e 39i Facchinetti
I., Milano, 2008, pag. 5
58 3.2
LA RICLASSIFICAZIONE DEI DOCUMENTI DI BILANCIO: STATO
PATRIMONIALE E CONTO ECONOMICO
Per procedere con l’analisi di bilancio, come visto nel paragrafo precedente, ci sono
delle fasi da rispettare. Qui ci occuperemo della seconda fase, quella della riclassificazione di
bilancio con la quale si può procedere, solo dopo aver accuratamente letto e analizzato i
documenti di cui si dispone per valutarne la veridicità e il rispetto delle norme secondo le
quali devono essere redatti.
“La riclassificazione si applica allo stato patrimoniale e al conto economico
dell’azienda oggetto di indagine. Essa consiste nell’esporre secondo una data struttura i valori
contenuti nelle due tavole di sintesi. L’ipotesi su cui si fonda detta tecnica è che esistano
schemi in cui far confluire valori di bilancio più adatti di quelli legali a mostrare il sistema
degli equilibri patrimoniali, finanziari, monetari e reddituali dell’azienda indagata.”96
Teodori, in merito alla riclassificazione ha precisato che “consiste nell’attribuzione di un
diverso e specifico ordine di inserimento degli elementi in un documento in modo da ottenere
informazioni atte a meglio soddisfare gli obiettivi di analisi.”97
Se vista come fase indispensabile che precede poi la successiva analisi attraverso gli
indici allora, quest’ultima “richiede una fase preliminare di preparazione dei dati contenuti nei
prospetti di conto economico e stato patrimoniale, necessaria al fine di individuare particolari
aggregati in grado di fornire sintomi e indizi in merito alle politiche gestionali in essere
dell’impresa esaminata.
La determinazione di tali quantità di sintesi avviene per mezzo di un processo di
riclassificazione dei valori di bilancio, attuato secondo criteri idonei a favorire l’analisi
economico-finanziaria del sistema di operazioni che compone la gestione aziendale, la quale
viene indagata astraendo dalla sua unitarietà rispetto al tempo e rispetto allo spazio.”98
Quindi la riclassificazione di bilancio è uno strumento che può essere molto
importante, se ben gestito dagli analisti, il quale può fornire numerose informazioni relative
96
CAMERAN M., in “Bilancio Valutazioni, lettura, analisi” (a cura di) Provasoli A., Viganò A., Milano, 2007,
pag. 371
97
TEODORI, in “ L’analisi di bilancio” Teodori C., Torino, 2008, pag. 39
98
CERIANI, in “Analisi di bilancio: Metodologie e casi di studio”, Ceriani G., Frazza B., Padova, 2007, pag. 1
59 allo stato in cui versa l’azienda e si ottiene riorganizzando le varie voci che compongono il
bilancio a seconda delle esigenze e delle intenzioni di chi la effettua.
Da tenere presente che, come precisato da Facchinetti, “la riclassificazione dei valori
di bilancio non modifica, i due risultati di sintesi del bilancio di esercizio, ma tende a
riesporre i valori in modo più utile per le successive rielaborazioni.
Le voci di bilancio, al fine di aumentare le informazioni ritraibili dal bilancio stesso,
vanno riesposte in raggruppamenti sintetici omogenei rispetto a determinati criteri.”99
Per poter completare questa seconda fase dell’analisi di bilancio, è necessario
procedere con la riclassificazione dello stato patrimoniale e quella del conto economico.
La riclassificazione dello stato patrimoniale, consiste nel riorganizzare e riallocare le
poste dell’attivo e del passivo per ottenere informazioni più precise rispetto a quelle fornite
dal bilancio redatto a fine esercizio.
Sono due le tipologie di riclassificazione di stato patrimoniale più diffuse, il criterio
finanziario e quello funzionale.
“Riclassificare i componenti dello stato patrimoniale in chiave finanziaria significa
evidenziare le caratteristiche di liquidità o di esigibilità di ognuno di essi. Per liquidità si
intende la diversa propensione a generare mezzi di pagamento, per esigibilità la diversa
propensione a richiederne.
Il parametro utilizzato per la valutazione dell’attitudine delle diverse poste patrimoniali a
trasformarsi in cassa e a divenire esigibili è il tempo di smobilizzo che, per convenzione,
corrisponde alla durata del periodo amministrativo annuale.”100
Con il metodo finanziario, le varie poste che compongono l’attivo e il passivo, vengono
riorganizzate a seconda della loro attitudine a trasformarsi in liquidità o a diventare esigibili
entro un certo periodo di tempo, convenzionalmente fissato intorno ai 12 mesi; se si
convertono in liquidità o sono esigibili entro un termine inferiore a tale limite saranno di
breve periodo, viceversa se lo supereranno, saranno di lungo periodo.
“L’utilizzo di questo lasso di tempo convenzionale potrebbe apparire fin troppo
«breve» per alcune tipologie di imprese, come ad esempio quelle impegnate in appalti
99
FACCHINETTI, in “Analisi di bilancio”, Facchinetti I., Milano, 2008, pag. 67
PESCAGLINI A., PESCAGLINI R., in “Ragioneria Generale Contabilità generale, bilancio e analisi di
bilancio” di Pescaglini A., Pescaglini R., Napoli, 2008, pag. 404
100
60 pluriennali (cantieristica navale, edilizia, ecc.). La dimensione temporale, tuttavia, non è
scandita sulla base dei mesi o degli anni richiesti per realizzare un output, ma in funzione
delle scadenze previste per il pagamento dei fornitori.”101
La riclassificazione dello schema patrimoniale secondo il criterio finanziario, consiste
quindi nel suddividere gli impieghi e le fonti in gruppi a seconda che essi siano correnti o non
correnti.
Gli impieghi, vengono suddivisi in due categorie troveremo le attività correnti nella quale
rientrano le disponibilità immediate e gli investimenti destinati a trasformarsi in liquidità
entro 12 mesi, ovvero le attività non correnti e quindi quelle che diventeranno moneta solo
trascorsi i 12 mesi. Le attività correnti sommate a quelle non correnti, danno il capitale
investito dall’azienda.
Le fonti, sempre con riferimento ai 12 mesi come arco temporale, vengono riclassificate
anch’esse in relazione alla durata, individuando così, tre gruppi: il patrimonio netto, le
passività correnti rappresentate da finanziamenti di lungo periodo e le passività non correnti
date dai finanziamenti di breve periodo. Ecco che il patrimonio netto dell’azienda rappresenta
i mezzi propri, mentre le passività correnti e quelle non correnti, i mezzi di terzi.
L’altro criterio, qui preso in considerazione a proposito dello stato patrimoniale, è
quello funzionale.
Con questa metodologia, la riclassificazione delle voci che compongono il bilancio avviene
valutandole e riportandole all’area gestionale alla quale sono riconducibili secondo una logica
di spettanza 102 , con l’intenzione di separare gli elementi appartenenti alla gestione
caratteristica, la gestione tipica dell’impresa, ovverosia quelli che la distinguono dal resto.
Questo criterio tende ad essere utilizzato principalmente da analisti interni in quanto
per l’analista esterno può risultare molto più difficoltoso valutare se una determinata voce può
rientrare o meno nell’ambito della gestione caratteristica.
101
FAZZINI, in “Analisi di bilancio Metodi e strumenti per l’interpretazione delle dinamiche aziendali”, Fazzini
M., 2009, pag.38 e 39
102
come affermato da FAZZINI, “L’analisi dello stato patrimoniale secondo il criterio funzionale si fonda sulla
riclassificazione delle poste contabili, tenendo conto dell’area gestionale a cui esse possono essere ricondotte
in base a una logica di pertinenza.” I“Analisi di bilancio Metodi e strumenti per l’interpretazione delle
dinamiche aziendali”, Fazzini M., 2009, pag.38 e 39n
61 L’altro documento che fa parte del bilancio e richiede di essere riclassificato è il conto
economico.
“La riclassificazione del conto economico per aspetti distinti della gestione, permette di
passare da un’interpretazione “contabile” ad una “gestionale” dei valori. In particolare, la
finalità prioritaria da perseguire è comprendere il contributo offerto alla formazione dell’utile
(o perdita) dell’esercizio dai singoli gruppi omogenei di operazioni svolte durante il periodo
amministrativo…”103.
“La riclassificazione dei valori contenuti nel conto economico richiede interventi meno
marcati rispetto a quelli esaminati per lo stato patrimoniale. Gli schemi solitamente utilizzati
(dal civilistico a quello contenuto nell’OIC, a quello indicato dagli standard IFRS) non si
discostano troppo dai modelli che la dottrina e la prassi economico-aziendale hanno
identificato come maggiormente significativi ai fini dell’analisi di bilancio.
La riclassificazione del conto economico, è essenzialmente tesa a suddividere le aree della
gestione in base alla loro pertinenza gestionale.”104
I due metodi più comuni che andremo ad analizzare sono quelli della riclassificazione
a costo del venduto e quella a valore aggiunto.
La riclassificazione del conto economico a costo del venduto, richiede un insieme di
informazioni aggiuntive rispetto a quelle normalmente offerte dal bilancio e proprio per
questo motivo, dev’essere svolto da un analista interno.
Questo schema riclassificato, mette in relazione i ricavi netti di vendita con il costo
complessivo sostenuto per la produzione venduta; ecco che “il riclassificato a ricavi netti e
costo del venduto evidenzia il contributo che le diverse gestioni hanno dato alla formazione
del risultato dell’esercizio. In tal modo è possibile capire quali sono state le determinanti del
risultato prodotto e formulare un giudizio su quali di dette determinanti sono da ritenersi
permanenti, vale a dire che potranno verificarsi nuovamente in futuro, e quali temporanee.”105
In questo modo, con questa tipologia di riclassificazione, è possibile capire come si è giunti
al risultato operativo caratteristico, dopo aver coperto grazie ai ricavi, tutti i costi che sono
stati necessari per realizzare il prodotto o servizio venduto.
103
TEODORI, in “ L’analisi di bilancio” Teodori C., Torino, 2008, pag. 39
FAZZINI, in “Analisi di bilancio Metodi e strumenti per l’interpretazione delle dinamiche aziendali”, Fazzini
M., 2009, pag.75
105
CAMERAN M., in “Bilancio Valutazioni, lettura, analisi” (a cura di) Provasoli A., Viganò A., Milano,
2007, pag. 380
104
62 “Lo schema in esame consente di vedere immediatamente il «peso» delle diverse funzioni sul
fatturato aziendale, consentendo in tal modo di evidenziare quanta parte dello stesso è
«assorbito» per coprire via via i costi di produzione, di commercializzazione e di
amministrazione dell’impresa.”106
La riclassificazione del conto economico a costo del venduto, come già intuibile da quanto
detto, si attua sottraendo dai ricavi netti di vendita i vari costi sostenuti per la realizzazione
del prodotto venduto, quindi i costi industriali del venduto, quelli commerciali e quelli
amministrativi e si ottiene così il risultato operativo caratteristico.
Come precisato da Teodori, “il costo del venduto (CDV) è l’insieme dei costi operativi netti
sostenuti dall’impresa per il raggiungimento del fatturato. Disponendo delle informazioni
analitiche, il costo del venduto dovrebbe essere scomposto nelle singole funzioni aziendali: ad
esempio costi produttivi, commerciali, generali ed amministrativi, di ricerca e sviluppo.
Qualora ciò non fosse possibile (come nelle analisi esterne), anche il valore complessivo è da
considerarsi espressivo per la fase interpretativa.”107
Infine, l’altra tecnica di riclassificazione del conto economico, l’ultima che viene qui
considerata è quella a valore aggiunto.
La riclassificazione a valore aggiunto, “parte da una classificazione dei costi per natura (es.
materie prime, personale ecc.) ed opera un’ulteriore distinzione tra costi esterni (es. materie
prime e servizi) e costi interni (es. personale).
I principali risultati intermedi che si possono mettere in evidenza sono i seguenti:
-
valore aggiunto
-
Margine operativo lordo o EBITDA;
-
Margine operativo netto;
-
Risultato operativo (EBIT);
-
Risultato corrente
-
Risultato ante imposte;
-
Risultato netto.”108
106
GIGLI, TIEGHI, in “Gli strumenti per le analisi del bilancio di esercizio” di Gigli S. e Tieghi M., Bologna,
2009, pagg. 37 e 38
107
TEODORI, in “ L’analisi di bilancio” Teodori C., Torino, 2008, pag. 43
108
DEVALLE, PISONI, in “Analisi di bilancio: la riclassificazione del Conto economico “a valore aggiunto””,
Devalle A., Pisoni P., Il Fisco, n. 14/2013, pag. 2061
63 L’ammontare del valore aggiunto, è il primo risultato intermedio che si ottiene da questa
tipologia di riclassificazione del conto economico e si consegue sottraendo dai ricavi, i costi
sostenuti dall’impresa dall’esterno, come le materie prime, i servizi.
“Il valore aggiunto mette in evidenza, quindi , il valore che l’impresa, con i propri fattori,
aggiunge a quello delle risorse periodicamente ottenute dall’esterno.”109
Il secondo punto intermedio, che si ottiene è rappresentato dal MOL margine operativo lordo
o EBITDA (earnings before interests, taxes, depreciation and amortization); “è il risultato
economico operativo espresso in termini finanziari e quindi, in sostanza, l’autofinanziamento
della gestione caratteristica.”110
Il MOL viene considerato un dato molto diffuso nell’analisi di bilancio perché innanzitutto
non tiene conto dei costi non monetari, di cui si parlerà successivamente, e “esprime il valore
che l’impresa genera prima delle politiche di bilancio relative agli ammortamenti e alle
svalutazioni. Le valutazioni di bilancio relative alle svalutazioni e agli ammortamenti possono
essere utilizzate dalle imprese per migliorare le loro performance economiche. ... Inoltre il
MOL è molto utilizzato in quanto approssima la capacità dell’impresa di creare risorse
finanziarie attraverso il core business dell’impresa (generalmente denominato cash flow
operativo) proprio perché non è influenzato dai costi non monetari.”111
Dal MOL, vengono poi sottratti tutti i costi non monetari, come nel caso dei beni materiali o
immateriali per i quali si ha un pagamento anticipato, il cui costo grazie al principio di
competenza, viene poi ripartito, attraverso l’ammortamento, tra i vari esercizi fino a completa
obsolescenza del bene ovvero al termine prestabilito, quindi al suo limite. L’ammortamento
ecco che figura come un costo non monetario che sottratto dal MOL, mi determina il MON,
margine operativo netto.112
Possiamo quindi concludere dicendo che, come affermato da Antonelli e D’Alessio, “non
esiste uno schema di riclassificazione del conto economico in assoluto preferibile rispetto a
109
TEODORI, in “ L’analisi di bilancio” Teodori C., Torino, 2008, pag. 60
FACCHINETTI, in “Analisi di bilancio”, Facchinetti I., Milano, 2008, pag. 91
111
DEVALLE, PISONI, in “Analisi di bilancio: la riclassificazione del Conto economico “a valore aggiunto””,
in Il fisco, Devalle A., Pisoni P., n. 14/2013, pag. 2061
112
in proposito FAZZINI: “Il capitale umano rappresenta un costo diell’esercizio avente natura monetaria; ciò
significa che esso comporta, alle scadenze prefissate un esborso di denaro.
Il costo per l’acquisizione di assets immateriali e materiali ha invece una manifestazione finanziaria
anticipata e, in virtù del principio della competenza, partecipa a più cicli nei limiti della sua obsolescenza e/o
scadenza; in altre parole esso è ripartito in più esercizi sotto forma di ammortamento. Si tratta quindi di un
costo che ha natura non monetaria, in quanto esso è stato integralmente corrisposto al momento
dell’acquisto.” in “Analisi di bilancio Metodi e strumenti per l’interpretazione delle dinamiche aziendali”,
Fazzini M., 2009, pag.84
110
64 tutti gli altri, ma si dispone di svariati modelli i quali, più che alternativi, sono tra loro
complementari verso il comune fine della migliore conoscenza dell’andamento economico del
sistema aziendale.”113
3.3
LA RICLASSIFICAZIONE DI BILANCIO SECONDO LA DOTTRINA
La riclassificazione di stato patrimoniale e conto economico, che viene effettuata
durante l’analisi di bilancio, può essere considerata, a parere di chi scrive, un’operazione
“variabile”; abbiamo infatti visto che non è possibile individuare un modello universale
applicabile da qualsiasi tipologia di analista, sia esso interno all’azienda ovvero esterno, a
qualsivoglia realtà aziendale, perché ogni impresa, a seconda delle dimensioni e del settore in
cui opera, presenta le proprie esigenze e caratteristiche.
Anche dal punto di vista dottrinale, non si è giunti a un accordo comune in materia di
riclassificazione perché, anche in questo caso, analizzando opere di autori diversi, possono
emergere differenze sostanziali.
Proviamo ora in questo paragrafo, per non discostarci troppo dal tema centrale della
tesi, a valutare se in merio ai crediti, alle perdite su crediti ovvero alle svalutazioni, emergono
differenze di trattamento tra vari autori. Si tiene a precisare, come affermato anche da
Facchinetti, che “qualsiasi sia lo schema di stato patrimoniale utilizzato dall’azienda le voci
dell’attivo devono essere assunte al netto delle poste di rettifica eventualmente iscritte nel
passivo.”114
Iniziamo con la riclassificazione di tipo finanziario dello stato patrimoniale, questo
schema, come visto nel paragrafo precedente mira a ripartire gli investimenti ed i
finanziamenti, ovverosia l’attivo e il passivo, in base alla loro scadenza, distinguendo quelli di
breve periodo da quelli di medio lungo periodo.
Ricaveremo quindi uno schema di stato patrimoniale riclassificato a cinque zone,
rappresentato qui in modo molto sintetico:
113
ANTONELLI, D’ALESSIO, in “Analisi di bilancio”, Antonelli V., D’Alessio R., Santarcangelo di Romagna
(RN), 2012, pag. 68
114
FACCHINETTI, in “Analisi di bilancio”, Facchinetti I., Milano, 2008, pag. 72
65 ATTIVO
PASSIVO
ATTIVO A BREVE
PASSIVO A BREVE
PASSIVO A
LUNGO
ATTIVO A LUNGO
PATRIMONIO
NETTO
Questo schema è stato facilmente rappresentabile perché tutti gli autori erano concordi
relativamente a questa tipologia di struttura.
Nell’attivo a breve, rientreranno tutte le attività, che si trasformeranno in liquidità
entro i 12 mesi, viceversa nell’attivo a lungo quelle che diventeranno liquidità oltre il limite
convenzionalmente stabilito.
In merito alle passività, esse si distinguono in tre categorie, il passivo a breve che identifica i
finanziamenti che scadranno entro 12 mesi, il passivo a lungo quelli il cui termine supererà i
12 mesi ed infine il patrimonio netto.
Questi macro aggregati che abbiamo individuato grazie a questa tipologia di riclassificazione,
devono essere suddivisi a loro volta in altre categorie che presentano caratteristiche tra loro
omogenee.
In questa ulteriore classificazione, Teodori115, suddivide le attività a breve in:
-
liquidità immediate;
-
liquidità differite, le quali possono essere suddivise in crediti di funzionamento, crediti
finanziari e altri crediti;
-
disponibilità.
Anche Avi,116 compie un’ulteriore classificazione ma più dettagliata rispetto a quella di
Teodori, aggiungendo oltre alle disponibilità l’attivo a breve patrimoniale e gli anticipi a
115
116
TEODORI, in “ L’analisi di bilancio” Teodori C., Torino, 2008, pag. 66 e ss.
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag.31 e ss.
66 fornitori commerciali e in merito alle liquidità differite, anche lei le ripartisce in commerciali
e finanziarie ma come ultima tipologia, invece di mettere semplicemente altri crediti, inserisce
quelle tributarie e quelle caratteristiche.
L’attivo a lungo è suddiviso, sempre dal primo autore, in Immobilizzazioni materiali,
immateriali e finanziarie, il quale si limita a individuare queste tre categorie, senza
suddividerle ulteriormente mentre, anche in questo caso, Avi risulta più accorta nella
classificazione individuando l’attivo a lungo materiale, immateriale, finanziario (il quale lo
distingue a sua volta in credito commerciale, finanziario, tributario e non caratteristico) e
infine attivo a lungo patrimoniale.
Nella sua opera, Avi ha precisato di non aver intenzionalmente definito immobilizzazioni
l’attivo a lungo in quanto hanno significati diversi.117
Ceriani, condivide invece l’impostazione di Teodori, suddividendo anch’esso l’attivo
in attivo immobilizzato nel quale rientrano immobilizzazioni immateriali, materiali e
finanziarie e l’attivo circolante in disponibilità, liquidità differite e liquidità immediate; ha
posto però una condizione, che “siano disposte secondo un ordine crescente di liquidità, ossia
partendo dai valori degli elementi destinati a tramutarsi in mezzi liquidi in epoche più lontane
fino a giungere ai valori che si trovano già in forma liquida presso l’impresa.”118
Passando all’altra sezione del bilancio, il passivo, Teodori lo classifica in liquidità
negative ed esigibilità, mentre mantiene invariate le passività a lungo e il patrimonio netto, a
differenza di Avi, la quale sia le passività a breve che a lungo le suddivide in passivo
finanziario, tributario e non finanziario, mantenendo, anch’essa, tale il patrimonio netto.
Similmente all’attivo, per Ceriani, anche le poste del passivo devono rispettare il vincolo
secondo il quale devono essere classificate “in ordine crescente di esigibilità” ovverosia dai
valori che verranno rimborsati più in la nel tempo fino ad arrivare a quelli esigibili entro la
fine dell’esercizio. Si parte così dalle “capitalizzazioni” per passare poi al passivo consolidato
e giungere infine alle passività correnti.
117
in merito AVI: “Come si può notare in questo schema, non si è utilizzata la locuzione immobilizzazioni bensì
il termine di «attivo a lungo». La scelta non è casuale in quanto il concetto di immobilizzazioni diverge in
maniera sostanziale da quello di attivo a lungo termine. Il valore immobilizzato è infatti rappresentato dal
valore che viene impiegato durevolmente nell’economia dell’impresa. Ciò non toglie però che, in un
determinato momento della sua vita, il valore stesso, pur immobilizzato, sia una posta a breve termine.” in
“Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag.34
118
CERIANI, in “Analisi di bilancio: Metodologie e casi di studio”, Ceriani G., Frazza B., Padova, 2007, pag.14
67 Andiamo ora a vedere, dove sono collocate le voci di nostro interesse. I crediti
commerciali e finanziari devono essere inseriti, secondo la loro scadenza tra le attività a breve
o a lungo termine.
Se la riclassificazione avviene come previsto da Teodori, i crediti è sufficiente inserirli a
seconda della scadenza, tra le liquidità differite se a breve, e qui verranno poi ripartiti nelle
varie classi a seconda della tipologia, ovvero nelle immobilizzazioni finanziarie se di lungo
periodo. Teodori ha comunque precisato che qualora ci trovassimo di fronte a crediti
finanziari di medio-lungo periodo, la cui scadenza è prevista entro l’anno, queste rientreranno
tra le liquidità differite dell’attivo a breve.
Ceriani prevede che i crediti commerciali o di altra natura che saranno riscossi entro
l’esercizio successivo, devono, anche secondo il suo punto di vista, essere inseriti tra le
liquidità differite, al netto del fondo rettificativo svalutazione crediti; lui però vede le liquidità
differite come un’unica categoria e non li distingue quindi tra le varie tipologie.
Per quanto riguarda Avi, procediamo per punti; iniziamo valutando la corretta collocazione
dei “crediti con dilazione inferiore o superiore all’anno”, in proposito anche lei, come Teodori
nel punto precedente, ci tiene a precisare che i crediti si tende ad attribuirli in relazione alla
dilazione di pagamento, per cui se superano l’anno tra l’attivo di lungo, viceversa in quello di
breve. Ecco perché Avi sottolinea che “la riclassificazione dei crediti effettuata sulla base
della durata del credito può, però, condurre alla determinazione di aggregati non significativi.
La collocazione delle poste contabili deve infatti essere effettuata sulla base della scadenza
dei crediti e non sulla loro dilazione. …. La dilazione pertanto non può mai essere utilizzata a
scopi classificatori a meno che la stessa non sia inferiore all’esercizio.”119
Quindi, i crediti commerciali e finanziari con durata inferiore ai 12 mesi, rientreranno nelle
rispettive categorie delle liquidità differite dell’attivo a breve termine, mentre per quelli la cui
durata supera i 12 mesi, bisognerà valutare la scadenza:
-
se scadranno entro i 12 mesi, non dovranno essere inserite nelle rispettive subcategorie dell’attivo a lungo ma in quelle delle liquidità differite;
-
se la scadenza super l’anno allora rientrano nell’attivo a lungo.
Altra voce degna di nota è il fondo svalutazione crediti, essendo questa una posta che ha
l’obiettivo di rettificare i valori patrimoniali, ha sottolineato Avi,120 non deve essere inserita
nel passivo patrimoniale, ma qualora l’analista di trovasse di fronte un bilancio non
riclassificato con al passivo il fondo svalutazione crediti, dovrà provvedere da sé a sottrarla
119
120
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag.31 e ss.
Cfr. FACCHINETTI, in “Analisi di bilancio”, Facchinetti I., Milano, 2008, pag. 72
68 dalle rispettive voci dell’attivo. Quindi, riassumendo, in merito al fondo svalutazione crediti,
esso non comparirà nel passivo di bilancio ma andrà a rettificare le rispettive poste dell’attivo.
Opinione condivisa anche da Ceriani.
Infine un ultimo aspetto preso in considerazione da Avi, riguarda i crediti ceduti a
factor o altri intermediari finanziari, aspetto regolato dal principio OIC 15. L’errore,
individuato da Avi, nel quale normalmente incombe un “analista inesperto” è quello di non
inserire tale posta in alcun aggregato dato che non figura nella contabilità generale; quindi la
soluzione prevista è che per i crediti ceduti pro-soluto “la posta “crediti verso factor” non
compare in contabilità in quanto la cessione comporta estinzione del diritto di rivalsa, mentre
per i crediti ceduti a factor con clausola pro-solvendo: rientreranno tra le liquidità differite o
attivo a lungo finanziario a seconda della scadenza originaria del credito (anche la
collocazione in ambito commerciale, finanziario o non caratteristico per definizione dipende
dalla tipologia del credito ceduto).121
È opinione diffusa che questa tipologia di riclassificazione ha un’importanza piuttosto elevata
e viene da tutti e tre gli autori qui considerati come la più rilevante.
Passiamo ora alla riclassificazione di stato patrimoniale secondo il criterio funzionale
il cui scopo non è quello di riorganizzare le varie poste in relazione alla scadenza, bensì
quello di distinguere le poste riguardanti la gestione caratteristica dalle altre tipologie di
gestione. Grazie a questo criterio, vediamo che la dottrina, in merito alla struttura ha pareri
piuttosto discordanti.
Fazzini, suddivide l’attivo in quattro parti, attività operative correnti e non correnti e
attività finanziarie correnti e non correnti. Per quanto riguarda i crediti, quelli operativi
rientreranno a seconda della scadenza tra le attività operative correnti o non, mentre quelli
finanziari, sempre in relazione al termine tra le attività finanziarie correnti o non.122
Teodori, individua due classi nella parte relativa alla gestione caratteristica e le attività
extra gestione caratteristica, mentre il passivo lo suddivide in tre classi, passività gestione
corrente correlate e non correlate e mezzi propri. In merito a questa tipologia, esso ritiene che
sia maggiormente utilizzabile nelle analisi interne all’azienda in quanto si necessita di una
121
122
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag.31 e ss.
FAZZINI, in “Analisi di bilancio Metodi e strumenti per l’interpretazione delle dinamiche aziendali”, Fazzini
M., 2009, pag.45 e ss.
69 serie di informazioni che difficilmente gli analisti esterni dispongono, ma apportando delle
semplificazioni può essere utilizzato anche con quelle esterne.
A parere di chi scrive, queste semplificazioni possono comportare un inquinamento di dati e
produrre quindi informazioni e valutazioni poco affidabili.
Avi, per poter realizzare questa tipologia di riclassificazione, ritiene opportuno
adottare uno schema di tipo scalare invece che a sezioni contrapposte, in quanto le
informazioni risultano più facilmente individuabili.
Relativamente all’utilità di questo schema, essa ritiene che: “pur riconoscendo un0implicita
utilità a questa struttura, si ritiene che l’esigenza informativa più immediata dei manager di
un’impresa riguardi la verifica dell’esistenza dell’equilibrio finanziario a breve e a lungo
termine. Tale necessità non può però essere soddisfatta – in via immediata – mediante
l’applicazione della struttura sopra illustrata in quanto tale analisi verte sulla separazione, non
fra breve e lungo periodo (come invece accade con la riclassificazione finanziaria pura), bensì
fra impieghi/fonti inerenti l’attività caratteristica (a breve e/o a lungo) e impieghi /fonti
relative allo svolgimento di altre attività aziendali.”123 Ecco perché ritiene questo strumento
non possa essere utilizzato singolarmente ma va a completare le informazioni fornite dallo
stato patrimoniale riclassificato con il metodo finanziario.
Anche Ceriani, come Avi, prevede per questa tipologia di riclassificazione, una forma
scalare con l’obbiettivo di “evidenziare i seguenti aggregati:
-
il capitale investito netto totale, composto dal capitale circolante netto operativo,
dall’attivo immobilizzato netto operativo, nonché, eventualmente, dall’attivo non
operativo o extra-caratteristico;
-
la struttura finanziaria, costituita dalla posizione finanziaria netta e dalle parti ideali
positive e negative costituenti, nel loro complesso, il capitale netto.”124
Valutiamo ora le differenze che possono emergere con la riclassificazione del conto
economico. Analizziamo lo schema considerato il più importante, il conto economico
riclassificato a ricavi e costi del venduto.
Esso ha lo scopo di evidenziare i risultati ottenuti con la gestione caratteristica,
rispetto a quelli derivanti dalle altre gestioni. Questo primo step, si raggiunge sottraendo dai
ricavi netti, il costo del venduto, che è rappresentato dall’insieme dei costi produttivi,
amministrativi, commerciali e di ricerca e sviluppo.
123
124
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag.31 e ss.
CERIANI, in “Analisi di bilancio: Metodologie e casi di studio”, Ceriani G., Frazza B., Padova, 2007, pag.23
70 Possiamo prendere come modello di riferimento quello rappresentato da Teodori125:
Ricavi netti
Costo del venduto
Reddito operativo gestione caratteristica
Risultato gestione complementare e accessoria
Reddito operativo aziendale
Oneri Finanziari
Reddito lordo di competenza
Componenti straordinari
Reddito ante imposte
Imposte
Reddito netto
Come possiamo notare, lo schema conferma quanto appena detto, ovvero sia, per
individuare i risultati derivanti dalla gestione caratteristica, dai ricavi netti, si sottrae il costo
del venduto.
Secondo quanto previsto da Teodori, le perdite su crediti finanziari, rientrano nel risultato
della gestione complementare e accessoria; per quanto riguarda invece le perdite su crediti,
queste rientrano nella categoria dei componenti straordinari.
Nello schema di riclassificazione previsto da Avi, innanzitutto è opportuno precisare
che “per attività caratteristica non si intende solo l’attività di trasformazione in senso fisicotecnico (o produttiva in senso stretto), bensì l’insieme di quest’ultima, dell’attività
amministrativa, di quella commerciale e, degli approvvigionamenti e della ricerca e sviluppo
(in aggiunta a tali costi vanno rilevati anche i c.d. overhead cost). Gli overhead cost, sono,
come da essa definiti, i costi addebitati dalla casa madre, in via extra-contabile alle controllate
o alle filiali, senza ottenere un corrispettivo; tali costi sono individuabile solo se l’analisi è
fatta all’interno dell’azienda”126.
Sempre secondo la riclassificazione proposta da Avi, risulta utile individuare dei “subaggregati” perché si possano individuare informazioni utili alla gestione aziendale.
125
126
Lo schema qui riportato è tratto da “ L’analisi di bilancio” Teodori C., Torino, 2008, pag. 66 e ss.
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag.105
71 Il primo aggregato è dato dalla differenza tra i ricavi e il costo del prodotto venduto, senza
quindi i costi amministrativi, commerciali e di ricerca e sviluppo. Questo risultato si chiama
Gross profit e rappresenta un utile lordo industriale.
Infine un aspetto importante da essa sollevato, è che questa tipologia di
riclassificazione “evidenzia spesso un ulteriore aggregato che, in determinate circostanze, può
essere utile all’analista. Si tratta del c.d. margine operativo lordo.
Per margine operativo lordo (MOL) si intende il reddito operativo della gestione
caratteristica determinato al lordo degli ammortamenti.
Pertanto se dal margine operativo lordo MOL, si detraggono gli ammortamenti,
l’aggregato che viene identificato è il GOP.”127
Qualora si voglia rappresentare il conto economico riclassificato in questo modo,
evidenziando quindi il MOL, è opportuno, eliminare da ciascun aggregato facente parte della
gestione caratteristica, le rispettive quote degli ammortamenti, le quali saranno inserite nel
passaggio successivo, per determinare il GOP.
L’ultima tipologia di riclassificazione che ci rimane da considerare è il conto
economico a valore aggiunto.
Secondo Teodori, questo schema di riclassificazione è molto simile al precedente,
l’unica differenza riguarda la gestione caratteristica; “infatti, i costi ed i ricavi tipici sono
classificati secondo un criterio difforme, mentre nulla cambia in merito alle altre gestioni
parziali.”128
Avi ritiene che per poter fare questo schema bisogna avere una visione d’impresa di
tipo “sociale” che va quindi a modificare l’ “ottica tradizionale” con la quale la si guarda.
Attraverso questo diverso modo di vedere l’azienda, essa non è più considerata un mezzo per
ottenere profitti ma, la ricchezza viene suddivisa tra coloro che partecipano all’attività
aziendale intesi come soci, lavoratori, impresa, stato, finanziatori di credito.129
Quindi secondo Avi, “nell’ambito dell’informativa sociale esterna aziendale, il conto
economico riclassificato a valore aggiunto può assurgere parte componente il bilancio sociale.
Tale documento può in parte essere scisso in due parti, conto economico riclassificato a
valore aggiunto e bilancio sociale “strictu sensu”. Se però da un lato, nell’ambito
dell’informativa “sociale” destinata a terzi, il conto economico a valore aggiunto riveste una
127
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag.111
TEODORI, in “ L’analisi di bilancio” Teodori C., Torino, 2008, pag. 57 129
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag.125
128
72 sensibile rilevanza, dall’altro, l’utilità gestionale di tale documento – al fine del governo
efficace ed efficiente delle risorse aziendali – non appare particolarmente elevata. O meglio,
tale documento assume un importante ruolo di strumento gestionale qualora l’attenzione sia
focalizzata sulle decisioni di carattere strategico riguardanti la comunicazione aziendale
esterna.”
Ecco che possiamo concludere che secondo Avi, il conto economico riclassificato in questo
modo, non fornisce ai manager le informazioni che si stanno cercando in questo preciso
ambito.
3.4
LA RICLASSIFICAZIONE DI BILANCIO SECONDO IL CODICE CIVILE, I
PRINCIPI OIC E GLI IAS/IFRS
Il codice civile, come i principi contabili nazionali OIC e quelli internazionali
IAS/IFRS, forniscono uno schema di stato patrimoniale e conto economico ma, in tutti e tre i
casi, differiscono da quelli utilizzati nell’analisi di bilancio; ecco che per poter essere poi
applicati in questo ambito, devono essere obbligatoriamente rivisti.
Il codice civile, stabilisce che lo stato patrimoniale deve essere redatto a sezioni
contrapposte e all’art. 2424 espone come devono essere riclassificate le varie poste di
bilancio. Secondo questa struttura, è difficile stabilire se sia di tipo finanziario o funzionale, in
quanto, come evidenziato da molti autori, presenta sia caratteristiche tipiche della
riclassificazione secondo il metodo finanziario sia altre di quello funzionale.
Come sottolineato da Fazzini infatti, “questa struttura presenta soluzioni ibride rispetto ai
tradizionali modelli che la prassi aziendalistica promuove per la classificazione delle voci
dello Stato patrimoniale, i quali, come si è detto, possono rispondere ad una logica finanziaria
o ad una funzionale, secondo il parametro di classificazione prescelto.
Il disposto dell’art. 2424 c.c., infatti, non accoglie alcuna delle due impostazioni, in quanto
prevede l’adozione:
-
per le poste dell’attivo, di un criterio della destinazione e, in subordine, di un criterio
finanziario;
73 -
per quelle del passivo, di un criterio che privilegia la natura delle fonti di
finanziamento. 130”.
Stessa opinione viene data da Avi, affermando che “dall’analisi dell’art. 2424 c.c. si
comprende come il legislatore, al fine di identificare il criterio base di aggregazione delle voci
contabili, abbia optato - anziché per la più conosciuta riclassificazione “finanziaria pura” - per
una riclassificazione “spuria” che potremo definire di natura “funzional-finanziaria”.”131
Per quanto riguarda l’attivo patrimoniale, il codice civile prevede che le poste vengano
classificate in due macro categorie, le immobilizzazioni e l’attivo circolante a seconda che,
come previsto dall’art. 2424 c.c., siano elementi destinati ad essere utilizzati durevolmente o
meno.
“A prima vista, la suddivisione delle macroclassi “Immobilizzazioni” e “Attivo circolante” (e
le classi al loro interno) parrebbe ispirata da un criterio di pertinenza finanziaria, ma il
legislatore chiarisce subito che è il criterio della “destinazione” il discrimen tra le due classi.
La linea guida per collocare, dunque, una voce di bilancio nelle due macroclassi deriva dalla
volontà o dalla scelta “soggettiva” dei redattori del bilancio di utilizzare, durevolmente o
meno, un bene all’interno della gestione.”132
“La separazione fra immobilizzazioni e attivo circolante prescinde dalla liquidabilità
della posta contabile. Il codice civile prevede infatti che, nelle immobilizzazioni finanziarie
debbano essere indicate, per ciascuna voce dei crediti, gli importi esigibili entro l’esercizio
successivo e che nei crediti appartenenti all’attivo circolante debbano essere indicati i valori
scadenti oltre l’anno successivo. …
L’utilizzo durevole dell’investimento, pur facendo implicito ed indiretto riferimento ad una
nozione di “temporalità” della posta non riflette la liquidabilità del valore contabile. Se da un
lato è infatti vero che il concetto di “durevole” è caratterizzato, in maniera ineliminabile, da
una dimensione temporale del valore oggetto di interesse, dall’altro è altrettanto vero che la
liquidabilità, entro oppure oltre l’esercizio, successivo non rappresenta l’elemento
discriminante che consente la contrapposizione delle poste attive.” 133
130
FAZZINI, in “Analisi di bilancio Metodi e strumenti per l’interpretazione delle dinamiche aziendali”, Fazzini
M., 2009, pag.55
131
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag. 80
132
ANTONELLI, D’ALESSIO, in “Analisi di bilancio”, Antonelli V., D’Alessio R., Santarcangelo di Romagna
(RN), 2012, pag. 31
133
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag. 80
74 Il fatto quindi che secondo il bilancio civilistico sia la destinazione l’elemento che
permette di inserire una posta nelle immobilizzazioni, ovvero nell’attivo circolante, è un
elemento molto importante di distinzione rispetto ai bilanci riclassificati secondo il criterio
finanziario, piuttosto che, funzionale e ci permette di capire che le analisi successive non
potranno basarsi sui dati rintracciabili dallo stato patrimoniale così come previsto dal codice
civile ma dovranno appunto essere riorganizzati.134
Passando ora al passivo, il codice civile è ancora meno esaustivo rispetto a quanto
previsto per l’attivo; in questo caso, infatti, si limita a individuare cinque diverse tipologie di
classi nelle quali far confluire le varie voci e solo limitatamente ai debiti, prevede
espressamente che, per ciascuna tipologia, siano indicati quelli la cui scadenza va oltre
l’esercizio.
“… il passaggio fra la riclassificazione civilistica e la riclassificazione finanziaria utile ai fini
di analisi tramite indici presenta, in realtà due specifici elementi di ostacolo: mentre infatti per
le voci attive , la separazione fra attivo a breve e attivo a lungo può essere effettuata anche
partendo da valori civilistici, per quanto riguarda le poste passive ciò non è possibile. In linea
generale si può ricordare come, a differenza delle poste attive, per le quali è prevista una
“inserzione” fra le riclassificazioni “funzionale” e “finanziaria pura”, per il passivo il
legislatore si limiti a prevedere l’obbligo di rilevazioni di cinque macro-classi composte da
voci limitatamente omogenee.”135
Ecco che, mentre Avi ritiene quasi impossibile l’individuazione delle poste a breve o a
lungo periodo per il passivo, partendo da uno stato patrimoniale riclassificato secondo la
normativa civilistica, Fazzini, al contrario, ritiene “generalmente sufficienti le informazioni
desumibili dalla nota integrativa, in quanto si tratta di poste che presentano minor carattere di
discrezionalità rispetto a quelle attive.”136
Relativamente ai crediti, quindi, il codice civile prevede che vengano esposti
attraverso il metodo della destinazione tra le immobilizzazioni finanziarie, ovvero l’attivo
134
In proposito Avi: “Da queste brevi considerazioni, si può chiaramente comprendere come lo stato
patrimoniale imposto dal codice civile non possa essere utilizzato, in via diretta ed immediata, come
strumento utile ai fini di analisi tramite indici.
Conseguentemente, chi, partendo dalle risultanze del bilancio pubblico (si pensi ad esempio ad un’impresa
che intende effettuare uno studio sulla situazione reddituale/finanziaria/patrimoniale di uno o più imprese
concorrenti, o potenziali clienti) intenda individuare gli aggregati attivi e passivi a breve e a lungo termine,
dovrà sottoporre ad ulteriore riclassificazione lo stato patrimoniale disciplinato dal codice, pur essendo
quest’ultimo già riclassificato.” AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag. 80
135
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag. 80
136
FAZZINI, in “Analisi di bilancio Metodi e strumenti per l’interpretazione delle dinamiche aziendali”, Fazzini
M., 2009, pag.59
75 circolante e per le prime devono essere indicati, per ciascuna voce gli importi esigibili entro
l’esercizio successivo, mentre per gli altri, gli importi esigibili oltre l’esercizio successivo.
Passiamo ora al conto economico riclassificato secondo le norme civilistiche; il codice
civile prevede che esso debba essere redatto secondo la forma scalare e individua 5 grandi
aggregati, quello dei ricavi operativi, dei costi operativi, della gestione finanziaria, delle
rettifiche di valore delle attività finanziarie ed infine quello straordinario. Apparentemente,
può sembrare molto simile agli schemi previsti per la riclassificazione di bilancio, ma in
sostanza differisce sensibilmente da questi.
Valutiamo qui due diversi punti di vista, da un lato quello di Fazzini, che confronta la
riclassificazione secondo la normativa civilistica, con quella a valore aggiunto; esso infatti,
sostiene che “premesso che l’unico schema che può essere utilizzato dall’analista esterno è
quello a valore aggiunto, gli interventi correttivi da applicare allo schema civilistico sono
essenzialmente due:
a) suddividere i costi operativi al fine di ottenere i margini intermedi: valore aggiunto,
margine operativo lordo e margine operativo netto;
b) accorpare proventi e oneri della gestione finanziaria e le rettifiche di valore delle attività
finanziarie, utilizzando l’Ebit come margine intermedio.
Il valore della produzione, la gestione straordinaria e l’appendice fiscale non sono invece
interessate dal processo di riclassificazione, salvo particolari necessità cognitive.”137
Dall’altro lato, Avi lo mette in relazione con lo schema riclassificato più utile e più
diffuso, ovverosia la struttura a ricavi e costo del venduto. Essa sostiene che, nonostante la
riclassificazione ottenuta dall’applicazione della normativa civilistica fornisca dei risultati
intermedi, questi pubblicano informazioni di “limitata significatività gestionale”138.
Ecco quindi che, nonostante la riclassificazione di conto economico secondo lo
schema civilistico fornisca informazioni piuttosto importanti, nulla dice in merito ai risultati
intermedi che si possono ottenere con la riclassificazione a costi e ricavi del venduto.
Avi, ha individuato due motivi per cui il conto economico riclassificato secondo lo
schema civilistico, non può essere considerato utile ai fini dell’analisi di bilancio attraverso
gli indici.
137
FAZZINI, in “Analisi di bilancio Metodi e strumenti per l’interpretazione delle dinamiche aziendali”, Fazzini
M., 2009, pag.59
138
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag. 116
76 Il primo, riguarda il metodo con il quale sono riclassificati i componenti negativi di reddito,
ovverosia, secondo la normativa civilistica per origine mentre per il metodo a ricavi e costo
del venduto, per destinazione. In questo ultimo caso, infatti, “ciò che rileva, non è tanto
l’origine del componente negativo di reddito bensì il suo utilizzo in ambito aziendale.
L’adozione di una simile struttura implica, quindi, la diffusione in azienda di una logica di
imputazione dei costi per destinazione di uso del fattore produttivo in entrata.
Tale considerazione ha sostanzialmente spinto il legislatore ad optare ad una riclassificazione
per origine che non comportasse un intervento tanto massiccio da parte del redattore del
bilancio.”139
L’altro elemento dipende dalle modalità di aggregazione previste dal codice civile, che
richiedono la suddivisione in macro aggregati caratterizzati dalla presenza di elementi tra loro
eterogenei, che spesso comportano un’errata interpretazione da parte degli utenti.
Appare opportuno sottolineare che, il codice civile impone di determinate "il valore
derivante dalla differenza tra A(Valore della Produzione) – B (Costo della Produzione) e
come ha specificato Avi, “non è raro notare come l’aggregato civilistico A-B venga
sostanzialmente interpretato come il reddito operativo connesso allo svolgimento dell’attività
imprenditoriale (R.O.G.C.). … A-B non rappresenta, assolutamente, il reddito caratteristico
della gestione aziendale.”140
Relativamente alle voci di nostro interesse, andiamo a vedere che secondo la normativa
civilistica, le svalutazione dei crediti compresi nell’attivo, rientrano tra i costi di produzione
B), alla voce 10) ammortamenti e svalutazioni, lettera d) svalutazione dei crediti compresi
nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide.
Per i crediti, i principi contabili nazionali prevedono una classificazione leggermente
diversa rispetto a quella prevista dal codice civile ma comunque non ancora conforme a quella
richiesta nell’analisi di bilancio.
Mentre il codice civile li distingue a seconda della destinazione, tra immobilizzazioni e attivo
circolante, l’OIC 15 effettua una distinzione leggermente più approfondita, distinguendoli in
relazione a:
-
l’origine tra crediti sorti in relazione ai ricavi, per prestiti e finanziamenti concessi e
per altre ragioni;
- in base alla natura tra crediti verso cliente, consociate e verso altri;
139
140
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag. 116
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag. 116
77 -
la scadenza tra crediti a breve o a media-lunga scadenza.
Su quest’ultimo punto, il codice civile, come abbiamo già visto, non dice nulla in merito.
Anche gli OIC, nella redazione del bilancio, esigono che i fondi svalutazione, essendo delle
poste rettificative, vadano a modificare le voci dell’attivo e non figurino quindi nel passivo.
Infine, per quanto riguarda la riclassificazione secondo i principi contabili
internazionali, gli IAS/IFRS, non prevedono un prospetto di riferimento bensì una serie di
voci minime obbligatorie che devono essere inserite.
Lo IAS 1, Presentation of finanical statement, indica le regole generali per la
redazione del bilancio.
“Per lo stato patrimoniale, lo IAS prevede un elenco minimo di voci che vi devono
figurare:
a) immobili, impianti e macchinari;
b) investimenti immobiliari;
c) attività immateriali;
d) attività finanziarie (esclusi i valori esposti nei punti e), h) ed i));
e) partecipazioni contabilizzate con il metodo del patrimonio netto;
f)
attività biologiche;
g) rimanenze;
h) crediti commerciali e altri crediti;
i)
disponibilità liquide e mezzi equivalenti;
j)
totale delle attività disponibili per la vendita e delle attività inserite in un gruppo da
dismettere;
k) debiti commerciali e altri debiti;
l)
fondi;
m) passività finanziarie (esclusi i valori ai punti k) ed l));
n) passività e attività per imposte correnti, come definite nello IAS 12 (imposte sul
reddito)
o) passività e attività per imposte differite, come definite nello IAS 12;
p) passività direttamente associate ad un gruppo da dismettere;
q) quote di pertinenza di terzi, presentate nel patrimonio netto;
r)
capitale e riserve attribuibili agli azionisti della capogruppo.
78 La presenza di un elenco minimale, produce come effetto che ciascuna impresa può
aggiungere nuove voci qualora ciò sia funzionale alla piena comprensione degli investimenti e
delle loro modalità di finanziamento. A questo proposito si deve tenere conto di alcuni
elementi quali: la natura e il grado di liquidità delle singole voci; la funzione assolta da
un’attività nell’impresa; l’ammontare, la natura e le caratteristiche temporali di una passività.
Inoltre appare opportuno scomporre alcune delle voci quando all’interno vi sono dei valori
derivanti dall’applicazione di criteri difformi. … Il principio contabile, pur non prescrivendo
l’ordine o il formato attraverso il quale le singole voci devono essere presentate, introduce
due distinti criteri di classificazione dei valori:
-
il primo, da ritenersi prioritario, richiama la distinzione tra valori correnti e non
correnti;
-
il secondo, da utilizzare quando di maggiore espressività rispetto al precedente, è
fondato sulla liquidità.”141
“Per quanto riguarda invece il conto economico, sempre secondo lo IAS 1, deve includere in
via minimale le voci rappresentative dei seguenti valori relativi all’esercizio:
-
ricavi;
-
oneri finanziari;
-
quota dell’utile o perdita di collegate e joint venture contabilizzata con il metodo del
patrimonio netto;
-
oneri fiscali;
-
un singolo importo comprendente il totale :
•
della plusvalenza o minusvalenza, al netto degli effetti fiscali, delle attività
operative cessate;
•
della plusvalenza o minusvalenza, al netto degli effetti fiscali, rilevata a seguito
della valutazione al fair value (valore equo) al netto dei costi di vendita o della
dismissione delle attività o del(i) gruppo(i) di dismissioni che costituiscono
l’attività operativa cessata;
-
e infine l’utile o la perdita.”142
141
142
TEODORI, in “ L’analisi di bilancio” Teodori C., Torino, 2008, pag. 227
FAZZINI, in “Analisi di bilancio Metodi e strumenti per l’interpretazione delle dinamiche aziendali”, Fazzini
M., 2009, pag.71 e segg, 105 e segg.
79 In merito allo stato patrimoniale, la classificazione finanziaria è già implicita nella
logica dello IAS 1 e la classificazione tra attivo corrente e non dev’essere effettuata in modo
piuttosto rigoroso; per il conto economico invece si prevedono due modelli, il primo è il
metodo dei costi per natura, l’altro metodo dei costi per destinazione o del costo del venduto.
3.5
PROBLEMI E LIMITI CHE POSSONO INFLUIRE SULL’ANALISI DI BILANCIO
Come già per certi aspetti visto nei passaggi precedenti, possono essere numerosi i
problemi e i limiti che si possono riscontrare durante l’attività di analisi di bilancio.
Il primo limite può essere rappresentato dalla leggibilità, ovverosia dal fatto che dai
bilanci redatti in base alle leggi attualmente vigenti, spesso, non si riescono a reperire tutte le
informazioni necessarie per lo svolgimento di tale attività. Per questo motivo, infatti, tali
documenti richiedono di essere sottoposti a riclassificazione, per cercare di riorganizzare le
voci e riuscire ad ottenere ulteriori informazioni.
“Il bilancio ufficiale possiede, tuttavia, dei limiti e presenta delle difficoltà di
interpretazione alle quali si va incontro. Ciò accade perché una lettura più significativa delle
potenzialità dell’impresa oggetto dell’analisi sarebbe possibile qualora si disponesse di bilanci
compilati per scopi informativi interni – alla cui valutazioni si perviene senza vincoli di natura
civilistica e fiscale – e finalizzati ad ottenere l’immagine più realistica possibile
dell’andamento economico e finanziario dell’impresa stessa.
Attingere queste informazioni all’esterno dell’impresa è difficile per cui non rimane altro che
utilizzare al meglio ciò che la legge permette di elaborare143.”
Un secondo problema che si pone, riguarda una caratteristica delle informazioni che
vengono considerate storiche, essendo i dati desunti dal bilancio di tipo consuntivo.
143
BATTAGLI, in “Elementi di analisi di bilancio”, di Battagli A., Napoli, 2009, pag. 18
80 “L’osservazione «storica» degli andamenti aziendali può si fornire numerosi e
importanti elementi di riflessione, ma senza che da ciò possa scaturire un approccio di tipo
«meccanicistico» nel prefigurare le tendenze evolutive a futuro. Per quanto ovvio, le aziende
sono organismi dinamici e attivi, la cui evoluzione nel tempo dipende da una pluralità di
fattori, non ultime le decisioni assunte dagli amministratori. E dunque un’impresa che si è
dimostrata in buona salute potrebbe entrare in crisi, ad esempio, a fronte di modificazioni
intervenute nel suo contesto «ambientale» di riferimento oppure per l’incapacità di saper
sostenere le condizioni da cui dipende il suo vantaggio competitivo.
All’opposto un’impresa in difficoltà potrebbe ancora trovare la via del risanamento.
Per cui tecniche che cerchino di estrapolare da serie storiche di dati consuntivi valori da
proiettare a futuro vanno guardate con diffidenza, in quanto implicano una sorta di
«inerzialità/immutabilità» nelle condizioni interne ed esterne all’azienda che non sono
accettabili e nemmeno compatibili con le qualificazioni di sistema finalizzato, dinamico e
aperto che connotano la stessa definizione di azienda.”144
Risulta quindi difficile, se non impossibile, cercare di individuare un modello unico di
analisi bilancio che possa essere applicato alle varie realtà aziendali esistenti perché dipende
dal modo in cui il bilancio viene redatto, dalle informazioni che gli analisti stanno cercando,
dal tipo di impresa, dal settore in cui essa opera e da tutta una serie di altri fattori che la
caratterizzano.
Quindi i vari modelli e le varie teorie presenti, possono fornire un supporto, una linea guida
generale che va poi adattata alla situazione nella quale ci si trova e sta nella bravura
dell’analista, sia esso interno ovvero esterno, sfruttare al meglio le informazioni di cui
dispone così da non rischiare di utilizzare dati inquinati che possono comportare valutazioni
errate.
“La prassi e la teoria economico-aziendale evidenziano una progressiva diffusione
degli strumenti e delle tecniche di analisi di bilancio: allo stato attuale non è però possibile
individuare un’impostazione comune e generalmente condivisa. Le proposte esistenti sono
molteplici ognuna connotata da distinte indicazioni più o meno originali, non poche delle
144
GIGLI, TIEGHI, in “Gli strumenti per le analisi del bilancio di esercizio” di Gigli S. e Tieghi M., Bologna,
2009, pagg. 30 e 31.
81 quali però caratterizzate da eccessiva genericità e non sufficientemente incentrate su un
approccio sistemico.” 145
In merito alla riclassificazione, è opportuno sottolineare che questa fase non va
assolutamente né trascurata né trattata con superficialità, in quanto se non si è prestata
particolare attenzione alla fase di lettura e controllo dei dati, che verranno poi sottoposti a
riclassificazione, questo può comportare il rischio di scontrarsi con informazioni che non
rappresentano la realtà ma anzi, generano errori durante la rilevazione degli indici e nella fase
successiva e conclusiva con la quale si traggono le valutazioni.
“Delegare a soggetti inesperti questa delicata fase può, pertanto, provocare gravi
conseguenze sul processo decisionale aziendale.
Se infatti, come dovrebbe essere, le decisioni manageriali vengono assunte in base ai risultati
forniti dall’analisi consuntiva e dalla programmazione svolta e, tali dati contengono errori
intrinseci di determinazione, è evidente come le decisioni assunte non potranno massimizzare
efficienza ed efficacia.
Ciò non per mancanza di capacità del management ma solo in quanto, i dati in base ai quali
vengono assunte le decisioni sono errati e, di conseguenza, non riflettono la realtà che, al
contrario dovrebbero sintetizzare”.146
Un ultimo aspetto molto importante, affrontato da Avi, ma del quale non ho trovato
ulteriori riscontri in altri autori presi in considerazione in questa sede riguarda la possibile
presenza di interferenze fiscali.
Come noto, in seguito all’introduzione della riforma societaria del 2003, non sono più
ammesse le interferenze fiscali.
“In teoria quindi, a differenza di quanto accadeva nel periodo ante 31 dicembre 2003 –
quando era civilisticamente legittimo inserire valori fiscali nel bilancio civile – il bilancio di
esercizio nel suo complesso e, anche, singolarmente, in tutte le sue componenti, deve – o
meglio dovrebbe – essere contraddistinto dai postulati di chiarezza correttezza e veridicità.”147
145
TEODORI, in “ L’analisi di bilancio” Teodori C., Torino, 2008, pag. 66 e ss.
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag. 28
147
AVI, in “Financial Analysis”, Avi M. S., 2011 pag. 19
146
82 In merito Avi ha precisato che in varie recenti ricerche, nella maggior parte dei casi, sui
bilanci odierni non risultano differenze tra i valori fiscalmente deducibili e gli importi scritti
nel conto economico e questo, Le fa pensare che attualmente in bilancio sia ancora forte la
presenza di elementi fiscali. Tesi questa assolutamente condivisibile.
83 84 - CAPITOLO QUARTO LA GESTIONE DEI CREDITI COMMERCIALI ALL’INTERNO
DELL’AZIENDA E LA FIGURA DEL CREDIT MANAGER
4.1
IL CREDITO COMMERCIALE ED I RISCHI AD ESSO LEGATI
In seguito alla grave crisi economica globale che ha colpito un consistente numero di
Paesi, tra i quali il nostro, sono emerse una serie di problematiche, molto probabilmente già
presenti, che in questo contesto si sono accentuate, sulle quali non si era ancora posta
particolare attenzione.
Oltre a ciò, i mutamenti che sta subendo il mercato, nonché, come visto nei capitoli precedenti
le modifiche che si stanno apportando alla normativa presente, producono degli effetti che si
ripercuotono anche sull’aspetto finanziario delle imprese.
“La gestione finanziaria delle imprese è notevolmente peggiorata negli ultimi anni: non è più
possibile, in periodi di turbolenza, ipotizzare un profilo «normale» delle entrate e delle uscite
correnti. Contemporaneamente i rapporti con le banche sono diventati meno stabili.”148
“Le aziende italiane notoriamente basate su fantasia, originalità e tradizione, si sono
trovate ad un certo punto della loro vita a dover fare i conti con una situazione commerciale
nazionale decisamente complicata. Purtroppo, come spesso accade, l’inventiva e la tradizione
non sono state più sufficienti e le complicazioni hanno avuto effetti finanziari.”149
Questi effetti finanziari hanno provocato seri problemi, soprattutto tra le piccole realtà
aziendali molto presenti in Italia, creando non poche difficoltà legate alla gestione dei crediti.
I problemi legati al credito, sono prodotti da una serie di fattori che influiscono
sull’attività dell’azienda e sulla capacità di superare il periodo di crisi, il quale più persiste,
più tende a logorare l’attività produttiva svolta.
148
RUSSOTTO, in “Prevenire crisi di liquidità con l’utilizzo di un metodo tempestivo” in Amministrazione &
Finanza, di Russotto M., n. 6/2012, pag. 47
149
MASINELLI, in “La gestione finanziaria in azienda: le nuove sfide” in Amministrazione & Finanza, di
Masinelli F., n. 7/2013, pag. 65
85 In uno scenario simile, il problema principale è legato ai clienti i quali, anche se storici e dei
quali, mai si sarebbe dubitato, sono a loro volta condizionati dal sistema che si è venuto a
creare e quindi non essendo in grado di far fronte ai propri impegni tendono a ritardarli o nei
casi più gravi a sospenderli definitivamente.
Ecco che in questo modo viene a crearsi un bivio nel quale emerge il dubbio se continuare a
vendere beni o servizi ai soggetti inadempienti, correndo però il rischio di accumulare importi
sempre maggiori, ovvero interrompere il rapporto collaborativo con il rischio di faticare
maggiormente a recuperare le somme scadute in attesa di riscossione.
In una situazione simile, rientra anche il problema dei rapporti banca-impresa dove le banche
in seguito alla crisi tendono a concedere sempre meno “aiuti” alle aziende che si trovano a
dover gestire l’aspetto finanziario esclusivamente con i mezzi di cui dispongono e creando
quindi le complicazioni sopra citate.
“La scarsa liquidità, tipica dei periodi di crisi, fa emergere l’importanza dell’attività di
gestione dei crediti e, in particolare, di quella del recupero degli insoluti. In simile contesto è
opportuno anzitutto avere la consapevolezza dell’impatto dei mancati incassi sulla dinamica
monetaria e poi predisporre strumenti adeguati di prevenzione degli insoluti, i quali sebbene
non possano eliminare il fenomeno, possono comunque contribuire a ricondurlo a livelli
accettabili.”150
I crediti, come accennato nei capitoli precedenti, se li identifichiamo in base
all’origine, possono essere di tipo commerciale o di regolamento, ovvero di tipo finanziario.
“La decisione delle imprese di effettuare vendite di prodotti o servizi con regolamento
differito costituisce l’origine del credito commerciale.
Tale termine indica dunque i rapporti finanziari che intercorrono fra aziende, in conseguenza
della concessione di dilazioni di pagamento a favore dei clienti. Sono invece estranei al
credito commerciale quei rapporti di credito (o di debito) che, pur vedendo aziende
industriali, commerciali o di servizi come soggetti agenti, non siano dovuti alla normale
gestione degli scambi, bensì ad un rapporto negoziale specifico (credito di finanziamento).”151
150
MANCA, in “L’importanza dell’attività di smobilizzo dei crediti nella gestione della liquidità”, in
Amministrazione & Finanza, Manca F., n. 6/2013, pag. 77
151
DALLOCCHIO, in “La gestione del credito commerciale e il credit manager”, Dallocchio M., Milano, 1989,
pag. 7
86 Spesso però può essere difficile distinguere un credito commerciale da uno di natura
finanziaria, infatti “la vita aziendale conosce spesso casi in cui il cliente non può fronteggiare
tempestivamente gli impegni assunti e da ciò deriva la richiesta di dilazioni o la definizione di
più comode condizioni di pagamento. In questi casi può nascere il dubbio sulla natura del
credito che l’azienda venditrice concede: potrebbero ravvisarsi gli estremi di una vera e
propria operazione di finanziamento e quindi si dovrebbe parlare di crediti di finanziamento.
In realtà sembra prevalere la transazione di beni o servizi come causa sottostante del rapporto
e che quindi, fa considerare contingente la definizione di tempi e forme di regolamento
diverse da quelle inizialmente pattuite.”152
“Il credito commerciale concesso da aziende dell’economia reale alla propria clientela,
si differenzia sotto diversi profili dal credito finanziario concesso dagli intermediari
finanziari.
Fra le differenze più rilevanti, il fatto che la concessione di prestiti rappresenta una
delle attività caratteristiche degli organismi finanziari, mentre per le aziende dell’economia
reale concedere credito alla clientela assume un valore “strumentale”, finalizzato a conseguire
obiettivi di maggiore o migliore profittabilità nell’attività commerciale. In tal senso è corretto
considerare la concessione di credito commerciale come una delle “leve di marketing”,
finalizzata a perseguire tre principali obiettivi:
-
penetrazione nei mercati;
-
sviluppo degli affari con i clienti attivi ed avvio dei rapporti con i clienti potenziali;
-
continuità delle relazioni d’affari con la clientela primaria.
Con la concessione di credito, l’azienda che vende rinuncia ad una liquidità immediata ed
accetta di procrastinare l’incasso, nella aspettativa di avviare, espandere, consolidare i
rapporti con la clientela, onde conseguire una maggiore profittabilità dell’attività
commerciale, duratura nel tempo.”153
Dallocchio, ha evidenziato che il credito commerciale, è caratterizzato dalla presenza
di tre aspetti, uno economico secondo il quale, il credito commerciale consente di effettuare
acquisti “in tempi, modi e quantitativi impensabili nel caso di pagamento in contanti. Questo
significa maggiori volumi di vendita e un più proficuo impiego dei fattori di produzione e di
152
153
CLUBSOLVINET, “Professione credit manager”, 2006, pag. 19
PAGLIACCI, in “La politica del credito commerciale nella gestione aziendale”, Pagliacci M. G. R., Milano,
2007, pag.25
87 conseguenza un abbassamento dei costi per unità realizzata e venduta oltre a una crescita nei
profitti.” Il secondo è l’aspetto finanziario che “si collega al fabbisogno generato dal ritardo di
pagamento. Nessuna dilazione può infatti venire accordata in assenza di idonei strumenti di
copertura. Nella sostanza il fornitore che accetta dal proprio cliente un regolamento differito,
si impegna implicitamente a reperire le risorse (non importa se a titolo di capitale di rischio o
di capitale di credito, e in quest’ultimo caso se di origine commerciale o finanziaria) atte alla
copertura del fabbisogno collegato al ciclo del circolante.”154
Infine, l’ultimo aspetto riguarda il rischio che deriva dalla decisione di assecondare le
esigenze del cliente e concedere dilazioni di pagamento in quanto “è facile identificare un
legame diretto fra lunghezza delle dilazioni, ritardi nei pagamenti e perdite su crediti, a
motivo dell’imprevedibilità delle condizioni che caratterizzano i clienti nel futuro;
imprevedibilità che tende ad accentuarsi al crescere dell’orizzonte temporale osservato.”155
Quando le aziende concedono crediti commerciali ai clienti, con dilazioni di
pagamento piuttosto lunghe nel tempo, è opportuno che prima di assecondare questa loro
richiesta, valutino i rischi ad essa legati.
“Fra gli obiettivi aziendali una posizione certamente notevole compete all’aspettativa del
reddito, che rimanda al concetto di rischio con l’avvertenza che sovente le probabilità di più
alti profitti sono proprio legate all’elevatezza dei rischi insiti nelle iniziative intraprese.
D’altronde è del tutto noto che la gestione aziendale si svolge su terreni spesso ricchi di
opportunità, ma anche di rischi di cui è necessario avere la più completa consapevolezza. I
rischi vanno individuati e fronteggiati decidendo le opportune diversificazioni, intervenendo
tempestivamente per contenerli o limitarne i danni e, infine, scegliendo se si tratta di rischi da
tenere a proprio carico ovvero da scaricare su altre organizzazioni sostenendo il relativo onere
e, quindi, pagando il relativo prezzo sotto forma di premi assicurativi.”156
De Vita riconosce tre tipologie di rischi dovuti alla possibilità per l’azienda creditrice di non
riuscire ad incassare quanto ad essa dovuto e sono rischi di:
-
perdite per insolvenza dei clienti;
-
perdite per abbuoni concessi o trattenuti;
154
DALLOCCHIO, in “Credit management. Economia e finanza delle politiche commerciali”, Dallocchio M.,
Milano, 1993, pag. 4
155
DALLOCCHIO, in “La gestione del credito commerciale e il credit manager”, Dallocchio M., Milano, 1989,
pag. 9
156
DE VITA, in “La gestione del credito commerciale, vendita amministrazione e finanza”, De Vita E., Milano,
1983, pag. 33 e 34
88 -
perdite per interessi non percepiti.
Anche Pagliacci individua tre categorie di rischio ma non legati direttamente al credito, bensì
al rapporto commerciale che viene ad instaurarsi con la clientela; infatti “Per quanto
fondamentali possano essere le informazioni e le considerazioni provenienti dai venditori,
difficilmente saranno sufficienti a dare un quadro completo ed attendibile sui rischi derivanti
da un rapporto commerciale con la clientela.
Sarà quindi utile, che l’ufficio fidi completi ed arricchisca le informazioni fornite dal
venditore all’atto della richiesta di affidamento.
Quante più informazioni saranno raccolte, tanto più sarà possibile realizzare due importanti
obiettivi del processo investigativo con cui si apre l’istruttoria tecnica:
-
confrontare l’attendibilità delle informazioni già raccolte, attraverso nuove fonti;
-
ampliare il quadro informativo su ulteriori profili attinenti il cliente.”157
I rischi individuati dall’autore, sono di tre tipologie, “la prima è rappresentata dai “rischi di
sistema” ovverosia quelli non dipendenti dalla volontà del debitore ma dall’ambito nel quale
avviene lo scambio e nello specifico sono rischi politici che discendono dai rapporti tra i paesi
coinvolti o da atti o fatti generati dalle istituzioni stesse, rischi economici come andamento
tasso di inflazione o di cambio e rischi giuridici legati alla normativa di un paese; poi
troviamo i “rischi operativi” ovverosia quelli che possono scaturire per il manifestarsi di
fattori generati indistintamente dall’azienda fornitrice, piuttosto che da quella cliente ovvero
da soggetti terzi (un esempio possono essere delle disfunzioni che emergono in seguito al
cambiamento di sede ovvero ragione sociale dell’azienda).
Infine nell’ultima categoria rientrano i “rischi di controparte, di credito, di insolvenza”, i
primi, che sono quelli più rilevanti, consistono in qualsiasi evento negativo che può emergere
dal rapporto con il cliente e che sia ad esso imputabile come ad esempio la mancata
esecuzione di un contratto già scritto, ovvero contestazioni non giustificate da fatti
significativi ecc. .”158
Ecco che per risolvere o perlomeno tentare di ridurre eventuali rischi ha preso sempre più
piede la figura del credit manager.
157
PAGLIACCI, in “La politica del credito commerciale nella gestione aziendale”, Pagliacci M. G. R., Milano,
2007, pag. 56
158
PAGLIACCI, in “La politica del credito commerciale nella gestione aziendale”, Pagliacci M. G. R., Milano,
2007, pag. 57
89 Ovviamente non vi sono solo rischi connessi ai crediti, ma anche degli aspetti positivi ad
essi collegati, come sottolineato da De Vita; “ gli effetti favorevoli della concessione di
credito alla clientela non sono soltanto quelli, tangibili, della conclusione di un singolo affare,
ma vanno oltre e riguardano tutto l’andamento dell’attività commerciale e aziendale.
Un’azienda che si presenta sul mercato offrendo facilitazioni di pagamento può
ragionevolmente attendere un effetto positivo in termini di rafforzamento dei legami
commerciali che già intrattiene e di eventuale sviluppo del proprio giro di affari, nonché di
penetrazioni in ambiti in cui non riesce ancora a vendere (nuove fasce di mercato, nuovi
prodotti ecc.).”159
Come rilevato da De Vita, possiamo notare che la concessione dei crediti, oltre ai rischi,
può comportare anche una serie di benefici, infatti, non vi è motivo di interrompere un
rapporto collaborativo instauratosi tra creditore e debitore, perché da un lato “riservandogli
queste condizioni di pagamento interessanti, gratifica e lusinga anche le sue qualità
imprenditoriali” e dall’altro non risulta molto conveniente per il debitore in quanto per poter
interrompere tale rapporto, deve aver prima trovato “migliori condizioni di acquisto o
utilizzare appositi mezzi finanziari per fronteggiare l’effetto della interruzione della sequenza
forniture.”
Un altro aspetto sottolineato dall’autore consiste nel fatto che grazie alla possibilità concessa
al creditore di dilazionare il pagamento, esso potrà aumentare il proprio volume d’affari e,
così facendo, incrementerà gli acquisti presso tale fornitore, il quale vedrà a sua volta
accrescere le vendite. Infine la concessione del credito può essere utilizzata anche come
strumento per penetrare il mercato da parte dell’azienda fornitrice la quale con questo mezzo
può catturare nuovi clienti attratti da questo servizio.160
Concedere crediti alla clientela, come poco fa accennato, permette all’azienda di
ottenere nuovi clienti, attratti dalle dilazioni di pagamento concesse; ovviamente questo
comporta dei costi.
“Money costs money. That principle has to be the foundation upon which all credit
transactions are based – that is to say that the granting of credit, though beneficial for business
as a whole, is not without cost, either to the supplier or to the buyer, or to both. It follows
159
DE VITA, in “La gestione del credito commerciale, vendita amministrazione e finanza”, De Vita E., Milano,
1983, pag. 33 e 34
160
Come affermato da DE VITA, in “La gestione del credito commerciale, vendita amministrazione e finanza”,
De Vita E., Milano, 1983, pag. 31 e ss.
90 therefore that the process of granting credit to customers, and the tasks of risk assessment and
risk analysis, amount to no more than weighing the benefits of granting credit against the cost
to the supplier of doing so. Furthermore, that cost element is not restricted to non-payment, or
bad debt losses, but applies to cost of the credit period itself and the cost incurred in late
payment. It should always be remembered that there is an inevitable time delay between funds
being expended by the seller in acquiring raw materials and paying wages, etc. for the
production and delivery of the goods and the receipt of funds from the buyer in respect of
those goods or services. The cost can be passed on in prices or absorbed by the seller, but
ignored in can never be.
The fact that money does cost money is reflected in interest rates.”161
Anche De Vita, ritiene che concedere crediti alla clientela comporti dei costi correlati
al lasso di tempo intercorrente tra la consegna della merce ovvero la prestazione del servizio e
il pagamento da parte del debitore. “La cessione di prodotti o servizi con pagamento
dilazionato equivale a un prestito in natura, il cui costo è determinato da tre grandezze che
ovviamente sono:
-
la durata;
-
il tasso;
-
il capitale.”162
Pagliacci, individua più di un costo legato alla concessione di credito alla clientela:
-
“costo delle dilazioni di pagamento che come già visto con De Vita, dipende da tre
diversi fattori, la durata, il tasso e il capitale;
-
costo delle perdite su crediti che possono essere dovute a insolvenze, abbuoni,
interessi dovuti ma non ancora incassati; le prime due consistono in un danno
patrimoniale mentre l’ultima è di tipo finanziario:
-
costo delle diverse modalità di pagamento: ogni modalità/mezzo di pagamento,
indipendentemente dalla dilazione a cui si accompagna, genera dei costi tipici che si
manifestano in tre principali forme: costi di gestione del mezzo di pagamento, costi
indiretti e costi di finanziamento per smobilizzo crediti;
161
162
BULLIVANT, in “Credit Management Handbook”,Bullivant G., Burt E., Aldershot, 2004, pag. 19
DE VITA, in “La gestione del credito commerciale, vendita amministrazione e finanza”, De Vita E., Milano,
1983, pag. 38
91 -
costi di amministrazione e gestione delle posizioni creditorie verso clienti: costi di
entità diversa a seconda delle caratteristiche quali-quantitative del parco clienti;
-
costo gestionale e finanziario per la variazione delle scorte: come conseguenza della
variazione dei volumi di vendita, variano anche le entità e la natura delle scorte, con
conseguente variazione nel costo gestionale e finanziario; un aumento dei volumi di
vendita comporta un maggiore fabbisogno finanziario per capitale circolante; oltre a
questi possono anche aumentare i costi gestionali.”163
Possiamo quindi concludere che alle dilazioni di pagamento corrisponde un costo il quale
è funzione della durata del credito, dell’ammontare del capitale e del tasso d’interesse che gli
viene applicato.
4.2
IL CREDIT MANAGER
Vista l’importanza ricoperta dai crediti all’interno dell’azienda, e il periodo che stiamo
vivendo, inizia a diffondersi sempre più, anche tra le imprese di dimensioni minori, la figura
del credit manager.
“La figura professionale è di chiara matrice anglosassone. In Italia, i primi Credit
Manager fecero la loro comparsa solo a partire dalla seconda metà degli anni ’70, quando,
dopo il primo choc petrolifero, che provocò inflazione a due cifre e contingentamento dei
finanziamenti, le imprese dovettero cominciare a cercare al proprio interno le risorse
finanziarie, riducendo il capitale circolante per recuperare redditività. In particolare, le
principali multinazionali chimiche e petrolifere furono le prime a rendersi conto
dell’importanza del ruolo.
Lo sviluppo della figura del Credit Manager partì dal fondo del processo, cioè dal recupero
dei crediti insoluti. Successivamente il ruolo si è evoluto e trasformato, consentendo alle
aziende di conseguire migliori risultati in termini di contenimento dei rischi e salvaguardia
della redditività aziendale.”164
163
PAGLIACCI, in “La politica del credito commerciale nella gestione aziendale”, Pagliacci M. G. R., Milano,
2007, pag. 56
164
CLUBSOLVINET, “Professione credit manager”, 2006, pag. 6
92 “Below the level of the board of directors, somebody has to be responsible for running
the credit function on a day-to-day basis. Although that task requires someone with full
management responsibility, the reality in some organizations is that there is no one who fits
the bill, so the finance director – the board member nearest to the “action” – has to take on the
role.”165
I compiti affidati a questa figura professionale, a differenza di una volta, non sono più
quelli di responsabile dell’ufficio crediti, piuttosto che delle riscossioni o dei clienti, oggi ha
assunto un ruolo fondamentale che ricopre una molteplicità di posizioni.
“Se in passato il gestore del credito era unicamente dedicato alla riscossione degli importi
dovuti, oggi i suoi compiti sono molto più numerosi, articolati e complessi. Non si tratta,
infatti, di seguire esclusivamente il momento finale del processo di affidamento-venditaincasso, ma di informare la prima fase, contribuire attivamente all’assunzione di decisioni
attinenti alla sfera dei rapporti finanziari con la clientela, controllare continuamente eventuali
modificazioni delle notizie raccolte e dei dati elaborati e, solo nell’ipotesi di inconvenienti,
sollecitare i pagamenti ritardati o tentare il recupero degli insoluti.”166
“Il compito del credit manager si risolve nella prevenzione e gestione del rischio di
credito e di controparte, compatibilmente con lo sviluppo del volume d’affari e la
valorizzazione del parco clienti.
Gli obiettivi cardinali della funzione, sono riconducibili a due:
-
ottimizzare il ciclo degli incassi (obiettivo finanziario),
-
minimizzare le perdite su crediti (obiettivo patrimoniale).”167
In merito al primo punto, Pagliacci sostiene che forse potrebbe sembrare più consono
utilizzare il termine “minimizzare” anziché “ottimizzare” poiché più breve è il periodo
riguardante l’incasso, prima si recupera il credito con conseguenze positive sulla liquidità
aziendale e minori oneri di finanziamento. Però ragionando in questo modo non si tiene
conto, come vedremo in seguito, che la concessione di crediti permette di ampliare il
portafoglio clienti e aumentare il livello di fidelizzazione con essi. “L’obiettivo, quindi, della
funzione di Credit Management è di ottimizzare il ciclo di incasso, bilanciando le aspettative
165
BULLIVANT, in “Credit Management Handbook”,Bullivant G., Burt E., Aldershot, 2004, pag. 51
DALLOCCHIO, in “Credit management. Economia e finanza delle politiche commerciali”, Dallocchio M.,
Milano, 1993, pag.21 e 22
167
PAGLIACCI, in “La politica del credito commerciale nella gestione aziendale”, Pagliacci M. G. R., Milano,
2007, pag. 56
166
93 della clientela (massimizzazione delle dilazioni di pagamento) con le attese dell’azienda su un
rapido ciclo degli incassi.”
Per quanto riguarda l’obiettivo patrimoniale questo si ottiene tramite le azioni/decisioni che
vengono effettuate e prese in ogni fase che caratterizza il rapporto con il cliente ovvero sia in
quella di selezione, di affidamento, di contrattazione, di monitoraggio che nell’eventuale
ultimo caso di gestione degli insoluti e del recupero crediti.168
Manca, ha stilato una lista contenente i compiti ricoperti dal credit manager ovverosia:
-
programmare i criteri di gestione del credito commerciale, che vanno dai rapporti
contrattuali con il cliente alla fase che si occupa di recuperare l’incasso degli importi
dovuti all’impresa;
-
individuare e poi presentare all’area commerciale eventuali tecniche e soluzioni che si
ritengono più adattate volte a perfezionare il rapporto con i nuovi clienti e a
conservare la relazione con quelli già presenti;
-
individuare strumenti atti a prevenire il pericolo di mancato incasso, effettuare una
selezione della nuova clientela e un’analisi relativa allo stato e alle qualità di quella
esistente;
-
occuparsi del recupero dei crediti, utilizzando lo strumento adeguato all’importo e alla
tipologia di cliente;
-
avviare le operazioni semmai necessarie per un recupero giudiziale del credito, con la
possibilità di giungere a una transazione e in generale ad un accordo stra-giudiziale;
-
stilare sistematicamente un rapporto contenente informazioni relative allo stato
globale dei crediti, agli atteggiamenti della clientela e qualsiasi ulteriore informazione
che può risultare rilevante all’imprenditore per poter compiere le proprie scelte.169
Come abbiamo visto, il credit manager svolge una molteplicità di ruoli e può quindi
essere inserito in diverse aree aziendali.
“La maggiore sensibilità delle imprese verso il tema «credito» ha contribuito allo
sviluppo di una vera e propria funzione di credit management nella sua accezione più
completa (prevenzione, gestione, controllo, recupero) con ampie autonomie gestionali,
168
Aspetti trattati da PAGLIACCI, in “La politica del credito commerciale nella gestione aziendale”, Pagliacci
M. G. R., Milano, 2007, pag. 202 e ss.
169
MANCA, in “L’importanza dell’attività di smobilizzo dei crediti nella gestione della liquidità”, in
Amministrazione & Finanza, Manca F., 6/2013, pag. 80 e 81
94 armonizzate e coordinate con la politica commerciale dell’azienda. In questo nuovo contesto
la funzione di credit management trova una collocazione diversa nell’organigramma
aziendale, dipendendo non solo dalla direzione amministrativo/finanziaria, ma anche dalla
direzione commerciale, dalla direzione logistica od operativa, oppure dalla direzione generale.
Le competenze del Credit Manager sono cresciute di conseguenza: oltre alle preesistenti
conoscenze amministrative e legali si aggiungono competenze finanziarie, relazionali,
informatiche e gestionali. Il «nuovo» Credit Manager è il principale riferimento per le
differenti esigenze di clienti, forza vendita e reparti amministrativi.
In un’ottica previsionale, verificando anche quanto succede negli altri paesi più evoluti, il
Credit Manager diventa:
-
maggiormente dotato di capacità di comunicare;
-
maggiormente dotato di managerialità;
-
maggiormente orientato all’outsourcing di servizi secondari.”170
Attraverso queste considerazioni, gli autori hanno individuato posizioni diverse in cui
collocare la figura del Credit Manager, oltre alla classica sistemazione nell’area
amministrativo-finanziaria:
-
“all’interno della direzione commerciale”: in questo caso il vantaggio deriva dal fatto
che attraverso questa scelta, si ricorre al credito commerciale come mezzo per
invogliare il cliente all’acquisto facendo quindi leva sulla motivazione;
-
“all’interno della supply chain o del customer service”: questa scelta dipende dal fatto
che il reparto crediti in tale ambito gestisce i vari ordini, acconsentendo la conferma e
la preparazione; se ci si occupa anche degli aspetti di customer care, ovverosia le
relazioni con i clienti, il credit management può individuare eventuali problemi o
disservizi che si vengono a creare, con l’obiettivo di migliorarli in modo tale da non
incorrere in mancati pagamenti dovuti a contestazioni sui prodotti o servizi offerti;
-
“in dipendenza diretta o in staff alla direzione generale”: questa posizione la si trova
normalmente nelle organizzazioni più sviluppate e si pone con l’obiettivo di
mantenere un’equidistanza tra le varie funzioni presenti. “Rispondendo soltanto alla
direzione generale, il Credit Manager ricopre un ruolo di corretto esecutore della
credit policy, che non troverebbe lo stesso livello di consenso e di applicabilità se
170
CLUBSOLVINET, “Professione credit manager”, 2006, pag. 8
95 emanata da altre Direzioni, poiché ne farebbero un utilizzo vicino alle proprie
specifiche esigenze.”171
Questo aspetto, è stato trattato anche da Dallocchio, il quale sostiene che “la sola
istituzione di un organismo (o la nomina di una persona) con la responsabilità della gestione
del credito commerciale non può dunque garantire apprezzabili risultati, in mancanza di
un’adeguata preparazione e di un opportuno posizionamento organizzativo. Quest’ultimo può
essere previsto in più modi, spesso assai diversi fra loro. Le soluzioni più comunemente
riscontrabili nella prassi prevedono il collocamento all’interno della funziona amministrativa,
come staff alla direzione vendite-commerciale; in seno alla direzione finanziaria, a stretto
contatto con l’amministrazione e come staff alla direzione generale.”172
Per ciascuna posizione organizzativa, l’autore individua vantaggi e svantaggi: in merito
alla prima, ovverosia la collocazione all’interno della funzione amministrativa, afferma che da
un lato si garantisce la puntualità dei pagamenti, in quanto il credit manager corrisponde al
capo contabile, che risponde direttamente al direttore amministrativo, dall’altro però tende a
limitare l’accrescimento della capacità promozionale autonoma della funzione, ovverosia
potrebbe essere piuttosto avverso a concedere condizioni di pagamento più favorevoli per il
cliente, o aumenti riguardanti i limiti di fido.
Nel caso invece assuma la posizione di staff alla direzione vendite-commerciale, i vantaggi
derivanti sono molteplici, infatti come detto anche dall’altro autore, può essere visto come
strumento di marketing allo scopo di creare un interesse da parte del cliente, ovvero con
riferimento al budget, si possono definire le politiche di credito allo scopo di raggiungere i
traguardi prefissati e infine a livello organizzativo, “si può prevedere un’indicizzazione delle
commissioni alle performance di pagamento dei clienti.” All’opposto però, c’è un minor
controllo dello stato nel quale versano gli acquirenti e questo può comportare eventuali
perdite su crediti.
Se invece il credit manager viene collocato all’interno della direzione finanziaria, a differenza
delle due precedenti situazioni, non subisce la loro influenza e può prendere le proprie
decisioni ed effettuare le scelte autonomamente; “Lo stretto contatto con il direttore
finanziario gli permette di delineare politiche sempre coerenti con l’assetto finanziario
d’impresa o, viceversa, di predisporre un’adeguata struttura del passivo, in previsione di
171
172
Aspetti trattati da CLUBSOLVINET, “Professione credit manager”, 2006, pag. 8
DALLOCCHIO, in “Credit management. Economia e finanza delle politiche commerciali”, Dallocchio M.,
Milano, 1993, pag.25
96 azioni particolari.” Presenta però anche degli aspetti negativi, ovverosia “essa postula,
implicitamente la presenza di un sistema di comunicazioni efficace ed efficiente, che
trasmetta, rapidamente e con precisione, tutte le informazioni provenienti dalle altre aree
funzionali di cui il credit manager necessita. D’altra parte questo deve necessariamente
caratterizzarsi per una formazione multifunzionale, e non esclusivamente di carattere
finanziario, data la natura dei propri interlocutori.” Inoltre un ulteriore limite, può essere dato
dal fatto che spesso, l’area finanziaria non è che un ramo del reparto amministrativo.
Infine può essere inserito come posizione di staff alla direzione generale “dovendo in
pratica rispondere soltanto alla direzione generale, il credit manager, oltre a godere di tutti i
vantaggi della precedente alternativa, ricopre un ruolo che gli garantisce uno status in sintonia
con le funzioni e le responsabilità affidategli.
Si potrebbe obiettare che il solo collocamento non consentirebbe lo svolgimento di una
funzione direzionale, essendo la prima di regola interpretata alla stregua di un organismo di
consulenza interna, priva di un ruolo decisionale. È certo che per essere efficaci, le risoluzioni
del credit manager devono essere fatte proprie dalla direzione generale, la quale deve avallare
le direttive conseguenti.” 173
In merito alla collocazione organizzativa della figura del credit manager però, Pagliacci174
sostiene che non esiste una collocazione organizzativa preferibile ad un’altra o una migliore
in termini assoluti, ma il tutto dipende dalle caratteristiche dell’azienda, dalle sue dimensioni,
dal contesto nel quale opera e a come pensa di organizzare le sue politiche di credito.
Il Credit Manager, vedendo le varie sfaccettature che può avere, è una figura che richiede
particolari caratteristiche e abilità, vediamone ora alcune; “the credit manager must:
-
be able to influence others
-
have good communication skills
-
have top-level support
173
I vantaggi e gli svantaggi riportati in questo testo, sono quelli individuati da DALLOCCHIO, in “Credit
management. Economia e finanza delle politiche commerciali”, Dallocchio M., Milano, 1993, pag.25 e ss.
174
In proposito PAGLIACCI: “Alcuni saggi che si occupano di gestione del credito commerciale dedicano parte
della loro trattazione alla collocazione organizzativa del manager aziendale che ha la responsabilità dei
crediti commerciali. Ogni trattazione propone come ottimale quella che più risponde alla formazione
culturale dell’Autore, e non potrebbe essere altrimenti; cosicché sulla materia possono evidenziarsi posizioni
diversificate, ognuna con la pretesa di essere la migliore. In realtà non esiste una collocazione organizzativa
migliore in assoluto, essendo legata ad una molteplicità di fattori, non ultima la dimensione aziendale ed il
contesto in cui ci si trova ad assumere una tale decisione.” in “La politica del credito commerciale nella
gestione aziendale”, Pagliacci M. G. R., Milano, 2007, pag. 199
97 -
perform consistently
-
be experienced in successful credit techniques.
… A good place to start would be to look at personal qualities, because much of the credit
manager’s daily role will be dominated by matters of personality. Tact, - knowing when and
when not to, how and why. Diplomacy – being right, being sure of the facts and convincing
others who disagree at the outset, for whatever reason – requires careful persuasion and also
patience and understanding. The authors of reminder letters to be sent to customers know they
must be “firm, but fair” – so too must the credit manager – and be seen to be his or her staff.
Good organizing skills are essential, as is the ability to handle people. ...
Persistence and tenacity, accounting ability and a good telephone manner are in there
somewhere together with a pleasant personality and, above all, integrity. …
The credit manager needs to motivate staff. The prerequisite for this is to find out what
drives each and every member of staff and find ways of encouraging each one according to
those individual needs. …
A team is made up of people with different abilities and motivations – those who can or
cannot use the phone effectively, those who can or cannot readily reconcile accounts – and the
aim of each is to succeed of each. …
The manager must have the ability to support as well as motivate. In fact, strong support
from the leader is itself a motivating factor for each member of the team. Staff want to believe
that the manager can resolve those problems that lie within his or her domain, and would also
respond to a manager who has earned the support of senior management.”175
Ecco quindi che come rilevato da Bullivant, il credit manager nello svolgimento del suo
operato deve soddisfare una serie di requisiti, innanzitutto bisogna essere consapevoli di ciò
che si sta per dire o fare, sapere fino a dove si può arrivare e cercare di assumere un
atteggiamento piuttosto deciso che tenda a convincere anche chi non è d’accordo, inoltre deve
essere una persona tenace, che si sa rapportare con la gente, e deve avere buone abilità in sede
di organizzazione, infatti uno dei suoi obiettivi è quello di motivare e stimolare lo staff.
175
BULLIVANT, in “Credit Management Handbook”,Bullivant G., Burt E., Aldershot, 2004, pag. 51
98 4.3
COME POSSONO AFFRONTARE IL PROBLEMA DELLA GESTIONE DEI
CREDITI LE AZIENDE
La gestione del credito è un’operazione molto importante svolta all’interno
dell’azienda e “i manager aziendali devono considerare di primaria importanza l’impostare
una politica di Credit Management.”176
La politica del credito, può essere vista come l’insieme di obiettivi e regole che si da
un’impresa per regolare il rapporto che intrattiene con la clientela allo scopo di raggiungere il
miglior risultato possibile.
Non è tuttavia ammissibile individuare un modello di politica del credito applicabile alle varie
tipologie di aziende, infatti, ogni impresa presenta caratteristiche proprie dipendenti dal
settore nel quale opera, dalle sue dimensioni e dagli obiettivi che ci si è prefissati di
raggiungere.
Data l’importanza, questa operazione non deve essere svolta saltuariamente ma, al contrario
deve essere effettuata costantemente, per non incorrere in eventuali rischi.
Dallocchio afferma che per poter definire la politica del credito, è opportuno
individuare degli obiettivi e i più diffusi possono essere considerati:
-
l’incremento delle vendite ottenibile non solo grazie ai clienti con i quali si è già
instaurato un rapporto di fidelizzazione ma cercando anche di attrarne di nuovi;
-
la riduzione delle perdite per inesigibilità,
-
la riduzione dei costi di gestione del credito e infine
-
la riduzione del costo dell’investimento in credito commerciale.
L’autore tiene a precisare che questi obiettivi non devono essere considerati singolarmente
perché altrimenti potrebbero portare a valutazioni, scelte o decisioni sbagliate; inoltre egli
identifica una serie di decisioni che, secondo il suo punto di vista, sono quelle che
identificano la politica del credito e riguardano:
-
le modalità e gli standard di affidamento,
-
dilazioni di pagamento, interessi applicati sui pagamenti ritardati, politiche di prezzo
differenziate;
- sconti per pagamenti anticipati;
176
CLUB SOLVI NET, “Professione credit manager”, Club Solvi Net (a cura di), 2006, pag. 105
99 -
forme di regolamento;
-
modalità di controllo delle conseguenze dell’investimento in credito commerciale.177
La gestione dei crediti negli ultimi anni è diventata argomento sempre più di interesse;
molti autori si sono infatti preoccupati di come affrontare i rischi e i problemi connessi al
credito. Vediamo ora qualche contributo che può essere particolarmente interessante.
“In un contesto di mercato complesso e difficile come quello attuale, le aziende sono
chiamate a una gestione sempre più attenta e tempestiva sia delle variabili che influenzano il
valore economico, cioè la capacità di generare profitti operativi stabili nel tempo, sia delle
variabili che determinano l’equilibrio della struttura finanziaria, in particolar modo delle leve
che influenzano il capitale circolante netto che è la principale fonte di generazione di cassa
dell’azienda.”178
Piccoli afferma che, nella situazione in cui versano oggi le imprese, la verifica
periodica riguardante l’andamento degli incassi e il recupero dei crediti scaduti ma non ancora
riscossi, rappresenta il fulcro delle attività per l’impresa per garantirle una certa stabilità
finanziaria ed evitare un uso eccessivo dell’indebitamento.
Qualora un’azienda si trovi di fronte a crediti scaduti e non ancora riscossi, interviene la
funzione a questo preposta, il credit management ovvero il customer care, allo scopo di
sollecitare il mancato pagamento che può avvenire tramite lettera piuttosto che telefonata;
eventualmente nel prosieguo potrà essere effettuato un incontro tra creditore e debitore allo
scopo di raggiungere un’intesa in merito alla mancata esecuzione dei propri adempimenti.
Nel caso in cui questa fase non porti i risultati sperati, la fase successiva consiste nel recupero
attraverso prima il “precontenzioso stragiudiziale” e poi con il “contenzioso legale”.
L’autore sottolinea però che, talvolta, può essere conveniente per il creditore affidare a
soggetti esterni specializzati la gestione del credito in quanto permettono di ottenerlo
attraverso azioni più efficaci e veloci. Ovviamente, sia che l’azione di recupero sia svolta
all’interno dell’azienda sia che venga affidata ad esterni, è opportuno comunque effettuare
delle valutazioni in merito ai costi da sostenere.
177
DALLOCCHIO, in “Credit management. Economia e finanza delle politiche commerciali”, Dallocchio M.,
Milano, 1993, pag.25
178
PICCOLI, in “La gestione dei crediti in outsourcing e la cessione dei bad debts”, in Contabilità Finanza e
Controllo, Piccoli D., 12/2011, pag. 962
100 Ecco che l’autore sottolinea l’importanza di individuare un punto di minimo che ha l’obiettivo
di indicare la convenienza economica nel percorrere ciascuna fase di recupero; quest’analisi è
definita break even per la cessione dei bad debts.
Il punto di minimo si ottiene “sottraendo al valore iniziale del credito il totale dei costi di
gestione presunti e degli oneri finanziari, oltre agli accantonamenti, per ottenere in tale modo
un valore netto di crediti da incassare, al di sotto del quale non conviene procedere con le
azioni di recupero più costose.” Se quindi il valore del credito netto risulta essere inferiore al
punto di break even, i crediti non ancora incassati verranno trasferiti a perdita o in alternativa
si può affidare a soggetti esterni l’attività di precontenzioso/contenzioso.179
Un altro contributo è quello offerto da Manca, il quale rileva che le crisi economiche
generano non pochi problemi alle imprese mettendo a dura prova la loro abilità di superare
questi periodi nei quali emergono le inefficienze che probabilmente erano state trascurate ma
che devono ora essere affrontate.
A ciò si aggiunge il problema legato ai clienti, i quali trovandosi nella medesima situazione, e
non essendo in grado di far fronte al problema della liquidità, possono ritardare i pagamenti
ed eventualmente in alcuni casi sospenderli definitivamente.
L’autore affronta il problema di come ridurre il rischio provocato dal mancato incasso180,
agendo in “tre modi differenti, non alternativi”:
-
il primo consiste nel “valutare la controparte” attraverso un incontro, ma come da lui
sottolineato, è particolarmente rischioso in quanto basato su impressioni soggettive per
cui non particolarmente affidabile;
179
PICCOLI, in “La gestione dei crediti in outsourcing e la cessione dei bad debts”, in Contabilità Finanza e
Controllo, Piccoli D., 12/2011, pag. 962 e ss.”
180
Manca propone tre modi diversi rispetto a quelli classici che in questo periodo possono risultare difficili da
attuare“Di fronte alla mancanza di una somma di denaro o, il che è lo stesso, in presenza di un fabbisogno
finanziario (aggiuntivo) da soddisfare, l’impresa potrebbe ricorrere alle tre forme canoniche di copertura: il
capitale proprio, il capitale di credito e l’autofinanziamento; ma tenendo conto che tali carenze di liquidità
sopraggiungono in modo tendenzialmente inatteso, il ricorso ai soci non è una soluzione praticabile (visti i
tempi e le formalità necessarie), soprattutto essendo il capitale proprio una fonte di finanziamento di lungo
termine e utilizzata di solito nei momenti importanti della vita di un’azienda. La seconda forma esterna di
copertura – il capitale di credito – è sicuramente percorribile, a patto che si utilizzino delle somme di denaro
già destinate a simili scopi almeno potenzialmente (come gli scoperti di c/c), altrimenti le cose si complicano,
vuoi che si ricorra a nuovi prestiti, vuoi che si tenti di utilizzare il debito di fornitura. … Ricorrere
all’autofinanziamento infine significa sviluppare flussi di cassa operativi netti in misura superiore a quanto
già avviene il che corrisponde a ricercare un aumento delle entrate e/o una riduzione delle uscite.” MANCA,
in “L’importanza dell’attività di smobilizzo dei crediti nella gestione della liquidità”, in Amministrazione &
Finanza, Manca F., 6/2013, pag. 78
101 -
il secondo metodo è quello di catturare informazioni riguardanti la capacità del cliente
di far fronte ai propri impegni, analizzando il bilancio o catturando informazioni
“attraverso vere e proprie attività di investigazione”. Tali informazioni, possono essere
individuate tramite indagini quantitative che prevedono quindi l’uso di indicatori,
ovvero qualitative che si “focalizzano su elementi documentali e di comportamento”;
le informazioni derivanti da quest’ultima tipologia di reperimento delle informazioni,
vanno a completare quanto individuato attraverso le indagini di tipo quantitativo.
-
Infine “predisporre dei contratti di vendita che contengano delle clausole di
salvaguardia in numero e di intensità variabili a seconda del rischio che si teme di
correre.”
Indipendentemente dal metodo scelto, Manca consiglia di affidare comunque la gestione dei
crediti alla figura a questo preposta, ovverosia il credit Manager.181
La tendenza dal punto di vista economico che sta caratterizzando questo periodo,
influisce negativamente anche sulla qualità del credito commerciale che vede sempre più
spesso, i debitori in posizioni di sofferenza. In questa circostanza, potrebbe essere
fondamentale riuscire a fare una valutazione del rischio.
Di questo si sono occupati Calori e Perego i quali ritengono che nella situazione di crisi nella
quale ci troviamo attualmente, è importante poter effettuare una stima del rischio legato
all’insolvenza dei crediti per i mesi successivi.
Gli autori partono dalla definizione del modello previsto per il calcolo del fondo rischio a una
data precisa e ciò è possibile prendendo in considerazione tre elementi, le classi di rischio che
esprimono la “qualità” del credito, le classi di ageing che ordinano i vari crediti in relazione al
tempo decorso dalla data di scadenza del pagamento e infine la matrice delle percentuali di
rischio che individua le percentuali di rischio da applicare al credito.
Questo modello può essere applicato a ciascun cliente qualora non siano numerosi, viceversa
è possibile raggrupparli secondo categorie omogenee.
Se vogliamo invece fare una previsione riguardante il rischio nel quale può incorrere
l’azienda in futuro, nei mesi successivi, non quindi come nel caso precedente in una data
precisa, bisogna stimare quanto del credito sorto inizialmente si riesce a recuperare e quanto,
al contrario, deve essere spostato ad un'altra classe di rischio che implica un accantonamento
superiore rispetto a quello iniziale; per ogni classe di rischio, questi valori devono essere
181
MANCA, in “L’importanza dell’attività di smobilizzo dei crediti nella gestione della liquidità”, in
Amministrazione & Finanza, Manca F., 6/2013, pag. 77 e ss.
102 convertiti in termini percentuali. “Combinando lo stock iniziale dei crediti con queste
percentuali, è possibile derivare per ogni combinazione di classe di rischio/classe di ageing, la
relativa consistenza nei 12 mesi previsionali.”
Le previsioni fatte fino a questo momento però riguardano solo l’evoluzione dei crediti a
partire da una certa data ma, nella realtà parte del credito futuro, dipenderà anche dalle
vendite che saranno effettuate in seguito che non sono state fin qui considerate.
È quindi opportuno fare una stima del fatturato atteso per le tipologie di clientela utilizzate nel
modello di calcolo del fondo, così da poter determinare l’ammontare del credito.
La conversione del fatturato in credito, dipende da due fattori strettamente legati tra loro cioè
“la modalità di pagamento accordata alla clientela” in quanto un sistema di pagamento
piuttosto che un altro, può far variare in positivo ovvero in negativo la percentuale di fatturato
che viene incassata entro le scadenze pattuite.
Il credito previsionale così determinato deve essere poi distribuito tra le varie classi di rischio
in base alle quali è possibile poi trarre proprie considerazioni.182
Infine dei ritardi nei pagamenti, tipico limite del nostro Paese poiché riguarda anche i
ritardi accumulati dalla pubblica amministrazione nei confronti delle imprese, se n’è occupata
anche l’Unione Europea con la direttiva 2011/7/UE allo scopo di disciplinare i pagamenti
relativi alle transazioni commerciali che avvengono tra i paesi membri dell’Unione Europea.
Tale direttiva riguarda sia i crediti tra imprese che quelli tra imprese e Pubblica
Amministrazione e “contiene una serie di norme volte a garantire una maggiore affidabilità
nei pagamenti al fine di assicurare alle imprese localizzate negli stati membri dell’Unione
Europea regole certe sui tempi di pagamento, sulle modalità di quantificazione degli interessi
di mora, sulla corresponsione degli oneri connessi al recupero del credito, migliore efficienza
nelle procedure di recupero del credito al fine di evitare che queste siano soggette degli abusi
da parte di soggetti che si trovano in una posizione rilevante.”183
Per quanto concerne i rapporti tra impresa e pubblica amministrazione, la direttiva è
intervenuta in due punti, il primo riguarda i tempi di pagamento e le Amministrazioni
Pubbliche, sono tenute a saldare i propri debiti entro trenta giorni dalla richiesta di
182
183
CALORI, PEREGO, in “La valutazione del rischio del credito commerciale”, in Amministrazione &
Finanza, Calori G., Perego N., 9/2013 pag. 53 e ss.
ZARBO, in “Ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, quali le misure anti-crisi?”, in
Amministrazione & Finanzia, Zarbo T., 1/2012, pag. 87
103 pagamento, ovvero sessanta giorni se espressamente indicato nel contratto di fornitura o “se
esiste un giustificato motivo in relazione alla tipologia di fornitura che giustifichi un maggiore
termine di pagamento.” Il secondo punto riguarda gli interessi di mora che la Pubblica
Amministrazione dovrà obbligatoriamente dare qualora il pagamento venga effettuato oltre i
30/60 giorni previsti, senza che l’impresa compia ulteriori azioni.
In merito ai crediti sorti in seguito a rapporti tra imprese, il termine massimo di pagamento è
di sessanta giorni dal ricevimento della richiesta di pagamento ma questo non è un obbligo
per le imprese, le quali possono prevedere periodi di pagamento più lunghi; ciò deve però
essere fissato nel contratto e non deve recare alcun danno alle controparti. Per quanto riguarda
gli interessi, è stato anche qui introdotto il calcolo automatico dalla data di scadenza del
pagamento.
Infine la direttiva regola anche i costi sostenuti dal creditore in caso di mancato pagamento
del debitore oltre la scadenza, che vanno ad aggiungersi agli interessi di mora.
I costi fissati dalla direttiva sono: “un rimborso forfettario di € 40,00 per ciascun
inadempimento, esigibile in automatico senza alcuna ulteriore richiesta al debitore moroso, il
quale può essere incrementato caso per caso dei costi eccedenti tale somma sostenuti dal
creditore per recuperare il credito, in particolare: spese legali, costi legati all’affidamento ad
una società di recupero crediti e infine i costi amministrativi interni sostenuti per gestire la
pratica.” Infine la direttiva prevede un eventuale ulteriore risarcimento dovuto per danni
aggiuntivi che dipende però dalla volontà del giudice.
Ecco quindi che l’obiettivo di questa direttiva può essere considerato proprio quello di
cercare di scoraggiare il debitore a ritardare i pagamenti anche grazie a queste sanzioni
previste.184
184
ZARBO, in “Ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, quali le misure anti-crisi?” in
Amministrazione & Finanza, Zarbo T., 1/2012, pag. 36 e ss.
104 4.4
L’IMPORTANZA DEL CREDIT MANAGEMENT PER LE AZIENDE: I
RISULTATI DI UNA RICERCA EFFETTUATA DA CRIBIS D&B - FORMAT
Nei precedenti paragrafi, è emerso che la gestione dei crediti ricopre un ruolo molto
importante per le aziende, le quali si stanno occupando sempre più di questo aspetto,
inserendo anche tra le imprese di minori dimensioni la figura del credit manager.
Per meglio capire l’importanza che riveste il credito commerciale nella realtà
aziendale, si riportano i risultati di una ricerca,185 effettuata nel 2011, quindi in piena crisi
economica, che mira a sottolineare come in seguito all’aumento degli insoluti, accresce
l’attenzione circa la gestione dei crediti e dei pagamenti.
“Ridurre gli insoluti, abbreviare i tempi di pagamento, generare cash per autofinanziare i
propri investimenti, salvaguardare il working capital e la solidità patrimoniale dell’impresa,
sono le priorità oggi per Amministratori delegati, CFO e direttori amministrativi. Così oggi
quattro imprese su dieci attribuiscono proprio alla gestione dei crediti commerciali un ruolo
determinante nell’ambito della propria organizzazione, tre su dieci un ruolo organizzativo nei
processi aziendali.”186
L’indagine è stata effettuata nell’aprile del 2011 da parte di CRIBIS D&BFORMAT187 su di un campione di 1000 casi, rappresentativo delle imprese italiane, con un
fatturato superiore ai 2,5 milioni di euro, ovvero un numero di addetti superiore a 10, la cui
forma giuridica è di società di capitali.
La ricerca è stata eseguita per mezzo di interviste telefoniche a Direttori Finanziari, Direttori
amministrativi e imprenditori; dall’analisi è emerso che sette aziende su dieci hanno subito
185
I dati riportati sono stati reperiti nel sito CRIBIS D&B e in due articoli pubblicati nella rivista
Amministrazione & Finanza: uno di Marco Preti (Amministratore Delegato CRIBIS D&B - Gruppo Crif) n.
11/2011 e in un altro di Temeroli Claudia n. 11/2012
186
TEMEROLI, in “Migliorare la gestione dei pagamenti per salvaguardare le performance finanziarie”,
Temeroli C., in Amministrazione & Finanzia, 11/2012, pag. 57
187
La ricerca è frutto di una collaborazione tra CRIBIS D&B e l’istituto di ricerca FORMAT. Come specificato
da Preti, “CRIBIS D&B è la realtà del gruppo Crif specializzata nelle business information il cui obiettivo è
fornire i più elevati standard qualitativi in termini di copertura dell’universo di riferimento, approfondimento
e accuratezza delle informazioni, capacità e flessibilità tecnologica, sistemi decisionali e modelli di scoring.
L’istituto di ricerca Format opera nel settore degli studi sociali ed economici realizzati con il metodo delle
interviste e lavora per conto di alcuni ministeri e di alcune agenzie del governo italiano, per banche, camere
di commercio e associazioni di categoria e per altri istituti di ricerca sia pubblici che privati.” In “Credit
management sempre più strategico per le imprese italiane”, in Amministrazione & Finanza, Preti M.,
11/2011, pag. 85
105 almeno un insoluto di importo piuttosto significativo nell’ultimo anno e che quattro su dieci
dichiarano una dilazione dei tempi di riscossione.
Come sottolineato nel report pubblicato nel sito di CRIBIS D&B, “in una situazione
economica difficile come quella attuale, il credit management diventa sempre più strategico
ma anche più complesso per le imprese italiane, che se da una parte implementano i processi
di gestione delle informazioni, per le decisioni sul credito, dall’altra sono costrette a studiare
nuove strategie per la gestione del capitale circolante (cioè l’ammontare delle risorse che
compongono e finanziano l’attività operativa di un’azienda). E il tempo medio d’incasso (il
cosiddetto “Day sales outstanding” o Dso) è ormai un parametro cruciale nella
determinazione degli obiettivi finanziari.”188
“Le variabili utilizzate nell’indagine hanno cercato di analizzare:
-
come sono cambiate procedure e policy delle imprese visti i cambiamenti intervenuti
tra il 2009 e il 2010;
-
con quali finalità sono stati adottati i cambiamenti relativi a procedure e policy delle
imprese;
-
qual è stato l’impatto prodotto dai cambiamenti sulle strutture deputate all’interno
delle imprese per la gestione del rischio del credito.”189
Vediamo ora i risultati derivanti dalla ricerca:
La gestione dei crediti commerciali, come già notato in precedenza, nel periodo più recente ha
assunto un ruolo sempre diverso e sempre più importante; dal diagramma, emerge che nel
periodo osservato, il 42,8% del totale ritiene che il credito commerciale svolga un ruolo
fondamentale all’interno dell’organizzazione, mentre per il 31,9% degli intervistati, ha un
ruolo prettamente organizzativo, integrato nei vari processi dell’azienda. Il restante 25,3%
pensa che abbia un compito consultivo, valore che è sceso rispetto al periodo 2010-2011.
188
189
Nota contenuta nell’analisi pubblicata il 20 settembre 2011, nel sito CRIBIS D&B.
PRETI, in “Credit management sempre più strategico per le imprese italiane” in Amministrazione &
Finanza, 11/2011, pag. 85 e 86
106 Ruolo del credito commerciale
Fonte: Osservatorio CRIBIS D&B - FORMAT sul credit management
In merito al processo order-to-cash, cioè quello che inizia con la ricezione dell’ordine
d’acquisto e termina con il pagamento della somma da parte del debitore, passando per la
fornitura del bene o servizio al cliente, le attività alle quali le aziende rivolgono
maggiormente l’attenzione, sono la cura delle procedure di sollecito, la gestione del credito
scaduto, i processi di raccolta delle informazioni e l’intervento sui modi di pagamento.
Procedure OTC
Fonte: Osservatorio CRIBIS D&B - FORMAT sul credit management
“A queste attività fanno riscontro le soluzioni adottate per la gestione del credito e le
definizioni delle relative policy aziendali.
Per quanto riguarda le soluzioni adottate per la gestione del credito, quelle più frequenti sono
il sollecito del pagamento per via telefonica nei primi 15 giorni successivi alla data di
scadenza (impiegata dal 70% circa delle imprese) e la compilazione di piani di rientro
dilazionati, diversificati per cliente (40% circa delle imprese).
107 Il sollecito dei pagamenti per via telefonica è più accentuato presso le piccole imprese del
commercio mentre le strategie differenziate sono più diffuse tra le medie e le grandi
imprese.”190
Attività di recupero del credito
Fonte: Osservatorio CRIBIS D&B - FORMAT sul credit management
In merito invece alle policy, quelle alle quali le aziende ricorrono più frequentemente, per far
fronte agli insoluti, risultano essere termini di pagamento più restrittivi (42,5% delle imprese)
e politiche di selezione più severe (40,8% del totale).
Policy attuale per far fronte agli insoluti
Fonte: Osservatorio CRIBIS D&B - FORMAT sul credit management
190
TEMEROLI, in “Migliorare la gestione dei pagamenti per salvaguardare le performance finanziarie”,
Temeroli C., in Amministrazione & Finanzia, 11/2012, pag. 59
108 Da quest’indagine è inoltre emerso che le imprese utilizzano sempre più come indicatore di
performance il Dso (Days Sales Outstanding) il quale, nonostante sia stato indicato solo dal
36,2% delle aziende, permette di calcolare la media dei giorni necessari all’azienda per poter
incassare i crediti dall’emissione della fattura.
“La previsione della Dso influisce sulla determinazione degli obiettivi finanziari delle imprese
in maniera «molto» o «abbastanza» elevata per quattro imprese su dieci e in funzione delle
previsioni della Dso le imprese adottano politiche differenti per salvaguardare l’esposizione
finanziaria dal rischio di ritardo nei pagamenti.”191
Secondo Preti, “l’Osservatorio dimostra come le imprese abbiano sempre maggiore
consapevolezza dell’importanza di una corretta gestione del circolante e della Dso. Di
conseguenza per le imprese è divenuto essenziale adottare efficaci politiche di risk
management che, attraverso strumenti adeguati, consentano di individuare i segnali che
vengono dal mercato e dalla propria clientela. Soprattutto è fondamentale riuscire ad
intercettare quei segnali deboli, ovvero quei cambiamenti di comportamento che possono
consentire di intercettare per tempo i mutamenti nel proprio contesto competititvo.”192
Come affermato da Temeroli, dalla breve analisi sopra riportata, le aziende si stanno
impegnando a individuare metodi e strumenti che gli permettano di monitorare l’andamento
dei vari clienti in modo da individuare tempestivamente e cercare di limitare eventuali
possibili rischi e poter inoltre effettuare delle ipotesi sui propri flussi di cassa.193
191
TEMEROLI, in “Migliorare la gestione dei pagamenti per salvaguardare le performance finanziarie”,
Temeroli C., in Amministrazione & Finanzia, 11/2012, pag. 60
192
PRETI, in “Credit management sempre più strategico per le imprese italiane” in Amministrazione &
Finanza, 11/2011, pag. 89
193
TEMEROLI, in “Migliorare la gestione dei pagamenti per salvaguardare le performance finanziarie”,
Temeroli C., in Amministrazione & Finanzia, 11/2012, pag. 57 e ss.
109 110 CONCLUSIONI
Ciò che risulta dall’elaborato è innanzitutto l’importanza assunta dai crediti nelle loro
varie sfaccettature, sia se riferite alle norme di redazione del bilancio di esercizio, siano esse
civilistiche, piuttosto che principi contabili nazionali e internazionali, sia in termini di analisi
di bilancio, che di gestione dei crediti.
I principi contabili nazionali sono stati sottoposti ad un processo di revisione che non
si è ancora concluso e, dal punto di vista di chi scrive, seppure in merito ai crediti non abbia
stravolto quanto già previsto dal vecchio OIC, ha comunque introdotto delle modifiche
rilevanti.
A livello generale, grazie al nuovo layout più simile a quello previsto per i principi contabili
internazionali, è possibile identificare più agevolmente le modifiche intervenute, grazie anche
alla presenza dell’abstract, il quale sintetizza le novità introdotte e permette anche di favorire
il processo di armonizzazione tra i principi nazionali e internazionali.
Entrando nel merito, per quanto riguarda la valutazione dei crediti è innanzitutto opportuno
distinguere quelli che hanno un profilo di rischio piuttosto elevato, da quelli di certo realizzo;
al momento della valutazione, infatti, abbiamo visto che è fondamentale iscrivere nello stato
patrimoniale i crediti in base al valore di presunto realizzo e quindi al netto di eventuali fondi
rettificativi.
I crediti a media-lunga scadenza, abbiamo visto essere caratterizzati dalla presenza di
un interesse che può essere esplicito ovvero implicito. Nel secondo caso si è tenuti ad adottare
il processo di attualizzazione che permette di individuare l’interesse qualora non sia stato
calcolato o sia piuttosto basso.
In merito all’attualizzazione, il nuovo principio contabile è molto più preciso rispetto al
precedente, stabilendo che l’ammontare degli interessi impliciti, ottenuto sottraendo dal
valore nominale del credito la parte a pronti, deve essere iscritto tra i risconti passivi.
Inoltre il nuovo principio ammette, nel caso non si riesca a fare un’analisi della recuperabilità
dei singoli crediti, il procedimento sintetico per la determinazione del fondo svalutazione;
nell’adozione di questo metodo, è però opportuno non vedere le formule come una regola ma,
al contrario vanno costantemente monitorate per individuare eventuali modifiche che possono
emergere. I risultati di questo metodo sono considerati validi esclusivamente se
corrispondono a quelli ottenuti con il metodo analitico.
111 In questo lavoro, per scelta è stata trascurata la parte relativa alla normativa civilistica in
quanto ritenuta piuttosto carente e sintetica; i principi contabili hanno infatti tra i vari compiti,
quello di andare a colmare eventuali carenze o vuoti normativi e proprio per questo motivo si
è deciso di trattare direttamente i principi contabili che raccolgono comunque al loro interno
parte della disciplina del Codice Civile.
Ciò che invece emerge dall’analisi effettuata in merito ai principi contabili internazionali
IAS/IFRS è che, non dedicando un principio specifico al tema dei crediti, i quali rientrando
nella categoria degli strumenti finanziari, devono utilizzare le regole per questi previste e
quindi possono risultare piuttosto generiche.
I principali interventi sono però avvenuti in seguito all’approvazione del Decreto n. 83/2012,
il Decreto Crescita e Sviluppo che ha modificato l’articolo 101 comma 5 del T.U.I.R.; com’è
noto, la normativa civilistica, non è compatibile con quella fiscale, in quest’ultimo caso, la
deducibilità delle perdite su crediti è possibile esclusivamente in presenza di elementi certi e
precisi.
Inizialmente erano emerse non poche perplessità in merito alla definizione di elementi certi e
precisi, dubbi poi risolti grazie alla circolare n. 26/E dell’Agenzia delle Entrate.
Le maggiori novità, dal mio punto di vista sono quelle riguardanti la deducibilità automatica
per le perdite su crediti di modesta entità e al contrario un elemento di criticità, attualmente
non ancora affrontato dall’Agenzia delle Entrate, riguarda l’individuazione degli eventi
estintivi da parte dei soggetti Ias adopter.
Anche l’analisi di bilancio ricopre un ruolo piuttosto importante soprattutto in merito
alle informazioni che è tenuta a fornire ai vari soggetti interessati; in particolare, la
riclassificazione di bilancio, deve essere fatta con una cura quasi maniacale perché può essere
considerata il punto di partenza per le analisi successive poiché i dati ricavati grazie alla
riclassificazione, vengono poi utilizzati per gli altri tipi di analisi e per trarre le proprie
considerazioni e valutazioni.
Abbiamo visto, anche grazie ai vari contributi offerti dalla dottrina che è impossibile
individuare un unico modo per eseguire la riclassificazione degli schemi di bilancio perché la
riclassificazione è un metodo di analisi molto soggettivo che dipende dalla tipologia di
informazioni che l’analista sta cercando di ricavare, dalla tipologia di impresa, dal settore nel
quale opera.
In merito alla riclassificazione dello stato patrimoniale, tra le due alternative,
ovverosia quella funzionale e quella finanziaria, a mio parere, quella più utile ai fini delle
112 analisi risulta essere quella finanziaria in quanto suddividendo gli impieghi e le fonti in
relazione alla loro attitudine a trasformarsi in liquidità o a divenire esigibili entro un certo
periodo, permettono di avere una panoramica relativa alla situazione in cui versa l’azienda, a
differenza del criterio funzionale che tende a suddividere le varie voci in relazione al tipo di
gestione di cui fanno parte.
Per poter svolgere la riclassificazione secondo il criterio funzionale sono poi necessarie una
serie di informazioni che possono essere reperite solo all’interno dell’azienda rendendo così
molto difficile se non impossibile l’esecuzione da parte di analisti esterni.
Passando al conto economico invece, questo può essere riclassificato secondo il metodo a
costo del venduto o a valore aggiunto.
Come notato anche grazie ai contributi offerti dalla dottrina, il metodo sicuramente più utile è
quello a ricavi e costi del venduto che permette di individuare il contributo offerto da ciascuna
area di gestione grazie alla contrapposizione tra i ricavi ottenuti e il costo complessivo
sostenuto dall’azienda per la realizzazione del bene o servizio.
Passando alla riclassificazione secondo quanto previsto dalla normativa civilistica o
dai principi contabili nazionali e internazionali, si può notare che nessuno prevede uno
schema come quelli richiesti nell’analisi di bilancio; quello che si avvicina di più, a mio
vedere è quello individuato dai principi OIC che classifica i crediti sia in relazione alla loro
natura e destinazione, suddividendo poi le voci delle immobilizzazioni e dell’attivo circolante
in relazione alla scadenza.
Ecco che dagli schemi proposti dal codice civile, piuttosto che dai principi OIC ovvero
IAS/IFRS, risulta spesso difficile individuare particolari tipologie di informazioni, per cui è
importante dedicarsi con cura all’analisi di bilancio, nonché alla fase di riclassificazione, la
quale influisce direttamente nelle analisi e nei giudizi successivi.
Infine è bene esaminare il ruolo determinante assunto dai crediti in seguito al manifestarsi
della crisi finanziaria, la quale ha creato non pochi problemi alle imprese che sempre più
spesso si sono viste spostare ulteriormente le scadenze di pagamento se non addirittura
sospendere definitivamente.
A mio avviso è molto utile alle aziende effettuare costantemente analisi relative alla gestione
dei crediti in modo da essere in grado di far fronte e prevenire il manifestarsi di alcuni rischi
che possono avere conseguenze anche gravi per l’azienda.
113 Questo aspetto non deve essere visto esclusivamente come un messaggio rivolto alle grandi
imprese bensì a tutte le realtà aziendali, soprattutto perchè il nostro Paese è caratterizzato
dalla presenza di piccole medie imprese.
È quindi opportuno investire in quella che è la figura del credit manager ma non solo nella
fase finale più pericolosa di recupero dei crediti ma, anche in quelle precedenti monitorando il
più possibile lo stato nel quale versano i clienti sia nuovi che storici, cercare strumenti e
mezzi per prevenire casi di mancato incasso ovvero operando all’interno della direzione
commerciale per agire sulla motivazione ed invogliare quindi il cliente all’acquisto;
effettuando periodicamente delle politiche relative alla gestione dei crediti commerciali.
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