A

Francesco Mattioli
La comunicazione sociologica
Copyright © MMXII
ARACNE editrice S.r.l.
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 
A Cinzia e Priscilla
Indice

Introduzione
In una società dell’informazione,  – Sui concetti di comunicazione e informazione,  – Regole che ci consentono di comunicare,  – La società
come sistema di comunicazione,  – Il problema della comunicazione
della scienza,  – In che cosa consiste la comunicazione sociologica?, 
– Una difficoltà a comunicare (appunti), .

Capitolo I
Che cosa è la sociologia
.. La parola ai classici,  – .. Parliamo di contenuti,  – .. La “scienza” della società,  – .. E ora, proviamo a definire la sociologia, .

Capitolo II
Il sistema sociale
.. Società, struttura o sistema sociale?,  – .. Il sistema sociale secondo Talcott Parsons,  – .. Gli sviluppi del modello parsonsiano,  –
.. Il sistema oltre il sistema,  – .. La società come rete, .

Capitolo III
Conflitto e mutamento sociale
.. Un dibattito tuttora aperto,  – .. Mutamento e conflitto nell’ottica marxista,  – .. La società contemporanea come società
“post–industriale”, .

Capitolo IV
La società globalizzata
.. Società delle masse e società di massa,  – .. La polemica sulla
comunicazione di massa,  – .. La società dell’informazione,  –
.. Le derive della globalizzazione,  – .. Una società postmoderna?,  – .. Il futuro multietnico e multiculturale, .

Indice


Capitolo V
Sociologia del potere
.. La visione classica di Weber,  – .. Il potere come potere politico,  – .. Il potere come influenza,  – .. Potere e rapporti
interpersonali, .

Capitolo VI
Struttura sociale e processi di socializzazione
.. I rituali dell’interazione,  – .. Che cosa è la socializzazione, 
– .. La socializzazione come apprendimento,  – .. La socializzazione come identificazione,  – .. La socializzazione come integrazione,  – .. Il sigillo della famiglia,  – .. Il messaggio della
scuola,  – .. Lucignolo, del gruppo dei pari,  – .. I mass media
come Paese dei Balocchi?,  – .. La crisi della socializzazione, .

Capitolo VII
Introduzione alla ricerca sociologica
.. Le vie della sociologia,  – .. Il disegno della ricerca,  – .. Come si fa ricerca,  – .. Attenzione: fare ricerca significa misurare il
fenomeno,  – .. Le tecniche di indagine,  – .. L’elaborazione quantitativa dei dati,  – .. La “ricerca di sfondo”,  – .. Il
campionamento,  – .. Comunicare la ricerca, .

Riferimenti bibliografici

Indice analitico
Introduzione
La comunicazione sociologica
Sociologia .
In una società dell’informazione
Viviamo in una società che è stata definita la “società dell’informazione”: la vita quotidiana, tanto a livello individuale che associativo, è
oggi ampiamente condizionata dai sistemi di informazione e di comunicazione, e si tratta di un fenomeno diffuso ovunque, non soltanto
in quello che molto genericamente — e anche con un pizzico di etnocentrismo — viene chiamato “il mondo occidentale”. Tra i vari


Introduzione
effetti — pregevoli alcuni, disprezzabili altri — della globalizzazione,
c’è anche quello della diffusione in tempo reale delle informazioni, della loro reperibilità e della loro utilizzabilità. Così accade che
due genitori, navigando su internet, trovino il modo di garantire alla
figlioletta malata un farmaco raro e considerato esaurito, che un giornalista dal suo studio possa seguire momento per momento le fasi
di una rivolta all’altro capo del mondo, raccogliendo nel frattempo
le diverse versioni dei fatti fornite dalle parti in causa, o ancora che
uno studente italiano consulti i volumi contenuti nelle più prestigiose
biblioteche americane stando comodamente seduto in casa propria.
Inoltre, grazie alla televisione, è possibile seguire in diretta una guerra,
un evento sportivo, un concerto, un rito, anche se si svolge a migliaia
di chilometri di distanza, creando un immenso pubblico planetario
che nello stesso istante si diverte, si commuove, si esalta o si dispera.
Le tremende immagini in diretta di un aereo che si infila in una delle
Twin Towers di New York, hanno fatto scoprire che una tragedia
si può vivere momento per momento non soltanto al cinema, ma
nella vita vera, quella di tutti i giorni, ovunque essa accada. Inoltre,
esplorando You Tube, puoi cogliere attimi irripetibili e assistere ad
episodi singolari che sono avvenuti a distanza di migliaia di chilometri,
e puoi addirittura curiosare nella vita quotidiana di gente che non ti
conoscerà mai.
Senza contare che attraverso facebook e twitter ciascuno di noi può
dialogare con una massa di “amici” sparsi per il pianeta, scambiando
con loro pensieri, emozioni, fotografie, mentre tramite e–bay entra in
un mercato senza confini dove può contrattare, acquistare e scambiare
qualsiasi bene, da un orologio a un carrarmato. La lettura di riviste,
di quotidiani, di libri completa infine la sensazione di far parte di
quell’unico, immenso “villaggio globale” di cui Marshall McLuhan
con preveggente intuizione già parlava trent’anni prima che internet
diventasse di uso comune.
La nostra è quindi una società che “comunica” intensamente, continuativamente, con mezzi tecnologicamente sempre più versatili e
sofisticati, e con finalità innumerevoli, derivate dal suo carattere pluralistico e dalla complessità del sistema sociale. È inevitabile, allora, che
di comunicazione si parli molto, e quasi ad ogni tavolo: se ne discute
in politica, in economia, in televisione, sulle pagine dei giornali, nei
dibattiti culturali, in famiglia, sull’autobus, “perfino” a scuola. . .
Introduzione

Come accade ogniqualvolta un argomento è di pubblico dominio,
tuttavia, si rischia di incontrarne versioni confuse, spesso contrastanti,
che non giovano certo ad inquadrare e a comprendere i termini del
problema.
Allora, sui concetti di comunicazione e di informazione occorre
fare preliminarmente chiarezza, perché se è vero che nel pensare
comune tendono ad essere utilizzati in modo generico e talvolta intercambiabile, nella letteratura scientifica ciascuno di essi ha assunto
sfumature differenti di significato che possono generare più di un
equivoco
Sui concetti di comunicazione e informazione
Comunicazione deriva dal verbo latino communicare, il quale a sua
volta si riconnette al termine greco koiné, che significa “comune”: le
radici di questi vocaboli fanno riferimento ad un rapporto di scambio, di vicendevole sostegno e di aiuto tra gli individui. Il termine
è quindi strettamente connesso sul piano semantico con comunità,
comunione, comunanza, e viene ad indicare chiaramente una relazione sociale complessa, che si sviluppa all’interno di un contesto
associativo fondato sulla cooperazione e governato da regole.
La teoria cibernetica ha tentato di fare chiarezza sull’argomento
proponendo una definizione generale valida per qualsiasi forma di
comunicazione.
Così, secondo alcuni dei principali esponenti della disciplina, come
Norbert Wiener e Claude Ellwood Shannon, la comunicazione può
essere definita come l’atto mediante il quale un soggetto emittente trasferisce informazione ad un soggetto ricevente (Wiener, ;
Shannon, ).
L’informazione agisce nelle situazioni di incertezza cognitiva, riducendo il campo delle alternative possibili, e introduce un criterio
di ordine: più l’informazione si arricchisce di dettagli, più preciso e
specifico diviene il contenuto del messaggio e per conseguenza più
limitato il suo campo di applicazione.
Dal punto di vista della cibernetica si può quindi stabilire una stretta
analogia tra il lampeggia di un semaforo, le fasi della luna, il brontolìo
minaccioso di un leone, il discorso di un oratore e le immagini di un

Introduzione
film in . Infatti, ciascuno di questi fenomeni illustra una situazione
fornita di specificità, che consente di selezionare e di arricchire le
conoscenze del soggetto ricevente in diversa misura a seconda della
complessità del messaggio.
In realtà, la definizione proposta dalla cibernetica rischia di confondere le idee sulla natura, sull’eziologia e sugli effetti di atti comunicativi
ben diversi fra loro proprio sul piano della socialità. Non c’è dubbio
che un oggetto possa comunicare un’informazione: la luna crescente
che piega la “gobba” verso orizzonte indica l’occidente, il semaforo
rosso avverte di non attraversare un incrocio. Tuttavia nel primo caso
siamo di fronte ad un fenomeno astronomico che acquista significato per noi soltanto se ci interessa sapere in quale direzione si trovi
l’ovest, mentre nel secondo caso si tratta di una macchina approntata
dall’Uomo per regolare attraverso segnali il traffico urbano.
In ambedue le circostanze è necessario che l’Uomo stabilisca un
criterio socialmente condiviso, per lo più di natura convenzionale e
negoziate, mediante il quale viene attribuito un significato a quelli che
altrimenti sarebbero fenomeni privi di senso; inoltre — ed è questo
l’aspetto che ci interessa in particolar modo — tra l’uomo e l’oggetto
non si stabilisce uno scambio, ma soltanto una sequenzialità di atti.
Molto più simili fra loro sembrerebbero la comunicazione umana
e quella animale — pur nell’ovvia considerazione che la prima si
rivela molto più complessa e articolata — perché come gli esseri
umani anche gli animali si scambiano informazioni, e lo fanno in
modo volontario e indipendente. Eppure, anche in questo caso le
differenze sono assai più forti delle somiglianze. In effetti, un cane che abbaia o l’assiolo che chiurla esprimono un bisogno, danno
un avvertimento, marcano il possesso di un territorio; rispetto ad
un semaforo essi comunicano autonomamente, manifestano delle
intenzioni, seppur guidati sostanzialmente dall’istinto, e si scambiano segnali significativi: basti pensare a due belve che si affrontano
digrignando i denti.
Tuttavia, la comunicazione umana non solo è molto più ricca, ma
è anche qualitativamente diversa: J.Greene ha sottolineato come essa
sia totalmente consapevole, intenzionale e caratterizzi l’essere umano
perché è parte integrante della sua natura di essere pensante e di
essere sociale; rispetto a quella animale, la comunicazione umana è
autoriflessiva, creativa, contestualizzata e specializzata (Greene, ).
Introduzione

È autoriflessiva perché, essendo consapevole, può trattare di se stessa
e su se stessa (metacomunicazione); è creativa, perché l’individuo può
inventare e variare a piacimento sia il contenuto che i simboli, i segnali
e gli strumenti della comunicazione; è specializzata, perché utilizza
forme e contenuti differenti a seconda degli obiettivi; è contestualizzata
perché si adatta alle specifiche situazioni relazionali e comunicative.
La sociologia e la psicologia hanno sottolineato la specificità della
comunicazione umana, che coinvolge non solo la socialità, ma anche
le facoltà intellettive dell’individuo e quindi la sua capacità di creare
un colloquio autonomo e originale con i propri simili.
Ad esempio, Charles S. Peirce ritiene che la comunicazione umana
si caratterizzi per uno scambio di simboli, che tratteggiano fra referente e segno un rapporto del tutto convenzionale e che possono
far riferimento anche a meri concetti ideali: essi sono caratteristica
esclusiva dell’attività mentale e, soprattutto, sociale degli esseri umani
(Peirce, ).
Sulla stessa lunghezza d’onda si pone Charles H. Mead, il quale asserisce che l’interazione umana è interazione simbolica, cioè un rapporto
tra individui fondato sull’assegnazione di significati comuni all’azione,
negoziati e concordati tra i soggetti (Mead, ). Dal canto suo John
Austin, classificando gli atti linguistici, dà particolare importanza a quelli
(definiti “performativi”) che non solo affermano o esprimono qualcosa,
ma costituiscono delle vere e proprie “azioni sociali”, che hanno immediate conseguenze relazionali, come ad esempio giudicare, designare,
chiamare, fare testamento o dare ordini (Austin, ).
Ma un contributo risolutivo sull’argomento lo fornisce Peter Watzlawick, il quale sostiene perentoriamente che la comunicazione
umana è una forma di attività sociale intenzionale, e rappresenta uno
scambio di relazioni, un processo di interazione fra individui. La comunicazione interumana assume quindi caratteristiche peculiari: essa
si presenta come una complessa operazione di selezione degli interlocutori, di negoziazione dei contenuti e di scambio delle informazioni,
mediante il quale gli individui definiscono la reciprocità dei loro rapporti e interpretano le azioni altrui, fino ad inferire gli atteggiamenti e
le intenzioni dell’altro e ad organizzare conseguentemente la propria
condotta sociale (Watzlawick, ).
Non solo: Erving Goffman asserisce che l’individuo esprime e
consolida la propria personalità e la propria identità sociale proprio

Introduzione
mediante lo scambio comunicativo: egli infatti presenta il proprio
Io all’Altro come punto di riferimento per la definizione e per la
negoziazione dei comportamenti pertinenti all’interazione (Goffman,
).
La comunicazione umana rappresenta insomma un processo di
scelte successive, spesso guidate da idee astratte, che si modificano
reciprocamente, si modellano sulle aspettative degli altri e si possono
generare direttamente dall’interazione sociale, producendo nuovi fenomeni relazionali e creando nuove forme simboliche di riferimento.
Se quindi si concepisce la comunicazione fra persone come un atto
sociale selettivo, complesso, simbolico che presiede allo scambio relazionale, ai processi di interazione e che acquista significati all’interno
di un contesto socioculturale più vasto, è chiaro che la definizione
originaria proposta dalla cibernetica appare insufficiente a dar conto
del processo comunicativo, così come si sviluppa fra gli esseri umani.
Regole che ci consentono di comunicare
Sebbene la comunicazione appaia come un’attività intrinseca alla natura umana, essa necessita di una certa abilità. Tramite i gesti, infatti,
siamo in grado di intavolare un colloquio, ancorché elementare, con
qualsiasi interlocutore; ma se passiamo al linguaggio verbale e desideriamo esprimere concetti di una certa complessità, diventa necessario
il riferimento ad un criterio condiviso intersoggettivamente con altri
individui, che fanno parte della nostra società, della nostra cultura o
del nostro gruppo; non a caso è molto più facile comunicare, cioè
scambiarsi messaggi, con chi parla la nostra lingua, con chi appartiene
al nostro ambiente, o con chi condivide con noi esperienze comuni.
L’insieme di regole che ci consentono di comunicare rappresenta
un codice; e la capacità di un soggetto di utilizzare tale codice si
definisce competenza comunicativa.
Esistono molti codici comunicativi di origine sociale: il linguaggio
verbale, il linguaggio non verbale, quello iconico, quello estetico e figurativo ecc., ciascuno dei quali presenta ulteriori sottocodici specifici,
riservati a gruppi sempre più ristretti di interlocutori “competenti”,
abilitati a scambiarsi un particolare patrimonio di conoscenze.
Introduzione

La competenza comunicativa si raggiunge attraverso l’apprendimento; ad esempio, l’individuo apprende fin dalla nascita a comunicare con i propri simili, attraverso i gesti, poi con la voce, e infine con le
parole, per esprimere le proprie volontà e per scambiare informazioni
con gli altri membri della società.
Questo processo di apprendimento di regole sociali di comportamento e di comunicazione, che è fondamentale nei primi anni di vita
ma che dura per tutta l’esistenza, è definito socializzazione e per certi
versi può essere considerato un lungo, ininterrotto arricchimento della
competenza comunicativa dell’individuo come membro della società.
Esso consente di partecipare a pieno titolo alla vita di relazione, al “patto sociale” che costruisce e costituisce la società; ed è purtroppo ben
noto come coloro che hanno una competenza comunicativa ridotta —
difficoltà ad esprimersi, a leggere, a scrivere, a utilizzare un computer
— rischino più degli altri di restare ai margini della vita collettiva.
Le forme della comunicazione umana — e quindi le relative competenze — sono innumerevoli; oggi spesso si dibatte se vadano prevalendo le forme di comunicazione linguistiche e verbali o quelle visive
e iconografiche, il segno o il simbolo, la linearità standardizzata della
denotazione o l’ambiguità ammaliante della connotazione; inoltre
si analizza il complicato rapporto che si instaura tra le varie forme
comunicative, e si valutano le reciproche influenze, le contaminazioni,
le interferenze.
La società come sistema di comunicazione
La società stessa può essere letta e interpretata come un sistema di
comunicazione.
Niklas Luhmann (), ad esempio, descrive la società come un
sistema di complesse relazioni comunicative mediante le quali si manifestano i quattro media del potere, del denaro, dell’amore e della
conoscenza; tali “media della comunicazione” forniscono significati
standardizzati, che consentono agli individui di orientare la propria
condotta, di confidare nell’organizzazione sociale e di partecipare alla
vita sociale.
Juergen Habermas () si spinge oltre, perché ritiene che la società sia costruita dall’ “agire comunicativo”, ovvero che per certi versi

Introduzione
ne rappresenti il risultato complessivo finale; la comunicazione infatti
induce gli individui a riconoscere bisogni comuni, a stabilire patti e
convenzioni interpersonali e quindi, più in generale, si presenta come
fonte primaria del consenso, della cooperazione sociale e della emancipazione civile. Sulla base di queste argomentazioni si è fatto notare
da più parti come l’organizzazione e l’ordine sociale si mantengano
attraverso un insieme di norme e di prescrizioni che si impongono
alla collettività nella misura in cui diventino oggetto di comunicazione, ad esempio nella forma della propaganda politica, ideologica e
commerciale, ma anche come rafforzamento dei valori di riferimento
e di riproduzione culturale.
Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, il processo di
produzione, di selezione e di trasmissione delle informazioni starebbe
diventando un elemento decisivo nel determinare i caratteri salienti
dell’attuale sistema sociale, tanto è vero che già all’indomani della fine
della seconda guerra mondiale alcuni studiosi descrivevano l’avvento
di una “società di massa”, dominata dai mass media e da nuove élites
sociali rappresentate da coloro che li possedevano e dagli specialisti
del settore.
Se quella che taluni definiscono oggi come società dell’informazione o società della comunicazione assumerà caratteristiche peculiari, al
punto da potersi contrapporre alla società industriale, come una fase
successiva e distinguibile da essa, è ancora difficile a dirsi perché il suo
sviluppo è tuttora in atto. In ogni caso alcuni, come Daniel Bell (),
Alvin Toffler () o John Naisbitt () descrivono come società
dell’informazione quella che altri — come Alan Touraine () o
Ralph Dahrendorf () avevano definito in precedenza come società
postindustriale. E coloro che all’alba del XXI secolo parlano di società
postmoderna hanno spesso in mente il complesso intrecciarsi delle
varie forme di comunicazione in un mondo fortemente globalizzato.
Non è fondamentale soffermarsi sulle definizioni, se si è d’accordo
sulla sostanza; fra i vari studiosi che si sono occupati del problema,
talvolta da posizioni fortemente contrastanti, un punto appare in comune, cioè la valutazione dell’importanza cruciale, nella società odierna,
della produzione e del trasferimento di informazioni, e la necessità di
considerare qualsiasi soggetto sociale, sia esso una istituzione, un’organizzazione, un’ideologia o una disciplina scientifica, come soggetto
capace di produrre comunicazione.
Introduzione

In questa prospettiva, i vari soggetti sociali vengono analizzati dal
punto di vista dei loro linguaggi, della loro produzione simbolica,
della forza persuasiva delle loro argomentazioni, ma anche della loro
capacità di controllo della metacomunicazione, cioè della possibilità
di comunicare non soltanto se stessi, ma anche sopra se stessi; in
definitiva, diventa di particolare importanza valutare i vari soggetti
sociali per come si presentano (si propongono) sullo scenario della
società.
La comunicazione dei mass media da molti anni è divenuta argomento di serrati dibattiti e di un vasto orizzonte di ricerca: si pensi ai
classici studi di Lasswell (), di Lazarsfeld (), di Klapper (),
di Mc Luhan (), di Mc Quail (), ma anche ai notevoli contributi italiani in anni più recenti (ad esempio, quelli di Livolsi, , ;
Statera, ; Wolf, ; Morcellini e Fatelli, ; Morcellini, ;
Marinelli, ; Roversi, ; Abbruzzese, Mancini, ).
In un secondo momento si sono sviluppati anche altri studi di notevole interesse, che riguardano soprattutto la comunicazione d’impresa,
la comunicazione pubblica e la comunicazione politica .
Il problema della comunicazione della scienza
Anche la scienza può essere interpretata come una forma organizzata
di accumulazione e di comunicazione delle esperienze e delle conoscenze, che si arricchisce continuamente di nuove informazioni e di
nuovi criteri di significazione.
Come fa notare Franco Leonardi “la scienza è linguaggio in quanto consiste non solo in un uso del linguaggio, ma anche in un atto
costitutivo di senso”; essa si fonda su un linguaggio referenziale, denotativo, che tende a restringere il significato assegnato ad alcuni termini,
anche mediante l’uso di neologismi specialistici o di “ridefinizioni”
terminologiche (Leonardi, ).
Nel primo caso rientra ad esempio l’uso del termine “emicrania”
per definire il volgare mal di testa, mentre al secondo caso appartiene,
come si vedrà in seguito, l’uso del termine “gruppo”, che nel linguaggio comune ha un significato piuttosto ampio, mentre in sociologia fa
riferimento ad una specifica forma di aggregazione sociale.

Introduzione
Ogni scienza quindi è innanzitutto un sistema ordinato e organizzato di comunicazione, fondato su un set di codici che consentono
di interpretare e di padroneggiare correttamente le informazioni, di
produrre enunciati in forma di teorie e di leggi, di trasformare le
conoscenze in attività pratiche, ma anche di discutere le basi di tali
conoscenze e di formulare e verificare nuove ipotesi conoscitive.
Un contributo di particolare rilevanza, su questi aspetti, proviene
dal neopositivismo logico, e soprattutto dagli studiosi riuniti a partire
dagli anni  del Novecento nel cosiddetto “Circolo di Vienna”.
Fra questi, occorre ricordare Rudolph Carnap, il quale sottolinea
come il linguaggio scientifico rappresenti il tentativo di ridurre la
“vaghezza” e l’imprecisione della terminologia nella descrizione dei
fenomeni (Carnap, ). Ad esempio, alcune scienze ricorrono ad
una formalizzazione matematica molto spinta (si pensi alla ben nota
formula einsteiniana della teoria della relatività, E = MC ) mediante
la quale ritengono di conseguire una maggiore “oggettività” o meglio,
una maggiore razionalità; anche le formule di composizione molecolare dei composti chimici (ad esempio, quella dell’acido cloridrico, HCI)
rappresentano un esempio di riduzione dell’incertezza e di specializzazione dell’informazione. Particolarmente rilevante appare inoltre
il contributo di Otto Neurath, forse l’esponente di spicco del Circolo
di Vienna, il quale circoscrive il linguaggio della scienza a proposizioni fondate su proprietà determinate spazio — temporalmente, ’ che
sorgono da un processo di ricerca ipotetico, fallibile, condizionale e
autocorrettivo, eliminando così ogni enunciato di tipo prescrittivo.
Secondo Neurath quindi non è un alto grado di formalizzazione
e di astrazione degli enunciati a garantire di per sé rigore scientifico
alla conoscenza scientifica, quanto piuttosto la razionalizzazione del
processo conoscitivo e il continuo e reciproco rimando fra teoria e
ricerca (Neurath, ).
La scienza appare quindi impegnata a perseguire due obiettivi. Innanzitutto, ciascuna disciplina scientifica costruisce un proprio sistema di significati e un proprio sistema linguistico e comunicativo: ad
esempio la terminologia adottata, i riferimenti teorici, il processo di
indagine, le modalità di descrizione e di spiegazione di un fenomeno,
ma anche le forme e i limiti della divulgabilità del suo contenuto.
Inoltre, la scienza in generale sembra perseguire un unico criterio
di accertamento e di studio della realtà, che un tempo veniva definito
Introduzione

come “metodo oggettivo” e che oggi attiene piuttosto a quelli che sono considerati, ispirandosi al metodo galileiano, ma anche all’eredità
migliore del neopositivismo, i requisiti fondamentali della conoscenza
scientifica: la connessione logica delle argomentazioni, la falsificabilità
degli enunciati, la pubblicità e la riproducibilità dell’esperimento, la
condivisione pubblica — cioè intersoggettiva — del sapere acquisito.
La scienza insomma si presenta come un corpus coerente ma perfettibile di teorie, leggi, metodologie e temiche di ricerca e sperimentazione; si presenta, nel senso che detta ai suoi seguaci le regole conoscitive della realtà, illustra alla società i progressi raggiunti
nella spiegazione dei fenomeni, suggerisce l’applicazione pratica e
temologica dei risultati ottenuti.
Nello stesso tempo, essa recepisce le istanze che provengono dalla
società, subisce l’influenza dei meccanismi che governano la struttura
sociale, si indirizza verso quegli obiettivi che appaiono di particolare
interesse collettivo.
Ogni disciplina scientifica si muove quindi almeno su tre livelli
di comunicazione: innanzitutto, esprime una sua identità e una sua
specificità culturale, mediante la costituzione di un corpo di teorie, di
leggi e di metodi; inoltre, si manifesta ai propri membri come organizzazione, gerarchicamente strutturata e funzionante in vista della
produzione di conoscenza; infine, si esibisce sullo scenario sociale
come istituzione in grado di dialogare e di interagire con le altre
componenti del sistema.
Per quel che riguarda la specificità culturale, va detto che questa si
consolida attraverso la ricerca, la comunicazione e la discussione dei
risultati, la produzione scientifica di manuali, trattati e di contributi
specialistici. Gli studi fondamentali su questi aspetti si devono a Robert
K. Merton (), che si è occupato dell’ethos e dell’organizzazione
della comunità scientifica e a Thomas Kuhn (), il quale ha descritto
le dinamiche sociali del mutamento dei paradigmi scientifici. Ma il
panorama di studi e di ricerche sull’argomento negli ultimi decenni si
è ampiamente arricchito.
Ad esempio, Warren O. Hagstrom ha descritto la comunità scientifica come un sistema di scambio di informazioni che consente di
riconoscere e legittimare l’appartenenza dei propri membri; fra gli
scienziati di una disciplina circola quindi una comunicazione specializzata che richiede una specifica competenza e una particolare capacità

Introduzione
di padroneggiare sia i codici del linguaggio adottato che le regole dello
scambio delle informazioni (Hagstrom, ). Numerosi contributi —
possiamo qui citare quelli di Jerry Gaston (), A.J. Meadows (),
Michael Mulkay (), Bruno Latour () e in Italia, di Gianni Statera (), Mario Santuccio (), Leonardo Cannavò () — si
sono soffermati inoltre sulle modalità di diffusione dell’informazione
nella comunità scientifica, sottolineando come il processo di comunicazione rafforzi non soltanto il senso di appartenenza, ma anche
l’etica e la prassi scientifica e, di conseguenza, il paradigma scientifico
dominante.
Per quel che riguarda la comunicazione della scienza con l’esterno,
occorre ricondurre il tema alla più vasta, e più antica, tradizione della
sociologia della conoscenza.
Che il pensiero scientifico rappresenti un “prodotto culturale” storicamente determinato e quindi socialmente modificabile da fattori
sociali esogeni è sottolineato con particolare enfasi da classici come
Karl Marx (; –) e Max Weber (), ma anche da sociologi della conoscenza, come Max Scheler (), Karl Mannheim (),
Piritim Sorokin (), dallo stesso Robert K. Merton (–) e
da storici della scienza come Thomas Kuhn () e John Ben David
().
La scienza dialoga con la società esterna e il patrimonio di informazioni che comunica ne condiziona alcuni sviluppi sia attraverso le
applicazioni tecnologiche che determinano mutamenti nel sistema
economico e produttivo, ma anche in quello sanitario e ambientale, sia
attraverso certi modelli culturali che impongono una Weltanschauung,
una “visione del mondo”, fondata ad esempio sul determinismo, sul
razionalismo e sul pragmatismo. Secondo Ben David, inoltre, nella
società industriale avanzata la scienza si propone come una vera e
propria impresa economica ben organizzata, se non addirittura come
una lobby — come fa intendere Edward Shils () — che acquista una
posizione di particolare prestigio, perché è in grado di fornire i “mezzi
tecnici” per la realizzazione del benessere sociale e di assicurare la
trasmissione alle nuove generazioni del patrimonio di conoscenze
acquisite. Allo stesso tempo la scienza recepisce le istanze provenienti
dalla collettività, dalla struttura del potere sociale, dai modelli culturali,
che possono esercitare una profonda influenza sui processi conoscitivi,
orientando gli studi e le ricerche nella direzione del soddisfacimento