Dall`Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891)

Dall’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891)
n. 32 - […] A nessuno è lecito violare impunemente la dignità dell'uomo, di cui Dio
stesso dispone con grande riverenza, né attraversargli la via a quel perfezionamento che
è ordinato all'acquisto della vita eterna. Che anzi, neanche di sua libera elezione
potrebbe l'uomo rinunziare ad esser trattato secondo la sua natura, ed accettare la
schiavitù dello spirito, perché non si tratta di diritti dei quali sia libero l'esercizio, bensì
di doveri verso Dio assolutamente inviolabili.
n. 33 - Quanto alla tutela dei beni temporali ed esteriori prima di tutto è dovere
sottrarre il povero operaio all'inumanità di avidi speculatori, che per guadagno abusano
senza alcuna discrezione delle persone come fossero cose. Non è giusto né umano
esigere dall'uomo tanto lavoro da farne inebetire la mente per troppa fatica e da
fiaccarne il corpo. Come la sua natura, così l'attività dell'uomo è limitata e circoscritta
entro confini ben stabiliti, oltre i quali non può andare. L'esercizio e l'uso l'affina, a
condizione però che di quando in quando venga sospeso, per dar luogo al riposo. Non
deve dunque il lavoro prolungarsi più di quanto lo comportino le forze. Il determinare la
quantità del riposo dipende dalla qualità del lavoro, dalle circostanze di tempo e di
luogo, dalla stessa complessione e sanità degli operai. Ad esempio, il lavoro dei
minatori che estraggono dalla terra pietra, ferro, rame e altre materie nascoste nel
sottosuolo, essendo più grave e nocivo alla salute, va compensato con una durata più
breve. Si deve avere ancor riguardo alle stagioni, perché non di rado un lavoro,
facilmente sopportabile in una stagione, è in un'altra o del tutto insopportabile o tale che
sí sopporta con difficoltà. Infine, un lavoro proporzionato all'uomo alto e robusto, non é
ragionevole che s'imponga a una donna o a un fanciullo. Anzi, quanto ai fanciulli, si
badi a non ammetterli nelle officine prima che l'età ne abbia sufficientemente sviluppate
le forze fisiche, intellettuali e morali. Le forze, che nella puerizia sbocciano simili
all'erba in fiore, un movimento precoce le sciupa, e allora si rende impossibile la stessa
educazione dei fanciulli. Così, certe specie di lavoro non si addicono alle donne, fatte da
natura per í lavori domestici, í quali grandemente proteggono l'onestà del sesso debole,
e hanno naturale corrispondenza con l'educazione dei figli e il benessere della casa. In
generale si tenga questa regola, che la quantità del riposo necessario all'operaio deve
essere proporzionata alla quantità delle forze consumate nel lavoro, perché le forze
consumate con l'uso debbono venire riparate col riposo. In ogni convenzione stipulata
tra padroni e operai vi è sempre la condizione o espressa o sottintesa dell'uno e dell'altro
riposo; un patto contrario sarebbe immorale, non essendo lecito a nessuno chiedere o
permettere la violazione dei doveri che lo stringono a Dio e a sé stesso.
n. 34 - L'operaio e il padrone allora formino pure di comune consenso il patto e
nominatamente la quantità della mercede; vi entra però sempre un elemento di giustizia
naturale, anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti, ed è che il quantitativo
della mercede non deve essere inferiore al sostentamento dell'operaio, frugale si intende,
e di retti costumi. Se costui, costretto dalla necessità o per timore di peggio, accetta patti
più duri i quali, perché imposti dal proprietario o dall'imprenditore, volenti o nolenti
debbono essere accettati, è chiaro che subisce una violenza, contro la quale la giustizia
protesta. Del resto, in queste ed altre simili cose, quali sono l'orario di lavoro, le cautele
da prendere, per garantire nelle officine la vita dell'operaio, affinché l'autorità non
s'ingerisca indebitamente, specie in tanta varietà di cose, di tempi e di luoghi, sarà più
opportuno riservare la decisione ai collegi di cui parleremo più avanti, o usare altri
mezzi che salvino, secondo giustizia, le ragioni degli operai, limitandosi lo Stato ad
aggiungervi, quando il caso lo richiede, tutela ed appoggio.
Dall’Enciclica Quadragesimo anno di Pio XI (1931)
28. Da tale continua ed indefessa fatica della Chiesa sorse un nuovo ramo della
disciplina giuridica del tutto ignorato nei tempi passati, il quale difende con forza i sacri
diritti dei lavoratori che loro provengono dalla dignità di uomini e di cristiani; giacché
queste leggi si propongono la protezione degli interessi dei lavoratori, massime delle
donne e dei fanciulli: l'anima, la sanità, le forze, la famiglia, la casa, le officine, la paga,
gli infortuni del lavoro; in una parola tutto ciò che tocca la vita e la famiglia dei
lavoratori. Che se tali statuti non si accordano dappertutto e in ogni cosa con le norme di
Leone XIII, non si può tuttavia negare che in molti punti vi si sente una eco
dell'enciclica Rerum Novarum, alla quale pertanto è da attribuirsi in parte assai notevole
la migliorata condizione dei lavoratori.
41. Ma prima di iniziare a dare queste spiegazioni, occorre premettere il principio, già
da Leone XIII con rara chiarezza stabilito, che cioè risiede in Noi il diritto e il dovere di
giudicare con suprema autorità intorno a siffatte questioni sociali ed economiche (enc.
Rerum novarum, n. 13). Certo alla Chiesa non fu affidato l'ufficio di guidare gli uomini
a una felicità solamente temporale e caduca, ma all'eterna. Anzi non vuole nè deve la
Chiesa senza giusta causa ingerirsi nella direzione delle cose puramente umane (enc.
Ubi arcano del 23 dicembre 1922). In nessun modo però può rinunziare all'ufficio da
Dio assegnatole, d'intervenire con la sua autorità, non nelle cose tecniche, per le quali
non ha né i mezzi adatti né la missione di trattare, ma in tutto ciò che ha attinenza con la
morale. Infatti in questa materia, il deposito della verità a Noi commesso da Dio e il
dovere gravissimo impostoCi di divulgare e di interpretare tutta la legge morale ed
anche di esigerne opportunamente ed importunamente l'osservanza, sottopongono ed
assoggettano al supremo Nostro giudizio tanto l'ordine sociale, quanto l'economico.
Dall’Enciclica Mater et magistra di Giovanni XXIII (1961)
69. La giustizia va rispettata non solo nella distribuzione della ricchezza, ma anche in
ordine alle strutture delle imprese in cui si svolge l’attività produttiva. È infatti insita
nella natura degli uomini l’esigenza che nello svolgimento delle loro attività produttive
abbiano possibilità di impegnare la propria responsabilità e perfezionare il proprio
essere.
70. Perciò se le strutture, il funzionamento, gli ambienti d’un sistema economico sono
tali da compromettere la dignità umana di quanti vi esplicano le proprie attività, o da
ottundere in essi sistematicamente il senso della responsabilità, o da costituire un
impedimento a che comunque si esprima la loro iniziativa personale, un siffatto sistema
economico è ingiusto, anche se, per ipotesi, la ricchezza in esso prodotta
108. Oggi tanto lo Stato che gli enti di diritto pubblico hanno esteso e continuano ad
estendere il campo della loro presenza e iniziativa. Non per questo però è venuta meno
la ragione di essere della funzione sociale della proprietà privata, come alcuni
erroneamente inclinano a pensare; giacché essa scaturisce dalla stessa natura del diritto
di proprietà. Inoltre vi è sempre una vasta gamma di situazioni dolorose e di bisogni
delicati e nello stesso tempo acuti, che le forme ufficiali dell’azione pubblica non
possono attingere e che comunque non sono in grado di soddisfare. Per cui rimane
sempre aperto un vasto campo alla sensibilità umana e alla carità cristiana degli
individui. Infine va pure osservato che per la promozione dei valori spirituali sono
spesso più feconde le molteplici iniziative di singoli o di gruppi, che l’azione dei
pubblici poteri.
123. I sistemi di assicurazioni sociali o di sicurezza sociale possono contribuire
efficacemente ad una ridistribuzione del reddito complessivo della comunità politica
secondo criteri di giustizia e di equità; e possono quindi considerarsi uno degli strumenti
per ridurre gli squilibri nel tenore di vita tra le varie categorie di cittadini.
144. La solidarietà che lega tutti gli esseri umani e li fa membri di un’unica famiglia
impone alle comunità politiche, che dispongono di mezzi di sussistenza ad esuberanza,
il dovere di non restare indifferenti di fronte alle comunità politiche i cui membri si
dibattono nelle difficoltà dell’indigenza, della miseria e della fame, e non godono dei
diritti elementari di persona. Tanto più che, data la interdipendenza sempre maggiore tra
i popoli, non è possibile che tra essi regni una pace duratura e feconda, quando sia
troppo accentuato lo squilibrio nelle loro condizioni economico-sociali.
166. L’inserirsi della Chiesa in un popolo ha sempre riflessi positivi in campo
economico-sociale, come dimostrano storia ed esperienza. La ragione è che gli esseri
umani, diventando cristiani, non possono non sentirsi impegnati a migliorare istituzioni
e ambienti dell’ordine temporale: sia perché in essi non venga lesa la dignità umana, sia
perché vengano eliminati e ridotti gli ostacoli al bene e moltiplicati gli incentivi e gli
inviti ad esso.
209. Una dottrina sociale non va solo enunciata, ma anche tradotta in termini concreti
nella realtà. Ciò tanto è più vero della dottrina sociale cristiana, la cui luce è la verità, il
cui obiettivo è la giustizia e la cui forza propulsiva è l’amore. Richiamiamo quindi
l’attenzione sulla necessità che i nostri figli, oltre che essere istruiti nella dottrina
sociale, siano pure educati socialmente.
227. Certo la Chiesa ha insegnato in ogni tempo e continua sempre ad insegnare che i
progressi scientifico-tecnici e il conseguente benessere materiale sono beni reali; e
quindi segnano un importante passo nell’incivilimento umano. Però essi devono essere
valutati per quello che sono secondo la loro vera natura, e cioè come beni strumentali o
mezzi che vanno utilizzati per un più efficace perseguimento di un fine superiore, quale
è quello di facilitare e promuovere il perfezionamento spirituale degli esseri umani tanto
nell’ordine naturale che in quello soprannaturale.
Concilio Vaticano II – Costituzione Gaudium et spes - 1965
67. Lavoro, condizione di lavoro e tempo libero
Il lavoro umano, con cui si producono e si scambiano beni o si prestano servizi
economici, è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi
hanno solo valore di strumento.
Tale lavoro, infatti, sia svolto in forma indipendente sia per contratto con un
imprenditore, procede direttamente dalla persona, la quale imprime nella natura quasi il
suo sigillo e la sottomette alla sua volontà. Con il lavoro, l'uomo provvede abitualmente
al sostentamento proprio e dei suoi familiari, comunica con gli altri, rende un servizio
agli uomini suoi fratelli e può praticare una vera carità e collaborare attivamente al
completamento della divina creazione. Ancor più: sappiamo per fede che l'uomo,
offrendo a Dio il proprio lavoro, si associa all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale
ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a
Nazareth. Di qui discendono, per ciascun uomo, il dovere di lavorare fedelmente, come
pure il diritto al lavoro. Corrispondentemente è compito della società, in rapporto alle
condizioni in essa esistenti, aiutare da parte sua i cittadini a trovare sufficiente
occupazione. Infine il lavoro va rimunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti
per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale,
sociale, culturale e spirituale, tenuto conto del tipo di attività e grado di rendimento
economico di ciascuno, nonché delle condizioni dell'impresa e del bene comune (145).
Poiché l'attività economica è per lo più realizzata in gruppi produttivi in cui si uniscono
molti uomini, è ingiusto ed inumano organizzarla con strutture ed ordinamenti che siano
a danno di chi vi operi. Troppo spesso avviene invece, anche ai nostri giorni, che i
lavoratori siano in un certo senso asserviti alle proprie opere. Ciò non trova
assolutamente giustificazione nelle cosiddette leggi economiche. Occorre dunque
adattare tutto il processo produttivo alle esigenze della persona e alle sue forme di vita,
innanzitutto della sua vita domestica, particolarmente in relazione alle madri di
famiglia, sempre tenendo conto del sesso e dell'età di ciascuno. Ai lavoratori va
assicurata inoltre la possibilità di sviluppare le loro qualità e di esprimere la loro
personalità nell'esercizio stesso del lavoro. Pur applicando a tale attività lavorativa, con
doverosa responsabilità, tempo ed energie, tutti i lavoratori debbono però godere di
sufficiente riposo e tempo libero, che permetta loro di curare la vita familiare, culturale,
sociale e religiosa. Anzi, debbono avere la possibilità di dedicarsi ad attività libere che
sviluppino quelle energie e capacità, che non hanno forse modo di coltivare nel loro
lavoro professionale.
Dall’Enciclica Octogesima adveniens di Paolo VI (1971)
14. La chiesa lo ha riaffermato solennemente nell'ultimo concilio: «La persona umana è
e deve essere il principio, il soggetto e il fine di tutte le istituzioni».(8) Ogni uomo ha
diritto al lavoro, alla possibilità di sviluppare le proprie qualità e la propria personalità
nell'esercizio della sua professione, a un'equa rimunerazione che permetta «a lui e alla
sua famiglia di condurre una vita degna sul piano materiale, sociale, culturale e
spirituale»,(9) all'assistenza in caso di bisogno per motivi di malattia o di età.
Se, per la difesa di questi diritti, le società democratiche accettano il principio del diritto
sindacale, esse non sono, peraltro, sempre aperte all'esercizio di tale diritto. Si deve
ammettere la funzione importante dei sindacati: essi hanno per scopo la rappresentanza
delle diverse categorie di lavoratori, la loro legittima collaborazione all'incremento
economico della società, lo sviluppo del senso delle loro responsabilità per la
realizzazione del bene comune. Tuttavia, la loro azione non è priva di difficoltà: qua e là
può manifestarsi la tentazione di approfittare di una posizione di forza per imporre,
segnatamente con lo sciopero - il cui diritto come ultimo mezzo di difesa resta
certamente riconosciuto -, delle condizioni troppo pesanti per l'insieme dell'economia o
del corpo sociale, o per voler rendere efficaci delle rivendicazioni d'ordine direttamente
politico. Quando si tratta, in particolare, di pubblici servizi, necessari alla vita
quotidiana di un'intera comunità, bisognerà saper valutare il limite oltre il quale il torto
causato diventa inammissibile.
15. Progressi sono già stati compiuti, per introdurre nei rapporti umani una maggiore
giustizia e una più ampia partecipazione alle responsabilità. Ma in questo campo
immenso, molto resta ancora da fare. Occorre pertanto proseguire attivamente nella
riflessione, nella ricerca, negli esperimenti, sotto pena di restare in ritardo rispetto alle
legittime aspirazioni dei lavoratori, le quali si vanno maggiormente affermando, man
mano che si sviluppa la loro formazione, la coscienza della loro dignità, il vigore delle
loro organizzazioni.
L'egoismo e il dominio sono, tra gli uomini, tentazioni permanenti. È pertanto
necessario un discernimento sempre più avvertito per cogliere alla radice le situazioni
frutto d'ingiustizia e per instaurare progressivamente una giustizia sempre meno
imperfetta. Nei mutamenti industriali, che reclamano un adattamento rapido e costante,
coloro che vengono a trovarsi colpiti saranno più numerosi e meno in grado di fare
intendere le proprie voci.
Verso questi nuovi «poveri» - minorati e disadattati, vecchi, emarginati di origine
diversa - si dirige l'attenzione della chiesa, per riconoscerli, aiutarli, difendere il loro
posto e la loro dignità in una società indurita dalle competizioni e dall'attrattiva del
successo.
21. Mentre l'orizzonte dell'uomo si modifica, in tale modo, tramite le immagini che sono
scelte per lui, un'altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica quanto
inattesa dell'attività umana. L'uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno
sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta
vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l'ambiente materiale diventa una minaccia
permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il
contesto umano, che l'uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un
ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che
riguarda l'intera famiglia umana.
A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere,
insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune.
Dall’Enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II (1981)
6. […] il primo fondamento del valore del lavoro è l'uomo stesso,il suo soggetto. A ciò
si collega subito una conclusione molto importante di natura etica: per quanto sia una
verità che l'uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è «per
l'uomo», e non l'uomo «per il lavoro». Con questa conclusione si arriva giustamente a
riconoscere la preminenza del significato soggettivo del lavoro su quello oggettivo.
Dato questo modo di intendere, e supponendo che vari lavori compiuti dagli uomini
possano avere un maggiore o minore valore oggettivo, cerchiamo tuttavia di porre in
evidenza che ognuno di essi si misura soprattutto con il metro della dignità del soggetto
stesso del lavoro, cioè della persona, dell'uomo che lo compie. A sua volta:
indipendentemente dal lavoro che ogni uomo compie, e supponendo che esso costituisca
uno scopo - alle volte molto impegnativo - del suo operare, questo scopo non possiede
un significato definitivo per se stesso. Difatti, in ultima analisi, lo scopo del lavoro, di
qualunque lavoro eseguito dall'uomo - fosse pure il lavoro più «di servizio», più
monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante rimane sempre l'uomo stesso.
9. […]Volendo meglio precisare il significato etico del lavoro, si deve avere davanti
agli occhi prima di tutto questa verità. Il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della
sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura
adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un
certo senso, «diventa più uomo».
11. […] È noto che in tutto questo periodo, il quale non è affatto ancora terminato, il
problema del lavoro è stato posto in base al grande conflitto, che nell'epoca dello
sviluppo industriale ed insieme con esso si è manifestato tra il «mondo del capitale» e il
«mondo del lavoro», cioè tra il gruppo ristretto, ma molto influente, degli imprenditori,
proprietari o detentori dei mezzi di produzione, e la più vasta moltitudine di gente che
era priva di questi mezzi, e che partecipava, invece, al processo produttivo
esclusivamente mediante il lavoro. Tale conflitto è stato originato dal fatto che i
lavoratori mettevano le loro forze a disposizione del gruppo degli imprenditori, e che
questo, guidato dal principio del massimo profitto della produzione, cercava di stabilire
il salario più basso possibile per il lavoro eseguito dagli operai. A ciò bisogna
aggiungere anche altri elementi di sfruttamento, collegati con la mancanza di sicurezza
nel lavoro ed anche di garanzie circa le condizioni di salute e di vita degli operai e delle
loro famiglie.
19. […] Accanto al salario, qui entrano in gioco ancora varie prestazioni sociali, aventi
come scopo quello di assicurare la vita e la salute dei lavoratori e quella della loro
famiglia. Le spese riguardanti le necessità della cura della salute, specialmente in caso
di incidenti sul lavoro, esigono che il lavoratore abbia facile accesso all'assistenza
sanitaria, e ciò, in quanto possibile, a basso costo, o addirittura gratuitamente. Un altro
settore, che riguarda le prestazioni, è quello collegato al diritto al riposo: prima di tutto,
si tratta qui del regolare riposo settimanale, comprendente almeno la Domenica, ed
inoltre un riposo più lungo, cioè le cosiddette ferie una volta all'anno, o eventualmente
più volte durante l'anno per periodi più brevi. Infine, si tratta qui del diritto alla pensione
e all'assicurazione per la vecchiaia ed in caso di incidenti collegati alla prestazione
lavorativa. Nell'ambito di questi diritti principali, si sviluppa tutto un sistema di diritti
particolari, che insieme con la remunerazione per il lavoro decidono della corretta
impostazione di rapporti tra il lavoratore e il datore di lavoro. Tra questi diritti va
sempre tenuto presente quello ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi, che non
rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori e non ledano la loro integrità morale.
25. La coscienza che il lavoro umano sia una partecipazione all'opera di Dio, deve
permeare - come insegna il Concilio - anche «le ordinarie attività quotidiane. Gli
uomini e le donne, infatti, che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia,
esercitano le proprie attività così da prestare anche conveniente servizio alla società,
possono a buon diritto ritenere che col loro lavoro essi prolungano l'opera del Creatore,
si rendono utili ai propri fratelli e danno un contributo personale alla realizzazione del
piano provvidenziale di Dio nella storia»37.
Dall’Enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II (1991)
37. Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente
connessa, è la questione ecologica. L'uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più
che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della
terra e la sua stessa vita. Alla radice dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale c'è
un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L'uomo, che scopre la sua
capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro,
dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle
cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra,
assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria
forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma
non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della
creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della
natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui.76
Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo dell'uomo,
animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di
quell'atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l'essere
e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile
che le ha create. Al riguardo, l'umanità di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e
compiti verso le generazioni future.
38. Oltre all'irrazionale distruzione dell'ambiente naturale è qui da ricordare quella,
ancor più grave, dell'ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la
necessaria attenzione. Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del
necessario, di preservare gli «habitat» naturali delle diverse specie animali minacciate di
estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un particolare
contributo all'equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per
salvaguardare le condizioni morali di un'autentica «ecologia umana». Non solo la terra
è stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene,
secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e deve,
perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato. Sono da
menzionare, in questo contesto, i gravi problemi della moderna urbanizzazione, la
necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la debita
attenzione ad un'«ecologia sociale» del lavoro.
L'uomo riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni
ordinamento della società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è anche condizionato
dalla struttura sociale in cui vive, dall'educazione ricevuta e dall'ambiente. Questi
elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le decisioni,
grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare specifiche strutture di
peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente
oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con più autentiche forme di convivenza è
un compito che esige coraggio e pazienza.
53. Di fronte alla miseria del proletariato Leone XIII diceva: «Affrontiamo con fiducia
questo argomento e con pieno nostro diritto ... Ci parrebbe di mancare al nostro ufficio
se tacessimo».107 Negli ultimi cento anni la Chiesa ha ripetutamente manifestato il suo
pensiero, seguendo da vicino la continua evoluzione della questione sociale, e non ha
certo fatto questo per recuperare privilegi del passato o per imporre una sua concezione.
Suo unico scopo è stata la cura e responsabilità per l'uomo, a lei affidato da Cristo
stesso, per questo uomo che, come il Concilio Vaticano II ricorda, è la sola creatura che
Dio abbia voluto per se stessa e per cui Dio ha il suo progetto, cioè la partecipazione
all'eterna salvezza. Non si tratta dell'uomo «astratto», ma dell'uomo reale, «concreto» e
«storico»: si tratta di ciascun uomo, perché ciascuno è stato compreso nel mistero della
redenzione e con ciascuno Cristo si è unito per sempre attraverso questo mistero.108 Ne
consegue che la Chiesa non può abbandonare l'uomo, e che «questo uomo è la prima via
che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione ..., la via tracciata da
Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'incarnazione e
della redenzione».109
È, questa, solo questa l'ispirazione che presiede alla dottrina sociale della Chiesa. Se
essa l'ha a mano a mano elaborata in forma sistematica, soprattutto a partire dalla data
che commemoriamo, è perché tutta la ricchezza dottrinale della Chiesa ha come
orizzonte l'uomo nella sua concreta realtà di peccatore e di giusto.
Dall’Enciclica Caritas in veritade di Benedetto XVI (2009)
25. Dal punto di vista sociale, i sistemi di protezione e previdenza, già presenti ai tempi
di Paolo VI in molti Paesi, faticano e potrebbero faticare ancor più in futuro a perseguire
i loro obiettivi di vera giustizia sociale entro un quadro di forze profondamente mutato.
Il mercato diventato globale ha stimolato anzitutto, da parte di Paesi ricchi, la ricerca di
aree dove delocalizzare le produzioni di basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti
beni, accrescere il potere di acquisto e accelerare pertanto il tasso di sviluppo centrato
su maggiori consumi per il proprio mercato interno. Conseguentemente, il mercato ha
stimolato forme nuove di competizione tra Stati allo scopo di attirare centri produttivi di
imprese straniere, mediante vari strumenti, tra cui un fisco favorevole e la
deregolamentazione del mondo del lavoro. Questi processi hanno comportato la
riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi
competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i
diritti fondamentali dell'uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello
Stato sociale. I sistemi di sicurezza sociale possono perdere la capacità di assolvere al
loro compito, sia nei Paesi emergenti, sia in quelli di antico sviluppo, oltre che nei Paesi
poveri. Qui le politiche di bilancio, con i tagli alla spesa sociale, spesso anche promossi
dalle Istituzioni finanziarie internazionali, possono lasciare i cittadini impotenti di fronte
a rischi vecchi e nuovi; tale impotenza è accresciuta dalla mancanza di protezione
efficace da parte delle associazioni dei lavoratori […]
47. […] Negli interventi per lo sviluppo va fatto salvo il principio della centralità della
persona umana, la quale è il soggetto che deve assumersi primariamente il dovere dello
sviluppo. L'interesse principale è il miglioramento delle situazioni di vita delle persone
concrete di una certa regione, affinché possano assolvere a quei doveri che attualmente
l'indigenza non consente loro di onorare. La sollecitudine non può mai essere un
atteggiamento astratto. I programmi di sviluppo, per poter essere adattati alle singole
situazioni, devono avere caratteristiche di flessibilità; e le persone beneficiarie
dovrebbero essere coinvolte direttamente nella loro progettazione e rese protagoniste
della loro attuazione. […]
51. Le modalità con cui l'uomo tratta l'ambiente influiscono sulle modalità con cui
tratta se stesso e, viceversa. Ciò richiama la società odierna a rivedere seriamente il suo
stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all'edonismo e al consumismo,
restando indifferente ai danni che ne derivano [122]. È necessario un effettivo
cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita, “nei quali la
ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una
crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e
degli investimenti” [123]. Ogni lesione della solidarietà e dell'amicizia civica provoca
danni ambientali, così come il degrado ambientale, a sua volta, provoca insoddisfazione
nelle relazioni sociali. La natura, specialmente nella nostra epoca, è talmente integrata
nelle dinamiche sociali e culturali da non costituire quasi più una variabile indipendente.
La desertificazione e l'impoverimento produttivo di alcune aree agricole sono anche
frutto dell'impoverimento delle popolazioni che le abitano e della loro arretratezza.
Incentivando lo sviluppo economico e culturale di quelle popolazioni, si tutela anche la
natura. Inoltre, quante risorse naturali sono devastate dalle guerre! La pace dei popoli e
tra i popoli permetterebbe anche una maggiore salvaguardia della natura.
L'accaparramento delle risorse, specialmente dell'acqua, può provocare gravi conflitti
tra le popolazioni coinvolte. Un pacifico accordo sull'uso delle risorse può
salvaguardare la natura e, contemporaneamente, il benessere delle società interessate.