I PADRI della CHIESA: San Gregorio Nazanzieno Gregorio il Teologo Tra la pace del monastero e la lotta per la Chiesa Gregorio nacque presso Nazianzo, nella Cappadocia nel 330. Era, come si dice un “filius senectutis”, arrivato un po’ tardi. I genitori, di famiglia nobile, lo accolsero come un vero dono di Dio. E la madre, sull’esempio di quella del profeta Samuele, lo consacrò subito a Dio. Il padre, dopo la conversione, era anche diventato vescovo della città. Per l’educazione di Gregorio i genitori scelsero le migliori scuole. Può veramente vantare un curricolo scolastico di prim’ordine: prima a Cesarea di Cappadocia (con Basilio), poi nella Cesarea di Palestina, quindi ad Alessandria, allora un grande centro culturale, e infine il grande salto verso la città della cultura per eccellenza:Atene (di nuovo con Basilio). Nel 361 il padre lo volle al suo fianco nel governo della diocesi. Accettò contro voglia di essere fatto prete, ma appena gli fu possibile tornò al monastero. Salvo poi venire in soccorso del padre il quale, inesperto teologicamente, aveva firmato una formula ariana. Intanto Basilio era diventato vescovo di Cesarea e dietro sua insistenza (e di suo padre) si lasci? consacrare vescovo di Sasima, un borgo non lontano da Nazianzo. Egli non ne prese mai possesso. Era troppo piccola per lui o quel paese non aveva bisogno di un vescovo? Forse un po’ tutte e due le ragioni. Morto il padre si ritirò di nuovo in un monastero, dando addio (come credeva lui) all’episcopato. Si sentiva fatto per la vita monastica non per la carriera ecclesiastica. Aveva infatti scritto: “Niente mi sembra più meraviglioso che riuscire a far tacere tutti i sensi, e, rapito lontano da essi, dalla carne e dal mondo, rientrare in me stesso e restare in colloquio con Dio ben oltre le cose visibili”. Questo ardentemente voleva e questo quotidianamente sognava il nostro Gregorio. Ma la storia (o meglio lo Spirito Santo, che conduce la sua Chiesa) bussò di nuovo alla sua porta. Questa volta attraverso una delegazione di cattolici da Costantinopoli disperatamente alla ricerca di un … vescovo. Poverini: erano un piccolo gregge in un mare di seguaci dell’eresia ariana. Pochi sœ ma buoni e … tosti, infatti non si arrendevano. Volevano una guida. E nella “top list” c’era proprio … lui, Gregorio. Volevano una personalità di prestigio culturale, e l’avevano trovato, grazie a Dio e a … Basilio. Questi lo esortò con molta forza ad accettare perché» ne andava di mezzo l’ortodossia. Con Gregorio gli ariani avrebbero avuto pane per i loro denti. E le componente narcisistica? Probabilmente tra le preponderanti motivazioni teologico-pastorali (e amicali) che lo convinsero c’era anche questa. Finalmente una sede degna della sua preparazione culturale. Altro che Sasima, borgo non certamente dal richiamo irresistibile. Qui c’era la corte imperiale, questa era la seconda Roma. Siamo nell’anno 379. Ma il suo narcisismo ebbe subito un smacco: di accoglienza trionfale nemmeno l’ombra, anzi gli fu impedito addirittura di entrare nella cattedrale di Santa Sofia. Dovette accontentarsi di una piccola cappella, che egli ribattezzò Anastasis (cioè Resurrezione). Qui i cattolici della città avevano finalmente un punto di riferimento affettivo ed effettivo, spirituale e culturale. Fu proprio qui che Gregorio tenne i suoi famosi 5 Sermoni sulla Trinità. Limpida dottrina, eloquenza travolgente, entusiasmo tra i fedeli alle stelle. La sua fama crebbe enormemente tanto da ribaltare la situazione . Il nuovo imperatore, Teodosio, cattolico, lo accompagnò solennemente a Santa Sofia, acclamato con entusiasmo dal popolo. Tutte le difficoltà finite finalmente? Non proprio. Dio, il sospiro di ogni creatura Due anni dopo Teodosio stesso convocò un Concilio a Costantinopoli (381). E qui Gregorio fece una mossa a sorpresa. Sapendo che alcuni vescovi dubitavano della sua legittimità come vescovo di Costantinopoli, diede con umiltà (e sincerità) le dimissioni. Ma all’unanimità i padri conciliari le respinsero e anzi, morto il moderatore del concilio Melezio di Antiochia, lo elessero presidente dell’assemblea. Tutti poterono ascoltare e ammirare il suo pensiero teologico, specialmente sulla Trinità e nella Cristologia. Gregorio difese con energia la formula neo nicena che affermava “l’articolazione trinitaria di una sostanza (ousia) divina in tre ipostasi sussistenti e collocate al medesimo livello, onore e dignitá: rispetto a Basilio, Gregorio imposta meglio la caratterizzazione delle note individuali che specificano una ipostasi rispetto all’altra…” (M. Simonetti). In campo cristologico difese energicamente (contro varie eresie) l’idea che “Cristo, al fine di redimere l’uomo nella sua totalità, ha assunto l’uomo nella sua totalità, perciò anche l’anima razionale, perché» altrimenti l’uomo non sarebbe stato integralmente salvato”. Affermò inoltre con forza “in Cristo l’unità del soggetto, con pieno equilibrio tra esigenza divisiva (due nature) e unitiva ( un solo soggetto)” (M. Simonetti). La formula sarà perfezionata poi con il Concilio di Calcedonia nel 451. Ma altre difficoltà vennero a Gregorio proprio dalla continuazione del Concilio. Erano sopraggiunti infatti altri vescovi, a quanto sembra pi_ giovani ma meno teologi, più clericalmente “politicizzati” e quindi meno equilibrati. Questi posero di nuovo la questione della sua legittimitá sulla sede di Costantinopoli. Il nostro non sopportò questo nuovo affronto. I suoi nervi cedettero e diede di nuovo le dimissioni (aveva la segreta speranza che venissero di nuovo respinte? Forse sœ, data la componente narcisistica non ancora defunta, a giudicare dalle espressioni di delusione che ebbe dopo). Gregorio aveva detto che nel Concilio “i più giovani cinguettavano come uno stormo di gazze e si accanivano come una sciame di vespe” e “i vecchi si guardavano bene dal moderali”. Parole dure, forse esagerate, dettate dalla delusione. Gregorio comunque pronunciò il suo solenne addio all’assemblea conciliare e se ne tornò a Nazianzo, frustrato e scoraggiato, deluso e invocante ‘sorella morte’. Scrisse infatti: “C’è una sola via di uscita ai miei mali: la morte. Ma anche l’aldilà mi fa paura, se devo giudicarlo dall’aldiqua”. Accettò tuttavia il governo della diocesi che fu di suo padre, in attesa che trovassero un altro vescovo. In una delle sue poesie teologiche aveva scritto a Dio: “Sii, benigno, Tu, l’al di lá di tutto”. E Dio accoglieva tra le sue braccia di Padre questo suo figlio e servo fedele che l’aveva descritto, servito e cantato in poesia con tanto amore e intelligenza. Correva l’anno 390. MARIO SCUDU SDB Dio ti chiede solo amore Riconosci l’origine della tua esistenza, del respiro, dell’intelligenza, della sapienza, ci? che più conta, della conoscenza di Dio, della speranza del Regno dei cieli, dell’onore che condividi con gli angeli, della contemplazione della gloria, ora certo come in uno specchio e in maniera confusa, ma a suo tempo in modo più pieno e più puro. Riconosci, inoltre, che sei divenuto figlio di Dio, coerede di Cristo e, per usare un’immagine ardita, sei lo stesso Dio! Donde e da chi vengono a te tante e tali prerogative? Se poi vogliamo parlare di doni più umili e comuni, chi ti permette di vedere la bellezza del cielo, il corso del sole, i cicli della luce, le miriadi di stelle e all’armonia ed ordine che sempre si rinnovano meravigliosamente nel cosmo, rendendo festoso il creato come il suono di una cetra? Chi ti concede la pioggia, le fertilità dei campi, il cibo, la gioia dell’arte, il luogo della tua dimora, le leggi, lo stato, e aggiungiamo, la vita di ogni giorno, l’amicizia e il piacere della tua parentela?... Fu Dio. Ebbene, egli in cambio di tutto ci? che cosa ti chiede? L’amore. Richiede da te continuamente innanzitutto e soprattutto l’amore a lui e al prossimo. L’amore verso gli altri egli lo esige al pari del primo (Dal Discorso 14 Sull’amore verso i poveri) Cristo è sulla terra, gridate la vostra gioia Cristo è nato, rendetegli onore. Cristo è disceso dai cieli, venite a incontrarlo; Cristo è sulla terra, gridate la vostra gioia. Canta al Signore tutta la terra. Anch’io proclamerò la grandezza di questo giorno: l’immateriale si incarna, il Verbo si fa carne; l’invisibile si mostra agli occhi; colui che le nostre mani non possono raggiungere può ora essere toccato, l’intemporale ha un inizio, il Figlio di Dio diventa Figlio dell’uomo: E' Gesù Cristo colui che ieri, oggi e nei secoli è per sempre. Ecco dunque la solennità che celebriamo: l’arrivo di Dio presso gli uomini, perché noi possiamo andare a Dio piuttosto o più esattamente, perché noi ritorniamo a Lui... (Dal Sermone sulla teofania) Tu, l’al di là di tutto Tu sei l’al di là di tutto … Tutte le cose ti cantano... Comuni sono i desideri, di ogni essere creato. Comuni i gemiti che tutt’attorno ti circondano. Te chiama con supplice preghiera, il tutto. A te è diretto un inno di silenzio: lo pronunciano tutti gli esseri che contemplano il tuo ordine. E’ per te solo che tutto permane. E’ per te solo che tutto si muove, del moto universale. E di ogni cosa Tu sei il compimento: uno, tutto, nessuno, anche se non sei nè unico nè tutti.. Sii benigno, Tu, l’aldilà di tutto … (Poesie I.1.29) San Gregorio Nazianzeno, catechesi di Papa Benedetto XVI Cari fratelli e sorelle, nel corso dei ritratti di grandi Padri e Dottori della Chiesa che cerco di offrire in queste catechesi, l'ultima volta ho parlato di san Gregorio Nazianzeno, Vescovo del IV secolo e vorrei oggi ancora completare questo ritratto di un grande maestro. Cercheremo oggi di raccogliere alcuni suoi insegnamenti. Riflettendo sulla missione che Dio gli aveva affidato, san Gregorio Nazianzeno concludeva: «Sono stato creato per ascendere fino a Dio con le mie azioni» (Oratio 14,6 de pauperum amore: PG 35,865). Di fatto, egli mise al servizio di Dio e della Chiesa il suo talento di scrittore e di oratore. Compose numerosi discorsi, varie omelie e panegirici, molte lettere e opere poetiche (quasi 18.000 versi!): un'attività veramente prodigiosa. Aveva compreso che questa era la missione che Dio gli aveva affidato: «Servo della Parola, io aderisco al ministero della Parola; che io non acconsenta mai di trascurare questo bene. Questa vocazione io l'apprezzo e la gradisco, ne traggo più gioia che da tutte le altre cose messe insieme» (Oratio 6,5: SC 405,134; cfr anche Oratio 4,10). Il Nazianzeno era un uomo mite, e nella sua vita cercò sempre di fare opera di pace nella Chiesa del suo tempo, lacerata da discordie e da eresie. Con audacia evangelica si sforzò di superare la propria timidezza per proclamare la verità della fede. Sentiva profondamente l'anelito di avvicinarsi a Dio, di unirsi a Lui. È quanto esprime egli stesso in una sua poesia, dove scrive: tra i «grandi flutti del mare della vita, / di qua e di là da impetuosi venti agitato, / ... / una cosa sola m'era cara, sola mia ricchezza, / conforto e oblio delle fatiche, / la luce della Santa Trinità» (Carmina [historica] 2,1,15: PG 37,1250ss.). Gregorio fece risplendere la luce della Trinità, difendendo la fede proclamata nel Concilio di Nicea: un solo Dio in tre Persone uguali e distinte - Padre, Figlio e Spirito Santo -, «triplice luce che in unico / splendor s'aduna» (Inno vespertino: Carmina [historica] 2,1,32: PG 37,512). Quindi, afferma sempre Gregorio sulla scorta di san Paolo (1 Cor 8,6), «per noi vi è un Dio, il Padre, da cui è tutto; un Signore, Gesù Cristo, per mezzo di cui è tutto; e uno Spirito Santo, in cui è tutto» (Oratio 39,12: SC 358,172). Gregorio ha messo in grande rilievo la piena umanità di Cristo: per redimere l'uomo nella sua totalità di corpo, anima e spirito, Cristo assunse tutte le componenti della natura umana, altrimenti l'uomo non sarebbe stato salvato. Contro l'eresia di Apollinare, il quale sosteneva che Gesù Cristo non aveva assunto un'anima razionale, Gregorio affronta il problema alla luce del mistero della salvezza: «Ciò che non è stato assunto, non è stato guarito» (Ep. 101,32: SC 208,50), e se Cristo non fosse stato «dotato di intelletto razionale, come avrebbe potuto essere uomo?» (Ep. 101,34: SC 208,50). Era proprio il nostro intelletto, la nostra ragione che aveva e ha bisogno della relazione, dell'incontro con Dio in Cristo. Diventando uomo, Cristo ci ha dato la possibilità di diventare a nostra volta come Lui. Il Nazianzeno esorta: «Cerchiamo di essere come Cristo, poiché anche Cristo è divenuto come noi: di diventare dèi per mezzo di Lui, dal momento che Lui stesso, per il nostro tramite, è divenuto uomo. Prese il peggio su di sé, per farci dono del meglio (Oratio 1,5: SC 247,78). Maria, che ha dato la natura umana a Cristo, è vera Madre di Dio (Theotókos: cfr Ep. 101,16: SC 208,42), e in vista della sua altissima missione è stata "pre-purificata" (Oratio 38,13: SC 358,132, quasi un lontano preludio del dogma dell'Immacolata Concezione). Maria è proposta come modello ai cristiani, soprattutto alle vergini, e come soccorritrice da invocare nelle necessità (cfr Oratio 24,11: SC 282,60-64). Gregorio ci ricorda che, come persone umane, dobbiamo essere solidali gli uni verso gli altri. Scrive: «"Noi siamo tutti una sola cosa nel Signore" (cfr Rm 12,5), ricchi e poveri, schiavi e liberi, sani e malati; e unico è il capo da cui tutto deriva: Gesù Cristo. E come fanno le membra di un solo corpo, ciascuno si occupi di ciascuno, e tutti di tutti». Poi, riferendosi ai malati e alle persone in difficoltà, conclude: «Questa è l'unica salvezza per la nostra carne e la nostra anima: la carità verso di loro» (Oratio 14,8 de pauperum amore: PG 35,868ab). Gregorio sottolinea che l'uomo deve imitare la bontà e l'amore di Dio, e quindi raccomanda: «Se sei sano e ricco, allevia il bisogno di chi è malato e povero; se non sei caduto, soccorri chi è caduto e vive nella sofferenza; se sei lieto, consola chi è triste; se sei fortunato, aiuta chi è morso dalla sventura. Da' a Dio una prova di riconoscenza, perché sei uno di quelli che possono beneficare, e non di quelli che hanno bisogno di essere beneficati... Sii ricco non solo di beni, ma anche di pietà; non solo di oro, ma di virtù, o meglio, di questa sola. Supera la fama del tuo prossimo mostrandoti più buono di tutti; renditi Dio per lo sventurato, imitando la misericordia di Dio» (Oratio 14,26 de pauperum amore: PG 35,892bc). Gregorio ci insegna anzitutto l'importanza e la necessità della preghiera. Egli afferma che «è necessario ricordarsi di Dio più spesso di quanto si respiri» (Oratio 27,4: PG 250,78), perché la preghiera è l'incontro della sete di Dio con la nostra sete. Dio ha sete che noi abbiamo sete di Lui (cfr Oratio 40, 27: SC 358,260). Nella preghiera noi dobbiamo rivolgere il nostro cuore a Dio, per consegnarci a Lui come offerta da purificare e trasformare. Nella preghiera noi vediamo tutto alla luce di Cristo, lasciamo cadere le nostre maschere e ci immergiamo nella verità e nell'ascolto di Dio, alimentando il fuoco dell'amore. In una poesia, che è allo stesso tempo meditazione sullo scopo della vita e implicita invocazione a Dio, Gregorio scrive: «Hai un compito, anima mia, / un grande compito, se vuoi. / Scruta seriamente te stessa, / il tuo essere, il tuo destino; / donde vieni e dove dovrai posarti; / cerca di conoscere se è vita quella che vivi / o se c'è qualcosa di più. / Hai un compito, anima mia, / purifica, perciò, la tua vita: / considera, per favore, Dio e i suoi misteri, / indaga cosa c'era prima di questo universo / e che cosa esso è per te, / da dove è venuto, e quale sarà il suo destino. / Ecco il tuo compito, / anima mia, / purifica, perciò, la tua vita» (Carmina [historica] 2,1,78: PG 37,1425-1426). Continuamente il santo Vescovo chiede aiuto a Cristo, per essere rialzato e riprendere il cammino: «Sono stato deluso, o mio Cristo, / per il mio troppo presumere: / dalle altezze sono caduto molto in basso. / Ma rialzami di nuovo ora, poiché vedo / che da me stesso mi sono ingannato; / se troppo ancora confiderò in me stesso, / subito cadrò, e la caduta sarà fatale» (Carmina [historica] 2,1,67: PG 37,1408). Gregorio, dunque, ha sentito il bisogno di avvicinarsi a Dio per superare la stanchezza del proprio io. Ha sperimentato lo slancio dell'anima, la vivacità di uno spirito sensibile e l'instabilità della felicità effimera. Per lui, nel dramma di una vita su cui pesava la coscienza della propria debolezza e della propria miseria, l'esperienza dell'amore di Dio ha sempre avuto il sopravvento. Hai un compito anima, - dice san Gregorio anche noi -, il compito di trovare la vera luce, di trovare la vera altezza della tua vita. E la tua vita è incontrarti con Dio, che ha sete della nostra sete. [Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:] Saluto ora i pellegrini italiani. In particolare, le Suore Zelatrici del Sacro Cuore, che ricordano il 25° anniversario dell'approvazione pontificia. Care Sorelle, con ardente spirito missionario, proseguite nel servizio ai più bisognosi e dappertutto testimoniate in maniera concreta il Vangelo della speranza e dell'amore. Saluto, inoltre, i partecipanti alla Festa del pellegrino in onore di san Gabriele dell'Addolorata, augurando a ciascuno che la sosta presso le Tombe degli Apostoli sia per tutti incoraggiamento a un proficuo rinnovamento spirituale. Il mio pensiero va poi alle Famiglie e ai laici animatori vocazionali Rogazionisti. Cari amici, continuate con gioia e generosità nel vostro impegno in favore delle vocazioni di speciale consacrazione, secondo l'esempio e gli insegnamenti di sant'Annibale Maria Di Francia. Rivolgo infine, come di consueto, un cordiale saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Eleviamo lo sguardo verso il Cielo per contemplare lo splendore della Santa Madre di Dio, che quest'oggi la liturgia ci invita a invocare come nostra Regina. Cari giovani, ponete voi stessi e ogni vostro progetto sotto la materna protezione di Colei che ha donato al mondo il Salvatore. Cari malati, in attesa del ricupero della salute, pregateLa ogni giorno per ottenere la forza di affrontare con pazienza la prova della sofferenza. Cari sposi novelli, coltivate verso di Lei una devozione sincera, perché vi sia accanto nella vostra quotidiana esistenza. [© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana] San Gregorio Nazianzeno così commenta la festa del Battesimo del Signore, che oggi la Chiesa celebra a conclusione del tempo natalizio: “Cristo nel battesimo si fa luce, entriamo anche noi nel suo splendore; Cristo riceve il battesimo, inabissiamoci con lui per poter con lui salire alla gloria. *…+ Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto intero il cosmo. Vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati come il paradiso lo era per la spada fiammeggiante. *…+ Tutto è stato fatto perché voi diventiate come altrettanti soli, cioè forza vitale per gli altri uomini. Siate luci perfette dinanzi a quella luce immensa *…+, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio, proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore”. Cosa significa inabissarsi con lui per poter salire con lui nella gloria, se non entrare nella sua obbedienza, di cui parlavamo all’inizio di quest’anno? In forza di questa obbedienza, infatti, Cristo vide aprirsi i cieli che Adamo aveva chiuso con la sua disobbedienza per se e per tutti gli uomini. L’obbedienza è quella decisione della nostra libertà di appartenere a Dio e di consegnarci a Lui innanzitutto nella concezione della nostra vita, che dovrebbe essere vissuta tutta protesa a cogliere i segni della Sua volontà. “La concezione moderna della vita – studieremo nella Scuola di Comunità – mai si dimostra così lontana dallo Spirito di Cristo come in questo punto. Il criterio con cui la mentalità di oggi abitua a guardare l’avvenire fa centro il tornaconto, o il gusto, o la facilità dell’individuo. *…+ I giudizi nelle situazioni private e pubbliche, i consigli per ben vivere, gli ammonimenti o i rimproveri, tutto è detto da un punto di vista da cui è totalmente assente la devozione al tutto e la preoccupazione del regno, ed esiliata la realtà di Cristo. «Che cosa il tutto potrà darmi? Come ottenere il più possibile vantaggio da tutto?»: questi sono i criteri immanenti della saggezza più diffusa e del buon senso riconosciuto. Invece la mentalità cristiana travolge quelle domande, le contraddice, le mortifica, e rende gigante proprio l’imperativo opposto: «Come io potrò donarmi con quel che sono, servire di più al tutto, al regno, al Cristo?». Questo è l’unico criterio educativo della personalità umana come l’ha redenta la luce e la forza dello Spirito di Cristo” Ecco, per entrare nella luce di Cristo, nel suo splendore, bisogna inabissarsi nella sua obbedienza. Bisogna implorarla questa luce: come potrò servire al tutto, cioè a quella totalità che è Dio e il suo progetto sul mondo? Solo a chi grida così sarà data una risposta. Spesso noi ci lamentiamo di essere nelle tenebre perché non vediamo come possiamo realizzare i nostri progetti e i nostri sogni e pensiamo che la luce di Dio non sia altro che l’astuzia di cui abbiamo bisogno per uscire dal labirinto dentro il quale ci siamo cacciati. Mentre Dio non fa mancare mai la sua luce a coloro che desiderano compiere la Sua volontà. Sarà quella sufficiente per compiere ogni giorno il passo giusto, ma non mancherà mai. C’è una stretta connessione tra l’inabissarci nell’obbedienza di Cristo e l’entrare nel suo splendore, o almeno goderne di un raggio, quello necessario alla vita quotidiana. Quanta gente abbiamo visto che nella loro resa a Dio, nella vocazione, nella sofferenza, nella fatica per una utilità di bene per il mondo, sono diventati – come dice san Gregorio Nazianzeno – “come altrettanti soli, cioè forza vitale per gli altri uomini”! Anche noi possiamo essere “luci perfette” nell’obbedienza “a quella luce immensa”, della abbiamo ricevuto quel raggio necessario alla vita “proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore Il mistero della Trinità svelato progressivamente "Nel corso dei secoli, due grandi rivoluzioni hanno sconvolto la terra, le chiamiamo i due Testamenti. L’una ha fatto passare gli uomini dall’idolatria alla Legge; l’altra dalla Legge al Vangelo. Un terzo sconvolgimento è predetto: quello che dalla terra ci trasporterà in cielo, dove non c’è né movimento né agitazione. Questi due Testamenti hanno presentato lo stesso carattere. E quale? Quello di non aver trasformato tutto immediatamente dal primo inizio del loro apparire. E perché? Per non costringerci con la forza, ma per persuaderci. Perché ciò che è imposto non è duraturo, come accade quando si vuole fermare forzatamente il corso dei fiumi o la crescita delle piante. Invece quello che è spontaneo è più durevole e più sicuro. L’uno è subìto per forza, l’altro è voluto da noi. L’uno manifesta una potenza tirannica, l’altro ci mostra la bontà divina... L’Antico Testamento ha manifestato chiaramente il Padre, oscuramente il Figlio. Il Nuovo Testamento ha rivelato il Figlio e lasciato trapelare la divinità dello Spirito. Oggi lo Spirito vive in mezzo a noi e si fa conoscere più chiaramente. Sarebbe stato pericoloso predicare apertamente il Figlio quando la divinità del Padre non era riconosciuta; e, quando la divinità del Figlio non era ammessa, imporre - oso dire - come in soprappiù, lo Spirito Santo. In questa maniera i credenti, come persone appesantite da troppi cibi, o come coloro che fissano il sole con occhi ancora deboli, avrebbero rischiato di perdere ciò che invece avrebbero avuto la forza di portare. Lo splendore della Trinità doveva dunque brillare attraverso successivi sviluppi, o come dice Davide, «per gradi» (Sal 83,6) e con una progressione di gloria in gloria... Vedi come la luce ci viene a poco a poco. A nostra volta dobbiamo rispettare l’ordine in cui Dio si è rivelato a noi, non svelando tutto immediatamente e senza discernimento, senza tuttavia tenere nulla nascosto fino alla fine. Perché Il primo modo sarebbe imprudente, l’altro empio. L’uno rischierebbe di ferire i lontani e l’altro di allontanarci dai nostri fratelli. Voglio aggiungere ancora questa considerazione che forse è venuta in mente a molti, ma che mi sembra un frutto della mia riflessione. Il Salvatore conosceva certe realtà, ma riteneva i discepoli incapaci di portarle, nonostante l’insegnamento che avevano ricevuto; perciò le teneva nascoste. E ripeteva che lo Spirito, quando sarebbe venuto, avrebbe spiegato ogni cosa. Penso che tra queste verità ci fosse pure la divinità dello Spirito Santo: si sarebbe manifestata chiaramente in seguito, quando, dopo la risurrezione del Salvatore, gli animi sarebbero stati maturi per comprenderla." Gregorio Nazianzeno, Discorso 31, 25-27 Le Opere: Sermoni liturgici redatti per le principali festività tra cui la Pasqua, la Pentecoste, il Natale, l'Epifania. Discorsi d'occasione con vari elogi funebri come quello per sant'Atanasio, per l'amico san Basilio e per suoi famigliari, il padre, il fratello Cesario e la sorella Gorgonia. Altri concernono discorsi ufficiali agli imperatori o veri e propri manifesti catechetici. Discorsi teologici di cui ci sono pervenuti cinque scritti redatti tra il 379 e il 380. Questi testi sono tutti incentrati sulla definizione teologica della Trinità e andavano a combattere le varie eresie presenti al suo tempo. La ariana, che negava la divinità di Cristo. Quella degli Eunomiani per i quali il Cristo non ha la stessa essenza del Padre e dei Macedoniani che negavano la piena divinità dello Spirito Santo. In questi scritti Gregorio afferma l'unica natura delle tre Persone che vanno distinte solo per origine e rapporti reciproci. Epistolario con 245 lettere scritte tra il 383 e il 389 San Gregorio di Nazianzo detto "il Teologo" Può parlare di Dio solo chi si è sufficientemente purificato San Gregorio, nato a Nazianzo, una piccola città della Cappadocia, intorno al 330 fu Arcivescovo di Costantinopoli dal 379 al 381. Con Basilio il Grande e Gregorio di Nissa fa la triade dei Padri cappadoci della Chiesa. Essi si sono distinti per santità di vita e profondità di dottrina. Presentiamo in questa sezione un estratto dalle Orazioni di San Gregorio di Nazianzo sulla teologia. In un tempo difficile come il nostro, le parole del Nazianzeno sono una vivida luce in confronto alla quale la maggioranza delle pubblicazioni teologiche pare fitta nebbia. Non a tutti, miei cari, compete di parlare di Dio, non a tutti: non si tratta di una capacità che si acquista a basso prezzo né che appartiene a quanti procedono senza staccarsi da terra. Voglio aggiungere che non si può fare sempre, né davanti a tutti, né riguardo a ogni argomento, ma c'è un tempo opportuno, un uditorio opportuno e ci sono argomenti opportuni. Non compete a tutti, ma a quelli che si sono esercitati e hanno fatto progressi nella contemplazione, e che prima di tutto hanno purificato anima e corpo, o, più esattamente, li purificano. Chi non è puro non può senza pericolo venire a contatto con la purezza, come il raggio del sole non può senza danno raggiungere occhi malati. E quando lo può fare? Quando noi ci allontaniamo dal fango esteriore e dal disordine, e quando la parte direttrice che è in noi non viene confusa da immagini malvagie e deviate, come una bella scrittura mescolata a lettere di cattiva qualità, o un buon profumo mescolato al puzzo della melma. Bisogna realmente starsene liberi, infatti, per conoscere Dio, e "quando ci troveremo nella circostanza favorevole, giudicare" l'esattezza della teologia. Con chi bisogna parlarne? Con coloro dai quali l'argomento è affrontato con impegno e non come uno dei tanti argomenti inutili che con piacere si discutono dopo le corse dei cavalli, dopo gli spettacoli teatrali, dopo i canti, dopo aver accontentato il ventre e ciò che sta al di sotto del ventre: per queste persone è un piacere ciarlare su simili argomenti e mostrarsi abili nelle controversie. Su cosa dobbiamo meditare e in quale misura? Sulle cose a noi accessibili, e fin dove arrivano la disposizione e la capacità degli ascoltatori. Questo per evitare che, come i suoni e gli alimenti in eccesso danneggiano l'udito o i corpi o, se preferisci, come i carichi troppo pesanti affaticano chi li sostiene, o le piogge troppo impetuose devastano la terra, così anche chi ascolta, pressato e gravato dalle parti più consistenti, per così dire, dei discorsi, venga a perdere anche la forza che prima possedeva. E non dico che non bisogna ricordare affatto Dio non mi attacchino nuovamente quelli che sono proclivi e pronti a tutto! Infatti, bisogna ricordarsi di Dio più spesso di quanto respiriamo, e, se è possibile dirlo, non bisogna fare altro che questo. Anche io sono tra quelli che approvano le parole che prescrivono di "esercitarsi giorno e notte", di "raccontarlo a sera, al mattino e a mezzogiorno" e di "benedire il Signore in ogni circostanza"; se bisogna anche ripetere le parole di Mosè, "quando riposiamo a letto, quando ci alziamo e quando siamo in viaggio" mentre facciamo qualunque altra cosa, conformandosi alla purezza ricordandoci di Lui. Quindi io non vieto di ricordare Dio continuamente, ma di disputare su Dio; e non proibisco la teologia in quanto cosa empia, ma in quanto cosa inopportuna; io non proibisco l'insegnamento, ma la mancanza di misura. Riempirsi di miele fino a sazietà provoca il vomito, anche se si tratta di miele: allo stesso modo "per ogni cosa c'è il suo tempo", come sembra a Salomone e a me, e il bello non è più bello, quando non si produce in maniera bella, come il fiore che è in inverno è completamente fuori stagione, o come un'acconciatura maschile è inopportuna per le donne e una femminile lo è per gli uomini, o, ancora, come la geometria è inopportuna in un lutto e le lacrime in un banchetto. Non terremo in considerazione, dunque, il momento opportuno proprio laddove esso deve essere tenuto nella massima considerazione? (Orazione 27, II-IV) A cura de L’ Oasi di Engaddi Per la Vigna del Signore 2011 Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Mt. 10,8)