BULIMIA NERVOSA: ISTRUZIONI PER L’USO. Ivano Cincinnato 1 Riassunto. L’obiettivo dell’articolo è la descrizione di alcune linee teoriche e metodologiche sulla bulimia nervosa, passando da un attento esame delle caratteristiche di personalità delle pazienti bulimiche alla possibilità di inserire la bulimia nervosa all’interno del “modello delle dipendenze”. A partire da questa classificazione, viene proposta una rassegna sui diversi piani di trattamento terapeutici con particolare attenzione alle tecniche di controllo dello stimolo e a quelle ipnoterapeutiche. Parole chiave. Bulimia nervosa, dipendenza, ipnoterapia. Summary. This article suggest a description of some theoric and methodological lines about nervous bulimia. Then a meticoulous exam about the characteristic of personality of bulimic patient, is put in evidence by the insertion of bulimia in the area of the “addictive model”. Based on this classification, the author propose various types of treatment gives particular attention to the tecnique of controilled impulses and hypnotherapy. Key words. Nervous bulimia, addictive model, hypnotherapy. La prima definizione di bulimia nervosa risale agli inizi degli anni Settanta negli studi sulla “bulomaressia”, condotti tra gli studenti di college americani. Qualche anno dopo il professor Russel pubblicò un articolo intitolato “Bulimia nervosa: un’inquietante variante dell’anoressia nervosa”, dal 1980 in poi sono stati compiuti numerosi studi per valutarne l’incidenza e la prevalenza. Il disturbo colpisce circa l’1% delle giovani donne; l’età d’esordio è compresa tra i 12 e i 25 anni, anche se il picco di frequenza è maggiore tra i 17 e i 18 anni. La Bulimia Nervosa è un Disturbo del Comportamento Alimentare caratterizzato dalla paura morbosa del peso elevato e dall' influenza eccessiva del peso e della forma del corpo nella valutazione della stima di sé. Presenta inoltre una bramosia irresistibile per cibi in genere ipercalorici e si manifesta con episodi accessuali durante i quali il soggetto vive la sensazione di perdere il controllo del proprio comportamento alimentare. Tali episodi sono seguiti da vomito (di solito autoindotto), abuso di lassativi e/o diuretici o da un rigoroso digiuno allo scopo di mantenere sotto controllo il peso per paura di ingrassare. Sebbene il peso corporeo si mantenga di solito nei limiti della norma, è presente una preoccupazione morbosa nei suoi confronti (Vanderlinden, Norrè, Vandereycken, 1989). Lo stato di solitudine è tra i fattori maggiormente scatenanti l’episodio di abbuffata, che avviene per lo più in segreto e a qualunque ora del giorno; lo stato emotivo che lo precede può essere descritto come una forma particolare di ansia o tensione. Le pazienti, dunque, avvertono un impulso incontrollabile a mangiare e la paura di non essere in grado di smettere una volta iniziato, si sentono dominate da una sorta di forza estranea (egodistonica) alla quale non riescono a resistere. La frequenza degli accessi varia moltissimo, tuttavia, per effettuare una diagnosi di bulimia, le abbuffate e le condotte compensatorie devono verificarsi in media due volte alla settimana per un periodo di almeno tre mesi (DSM- IV, 1994). 1 GEPSI – Società Italiana Psicopatologia di Genere. Psicologo, psicoterapeuta, specialista in Psicoterapia Breve Strategica e in Psicologia Clinica, esperto in Tecniche Evolute di Comunicazione Strategica. 1 Il ciclo digiunare-ingozzarsi-svuotarsi costituisce una sorta di circolo vizioso; digiunare, vomitare e/o purgarsi riduce la paura di un aumento di peso, ma la preoccupazione nei confronti del cibo, del peso e dell’immagine del corpo rimane inalterata. La paziente è consapevole delle caratteristiche anomale del proprio comportamento per cui le abbuffate sono spesso seguite da sentimenti di depressione, da sensi di colpa e di vergogna. La donna bulimica accetta quindi solo la propria immagine perfetta e rifiuta il vero Io, che quasi nemmeno conosce e di cui teme il manifestarsi. Nei suoi attacchi incoercibili di fame si impone questa parte diversa, sconosciuta, che è lontana dalle sue pretese di perfezione e che bisogna rendere innocua. La donna bulimica concede troppo poco spazio alla propria vera personalità, che quindi deve trovare uno sbocco a livello fisico. Ciò che le manca a livello cosciente è l'accettazione di sé, la capacità di fare posto al proprio vero Io Un gran numero di ricerche ha riscontrato un’associazione tra abuso di sostanze e comportamento bulimico (Wilson, 1995). Il “modello della dipendenza” è diventato un famoso strumento di approccio al problema, sia nei movimenti di terapia autogestita (come i famosi “Alcolisti Anonimi” e i più recenti “Bulimici Anonimi”) sia nei centri di cura specializzata. Di fatto costituiscono comportamenti potenzialmente “addictive” tutti gli atti ripetitivi routinari della nostra vita, la cui sospensione provoca l’accumulo di una tensione crescente e la cui esecuzione produce piacere o sollievo (Marlatt et al., 1988). Questi comportamenti tendono quindi ad automantenersi, nonostante lo sforzo volontario di interromperli o moderarli. Gli “addicitive disorders” più importanti sono costituiti dall’autosomministrazione di alcol, tabacco, droghe; tuttavia anche gli eccessi comportamentali non orientati alla ricerca di sostanze psicoattive possono configurare comportamenti “addiction”, che vengono per questo definiti comportamenti di dedizione compulsiva, non farmacologici. Fra questi si possono annoverare: disturbi della sfera istintuale a carico del comportamento alimentare (bulimia) e sessuale; disturbi della vita di relazione attinenti le attività ludiche o miranti al possesso di oggetti (come il gioco d’azzardo patologico, la cleptomania), disturbi delle funzioni motorie (tricotillomania, sindrome di La Tourette) e, infine, il disturbo ossessivocompulsivo. L’elemento comune in tutte queste sindromi è un insufficiente controllo degli impulsi, nonché un’inadeguata regolazione del funzionamento dell’individuo. Uno degli elementi fondanti del concetto di “Sindrome di Dipendenza” così come delineato da Edwards e Gross (1976) e che ha informato di sé la terza edizione riveduta del DSM (A.P.A 1987) appare essere: la compulsione all’uso della sostanza, associata alla perdita di controllo e ai pensieri persistenti circa il consumo della stessa. Nel modello della dipendenza (addiction model), la bulimia viene considerata una forma particolare di dipendenza. Molte pazienti, infatti, manifestano una varietà di alterazioni del controllo degli impulsi e una tendenza a fare abuso di alcol e/o di sostanze stupefacenti. Proprio come le persone dipendenti da sostanze, queste pazienti provano un incontrollabile impulso a mangiare e farebbero qualsiasi cosa pur di ottenere il cibo di cui hanno bisogno. Così come gli alcolisti sembrano ciechi alle conseguenze del bere, le persone dipendenti dal cibo continuano a mangiare e a vomitare o a purgarsi nonostante i rischi che ciò comporta per la salute. Se non hanno la possibilità di abbuffarsi entro un dato tempo, cominciano a diventare così tese, irritabili o addirittura aggressive da sembrare quasi in preda ai sintomi dell’astinenza. L’abbuffata ha allora su alcune un effetto calmante su altre un effetto eccitante, anche se di solito viene seguita da qualcosa di simile ai postumi di una sbornia. Perciò molti autori ritengono opportuno sottolineare che una maggior quantità di comorbilità nelle pazienti bulimiche può essere considerata come l’espressione di un’alterazione dell’autocontrollo (Vanderlinden, Vandereyken, 1998). In tali condizioni, la paziente non è più in grado di reprimere un forte bisogno (impulso) di compiere azioni che non vorrebbe. Altri segni di un insufficiente controllo degli impulsi sono il furto (di solito si tratta di furti di cibo o di denaro per procurarsi il cibo di cui si ha bisogno), l’autolesionismo e gli improvvisi accessi di collera. A questo punto è bene sottolineare che un comportamento abnorme come l’eccesso alimentare rappresenta di solito solo la punta dell’iceberg e segnala quasi sempre altre difficoltà. È molto 2 importante quindi indagare i sentimenti che precedono la crisi, per imparare a riconoscerne il significato “nascosto” e la funzione che svolge nella vita quotidiana. La bulimia può segnalare problemi su differenti livelli: sul piano individuale, le pazienti bulimiche raccontano spontaneamente di sentirsi spesso depresse e vuote e di avere talvolta idee suicide. Indipendentemente poi dalle fluttuazioni dell’umore, possono avere luogo episodi di automutilazione, di cleptomania e abuso di alcol. Su un piano sociale, la loro vita è spesso caratterizzata da contatti superficiali che cambiano continuamente (e che talora includono promiscuità sessuale) o da un isolamento totale. I problemi principali per cui cercano aiuto sono costituiti dalle abbuffate alle quali non riescono a resistere e spesso anche dai concomitanti sentimenti di depressione: questi due elementi possono essere utilizzati come via d’accesso per esplorare la funzione di segnale su un livello individuale (Dalle Grave, 1998). Anche le concezioni sulle varie pratiche dietetiche sono poco realistiche e spesso sono basate su un insieme di concetti erronei riguardo la nutrizione e il controllo del peso (Faccio, 1999). Le abitudini alimentari delle pazienti affette da bulimia nervosa causano una percezione interna distorta degli stimoli corporei: è alterato il senso di fame/sazietà, lo stomaco pieno è un’esperienza minacciosa, e non riescono più a godere il momento del pasto. Il disturbo cognitivo centrale nella bulimia nervosa è un caratteristico set di attitudini e preoccupazioni nei confronti del peso e delle forme corporee (weight related self-schemata). Al centro della psicopatologia c’è la tendenza a giudicare il proprio valore esclusivamente o in gran parte in funzione del peso e delle forme corporee (Fairburn, 1997). Molte pazienti hanno una seconda caratteristica cognitiva (Vitousek, 1996): lo scarso concetto di sé che, in alcuni casi, precede di molti anni lo sviluppo del disturbo. Si ipotizza che l’insicurezza nelle loro capacità in varie aree conduca le pazienti ad utilizzare la magrezza come principale referente per valutare se stesse. Ciò può essere dovuto a due motivi (Fairburn, 1997): le forme corporee e il peso sono più controllabili di altri aspetti della vita; la dieta e la perdita di peso sono comportamenti socialmente rinforzati. L’unico comportamento non strettamente legato alla preoccupazione per il peso e le forme corporee è l’abbuffata (Fairburn, 1985). Presente in tutte le pazienti bulimiche sembra essere invece secondaria al tipo di dieta utilizzato da questi soggetti. Le pazienti con bulimia nervosa, infatti, non seguono una dieta ordinaria, ma ferrea e perciò sono sotto la continua spinta biologica a mangiare. Le rigide regole dietetiche autoimposte dai soggetti affetti da bulimia nervosa includono: quando mangiare, che cosa mangiare, e la quantità di cibo da assumere. L’intensità e la rigidità della dieta che si osserva nella bulimia nervosa sembra essere secondaria alla combinazione di due caratteristiche cognitive: il perfezionismo e il pensiero dicotomico (o tutto o nulla) (Garner, Dalle Grave, 1999). Le pazienti bulimiche si pongono degli standard molto elevati e sono profondamente insoddisfatte quando non riescono a raggiungerli. Il perfezionismo influenza molti aspetti della loro vita e viene applicato al modo di fare la dieta. Anche lo stile cognitivo dicotomico contribuisce a far restringere l’alimentazione, manifestandosi nelle rigide regole dietetiche che le pazienti si danno. Seguire una dieta in maniera troppo rigida porta prima o poi a compiere piccole trasgressioni; quando queste si verificano si innesca poi il comportamento bulimico espresso nella modalità di pensiero “tutto o nulla” del tipo: “Ormai ho trasgredito alla mia dieta, tanto vale che mi abbuffi fino a scoppiare, così poi potrò liberarmi di tutto il cibo con il vomito”. Le trasgressioni dietetiche, che tendono a precipitare un’abbuffata, sono spesso innescate da emozioni negative (ansia, depressione, rabbia, solitudine, paura, ecc.). Allo stesso modo, le abbuffate hanno in molti casi l’effetto di mitigare le emozioni negative attraverso vari meccanismi includenti (Fairburn et al., 1995): 1) il senso di rilassamento che si accompagna ai primi momenti delle abbuffate (abbandonare momentaneamente la dieta ferrea può bloccare per un attimo la tensione); 2) le connotazioni positive associate a certi cibi; 3) il senso di sonnolenza che segue l’assunzione di grandi quantità di carboidrati; 4) la diminuzione della tensione e dell’ansia che si verifica con l’eliminazione del cibo ingerito nelle abbuffate attraverso il vomito. Gli effetti positivi sono però, di breve durata e vengono rapidamente sostituiti da sensi di colpa e dalla paura d’ingrassare. 3 Il paragone tra bulimia nervosa e dipendenza ha dato il via all’uso di tecniche terapeutiche che si sono rivelate utili anche nell’alcolismo e nell’obesità, ovvero, tecniche di autocontrollo e tecniche di controllo dello stimolo (Fairburn, 1985; Lacey, 1985; Mitchell et al., 1985b; Wilson, 1995, Garner e Dalle Grave, 1999). Secondo il modello di intervento proposto dai suddetti autori, la prima fase del cambiamento del comportamento alimentare dovrebbe essere incentrata non direttamente sulla diminuzione dei cicli di vomito-abbuffata, ma piuttosto sull’insegnamento di un modello alimentare equilibrato e ben bilanciato, il modello alimentare bulimico viene, infatti, interrotto evitando l’astinenza (Vanderlinden, Norrè, Vandereycken, 1989). Utilizzando il modello di tipo astinenziale, le norme rigide delle pazienti possono venire esaltate e la loro tendenza ad evitare alcuni cibi stimolata. Nell’approccio non astinenziale, il comportamento bulimico rimane lo scopo principale del trattamento, ma la sua modificazione è soltanto parte del processo di cambiamento globale. È messa in discussione la tendenza a porsi mete troppo ambiziose e vengono pianificati obiettivi più realistici; particolare attenzione viene data, inoltre, alla prevenzione delle ricadute. D’altronde, nel trattamento della bulimia nervosa si tratta di estinguere un comportamento problematico piuttosto che raggiungere l’astinenza da una sostanza problematica (come droga e alcol) (Dalle Grave,1998). All’inizio del trattamento le pazienti devono essere poste a confronto con la gravità dei loro problemi, per cui va fornita una dettagliata informazione delle complicanze della bulimia. Queste includono: anomalie elettrolitiche nelle pazienti che vomitano o abusano di lassativi; ingrandimento delle ghiandole salivari; erosione dello smalto dentale; edema intermittente, soprattutto nelle pazienti che fanno uso intermittente di grandi quantità di lassativi o diuretici; anomalie ovariche; disturbi mestruali (Fairburn, Marcus & Wilson, 1993). La compilazione di un diario è il metodo di autocontrollo usato più frequentemente. Si chiede alla paziente di tenerne uno dettagliato secondo uno schema standardizzato: descrizione del tipo di alimentazione giornaliera (tutti i cibi e le bevande consumate giornalmente, senza contare le calorie o pesare il cibo), delle attività a essa connesse, dei pensieri e dei sentimenti che l’accompagnano. Con il diario, la paziente inizia a monitorare la sua alimentazione e le situazioni che determinano dei problemi. Inoltre questo è un modo per rompere la clandestinità riguardo il rimpinzamentosvuotamento. Il terapeuta ottiene informazioni interessanti per poter costruire un’analisi funzionale e stabilire un piano di intervento terapeutico, infatti, il diario offre informazioni sia sul comportamento alimentare sia sulle situazioni scatenanti le crisi, nonché sui pensieri, le idee e i sentimenti che l’accompagnano (Garner, Dalle Grave, 1999). Se le pazienti desiderano controllare le loro abbuffate, è essenziale che evitino questi periodi di digiuno, acquisendo una modalità alimentare normale (tre pasti variati e due spuntini). Ciò può apparire molto minaccioso alla maggior parte delle pazienti per la loro paura di diventare grasse. Il fatto che questi cambiamenti siano accompagnati da un leggero aumento di peso, che quasi automaticamente scompare in seguito, è spiegato anticipatamente, facendo riferimento ai principi del metabolismo corporeo e alle inevitabili fluttuazioni di peso. I cicli abbuffata-vomito sono posti sotto controllo come segue: il primo passo consiste nello stabilire in modo dettagliato l’entità e il contenuto dell’abbuffata; questo è un primo necessario confronto perché le pazienti spesso non desiderano sapere come e di cosa si rimpinzano. Successivamente le abbuffate vengono strutturate nello spazio: hanno luogo solo in situazioni prestabilite nelle quali non è sempre possibile essere sole. Le abbuffate sono anche strutturate nel tempo: sono fissati i giorni e le ore durante i quali è possibile (ma non necessario) rimpinzarsi. La frequenza viene progressivamente diminuita e viene stabilita una lista di comportamenti alternativi (come fare la doccia, chiamare un amico, andare a correre) quando sentono l’impulso a rimpinzarsi fuori dai tempi stabiliti. Questa organizzazione deve prevedere attività ricreative valide e ben pianificate per i periodi liberi dalle abbuffate. La sequenza automatica abbuffata-vomito è interrotta attraverso il progressivo rinvio del vomito, così da renderlo “privo di significato”, perché al cibo è stato dato il tempo di essere digerito completamente. In questo modo è possibile produrre un cambiamento radicale nella vita quotidiana della paziente, e, attraverso l’autocontrollo, accresce l’autostima. Quando le pazienti avranno adottato un modello 4 alimentare regolare, le possibilità di un ulteriore favorevole sviluppo della terapia potranno aumentare. La bulimia nervosa viene considerata come segnale o espressione che c’è qualcosa di importante che non va nella vita della paziente, nella sua relazione con il partner, o nel contesto familiare. In questo senso il trattamento non è concentrato esclusivamente sul controllo o sull’eliminazione del comportamento sintomatico, ma vuole prestare altrettanta attenzione al suo significato e alla sua funzione. Nella terapia di gruppo, le pazienti imparano a esaminare la funzione e il significato della bulimia all’interno della loro vita privata, del sistema familiare o della relazione coniugale; vengono inoltre invitate ad ascoltare i propri desideri e sentimenti inespressi (Faccio,1999). La bulimia viene allora considerata come messaggero di frustrazioni, ansie e desideri: prima di cominciare a modificarla, si dovrebbe provare a decodificarne il significato nascosto. Si può scoprire tale significato chiedendo alle pazienti di annotare vantaggi e svantaggi di un cambiamento effettivo e di discuterli nella terapia di gruppo. Non è inusuale per loro scoprire che la bulimia funziona come un parafulmine per le tensioni con i genitori o per i conflitti inespressi nella relazione coniugale. Con le pazienti che sperimentano la bulimia come qualcosa di estraneo, come se qualcun altro le dominasse durante l’attacco, possono essere fatti dei tentativi di contatto con la parte bulimica in un gioco di ruolo. Talvolta è richiesto a ciascuna di loro di portare avanti da sola il dialogo tra le due parti: in questo caso, viene invitata a prendere posto alternativamente su due sedie, parlando a quella dirimpetto e invertendo poi i ruoli (Vitousek, 1996). Lo scopo di questo gioco è la creazione di un contatto e di un dialogo tra parti del sé spesso ai due estremi. Un gioco di ruolo di questo tipo è ravvisabile in quasi tutte le pazienti: un atteggiamento perfezionista ed esigente da una parte e una componente debole, vuota e angosciata dall’altra. Alcune sedute possono essere dedicate all’insegnamento e all’esercizio, tramite giochi di ruolo, di una specifica nuova capacità: affermazione di sé, espressione della rabbia, capacità di contrapporsi agli altri, di esprimere i propri sentimenti e affetti e di rispondere a quelli altrui. Quando le pazienti diventano gradualmente consapevoli della funzione dei sintomi nella loro vita, la terapia si concentra sulla stimolazione e sull’incoraggiamento dell’indipendenza. Temi significativi delle sedute di gruppo diventano allora il lavoro sulla dipendenza emotiva e sui legami di fedeltà alla famiglia di origine, nonché, eventualmente, le discussioni sulla possibilità di organizzarsi concretamente una vita indipendente Vanderlinden, Vandereycken, 1998). I problemi relativi alla separazione-individuazione inducono in molte pazienti una temporanea ricaduta nella sintomatologia bulimica; il terapeuta perciò dovrebbe preparare tanto la paziente che la sua famiglia a questa possibilità. L’esperienza clinica mostra inoltre che l’introduzione dell’ipnosi in un trattamento multidimensionale possa facilitare il corso e il risultato della terapia. Uno stato ipnotico può essere descritto come uno stato alterato di coscienza, con un’aumentata concentrazione su una percezione limitata. Durante l’ipnosi gli individui sono profondamente assorbiti da un’esperienza interna e la loro immaginazione è fortemente stimolata. Le tecniche ipnotiche possono essere incluse nella fase iniziale del trattamento per riprendere gradualmente l’autocontrollo sul comportamento alimentare e per essere nuovamente in grado di percepire le sensazioni di fame e sazietà (Vanderlinden, Vandereycken, 1998). Per esempio, alla paziente può essere richiesto di immaginare di fare una normale colazione al mattino, oppure di pianificare le abbuffate evitando il vomito. La maggior parte accetta la proposta e vive l’esperienza positiva di essere capace di immaginare qualcosa che prima valutava come impossibile (abbuffate programmate e non vomito). In altre questa procedura ha un effetto paradossale: trovano ripugnanti le abbuffate e poi si sentono disgustate all’idea di portare avanti questo compito. Un importante vantaggio del programmare le abbuffate durante l’ipnosi è che ciò può fornire al terapeuta molte informazioni su quello che la paziente effettivamente sente e pensa prima, durante e dopo l’abbuffata. Un’altra strategia che permette di aumentare l’autocontrollo è quella delle conseguenze negative e positive. Alle pazienti viene chiesto di immaginare una vita futura senza bulimia e di elencare i cambiamenti positivi che potrebbero derivare. Viene anche richiesto di specificare tutte le conseguenze negative se continuassero ad abbuffarsi e a vomitare. Queste informazioni potranno poi essere usate durante un 5 esercizio ipnotico per aumentare la motivazione della paziente al cambiamento. L’ambivalenza in relazione ai progressi terapeutici è una caratteristica molto presente nelle pazienti bulimiche. Il terapeuta potrebbe allora esplorarle in modo indiretto attraverso il questionario ideomotorio di Le Cron (Cheek e Le Cron, 1968; Wright e Wright, 1982). In molti casi, il disturbo bulimico nasconde eventi traumatici o conflitti irrisolti di natura emotiva: l’incesto, la violenza carnale, l’abuso fisico, l’eccessiva mancanza di affetto o il coinvolgimento in disaccordi coniugali di lunga durata. Questi eventi sono spesso rimossi o dissociati dalla coscienza, in questi casi l’ipnosi può essere molto utile nel rilevare tali esperienze traumatiche. Oltre alla tecnica descritta precedentemente può essere utilizzata anche la tecnica dell’affetto-ponte di Watkins (1971). In questa tecnica di esplorazione le emozioni intense (come ansia, agitazione, depressione) vengono usate come ponte con il passato, con una o più specifiche situazioni che la paziente ricorderà e che renderanno comprensibili le sensazioni. I dati catamnestici solitamente mostrano che la terapia ha risultati migliori nelle pazienti (maggiori di 18 anni) che lasciano l’ambiente familiare per vivere da sole, in una famiglia che le accolga o in una comunità (Vanderlinden e Vandereycken, 1987); il distacco emotivo dalla famiglia di origine sembra avere un significato fondamentale per un corso favorevole della terapia per cui il terapeuta può chiedere alla paziente, durante la trance, di proiettarsi nel futuro immaginando di diventare gradualmente più indipendenti dal punto di vista emotivo e di sentirsi più forti edequilibrate nell’ organizzare la propria vita. Come afferma Vandereycken (1998) l’introduzione di tecniche ipnotiche in un trattamento multidimensionale ha parecchi vantaggi: queste tecniche possono essere facilmente combinate con strategie cognitivo comportamentali (ovvero tecniche di autocontrollo); la funzione della bulimia può essere esplorata più rapidamente e più direttamente mediante l’ipnosi; l’ipnosi può aiutare le pazienti a reintegrare nella loro personalità la “parte bulimica” dissociata e può essere di particolare aiuto nello scoprire e lavorare sulle esperienze traumatiche. Bibliografia 1. A.P.A., 1994: DSM-III-R, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4rd edition, 1994, Washington DC, American Psychiatric Press. 2. Cheeck, G.A., Le Cron, L., 1968, Clinical hypnotherapy, New York, Grune e Stratton. 3. Dalle Grave, R., 1998, Alle mie pazienti dico…, Verona, Positive Press. 4. Edwards, G., Gross, M.M., 1976, “Alcohol dependence: provisional description of a clinical syndrome”, Br. Med. 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