Approcci metodologici allo studio dei geni dei caratteri complessi

U
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA
“TOR VERGATA”
Tor Vergata
Facoltà di
Medicina e Chirurgia
DOTTORATO IN FISIOLOGIA DEI DISTRETTI CORPOREI
XIII CICLO
APPROCCI METODOLOGICI ALLO STUDIO DEI GENI
DEI CARATTERI COMPLESSI:
STUDIO DI ASSOCIAZIONE: OSTEOPOROSI
STUDIO FUNZIONALE: LE PROTEINE S100
Coordinatore
Relatore
Prof. Antonino De Lorenzo
Prof. Giuseppe Novelli
Dottoranda
Dott.ssa Sabrina semprini
Anno Accademico 1997-2000
INDICE
Pag.
INTRODUZIONE
4
GENETICA DEI CARATTERI COMPLESSI E BASI GENETICHE
6
DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA
APPROCCIO DEL GENE CANDIDATO
15
Studio di associazione
Studio funzionale
MODELLI DI STUDIO
20
Modello di studio n°1: Osteoporosi e gene BMP-4
Modello di studio n°2: Iperespressione dei geni S100 in
sistemi cellulari in vitro
RICERCHE ORIGINALI
28
1. Studio di associazione del gene BMP-4
28
Materiali e Metodi
Risultati
2. Studio del gene S100A7
35
Materiali e Metodi
Risultati:
Determinazione dell’organizzazione genomica del gene S100A7 umano
2
Determinazione del sito d’inizio della trascrizione.
Studio dell’attività del promotore del gene S100A7.
Ricerca di varianti nucleotidiche nel gene S100A7.
3. Iperespressione differenziale dei geni S100 in pazienti psoriasici
49
appartenenti a famiglie geneticamente eterogenee
Materiali e Metodi
Risultati
DISCUSSIONE
57
CONCLUSIONI
65
PUBBLICAZIONI INERENTI AL PROGRAMMA DI RICERCA
68
BIBLIOGRAFIA
69
3
INTRODUZIONE
La composizione corporea e la costituzione personale possono essere
considerate fenotipi multifattoriali complessi. I caratteri così ereditati variano in
maniera quantitativa nella popolazione, cioè è spesso impossibile collocare gli
organismi in una classe fenotipica discreta, perché presentano un continuum di
variabilità fenotipica. Alcuni esempi di caratteri quantitativi sono la statura, il
peso corporeo, la pressione sanguigna e i livelli di attività metabolica e sono
determinati dall’interazione tra fattori ambientali e geni, ognuno dei quali
contribuisce in maniera additiva al fenotipo finale. Poiché i caratteri quantitativi
non rientrano in un piccolo numero di categorie discrete, un metodo di
descriverli è una distribuzione di frequenza (curva Gaussiana). Nonostante gli
studi epidemiologici abbiano permesso di dimostrare la presenza di una
componente genetica nei fenotipi complessi, la ricerca delle basi molecolari e
dei fattori genetici predisponenti a malattie croniche è risultata più laboriosa e
complicata del previsto. Infatti, dal momento che l’eredità multifattoriale
complica la possibile diretta correlazione tra genotipo e fenotipo, l’utilizzo di
tecniche di mappatura genica utilizzate nello studio dei caratteri a trasmissione
mendeliana, non sono efficaci.
In questa tesi vengono proposti due approcci di studio basati sull’analisi dei
geni di suscettibilità ai caratteri complessi: lo studio di associazione e lo studio
funzionale. Il primo approccio è stato impiegato nella ricerca di associazione
tra un polimorfismo del gene BMP-4 e l’osteoporosi, una malattia caratterizzata
da una diminuzione del BMD (bone mineral density). L’approccio funzionale,
invece, è stato rivolto alla caratterizzazione dei geni S100 al fine di delucidare il
loro ruolo nella patogenesi della psoriasi, una patologia che segue un modello
4
di eredità complesso. In questo secondo caso, l’utilizzo di un modello
sperimentale, quale l’analisi dei geni S100 su cheratinociti coltivati, ha permesso
di sperimentare l’approccio funzionale su sistemi cellulari in vitro, permettendo
l’acquisizione di conoscenze ed esperienze che possono poi essere poste a
disposizione per lo studio di altri caratteri complessi legati in maniera più
diretta alle alterazioni della fisiologia dei distretti corporei.
5
GENETICA DEI CARATTERI COMPLESSI E BASI
GENETICHE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA
Lo studio della composizione corporea di un individuo è basato su un modello
a due distretti: massa grassa (fat mass,FM) e massa magra (fat free mass, FFM).
Più recentemente, è stato proposto un nuovo approccio che suddivide in tre o
più distretti il corpo umano. In questo modello la massa magra può essere
ulteriormente suddivisa in acqua totale (total body water, TBW), osso (bone
mineral density,BMD), minerali non ossei e proteine. Esistono relazioni
piuttosto costanti e precise tra i diversi distretti corporei che possono però
essere alterate da stati patologici quali l’obesità o l’osteoporosi (Heymsfield e
Coll., 1996).
La curiosità dei ricercatori si è focalizzata negli ultimi anni sull’indagine
dell’influenza dei geni nella determinazione della composizione corporea.
Questo tipo di studio è reso difficile dall’osservazione che nonostante i fenotipi
indagati tendono ad aggregare in famiglie, non sembrano comportarsi come
semplici caratteri mendeliani. Infatti, i caratteri legati alla composizione
corporea si sono evoluti sotto l’influenza di numerosi fattori di tipo sociale,
comportamentale, fisiologico, metabolico, cellulare e molecolare, quindi le
influenze del genotipo sono mascherate da tanti fattori non genetici (Bouchard
C., 1996a). Si suppone inoltre che la componente genetica dei distretti corporei,
si possa scomporre in quattro tipi di effetti genetici: geni necessari, cioè
sufficienti a determinare il carattere; geni di suscettibilità, cioè che aumentano
la probabilità che un dato carattere si manifesti; interazioni gene-gene e
interazioni gene-ambiente (Fig.1) (Bouchard C., 1996b).
6
GENI NECESSARI
GENI DI SUSCETTIBILITÀ
AMBIENTE
INTERAZIONI GENE-AMBIENTE
INTERAZIONI GENE-GENE
Fig.1 Contributi genetici diversi alla determinazione della composizione corporea.
Per tutte queste caratteristiche, la composizione corporea può essere
considerata un carattere multifattoriale complesso. Questo tipo di eredità
sottintende l’interazione tra diversi fattori genetici e ambientali, cioè tra una
suscettibilità geneticamente determinata e uno o più agenti ambientali. I
caratteri così ereditati variano in maniera quantitativa nella popolazione, cioè
presentano un continuum di variabilità fenotipica. La statura, il peso corporeo,
la pressione sanguigna e i livelli di attività metabolica sono solo alcuni esempi
di caratteri quantitativi e quindi continui, determinati dall’interazione tra fattori
ambientali e geni, ognuno dei quali contribuisce in maniera additiva al fenotipo
finale. A differenza dei modelli mendeliani, quelli multifattoriali mancano di un
solido supporto biologico, cioè non è possibile determinarne la modalità di
trasmissione ed il loro studio si basa essenzialmente su modelli statistici. Il
modello statistico che meglio descrive la distribuzione nella popolazione di
ogni carattere continuo, che cioè dipende dall’azione additiva di un gran
numero di tante piccole cause tra loro indipendenti, è la distribuzione normale
7
o Gaussiana. All’aumentare del numero di loci, la distribuzione dei fenotipi
approssima in maniera sempre più precisa la distribuzione Gaussiana e
l’ambiente agisce in modo da rendere continua la linea della curva (Fig. 2a). La
Gaussiana è una curva simmetrica a “campana” definita da due parametri: la
media, attorno alla quale la curva si distribuisce e la deviazione standard (SD)
che misura lo scostamento dalla media (Fig. 2b).
A differenza dei fenotipi continui alcuni difetti congeniti e alcune malattie
croniche dell’adulto, quali l’obesità, l’asma, il diabete, l’osteoporosi, sono
considerati caratteri discontinui essendo presenti in poche persone. Il modello
statistico che descrive i caratteri discontinui prevede la presenza di una soglia
a)
Un locus
Due loci
Aa
Aabb
AaBb
aaBB
Aabb
aaBb
AA
aa
AABb
AaBB
aabb
70
80
90
100
110
120
130
70
Tre loci
80
AABB
90
100
110
120
130
100
110
120
130
Molti loci e ambiente
aabbcc
Aabbcc
aaBbcc
aabbCc
Aabbcc
AaBbcc
AabbCc
aaBbCc
aabbCC
aaBBcc
70
80
90
AABbcc
AAbbCc
AaBbCc
AabbCC
AaBBCc
aaBBCc
aaBbCC
AABBcc
AABbCc
AAbbCC
AaBbCcA
AaBbCC
aaBBCC
100
110
AABBCc
AABbCc
AaBBCC
AABBCC
120
130
70
80
90
Fig. 2a Distribuzione nella popolazione di un ipotetico carattere che ha una media nella
popolazione di 100 unità. (A) Il carattere è determinato da un singolo locus, (B) da due loci, (C)
da tre loci: l’aumento del numero di loci insieme ad una certa variabilità ambientale produce la
curva Gaussiana (D).
8
b)
Media
± 1SD
± 2SD
± 3SD
Fig.2b Distribuzione normale o Gaussiana. Le frecce indicano la
media e le diverse deviazioni standard.
nella curva Gaussiana della suscettibilità genetica e ambientale al fenotipo
malattia. In pratica sviluppano quel fenotipo solo le persone che hanno un
numero di fattori di suscettibilità superiore ad un livello soglia empiricamente
definito. I consanguinei dei pazienti, che condividono con loro un numero di
geni proporzionale al grado di consanguineità, presentano in media un numero
di fattori di suscettibilità maggiore rispetto alla popolazione generale, per
questo mostrano uno spostamento a sinistra della curva della suscettibilità
(Fig.3). Il rischio aumentato per i consanguinei di pazienti affetti è descritto dal
parametro λR, definito come il rischio di sviluppare la patologia per un parente
di un probando affetto, diviso per il rischio della popolazione generale.
9
Valore soglia di
suscettibilità
Distribuzione della
suscettibilità nella
popolazione generale
Soggetti affetti
Suscettibilità
Distribuzione della
suscettibilità tra i
parenti degli affetti
Parenti degli affetti
Media della suscettibilità
tra i fratelli dei soggetti affetti
Media della suscettibilità
nella popolazione generale
Fig.3 Eredità multifattoriale a soglia. Le persone con una suscettibilità al di
sopra della soglia (in blu) sono affette. In alto, curva della suscettibilità nella
popolazione generale; in basso, curva della suscettibilità spostata a destra nei
fratelli di un paziente.
Naturalmente le malattie mendeliane hanno rischi di ricorrenza molto elevati,
ma anche tra i fenotipi complessi è possibile individuare patologie che più di
altre presentano valori di λR che sottintendono un’elevata componente
ereditaria.
Benché non sia possibile stabilire la suscettibilità di ogni persona nei confronti
di una determinata patologia, è comunque possibile stimare la componente
ereditaria di ogni fenotipo multifattoriale.
L’ereditabilità (h2) di un carattere si definisce come il rapporto tra la varianza
(radice quadrata della deviazione standard) genetica e la varianza totale di un
fenotipo (h2=VG /VP). Il suo calcolo fornisce perciò indicazioni sull’importanza
10
dei fattori genetici in un fenotipo multifattoriale. Per stimare l’ereditabilità dei
fenotipi multifattoriali complessi, sono state spesso studiate coppie di gemelli
monozigoti (MZ) e dizigoti (DZ). Questo metodo è basato sul principio che i
gemelli monozigoti sono geneticamente identici, mentre quelli dizigoti
condividono solo il 50% del loro genoma. Quindi se i fattori genetici rivestono
un ruolo nell’eziologia di un carattere, allora questo è più spesso concordante
(cioè presente nei due membri della coppia) nei gemelli MZ rispetto ai gemelli
DZ. In questo caso l’ereditabilità è calcolata secondo la formula H = CMZ - CDZ
/ 100 - CDZ, dove per CMZ si intende la percentuale di concordanza tra i gemelli
MZ e per CDZ si intende la percentuale di concordanza tra i gemelli DZ
(Strachan & Read, 1999).
Gli studi sui gemelli sono stati molto utili in questi anni per determinare la
componente genetica di numerosi caratteri multifattoriali legati alla
composizione corporea e di seguito sono riportati alcuni esempi della loro
applicazione.
A causa del suo ruolo nell’eziologia delle fratture e dell’osteoporosi, la ricerca
dei determinanti genetici della massa ossea negli ultimi anni ha subito un
notevole potenziamento. E’ stata osservata una forte concordanza tra gemelli
MZ rispetto ai DZ riguardo al contenuto minerale dell’osso (bone mineral
density, BMD) già nel 1973 (Smith e Coll., 1973). Studi successivi hanno
confermato tale concordanza e hanno dimostrato che i fattori genetici sono
responsabili dell’80-90% della variabilità del BMD (Dequeker e Coll., 1987,
Pocock e Coll., 1987, Christian e Coll., 1989, Slemenda e Coll., 1991). Dal
momento che il contributo genetico alla massa ossea è stato osservato a tutte le
età, allora sia il picco di massa ossea che il grado di perdita dell’osso sono
entrambi regolati dai geni (Pocock e Coll., 1987, Kelly e Coll., 1991, Soroko e
11
Coll., 1994). Nonostante il grande sforzo operato per identificare i geni
responsabili, non
sono
ancora
state
delucidate
le
basi
molecolari
dell’osteoporosi e devono essere ancora identificati i geni che regolano il BMD
(Guerguen e Coll., 1995).
I valori di ereditabilità stimati per il BMI (Body Mass Index), parametro che
descrive la massa di un individuo in relazione alla sua altezza al quadrato, sono
molto eterogenei. Studi sui gemelli hanno indicato valori di ereditarietà del
BMI compresi tra il 40% e il 70% (Stunkard e Coll., 1990, MacDonald e Coll.,
1990, Price e Coll., 1991). Valori più bassi di ereditarietà (<40%) sono stati
invece ottenuti in relazione alla topografia del tessuto adiposo (Selby e Coll.,
1989, Bouchard, 1988).
Quindi, nonostante gli studi epidemiologici abbiano permesso di dimostrare la
presenza di una componente genetica nei fenotipi complessi, la ricerca delle
basi molecolari e dei fattori genetici predisponenti a malattie croniche è
risultata più laboriosa e complicata del previsto. I metodi di mappatura classici
(analisi di linkage) vengono definiti parametrici poiché richiedono la
definizione di parametri utili all’analisi statistica quali il modello di eredità, le
frequenze geniche e la penetranza di ciascun genotipo. Nei caratteri
multifattoriali è spesso difficile, se non impossibile, poter disporre di questo
tipo di informazioni, quindi la ricerca dei geni di suscettibilità per i caratteri
complessi non può avvalersi dei metodi classici di mappatura che si sono
rivelati così utili nello studio delle malattie mendeliane. I limiti più spesso
riscontrati risiedono proprio nella presenza di geni di suscettibilità che
verosimilmente hanno solo un effetto minore all’interno di un sistema
poligenico e nella bassa penetranza dei caratteri multifattoriali; dove per
penetranza si intende la percentuale di individui che presentano il fenotipo
12
malattia, sul totale degli individui che mostrano il genotipo predisponente. La
penetranza dipende da fattori ambientali quali la dieta, l’età, l’esposizione a
droghe o tossine. Inoltre, la maggior parte di queste malattie sono eterogenee
dal punto di vista genetico e i diversi sottotipi non sono facilmente distinguibili
a livello fenotipico. Quindi la mappatura dei geni di suscettibilità dei caratteri
complessi può essere ottenuta con metodi di linkage non-parametrico, cioè che
non richiedono la definizione di un modello genetico definito. Tali metodi
ricercano marcatori o segmenti cromosomici condivisi dagli individui affetti e
che quindi verosimilmente contengono il gene di suscettibilità. I metodi di
linkage non-parametrico possono essere condotti su coppie di fratelli, su
famiglie estese o su intere popolazioni (Strachan & Read, 1999). Questo tipo di
studi ha permesso di mappare negli ultimi anni alcuni dei loci di suscettibilità di
numerose malattie complesse quali il diabete (Davies e Coll., 1994; Merriman e
Coll., 1997), la psoriasi (Capon et al., 1999), e l’obesità (Hager e Coll., 1998).
Nonostante questo, l’identificazione dei geni responsabili di tali malattie e la
comprensione dei meccanismi molecolari
sono ancora in gran parte
sconosciuti.
A questo scopo è stato spesso utilizzato l’approccio del gene candidato, che
verrà descritto nel capitolo successivo.
13
APPROCCIO
DEL
GENE
CANDIDATO:
Studio
di
associazione e studio funzionale.
In questi ultimi anni, un approccio alternativo nominato approccio del gene
candidato, si è rivelato probabilmente più efficace nello studio delle basi
genetiche dei tratti complessi. I geni candidati sono quei geni che in base alle
loro caratteristiche, si possono ritenere causalmente correlati con la malattia. La
scelta del gene candidato può essere effettuata in base a numerosi criteri:
-
la sua funzione, cioè deve essere coinvolto in uno dei meccanismi che
potrebbero spiegare la fisiopatologia della malattia;
- la sua espressione, cioè il gene candidato deve almeno essere espresso nel
momento e nel tessuto in cui la patologia si manifesta;
- l’omologia con geni che, se mutati, provocano fenotipi malattia simili in
modelli animali.
Nell’intraprendere uno studio su di un gene candidato, si lavora sull’ipotesi che
il gene sia, per le sue caratteristiche, coinvolto nella patogenesi della malattia, e
si cerca poi di dimostrare l’ipotesi attraverso studi di associazione o analisi
funzionali.
Ad esempio, i rapporti tra il diabete mellito e il difetto di produzione di insulina
hanno reso questo gene un candidato nel determinismo della malattia. Di fatto,
è stato dimostrato che almeno un sottotipo di diabete mellito (IDDM4) è
riconducibile a un difetto di produzione, geneticamente determinato, di questo
ormone (Bennett e Coll., 1996).
14
Studio di associazione:
L’ipotesi che sostiene uno studio di associazione è che polimorfismi genetici
che danno luogo a piccole differenze funzionali, possono aumentare o
diminuire il rischio di sviluppare patologie multifattoriali. Esistono infatti
varianti alleliche che hanno un ruolo predisponente alle malattie e che quindi si
trovano più frequentemente nella popolazione degli individui affetti e al
contrario varianti con un ruolo protettivo che sono più frequenti negli
individui sani. Infatti, ci si attende che varianti geniche frequenti con effetti
modesti abbiano un impatto maggiore nello sviluppo della malattia, piuttosto
che mutazioni rare con un forte effetto, presenti solo in un ristretto numero di
famiglie. La designazione di un gene candidato per la suscettibilità ad una
patologia multifattoriale, permette quindi di intraprendere uno studio di
associazione. Questo metodo prevede la ricerca di associazione tra alleli o
genotipi di un gene candidato e un carattere multifattoriale in uno studio casocontrollo. Il metodo statistico del χ2 permette di stabilire se esiste
un’associazione preferenziale di uno degli alleli del polimorfismo con la
malattia, oppure se le frequenze di distribuzione degli alleli non si discostano
significativamente da quelle attese. Ad esempio, è stato ipotizzato che gli alleli
dei geni del sistema HLA possono conferire suscettibilità alle malattie
autoimmuni e studi di associazione hanno confermato tale ipotesi. Infatti,
l’allele HLA-DR4 è presente nel 36% della popolazione generale inglese, ma
nel 78% delle persone con artrite reumatoide (Gran e Coll., 1983). Altri esempi
di studi di associazione positivi riguardano il diabete insulino-dipendente
(IDDM) e gli alleli DR3 e/o DR4 del sistema HLA (Cucca &Todd,1996), la
psoriasi e l’allele HLA-Cw6 (Tiilikainen e Coll., 1980). L’allele ApoE4 è una
15
variante associata alla predisposizione genetica alla malattia di alzheimer con
esordio tardivo. La presenza di questo allele correla con un rischio di tre volte
aumentato di sviluppare la malattia (Strittmatter e coll., 1993, Corder e Coll.,
1998). Nonostante questi risultati positivi, la storia dell’analisi delle malattie
complesse è caratterizzata dalla difficoltà di riprodurre i risultati positivi
ottenuti con studi associazione. Le difficoltà oggettive che si riscontrano nella
riproducibilità dei risultati, derivano da differenze tra le popolazioni analizzate,
dalla disomogeneità dei metodi utilizzati nella definizione del fenotipo e dalla
eterogeneità genetica della popolazione in esame. Infatti, oltre al diverso
background genetico di predisposizione ad una patologia, le popolazioni
possono mostrare anche una stratificazione interna, cioè essere in realtà
costituite da due o più sotto-popolazioni di diversa origine geografica, che
differiscono nella frequenze alleliche e genotipiche del polimorfismo in esame
e che non sono equamente rappresentate nei casi e nei controlli. Ne deriva che
la non riproducibilità di un risultato o la mancata osservazione di associazione
tra un marcatore ed una malattia, non è definitiva e non esclude
categoricamente il coinvolgimento di quel gene nella patogenesi della malattia,
ma stimola altre ricerche con approcci alternativi o con metodi più rigorosi
basati ad esempio sull’analisi di una casistica più ampia.
Studio funzionale:
Un approccio molecolare complementare allo studio di associazione nelle
patologie complesse, è lo studio funzionale. Questo si propone di esaminare la
struttura e la funzione di un gene per delineare il suo ruolo nei processi
fisiologici e in quelli patofisiologici alla base delle malattie. Di solito questo
studio viene eseguito in maniera comparata su campioni di tessuti appartenenti
a soggetti affetti e non-affetti, allo scopo di verificare se esistono differenze
16
nelle modalità di espressione del gene in esame. Si possono ottenere
informazioni sulla modalità di espressione di un gene utilizzando diverse
tecnologie tra le quali il Northern blot, RT-PCR o “gene-chip microarray”
(Strachan & Read, 1999) . Il metodo del Northern blot consiste nell’ibridazione
di una sonda specifica del gene in esame su di un filtro (Northern blot) che
contiene campioni di RNA isolati da una varietà di differenti tessuti. I dati
ottenuti forniscono informazioni sui tessuti in cui il gene è espresso e
sull’abbondanza del trascritto. La tecnica dell’RT-PCR è largamente utilizzata
negli studi di espressione perché offre il vantaggio dell’elevata sensibilità, oltre
alla rapidità e semplicità di esecuzione. La tecnologia del “gene-chip
microarray” che si sta rapidamente evolvendo in questi ultimi anni, offre grandi
vantaggi dal momento che permette di valutare i livelli di espressione di
migliaia di geni contemporaneamente e quindi di valutare i cambiamenti dovuti
alla malattia, alla fisiologia e anche alla somministrazione di farmaci (Khan e
Coll., 1999, Schena e Coll., 1998). Oltre allo studio dell’espressione genica in
sé, è importante avere informazioni anche sul suo controllo. A questo scopo si
può utilizzare un sistema artificiale di espressione genica che permette di
verificare come, eliminando segmenti di DNA a monte del gene, l’espressione
genica venga alterata. La tecnica consiste nel clonare la presunta sequenza
regolatrice in un vettore che contiene un gene indicatore, cioè la cui
espressione è facilmente monitorizzabile attraverso lo sviluppo di fluorescenza
o luce, a valle del sito di clonaggio. Se tutti gli elementi necessari all’espressione
del gene sono presenti, allora si osserveranno elevati livelli di espressione del
gene indicatore in vitro. In questo modo si possono testare diversi frammenti
della sequenza promotrice e verificare quali di questi contengono gli elementi
regolativi fondamentali per l’espressione del gene.
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In questa tesi, sia l’approccio dello studio di associazione che quello dell’analisi
funzionale sono stati applicati all’analisi genetica di modelli di patologie
complesse.
18
MODELLI DI STUDIO:
Modello n°1: Osteoporosi e gene BMP-4
Uno dei tessuti utile allo studio della composizione corporea è l’osso. Infatti,
nelle patologie primitive dell’osso, come ad esempio nel caso dell’osteoporosi,
si osserva una ridistribuzione di alcuni distretti corporei. L’osteoporosi è una
malattia multifattoriale caratterizzata da una riduzione della densità minerale
ossea (Bone Mineral Density, BMD) e da un deterioramento dell’architettura
dell’osso che provoca un incremento del rischio di fratture. Il BMD è il
principale indicatore di osteoporosi e sono già noti alcuni dei suoi determinanti
ambientali quali l’età, il sesso, il peso corporeo, l’assunzione di calcio e di
vitamina D. L’osteoporosi è molto più frequente nelle donne anziane, piuttosto
che negli uomini della stessa età, perché la diminuzione di estrogeni durante la
menopausa, produce un riassorbimento osseo, che non è compensato da una
corrispondente formazione di nuovo osso ( bilancio negativo). Ciò determina
una perdita netta di osso ed eventualmente osteoporosi (Riggs e Coll., 1998,
Baylink e Coll., 1999). Con l’aumentare delle aspettative di vita nelle
popolazioni occidentali, l’osteoporosi sta diventando un problema di salute
pubblica rilevante, quindi è necessario migliorare le modalità diagnostiche e
potenziare la ricerca per individuare i fattori di suscettibilità alla malattia. Studi
sui gemelli hanno dimostrato che i fattori genetici sono responsabili dell’8090% della variabilità del BMD (Dequeker e Coll., 1987, Pocock e Coll., 1987,
Christian e Coll., 1989, Slemenda e Coll., 1991). Tuttavia, sono ancora da
definire i geni coinvolti, l’importanza del loro effetto e le interazioni gene-gene
e gene-ambiente che determinano il rischio osteoporotico. Numerosi sono i
geni candidati per la determinazione della densità minerale ossea (BMD) tra i
19
quali quelli che codificano per i componenti della matrice ossea, gli enzimi
coinvolti nelle vie metaboliche degli ormoni steroidei e i loro recettori, gli
ormoni calciotropici, le citochine e i loro recettori (Giguère e Coll., 2000)
(Tab.I). Alcuni esempi di studi di associazione su geni candidati sono descritti
qui di seguito. Dal momento che è noto il ruolo della vitamina D e del suo
recettore (VDR) nel metabolismo osseo (Malloy e Coll., 1994), il gene VDR è
sembrato un ottimo candidato per la suscettibilità all’osteoporosi e come tale è
stato indagato in numerosi studi di associazione. I risultati di tali studi sono
contrastanti,
alcuni
sostengono
un’associazione
tra
il
genotipo
del
polimorfismo VDR BsmI e il BMD, mentre altri non osservano associazione o
addirittura trovano una relazione “inversa” (Giguère e Coll., 2000).
Per poter stabilire se i polimorfismi nel gene VDR siano importanti
determinanti nel rischio osteoporotico, sono necessari ulteriori studi estesi a
casistiche più ampie.
Anche il gene per il collagene di tipo Iα1 (COLIA1), che codifica per una
proteina della matrice ossea, è considerato un buon candidato per la
suscettibilià all’osteoporosi. Studi indipendenti hanno dimostrato la presenza di
associazione tra la malattia ed un polimorfismo nel primo introne del gene, nel
sito di legame del fattore di trascrizione Sp1 (Grant e Coll., 1996, Uitterlinden e
Coll., 1998). L’associazione tra il polimorfismo Sp1 e l’osteoporosi è stata
successivamente rafforzata dall’evidenza che tale polimorfismo è un indicatore
indipendente del rischio di fratture osteoporotiche sia negli uomini che nelle
donne (Langdahl e Coll., 1998). Comunque solo il 2% della varianza
(variabilità) nel BMD può essere attribuita al genotipo del gene COLIA1
(Uitterlinden e Coll., 1998) e quindi è improbabile che questo polimorfismo in
sé possa essere considerato un buon indicatore del rischio osteoporotico. Il
20
Tab.I Geni candidati per la determinazione genetica della massa ossea (BD,
bone density) e del rischio osteoporotico.
Gene
candidato
VDR
Funzione
OMIM
Regolazione
della funzione
degli osteoclasti
e osteoblasti
601769
ESR1
Diminuzione del
riassorbimento
osseo
133430
COL1A1
Proteina della
matrice ossea
120150
AHSG
Proteina noncollagenosa della
matrice ossea
138680
IL-6
Regolazione
della funzione
degli osteoclasti
e osteoblasti
147620
TGFβ1
Accoppiamento
della formazione
e riassorbimento
osseo
190180
APOE
Trasporto della
vitamina
K/attivazione
dell’osteocalcina
107741
21
difetto di estrogeni nelle donne in età post-menopausale è associato con un
aumento del turnover dell’osso e può condurre a un aumento del rischio di
osteoporosi nelle donne (Riggs e Coll., 1986, Khosla e Coll., 1997). Su questa
base, il gene per il recettore degli androgeni (ESR1) è stato considerato un
buon candidato, ma gli studi di associazione effettuati hanno fornito, come per
VDR, risultati contraddittori (Giguère e Coll., 2000). Dal momento che è
possibile ipotizzare interazioni gene-gene per i caratteri multifattoriali, è stata
indagata una possibile interazione tra i loci VDR e ESR1 nella determinazione
della BMD e del rischio osteoporotico. Ciò ha condotto all’osservazione solo
di una modesta associazione (p=0.05) tra due genotipi specifici VDR/ESR1 e
le differenze di BMD (Gennari et al.,1998).
Uno degli obiettivi di questa tesi è stato quello di indagare una possibile
correlazione tre il gene BMP-4 ed il distretto corporeo osseo. Il BMD è stato
scelto come parametro nella valutazione della costituzione ossea degli individui
studiati. E’ stato pertanto condotto uno studio di associazione tra un
polimorfismo (Mangino e Coll., 1999) del gene BMP-4 (bone morphogenetic
protein 4) ed il BMD in donne italiane in età post-menopausale. La scelta di
tale gene è dovuta alle sue caratteristiche funzionali che lo candidano ad avere
un ruolo nel turnover dell’osso. Il gene BMP-4, infatti, può indurre la
formazione de novo di cartilagine e osso (Wang e Coll., 1990) e gioca un ruolo
importante nel rimodellare l’osso e nel riparo delle fratture. E’ stato infatti
dimostrato un aumento della concentrazione di BMP-4 durante la guarigione di
una frattura (Nakase e Coll., 1994, Bostrom e Coll., 1995). Inoltre, è stato
recentemente dimostrato che l’espressione del gene PEB2αA/AML3/CBFA1,
un regolatore della trascrizione che gioca un ruolo chiave nella differenziazione
degli osteoblasti (Komori e Coll., 1997), è controllata dall’eterodimero BMP22
4/7 (Tsuji e Coll., 1998). Dal momento che l’iperespressione del gene
PEB2αA/AML3/CBFA1 inibisce l’espressione del gene dell’osteocalcina e del
collagene di tipo I negli osteoblasti, il gene BMP-4 è direttamente coinvolto
nella determinazione del fenotipo degli osteoblasti e nel turnover dell’osso.
23
Modello di studio n°2: Iperespressione dei geni S100 in
sistemi cellulari in vitro.
Lo studio funzionale dei geni prevede l’analisi della loro espressione in sistemi
cellulari in vitro. La sperimentazione di tecniche diverse su modelli sperimentali
è utile perché consente l’acquisizione di conoscenze ed esperienze che possono
poi essere poste a disposizione per lo studio dei geni responsabili di tutti i
caratteri complessi, quali anche i caratteri legati alla fisiologia dei distretti
corporei, attraverso l’approccio funzionale. In questo caso per l’approccio
funzionale è stato scelto come modello sperimentale la regolazione dei geni
S100 nella patogenesi di una patologia multifattoriale, la psoriasi (PS).
La psoriasi è una patologia cronica infiammatoria con una prevalenza nella
popolazione di circa il 2% (Newitt and Hutchinson, 1996). La malattia è
caratterizzata da placche infiammate desquamanti e circa il 5% dei pazienti
presenta anche artrite che può essere anche grave e debilitante (Christophers
and Sterry, 1993). La patogenesi della malattia è ancora sconosciuta; pur
tuttavia, è stata osservata una proliferazione e differenziamento anormale dei
cheratinociti, oltre all’infiltrazione di elementi infiammatori nel derma e
nell’epidermide (Granstein, 1996). Studi sui gemelli hanno dimostrato
un’ereditabilità della PS del 70-90% (Farber e Coll., 1974). La psoriasi non
segue un modello di ereditabilità di tipo mendeliano classico, ma è più
probabile l’ipotesi che sia una patologia multifattoriale, caratterizzata da
un’elevata frequenza degli alleli malattia (Elder et al., 1994). Infatti, è stata
osservata associazione con numerosi antigeni HLA, tra cui Cw6 e B57
(Tiilikainen e Coll., 1980; Henseler and Christophers, 1985) e negli ultimi anni
sono stati mappati numerosi loci di suscettibilità alla malattia sui cromosomi
24
2p, 3q, 4q, 6p, 8q, 16q, 17q, 19p e 20p (Capon e Coll., 2000). Recentemente, è
stato mappato nella regione cromosomica 1q21 un nuovo locus di suscettibilità
alla psoriasi volgare (PS) (Capon e Coll., 1999).
La regione cromosomica 1q21 è caratterizzata da un’elevata densità genica e
contiene il complesso di differenziamento dell’epidermide (EDC) che
comprende numerosi geni coinvolti nei processi che conducono al
differenziamento dei cheratinociti (Mischke e Coll., 1996) (Fig.4), tra i quali
anche 13 membri della famiglia dei geni S100.
Le S100 costituiscono una famiglia multigenica di proteine in grado di legare
Ca2+. Tale famiglia è composta da 19 proteine che sono espresse in maniera
differenziale in un grande numero di tipi cellulari e che sono implicate nella
regolazione calcio-dipendente di una grande varietà di attività intracellulari, che
comprendono: la proliferazione e differenziazione cellulare, l’organizzazione
strutturale delle membrane, l’infiammazione e la protezione dal danno
ossidativo. Alcune proteine S100 vengono secrete nello spazio extracellulare ed
agiscono come molecole chemotattiche per i leucociti o regolano l’attivazione
dei macrofagi (Donato R., 1999). Dati strutturali suggeriscono che molte
proteine S100 esistono sotto forma sia di omodimeri che di eterodimeri
(Siegenthaler e Coll., 1997). La mappatura del locus di suscettibilità alla PS sul
cromosoma 1q21 è risultata molto interessante, dal momento che alcuni dei
geni S100 coinvolti nei processi infiammatori (Fig.4) (S100A7, S100A8 e
S100A9), sono iperespressi nelle lesioni dei pazienti con psoriasi (Madsen e
Coll., 1991; Hardas e Coll., 1996) e quindi si possono considerare dei possibili
geni candidati per la psoriasi. Uno degli obiettivi di questa tesi è stato lo studio
funzionale dei geni S100 per delucidare il loro ruolo nella patogenesi della PS,
come modello per l’approccio funzionale allo studio dei caratteri complessi.
25
1q21
p
q
Tel
D1S305
D1S2715
D1S2346
300
S100
A1/A13
S100
A2-A6
D1S1664
1300
600
S100 S100
A7
A8/A12/19
LOR
SPRR
2A/2B/2C
SPRR
1A/3/1B
EDC
Fig. 4 Cromasoma 1 e regione EDC. In giallo sono indicati i geni
26
S100
IVL
Cen
RICERCHE ORIGINALI
1. Studio di associazione del gene BMP-4
MATERIALI E METODI
•
Casistica analizzata. Le pazienti adatte a questo studio sono state selezionate tra
le donne in età post-menopausale che si sono rivolte alle strutture ambulatoriali
delle Università di Siena e Firenze, e dell’ Università di Roma “Tor Vergata”
(Cattedra di Fisiologia Umana) per la valutazione del rischio osteoporotico. Per
tutti i soggetti è stata raccolta un’anamnesi accurata. Sono state quindi escluse
dallo studio le donne con malattie che influenzavano la massa ossea, quelle che
assumevano farmaci attivi sull’osso (terapia con estrogeni, metaboliti della
vitamina D, calcitonina etc.) o farmaci che potevano influenzare il
metabolismo osseo (glucocorticoidi, ormoni tiroidei e antacid). L’assunzione
giornaliera di calcio è stata valutata attraverso un questionario sequenziale
sull’assunzione di cibi ricchi di calcio. Tutte le donne sono state analizzate con
il metodo DEXA (dual-energy X-ray absorptiometry) (Lunar, Madison, WI,
USA) per misurare il BMD lombare (L2-L4) (Gennari e Coll., 1998) (De
Lorenzo e Coll., 1997; De Lorenzo e Coll.,2000) (Fig. 5). Studi di calibrazione
crociata sulla precisione degli strumenti dei tre centri (Siena, Firenze e Roma)
sono stati precedentemente eseguiti sia in vitro che in vivo e non è stato
necessario applicare un fattore di correzione.
Le donne sono state divise in osteoporotiche (n=70) e normali (n=82) sulla
base dei criteri WHO (Kanis e Coll., 1994) e dei valori di BMD misurati. A
ciascun soggetto è stato prelevato un campione di sangue periferico (5-15 ml)
27
in EDTA 0.5%. Il consenso informato allo studio è stato ottenuto da tutte le
pazienti.
Fig.5 Referto DEXA di un soggetto normale di controllo. Si può osservare che
l’asterisco che indica il valore di BMD (g/cm2) rientra nei valori normali di
riferimento (fascia blu).
Estrazione di DNA da sangue periferico. Il sangue prelevato può essere conservato
a +4°C per qualche giorno o congelato a –20°C per 6 mesi. Al campione
scongelato si aggiungono 10ml di Nonidet P40 0.1% in soluzione fisiologica e
si centrifuga a 1500 rpm per 15 minuti. Si ripete l’operazione dopo aver
eliminato il supernatante. Recuperato il pellet, contenente i globuli bianchi, lo si
risospende in 20 ml di soluzioni di lisi contenente urea 7M, NaCl 0.3M, Tris
HCl 10 mM, SDS 10% e lo si incuba a 37°C per 10 minuti. Questa soluzione
permette la lisi delle membrane cellulari, per dissociazione dei fosfolipidi
strutturali, e dei nuclei, oltre all’idrolisi delle proteine citoplasmatiche. Seguono
due estrazioni con un volume di fenolo/cloroformio. Ciò permette la
28
denaturazione delle proteine associate al DNA. La fase acquosa viene estratta
due volte con una miscela di cloroformio ed alcool isoamilico per eliminare i
residui di fenolo. Il DNA viene quindi precipitato in due volumi di etanolo
assoluto a –20°C. La nuvola di DNA così ottenuta viene essiccata sotto vuoto
e risospesa in acqua bidistillata sterile. Il dosaggio del DNA viene infine
eseguito allo spettrofotometro misurando l’assorbanza a 260 nm.
Amplificazione dell’esone 5 del gene BMP-4 mediante PCR e controllo dell’amplificato.
La reazione avviene in un volume di 25 µl contenenti: 200 ng di DNA
genomico, 100 mM KCl, 20 mM Tris-HCl (pH 8.3), 3 mM MgCl2, 175 µM di
ciascun deossinucleotide (dNTP), 25 pmol di ciascun primer (4-F: 5’CCTAACTGTGCCTAG-3’;
4-R:
5’-
CATAACCTCATAAATGTTTATACGG-3’), 0.25 U di Taq polimerasi, olio
minerale. Con un apparecchio PCR9600 System è stato eseguito il seguente
ciclo: 5 minuti a 95°C; (1 minuti a 95°C, 1 minuto a 55°C, 1 minuto a 72°C) x
30 volte; 7 minuti a 72°C. Cinque µl di ciascun amplificato sono stati caricati
su un gel d’agarosio all’1.8% colorato con bromuro d’etidio (1 ng/ml). La corsa
elettroforetica (30 min a 80 V) è stata effettuata in TBE 1X (Tris 0.45 M, Acido
Borico 0.45 M, EDTA 0.01 M). I prodotti della digestione del fago ΦX174 con
HaeIII, vengono utilizzati come marcatori di peso molecolare. Al termine della
corsa elettroforetica, gli amplificati sono visualizzati attraverso transilluminazione agli ultravioletti.
Analisi di restrizione del polimorfismo V147A nel gene BMP-4 e analisi statistica dei
risultati. Il sito polimorfico HphI è stato localizzato, da Mangino e Coll. (1999),
nel quinto esone del gene BMP-4, nella posizione nucleotidica 538 (T→C), e
29
produce una sostituzione aminoacidica Val→Ala (V147A) nella proteina. I
prodotti di PCR (197 bp) sono stati digeriti con 30 U di enzima HphI e
sottoposti a elettroforesi su di un gel di agarosio MS-8 al 2% (Fig.6).
La frequenza di distribuzione dei genotipi del gene BMP-4 nelle donne
osteoporotiche e normali è stato confrontato utilizzando una tabella di
contingenza 2x2 e il test del χ2. Una soglia di P<0.05 è stata accettata come
valore di significatività. L’analisi statistica è stata condotta con il programma
SigmaStat 1.0 (Jandel Scientific, Erckrath, Germany).
1
2
3
4
5
6
M
197
110
87
Fig.6 Analisi di restrizione del polimorfismo del gene BMP-4. I soggetti
nelle file 1 e 6 sono omozigoti V/V, i soggetti 4 e 5 sono omozigoti A/A e i
soggetti 2 e 3 sono eterozigoti A/V.
30
RISULTATI
Questo studio è stato condotto su 70 donne affette da osteoporosi postmenopausa e su 82 controlli indipendenti. L’analisi di restrizione del sito
polimorfo HphI ha generato tre differenti genotipi, V/V, A/V e A/A, in
accordo con la sostituzione aminoacidica Val→Ala. Tra le 70 pazienti, 18
mostravano il genotipo V/V, 39 erano eterozigoti A/V e 13 omozigoti A/A.
Una distribuzione molto simile dei tre genotipi è stata osservata anche nei
campioni di controllo: 18 soggetti erano V/V, 46 V/A e 18 A/A (Tab.II).
L’allele 147V mostrava una frequenza di 0.53 (75/149) negli osteoporotici e
0.50 (82/164) nei controlli, mentre l’allele 147A aveva una frequenza di 0.47
(65/140) negli osteoporotici e 0.50 (82/164) nei controlli.
Il test del χ2, applicato alla distribuzione dei tre genotipi nei due campioni, non
era significativo (χ2 = 0.44; P = 0.84, df 2). Lo stesso metodo statistico ha
permesso di dimostrare che anche la differenza nella distribuzione dei due alleli
(χ2 = 0.08; P = 0.77, df 1) non era significativa. Inoltre, non è stato osservato
deviazione dall’equilibrio di Hardy-Weinberg.
Le frequenze alleliche e le distribuzioni genotipiche nel nostro gruppo di
controlli non erano sostanzialmente diverse da quelle osservate da Mangino e
Coll., (1999), nella popolazione Caucasica (χ2 = 1.64; P = 0.2, df 1, e χ2 = 2.00;
P = 0.36, df 2, rispettivamente).
31
Tab.II. Frequenze alleliche del polimorfismo BMP-4 147A/V e distribuzione
dei tre genotipi in donne osteoporotiche post-menopausa e nei controlli sani
indipendenti.
___________________________________________________________________
Genotipi
Frequenze alleliche
V/V
V/A
A/A
n
147V
147A
___________________________________________________________________
Osteoporotici
18(20)
39(35)
13(15)
70
0.53
0.47
Controlli
18(20)
46(41)
18(21)
82
0.50
0.50
I valori indicati in parentesi sono quelli attesi secondo l’equilibrio di HardyWeinberg.
32
2. Studio del gene S100A7
MATERIALI E METODI
Casistica analizzata. I campioni di DNA di 15 pazienti psoriasici indipendenti
sono stati selezionati da altrettante famiglie psoriasiche che dimostravano
linkage con il locus sul cromosoma 1q descritto in un precedente lavoro di
mappatura di un nuovo locus di suscettibilità alla psoriasi volgare in famiglie
italiane (Capon e Coll., 1999). La diagnosi di psoriasi (PS) è stata eseguita da
due esperti dermatologi che hanno esaminato la pelle, le unghie e le
articolazioni dei pazienti. Sono stati considerati affetti da PS tutti gli individui
che presentavano placche di psoriasi, sono stati esclusi invece dallo studio i
soggetti con eczema seborroico. Il DNA estratto da sangue periferico (vedi
precedente sessione di Materiali e Metodi) di 25 soggetti sani è stato utilizzato
come controllo. Tutti i soggetti hanno fornito il loro consenso informato prima
di essere inseriti nello studio.
Screening di una library di DNA genomico. Inizialmente, sono state generate delle
sonde di DNA genomico utilizzando coppie di primers oligonucleotidici,
disegnati sulla sequenza disponibile in GenBank (n° di accesso M86757), che
amplificano di frammenti di circa 100 bp del cDNA del gene S100A7. I
prodotti di PCR sono stati marcati con α32P dCTP e sono poi stati utilizzati per
eseguire uno screening di una library di DNA genomico λ FIX II (Stratagene,
USA). E’ stato individuato un singolo clone positivo (ps001) che è stato
successivamente digerito con l’enzima di restrizione Xba I. I frammenti
ottenuti con l’analisi di restrizione sono poi stati successivamente ibridati con
33
le sonde derivate dal cDNA e le bande positive sono poi state suclonate in
plasmidi pBluescript II SK (Stratagene). Le giunzioni esone-introne sono state
determinate grazie alla sequenza parziale dei cloni su di un sequenziatore
automatico LICOR 4000L con primers marcati con IRD41.
Analisi della sequenza al 5’ del gene S100A7. La sequenza fiancheggiante il 5’ del
gene S100A7, è stata analizzata con il programma NNPP ( Neuronal Network
Promoter
Prediction)
disponibile
al
sito:
http://www-
hgc.lbl.gov/projects/promoter.html. Per l’analisi è stata fissata una soglia di
significatività di 0.90. Al fine di localizzare possibili siti di legame per i fattori
di trascrizione, è stato utilizzato il programma TESS (Transcription Element
Search
Software),
disponibile
al
sito:
http://agave.humgen.upenn.edu/utess/tess.
Estrazione dell’RNA e amplificazione 5’ RACE. L’RNA totale è stato estratto da
linee cellulari di cheratinociti KHSV40, gentilmente fornite da G. Meneguzzi
(INSERM U385, Nizza, Francia), utilizzando il reagente TRIZOL (Life
Technologies, UK), seguendo le istruzioni fornite dal produttore. Il reagente
TRIZOL, una soluzione monofasica di fenolo e guanidina isotiocinata, è un
miglioramento del metodo di estrazione di RNA in un singolo passaggio,
sviluppato da Chomezynski e Sacchi (1987). Durante la lisi delle cellule, il
TRIZOL mantiene l’integrità dell’RNA , ma rompe le cellule e ne dissolve i
loro componenti. L’aggiunta di cloroformio e la successiva centrifugazione,
separa la soluzione in una fase acquosa e in una fase organica. L’RNA rimane
esclusivamente nella fase acquosa. Dopo il trasferimento della fase acquosa,
l’RNA viene recuperato grazie ad una precipitazione con alcool isopropilico.
34
L’RNA totale recuperato con il TRIZOL è privo di contaminazioni da proteine
e DNA. La quantità di RNA è stata determinata attraverso una lettura
dell’assorbanza a 260 nm; l’integrità dell’RNA è stata controllata mediante
elettroforesi su gel di agarosio/formaldeide all’1%. Due microgrammi di RNA
sono stati poi utilizzati per eseguire la 5’ RACE con il kit 5’/3’ RACE
(Boheringer Mannheim, Germany), seguendo le istruzioni fornite dal
produttore. Questa tecnica è utile per ottenere cDNA interi necessari per
svolgere studi successivi di espressione. Il metodo si basa sui seguenti passaggi
di amplificazione in successione:
-
Sintesi del primo filamento di cDNA a 55°C con l’enzima AMV-RT
(scelta per la sua alta termostabilità)
-
Purificazione del primo filamento di cDNA con il kit High Pure PCR
Product Purification Kit (Boehringer Mannheim, Germany) seguendo le
istruzioni fornite dal produttore
-
Trasferimento di una coda omopolimerica di dATP all’estremità 3’ del
cDNA attraverso la reazione enzimatica catalizzata da una terminal trasferasi
-
Amplificazione del cDNA provvisto di coda dA con un oligonucleotide
gene specifico e un oligonucleotide dT che funge da ancora.
-
Amplificazione ulteriore del cDNA ottenuto con l’oligonucleotide ancora e
un nuovo oligonucleotide gene specifico interno al precedente.
I prodotti di PCR così estesi, sono stati analizzati su di un gel di
poliacrilammide deneturante all’ 8% in presenza di una reazione di sequenza
M13mp18 utilizzata come marcatore di peso molecolare.
35
Creazione dei costrutti promotore/β-galattosidasi. Sono stati amplificati tramite PCR
alcuni frammenti della sequenza al 5’ del gene S100A7 utilizzando i seguenti
primers diretti PROM-4a (che si estende da –731 a –712), PROM-3a (da –615
a –595), PROM-2a (da –413 a –395) e PSOULT-a (da –247 a –229), a ciascuno
dei quali è stata aggiunta una coda contenente il sito di restrizione XhoI e i
seguenti primers inversi PROM-2b (da –7 a –27) e PSOint-1b (da IVS1+32 a
IVS1+13) a ciascuno dei quali è stata aggiunta una coda contenente il sito di
restrizione HindIII. Le sequenze dei primers sono riportate nella (Tab. III). I
corrispondenti prodotti di PCR sono stati sottoposti ad una doppia reazione di
restrizione, purificati e ligati in un vettore pβgal-enhancer privo di promotore
(Clontech, USA). L’isolamento e la purificazione dei plasmidi è stata poi
eseguita con l’ Endotoxin-free Maxi Kit (Qiagen, USA).
Trasfezione plasmidica e saggio della β-galattosidasi. Per la trasfezione basata sui
liposomi sono state utilizzate linee cellulari di cheratinociti immortalizzati
KHSV40 ( donate da G. Meneguzzi, INSERM U385, Nizza, Francia). I
liposomi
cationici
DC-Chol/DOPE
sono
stati
preparati
come
precedentemente descritto (Gao e Huang, 1991); 50 µg di liposomi sono stati
aggiunti a 10 µg di DNA plasmidico. Dopo 30 minuti di incubazione a
temperatura ambiente, i complessi DNA/liposomi sono stati aggiunti alle
cellule in un terreno privo di siero che è stato, dopo 4 ore, sostituito da un
normale terreno di coltura. La coltura è stata interrotta dopo 52 ore dalla
trasfezione e l’attività del gene β-galattosidasi è stata saggiata utilizzando il
sistema “β-galactosidase genetic reporter system II” (Clontech, USA). Per ogni
36
lisato cellulare sono state effettuate con un luminometro cinque rilevazioni
dell’emissione di luce. Sono stati eseguiti due esperimenti indipendenti per ogni
Tab. III: Primers utilizzati per gli SSCP e l’analisi di sequenza
______________________________________________________________________
Primer
Sequenza (5’ → 3’)
Dimensioni (bp)
Regione
______________________________________________________________________
PROM-4a
CCACCTAATTCCAGGGCTTC
PROM-4b
CTCTTATCCCCTGTGCTATAG
PROM-3a
CTATAGCACAGGGGATAAGAG
PROM-3b
CCGCTGACTGAGCATTTTAATG
PROM-2a
AATGCTCAGTCAGCGGTGG
PSOTSAL
GGCTCAACCTTGATTTGAGGG
PSOULT-a
CTACACATGTACCGCTGCC
PROM-2b
CAGTCCTTTATAAGGCTC
PROM-1a
ACAGATGACAGAGGTG
PSOint-1b
TCTAGAAAACGCAAAGAGCAGG
PSOint-2a
CTGGGATTGAATTTACTTCCC
PSOint-2b
TGTAACTCTTCGATCTGTGG
PSEND
CTCTGCCTCCTCTCCCTCCC
PSATU
GGCAAGTGTCTGGTGGGAGAAG
37
137
promotore
218
promotore
208
promotore
240
162
239
312
promotore
promotore, esone 1
esone 2
esone 3, 3’UTR
costrutto e sono state riportate le medie delle attività rilevate. In ogni
esperimento, sono stati trasfettati in parallelo anche un vettore privo di
promotore e un vettore di controllo pβgal (Clontech, USA) rispettivamente
come controllo negativo e positivo. Ogni risultato è stato espresso in
riferimento all’attività del controllo positivo, definita come 100%.
Analisi del dinucleotide ripetuto (CA)4 e della regione non tradotta al 3’ del gene. Sono
stati utilizzati i primers PROM-1a/PSOint-1b e PSEND/PSATU (Tab. III)
per amplificare l’esone 1 la regione non tradotta al 3’ (3’UTR) del gene di 25
soggetti normali indipendenti. I campioni amplificati con l’incorporazione di
dCTP marcata con P32 sono stati analizzati su di un gel denaturante di
acrilammide al 6% e sono stati analizzati per autoradiografia.
Analisi dei polimorfismi di conformazione della singola elica del DNA (SSCP). I primers
sono stati disegnati per amplificare i tre esoni ed il promotore della sequenza
del gene S100A7 (Tab. III). I prodotti di PCR sono stati denaturati, caricati su
un gel di poliacrilammide non denaturante (GeneGel Excel kit 2.1, PharmaciaBiotech, Uppsala, Svezia) e soggetti ad elettroforesi in condizioni di voltaggio e
tempeartura costanti (1000V, 5°C), utilizzando un apparato Genephor
(Pharmacia-Biotech). Dopo due ore di migrazione, i prodotti di PCR sono stati
visualizzati colorando il gel mediante la metodica del silver-staining. In breve, i
gel sono stati fissati per almeno 30 minuti in acido benzensolfonico allo 0.6%
diluito in etanolo al 24%, e poi impregnati di una soluzione di nitrato d’argento
allo 0.2% e acido benzensolfonico allo 0.1%, per altri 30 minuti. Si è quindi
proceduto a sviluppare i gel incubandoli per 6 minuti in 100 ml di sodio
carbonato al 2.5% a cui sono stai aggiunti 125 µl di formaldeide al 37% e 125
38
µl di sodio tiosolfato al 2%. Infine, la reazione di sviluppo è stata bloccata
mediante l’aggiunta di una soluzione di acido acetico all’1%, acetato di sodio al
5%, glicerolo al 10%.
Sequenziamento diretto. Dopo separazione su gel di agarosio allo 0.8%, i prodotti
di PCR degli esoni e del promotore sono stati recuperati dal gel e purificati
mediante centrifugazione in presenza di nebulizzatore e filtro separatore,
utilizzando il kit Ultrafree-DA (Millipore, USA). Gli amplificati così purificati
sono stati sequenziati utilizzando il Thermosequenase cycle sequencing kit
(Amersham Life Science, Cleveland, USA) in presenza di primers marcati con il
fluorocromo IRD800. Al termine della reazione, le sequenze sono state caricate
su un sequenziatore automatico LI-COR 4000L.
Analisi statistica. Le frequenze degli alleli dei polimorfismi –559G/A e –
563A/G sono stati determinati grazie ad uno screening con SSCP dei pazienti,
dei loro genitori e dei controlli. Nell’approccio adottato, l’allele che i pazienti
hanno ereditato dal genitore affetto viene contato come “caso”, invece
vengono considerati come “controlli”, gli alleli non trasmessi dai genitori affetti
e gli alleli di 25 soggetti sani indipendenti. I valori di χ2 sono stati ottenuti da
tabelle di contingenza 2x2.
39
RISULTATI
Determinazione dell’organizzazione genomica del gene S100A7 umano
E’ stato isolato un unico clone (ps001) di 15 kb che conteneva l’intero gene
S100A7. Il gene S100A7 si estende su 2.7 kb di DNA genomico ed è
organizzato in tre esoni e due introni, come mostrato in (Fig. 7). Il confronto
tra la sequenza aminoacidica e le giunzioni esone/introne ha dimostrato che il
primo esone del gene non è tradotto. E’ stata inoltre isolata una sequenza non
tradotta di 744 bp al 5’ del primo esone del gene (Fig.8). L’analisi di sequenza
effettuata con il software NNPP ha rivelato la presenza di una TATA box
(Fig.8) con un punteggio predittivo di 0.93, che corrisponde ad una possibilità
di falso positivo di 0.1-0.3% (Reese e Coll., 1996). La sequenza al 5’ del gene è
stata poi analizzata con il software TESS che ha individuato alcuni siti di
legame per i fattori di trascrizione, conformi a quelli depositati nel database
TRANSFAC. Utilizzando l’approccio della ricerca delle sequenze consenso,
sono stati individuati siti di legame per i fattori di trascrizione AP1, F2F,
TFIID e Sp1 perfettamente omologhi a quelli attesi. Inoltre, è stata individuata
un’omologia di sequenza dell’80% con il sito di legame per il fattore di
trascrizione KER1 specifico dei cheratinociti (Fig. 8).
40
1 GTCCAAACAC ACACATCTCA CTCATCCTTC TACTCGTGAC
41 GCTTCCCAGC TCTG gtaagtctcacc…….1.5 Kb intron ………
55
……………………….tttcctgaag GCTTTTTGAA AGCAAAGATG
75
AGCAACACTC AAGCTGAGAG GTCCATAATA GGCATGATCG
115 ACATGTTTCA CAAATACACC AGACGTGATG ACAAGATTGA
155 CAAGCCAAGC CTGCTGACGA TGATGAAGGA GAACTTCCCC
195 AACTTCCTTA GTGCCTGT gtgtgagtcgg ...0.8 kb intron....ctcttcacag
215 GACAAAAAGG GCACAAATTA CCTCGCCGAC GTCTTTGAGA
255 AAAAGGACAA GAATGAGGAT AAGAAGATTG ATTTTTCTGA
295 GTTTCTGTCC TTGCTGGGAG ACATAGCCAC AGACTACCAC
335 AAGCAGAGCC ATGGAGCAGC GCCCTGTTCC GGGGGCAGCC
375
AGTGACCCAG CCCCACCAAT GGGCCTCCAG AGACCCAGGA
415 ACAATAAAAT GTCTTCTCCC ACCAG
Fig. 7. Organizzazione genomica del gene S100A7. Le sequenze genomiche
sono rappresentate dalle lettere maiuscole; le sequenze introniche dalle lettere
minuscole. I consensi per lo splicing GT e AG sono sottolineati. In grigio sono
evidenziate le sequenze dei domini EF descritti da Burgisser e Coll. (1995).
41
-744 GACCCCAAGT CCCCCCACCT AATTCCAGG GCTTCTGTGA
-704 GGGGCTGACC AATGGTTAGC AATGAAGTAA CTCCTGCTTCC
-664 CTCCCTGGAC TTTGAGTTCC CATAGGGCAG ACCCCTGATGT
-624 GACCCAAGAC CTATAGCACA GGGGATAAGA GTAAGGATT
AP1
-584 TGATTCAGGC TTTTCTGAGT CCATATGATG ATTTGTTGTG
-544 TTTACTAGCT GAGTAAACTT GGGAACATCT CAACTTCTCC
-504 TTTCCTAAAA TAGAGATTGA AGCACCTCTT AGGACTATGA
-464 GGGTTGAGGA GGATGCAGGA GCAGCAGGTA TCTTGATAT
F2F
-424 TCTAGACATT AAAATGCTCA GTCAGCGGTG GGGGTCATAG
-384 AACAGGCTGT CATAACAAAT GTGTGGAAGG ATAAGGGGAG
KER1
-344 GGAACAAACA AGACCATGCT GCCTTCAGGA GTCTGAAACT
-304 CCATCCTCTT TGGGTCCAGA GGCCCAGTGC TCTTTTCTCC
-264 CATTTTCTGA CCTGCTACTA CACATGTACC GCTGCCTTAC
-224 CCTCAAATCA AGGTTGAGCC AGAGAAGACT CCAGGTGAGG
-184 TCTCTGGGGT GGGGTGGGAC CTGGTGACCT GGGACACTGG
-144 CCAGAAATCC TGAGCACAGC CTCCTGGGTG TGTCCCACCC
-104 ACCTGATATG GGACAAGCCT CCAAGAAAAC AGATGACAGA
-64 GGTGGCCCCA GGCCTCCCAA CCCCTGGGAA GAGCCAGGCT
Sp1
-24 GAGCCTTATA AAGGACTGCT CTTT
Fig. 8. Sequenza del promotore del gene S100A7 (Accesso a GeneBank n.
AF050167). La TATAbox è evidenziata in grigio; i siti di legame per gli
elementi regolatori della trascrizione sono sottolineati.
42
Determinazione del sito d’inizio della trascrizione.
La sequenza codificante al 5’ del gene S100A7 è stata determinata con la
reazione 5’ RACE su RNA totale isolato da una linea cellulare di cheratinociti
KHSV40 (Fig.9). Il sito d’inizio della trascrizione, al quale è stata assegnata la
posizione +1, è il nucleotide G posizionato 54 bp a monte della prima
giunzione esone-introne. La sequenza di DNA circostante il sito d’inizio è
TTGTCC ed è perfettamente omologa alla sequenza consenso (Py-Py-Pr-A/TPy-Py) per i siti d’inizio della trascrizione (Javahery e Coll., 1994).
Studio dell’attività del promotore del gene S100A7.
Il test di trasfezione transitoria con il gene della β-galattosidasi, utilizzato come
gene indicatore, ha permesso di analizzare l’attività di promotore della regione
di 744 bp a monte del gene S100A7. A questo proposito, è stato generato un
costrutto contenente l’intera regione al 5’ e l’esone 1 del gene (pβgal-xh2) e la
sua attività è stata testata in parallelo con tre altri differenti costrutti che
mancavano rispettivamente del sito di legame AP-1 (pβgal-xh4), il sito di
legame AP-1 e KER1 (pβgal-xh5) e il sito d’inizio della trascrizione (pβgalxh9). La figura 10 mostra i livelli di attività del gene β-galattosidasi prodotti da
ciascun costrutto riferiti al pβgal-controllo (cioè il plasmide contenente il gene
β-galattosidasi con il suo promotore e un enhancer). Il costrutto pβgal-xh2,
che si estende dalla posizione –731 a IVS1+32 ha mostrato il più alto livello di
attività (155%), mentre non è stata osservata differenza tra i costrutti pβgal-xh4
[-615/IVS+32] e pβgal-xh5[-413/IVS+32], perché entrambi hanno mostrato
un’attività del 110%. Quindi la delezione del sito AP-1 riduce l’attività del
promotore, diversamente dalla rimozione del sito putativo KER1. Infine, la
43
A C G T
110 bp
Fig.9 Autoradiografia della reazione 5’ RACE che ha consentito di
individuare il sito d’inizio della trascrizione. La sequenza di M13mp18
(prime quattro file) è servita come marcatore di peso molecolare. La freccia
indica la posizione del sito d’inizio della trascrizione.
delezione del sito d’inizio della trascrizione riduce drasticamente l’efficienza di
trascrizione, dal momento che il costrutto pβgal-xh9 [-731/-7] mostra solo il
55% di attività (Fig. 10).
Ricerca di varianti nucleotidiche nel gene S100A7.
Le informazioni sulla sequenza genomica sono state utilizzate per disegnare
primers che amplificassero, tramite reazione di PCR, ciascun esone e il
promotore del gene. Dal momento che l’esone 1 contiene un dinucleotide
ripetuto (CA)4 che si estende dai nucleotidi +8 a +15 (Fig. 7), i prodotti di PCR
di 25 soggetti normali indipendenti sono stati sottoposti ad elettroforesi per
verificare se il dinucleotide era polimorfo nella popolazione generale, però non
è stata individuata nessuna variante allelica nel campione testato. E’ stata
inoltre riportata in letteratura (Hardas e Coll., 1996) la presenza di un
44
potenziale sito polimorfico nel 3’UTR del gene, dove è stato osservato un
nucleotide C addizionale in posizione 412. L’analisi di 25 controlli non ha
dimostrato la presenza di varianti alleliche elettroforetiche. E’ stata allora
eseguita un’analisi SSCP dei prodotti di PCR di 15 pazienti psoriasici e di 25
controlli indipendenti, al fine di cercare ulteriori polimorfismi nel gene S100A7.
Non è stata individuata nessuna variante nucleotidica nella regione codificante
del gene, al contrario, lo screening del promotore del gene ha rivelato la
presenza di due bande SSCP anomale. Il sequenziamento diretto ha dimostrato
la presenza di due sostituzioni nucleotidiche (G→A e A →G) localizzate
rispettivamente in posizione –559 e –563. L’analisi di 25 controlli indipendenti
ha permesso di dimostrare un’eterozigosità di 0.27 per il polimorfismo
–559G/A e di 0.28 per il polimorfismo –563A/G. L’analisi 15 pazienti
psoriasici non ha dimostrato una significante distorsione nella distribuzione
allelica (P>0.1).
45
Relative β- gal activity
S100A7 upstream region
-731
-413
0.5
IVS1+32
1
1.5
2
-7
-615
β -gal
pβgal-xh2
β-gal
pβgal-xh4
β -gal
pβgal-xh5
β -gal
pβgal-xh9
Promoter
β -gal
pβgal-control
AP-1
KER-1
Transcription
start site
Fig. 10 Attività del promotore di diversi costrutti β-gal dopo trasfezione di linee
cellulari KHSV40. Le estremità 5’ e 3’ dei frammenti sono mostrate in alto e sono
numerate rispetto all’inizio della trascrizione (+1).Ogni risultato è espresso come
percentuale dell’attività del controllo positivo fissata al 100%.
46
3. Iperespressione differenziale dei geni S100 in pazienti psoriasici
appartenenti a famiglie geneticamente eterogenee.
MATERIALI E METODI
Pazienti e campioni di tessuto. Le biopsie cutanee sono state prelevate dalle placche
psoriasiche dei pazienti 443, 452, 769, 774 e 778, tutti appartenenti a famiglie di
psoriasi estese, clinicamente analizzate dai dermatologi dell’IDI (Istituto
Dermatopatico dell’Immacolata, Roma). Tutti i pazienti hanno fornito il loro
consenso informato all’analisi. Le famiglie dei pazienti 443, 769 (appartengono
alla stessa famiglia) e 774 hanno dimostrato linkage al cromosoma 1q
attraverso l’analisi dei marcatori D1S305, D1S498 e D1S1664. L’analisi dei
marcatori D6S258, D6S265 e D6S306 ha invece dimostrato che la famiglia dei
pazienti 452 e 778 era in linkage con la regione cromosomica 6p21. In tutte le
famiglie è stata osservata una possibilità a posteriori di linkage >0.8.
Un’ulteriore biopsia di pelle, prelevata durante un intervento di chirurgia
estetica di un individuo non affetto, è stata utilizzata come campione di
controllo. Le biopsie sono state processate al fine di ottenere colture di
cheratinociti primari e le cellule sono state cresciute su di un substrato nutritivo
di fibroblasti murini 3T3-J2 irradiati mortalmente (donati da H. Green,
Harvard Medical School, Boston, MA) come descritto da Zambruno e Coll,
1995.
Estrazione dell’RNA e sintesi dei cDNA. L’RNA totale è stato estratto dalle
colture di cheratinociti, utilizzando il reagente TRIZOL (Life Technologies,
UK), seguendo le istruzioni fornite dal produttore e le modalità
47
precedentemente esposte in questa stessa tesi. L’integrità e la concentrazione
dell’RNA sono state verificate con elettroforesi su di un gel d’agarosio.
Aliquote di 0.5 µg di RNA sono state utilizzate per effettuare una reazione di
trascrizione inversa utilizzando i reagenti GIBCO BRL (Gaithersburg, MD) e
le relative istruzioni. I campioni sono stati incubati per 15 minuti a 65°C e
un’ora a 37°C.
RT-PCR semi-quantitativa. I trascritti dei geni S100 sono stati amplificati
utilizzando coppie di primers derivati dalla sequenza depositata in Genbank
(Tab. IV). Il gene S100A5 non è stato incluso nello studio, dal momento che è
disponibile in rete solo una sequenza provvisoria e non definitiva. Tutti i
primers sono stati disegnati fuori dalle regioni di omologia degli S100, al fine di
rendere massima la specificità delle reazioni di PCR. In ogni reazione sono stati
inoltre inseriti i primers (Tab.IV) che amplificano un frammento di controllo
del gene glucosio fosfato isomerasi (GPI) che ha un’espressione ubiquitaria nei
tessuti. Le condizioni di PCR erano le seguenti: tre diluizioni seriali di ciascun
cDNA sono stati amplificati in una miscela di reazione di 25 µl che
contenevano un buffer di reazione 1X (Promega, Madison, WI), 175 µM
dNTPs, 15 pmol di ciascun primer, 1U di Taq DNA polimerasi (Promega). Le
reazioni hanno subito 25 cicli di amplificazione così composti: 1’ a 94°C, 1’ a
55°C, 1’a 72°C. A reazione ultimata, 15 µl di ciascun prodotto di PCR sono
stati caricati su di un gel d’agarosio al 2%, contenente 1µg/ml di bromuro di
etidio. Le immagini del gel sono state salvate con un apparecchio gel doc 1000
UV (Biorad, Hercules, CA) e il rapporto S100/GPI è stato quantificato
utilizzando il programma Imagequant 1.1 (Molecular Dynamics, Little
Chalfont, UK). Le medie dei rapporti S100/GPI tra i differenti campioni sono
48
Tab. IV. Sequenze dei primers utilizzati per l’RT-PCR.
Gene
(Numero di
accesso)
S100A1
(X58079)
S100A2
(M87068)
S100A3
(Z18948)
S100A4
(M80563)
S100A6
(J02763)
S100A7
(M86757)
S100A8
(M21005)
S100A9
(M21064)
S100A10
(M38591)
S100A11
(D38583)
S100A12
(X97859)
S100A13
(X99920)
GPI
(AH00210
)
Primer diretto(5’to 3’)
Primer inverso (5’to 3’)
CCACACACAGCTCCAGCAGCC
GCTTGGACCGCTAGTCTTGCGCC
GGAGCAGGCGCTGGCTGTGC
CCTGGGCCCAAGAGATCCATGG
CCGAACTGGTCAACTCTCAAGA
GACC
CCCCTCTCTACAACCCTCTCTCC
CGCTCTGCTGAGCCTCGAGGGC
GCACGTGTCTGAAGGAGCCAGG
CCTCGACCGCTCGCGTCG
CCAGAGGGTGTCTCCATCTTCC
TTCTACTCGTGACGCTTCC
GACATTTTATTGTTCCTGGGTCT
C
CTCTGGGCCCAGTAACTCAG
GCTGTCTTTCAGAAGACCTGG
CTCTGTGTGGCTCCTCGGCTTT
GG
CCACTCCGCTGCTCGCC
CCTGATCTGCTCATGAAATCC
GGGCAAGGCTGGGCCGGG
TATTGGCAGGTGGGGCCTGC
GCTCCACATTCCTGTGCATTGA
GG
GGTCAGCTAGCCCCTTGAGG
CCCTCATTGAGGACATTGCTGG
G
GGGAAGAGTGCGGTTCTGC
GCAGTGGCGAAGCACTTT
ACAATAGAGTTGGTTGGGCG
49
CCAGCCCCTAGCCCCACAGCC
state confrontate attraverso il t-test, utilizzando il programma SigmaStat 1.0
(Jandel Scientific, Erckrath, Germany).
Analisi Northern Blot. Venti microgrammi di RNA totale sono stati separati in
base al loro peso molecolare attraverso elettroforesi su diversi gels di
agarosio-formaldeide all'’1% e trasferiti su membrane di nylon, con metodi
tradizionali. Sonde specifiche per i geni S100 e il gene GPI sono state
ricavate per RT-PCR, utilizzando i primers elencati in tabella IV . I prodotti
amplificati sono stati purificati da gel con il kit Ultrafree-DNA (Millipore,
Bedford, MA) e marcati con
32
P-dCTP, utilizzando il kit Rediprime
(Amersham, Little Chalfont, UK). Ogni sonda S100 è stata ibridata in
maniera sequenziale con la sonda della GPI su di un blot, in condizioni
stringenti. L’analisi quantitativa delle autoradiografie è stata condotta come
descritto precedentemente.
50
RISULTATI
Nella prima fase di questo studio, è stata analizzata l’espressione di 12 geni
S100 nei campioni 443 (appartenente ad una famiglia in linkage con il
cromosoma 1q), 452 (proveniente da una famiglia non in linkage con il
cromosoma 1q) e CTR (individuo normale di controllo). La figura 11a mostra i
profili di espressione dei dodici geni S100, normalizzati rispetto alla GPI.
L’oragnizzazione dell’EDC è riprodotta sull’asse delle x, mentre i livelli di
espressione dei geni sono riportati gli uni vicino agli altri. E’ stata osservata una
marcata iper-espressione dei geni S100A8 e S100A9 nel campione 443, se
confrontato con il campione 452 (Fig. 11a). I valori corrispondenti di p erano
0.009 (S100A8) e 0.0001 (S100A9). Un aumento meno significativo nei livelli di
espressione è stato osservato per i geni S100A7 (p=0.03) e S100A12 (p=0.04)
(Fig. 11a). Al contrario, quando il campione 452 è stato confrontato con il
CTR, non è stata osservata una differenza significativa nell’espressione dei geni
S100 (Fig. 11a), infatti il t-test ha generato valori di p>0.05.
Per confermare questi dati, sono stati preparati 12 Northern blots utilizzando
gli RNAs dei campioni 443,452 e CTR, e ogni filtro è stato ibridato in maniera
sequenziale con la sonda GPI e ciascuna sonda specifica S100. In tutti i casi, il
rapporto osservato S100/GPI era compatibile con quello determinato con
l’RT-PCR semi-quantitativa (Fig.12b).
In una seconda fase dello studio, un’ulteriore conferma dei risultati è stata
ottenuta analizzando l’espressione dei geni S100A7, A8, A9 e A12, in tre
campioni aggiuntivi. Due di questi provenivano da famiglie in linkage con il
51
a
16
b
CTR
443(#)
452(§)
14
6
769(# )
774(# )
5
778(§)
4
3
12
2
1
10
0
S100A9
S100A12
S100A8
S100A7
8
6
4
2
0
S100A10
S100A11
S100A9
S100A12
S100A8
S100A7
S100A6
S100A4
S100A3
S100A2
S100A13
S100A1
Fig. 11 Istogrammi dei livelli medi di espressione dei geni S100 riferiti alla GPI e determinat
con analisi densitometrica dei prodotti delle RT-PCR.
#: campioni che provengono da famiglie in linkage col cromosoma 1q; §: campioni ch
provengono da famiglie non in linkage col cromosoma 1q. a) primo set di campioni; b
secondo set di campioni.
cromosoma 1q (769 e 774) e uno (778) da una famiglia non in linkage con il
cromosoma 1q. L’iper-espressione dei geni S100A8 e S100A9 è stata confermata ,
confrontando i campioni 769 e 774 al campione 778 (Fig. 11b). Al contrario,
l’iperespressione dei geni S100A7 e S100A12 non è stata confermata (Fig. 11b) dal
momento che il t-test ha generato valori di p>0.05. L’analisi di Northern blot ha
confermato questi dati, perché i rapporti S100/GPI si accordavano con quelli
determinati per RT-PCR (Fig. 12b).
52
778(§)
774(#)
769(#)
b
452(§)
443(#)
CTRL
a
S100A7
S100A7
S100A8
S100A8
S100A12
S100A12
S100A9
S100A9
GPI
GPI
Fig 12 Northern blots che mostrano l’iperespressione di dei geni S100A7,
S100A8, S100A12 e S100A9 riferiti alla GPI. #: campioni che
provengono da famiglie in linkage con il cromosoma 1; §: campioni che
originano da famiglie non in linkage con il cromosoma 1. a) primo set di
campioni; b) secondo set di camiponi.
53
DISCUSSIONE
1. Studio di associazione del gene BMP-4
Lo studio di associazione tra il polimorfismo (SNP) del gene BMP-4 e
l’osteoporosi, condotto in 70 donne italiane con osteoporosi post-menopausa e
in 82 controlli indipendenti, non ha evidenziato differenze significative nella
distribuzione dei due alleli (A/V) e dei tre genotipi (A/A, A/V, V/V) nella
popolazione di donne affette e nella popolazione di controlli sani.
Questi risultati confermano l’esistenza di un polimorfismo esonico nel gene
BMP-4 (Mangino e Coll., 1999) in un campione indipendente di soggetti
caucasici, ma non mostrano correlazione tra la distribuzione allelica del gene
BMP-4 e il fenotipo osteoporotico. Sebbene, non sia stata osservata
associazione tra l’osteoporosi e il polimorfismo 147A/V, non può essere
definitivamente scartata l’ipotesi di un coinvolgimento della proteina BMP-4
nell’osteoporosi. Infatti, il potere degli studi di associazione di determinare il
coinvolgimento di un gene in un processo patofisiologico può essere ridotto da
alcuni fattori che confondono il risultato, quali ad esempio l’eterogeneità
allelica e di locus della malattia, cioè la presenza di alterazioni diverse all’interno
dello stesso gene o polimorfismi funzionali all’interno di geni diversi che
predispongono alla malattia. Inoltre, se la struttura della popolazione studiata
nasconde la presenza di più sotto-popolazioni con una suscettibilità genetica
diversa
alla
patologia,
diminuisce
il
potere
dell’analisi
di
associazione(Terwilliger e Weiss, 1998).
Per tutti questi motivi i risultati negativi di uno studio di associazione
andrebbero sempre interpretati con cautela.
54
Infine, dal momento che le proteine BMP-4 e BMP-7 formano un eterodimero
coinvolto nel controllo dell’espressione di PEBP2αA/AML3/CBFA1 (Tsuji e
Coll., 1998), potrebbe rivelarsi interessante la ricerca di SNPs all’interno del
gene BMP-7.
55
2. Studio del gene S100A7
I membri della famiglia genica S100 regolano una grande quantità di attività
intracellulari, e sono rilasciati nello spazio extracellulare dove agiscono da
agenti chemotattici per i leucociti, modulano la proliferazione cellulare e
regolano l’attivazione dei macrofagi (Donato e Coll., 1999). In questa tesi, i
geni S100 sono stati studiati da un punto di vista funzionale per chiarire il loro
ruolo nell’insorgenza della psoriasi, una patologia infiammatoria a trasmissione
multifattoriale. Questa prima fase della ricerca ha condotto alla determinazione
dell’organizzazione esone/introne, alla caratterizzazione del promotore e
all’analisi di mutazione del gene S100A7 umano. Il gene S100A7 contiene tre
esoni compresi in una sequenza genomica di 2.7 kb (Fig. 7). Tutti i geni S100
studiati fino ad oggi, condividono un’organizzazione genomica simile,
caratterizzata da un primo esone non tradotto e da due domini di legame del
calcio EF codificati dal secondo e terzo esone (Engelkamp e Coll., 1993). In
questa tesi è stato anche caratterizzato il sito d’inizio della trascrizione del gene,
che risiede 54 bp a monte della prima giunzione esone-introne, ed è stata
isolata una sequenza promotrice di 744 bp. Grazie ad una ricerca di omologia
effettuata al computer, 19 nucleotidi a monte del sito d’inizio della trascrizione
è stata individuata una TATA box. Inoltre, sono state individuate sequenze
altamente omologhe per i siti di legame dei fattori di trascrizione AP1, F2F,
Sp1, TFIID e probabilmente del fattore KER1. Studi funzionali con il test del
gene indicatore hanno confermato questi dati. La sequenza minima che può
fungere da promotore (che si estende dalla posizione nucleotidica –413 alla
posizione IVS1+32 e mostra un’attività del 110%) comprende il sito d’inizio
della trascrizione. La delezione di questa regione infatti diminuisce
56
drasticamente l’attività del promotore. Inoltre, i dati ottenuti sono a sostegno
di una regolazione positiva da parte del fattore AP1, dal momento che il
costrutto che comprende il sito di legame AP1 mostra la più alta efficienza di
trascrizione (155%). Questa osservazione è interessante, dal momento che AP1
è implicato nella regolazione dell’espressione di numerosi geni dei cheratinociti
(Eckert e Coll., 1997). In particolare, è stato dimostrato che i siti AP1 mediano
gli effetti del calcio nell’espressione dei geni della loricrina e involucrina, che
sono mappati vicino al gene S100A7 all’interno dell’EDC (Eckert e Coll.,
1997).
I tre esoni del gene S100A7 e il promotore del gene sono stati analizzati per
SSCP e sequenziamento diretto in 15 pazienti psoriasici appartenenti a famiglie
in linkage con il cromosoma 1q e in 25 controlli indipendenti, per ricercare
varianti all’interno dell’S100A7. Quando è stata analizzata la regione codificante
del gene, entrambi i metodi non hanno individuato differenze tra gli affetti e i
controlli. Al contrario, l’analisi SSCP della sequenza del promotore ha
permesso di identificare due polimorfismi (-559G/A e –563A/G), nessuno dei
quali però si è dimostrato associato, di preferenza, con la malattia. Tutti
insieme questi dati indicano che il gene S100A7 non conferisce suscettibilità
alla psoriasi. E’ comunque possibile che l’iperespressione del gene S100A7,
osservata in cheratinociti psoriasici (Madsen e Coll., 1991), sia associata a
variazioni di sequenza in altri elementi regolatori, probabilmente in un
elemento enhancer localizzato a grande distanza dal punto d’inizio della
trascrizione a monte o a valle del gene. In alternativa, il gene S100A7 potrebbe
essere regolato da una regione di controllo comune a tutto l’EDC. Infatti, i
geni appartenenti a questo complesso mostrano una modalità di espressione
comune nei cheratinociti in differenziamento, rafforzando l’idea di una
57
correlazione
funzionale
(Zhao
e
Elder,
1997).
L’isolamento
e
la
caratterizzazione di questi elementi regolativi potrebbe aiutare a chiarire il
ruolo del gene S100A7 nella patogenesi della psoriasi.
58
3. Iperespressione differenziale dei geni S100 nei pazienti psoriasici
appartenenti a famiglie geneticamente eterogenee.
Dal momento che alterazioni nelle regioni regolative del gene S100A7 non
sono sufficienti a spiegare il coinvolgimento del gene nella patogenesi della
malattia, il passo successivo intrapreso consisteva nello studio dell’espressione
di tutti i geni S100 compresi nell’EDC. Questo doveva condurre a
caratterizzare l’espressione differenziale dei geni nei pazienti psoriasici e nei
controlli normali, per poter poi avanzare ipotesi patogenetiche alla base della
malattia.
In questo studio è stata analizzata l’espressione di dodici geni S100 nelle lesioni
cutanee dei pazienti psoriasici, le cui famiglie erano in linkage a diversi loci di
suscettibilità alla psoriasi. Utilizzando un approccio in due fasi, abbiamo potuto
osservare un’iperespressione dei geni S100A8 e S100A9 solo nei campioni
appartenenti a famiglie in linkage con il cromosoma 1q21. Al contrario, non è
stato replicato il dato di iperespressione del gene S100A7, precedentemente
riportato da altri autori. Questo potrebbe essere dovuto a differenze nella
patogenesi delle forme familiari e sporadiche di psoriasi. Inoltre, un certo grado
di variabilità nell’iperespressione dei geni S100 è atteso, in una patologia come
la psoriasi, che è caratterizzata da un grande spettro di espressione fenotipica.
I nostri dati sono stati ottenuti su di un numero piccolo di campioni, a causa
della difficoltà di ottenere biopsie cutanee dei pazienti. Comunque, tutte le
reazioni di RT-PCR sono state replicate a differenti diluizioni di cDNA e i
risultati ottenuti sono stati ulteriormente confermati con analisi di Northern
blot. Sicuramente, l’analisi di campioni addizionali, derivanti da altre famiglie in
linkage con la regione 1q, potrà permettere di generalizzare questi risultati.
59
Comunque, le numerose repliche dei nostri esperimenti rendono i nostri dati
sufficientemente
attendibili
per
ipotizzare
l’esistenza
di
meccanismi
patogenetici differenti alla base della suscettibilità alla psoriasi. A questo
proposito è degna di nota l’osservazione che i due trascritti iperespressi
mappano l’uno vicino all’altro, in una sequenza genomica di 50kb (South e
Coll., 1999). Dal momento che la proteina S100A8 può formare eterodimeri
con la proteina S100A9 (Schafer e Coll.,1996), l’iperespressione coordinata dei
due geni suggerisce fortemente l’esistenza di una regione regolatrice comune
(LCR), la cui alterazione può contribuire all’insorgenza della psoriasi nelle
famiglie in linkage con la regione 1q. Questa ipotesi patogenetica è compatibile
con il ruolo biologico dei due geni. Infatti, le proteine S100A8 e S100A9
vengono rilasciate nei siti d’infiammazione cronica, e sono state associate con
malattie infiammatorie croniche quali l’artrite reumatoide, la dermatite allergica
e le infezioni (Passey e Coll., 1999). Studi recenti hanno dimostrato
l’interazione di S100A8 e S100A9 con il recettore cellulare per i prodotti finali
di glicazione avanzata (RAGE) nell’endotelio, nei fagociti mononucleati e nei
linfociti. In particolare, l’interazione S100/RAGE favorisce l’attivazione
cellulare, con la produzione di elementi pro-infiammatori (Hofmann e Coll.,
1999). A causa della sua capacità a legare l’acido arachidonico, è stato
ipotizzato che il complesso S100A8/S100A9 può anche regolare altri
importanti processi infiammatori che coinvolgono
dipendente
delle
cellule
mieloidi
(Passey
e
l’attivazione calcio-
Coll.,
1999).
Quindi,
l’iperespressione di questi geni può contribuire alla deregolazione della risposta
infiammatoria nei pazienti psoriasici. Ulteriori chiarimenti sulle diverse
funzioni del complesso S100A8/S100A9 possono fornire una conoscenza più
60
approfondita sul suo ruolo nei processi infiammatori e nella patogenesi della
psoriasi.
61
CONCLUSIONI
Scopo di questa tesi è la sperimentazione di tecniche di biologia molecolare
utili come modello di studio per delucidare le basi molecolari dei fenotipi
complessi. Questo obiettivo si coniuga con lo studio della fisiologia dei distretti
corporei in quanto i caratteri legati ai diversi distretti corporei, quali ad esempio
la densità minerale dell’osso (BMD) e la massa corporea (BMI) vengono
ereditati come caratteri complessi, cioè influenzati da una suscettibilità genetica
e dall’azione dei fattori ambientali (Fig.1). La modificazione in senso patologico
di tali distretti, determina la comparsa di malattie (osteoporosi e obesità, nei
due casi specifici) che pur aggregando in famiglie, non vengono ereditate con
modalità mendeliane, ma secondo una trasmissione multifattoriale. Lo studio
della componente di suscettibilità
genetica ai caratteri complessi richiede
l’applicazione di approcci metodologici specifici, come lo studio di
associazione e lo studio funzionale.
In questa tesi sono stati applicati tutti e due questi approcci: lo studio di
associazione è servito ad escludere il coinvolgimento del gene BMP-4 nella
patogenesi dell’osteoporosi, mentre lo studio funzionale dei geni S100 ha
permesso di ipotizzare un ruolo importante di due membri di questa famiglia
genica (S100A8 ed S100A9) nella patogenesi della psoriasi, una patologia
multifattoriale che è servita come modello di studio dei caratteri complessi.
I risultati riportati in questa tesi, dimostrano che entrambi gli approcci sono
realizzabili con successo in strutture sufficientemente adeguate. Il crescente
interesse verso lo studio dei caratteri complessi pone quotidianamente la
necessità di disporre di un approccio di tipo sperimentale basato sempre di più
sulla più stretta interazione tra polimorfismi "genomici" e sistemi di analisi
62
funzionali (post-genomica). Infatti è ormai chiaro che la dimostrazione di una
associazione pur statisticamente significativa, potrebbe risultare priva di alcun
valore funzionale se non produce in vitro e in vivo un reale effetto biochimico.
Soltanto in presenza di questo, si potrà definire il rischio genomico della
variante. E' evidente infatti che la sola sequenza di DNA e quindi dei geni non
fornisce di per sé, informazioni complete sulla funzione dei geni, sulla loro
azione biochimica e sul loro ruolo nei processi patologici. Il progetto Genoma,
ormai alla sua conclusione, ha con molta chiarezza definito questo concetto.
Basti pensare al numero dei geni presenti nel nostro genoma che è risultato
notevolmente inferiore (22-50.000) a quello precedentemente ipotizzato
(120.000). Ciò è essenzialmente dovuto alla complessità dei geni e alla loro
organizzazione. Infatti, da questi studi il concetto di gene è risultato
completamente cambiato: Ogni singolo gene può dare origine a più proteine, o
contenere al suo interno un altro gene che può attivarsi solo in particolari
momenti (Dunham e Coll., 1999; Hattori e Coll., 2000). E' chiaro quindi che lo
studio dei trascritti o meglio del "ribotipo", ad intendere l'intero assetto
cellulare degli mRNAs, avrà un ruolo sempre maggiore nella comprensione dei
processi patologici. Per questa ragione, le ricerche più attuali si stanno
concentrando sulla messa a punto di tecniche di analisi sempre più efficaci per
valutare i trascritti genici. A questo scopo quindi sono sicuramente molto utili
le tecniche sperimentate in questa tesi (Northern blot ed RT-PCR) che
permettono di studiare il grado di espressione di un gene, consentendo di fare
poi ipotesi sul suo coinvolgimento nel processo patogenetico che conduce ad
una malattia multifattoriale. A questo proposito, studi recentemente pubblicati
(Bao e Coll., 1998; Hida e Coll., 2000) hanno utilizzato queste tecniche per
indagare il ruolo della famiglia delle proteine disaccoppianti (UCP) nell’obesità
63
umana e nel diabete, e per individuare geni espressi in maniera differenziale in
modelli murini per il diabete di tipo II, caratterizzati da obesità viscerale,
insulino-resistenza, ipertensione e dislipidemia, e modelli murini diabeteresistenti. Considerato il grande successo dell’approccio funzionale, la nuova
rivoluzione tecnologica ha permesso di rendere disponibili per la ricerca “genechip microarray”, che consentono l’analisi di espressione di migliaia di geni
contemporaneamente (Schena e Coll., 1995; Shalon e Coll., 1996). Questa
tecnologia fornisce un profilo di espressione genica che permette di
determinare i cambiamenti dovuti alla malattia e agli interventi fisiologici e
farmacologici (farmacogenomica).
Importanti applicazioni di questa tecnica ai fini dello studio della fisiologia dei
distretti corporei, risiedono nella possibilità di studiare le interazioni geneambiente che sono alla base della determinazione della composizione corporea.
Infatti, sarà possibile identificare gruppi specifici di geni che vengono espressi
in maniera differenziale secondo, ad esempio, il profilo nutrizionale o
l’esercizio fisico. Ad esempio, questa tecnologia in evoluzione potrebbe giocare
un ruolo importante nella comprensione della relazione tra esercizio fisico e le
numerose malattie croniche (prevenendole e/o migliorandole) (Baldwin, 2000).
Lo sviluppo ed il potenziamento delle tecniche di biologia molecolare lascia
intravedere nuove e grandi potenzialità di questa disciplina nella comprensione
dei meccanismi fisiologici e fisiopatologici alla base dei processi vitali delle
cellule, con l’opportunità di indagare le fondamentali interazioni gene-ambiente
che determinano il fenotipo dei tratti complessi.
64
PUBBLICAZIONI INERENTI AL PROGRAMMA
DI RICERCA
•
Semprini S., Capon F, Bovolenta S, Pizzuti A, Dallapiccola B, Novelli G.
Genomic structure
promoter characterisation and mutational analysis of
S100A7 gene: exclusion of a candidate for familial psoriasis susceptibility.
Human Genetics 1999, 104: 130-134.
•
Semprini S., Mango R., Brancati F., De Lorenzo A., Gennari L., Becherini L.,
Brandi M:L:, Dallapiccola B., Novelli G. Absence of correlation between BMP4 polymorphism and osteoporosis in postmenopausal Italian women. Calcified
Tissue International 2000, 67(1):93-94.
•
Semprini S., Capon F., Orecchia A., Gobello T., Zambruno G., Dallapiccola
B., Novelli G. Evidence for differential S100 gene over-expression in psoriatic
patients from genetically heterogeneous pedigrees. Submitted.
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