PATTE (1765): ARTICOLO IV DELLA PITTURA La nostra Accademia Reale di pittura gode attualmente della massima reputazione. Nessun’altra accademia possiede artisti così famosi; nessuna produce capolavori in così grande quantità. Lemoins è stato uno dei nostri più eccellenti pittori che hanno reso illustre la Francia. Il suo soffitto con l’Apoteosi di Ercole, a Versailles, è una delle opere più grandi di pittura che siano state mai realizzate: forse non ce ne sono di più belle. L’invenzione dei quadri della storia di Ester e della storia di Giasone hanno contribuito ad accrescere l’onore di Troys. Carlo Wanloo in considerazione di tutte le opere che vediamo uscire una dopo l’altra dal suo pennello, che gli hanno assicurato il posto di primo pittore del re, ci ricompensa della perdita di tanto abili maestri. I suoi quadri della storia di S. Agostino, del Sacrificio di Ifigenia, eseguito per il re di Prussia, così come le sue opere da cavalletto, glorificheranno in ogni tempo la nostra scuola francese. Sempre sarà ammirata la sua maniera di drappeggiare, di legare le pieghe, e la nettezza singolare del suo pennello, la fermezza del suo tocco e, infine, la forza e la bellezza del suo colorito. Se volessimo ripercorrere le opere numerose di tutti i pittori che si sono segnalati sotto questo regno, dovremo notare un’affollamento incredibile di prodotti memorabili appartenenti ad ogni genere. Tra questi saranno i quadri di chiesa eseguiti da Restout, così notevoli per l’ampiezza della composizione così come per gli effetti prospettici così arguti; il soffitto della cappella della Vergine a Saint-Roch, opera di Pierre; le opere di Boucher, così conosciuto per il suo genio poetico, galante e voluttuoso. Vedremo ancora celebrare le opere di Deshays, Vien, Doyen e degli altri, che annunciano, col loro forte talento, successi sempre più grandi nel genere della pittura di storia. Per quanto riguarda i ritratti a olio, Rigaut e Michel Vanloo ne hanno realizzati di comparabili nientemeno che a quelli di Van Dyck , e per quanto riguarda i ritratti a pastello nessuno eguaglia de la Tour. Desportes e Oudry sono i primi pittori nel genere degli animali. Parocel è stato unico nel rappresentare le battaglie. La rappresentazione di edifici architettonici ha reso famoso Machy: le vedute prospettiche che mostrano interni di chiese, per esempio quelli di Sainte Geneviève e della Magdaleine, sono quadri perfetti. Due pittori si distinguono in particolare, ciascuno nel proprio genere: uno è Greuze, fedele imitatore della natura; sì è fatto una reputazione per via dell’effetto di verità dei suoi quadri, per esempio il Padre di famiglia che legge la Bibbia ai suoi figlioli, il Contratto di matrimonio che, insieme ad altri dipinti, gli hanno procurato molti elogi. L’altro pittore à Vernet, che è incomparabile nelle marine, all’alba o al tramonto, e nelle tempeste e nei naufragi; Vernet ha un talento singolare nella resa di tante prospettive aeree, e in ciò consiste il fascino inestimabile della sua pittura. Tutte queste vedute dei porti di Marsiglia, di Toulon, de la Rochelle, ma anche raffigurazioni come quelle della pesca del tonno, sono dei quadri di altissimo livello: tutto il mondo è d’accordo nel ritenere che livelli più alti non sono più raggiungibili in questo genere pittorico. Il grande numero di pittori qui elencati dimostra bene lo straordinario livello raggiunto in Francia dall’arte. Credo che non sia possibile fuori di Parigi, né in Italia, né in tutto il resto del mondo, godere di uno spettacolo come quello di cui godiamo dal 1735: mi riferisco ai Salon, dove si trovano esposti, ogni due anni, i capolavori dei nostri Fidia e dei nostri Apelle. Che esempi innumerevoli vi si vedono, tanto di pittura, che di scultura, ma anche dell’arte incisoria. Non esiste niente che sia comparabile a questo trionfo di cui le nostre arti sono capaci, che finisce per offrire agli stranieri un’idea assolutamente grandiosa del nostro progresso. La scuola francese ha la fortuna di riunire insieme tutte quelle caratteristiche che, singolarmente, vengono apprezzate nelle opere di scuola romana, di scuola veneziana e di scuola fiamminga: la composizione, il disegno, il colorito. Quando la scuola francese avrò acquistato maggiore antichità, nessuno esiterà più a preferirla a tutte le altre scuole. Invero la reputazione consiste anche nell’avere acquisito una maturità, una antichità. L’arte pittorica ha recentemente dato prova di essere capace di celebrare il nostro augusto sovrano facendo ricordo ad un espediente stupefacente: M. Amedée Vanloo, pittore della nostra accademia, su incarico di Sua Maestà prussiana aveva rappresentato, su un suo quadro da cavalletto, tutte le Virtù che servono a formare un grande principe, con i loro attributi. Niente poteva riuscire meglio composto e più gradevole di questa pittura: ma guardandola attraverso un cristallo sfaccettato tutte le teste di queste figure si riunivano a formare il ritratto del re perfettamente somigliante, mentre la parte restante del corpo delle Virtù concorreva a formare il suo busto. Sebbene questo meccanismo ottico non sia nuovo, l’applicazione ne parve nuova e di effetto straordinario. Mai lode fu più ingegnosa e arguta. Altri pittori si sono distinti in altri generi, meno importanti. Massé si è distinto nella pittura in miniatura. Moquette e Durand nella pittura su smalto 1. La proprietà che ha l’essenza di terebinto di sciogliere la cera, in modo che questa possa essere utilizzata al posto dell’olio per diluire i colori, offrì l’occazione di mettere a punto, una dozzina di anni fa, la pittura a encausto degli antichi, che era una specie di pittura in cera che si fissava a fuoco, di cui Plinio parlava nelle sue opere. Il conte di Caylus e Bachelier, pittore del re, fecero al rguardo argomento diversi studi, l’uno indipendentemente dall’altro. Ma sembra che la riuscita più felice sia quella di M. Bachelier. Questo pittore fece diversi quadri realizzati per inustione, come la definiva l’autore antico, e tra le altre cose un cavallo di grandezza naturale, che fu ammiraro e che fece vedere che questo genere di pittura riesce gradevole tanto quanto quello a olio. Sotto questo regno sono state escogitati importanti procedimenti tecnici utili alla conservazione dei dipinti: il primo è quello di Picaut, che ha trovato il modo per ridare nuova vita ai quadri rovinati dei grandi maestri, trasportandoli su una nuova tela senza nulla togliere al loro colorito. Lo stesso artista ha pure trovato il segreto di trasportare su tela gli affreschi strappandoli dalle pareti, così come le pitture su legno, senza alterarle minimamente. […] La seconda scoperta è quella di Loriot, che ha immaginato di fissare la pittura a pastello senza nulla togliere né al fiore né alla freschezza dei colori; ciò conferisce a questo tipo di pittura la solidità dei dipinti eseguiti a olio, mettendola al riparo dall’umidità, perpetuando la durata delle opere di questo genere che sono degne di passare alla posterità. L’accademia di pittura ha accordato a questo segreto i certificati di autenticità. […] Si è visto, con sorpresa, Lyen trovare il modo di risuscitare il quadro della Leda di Corregio comprato tra i dipinti dell’eredità di M. Coypel, primo pitture del re, per 16.000 livres, la cui testa era stata ritagliata e gettata al fuoco per ordine del duca di Orléans. Egli si impadronì con una tale perfezione della maniera di Correggio restituendo l’espressione di questa testa che quasi pare incredibile quello che le è capitato. Infine un’opera eccellente che è apparsa in materia di pittura è quella di Watelet, dell’accademia francese, noto per il suo gusto per le belle arti. Ha fatto per i pittori ciò che Boileau aveva fatto per i poeti: troviamo nel suo libro intitolato l’Art de peindre poëmes en quatre chants le riflessioni le più intelligenti che sono come altrettante lezioni su tutte le parti di quest’arte. Articolo V. Della scultura. Il progresso della scultura, a giudizio dei conoscitori, passa oggi per essere superiore a quello della pittura. Noi abbiamo in effetti degli artisti che meritano di essere messi in parallelo non solo con quelli del secolo precedente, ma anche con i più abili statuari dell’antichità. Citare le loro opere è come fare l’enumerazione di tanti capolavori: tali sono i cavalli che si vedono nelle scuderie di Marly, realizzati da Coustou; le sculture della fontana di rue de Grenelle e la statua equestre di Luigi XV a Parigi, di Bouchardon; i monumenti che le città di Rennes e di Bordeaux hanno eretto in onore del re; il mausoleo del cardinale di Fleury, opera di Lemoyne, scultore dell’accademia; il monumento funebre di Manguet de Gergy, nella chiesa di Saint-Sulpice, e quello del cardinale d’Auvergne, opera di Slotz; tutte quelle statue piene di vita, opera di Falconet, scultore delle Grazie; il Mercurio di cui Sua Maestà ha fatto dono al re di Prussia, la statua pedestre di Luigi XV a Reims, infine il mausoleo al maresciallo di Saxe opera di Pigalle. Tutte queste opere preziose annunciano che quest’arte è giunta ai massimi livelli, e che noi siamo giunti a vedere i giorni più fiorenti per la scultura. A colpo d’occhio vediamo che le nostre arti liberali concorrono all’ambizione di glorificare questo regno. Per contribuire sempre di più al loro progresso, il re ha fatto diverse fondazioni nelle diverse principali città del regno: ha istituito a Bordeaux, nel 1744, e a Reims, nel 1760, una scuola di disegno, così come delle accademie di pittura, scultura e architettura nelle città di Tolosa, Marsiglia e di Rouen. A ciascuna di queste ultime accademie Sua Maestà ha offerto la somma di 3000 libres ogni anno, per il loro mantenimento, lo stipendio dei professori, i modelli e i premi distribuiti annualmente agli studenti. 1 C’è un nuovo procedimento pittorico in miniatura che è stato messo a punto da M. de Montpetit, e che è stato chiamato pittura eludorica, nella quale il pittore priva la pittura del suo olio e unisce i colori sulla superficie mescolando l’acqua col pennello, quindi mette un mordente molto trasparente, senza colore, per fissare solidamente un cristallo sulla pittura fin quando questa è finita. Bisogna ancora aggiungere la scuola particolare che il re ha fondato a Parigi sotto la direzione del suo primo pittore, dove i nostri giovani artisti, che ottengono il premio di pittura e di scultura dell’accademia, sono mantenuti a sue spese nel corso di qualche anno prima di essere spediti in Italia, paese che ha la reputazione di essere classico per coloro che coltivano le belle arti. Lo scopo di questa ultima istituzione è di perfezionare gli allievi e di fortificarli, perché diventino in grado di ottenere il massimo profitto dagli studi che dovranno fare a Roma di fronte ai bei capolavori che vi si ammirano. Forse, con cinsiderazione della gloria attuale delle nostre arti, non vi dovrebbe essere per loro altra scuola che la francese, perché si formi il gusto dei nostri giovani artisti. Ma le impalcature servono solo durante la costruzione di un edificio, e cessano di essere utili quando l’edificio è completamente finito: ebbene, la Francia è adesso abbastanza ricca per poter iniziare a fare a meno degli stranieri. Volgiamo lo sguardo verso gli edifici che abbelliscono questo regno, verso questa immensa collezione di quadri di tutti i grandi maestri di diverse scuole che il re possiede, verso la collezione del duca di Orléans, verso la folla di eccellenti capolavori che decorano le nostre chiese, e poi verso i nostri palazzi, i nostri cabinet privati, le sale delle nostre accademie di pittura, verso questa quantità di statue che ornano le nostre piazze, i nostri giardini reali, i nostri monumenti pubblici: rendiamo giustizia a tanti capolavori, convinciamoci che studiarli potrebbe essere utile per sviluppare i talenti dei nostri giovani artisti e per dispensarci dal rendere un omaggio ormai superfluo all’Italia. Ancora, riflettiamo che la Francia offre oggi uno spettacolo molto diverso da quello dell’Italia. In questa antica patria delle arti non incontriamo altro che modelli inanimati: guardando ciò che sono stati i Raffaello, i Michelangelo, i Palladio e tutti questi artisti del secolo dei Medici, rimpiangiamo di non trovare alcun artista vivente che somigli a loro. Gli artisti francesi hanno preso il posto di questi uomini celebri: la benevolenza dei nostri sovrani ha fatto sì che il genio creativo che era posseduto dagli Italiano fosse naturalizzato in Francia, nel nostro clima. Osiamo dunque godere della nostra fortuna e mostriamo a tutti che è alla fine giunto il momento in cui la nostra nazione deve servire da modello alle altre. […] DES MONUMENS ÉLEVÉS DEPUID LA RENAISSANCE DES LETTRES (1765) Sebbene le arti liberali abbiano cominciato a degenerare in Occidente, soprattutto dopo il trasferimento della sede dell’impero a Cosantinopoli, esse si videro scomparire completamente soltanto al tempo del sacco di Roma ad opera di Totila nel 512. L’ignoranza e la barbarie, durante questi tempi di calamità e di devastazioni, presero il posto delle virtù e dell’ingegno. Spesse tenebre coprirono quasi tutta la superficie dell’Europa durante quasi ottocento anni. Solo nel XIV secolo le arti e le scienze si videro rinascere in qualche modo dalle loro ceneri, figlie della felicità e dell’abbondanza, e ripresero una nuova via grazie alla protezione e al favore che loro accordò la famiglia dei Medici a Firenze. In Italia. Il granduca Cosimo I de’ Medici fu uno dei primi a essere celebrato dopo la rinascita delle arti e delle scienze, a cui egli aveva grandemente contribuito. Era un semplice cittadino di Firenze, che si era acquistato, grazie ai commerci, delle immense ricchezze, che egli utilizzò per ornare questa città e per farvi fiorire le arti. Egli meritò che la sua tomba fosse decorata, col consenso di tutti, con l’iscrizione che lo ricordava come Padre della Patria. I fiorentini gli costruirono, in segno di riconoscenza per la felicità di cui essi godettero sotto il suo governo, una statua equestre di bronzo, realizzata dal Giambologna. Vi sono tre bassorilievi attorno al piedistallo. [p. 84] Il primo rappresenta Cosimo I in ginocchio davanti al papa, da cui riceve il titolo di granduca in considerazione del suo zelo per la religione, come viene detto nell’iscrizione, e dello studio singolare che aveva fatto nel diritto. Il secondo bassorilievo rappresenta lo stesso principe mentre entra trionfalmente a Firenze su un carro trionfale. Il terzo, la cerimonia che si celebrò quando il senato della città gli ratificò l’autorità sovrana, dandogli il titolo di duca. (nota. Viaggio d0Italie de Misson). Cosimo I, dopo aver vinto la battaglia de Marcia e istituito in tale occasione l’ordine dei cavalieri di Santo Stefano, la città di Pisa gli fece elevare una statua di fronte al portale della chiesa di cui questo ordine porta il nome. Al granduca Ferdinando de’ Medici sono state dedicate due statue, una a Firenze, nella piazza della Santissima Annunziata; l’altra sul ponte di Livorno. Si vedono, ai quattro angoli del piedistallo di quest’ultima, quattro schiavi incatenati, che si dice rappresentino quattro fratelli corsari che egli aveva sconfitto e fatto prigionieri. Si osserva, al centro della piazza principale di Piacenza, una statua equestre di Alessandro Farnese duca di Parma, governatore dei Paesi Bassi spagnoli: è stato uno dei più grandi condottieri del suo tempo, che Filippo II inviò in soccorso di Parigi e di Rouen assediate da Enrico IV, assedi che egli ebbe la gloria di far levare grazie ai suoi accorti avanzamenti. Il suo piedistallo è ornato di bassorilievi, uno dei quali rappresenta l’assedio di Anversa, che gli procurò tanto onore, e che egli prese facendo una diga sul fiume Escaut. Nella stessa piazza si vede una statua, anch’essa equestre, di Ranuccio suo figlio. Di fronte alla cattedrale di Ferrara, ci sono due statue equestri di bronzo, una delle quali dedicata a Nicolò marchese d’Este, per essere stato per tre volte, come dicono le iscrizioni sul piedistallo, artefice di pace. L’altra è del duca Borsio o Borso, in favore del quale Paolo II elevò il marchesato di Ferrara in ducato, e che fu uno dei principi più virtuosi della sua epoca. (nota Voyage d’Italie de Misson). La maggior parte delle città dello Stato della Chiesa hanno innalzato un gran numero di ritratti papali in bronzo. Due si trovano a Ferrara, uno di Alessandro VII, l’altro di Clemente VIII. A Ravenna si trova ancora un ritratto di Alessandro VII. A Pesaro, nella piazza grande, è una statua di Urbano VIII, sotto il pontificato del quale questa città, così come tutto il ducato du Urbino, fu annessa allo Stato della Chiesa. In segno di riconoscenza del privilegio che Sisto V accordò a Loreto, questa città fece innalzare in suo onore una statua di bronzo. Ce n’è un’altra a Velletri, a Bologna e in altri luoghi. Tutte queste statue sono sempre vestite di abiti pontificali e la maggior parte di esse sono rappresentate sedute. Al Famoso Gaston de Foix, che non aveva ancora 24 anni quando riportò, presso Ravenna, una famosa vittoria, essendo stato ucciso nell’inseguimento dei nemici, fu eretto, in quello stesso luogo, un monumento. La Repubblica di Venezia ordinò, nel 1495, una statua di bronzo dorato per ricordare i servizi che il grande generale Bartolomeo Coglione aveva reso alla Repubblica. Questa statua è innalzata su un piedistallo di marmo bianco, con magnifiche iscrizioni, di fronte alla chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia. Si trova a Milano una statua di Oldradus, e un’altra di Filippo II2. La città di Genova ha innalzato una statua al famoso Andrea Doria, al quale essa era debitrice della libertà e della forma di governo che tuttora sussiste. Questa repubblica fece nel 1747 lo stesso onore al maresciallo duca di Richelieu, che la sottrasse all’oppressione degli Austriaci che si erano impadroniti della loro città. Egli è rappresentato in abito da cerimonia dell’ordine di Santo Spirito […]. Una delle piazze di Napoli è ornata da una statua pedestre di don Juan d’Austra, che, nel 1571, ottenne la vittoria nella famosa battaglia navale di Lepanto. Si nota inoltre in questa città un arco di trionfo di don Alfonso d’Aragona, denominato il Magnifico, fattogli erigere quando questi divenne padrone di Napoli nel 1439. Vi vedremo intanto elevare la statua equestre di don Carlo, attuale re di Spagna, che ha così saggiamente governato su questo regno, e che ha contribuito allo sviluppo delle scienze e dello studio dell’antchità, per via delle somme immense che egli ha investito per la scoperta di Ercolano, città seppellita sotto le ceneri del Vesuvio sotto l’impero di Tito. [p. 88] In Germania. […] Il monumento più importante di tutta la Germania è quello che gli stati di Norvegia fanno realizzare in onore del re di Danimarca a Copenaghen. È una statua equestre, realizzata da M. Sally, celebre scultore francese, che queto principe ha attirato nei suoi stati e naturalizzato in ragione delle sue capacità. Federico V vi è rappresentato in abito di trionfatore romnano, con uno scettro in mano. A destra e a sinistra del piedistallo sono due figure allegoriche: una rappresenta la Danimarca, l’altra la Norvegia. Davanti e dietro sono fontane che rappresentano l’Oceano e il Baltico. Tutte queste figure sono orientate secondo la loro posizione geografica. La piazza che circonda questo monumento è di forma ottagonale; su di essa si aprono quattro vie. La piazza è ornata i diversi palazzi occupati dai ministri dello stato. La decorazione della sua architettura è di ordine ionico supra un alto basamento. Da essa sarà possibile la visione di uno degli edifici più straordinari che ci siano: è la 2 Nella nota si segnala il colosso di San Carlo ad Arona («C’est le seul colosse moderne que nous ayons»). rotonda, più grande della cupola degli Invalidi, di più gradevole composizione, eseguita su disegno di M. Jardin, uno degli artisti francesi che offrono in quei paesi stranieri testimonianza dell’altissimo ingegno che appartiene alla nostra patria. […] [p. 92] In Francia. Sotto la prima, la seconda e la terza dinastia, fino al regno di Luigi XIII, non si realizzarono statue di nostri re che non fossero sistemate sui loro monumenti funerari, oppure sui portali delle chiese o dei castello reali che quei sovrani avessero fatto costruire o riparare. Sembrava che i re di Francia per celebrare le loro vittorie avessero l’abitudine di fare nuove fondazioni religiose, o fare offerte che fossero testimonianza della loro magnificenza e della loro pietà. Filippo Augusto [p. 93] in segno di riconoscenza per la vittoria riportata a Bouvines, fondò, presso Sanlis, l’abbazia di Notre-Dame de la Victoire. Filippo il Bello dopo la vittoria di Mons-en-Puoelle sui Fiamminghi, il 18 agosto 1304, fece delle fondazioni a Parigi, a Chartres e in altre chiese in segno di ringraziamento. Filippo di Valois dopo aver ottenuto la vittoria nella battaglia di Cassel nel 1328, di ritorno in Francia, entrò a cavallo, tutto armato, nella chiesa di Notre-Dame a Parigi, e fece dono del suo cavallo e delle sue armi alla Vergine, per ringraziarla della vittoria che aveva ottenuto per sua intercessione. Per pertetuarne il ricordo, fu eretto il ritratto equestre del re, supra due pilastri, davanti all’immagine della Vergine, e furono realizzate simili rappresentazioni dentro le cattedrali di Chartes e di Sens. Carlo VI inviò anche in offerta a Notre-Dame di Chartres la sua armatura, dopo avere sconfitto i Fiamminghi a Rosebèque nel 1482. La statua equestre in bronzo dell’ultimo connestabile di Montmorencuy, che si vede di fronte al castello di Chantilly, è uno dei primi monumenti di questo genere di cui esiste menzione in Francia. Questo connestabile è rappresentato armato all’antica, con la spada sguainata alla mano. Il suo elmo è per terra e sostiene uno dei piedi del cavallo. Questa statua, che è di «cuivre de platinerie», alla maniera degli antichi, è stimata moltissimo dai conoscitori. Monumento di Enrico IV sul Pont-Neuf. La più antica statua di bronzo che noi abbiamo a Parigi è quella di re Enrico IV. Nessun principe aveva meritato più di questo sovrano un simile monumento pubblico: che tuttavia gli fu dedicato solo dopo la sua morte. Ferdinando granduca di Toscana aveva fatto fare un cavallo per mano di Giambologna, abile scultore operoso a Firenze, apparentemente con l’intenzione di farvi realizzare in groppa un suo ritratto: infatti allora non si facevano statue equestri in un unico getto di bronzo; questa tecnica non era ancora abbastanza perfetta per potere correre il rischio di fusioni di dimensioni così grandi. Le figure dunque venivano gettate singolarmente, anzi per parti, che venivano assemblate [p. 92] in seguito con l’aiuto di sostegni di ferro, per essere poi saldate, inchiodate, limate e rinettate. Ferdinando e lo scultore erano morti prima che l’opera fosse compiuta. Cosimo II suo figlio fece dare l’ultima mano al cavallo a Pietro Tacca, altro scultore, e fece spedire l’opera come regalo a Maria de’ Medici, regina di Francia, allora reggente. Il cavalier Pascholini fu incaricato di condurla in Francia: fu imbarcata a Livorno su un vascello che naufragò, proprio prima di arrivare, presso le coste di Normandia nelle vicinanze di le Havre. Questo cavallo, dopo essere rimasto in fondo al mare per un anno, fu alla fine ripescato e trasportato a Le Havre nei primi giorni di maggio del 1613, e da lì fu trasportato a Parigi. La Regina, avendolo destinato a portare il ritratto del defunto re suo sposo, ne ordinò il completamento a uno scultore francese chiamato Dupré, e alla fine lo fece collocare sullo sperone del Pont-Neuf, di fronte alla Place Dauphine che quel sovrano aeva fatto decorare di edifici regolari Enrico IV vi appre rappresentato coronato di alloro, e armato come era costume alla sua epoca, con bracciali e stivali, con la corazza dell’ordine di Santo Spirito e tenendo lo scettro del potere. Si trova sopra un piedistallo realizzato su disegno du Louis Civoli. Si notano ai quattro angoli quattro schiavi di bronzo. Su tre delle sue facce sono bassorilievi che rappresentano le principali imprese di questo grande re. […] [p. 96] Tutti questi bassorilievi e questi schiavi furono realizzati di bronzo da un artista di nome Francavilla, o Francheville, primo scultore del re. Questo monumento fu iniziato nel 1614 e fu completato solo nel 1635. […] [p. 97] Monumento eretto a Luigi XIII della Place Royale. […] Al centro di questo spazio si vede un piedistallo di marmo bianco, sul quale si trova eretta la statua equestre di Luigi XIII, che fu collocata il 13 settembre 1639. Questo re è rappresentato vestito alla romana, con un elmo in testa e una mano distesa. Il cavallo è ritenuto dai conoscitori come un’opera delle più importanti di questo genere: è di una leggerezza ammirevole e sembra in qualche modo animato. Fu realizzato in Toscana da Daniele Ricciarelli da Volterra, discepolo di Michelangelo, su ordine di Caterina de’ Merici, allora Regina di Francia, con l’intenzione di celebrare il re Enrico II suo marito. Ma questo scultore moriva prima che la statua fosse cominciata, e il monumento col cavallo rimase incompleto: e le guerre civili, che seguirono sotto i regni successivi, fecero sì che l’impresa venisse dimenticata. Il cardinale di Richelieu, volendo segnalare il proprio zelo e riconoscenza verso Luigi XIII, suo protettore e benefattore, fece comprare e trasportare a Parigi questo cavallo per servire alla statua equestre di questo re, che egli fece realizzare da Biard figlio, uno dei migliori scultori dell’epoca. Le facce del piedistallo sono ricoperte di numerose iscrizioni in lode di Luigi XIII, e del cardinale di Richelieu suo primo ministro. […]