1 SE Mons. Piero Coccia Omelia in occasione della

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S. E. Mons. Piero Coccia
Omelia in occasione della Messa Crismale
Pesaro, Cattedrale – Basilica, 16 aprile 2014
1.
Saluto tutti con l’affetto del pastore. Un saluto particolare lo rivolgo a Sua Eminenza il Cardinale
Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Lo
ringrazio per la sua puntuale partecipazione alla celebrazione della Messa Crismale, segno di vera comunione
con la chiesa che lo ha generato al sacerdozio.
Saluto tutti i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose. A loro esprimo i sentimenti della gratitudine
per la testimonianza che danno e per l’impegno apostolico che vivono nella e per la nostra comunità diocesana.
Saluto tutti gli operatori pastorali presenti. A loro manifesto l’apprezzamento della chiesa locale per il
prezioso servizio che rendono alle singole comunità.
Un saluto carico di simpatia e di incoraggiamento lo rivolgo a tutti i giovani cresimandi che nel corso di
questo anno riceveranno il sacramento della confermazione e che desidero incontrare personalmente in
Episcopio insieme ai loro genitori, padrini, madrine e catechisti.
2.
La celebrazione della Messa del Crisma, oltre ad avere il suo fascino ha una indiscussa centralità nella
vita della comunità cristiana e dentro questa, nella vita del presbitero.
Le preghiere che stiamo compartecipando, i gesti che stiamo condividendo, i segni che stiamo cogliendo, la
parola di Dio che stiamo interiorizzando, sono tutte realtà che ci introducono al mistero salvifico del Cristo.
Un mistero compartecipato e che interpella la vocazione e la missione dell’intera chiesa, ed in modo del tutto
particolare quella dei suoi pastori, vescovi e presbiteri, su cui desidero concentrare la riflessione di questa sera.
A questo riguardo la parola di Dio è chiara, incalzante e incoraggiante.
3.
Il testo di Isaia (61, 1-3.6.8b.9) ci ha ricordato che il Signore ci ha consacrato con l’unzione e ci ha
mandato a “portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà
agli schiavi, la scarcerazione ai prigionieri.” Questo testo di Isaia autobiografico e cristologico ha una precisa
valenza anche sacerdotale. Cari sacerdoti, siamo stati chiamati e consacrati per una missione che non possiamo
disattendere e nemmeno discutere, ma che va vissuta con gioia e pienezza nella sua integrità ed integralità. La
consapevolezza di Isaia sia anche la nostra.
4.
Il brano del libro dell’apocalisse di Giovanni (1,4.5-8) ha richiamato la nostra attenzione su Gesù Cristo,
“il testimone fedele, il primogenito dei morti […] colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo
sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre”. Ma a chi si riferisce Giovanni? Al
Signore Gesù Sommo Sacerdote ed alla comunità cristiana costituita, con il battesimo, come popolo
sacerdotale. Ma se tutto il popolo di Dio partecipa del sacerdozio di Cristo, tale partecipazione si attualizza in
modo proprio e specifico nell’Ordine sacro. Dunque, anche il testo di Giovanni concentra la nostra attenzione
sulla vocazione e sulla missione sacerdotale, facendo un esplicito riferimento a Cristo, il testimone fedele a cui
l’ordine sacro ci ha configurato.
5.
Da ultimo, il vangelo di Luca (4,16-21) ci ha confermato che la profezia di Isaia viene attualizzata nella
persona di Gesù, il quale dopo aver letto il passo della missione del profeta, in forma perentoria conclude: “oggi
si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato”. Dunque il presbitero incorporato a Cristo in modo del
tutto singolare con l’Ordine sacro, non può non riconoscere la sua identità nella vocazione e nella missione di
Cristo stesso, compimento della profezia di Isaia e di tutte le profezie.
Fin qui la certezza della vocazione e missione dei presbiteri fondata, sulla incorporazione e configurazione a
Cristo grazie all’Ordine sacro.
6.
Ma chiediamoci: questo binomio di vocazione e missione presbiterale, la chiesa di oggi come ce lo
prospetta? In altre parole, cosa la chiesa di Papa Francesco sta chiedendo ai pastori per vivere fino in fondo il
binomio vocazione - missione? A questo riguardo faccio alcune considerazioni, anche tenendo conto del
magistero di Papa Francesco.
La prima. Cari sacerdoti, abbiamo bisogno di pastori che sorveglino dall’alto il popolo di Dio, che lo
guardino con l’ampiezza del cuore di Dio, che siano vicini alla gente ma non assorbiti dalla gente.
La gente percorre faticosamente la pianura del quotidiano ed ha bisogno di essere guidata da chi è
capace di vedere le cose dall’alto. Per questo abbiamo bisogno di pastori che sappiano rispondere ai bisogni
spirituali della propria comunità e le aiutino a realizzare le proprie potenzialità nel campo della fede. Per questa
ragione abbiamo necessità di ministri in grado di salire al “piano superiore” e che non si accontentino delle
misure basse. Per questo motivo abbiamo bisogno di pastori in grado di alzarsi oltre e sopra le eventuali
preferenze, simpatie, appartenenze o tendenze per entrare nell’ampiezza dell’orizzonte di Dio. Pastori non
condizionati da paure e da incertezze, ma capaci di assicurare che nel mondo c’è la presenza reale di Cristo
Salvatore e perciò l’umanità non è destinata né allo sbando né allo smarrimento, ma alla salvezza.
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Abbiamo bisogno di pastori che siano testimoni del Risorto. A questo riguardo non possiamo non fare
un esplicito riferimento agli inizi della vita della chiesa costituita dagli apostoli i quali erano testimoni della
risurrezione del Cristo. Ma preciso: il pastore testimonia il Risorto insieme alla sua chiesa. Non è un testimone
isolato per quanto eroico, ma lo è dentro una comunità che, grazie al suo ministero, rende visibile la
risurrezione del Cristo con parole ma ancora di più con gesti, con scelte e con atteggiamenti concreti.
Ma vado oltre. Non possiamo non volgere lo sguardo anche sull’umanità del pastore a cui si chiede
capacità di relazioni sane ed equilibrate, per non proiettare sugli altri le proprie mancanze e diventare fattore di
instabilità, di criticità o comunque di difficoltà.
E’ un dato di fatto che il comportamento retto di un sacerdote, attesta la sua serietà. La buona
preparazione culturale gli consente il dialogo con tutti. La fedeltà alla verità del Cristo lo rende colonna e punto
di riferimento. La disciplina interiore gli consente il possesso di sé e lo spazio dell’accoglienza. La capacità di
governare con dolcezza e fermezza gli conferisce la possibilità di orientare la comunità nella crescita della fede.
Non dimentichiamo però che tutte queste doti devono essere una declinazione della testimonianza del
Risorto che è e rimane il fulcro della fede e del sacerdozio.
Proseguo. Un autentico pastore non può non fare una profonda esperienza della preghiera colta nella sua
intensità, densità e sistematicità. A nessuno sfugge che la vita del pastore deve nutrirsi di preghiera, la quale
diventa l’espressione della sovranità di Dio sulla sua vita e sulla vita della comunità. L’esperienza ci dice che la
preghiera diventa imprescindibile affinchè le nostre scelte non siano dettate da pretese, da condizionamenti e da
egemonie varie. È nella preghiera che abbandoniamo il cabotaggio delle nostre piccole imbarcazioni per seguire
la rotta della grande nave della chiesa di Dio. E’ nella preghiera che scorgiamo l’orizzonte universale della
salvezza. La preghiera è e rimane la bussola certa per l’esercizio del nostro ministero.
Abbiamo bisogno di pastori oranti. La necessità della chiesa apostolica, riferitaci dagli atti degli apostoli
(6,1-7), ha una sua perenne attualità ed ha molto da dire anche a noi. “Dunque fratelli, cercate tra voi sette
uomini di buona reputazione, pieni di spirito e di sapienza ai quali affideremo l’incarico della mensa. Noi
invece ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della parola”.
Ma nella preghiera il vero pastore deve essere in grado di negoziare con Dio il bene del suo popolo, la
salvezza del suo popolo. Le figure di Abramo e di Mosè rimangono quanto mai significative. Un uomo che non
ha il coraggio di discutere con Dio in favore del suo popolo non può essere pastore. Ma non può essere tale
nemmeno colui che non è capace di assumere la missione di portare il popolo di Dio al suo Signore, come ci
ricorda il libro dell’Esodo.
Continuo. Il pastore inoltre dev’essere vicino alla gente, stare tra il suo gregge per sorvegliarlo, per
averne cura, per mantenerlo unito. Con una immagine di rara efficacia, è stato detto che un pastore vero mai
potrebbe rinunciare all’ansia che l’olio dello spirito che sana e santifica, quell’olio che tra poco consacreremo,
arrivi fino all’ultimo lembo della veste della chiesa. Il pastore è un innamorato della sua sposa, la comunità
cristiana. Se va in costante ricerca di un’altra sposa, questo, si chiama ed è adulterio. Se amiamo la nostra
sposa, ne assumiamo la cura assidua e quotidiana, come la Lumen Gentium, al numero 27, ci ricorda.
Va notato che nel nostro tempo, l’assiduità e la continuità spesso sono associate alla routine e alla noia,
perciò non di rado si cerca di “scappare altrove”. Questa tentazione oggi nella chiesa è ricorrente. Ma non
dimentichiamo che il popolo a noi affidato ha bisogno di una cura e direi di una premura assidua e quotidiana,
per poter crescere nella fede di Cristo. A tanto ci chiama la nostra vocazione e missione di pastori. Questo ci
viene chiesto dal Signore e dalla nostra comunità.
Da ultimo mi è caro far mia la raccomandazione che l’apostolo Paolo rivolge al discepolo Timoteo,
sollecitandolo a ravvivare il dono che è in lui, quel dono che gli è stato dato per l’imposizione delle mani.
Ma come ravvivare questo dono dell’imposizione delle mani e cioè del sacerdozio? Il ministero
sacerdotale si alimenta con la preghiera intensa, con l’ascolto profondo della parola, con la celebrazione
quotidiana e gustata dell’Eucaristia e con la frequentazione gioiosa del sacramento della Riconciliazione.
Queste sono le vie collaudate per ravvivare in noi il dono del sacerdozio.
Cari sacerdoti puntiamo a ciò che è essenziale per la nostra vita di pastori convinti ed appassionati.
Ravviviamo il dono che è in noi per vivere il nostro ministero in questa nostra chiesa e renderla sempre più
sposa senza macchia e senza ruga. Scopriamo la bellezza delle nostre comunità e coltiviamole con passione e
dedizione nella certezza che questa è la nostra vocazione e la nostra missione di pastori nella chiesa e per la
chiesa che è in Pesaro.
La Vergine delle Grazie e S. Terenzio ci guidino nel nostro ministero.
 Piero Coccia
Arcivescovo
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