01 termologia-termoregolzione-abbigliamento

Richiami di termologia
La temperatura
È opportuno in questa sede chiarire in via preliminare sia le differenze che le interconnessioni tra
temperatura e calore di un corpo.
Noi distinguiamo al tatto un corpo caldo da uno freddo in base a una sensazione specifica soggettiva.
Siamo così portati a distribuire i corpi con i quali veniamo a contatto su una scala lungo la quale varia
una certa grandezza, crescente dal freddo verso il caldo, che chiamiamo temperatura.
Per esprimere i valori della temperatura si utilizzano delle scale termometriche, la più nota delle quali è
la scala centigrada (o Celsius). In questa scala i valori zero e cento sono attribuiti arbitrariamente alle
temperature a cui avvengono due fenomeni fisici ben noti: la fusione del ghiaccio e l’ebollizione
dell'acqua 1 . Il grado centigrado (°C) si definisce quindi come la centesima parte della differenza di
temperatura esistente tra i due fenomeni suddetti.
Altra scala termometrica ancora in uso negli U.S.A. è la scala Fahrenheit; in questa scala il ghiaccio
fonde a 32 °F e l’acqua bolle a 212 °F; come si vede nella scala Celsius vi sono 100 gradi tra i punti di
congelamento e di ebollizione dell’acqua, mentre nella scala Fahrenheit tra gli stessi punti ve ne sono
180. Ciascun grado Celsius è quindi circa due volte più grande di quello Fahrenheit (più precisamente 5
gradi Celsius corrispondono a 9 gradi Fahrenheit).
Esistono anche delle relazioni per trasformare la temperatura espressa in °C (tC) in °F (tF) e viceversa:
tF = 9/5 tC + 32
tC = 5/9 (tF – 32)
Nel Sistema Internazionale di Misura (SI) che norma le unità di misura ufficialmente adottate per
esprimere le varie grandezze fisiche il grado Celsius non compare: è sostituito dal grado Kelvin
(simbolo: K) 2 , in cui lo zero è posto a -273,15 °C della scala Celsius e corrisponde allo zero assoluto,
la più bassa temperatura possibile. La relazione fra unità Kelvin e gradi Celsius è la seguente:
TK = tC + 273,15
tranquillamente arrotondabile a:
TK = tC + 273
1
Tali fenomeni possono in realtà avvenire a temperature diverse variando la pressione di esercizio.
2
Notate come il simbolo sia K e non °K.
1
Figura 1 - Confronto tra scale
Kelvin, Celsius e Fahrenheit.
Il calore
Tutti sanno:
¾ che una fiamma o un fornello elettrico posti sotto una pentola d'acqua fredda la riscaldano, cioè
ne fanno salire la temperatura progressivamente;
¾ che occorre un certo tempo perché l'acqua raggiunga l'ebollizione;
¾ che a parità di altre condizioni questo tempo è tanto maggiore quanto maggiore è la quantità
d'acqua nella pentola.
Così tutti sanno che un ferro caldo, gettato nell'acqua fredda, si raffredda mentre l’acqua si riscalda e
tale riscaldamento è tanto di più elevato quanto maggiore è la massa e la temperatura iniziale del ferro.
Le esperienze in proposito si possono eseguire in termini quantitativi, anziché solo qualitativi, e si
possono moltiplicare e variare. I risultati si interpretano, se si ammette:
1. Affinché un corpo di massa m vari la propria temperatura da t1 a t2 è necessario che esso
acquisti o ceda una certa quantità di calore Q, a seconda che t2>t1 oppure che t2<t1.
Q è dato dalla relazione:
Q = m ·cs ·(t2-t1)
Nella formula cs è una costante caratteristica del materiale di cui è costituito il corpo e
rappresenta la quantità di calore che si deve fornire a un chilogrammo di una data sostanza per
aumentarne la temperatura di un grado ed è detta capacità termica specifica e o semplicemente
2
calore specifico. Il calore specifico tuttavia non è rigorosamente una costante in quanto cresce
generalmente all'aumentare della temperatura ma se l'intervallo di temperatura è limitato e
corretto ritenerlo invariante.
Il prodotto forma m ·cs si indica con C che rappresenta la capacità termica del corpo in esame;
si può allora scrivere:
Q = C ·(t2-t1)
2. La quantità di calore acquistata da un corpo e uguale alla somma delle quantità cedute
complessivamente dagli altri corpi che prendono parte al processo di scambi.
Si tratta ora, come per la temperatura, di fissare una unità di misura del calore: storicamente si è
raggiunto lo scopo attribuendo valore unitario alla quantità di calore necessario per aumentare di un
grado Celsius 3 un grammo di acqua. Questa unità fu chiamata caloria (abbreviato cal), detta anche
piccola caloria.
Dato che il calore è una forma di energia (si parla non a caso del calore come energia termica)
modernamente nel sistema SI l’unità di misura ufficialmente adottata per il calore è il joule (utilizzato
per le varie forme di energia oltre che per il lavoro). È opportuno rammentare che:
1 cal = 4,184 J
La caloria è in ogni caso una unità di misura troppo piccola per esprimere i normali scambi termici: per
questo nell’uso è stata in genere sostituita dalla chilocaloria (abbreviato kcal, a volte anche Cal) o
grande caloria.
Si ricordi che:
1kcal = 1000 cal
Ovviamente si ha anche:
1kcal = 4,184 kJ= 4184 J
Nel proseguo del nostro lavoro, quando non diversamente specificato, per gli scambi termici ci
riferiremo sempre alla chilocaloria o al joule.
3
Più precisamente da 14,5 a 15,5 °C.
3
Propagazione del calore
Come è noto il calore passa spontaneamente dai corpi a temperature più elevata a quelli a temperatura
minore. Perciò le parti di un corpo a temperatura diversa, oppure corpi a differenti temperature, posti in
contatto diretto od indiretto tra loro, dopo un certo tempo si portano tutti alla stessa temperatura,
raggiungendo l'equilibrio termico.
Ciò detto verrebbe da pensare al calore come una specie di sostanza (poniamo un fluido) imponderabile
ma indistruttibile che scambiato tra i corpi e accumulandosi o diminuendo in essi determina gli aumenti
e le diminuzioni di temperatura. Questa immagine del calore è SBAGLIATA: più correttamente il
calore deve essere visto come un meccanismo per scambiare energia tra i corpi e non qualcosa di
materiale.
Si considereranno di seguito tre diversi modi di propagazione di calore, la conduzione, la convenzione
e l'irraggiamento, che noi per comodità prenderemo in esame separatamente anche se essi nella pratica
spesso avvengono contemporaneamente.
La trasmissione del calore per conduzione
La conduzione è caratteristica dei corpi solidi per quanto in particolari condizioni si verifica anche nei
liquidi e nei gas, come vedremo tra poco.
Se poniamo una bacchetta metallica su una fiamma tenendola per un estremo, sappiamo che dopo un
certo tempo ci scottiamo le dita. Sappiamo pure che, a parità di altre condizioni, l'effetto è più rapido e
più intenso se usiamo una bacchetta di rame, piuttosto che una bacchetta di ferro: con una bacchetta di
vetro, poi, l'effetto si sente soltanto impugnandola molto vicino alla fiamma.
Da ciò siamo indotti a pensare che il calore si propaga, lungo
una barra, con facilità diversa a seconda della natura di questa.
Figura 2 - Passaggio del calore attraverso una parete piana, in regime
stazionario.
Per potere avere una descrizione quantitativa del fenomeno
conviene riferirsi a una parete metallica che da un lato viene
riscaldata dai fumi di una caldaia (1) e dall’altra viene
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raffreddata da un fluido (2), ad esempio, acqua. Se le temperature delle due facce e dei punti interni
della parete non variano nel tempo, la quantità di calore posseduto dalla parete resta costante. Questo
significa che tanto calore entra, in un secondo, attraverso la faccia di sinistra, tanto ne esce
contemporaneamente dall’altra. Si dice allora che il flusso di calore attraverso la parete è a regime
stazionario, o più semplicemente, che la parete è a regime. Quando il flusso di calore è a regime le
leggi della trasmissione sono allora abbastanza semplici . Limiteremo lo studio a questo caso.
Se la parete ha facce piane e parallele, sufficientemente estese, rispetto al suo spessore ed è costituita
da un materiale omogeneo, l'esperienza dimostra che la quantità di calore trasmessa è:
1. direttamente proporzionale al tempo H, normalmente espresso in ore
2. direttamente proporzionale all'estensione superficiale della parete A, espresso in m2
3. direttamente proporzionale alla differenza di temperatura tra le due facce opposte, espresso in
°C
4. inversamente proporzionale allo spessore della parete d, espresso in metri m
5. dipendente da un coefficiente di proporzionalità λ legato alla natura del materiale di cui è
costituita la parete (coefficiente di conducibilità interna)
Indichiamo con Q la quantità di calore che nel tempo H attraversa la parete di spessore d e di area A,
con t1 e t2 le temperature delle due facce (t1>t2), possiamo allora scrivere:
Questa legge, dovuta al Fourier, può applicarsi, con approssimazione sufficiente nella pratica, anche a
pareti non piane quando lo spessore sia piccolo in confronto al raggio di curvatura. Se applichiamo la
formula precedente a una porzione di parete di spessore e dimensioni unitarie (d=1m, A=1m2) per un
intervallo di tempo di 1 ora e una differenza di temperatura di 1 °C tra le due facce opposte otterremo:
Il coefficiente di conducibilità interna λ indica in pratica la capacità di un dato materiale di condurre
calore e rappresenta il numero di kcal che in 1 ora attraversano una parete di questo materiale, avente
un’estensione di 1 m2 e lo spessore di 1 m, per una differenza di temperatura di 1 °C tra le facce
opposte.
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Tabella 1 –Valori dei coefficienti di conducibilità interna di vari materiali.
COEFFICIENTI DI CONDUCIBILITÀ INTERNA
SOSTANZA
(kcal/m·h·°C)
W/m·K
Argento
360
418
Rame
334
388
Alluminio
175
203
Acciaio
37
43
Mattoni
0, 7
0,81
Vetro
0,65
0,76
Legno di abete
0, 12
0,14
Sughero
0,05
0,006
Seta
0,038
0,044
Lana
0,034
0,039
Se λ ha un valore elevato il corpo è un buon conduttore di calore, se ha un valore basso e un cattivo
conduttore, le sostanze con bassissimo λ sono isolanti termici e possono essere impiegati per ricoprire
altri corpi allo scopo di ostacolarne il raffreddamento o il riscaldamento. È evidente che volendo
rallentare al massimo il flusso di calore è conveniente usare elevati spessori di isolante. I valori della
colonna di destra della tabella sono espressi nelle unità di misura SI. A questo proposito si ricorda che
il watt (simbolo W) in questo caso rappresenta l’unità di misura della potenza termica, cioè del calore
scambiato (o prodotto) nell’unità di tempo (vale a dire in un secondo). Si ricordi che: 1W = 0,86 kcal/h
e che 1kcal = 1,163 W.
La trasmissione del calore per convezione
La convenzione consiste in un movimento interno delle particelle del corpo le quali trasportando con
sé il calore che possiedono lo trasmettono per contatto alle particelle più fredde che incontrano nel loro
movimento. Così, ad esempio, in una pentola esposta al fuoco, l'acqua a contatto col fondo della
pentola si riscalda e dilatandosi, per il principio di Archimede, sale trasportando il calore nei punti più
lontani. Nello stesso tempo, l’acqua che si trova in superficie, più fredda e più densa, scende e va a
riscaldarsi a contatto del fondo del recipiente.
In tal modo il colore si propaga rapidamente a tutta la massa del fluido: i termometri posti in A e in B
indicano praticamente la stessa temperatura.
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Figura 3 – Apparecchio per lo studio della convezione nei fluidi.
I moti fluidi che così si destano si dicono moti convettivi. A
differenza
della
propagazione
per
conduzione,
la
convenzione è quindi subordinata in via essenziale a uno
spostamento di materia. La conduzione può quindi
verificarsi soltanto nei fluidi (gas e liquidi) e in particolari
condizioni meccaniche: cioè quando le variazioni di densità
prodotte dal surriscaldamento turbino la situazione di quiete della massa fluida, o anche quando il moto
del fluido sia mantenuto da una azione indipendentemente dal riscaldamento (circolazione forzata
prodotta per mezzo di pompe nel caso di liquidi, ventilatori nel caso dei gas ).
Figura 4 – Visualizzazione dei moti convettivi in un fluido.
Soltanto se ci si mette in condizioni di evitare i moti convettivi (e grossolanamente quando si riscalda
in B, ad esempio mediante una resistenza elettrica R) si può scoprire l'esistenza di un effetto di
conduzione, analogo a quello che si verifica nei solidi. In questo caso il termometro inferiore segna
solo un piccolissimo aumento di temperatura anche se in B l'acqua giunge all'ebollizione.
Il valore del coefficiente di conducibilità interna λ varia da fluido a fluido, mantenendosi però
nettamente al di sotto dei valori caratteristici dei solidi; l'aria secca e immobile ha ad esempio una λ
pari a solo 0,021 kcal/m·h·°C. Una pratica applicazione di quanto detto si ha nelle finestre a doppio
vetro (vetrocamera).
L'utilizzo di una sola lastra di vetro con spessore pari ai due vetri è equivalente ai fini dell'isolamento
termico?
No, perché il vero isolante in questo caso è l'aria in quiete racchiusa tra le due lastre che presenta un
coefficiente di conducibilità interna all’incirca 30 volte più piccolo di quello del vetro.
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Condizione necessaria perché tutto ciò sia valido è che
nello strato d'aria non ci siano movimenti convettivi, e ciò
è assicurato solamente per piccoli spessori di fluido.
Figura 5 – Struttura del vetrocamera.
La trasmissione del calore per irraggiamento
Un corpo riscaldato a temperatura sufficientemente elevata emette luce, dapprima di color rosso cupo,
poi sempre più chiara e intensa quanto più la temperatura è elevata.
Questa emissione di luce fa perdere calore al corpo che in tal modo si raffredda. Quando il corpo a una
temperatura di poco superiore a quella ambiente questo meccanismo di cessione di calore permane,
anche se non in modo visibile, in quanto le radiazioni emesse in queste condizioni sono gli infrarossi,
che l'occhio umano non percepisce. Essi si propagano in linea retta, analogamente alla luce, e alla
stessa velocità (circa 300000 km/s); sono assorbiti da ogni schermo opaco su cui incidono, tuttavia le
superfici lucide e levigate hanno un basso assorbimento.
L'emissione di radiazioni infrarosse da parte dei corpi caldi è sfruttata ad esempio nei sistemi di guida
dei missili terra-aria o aria-aria: un sensore permette al missile di percepire i raggi calorici, cioè gli
infrarossi, prodotti dai motori di un aereo e lo guida inesorabilmente verso il bersaglio. Per nostra
fortuna esiste anche un uso pacifico degli infrarossi. Vi siete mai chiesti perché il thermos che usate per
tenere caldo il caffé abbia le pareti a specchio?. Perché quando andate in rosticceria vi danno le lasagne
al forno in contenitori di fogli di alluminio?
E la cosa diventa complicata se vi dico che il coefficiente di conducibilità interna dell'alluminio è
spaventosamente elevato: 180 kcal/m·h·°C?
Perché uno stupido foglio di polietilene alluminizzato, pomposamente chiamato telo termico, può
salvare un alpinista, in difficoltà nel bel mezzo di una tormenta, da morte per assideramento? Non
potrebbe bastare, che so, un paio di grandi sacchi di plastica, come quelli della spazzatura?
A chi è in difficoltà a rispondere alle domande precedenti voglio dare ulteriori indicazioni.
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Consideriamo l'ultimo caso e ragioniamoci sopra: coprendo un corpo con un foglio di plastica
alluminizzato questi non aderisce perfettamente alla superficie corporea, non lo possiamo considerare
come una seconda pelle. Resterà allora uno strato d'aria tra il corpo e il foglio, aria che il corpo
riscalderà velocemente. A sua volta questa aria calda tenderà a raffreddarsi disperdendo il calore verso
l'esterno, e per farlo dovrà attraversare il foglio di plastica alluminizzato. Ma il calore, prima di ancora
di attraversare il foglio, deve innanzitutto essere ceduto dall'aria calda alla superficie interna del foglio,
per poi proseguire al suo interno. Questo è il punto!
Le difficoltà per il calore stanno proprio in questa prima fase: perché?
Perché il passaggio del calore verso l’ambiente, dallo strato di aria al foglio, è legato alla conduzione
dell’aria 4 ma soprattutto al meccanismo dell’irraggiamento che, grazie alle caratteristiche speculari del
foglio, risulta molto basso. Di conseguenza il calore ha grandi difficoltà ad essere dissipato verso
l’ambiente circostante: possiamo concludere affermando che un foglio di plastica alluminizzato
presenta ottime proprietà coibenti.
La termoregolazione nell'organismo umano
Premessa
Premettiamo che le considerazioni seguenti vengono svolte riferendosi ad una persona svestita, quindi
priva di un qualsiasi abbigliamento: in altre parole considereremo quali siano le strategie “naturali” che
il nostro organismo adotta per mantenere costante la temperatura interna di quello che viene definito il
nucleo centrale (core). Infatti il corpo umano per mantenere i suoi processi vitali ha la necessità di
svolgere una continua azione di scambio termico con l'ambiente che lo circonda al fine di garantire la
costanza della temperatura corporea interna intorno ai 37 °C. Esso deve cioè disperdere nell'ambiente
in cui soggiorna una certa quantità di calore e che varia da individuo a dell'individuo, in relazione
all'età, al peso corporeo, al sesso, alla attività fisica svolta in quel momento, ecc. Il valore minimo della
4
Ricordiamo che lo strato d'aria tra il corpo e il foglio è in quiete e in queste situazioni la convenzione è nulla: il calore
viene ceduto dall’aria al foglio per conduzione che ha, come sappiamo, valori bassissimi.
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quantità di calore da disperdere si ha nelle condizioni di assoluto riposo (fisico e mentale), è legato al
lavoro che l'organismo svolge per mantenere le funzioni della vita vegetativa e corrisponde al
metabolismo basale. Da sottolineare che, anche in condizioni basali, la temperatura corporea di un
individuo che non perda calore ma che lo produca soltanto (ad esempio una cavia umana contenuta in
un thermos gigante) aumenta in media di un grado all'ora giungendo nel giro di 5-6 ore a livelli letali.
Sul piano fisico la perdita di calore può avvenire per quattro vie.
™ irraggiamento, il calore viene perso mediante emmissione di radiazioni caloriche (raggi
infrarossi); avviene se l'ambiente è più freddo rispetto al corpo e nelle condizioni ambientali
medie può rappresentare il 60÷70% della perdita complessiva di calore.
™ conduzione (o contatto) quando il corpo viene a contatto con un oggetto più freddo; questo
meccanismo si verifica allorché ad esempio camminiamo a piedi nudi sul pavimento di casa
nostra, generalmente non è molto importante nel bilancio complessivo.
™ convezione, cioè mediante correnti convettive; nel caso specifico del nostro corpo riguarda
l'aria che va a contatto del corpo e si riscalda: si creano delle correnti per cui l'aria più calda
viene sostituita da una nuova aria più fresca. Ecco perché mettendosi di fronte a un ventilatore
si ha la sensazione di fresco: non è per che il ventilatore abbassa la temperatura dell’aria
dell’ambiente, l'aria è sempre la stessa, solo il suo rinnovo è più veloce.
™ evaporazione: se il corpo è caldo quanto l'ambiente è evidente che nessuna delle prime tre
forme di dispersione elencate può essere utilizzata; anzi, se l'ambiente è più caldo, è il corpo
che tende a riscaldarsi. In questo caso l'unica possibilità di perdere calore è quella di far
evaporare dell'acqua dalla superficie esterna del corpo e dalla superficie umida delle vie
respiratorie. Un grammo di acqua a 37 °C assorbe nel trasformarsi in vapore ben 0,576 kcal: si
capisce quindi come questo processo di eliminazione del calore sia della massima importanza
alle alte temperature ambientali.
Nelle prime tre forme di dispersione si dice che in calore è ceduto in forma sensibile, nella quarta
forma in modo latente. Le proporzioni di queste quattro forme di dispersione del calore possono variare
notevolmente senza danno per l'organismo, purché vi sia equilibrio tra la quantità di calore da
disperdere e le possibilità di dispersione, equilibrio che entro certi limiti è assicurato da un meccanismo
di adattamento termico di cui l'organismo umano è dotato. Quando il flusso di calore disperso
corrisponde alla quantità di calore che l'organismo produce noi proviamo un senso di benessere
termico; quando questo equilibrio viene rotto noi abbiamo la sensazione rispettivamente di caldo o di
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freddo, sensazioni tanto più sgradevoli quanto più aumenta la differenza tra calore prodotto e calore
disperso.
Tabella 2: Calore orario emesso dalle persone [W]
Calore
Attività svolta
totale
Temperatura ambiente
21 °C
24 °C
27 °C
[W]
sens.
lat.
sens.
lat.
sens.
lat.
Seduto a riposo
116
84
32
77
39
65
51
Lavoro d’ufficio
140
90
50
80
60
65
75
Passeggio lento
160
95
65
83
77
65
95
Marcia a 5 Km/h
290
130
160
110
180
85
205
Lavoro leggero
230
110
120
90
140
67
163
Lavoro medio
330
140
190
130
200
95
235
Lavoro pesante
440
180
260
150
290
140
300
N.B. I valori indicati sono espressi in Watt, per tradurli in kcal/h occorre moltiplicarli per 0,86
I valori indicati sono riferiti a un uomo, per una donna occorre moltiplicarli per 0,85
Per avere la quantità di vapor acqueo emesso da una persona occorre moltiplicare il calore latente, espresso in Watt,
per 1,4
Vediamo ora quali sono le risposte che l'organismo umano è in grado di dare al caldo e al freddo.
La risposta al caldo
Nella risposta al caldo c'è innanzitutto vasodilatazione che riscaldando la cute favorisce la perdita di
calore per irraggiamento, per convenzione e conduzione. Se tuttavia l'ambiente diventa troppo caldo la
perdita di calore attraverso questi tre meccanismi non è più possibile e resta una sola possibilità: la
sudorazione e la conseguente evaporazione del sudore. Quindi se viene superata una certa temperatura
critica, difficile da indicare, perché un conto è essere completamente immobili e nudi in un ambiente
(allora bisogna che la temperatura arrivi attorno ai 28÷29 °C perché inizi la sudorazione), mentre se
uno è vestito e si muove la sudorazione ha inizio a temperature più basse. La sudorazione non è
qualcosa di disdicevole: è invece un'ancora di salvezza fondamentale per la perdita di calore quando gli
altri meccanismi sono insufficienti o non possono essere sfruttati. Però la sudorazione in sé non
rappresenterebbe una perdita di calore, cioè non servirebbe a nulla, se non fosse associata
all'evaporazione del sudore. Un uomo in ambiente molto caldo e umido va incontro ad un colpo di
calore in quanto non ha più nessuna possibilità di perdita di calore, anche se gronda di sudore; cioè
11
l'ambiente deve essere sufficientemente secco per permettere l'evaporazione. Ma cosa significa
veramente ambiente caldo umido o ambiente caldo secco? È utile dare a questo punto alcune
informazioni sulla quantità di vapore d'acqua presente nell'aria.
•
L'umidità assoluta indica la quantità di vapor d'acqua, espressa ad esempio in grammi,
contenuta in 1 m3 di aria.
•
L'umidità di saturazione è la quantità di vapor d'acqua necessaria per saturare, a una data
temperatura, 1 m3 di aria; aumentando la temperatura aumenta conseguentemente anche
l'umidità di saturazione, come si può anche notare dalla lettura della tabella di seguito riportata.
•
L'umidità relativa di saturazione, detta anche stato igrometrico dell'aria, è il rapporto tra
l'umidità assoluta e l'umidità di saturazione moltiplicata per 100. Pertanto la condensazione del
vapore con formazione di acqua liquida si ha quando l'umidità relativa di saturazione ha un
valore del 100%.
Tabella 3: variazione dell’umidità di saturazione dell’aria al variare della temperatura.
Temperatura in °C
Umidità di saturazione in g/m3
10
9.4
20
17.3
30
30.4
40
51.1
50
82.1
60
130.1
70
198
80
293,9
90
423.1
100
600
Riguardo lo stato igrometrico si dice che l'aria è:
secchissima: quando la sua umidità relativa è inferiore al 30%
secca: quando varia tra il 30 e il 50%
normale: quando varia dal 50 al 75%
umida: quando supera il 75%
È ovvio che man mano che aumenta l'umidità relativa risulta sempre più difficile all'organismo umano
12
allontanare dall'epidermide il sudore sotto forma di vapore: viene così progressivamente a mancare il
fondamentale meccanismo di raffreddamento per le alte temperature ambientali. Occorre precisare che
in condizioni normali, anche se non si suda, si ha sempre una perdita di calore per evaporazione: una
piccola quantità di acqua viene perduta sia dalla cute che dalle vie respiratorie in modo invisibile
(perspiratio insensibilis). Con questo sistema si perdono circa 25 grammi di acqua all'ora pari a circa
14 kcal/h. Questa evaporazione invisibile che si attua attraverso la pelle e la superficie esterna delle vie
respiratorie non è controllata ai fini della termoregolazione, perché essa dipende dalla continua
diffusione di molecole di acqua attraverso la cute e le superfici respiratorie, indipendentemente dalla
temperatura corporea.
È tuttavia interessante notare che a valori elevati di temperatura ambientale, anche in condizioni di
assoluto riposo, aumenta la frequenza respiratoria, si verifica cioè l'ansimazione. Questo respiro
frequente e superficiale aumenta la quantità di acqua che evapora dalle mucose umide della bocca e
delle vie respiratorie, con conseguente aumento delle perdite di calore 5 .
Nella risposta al caldo inoltre il tono muscolare si riduce al minimo e sia ha ipotonia e astenia
(spossatezza). Inoltre le secrezioni endocrine vengono frenate, il metabolismo complessivo rallenta e
sia ha anoressia, cioè riduzione del senso della fame.
La risposta al freddo
Una diminuzione temporanea della temperatura esterna provoca inizialmente una vasodilatazione e un
aumento della circolazione periferica, nel tentativo di mantenere costante la temperatura delle zone più
esposte al raffreddamento. Se però l'abbassamento della temperatura esterna perdura, subentra un
processo di vasocostrizione e una riduzione della circolazione periferica in modo che l'organismo,
economizzando le sue riserve di calore, riesce a mantenere costante la temperatura della sua parte
centrale. Questa economia si ottiene attraverso un raffreddamento della cute; con questo si riduce il
gradiente (la differenza) di temperatura tra cute e ambiente esterno, quindi la perdita di calore per
irraggiamento, per conduzione e convenzione è diminuita. In queste condizioni abbiamo anche la pelle
d'oca (orripilazione): si contraggono i muscoli lisci annessi ai follicoli piliferi. Ciò che nell'uomo è solo
5
Questo meccanismo di raffreddamento, tecnicamente definito come polipnea, è fondamentale in molti animali, con
limitata capacità di disperdere il calore attraverso la superficie corporea, vuoi perché hanno il corpo ricoperto da peli, vuoi
perché sprovvisti di ghiandole sudoripare.
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un ricordo filogenetico (forse un tempo eravamo più pelosi?) ma negli animali muniti di penne o di peli
è un meccanismo efficace in quanto si realizza un aumento dello spessore del mantello protettivo:
aumenta in questo modo anche lo spessore dell'aria ferma intrappolata tra i peli o le piume e noi
sappiamo che l'aria in quiete è fortemente isolante.
Il raggomitolamento è una reazione al freddo comune negli animali ed ha la sua controparte nella
posizione che molti assumono a letto, quando hanno freddo. In tal modo diminuisce la superficie
corporea esposta all'ambiente esterno.
I tre meccanismi ora descritti diminuiscono le perdite di calore ma il freddo attiva anche la produzione
di calore, che si ottiene ad esempio attraverso un aumento del tono muscolare, cioè dello stato di
tensione presentato dei muscoli anche in fase di riposo. È sufficiente l'aumento del tono, senza alcuna
manifestazione motoria, per aumentare del 100% la produzione di calore. Se l'aumento di tono non è
sufficiente allora si ha un intensificarsi dell'attività motoria sotto forma di brivido: è una forma di
contrazione intermittente, ritmica, che può aumentare la produzione di calore anche del 400%. Se non è
sufficiente nemmeno il brivido allora interviene una vera e propria attività motoria semicosciente come
lo sbattimento dei piedi e i continui movimenti di va e vieni che si compiono in una giornata fredda,
aspettando qualcuna che non arriva mai. Collateralmente c'è un aumento del metabolismo basale come
risposta endocrina al freddo, attraverso l'attivazione della tiroide e della midollare surrenale; compare
inoltre precocemente lo stimolo della fame. Per questo motivo d’inverno si mangia di più che non
durante l'estate: la nostra vecchia carcassa brucia di più e ha quindi maggiori esigenze. Tutti i
meccanismi di risposta al freddo finora descritti servono per ripristinare il senso di benessere termico
ma funzionano, ahimé, solo fino a un certo. E quando fa decisamente freddo?
A questo punto vi consiglio di completare il vostro magro strato di peli, che so, con una pelle d'orso o,
se non c’è a portata di mano (o se l’orso fa resistenza) più comodamente passate per un negozio di
abbigliamento e acquistate dei vestiti.
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UN APPROCCIO QUANTITATIVO AGLI SCAMBI TERMICI TRA CORPO
UMANO E AMBIENTE
Il concetto di comfort termico
Non è facile dare una definizione condivisa di benessere ambientale, perché esso è la risultante
dell’azione combinata di numerosi elementi, non solo termici ma anche acustici, olfattivi, visivi e, non
ultimi, psicologici. Inoltre la condizione di benessere ambientale è squisitamente soggettiva. In ogni
caso possiamo affermare che in un dato ambiente un individuo si trova in condizioni di benessere se egli
non incontra difficoltà a concentrare tutte le sue facoltà sull’attività che lo impegna, sia questa un lavoro
intellettuale o fisico, il riposo o il sonno. È indubbio come in questa condizione di benessere un ruolo
importante abbia il comfort igrotermico e di questo ci occuperemo in queste riflessioni. Inizialmente
prenderemo in esame gli scambi igrotermici in ambienti confinati (o indoor) di tipo moderato, quali
possono essere le abitazioni, gli uffici o gli ambienti scolastici, in cui si svolgano attività lavorative di
tipo sedentario. In queste situazioni è sicuramente possibile, con adeguate strategie, il raggiungimento
del comfort igrotermico 6 .
Il bilancio di energia del corpo umano
Con il termine metabolismo si indica l’insieme dei processi che, all’interno del corpo umano,
trasformano l’energia chimica potenziale introdotta con gli alimenti in altre forme di energia (e lavoro).
I processi metabolici sono complessivamente esotermici; si tratta di processi essenzialmente ossidativi
che trasformano gran parte dell’energia potenziale chimica contenuta negli alimenti in lavoro
meccanico (muscolare) L e principalmente in calore Qtotale ceduto all’ambiente attraverso le due
superfici di separazione uomo/ambiente, rappresentate rispettivamente dalla cute e dalle vie aeree 7 . Il
flusso termico generato in tal modo all’interno del corpo viene chiamato potenza metabolica (o anche
flusso metabolico) e viene comunemente indicata con il simbolo M ed espresso in watt.
Il Primo Principio della Termodinamica applicato al sistema “corpo umano” trascurando le eventuali
variazioni di energia cinetica, potenziale, etc., può essere scritto secondo la seguente relazione:
U = M - L - Qtotale
6
Negli ambienti chiusi definiti severi, sia caldi che freddi, quali ad esempio fonderie o, all’opposto, celle frigorifere, lo
scopo del controllo degli scambi igrotermici ha come obiettivo primario “solo” la salvaguardia della salute degli operatori.
16
dove U rappresenta la variazione dell'energia interna del corpo umano nell'unità di tempo.
L’equazione soprascritta può venire semplificata riflettendo sul significato di U. Come si è detto U
rappresenta l’accumulo o perdita di energia termica (calore) che complessivamente il corpo umano può
registrare. Ora è chiaro che se c’è un accumulo di energia termica in un corpo c’è anche un suo
contestuale aumento di temperatura ma questo, come sappiamo, è “mal digerito” dall’organismo umano
che tende invece a conservare costante la sua temperatura interna. D'altronde l’organismo, a fronte di
variazioni improvvise di temperatura ambiente non è in grado di attivare istantaneamente i propri
meccanismi fisiologici, per garantire un subitaneo equilibrio termico e in queste condizioni il termine
di accumulo diventa importante.
Il corpo umano è ovviamente dotato di capacità termica 8 ed è dunque in grado, come tutti i corpi, di
accumulare o cedere una certa quantità di calore: la capacità termica totale che l'organismo può
sopportare, ovvero la massima dose di energia che l'organismo può temporaneamente mettere a
disposizione in caso di freddo o di caldo è pari a circa ±600 kJ. In sostanza il termine U costituisce la
"valvola di sicurezza" del sistema nel momento in cui condizioni ambientali particolarmente severe
non consentano all'organismo umano di far fronte alle esigenze di equilibrio energetico con i mezzi
usualmente utilizzati allo scopo. Ciò significa che in condizioni transitorie il termine di accumulo
diviene particolarmente importante e permette all'organismo umano di resistere a condizioni ambientali
gravose. In ogni caso scompensi dell'ordine di 600 kJ costituiscono i valori limite dell'elasticità
energetica dell'organismo umano, al di là dei quali difficilmente la vita è in grado di riprendere il suo
ritmo normale.
Concludendo: in un ambiente interno moderato che registri condizioni climatiche costanti per un corpo
umano già acclimatato il termine U diventa pari a zero. L’equazione precedente si può allora
semplificare in:
0 = M - L - Qtotale
Un’ulteriore semplificazione della formula si ottiene riflettendo sul rendimento 9 della “macchina
uomo”: esso è piuttosto scarso, mediamente η≈0,2 ma spesso è ancora più basso: ad esempio sollevare
pesi ha un rendimento del 9%. Di conseguenza il termine L risulta trascurabile come termine sottrattivo
7
Una parte di questa energia chimica può eventualmente essere accumulata nelle sostanze di riserva del corpo umano.
Si ricordi che la capacità termica di un corpo è data da: C = m· cs
9
Si ricordi che il rendimento (η=L/M) in una macchina rappresenta il rapporto tra il lavoro effettivamente svolto e l’energia
a disposizione per quel lavoro: se η≈0,09 ben il 90% energia impiegata viene degradata in energia termica.
8
17
rispetto a M, restando al di sotto della soglia degli errori di misura di M 10 . L’equazione può quindi
essere ulteriormente semplificata:
0 = M – Qtotale
In altri termini:
M = Qtotale
Questo significa che per un corpo umano in equilibrio termico con l’ambiente la potenza metabolica è
circa pari alla potenza termica ceduta all’ambiente: se sperimentalmente determiniamo Qtotale possiamo
allora risalire ad M (o viceversa).
Unità di misura del metabolismo
Ovviamente la potenza metabolica varia con l’attività del soggetto: in assoluto riposo, come si è già
detto, corrisponde al metabolismo basale (M.B.).
Figura 6 – Variazione del
metabolismo
basale
in
funzione dell’età e del sesso.
Occorre precisare che tra
due soggetti a riposo,
dello stesso sesso, della
medesima
età
ma
di
taglia molto diversa la
quantità totale di energia per soddisfare il metabolismo basale sarà considerevolmente diversa, a causa
della differente dimensione corporea.
Sperimentalmente si è accertato che nei soggetti normali il metabolismo basale varia con buona
approssimazione in proporzione alla superficie corporea. Perciò per confrontare i valori del
metabolismo basale ottenuti in soggetti diversi questi valori vanno espressi in kcal/h·m2. Viceversa nel
sistema SI i flussi termici (e il metabolismo) vengono espressi in W/m2: si ricordi che:
1 kcal/h·m2 =1,163 Watt/m2.
10
Ciò è tanto più vero se consideriamo un individuo impegnato in attività sedentarie in cui L è di per sé poco importante.
18
Alternativamente può essere usato il met, unità di misura che corrisponde al tasso metabolico di una
persona seduta e rilassata. In particolare:
1 met =58,15 W/m2
Con questa unità viene quindi espressa la potenza totale media erogata da un individuo durante una
attività lavorativa, per unità di superficie corporea. Di seguito viene riportata una tabella in cui vengono
indicati i valori del tasso metabolico caratteristici per varie attività.
Tabella 4 – tasso metabolico per varie attività.
ATTIVITA’
MET W/m2
Sdraiato, a riposo
0.8
47
Seduto, a riposo
1
58
Attività sedentaria (ufficio, abitazione, laboratorio, scuola)
1.2
70
In piedi, a riposo
1.2
70
Attività leggera, in piedi (laboratorio, industria leggera)
1.6
93
Attività media, in piedi (vendita, lavoro domestico, lavoro su macchinari)
2
117
Attività pesante (lavoro pesante su macchinari, garage)
3
175
Per risalire alla potenza complessiva legata al metabolismo occorre moltiplicare il tasso metabolico,
espresso per unità di superficie, per la superficie complessiva dell’individuo in esame. L’area della
superficie corporea può venire determinata a partire dalla massa e dalla altezza della persona, usando
apposite tavole o grafici, in alternativa può essere applicata la formula di De Bois:
A=0,202· m0,425 ·H0,725
dove m è la massa dell’individuo e H è la sua altezza.
19
I meccanismi della termodispersione
Come si è già affermato gli scambi di calore, sia sotto forma sensibile che latente, fra Uomo e
Ambiente, sono localizzati sia sulla superficie esterna del corpo, sia sulle pareti delle vie respiratorie.
Volendo esplicitare la potenza termica ceduta all’ambiente relativamente a queste superfici di scambio
possiamo scrivere:
M = Qtotale = Qcute + Qresp.
Segnaliamo che Qresp. è sotto forma sia di calore sensibile che latente (legato cioè alla formazione del
vapore acqueo nell’aria espirata): esso rappresenta all’incirca il 10% del calore complessivamente
disperso. In realtà noi siamo più interessati a Qcute perché è su questo valore che può alla fine incidere
l’abbigliamento. Volendo indicare tutte le potenze termiche che coinvolgono in qualche misura la cute,
possiamo scrivere:
Qcute = Qr + Qc + Qsdz + Qk + Qtrp
Qcute: potenza termica scambiata complessivamente attraverso la pelle [W];
Qr: potenza termica sensibile scambiata per irraggiamento [W]
Qc: potenza termica sensibile scambiata per convezione [W];
Qsdz: potenza termica latente scambiata per evaporazione del sudore sulla superficie della pelle [W];
Qk: potenza termica sensibile scambiata per conduzione [W];
Qtrp: potenza termica latente scambiata per traspirazione attraverso la pelle [W],
L’ultimo termine, legato alla perspiratio insensibilis può essere tranquillamente trascurato, perché
poco significativo e inoltre sfugge ai meccanismi di controllo della termoregolazione. Perciò
l’equazione si semplifica in:
Qcute = Qc + Qr + Qsdz + Qk
La situazione, per una persona svestita, in una
stanza nelle normali condizioni di temperatura e
umidità, in assenza di significative correnti
d’aria, è rappresentata nella figura.
Figura 7 –Meccanismi di termodispersione per una
persona svestita e seduta, in un ambiente nelle normali
condizioni climatiche, in assenza di correnti d’aria.
20
¾ L’irraggiamento
Come si può vedere in queste condizioni la perdita di calore per irraggiamento arriva al 60% del
calore complessivamente disperso: è un dato importante, su cui torneremo trattando
l’abbigliamento outdoor.
¾ La conduzione
Le perdite di calore per conduzione, dalla superficie corporea ad altri oggetti a contatto diretto,
come la sedia, il letto o il pavimento (se si è in posizione eretta a piedi nudi) si attestano sulla
soglia del 3%: questo significa che normalmente tali perdite influenzano poco il bilancio termico
complessivo.
¾ La convezione
In realtà non dimentichiamo che un corpo nudo è a contatto diretto anche con l’aria, presentando
ad essa una grande superficie espositiva: anche con questo mezzo si deve verificare la
conduzione. A questo proposito si ricordi che l’energia termica di un corpo solido è legata ai
movimenti vibrazionali delle particelle che lo costituiscono: questo vale anche per le molecole
che costituiscono il rivestimento cutaneo dell’organismo. L’energia di questo movimento può
essere trasmessa all’aria (se questa è più fredda della cute), aumentando in tal modo la velocità di
movimento delle molecole dell’aria. Però, una volta che la temperatura dell’aria immediatamente
a contatto con la pelle sia diventata uguale a quella della stessa pelle, non si potrebbe avere
ulteriore perdita di calore dal corpo all’aria, poiché il coefficiente di conducibilità interna
dell’aria circostante (come si è visto ragionando sul vetrocamera) è troppo bassa per disperdere
rapidamente il calore acquistato dall’aria a contatto del corpo. Perciò la conduzione del calore
all’aria dovrebbe essere un processo autolimitante e gli scambi termico dovrebbero rapidamente
interrompersi. Così evidentemente non è: ciò è dovuto al fatto che l’aria calda, a contatto con il
corpo, viene continuamente rimossa dalla superficie cutanea e sostituita da aria più fresca.
Questo è possibile perché in un ambiente, anche in totale assenza di correnti d’aria, l’aria calda
tende a salire, sfuggendo spontaneamente dal contatto con la cute richiamando aria più fresca
21
dall’ambiente: i moti convettivi che così spontaneamente si generano permettono in queste
condizioni di disperdere circa il 15% della quantità complessiva del calore corporeo perduto. Se
poi in un ambiente sono presenti correnti d’aria (naturali o artificiali) la convezione diventa
ancora più importante perché lo strato d’aria immediatamente adiacente alla pelle si rinnova
molto più rapidamente e conseguentemente aumenta la perdita di calore per convezione 11 . Negli
ambienti outdoor il vento è quasi sempre una costante per cui in quei contesti la convezione
assume un ruolo nella dispersione termica ben più significativa che negli ambienti confinati.
¾ La sudorazione
L’irraggiamento, la convezione e la conduzione permettono il raffreddamento del corpo umano a
patto che la temperatura ambiente sia più bassa di quella corporea. In ogni caso la loro efficacia
decresce con il diminuire del gradiente termico ambiente/cute. In altre parole il corpo umano per
garantire l’efficienza del raffreddamento man mano che aumenta la temperatura esterna è
costretto a utilizzare sempre di più la sudorazione, fino a che essa diventa il solo meccanismo
possibile. Tuttavia, anche per sfruttare al meglio la sudorazione ci vuole allenamento! Un
soggetto normale, non acclimatato, che improvvisamente si trovi a soggiornare in un ambiente
caldo raramente è in grado di giungere a produrre quantità di sudore superiori a 700 ml/h, pari a
403 kcal/h. Tuttavia se permane in un ambiente termicamente severo, come il clima di un paese
tropicale o desertico per un periodo da 1 a 6 settimane la secrezione di sudore si fa via via più
abbondante, potendo arrivare a 2 l/h. La conseguente evaporazione di questa grande quantità di
acqua può rimuovere una quantità di calore superiore a 10 volte quella della normale produzione
legata al metabolismo basale.
Finora nelle nostre riflessioni sugli scambi termici abbiamo considerato un corpo nudo in un ambiente
indoor ma nessuno di noi, in genere, gironzola in ufficio, in costume adamitico. La domanda che allora
ci poniamo è: quale ruolo ha l’abbigliamento negli scambi termici?
11
Nell’ambito delle basse velocità possiamo affermare che l’effetto delle correnti d’aria è quasi direttamente proporzionale
alla radice quadrata delle loro velocità: un flusso d’aria che si muova alla velocità di 4 km/h ha sul raffreddamento
un’efficacia circa due volte superiore di quella che si registra con una velocità di 1 km/h.
22
L’ABBIGLIAMENTO E IL COMFORT TERMOIGROMETRICO
È lapalissiano che ci si vesta per proteggersi dal freddo: un po’ meno evidente che a volte sia opportuno
coprirsi per difendersi dal caldo ma i Tuareg del Sahara insegnano qualcosa a questo proposito 12 . In
ogni caso la necessità di ridurre (o meglio modulare) la dispersione termica è, nei climi temperati o
freddi, la situazione più frequente. Un comune abbigliamento riduce la termodispersione a circa la metà
di quella che si avrebbe a corpo nudo, mentre un abbigliamento di tipo polare la può diminuire a un
sesto.
Il bisogno primario dell'uomo di vestirsi è andato modificandosi nel tempo perché sono cambiate le
tipologie indoor dove si trascorre gran parte del proprio tempo: le abitazioni e i luoghi di studio e di
lavoro sono ormai dotati di efficienti impianti di riscaldamento e (spesso) di condizionamento.
Anche i materiali tessili per l’industria delle confezioni e dell’abbigliamento si sono evoluti a livelli
impensabili fino a pochi decenni fa. Oggi si progettano e si realizzano sempre più spesso prodotti
multifunzionali, per i quali devono coesistere e convivere prestazioni anche contrastanti tra di loro,
come ad esempio l'impermeabilità all'acqua e la permeabilità al vapore acqueo.
Naturalmente la ricerca di un adeguato livello di comfort igrotermico non può andare a scapito del
comfort complessivo che deve essere comunque garantito dall’abbigliamento: una pesante muta da
palombaro in neoprene può essere una buona difesa contro le gelide acque del Mare del Nord ma
improponibile per passeggiare a braccetto sotto la pioggia!
Si tratta in realtà di un problema molto complesso per cui si devono progettare soluzioni ottimali che
riguardano:
1. le caratteristiche di trasporto, sia dei liquidi (acqua) che dei gas (vapore acqueo e aria),
2. le caratteristiche di contatto con la pelle (mano),
3. le caratteristiche di drappeggio e di confezionabilità dei tessuti.
Queste caratteristiche sono il frutto di complesse interconnessioni con:
¾ le fibre tessili impiegate,
¾ la struttura dei filati e dei tessuti,
¾ i trattamenti di finissaggio
12
In determinati ambienti outdoor l’abbigliamento è anche un’importante barriera rispetto alla radiazione ultravioletta.
23
Chiaramente le fibre hanno un ruolo centrale, così come i tessuti nati e sviluppati espressamente per
assicurare il comfort, ma altrettanto importanti, soprattutto in alcune applicazioni specifiche, sono i
trattamenti di nobilitazione per conferire prestazioni che di per sé il tessile non avrebbe.
Nella seguente tabella vengono indicati in modo più analitico i fattori più significativi influenzanti il
comfort del prodotto finale.
Tabella 5 – Principali parametri influenzanti il comfort di un capo d’abbigliamento.
Natura chimica delle macromolecole costituenti le fibre
Grado di cristallinità delle fibre (parametro variabile a piacimento solo nelle tecnofibre).
Fibre
Finezza
Sezione
Arricciatura (crimp)
Titolo
Filato
Torsione
Pelosità
Tipo di lavorazione (a telaio o a maglia)
Tessuto
Tipo di intreccio (armatura)
Processi di nobilitazione
Foggia
Prodotto finito
Dimensioni
Naturalmente questi parametri influenzano il comfort in senso lato; noi vogliamo in questa sede limitare
le nostre considerazioni al comfort igrotermico.
Esso è essenzialmente determinato da quattro
proprietà: la resistenza termica, l’impermeabilità all’acqua, la resistenza evaporativa e la
permeabilità all’aria.
Figura 8 - Rappresentazione schematica di una parte del corpo umano
ricoperta da un singolo capo d’abbigliamento.
1. Cute 2. Strato d’aria interno 3. Abbigliamento 4. Strato d’aria superficiale
Questi parametri, spesso connessi e contrapposti tra loro, risultano
predittivi dell’attitudine di un determinato capo di abbigliamento nel
favorire il comfort termoigrometrico nelle varie condizioni climatiche.
Ad esempio a un capo d’abbigliamento da indossare in paesi tropicali viene richiesto una buona
24
permeabilità all’aria e bassa resistenza termica e evaporativa. Viceversa a un vestiario da utilizzare in
climi molto rigidi viene richiesto una elevata resistenza termica e una bassa permeabilità all’aria
(vento). Quando piove desideriamo indossare indumenti impermeabili all’acqua e nel contempo
vorremmo che essi fossero traspiranti, lasciassero cioè sfuggire il vapore acqueo che si origina per
vaporizzazione del sudore. In altre parole molto spesso al nostro vestiario chiediamo di mettere insieme
il diavolo e l’acqua santa, capra e cavoli, ecc. ecc.
La resistenza termica del vestiario
A volte da vari Autori indicata anche come impedenza termica o isolamento termico (Icl), è una
grandezza inversa della trasmittanza termica e rappresenta la resistenza al flusso di calore opposta dai
vestiti e dagli strati d’aria presenti. Nel sistema internazionale13 la resistenza termica è espressa in
m2·K/W. Tuttavia in genere negli studi di settore è in uso un’altra unità di misura, il clo:
1 clo = 0,16 m2· K/W
Ora, ricordando che:
1W = 0,86 kcal/h
Possiamo anche dire che:
Volendo confondere le idee, facendo i saputoni, possiamo affermare che un dato abbigliamento
presenta un’impedenza termica di 1 clo quando, in presenza di un gradiente termico di 0,18 °C
manifesta un flusso termico di 1 Kcal/h su un’area di 1 m2.
Molto più semplicemente 1 clo corrisponde alla resistenza termica di un tipico abbigliamento invernale
utilizzato per un ambiente interno.
Nella tabella che segue sono riportati alcuni tipici valori di Icl
TIPO DI ABBIGLIAMENTO
m2 ·K/W
Clo
0
0
Pantaloncini
0,015
0,1
Abbigliamento tropicale
0,045
0,3
Abbigliamento leggero estivo
0,08
0.5
Abbigliamento leggero da lavoro
0,11
0,7
Abbigliamento invernale per ambienti chiusi
0,16
1,0
Abbigliamento pesante da ufficio all’europea (biancheria intima lunga,
camicia con manica lunga, abito completo di lana, panciotto, scarpe e calze
di lana)
0,23
1,5
Nudo
13
Da un punto di vista numerico è equivalente, esprimerla in m2·°C/W.
25
La resistenza evaporativa del vestiario
Non dimentichiamo che se la trasmissione del calore può essere elemento critico per la stessa
sopravvivenza umana in un ambiente molto rigido, è incontestabile che l’allontanamento del sudore
dalla cute sia cruciale per il comfort, sia in ambiente freddo che caldo. Il suo libero movimento verso la
superficie più esterna dell’abbigliamento è determinante se si vuole prevenire il disagio dovuto alla
stagnazione del sudore sulla cute e sugli indumenti più a contatto, con il risultato di generare una
perdita di comfort, percepita in inverno con un senso di gelo e in estate con un fastidioso senso di
appiccicaticcio.
Permeabilità all’aria del vestiario
Un’altra importante proprietà fisica, che andiamo ora ad esaminare è la permeabilità di un tessuto
all’aria, caratteristica che può influenzare il comfort in molti modi ed è strettamente connessa con le
due proprietà precedentemente esaminate.
Un’alta permeabilità consente un miglior accesso dell’aria sulla superficie della pelle aumentandone la
rimozione del sudore e riducendo, nella stagione calda, la sensazione di disagio dovuta alla
sudorazione. Viceversa, nella stagione fredda, la condizione appena vista, si traduce in un rapido
abbassamento della temperatura corporea creando non solo uno stato di disagio ma, in condizioni di
freddo intenso, anche seri problemi come il congelamento e l’ipotermia.
Si può affermare che un tessuto permeabile all’aria è, in generale, anche permeabile all’acqua sia nella
fase vapore sia in quella liquida. Pertanto la permeabilità all’umidità in fase vapore e la trasmissione di
umidità in fase liquida sono normalmente correlate con la permeabilità all’aria. Tuttavia la resistenza
termica di un tessuto dipende fortemente dall’aria in quiete, intrappolata in esso: questo fattore è, a sua
volta, influenzato dalla sua struttura, così come lo è anche la permeabilità all’aria. Ciò significa che una
eccessiva permeabilità all’aria comporta un ricambio più rapido di questa aria, la sua sostituzione con
aria più fredda e una drastica diminuzione della resistenza termica.
L’abbigliamento “multistrato”
Come si è compreso non è facile soddisfare contemporaneamente tutte le diverse funzioni che
l'abbigliamento è chiamato a soddisfare, in quanto queste possono cambiare a seconda:
¾ del tipo di attività specifica
¾ delle condizioni ambientali complessive (temperatura, umidità relativa, presenza di vento)
Occorre quindi ricercare il miglior compromesso possibile tra esigenze, spesso contrapposte, ricorrendo
26
a una combinazione di più capi d’abbigliamento, indossati uno sull’altro. Un abbigliamento di questo
tipo si può definire multistrato o "a cipolla". Questa scelta crea ulteriori strati d’aria intermedi fra i vari
indumenti e la resistenza termica dell’abbigliamento risulta superiore (e molto più efficiente) della
semplice somma della resistenza termica dei singoli capi. Lo scopo è quello di creare uno spazio
confinato attorno al corpo umano, il cui microclima sia il vero responsabile del comfort igrotermico: in
altre parole noi, una volta vestiti, non percepiamo più direttamente il clima dell’ambiente circostante
quanto piuttosto quello del microclima che ci siamo “confezionati”. Un esempio di abbigliamento
multistrato può prevedere:
1. la zona "intima" avente lo scopo di garantire l’assorbimento e il trasporto dell'umidità verso
l'esterno
2. la zona intermedia di "isolamento" che esplica una funzione termica, cioè quello di creare il
microclima adeguato, garantendo nel contempo la traspirabilità
3. la zona di "protezione" contro gli agenti atmosferici
Questa soluzione permette di attribuire ai vari capi d’abbigliamento funzioni diverse, a seconda della
posizione in cui essi si trovano, per cui all’intimo a contatto con la cute vengono richieste caratteristiche
diverse rispetto all’indumento più esterno. In ogni caso è di fondamentale importanza che ogni
componente dell'abbigliamento abbia una funzione coordinata con gli altri capi.
Per
capire
l’incredibile
evoluzione
avvenuta
in
questi
ultimi
decenni
nel
settore
del
Tessile/Abbigliamento dobbiamo premettere due precisazioni. La prima riguarda la ricerca, sempre più
spinta, di ottenere più protezione termica con meno peso: questo risultato si ottiene progettando capi, o
meglio "sistemi di capi" tra loro integrati, sempre più leggeri e funzionali, in grado di proteggere il
microclima corporeo dalle influenze dell'ambiente esterno.
L’altro obiettivo che si è data la filiera del Tessile/Abbigliamento è stato quello di conciliare
impermeabilità e traspirabilità, aumentare cioè la protezione dagli agenti atmosferici senza
compromettere la possibilità di smaltire il sudore prodotto dal corpo con l'attività fisica, evitandone il
permanere sulla pelle.
Andiamo ora a considerare quali siano i materiali adatti a queste esigenze, limitando in questa sede la
trattazione ad alcuni dei materiali più innovativi, in grado di garantire ottimi livelli di comfort anche in
situazioni estreme, rimandando la discussione sui materiali tradizionali alle successive lezioni.
27
I materiali per la gestione dell’umidità a contatto con la pelle
Lo scopo principale dell’intimo, che rappresenta il primo strato di vestiario, è quello di garantire
l’allontanamento del sudore verso l'esterno. Naturalmente anche l’intimo contribuisce, almeno in parte,
alla coibenza termica complessiva dell’abbigliamento. Come già sappiamo, lo scambio termico dalla
cute all’intimo, avviene, attraverso l’irraggiamento, la conduzione all’aria, la conduzione per contatto
diretto 14 .
La situazione può diventare sfavorevole, e di molto, se gli indumenti a contatto con la cute risultano
bagnati, vuoi per la pioggia, vuoi per la sudorazione. In questo caso l’efficacia dell’intimo
nell’ostacolare la perdita di calore è quasi completamente annullata per due ragioni: il calore specifico
e la conducibilità specifica dell’acqua.
In merito al primo fattore dobbiamo ricordare che, a parità di volume occupato, la quantità di calore
assorbito dall’acqua è all’incirca 3000 volte superiore a quello dell’aria, sicché l’acqua, per un dato
volume a contatto con la pelle, a paragone dell’aria, può assorbire quantità di calore di gran lunga più
cospicue 15 .
Anche la conducibilità termica dell’acqua è di molto superiore di quella dell’aria (598,4 mW/m·K
contro 26,0 mW/m·K), all’incirca 23 volte. Di conseguenza quando si riscalda lo straterello di acqua
immediatamente adiacente alla superficie corporea è impossibile che esso assolva quella funzione di
“strato isolante” che l’aria invece garantisce: tutto porta a preoccupante incremento della velocità
complessiva di raffreddamento.
Si comprende quindi come sia importante che il vestiario a contatto della cute non sia bagnato e per
evitare ciò dobbiamo, da un lato, indossare indumenti aggiuntivi che garantiscano l’impermeabilità nei
confronti degli agenti atmosferici, dall’altro dobbiamo garantire la traspirabilità dell’intimo ma anche
quella complessiva dell’abbigliamento.
Ai fini del comfort è anche essenziale il modo con cui il tessuto del primo strato permette al sudore di
attraversarlo. La trasmissione può avvenire sia in fase liquida sia in fase vapore e a seconda del
meccanismo di trasporto prevalente questo implica un diverso grado di comfort.
14
Essa rappresenta normalmente una frazione molto piccola dello scambio termico in quanto i punti di contatto pelle-fibra
sono solo una piccola frazione della superficie complessiva ricoperta dal tessuto.
15
Il calore specifico (espresso in J/kg·K) per l’acqua vale 4186 è per l’aria 1004,6. Se tuttavia ragioniamo in termini di
volumi occupati, possiamo affermare che per riscaldare di un grado 1 m3 di aria secca (tenendo conto che ha una massa pari
a 1,293 kg, alla pressione di 1 Atm e alla temperatura di 0 °C) sono necessari all’incirca 1300 J. Per il medesimo volume di
acqua sono viceversa necessari, a parità di gradiente termico, 4186000J, cioè una quantità 3223 volte superiore.
28
Se l’acqua evapora sulla pelle e passa come vapore attraverso il tessuto, gli interstizi del tessuto
rimangono liberi: ciò consente all’aria di continuare a garantire l’isolamento termico. Al contrario se
l’umidità della pelle è trasportata attraverso il tessuto in fase liquida e solo successivamente evapora
dalla faccia più esterna del primo strato, il contributo al comfort si riduce nettamente.
In realtà dobbiamo precisare che il sudore, secreto inizialmente in forma liquida, può avvenire
allontanato dalla cute dal primo strato anche in maniera attiva, attraverso un processo di adsorbimentodiffusione-desorbimento ad opera delle fibre costituenti il tessuto.
Ciò è possibile specie se le fibre sono costituite da materiale idrofilo: nel settore delle fibre naturali la
lana è quella che garantisce da questo punto di vista le migliori performance. Essa è in grado di
assorbire umidità fino al 33% del proprio peso, senza dare la sensazione di bagnato. Ciò è dovuto al
fatto che l’adsorbimento è di natura chimica e non di natura capillare 16 ; alcune tecnofibre invece
risultano umide al tatto anche dopo aver assorbito solo 1-2% di acqua.
Figura 9 – 1) Nelle fibre naturali (es. lana, cotone) l’acqua è accumulata anche all’interno della sezione della fibra.
Alta capacità di assorbimento ma bassa velocità di asciugatura. – 2) Nel poliammide, l’acqua è presente
essenzialmente sulla superficie. La capacità di adsorbire acqua è quindi proporzionale alla superficie (alta nelle
microfibre) con una buona asciugabilità (dry quickness). – 3) Nel poliestere e nel polipropilene, l’acqua praticamente
non è assorbita. Bassissima capacità di adsorbimento e ottima velocità di asciugatura.
Ciò rende la lana un ottimo materiale idrofilo, caratteristica che le ha permesso di essere, per
moltissimo tempo, leader incontrastata, nei climi freddi, anche nel settore dell’intimo.
Ma chi ricorda i mutandoni di lana del nonno? Probabilmente nessuno. Orbene, se la lana ha perso la
sua leadership (almeno in questo settore) una qualche ragione ci deve pur essere.
La prima ragione è che la lana, indossata a contatto diretto con la cute, causa in alcuni individui
predisposti irritazione acuta e cronica della pelle, aggrava eventuali dermatiti atopiche e può indurre
dermatite allergica da contatto (DAC) e orticaria da contatto. Non a caso il cotone, nell’intimo, è
preferito da gran parte dei consumatori, almeno per le normali condizioni d’uso.
16
Nel caso del cotone e della lana sarebbe più corretto parlare di assorbimento in quanto l’acqua permea uniformemente
tutta la massa del corpo assorbente. Viceversa il termine adsorbimento andrebbe utilizzato per fenomeni tipicamente
superficiali, come è il caso delle tecnofibre.
29
Figura 10 – Confronto tra il comportamento del cotone
e di alcune tecnofibre nei confronti dell’acqua: si può
notare come le tecnofibre siano dotate di una elevata
velocità di asciugatura.
Ma se la lana e il cotone (un po’ meno) hanno la
capacità di assorbire grandi quantità di sudore
continuando a dare la sensazione di asciutto,
hanno anche lo svantaggio che una volta umidi
asciugano lentamente: di conseguenza non sono
in grado di garantire un comfort adeguato nelle
condizioni di intense e protratte sudorazioni,
tipiche delle attività sportive outdoor: in questo
caso le fibre sintetiche diventano, con alcuni
indispensabili
stratagemmi,
decisamente
interessanti.
Una buona gestione dell’umidità da parte
dell’intimo (Moisture Management) si può
avere da una attenta lettura dei due grafici, adottando soluzioni via via più sofisticate. Volendo
privilegiare una fibra dotata di rapida velocità di asciugatura come il polipropilene si può utilizzare un
semplice tessuto con una struttura tessile piuttosto aperta che
permetta una facile evacuazione del sudore in fase vapore.
Naturalmente questo va a scapito della coibenza se il tessuto non
viene adeguatamente protetto dai moti convettivi dell’aria.
Figura 11 – Un tessuto con un intreccio molto rado permette con più
facilità l’allontanamento del sudore, in fase vapore, garantendo un
comfort accettabile.
Volendo in ogni caso garantire il contributo del primo strato alla coibenza 17 si possono utilizzare
tessuti a doppio strato (Double Layer), fondamentalmente riconducibili a un unico principio: si tratta
17
È il caso di capi d’abbigliamento che vengono indossati da soli, come nelle attività sportive, senza le sinergie possibili
dell’abbigliamento multistrato.
30
di progettare un tessuto costituito da due strati in cui la faccia esterna abbia la capacità di “risucchiare”
l’umidità da quella interna, a contatto con la pelle.
Questa maggiore capacità di captazione dell’umidità può essere ottenuta:
1. Mediante un tessuto “Double layer” bi-componente, la cui faccia interna sia formata da fibre
idrofobe, mentre quella esterna è costituita da fibre idrofile.
2. Utililizzando un tessuto “Double layer” a gradiente di diametro, formato da fibre di un unico
materiale, di natura essenzialmente idrofoba (a basso adsorbimento) ma con diametri diversi:
“grosso” nello strato interno, molto più piccolo (microfibre) in quello esterno. Poiché, come si è
già detto, l’adsorbimento è un fenomeno essenzialmente superficiale, la capacità di richiamare
l’acqua (e il sudore) viene esaltata man mano che aumenta la superficie del materiale fibroso: le
microfibre , grazie alla loro finezza agiscono come “una pompa” per “aspirare” e disperdere il
sudore, lasciando asciutto lo strato interno del tessuto, a contatto con la pelle.
Figura 12 – A sinistra: tessuto “Double layer” bi-componente, fibra idrofobica interna, fibra idrofila esterna.
A destra: tessuto “Double layer” a gradiente di diametro, diametri maggiori all’interno, microfibre all’esterno
Un’altra soluzione per garantire traspirabilità al primo strato si basa
sull’utilizzo di tessuti che “aprono” la loro struttura solo al bisogno,
in presenza di attività fisica intensa: si tratta di tessuti elastici (stretch
fabrics), che a causa dei continui movimenti corporei, si aprono e si
chiudono “pompando” fuori l’aria satura di vapore acqueo,
incrementando il trasporto di sudore dall’interno all’esterno. Per una
buona efficienza è necessario che il capo d’abbigliamento sia il più
possibile aderente al corpo.
Figura 13 - L’uso di tessuti elastici aggiunge una ulteriore capacità di
trasferimento d’umidità in quanto l’attività fisica apre/chiude gli interstizi del
tessuto, incrementando il trasporto di sudore dall’interno all’esterno. In alto:
tessuto a riposo. In basso: tessuto in trazione.
31
I materiali per lo scudo termico
Lo scopo principale del vestiario è quello di originare una specie di scudo protettivo termico,
trattenendo adeguatamente il calore corporeo, rallentandone la dispersione 18 .
Un materiale leggero come l’aria
L'aerogel è un materiale traslucido e trasparente che possiamo definire come una schiuma solida in
quanto è composto dal 90-99.8% di aria e per il restante da diossido di silicio, il principale componente
del vetro. L'aerogel è però 1000 volte meno denso del vetro, essendo dotato della più bassa densità fra
tutti i materiali solidi conosciuti, con densità 19 tipiche tra 3÷350 mg/cm3; ciò che gli permette, nella
forma più pura, di fluttuare nell’aria. Proprio per la sua estrema leggerezza è soprannominato fumo
ghiacciato, fumo solido o fumo blu, per il suo colore azzurrognolo.
Figura 14 – Un ricercatore della NASA (Ente Spaziale
Americano) con un campione di aerogel: da notare l’aspetto
evanescente del materiale.
Figura 15 - Absolute Zero, una leggerissima giacca in Aerogel.
18
La funzione coibente non è esclusiva dei capi d’abbigliamento del secondo strato ma anche di quelli del terzo strato, che
in questo modo risultano polifunzionali. Nel complesso questi strati devono avere anche caratteristiche traspiranti in modo
che l'umidità corporea, espulsa dal primo strato, possa essere trasportata a quelli successivi e poi dispersa nell’ambiente.
19
Si tratta della densità apparente, riferita cioè alla massa volumica comprensiva degli spazi occupati dall’aria.
32
In grado di sopportare altissime temperature, è dotato di una conducibilità termica di circa 0,013÷0,018
W/m·K, che lo rende il miglior materiale solido isolante esistente al mondo. Per queste qualità termiche
e per la leggerezza è un materiale di elezione per l’industria aerospaziale: famoso il suo utilizzo nelle
sonde spaziali americane che hanno raggiunto Marte.
Questo materiale ha cominciato a essere testato anche nell’abbigliamento: in questo ambito l’Italia ha
avuto un ruolo di primo piano. Grazie alla collaborazione tra l’ESA (Ente Spaziale Europeo), un
laboratorio di ricerca italiano (Grado Zero Espace) e disegnata da Corpo Nove è stata prodotta una
giacca leggerissima, con uno strato isolante di questo materiale di soli 3 mm, in grado di garantire
un’ottima difesa dal freddo anche a -50 °C, come è stato testato anche nel corso di una spedizione
antartica. Si tratta in ogni caso di un materiale ancora molto costoso 20 . Inoltre nell’ambito tessile va
tenuto presente la possibilità di rilascio di polveri sub-micrometriche (irritanti) che rendono necessario
la realizzazione di bonding o coating del materiale.
I materiali termoregolanti a cambiamento di fase
La filosofia di questi materiali è completamente innovativa: raffreddare o riscaldare, a seconda delle
condizioni. Né troppo caldo, né troppo freddo, semplicemente perfetto! Così potrebbe essere definito il
comfort garantito da questi materiali.
La tecnologia dei Materiali a Cambiamento di Fase (Change Phase Materials, CPM) ha raggiunto uno
sviluppo applicativo nel settore tessile tale da offrire attualmente una vasta gamma di prodotti finiti al
consumatore finale.
Questa tecnologia, sviluppata inizialmente per la NASA per garantire agli astronauti una protezione
maggiore contro le gelide o cuocenti temperature presenti nello spazio, oscillanti tra -200°C e +200°C,
a seconda della esposizione solare, oggi trova applicazioni nella produzione di numerosi prodotti:
dall’abbigliamento alla biancheria intima, dai calzini alle calzature, dai copriletto ai sacchi a pelo ma
anche in prodotti un po’ meno consueti come i giubbotti antiproiettile, tessuti per i sedili delle
automobili, ecc.
I CPM si basano sull’utilizzo di microcapsule dalle dimensioni microscopiche: circa 1.000 di esse
stanno su una punta di spillo, con una densità in microcapsule di 3·106 /cm². In queste microcapsule
sono incorporati dei materiali che hanno la capacità di cambiare il loro strato di aggregazione entro un
determinato campo di temperature: da solido a liquido e viceversa.
33
Figura 16- Outlast® Thermocules™ in fibra acrilica: in questo
caso le microcapsule vengono integrate nelle fibre che verranno
successivamente filate per farne calzini, biancheria intima o
maglieria. Tutti questi prodotti sono a contatto con la pelle e ne
assicurano il benessere termico.
Oggi si conoscono circa 500 materiali a cambiamenti di
fase naturali e sintetici che si distinguono per la
temperatura alla quale avviene il cambiamento di fase e
per la loro capacità di immagazzinare o cedere calore. Per le applicazioni nel settore tessileabbigliamento, i materiali con i risultati più idonei sono delle paraffine, selezionate in modo da
manifestare il cambiamento di fase a varie temperature adattandosi così alle diverse temperature
naturali delle parti del corpo: a 34-36,5°C per la zona della testa (ad esempio per il rivestimento di
caschi per motociclisti), 27-30°C per le varie zone del tronco (da utilizzare per giacche, pantaloni, tute),
a 25-27°C per le mani e i piedi (per guanti, calze e calzature).
Le modalità tecniche per inserire le microcapsule nei prodotti tessili sono essenzialmente di tre tipi:
¾ inglobamento all’interno delle fibre,
¾ rivestimento dei tessuti con lamine o rivestimenti contenuti le microcapsule,
¾ spalmatura o schiumatura dei tessuti con polimeri caricati con microcapsule.
Questa ultima modalità offre il vantaggio di poter inglobare nel tessile il maggior quantitativo di CPM
consentendo di caricare sul tessuto fino a 100-150
g/m2 di microcapsule.
Figura 17 - Outlast® Thermocules™ come rivestimento su
prodotti tessili: in questo caso possono essere rivestiti diversi
materiali. Per molti prodotti (ad esempio abbigliamento o
copriletto)
vengono
rivestiti
cosiddetti
non-tessuti
(nonwovens.) Per giacche, ad esempio, si usano fodere
rivestite ma anche strati intermedi tra tessuto esterno e fodera
consentendo ai produttori di scegliere liberamente sia il
design che il tipo del tessuto esterno del capo.
20
Nel 2005 un cubo di aerogel con i lati di 2×2×2 cm costava 75 dollari USA. Tuttavia una produzione industriale su larga
scala potrebbe ridurne il costo industriale di un fattore pari a 1000, con ulteriori ottimizzazioni si potrebbero raggiungere
costi per unità di volume prossimi a quelli dei componenti ceramici evoluti.
34
La funzionalità di questi nuovi materiali è caratterizzata essenzialmente da un fenomeno di
termoregolazione attiva che si integra con l’isolamento termico passivo già offerto dai tessuti tradizionali. Questi materiali reagiscono interattivamente con i due principali ambienti climatici su cui si
affacciano:
l’ambiente
esterno
soggetto
ai
fenomeni climatici naturali o artificiali e il
microclima presente tra l’indumento e la pelle
umana soggetto alla produzione di calore e alle
variazioni conseguenti di temperatura generate
dall’attività umana 21 .
Figura 18 – Le microcapsule sono in grado di cedere
calore o di assorbirlo a seconda che avvenga la fusione o
la\solidificazione della paraffina contenuta.
In sostanza, oltre che regolare il flusso di calore
che si instaura tra i due ambienti sopraindicati, a
seguito di differenze di temperatura, questi
materiali hanno la capacità di assorbire o cedere calore ad una temperatura pressoché costante quando
avviene il cambiamento di fase, e tale capacità è tanto più elevata quanto più materiale e presente sul
tessuto. In pratica mentre con i tessuti tradizionali il microclima interno può subire oscillazioni anche di
diversi gradi centigradi a seguito dell’attività della persona o della rigidità del clima esterno, con i
nuovi tessuti l’oscillazione viene smorzata, almeno per un certo periodo di tempo, da uno a pochi gradi
centigradi.
Nella sostanza, con i CPM possiamo tenerci più caldi fino a 3,25 volte più a lungo dei materiali
tradizionali, senza sacrificare la traspirabilità, con una notevole diminuzione di spessore e peso
degli indumenti, rispetto ai tradizionali isolanti tessili. Non a caso l’abbigliamento sportivo, in
particolare quello per sci, alpinismo, sports nautici ecc., dai giacconi alle tute, agli stivali, ai
guanti, ai berretti (e persino la biancheria intima) si è rapidamente “impadronito” della novità.
21
Una persona a riposo produce circa 100 W di calore che passa a circa 500 W sotto sforzo.
35
I materiali per la protezione dagli agenti ambientali
I materiali dello strato più esterno dell’abbigliamento devono in genere assolvere ad una:
¾ Funzione coibente, integrando e completando lo scudo termico
¾ Funzione di protezione verso gli agenti atmosferici, pioggia, vento, UV
¾ Funzione traspirante, in grado di consentire la fuoriuscita dell’umidità prodotta con la
sudorazione
Sulla prima funzione non c’è molto da aggiungere, rispetto alle precedenti considerazioni. Possiamo
tuttavia sottolineare che un modo molto semplice per accentuare le caratteristiche coibenti di un capo
d’abbigliamento consiste nel “frenare” la radiazione infrarossa emessa, prima che sia dispersa
nell’ambiente. Questo risultato può essere raggiunto interponendo all’interno del capo d’abbigliamento
un sottile strato metallizzato con proprietà riflettenti: in questo modo le proprietà isolanti del vestiario
risultano molto più efficienti. Con questa tecnica il peso dell’abbigliamento per regioni artiche può
essere ridotto anche della metà.
Passando alle altre due funzioni è chiaro che la funzione di protezione, tipica dello strato esterno, non
può andare a scapito della traspirabilità: entrambe queste esigenze vanno contemporaneamente
garantite.
Il materiale che ha aperto la strada ai tessili ad alta tecnologia (high tech textiles) e che è ormai entrato
nella storia dei tessili evoluti assolve esattamente a queste due esigenze: si tratta del Gore-Tex,
inventato dagli americani Wilbert L. Gore (1912-1986) e da suo figlio Robert W. Gore. Il nome del
materiale deriva proprio dal loro cognome e letteralmente significa appunto "tessuto Gore".
L’invenzione risale ormai al 1969, l’anno del primo sbarco dell’uomo sulla Luna. Il Gore-Tex è un
materiale microporoso, ottenuto sottoponendo a trazione il politetrafluoroetilene (PTFE), meglio
conosciuto come Teflon. Il Gore-Tex è inattaccabile dagli acidi e dagli agenti chimici e inalterabile alle
forti escursioni termiche. La caratteristica saliente della membrana del Gore-Tex è quella di presentare
un numero elevatissimo di micropori (1,4 miliardi per ogni cm2), micropori 20 mila volte più piccoli
della più minuscola goccia d'acqua liquida ma contemporaneamente 700 volte più grandi di una singola
molecola di acqua: tutto ciò si traduce in una perfetta impermeabilità all’acqua liquida 22 e in una
contemporanea traspirabilità al vapore acqueo che può passare liberamente attraverso la membrana.
22
Ciò comporta che i tessuti laminati con con Gore-Tex, a seconda della loro resistenza meccanica,
possono opporsi a pressioni che vanno da 40 a 80 m di colonna d'acqua, pari a 4 e 8 atmosfere.
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Figura 19 – Lamina di Gore-Tex al microscopio
elettronico: è ben visibile l’effetto causato dalla
iniziale trazione in fase di produzione della
membrana microporosa.
Va precisato che il Gore-Tex è una membrana estremamente sottile, troppo delicata per poter essere
usata da sola. Viene quindi tradizionalmente accoppiato con un materiale esterno, oltre che con una
fodera interna. L'abbinamento di tessuti non idonei rappresenta un grave pericolo per la garanzia di
traspirabilità del Gore-Tex. Non si deve inoltre
dimenticare che i fori creati per le cuciture nel tessuto
risultano inevitabilmente un punto critico nei confronti
dell'impermeabilità, in quanto ovviamente i fori
prodotti dall'ago sono un sicuro passaggio per l'acqua: a
questo problema si può ovviare termosaldando le
cuciture stesse.
Figura 20 – meccanismo di funzionamento del Gore-Tex.
La manutenzione dei manufatti in Gore-Tex non riveste particolari problemi e non è dissimile a quella
dei capi d’abbigliamento delicati.
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