BULIMIA NERVOSA: ISTRUZIONI PER L`USO. Ivano

BULIMIA NERVOSA: ISTRUZIONI PER L’USO.
Ivano Cincinnato 1
Riassunto. L’obiettivo dell’articolo è la descrizione di alcune linee teoriche e metodologiche sulla
bulimia nervosa, passando da un attento esame delle caratteristiche di personalità delle pazienti
bulimiche alla possibilità di inserire la bulimia nervosa all’interno del “modello delle dipendenze”.
A partire da questa classificazione, viene proposta una rassegna sui diversi piani di trattamento
terapeutici con particolare attenzione alle tecniche di controllo dello stimolo e a quelle
ipnoterapeutiche.
Parole chiave. Bulimia nervosa, dipendenza, ipnoterapia.
Summary. This article suggest a description of some theoric and methodological lines about
nervous bulimia. Then a meticoulous exam about the characteristic of personality of bulimic
patient, is put in evidence by the insertion of bulimia in the area of the “addictive model”.
Based on this classification, the author propose various types of treatment gives particular attention
to the tecnique of controilled impulses and hypnotherapy.
Key words. Nervous bulimia, addictive model, hypnotherapy.
La prima definizione di bulimia nervosa risale agli inizi degli anni Settanta negli studi sulla
“bulomaressia”, condotti tra gli studenti di college americani. Qualche anno dopo il professor
Russel pubblicò un articolo intitolato “Bulimia nervosa: un’inquietante variante dell’anoressia
nervosa”, dal 1980 in poi sono stati compiuti numerosi studi per valutarne l’incidenza e la
prevalenza. Il disturbo colpisce circa l’1% delle giovani donne; l’età d’esordio è compresa tra i 12 e
i 25 anni, anche se il picco di frequenza è maggiore tra i 17 e i 18 anni.
La Bulimia Nervosa è un Disturbo del Comportamento Alimentare caratterizzato dalla paura
morbosa del peso elevato e dall' influenza eccessiva del peso e della forma del corpo nella
valutazione della stima di sé. Presenta inoltre una bramosia irresistibile per cibi in genere
ipercalorici e si manifesta con episodi accessuali durante i quali il soggetto vive la sensazione di
perdere il controllo del proprio comportamento alimentare. Tali episodi sono seguiti da vomito (di
solito autoindotto), abuso di lassativi e/o diuretici o da un rigoroso digiuno allo scopo di mantenere
sotto controllo il peso per paura di ingrassare. Sebbene il peso corporeo si mantenga di solito nei
limiti della norma, è presente una preoccupazione morbosa nei suoi confronti (Vanderlinden, Norrè,
Vandereycken, 1989).
Lo stato di solitudine è tra i fattori maggiormente scatenanti l’episodio di abbuffata, che avviene
per lo più in segreto e a qualunque ora del giorno; lo stato emotivo che lo precede può essere
descritto come una forma particolare di ansia o tensione. Le pazienti, dunque, avvertono un impulso
incontrollabile a mangiare e la paura di non essere in grado di smettere una volta iniziato, si sentono
dominate da una sorta di forza estranea (egodistonica) alla quale non riescono a resistere. La
frequenza degli accessi varia moltissimo, tuttavia, per effettuare una diagnosi di bulimia, le
abbuffate e le condotte compensatorie devono verificarsi in media due volte alla settimana per un
periodo di almeno tre mesi (DSM- IV, 1994).
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GEPSI – Società Italiana Psicopatologia di Genere. Psicologo, psicoterapeuta, specialista in Psicoterapia Breve
Strategica e in Psicologia Clinica, esperto in Tecniche Evolute di Comunicazione Strategica.
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Il ciclo digiunare-ingozzarsi-svuotarsi costituisce una sorta di circolo vizioso; digiunare, vomitare
e/o purgarsi riduce la paura di un aumento di peso, ma la preoccupazione nei confronti del cibo, del
peso e dell’immagine del corpo rimane inalterata. La paziente è consapevole delle caratteristiche
anomale del proprio comportamento per cui le abbuffate sono spesso seguite da sentimenti di
depressione, da sensi di colpa e di vergogna.
La donna bulimica accetta quindi solo la propria immagine perfetta e rifiuta il vero Io, che quasi
nemmeno conosce e di cui teme il manifestarsi. Nei suoi attacchi incoercibili di fame si impone
questa parte diversa, sconosciuta, che è lontana dalle sue pretese di perfezione e che bisogna
rendere innocua. La donna bulimica concede troppo poco spazio alla propria vera personalità, che
quindi deve trovare uno sbocco a livello fisico. Ciò che le manca a livello cosciente è l'accettazione
di sé, la capacità di fare posto al proprio vero Io
Un gran numero di ricerche ha riscontrato un’associazione tra abuso di sostanze e comportamento
bulimico (Wilson, 1995). Il “modello della dipendenza” è diventato un famoso strumento di
approccio al problema, sia nei movimenti di terapia autogestita (come i famosi “Alcolisti Anonimi”
e i più recenti “Bulimici Anonimi”) sia nei centri di cura specializzata. Di fatto costituiscono
comportamenti potenzialmente “addictive” tutti gli atti ripetitivi routinari della nostra vita, la cui
sospensione provoca l’accumulo di una tensione crescente e la cui esecuzione produce piacere o
sollievo (Marlatt et al., 1988). Questi comportamenti tendono quindi ad automantenersi, nonostante
lo sforzo volontario di interromperli o moderarli. Gli “addicitive disorders” più importanti sono
costituiti dall’autosomministrazione di alcol, tabacco, droghe; tuttavia anche gli eccessi
comportamentali non orientati alla ricerca di sostanze psicoattive possono configurare
comportamenti “addiction”, che vengono per questo definiti comportamenti di dedizione
compulsiva, non farmacologici. Fra questi si possono annoverare: disturbi della sfera istintuale a
carico del comportamento alimentare (bulimia) e sessuale; disturbi della vita di relazione attinenti le
attività ludiche o miranti al possesso di oggetti (come il gioco d’azzardo patologico, la
cleptomania), disturbi delle funzioni motorie (tricotillomania, sindrome di La Tourette) e, infine, il
disturbo ossessivocompulsivo. L’elemento comune in tutte queste sindromi è un insufficiente
controllo degli impulsi, nonché un’inadeguata regolazione del funzionamento dell’individuo. Uno
degli elementi fondanti del concetto di “Sindrome di Dipendenza” così come delineato da Edwards
e Gross (1976) e che ha informato di sé la terza edizione riveduta del DSM (A.P.A 1987) appare
essere: la compulsione all’uso della sostanza, associata alla perdita di controllo e ai pensieri
persistenti circa il consumo della stessa.
Nel modello della dipendenza (addiction model), la bulimia viene considerata una forma
particolare di dipendenza. Molte pazienti, infatti, manifestano una varietà di alterazioni del
controllo degli impulsi e una tendenza a fare abuso di alcol e/o di sostanze stupefacenti. Proprio
come le persone dipendenti da sostanze, queste pazienti provano un incontrollabile impulso a
mangiare e farebbero qualsiasi cosa pur di ottenere il cibo di cui hanno bisogno. Così come gli
alcolisti sembrano ciechi alle conseguenze del bere, le persone dipendenti dal cibo continuano a
mangiare e a vomitare o a purgarsi nonostante i rischi che ciò comporta per la salute. Se non hanno
la possibilità di abbuffarsi entro un dato tempo, cominciano a diventare così tese, irritabili o
addirittura aggressive da sembrare quasi in preda ai sintomi dell’astinenza. L’abbuffata ha allora su
alcune un effetto calmante su altre un effetto eccitante, anche se di solito viene seguita da qualcosa
di simile ai postumi di una sbornia. Perciò molti autori ritengono opportuno sottolineare che una
maggior quantità di comorbilità nelle pazienti bulimiche può essere considerata come l’espressione
di un’alterazione dell’autocontrollo (Vanderlinden, Vandereyken, 1998). In tali condizioni, la
paziente non è più in grado di reprimere un forte bisogno (impulso) di compiere azioni che non
vorrebbe. Altri segni di un insufficiente controllo degli impulsi sono il furto (di solito si tratta di
furti di cibo o di denaro per procurarsi il cibo di cui si ha bisogno), l’autolesionismo e gli
improvvisi accessi di collera.
A questo punto è bene sottolineare che un comportamento abnorme come l’eccesso alimentare
rappresenta di solito solo la punta dell’iceberg e segnala quasi sempre altre difficoltà. È molto
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importante quindi indagare i sentimenti che precedono la crisi, per imparare a riconoscerne il
significato “nascosto” e la funzione che svolge nella vita quotidiana. La bulimia può segnalare
problemi su differenti livelli: sul piano individuale, le pazienti bulimiche raccontano
spontaneamente di sentirsi spesso depresse e vuote e di avere talvolta idee suicide.
Indipendentemente poi dalle fluttuazioni dell’umore, possono avere luogo episodi di
automutilazione, di cleptomania e abuso di alcol. Su un piano sociale, la loro vita è spesso
caratterizzata da contatti superficiali che cambiano continuamente (e che talora includono
promiscuità sessuale) o da un isolamento totale. I problemi principali per cui cercano aiuto sono
costituiti dalle abbuffate alle quali non riescono a resistere e spesso anche dai concomitanti
sentimenti di depressione: questi due elementi possono essere utilizzati come via d’accesso per
esplorare la funzione di segnale su un livello individuale (Dalle Grave, 1998).
Anche le concezioni sulle varie pratiche dietetiche sono poco realistiche e spesso sono basate su
un insieme di concetti erronei riguardo la nutrizione e il controllo del peso (Faccio, 1999). Le
abitudini alimentari delle pazienti affette da bulimia nervosa causano una percezione interna distorta
degli stimoli corporei: è alterato il senso di fame/sazietà, lo stomaco pieno è un’esperienza
minacciosa, e non riescono più a godere il momento del pasto. Il disturbo cognitivo centrale nella
bulimia nervosa è un caratteristico set di attitudini e preoccupazioni nei confronti del peso e delle
forme corporee (weight related self-schemata). Al centro della psicopatologia c’è la tendenza a
giudicare il proprio valore esclusivamente o in gran parte in funzione del peso e delle forme
corporee (Fairburn, 1997). Molte pazienti hanno una seconda caratteristica cognitiva (Vitousek,
1996): lo scarso concetto di sé che, in alcuni casi, precede di molti anni lo sviluppo del disturbo. Si
ipotizza che l’insicurezza nelle loro capacità in varie aree conduca le pazienti ad utilizzare la
magrezza come principale referente per valutare se stesse. Ciò può essere dovuto a due motivi
(Fairburn, 1997): le forme corporee e il peso sono più controllabili di altri aspetti della vita; la dieta
e la perdita di peso sono comportamenti socialmente rinforzati. L’unico comportamento non
strettamente legato alla preoccupazione per il peso e le forme corporee è l’abbuffata (Fairburn,
1985). Presente in tutte le pazienti bulimiche sembra essere invece secondaria al tipo di dieta
utilizzato da questi soggetti. Le pazienti con bulimia nervosa, infatti, non seguono una dieta
ordinaria, ma ferrea e perciò sono sotto la continua spinta biologica a mangiare. Le rigide regole
dietetiche autoimposte dai soggetti affetti da bulimia nervosa includono: quando mangiare, che cosa
mangiare, e la quantità di cibo da assumere. L’intensità e la rigidità della dieta che si osserva nella
bulimia nervosa sembra essere secondaria alla combinazione di due caratteristiche cognitive: il
perfezionismo e il pensiero dicotomico (o tutto o nulla) (Garner, Dalle Grave, 1999). Le pazienti
bulimiche si pongono degli standard molto elevati e sono profondamente insoddisfatte quando non
riescono a raggiungerli. Il perfezionismo influenza molti aspetti della loro vita e viene applicato al
modo di fare la dieta. Anche lo stile cognitivo dicotomico contribuisce a far restringere
l’alimentazione, manifestandosi nelle rigide regole dietetiche che le pazienti si danno. Seguire una
dieta in maniera troppo rigida porta prima o poi a compiere piccole trasgressioni; quando queste si
verificano si innesca poi il comportamento bulimico espresso nella modalità di pensiero “tutto o
nulla” del tipo: “Ormai ho trasgredito alla mia dieta, tanto vale che mi abbuffi fino a scoppiare, così
poi potrò liberarmi di tutto il cibo con il vomito”. Le trasgressioni dietetiche, che tendono a
precipitare un’abbuffata, sono spesso innescate da emozioni negative (ansia, depressione, rabbia,
solitudine, paura, ecc.).
Allo stesso modo, le abbuffate hanno in molti casi l’effetto di mitigare le emozioni negative
attraverso vari meccanismi includenti (Fairburn et al., 1995): 1) il senso di rilassamento che si
accompagna ai primi momenti delle abbuffate (abbandonare momentaneamente la dieta ferrea può
bloccare per un attimo la tensione); 2) le connotazioni positive associate a certi cibi; 3) il senso di
sonnolenza che segue l’assunzione di grandi quantità di carboidrati; 4) la diminuzione della
tensione e dell’ansia che si verifica con l’eliminazione del cibo ingerito nelle abbuffate attraverso il
vomito. Gli effetti positivi sono però, di breve durata e vengono rapidamente sostituiti da sensi di
colpa e dalla paura d’ingrassare.
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Il paragone tra bulimia nervosa e dipendenza ha dato il via all’uso di tecniche terapeutiche che si
sono rivelate utili anche nell’alcolismo e nell’obesità, ovvero, tecniche di autocontrollo e tecniche
di controllo dello stimolo (Fairburn, 1985; Lacey, 1985; Mitchell et al., 1985b; Wilson, 1995,
Garner e Dalle Grave, 1999). Secondo il modello di intervento proposto dai suddetti autori, la prima
fase del cambiamento del comportamento alimentare dovrebbe essere incentrata non direttamente
sulla diminuzione dei cicli di vomito-abbuffata, ma piuttosto sull’insegnamento di un modello
alimentare equilibrato e ben bilanciato, il modello alimentare bulimico viene, infatti, interrotto
evitando l’astinenza (Vanderlinden, Norrè, Vandereycken, 1989).
Utilizzando il modello di tipo astinenziale, le norme rigide delle pazienti possono venire esaltate e
la loro tendenza ad evitare alcuni cibi stimolata. Nell’approccio non astinenziale, il comportamento
bulimico rimane lo scopo principale del trattamento, ma la sua modificazione è soltanto parte del
processo di cambiamento globale. È messa in discussione la tendenza a porsi mete troppo ambiziose
e vengono pianificati obiettivi più realistici; particolare attenzione viene data, inoltre, alla
prevenzione delle ricadute. D’altronde, nel trattamento della bulimia nervosa si tratta di estinguere
un comportamento problematico piuttosto che raggiungere l’astinenza da una sostanza problematica
(come droga e alcol) (Dalle Grave,1998). All’inizio del trattamento le pazienti devono essere poste
a confronto con la gravità dei loro problemi, per cui va fornita una dettagliata informazione delle
complicanze della bulimia. Queste includono: anomalie elettrolitiche nelle pazienti che vomitano o
abusano di lassativi; ingrandimento delle ghiandole salivari; erosione dello smalto dentale; edema
intermittente, soprattutto nelle pazienti che fanno uso intermittente di grandi quantità di lassativi o
diuretici; anomalie ovariche; disturbi mestruali (Fairburn, Marcus & Wilson, 1993).
La compilazione di un diario è il metodo di autocontrollo usato più frequentemente. Si chiede alla
paziente di tenerne uno dettagliato secondo uno schema standardizzato: descrizione del tipo di
alimentazione giornaliera (tutti i cibi e le bevande consumate giornalmente, senza contare le calorie
o pesare il cibo), delle attività a essa connesse, dei pensieri e dei sentimenti che l’accompagnano.
Con il diario, la paziente inizia a monitorare la sua alimentazione e le situazioni che determinano
dei problemi. Inoltre questo è un modo per rompere la clandestinità riguardo il rimpinzamentosvuotamento. Il terapeuta ottiene informazioni interessanti per poter costruire un’analisi funzionale
e stabilire un piano di intervento terapeutico, infatti, il diario offre informazioni sia sul
comportamento alimentare sia sulle situazioni scatenanti le crisi, nonché sui pensieri, le idee e i
sentimenti che l’accompagnano (Garner, Dalle Grave, 1999). Se le pazienti desiderano controllare
le loro abbuffate, è essenziale che evitino questi periodi di digiuno, acquisendo una modalità
alimentare normale (tre pasti variati e due spuntini). Ciò può apparire molto minaccioso alla
maggior parte delle pazienti per la loro paura di diventare grasse. Il fatto che questi cambiamenti
siano accompagnati da un leggero aumento di peso, che quasi automaticamente scompare in
seguito, è spiegato anticipatamente, facendo riferimento ai principi del metabolismo corporeo e alle
inevitabili fluttuazioni di peso. I cicli abbuffata-vomito sono posti sotto controllo come segue: il
primo passo consiste nello stabilire in modo dettagliato l’entità e il contenuto dell’abbuffata; questo
è un primo necessario confronto perché le pazienti spesso non desiderano sapere come e di cosa si
rimpinzano. Successivamente le abbuffate vengono strutturate nello spazio: hanno luogo solo in
situazioni prestabilite nelle quali non è sempre possibile essere sole. Le abbuffate sono anche
strutturate nel tempo: sono fissati i giorni e le ore durante i quali è possibile (ma non necessario)
rimpinzarsi. La frequenza viene progressivamente diminuita e viene stabilita una lista di
comportamenti alternativi (come fare la doccia, chiamare un amico, andare a correre) quando
sentono l’impulso a rimpinzarsi fuori dai tempi stabiliti. Questa organizzazione deve prevedere
attività ricreative valide e ben pianificate per i periodi liberi dalle abbuffate. La sequenza
automatica abbuffata-vomito è interrotta attraverso il progressivo rinvio del vomito, così da
renderlo “privo di significato”, perché al cibo è stato dato il tempo di essere digerito
completamente.
In questo modo è possibile produrre un cambiamento radicale nella vita quotidiana della paziente,
e, attraverso l’autocontrollo, accresce l’autostima. Quando le pazienti avranno adottato un modello
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alimentare regolare, le possibilità di un ulteriore favorevole sviluppo della terapia potranno
aumentare. La bulimia nervosa viene considerata come segnale o espressione che c’è qualcosa di
importante che non va nella vita della paziente, nella sua relazione con il partner, o nel contesto
familiare. In questo senso il trattamento non è concentrato esclusivamente sul controllo o
sull’eliminazione del comportamento sintomatico, ma vuole prestare altrettanta attenzione al suo
significato e alla sua funzione.
Nella terapia di gruppo, le pazienti imparano a esaminare la funzione e il significato della bulimia
all’interno della loro vita privata, del sistema familiare o della relazione coniugale; vengono inoltre
invitate ad ascoltare i propri desideri e sentimenti inespressi (Faccio,1999). La bulimia viene allora
considerata come messaggero di frustrazioni, ansie e desideri: prima di cominciare a modificarla, si
dovrebbe provare a decodificarne il significato nascosto. Si può scoprire tale significato chiedendo
alle pazienti di annotare vantaggi e svantaggi di un cambiamento effettivo e di discuterli nella
terapia di gruppo. Non è inusuale per loro scoprire che la bulimia funziona come un parafulmine per
le tensioni con i genitori o per i conflitti inespressi nella relazione coniugale. Con le pazienti che
sperimentano la bulimia come qualcosa di estraneo, come se qualcun altro le dominasse durante
l’attacco, possono essere fatti dei tentativi di contatto con la parte bulimica in un gioco di ruolo.
Talvolta è richiesto a ciascuna di loro di portare avanti da sola il dialogo tra le due parti: in questo
caso, viene invitata a prendere posto alternativamente su due sedie, parlando a quella dirimpetto e
invertendo poi i ruoli (Vitousek, 1996). Lo scopo di questo gioco è la creazione di un contatto e di
un dialogo tra parti del sé spesso ai due estremi. Un gioco di ruolo di questo tipo è ravvisabile in
quasi tutte le pazienti: un atteggiamento perfezionista ed esigente da una parte e una componente
debole, vuota e angosciata dall’altra. Alcune sedute possono essere dedicate all’insegnamento e
all’esercizio, tramite giochi di ruolo, di una specifica nuova capacità: affermazione di sé,
espressione della rabbia, capacità di contrapporsi agli altri, di esprimere i propri sentimenti e affetti
e di rispondere a quelli altrui. Quando le pazienti diventano gradualmente consapevoli della
funzione dei sintomi nella loro vita, la terapia si concentra sulla stimolazione e
sull’incoraggiamento dell’indipendenza. Temi significativi delle sedute di gruppo diventano allora
il lavoro sulla dipendenza emotiva e sui legami di fedeltà alla famiglia di origine, nonché,
eventualmente, le discussioni sulla possibilità di organizzarsi concretamente una vita indipendente
Vanderlinden, Vandereycken, 1998). I problemi relativi alla separazione-individuazione inducono
in molte pazienti una temporanea ricaduta nella sintomatologia bulimica; il terapeuta perciò
dovrebbe preparare tanto la paziente che la sua famiglia a questa possibilità.
L’esperienza clinica mostra inoltre che l’introduzione dell’ipnosi in un trattamento
multidimensionale possa facilitare il corso e il risultato della terapia. Uno stato ipnotico può essere
descritto come uno stato alterato di coscienza, con un’aumentata concentrazione su una percezione
limitata. Durante l’ipnosi gli individui sono profondamente assorbiti da un’esperienza interna e la
loro immaginazione è fortemente stimolata. Le tecniche ipnotiche possono essere incluse nella fase
iniziale del trattamento per riprendere gradualmente l’autocontrollo sul comportamento alimentare e
per essere nuovamente in grado di percepire le sensazioni di fame e sazietà (Vanderlinden,
Vandereycken, 1998). Per esempio, alla paziente può essere richiesto di immaginare di fare una
normale colazione al mattino, oppure di pianificare le abbuffate evitando il vomito. La maggior
parte accetta la proposta e vive l’esperienza positiva di essere capace di immaginare qualcosa che
prima valutava come impossibile (abbuffate programmate e non vomito). In altre questa procedura
ha un effetto paradossale: trovano ripugnanti le abbuffate e poi si sentono disgustate all’idea di
portare avanti questo compito. Un importante vantaggio del programmare le abbuffate durante
l’ipnosi è che ciò può fornire al terapeuta molte informazioni su quello che la paziente
effettivamente sente e pensa prima, durante e dopo l’abbuffata. Un’altra strategia che permette di
aumentare l’autocontrollo è quella delle conseguenze negative e positive. Alle pazienti viene
chiesto di immaginare una vita futura senza bulimia e di elencare i cambiamenti positivi che
potrebbero derivare. Viene anche richiesto di specificare tutte le conseguenze negative se
continuassero ad abbuffarsi e a vomitare. Queste informazioni potranno poi essere usate durante un
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esercizio ipnotico per aumentare la motivazione della paziente al cambiamento. L’ambivalenza in
relazione ai progressi terapeutici è una caratteristica molto presente nelle pazienti bulimiche. Il
terapeuta potrebbe allora esplorarle in modo indiretto attraverso il questionario ideomotorio di Le
Cron (Cheek e Le Cron, 1968; Wright e Wright, 1982). In molti casi, il disturbo bulimico nasconde
eventi traumatici o conflitti irrisolti di natura emotiva: l’incesto, la violenza carnale, l’abuso fisico,
l’eccessiva mancanza di affetto o il coinvolgimento in disaccordi coniugali di lunga durata. Questi
eventi sono spesso rimossi o dissociati dalla coscienza, in questi casi l’ipnosi può essere molto utile
nel rilevare tali esperienze traumatiche. Oltre alla tecnica descritta precedentemente può essere
utilizzata anche la tecnica dell’affetto-ponte di Watkins (1971). In questa tecnica di esplorazione le
emozioni intense (come ansia, agitazione, depressione) vengono usate come ponte con il passato,
con una o più specifiche situazioni che la paziente ricorderà e che renderanno comprensibili le
sensazioni. I dati catamnestici solitamente mostrano che la terapia ha risultati migliori nelle pazienti
(maggiori di 18 anni) che lasciano l’ambiente familiare per vivere da sole, in una famiglia che le
accolga o in una comunità (Vanderlinden e Vandereycken, 1987); il distacco emotivo dalla famiglia
di origine sembra avere un significato fondamentale per un corso favorevole della terapia per cui il
terapeuta può chiedere alla paziente, durante la trance, di proiettarsi nel futuro immaginando di
diventare gradualmente più indipendenti dal punto di vista emotivo e di sentirsi più forti
edequilibrate nell’ organizzare la propria vita. Come afferma Vandereycken (1998) l’introduzione
di tecniche ipnotiche in un trattamento multidimensionale ha parecchi vantaggi: queste tecniche
possono essere facilmente combinate con strategie cognitivo comportamentali (ovvero tecniche di
autocontrollo); la funzione della bulimia può essere esplorata più rapidamente e più direttamente
mediante l’ipnosi; l’ipnosi può aiutare le pazienti a reintegrare nella loro personalità la “parte
bulimica” dissociata e può essere di particolare aiuto nello scoprire e lavorare sulle esperienze
traumatiche.
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