Scheda del libro “Ebraismo e modernità”

Scheda del libro “Ebraismo e modernità”
1.Hannah Arendt, Ebraismo e modernità,Feltrinelli,Milano, 2003
2. The Jew as Pariah: Jewish Identity and Politics in the Modern Age, New York, 1978
3. La traduttrice di questo libro è Giovanna Bettini, quella in mio possesso è la quinta edizione del testo edita
da Feltrinelli
4.L’argomento trattato è di carattere storico e affronta la questione ebraica rapportata al XX secolo
5.Il testo è un saggio storico diviso in capitoli scritti in differenti archi temporali
1. Nel testo la suddivisione in paragrafi è in qualche modo già impostata dal fatto che ogni capitolo sia in
realtà un articolo a sé scritto in un particolare momento storico. Nonostante ciò si possono individuare
ugualmente i principali blocchi tematici, che sono la critica che l’autrice propone contro il sionismo, l’analisi
delle cause e delle ipotetiche soluzioni di un nascente conflitto israelo-palestinese, un’ analisi della stessa
società ebraica, dei suoi componenti e delle cause che hanno portato all’antisemitismo, e un commento sulla
tragica situazione che si stava sviluppando in Germania e sull’operazione psicologica che il governo era
riuscito ad attuare.
2.La natura del movimento sionista è certamente una delle tematiche principali del libro e argomento di più
di un saggio presente nel testo. L’ autrice afferma che tale movimento ha avuto origine da due tipiche
ideologie europee del IXX secolo, il socialismo e il nazionalismo, e questo rappresentava un punto
abbastanza in comune per i movimenti politici nati in quell’epoca che riuscivano persino a fondere queste
due teorie. Ciò non accadde mai nel movimento sionista, che mantenne queste due anime divise, soprattutto a
causa del fatto che di questo gruppo facevano parte ebrei provenienti da diverse parti dell’europa. L’anima
socialista proveniente dall’Est Europa identificò la Palestina come luogo ideale per porre le basi alla
partecipazione ebraica nella lotta di classe da cui era stata esclusa. Giunta in Palestina questa frangia del
movimento perse la sua forza iniziale e intraprese un rapido declino anche di consensi che non potè che
influenzare l’andamento della storia dello stato di Israele. Le idee di Herzl presero il sopravvento e in
particolare le sue teorie sull’antisemitismo e sulle soluzioni per porvi termine. Proprio l’antisemitismo
rappresenta un’altra tematica molto importante affrontata dall’autrice. La Arendt critica le teorie di Herzl,
secondo cui l’antisemitismo era identificato come un fattore ineluttabile ed eterno: questa fu una
considerazione in quanto costituì un potente fattore ideologico che servì per arrivare alla creazione di uno
stato ebraico che poteva sembrare erroneamente così una vera terra promessa. Inoltre le autorità sioniste
negoziarono e intrapresero scambi commerciali con la stessa Germania nel periodo immediatamente
precedente alla guerra e questi quotidiani contatti resero più facile ai nazisti il compito di deportarli. V’era
infatti la convinzione che fosse negli stessi interessi dello stato tedesco far emigrare gli ebrei presenti nel
territorio, ma quando la guerra cominciò a prendere una piega negativa, per Hitler lo sterminio degli ebrei
divenne un elemento capace di creare in un certo senso unità nazionale e una sola ideologia razzista presente
in tutti i tedeschi che gli alleati non avrebbero potuto scalfire.Questo richiamo alla Germania di Hitler mi
permette di esporre un altro tema del testo che è quello della natura della popolazione tedesca negli anni
degli stermini; la propaganda tedesca e la sua politica nazionalistica riuscirono a creare un’unica nazione
nazista in cui non era possibile riconoscere esterne identità politiche, e in cui, facendo leva sugli aspetti più
vulnerabili della natura umana, si sono riusciti a ribaltare alcuni concetti chiave nel metro di giudizio anche
penale di una qualunque essere umano. Il governo tedesco riuscì a rendere un intero popolo parte del
massacro da esso ideato, senza effettivamente rendere le persone veri carnefici, ma facendo loro solamente
prendere parte a tutto ciò. Tutta questa parte di popolazione non può ritenersi colpevole in quanto la
colpevolezza presuppone la consapevolezza della colpa, che in questo caso evidentemente mancava data la
manipolazione che queste persone avevano subito. La maggior parte di questi si giustificò dicendo che stava
solo eseguendo ordini e questo è effettivamente vero: può essere condannato chi ha solo eseguito degli ordini
dello stato, è questo un crimine? Certamente no. Presero parte a questo massacro anche tutta una serie di
persone che nel testo vengono identificate come padri di famiglia che furono disposti a scendere a
compromessi con la loro coscienza e diventare burocrati del terrore pur di mantenere la loro famiglia in
modo dignitoso garantendo un futuro ai figli e una pensione alla loro vecchiaia; ebbene sono forse anche
questi colpevoli nel più comnune senso del termine? Per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese una
tematica fondamentale è senza dubbio quella che riguarda l’isonomia, un concetto che sta alla base della
filosofia politica di Hannah Arendt: è l'uguaglianza dinanzi la legge, la parità della propria presenza nello
spazio pubblico, e il riconoscere la reciprocità dei diritti che diventa il fulcro per una possibile soluzione del
conflitto. L’autrice sosteneva inoltre che la sopravvivenza dello stato ebraico fosse possibile solo in una
confederazione palestinese che si sarebbe potuta creare solo se sia la comunità ebraica che quella araba
fossero scese a compromessi con il loro orgoglio nell’interesse della Palestina, anche a livello economico ma
soprattutto a livello sociale. Infine notevole importanza assume nel testo la figura dell’ebreo pariah,
quell’elemento che ha deciso di staccarsi, ed è stato escluso dalla sua gente a causa di questa scelta, dal
popolo ebraico e le sue opprimenti tradizioni e ideologie. Di questa schiera fanno parte anche personalità
importanti quali Franz Kafka, Bernard Lazare e persino Charlie Chaplin. E’ al pariah che appartengono tutte
le vantate qualità ebraiche quali il cuore, l’intelligenza disinteressata e lo humor. Tuttavia la situazione di
questa tipologia di uomo è definita come la peggiore possibile: in quanto ebreo egli non verrà mai
completamente accettato da una società europea che possiede un’ antisemitismo diffuso, ma non verrà mai
più considerato dalla sua gente uno di loro, in quanto ha scelto di abbandonare le tradizioni millenarie del
suo popolo per arrivare ad altro.
3.Il libro “ebraismo e modernità” è sostanzialmente una raccolta di articoli scritti da Hannah Arendt in un
arco di tempo che va dal luglio del 1942 al gennaio del 1950; alla fine della narrazione è stato posto
dall’autrice uno scambio di lettere con Gershom Sholem del 1963, in cui si parla del libro “la banalità del
male”. Il testo si divide fondamentalmente in tre filoni tematici principali: il sionismo, la questione israelopalestinese e l’analisi della popolo ebraico con spiegazione delle cause dell’antisemitismo e finalità della
propaganda tedesca in Germania. E’ chiaro che in diversi di questi articoli oltre a un tema principale
vengono affrontati altri sottotemi o richiamate teorie meglio approfondite in altri scritti. La questione del
sionismo viene approfondita soprattutto negli articoli “ripensare il sionismo”e “Herzl e Lazare”. L’analisi
delle caratteristiche e delle distinzioni nel popolo ebraico viene fatta in “la morale della storia” , “noi
profughi” e “ritratto di un periodo”; il tragico prodotto della politica ideologica tedesca viene brillantemente
esposto in “colpa organizzata e responsabilità universale”. Per quanto riguarda la questione israelopalestinese, questa viene affrontata in tutti gli ultimi articoli, addirittura sei; Hannah Arendt affronta la
questione in maniera chiara e approfondita, mostrandoci come già negli anni immediatamente successivi alla
seconda guerra mondiale e addirittura in quelli precedenti, la questione fosse spinosa e meritevole di una
particolare attenzione.
4. Personalmente ritengo che il principale obiettivo dell’autrice, che cerca di perseguire anche attraverso
questo libro, sia quello di cercare di mettersi in una posizione critica rispetto alle posizioni prese dal governo
del popolo ebraico, cercando di essere precisa e esauriente per arrivare a un duplice risultato: che l’ opinione
pubblica ebraica cerchi di affrontare le sue posizioni in maniera critica e obiettiva, senza pregiudizi dovuti al
fatto che la stessa autrice abbia avuto il coraggio di criticare determinate scelte, e che d’altra parte anche il
resto dell’opinione pubblica internazionale possa meglio comprendere, e quindi prendere una posizione
consapevole, nelle più spinose questioni che riguardano il popolo ebraico. Partendo da questa considerazione
risulta poi evidente la presenza di altri sotto obiettivi che a mio parere l’autrice cerca di perseguire in
funzione di qualcosa di superiore. Certamente è un suo intento affermare l’isonomia, concetto che sta alla
base della sua filosofia politica e che ritiene indispensabile da applicare nell’ambito del conflitto araboisraeliano; cerca di affrontare la questione della colpa del popolo tedesco e della loro posizione rispetto alla
legge; ci espone con chiarezza la questione del sionismo, partendo dalla sue origine e mostrando le pieghe
che ha preso col tempo, raggiungendo così l’obiettivo di farci comprendere con più chiarezza l’anima che
governa lo stato ebraico e infine ci mostra anche l’evoluzione del pensiero ebraico nei secoli e la nascita di
nuovi elementi sociali partoriti da questo popolo.
5.Il capitolo che ho scelto di approfondire è “Colpa organizzata e responsabilità universale”. Possiamo
dividere questo capitolo fondamentalmente in due parti; nella prima parte l’autrice ci descrive il clima
politico che vigeva nella Germania nazista e le condizioni che hanno permesso quello che sarebbe accaduto
negli anni successivi; introduce quindi la questione delle colpe, arrivando ad affermare che non è in realtà
colpevole chi è stato portato a fare certe azioni in modo inconsapevole; si dedica poi all’esposizione del caso
dei padri di famiglia tedeschi, che portati alla disperazione, sono stati capaci di scendere a compromessi con
la propria coscienza per mantenere uno stile di vita decoroso per sé e per la loro famiglia. Da qui l’autrice
prende spunto per approfondire la questione delle politiche di massa. La seconda parte è sostanzialmente una
riflessione generale sul genere umano, sull’idea di umanità, che nel testo viene definita la sola garanzia che
le “razze superiori” di ogni tempo possono non sentirsi obbligate a seguire la “legge naturale” del diritto del
più forte e a sterminare “le razze inferiori che non sono degne di sopravvivere, e sulla paura che l’umanità
deve avere di se stessa. Personalmente ho deciso di analizzare questo capitolo perché l’ ho trovato uno dei
più interessanti e ricchi di spunti che effettivamente risultano tuttora attuali. Mi ha particolarmente
affascinato la teoria della Arendt sull’effettiva colpa del popolo tedesco nell’ambito degli stermini di massa;
l’analisi che viene svolta su questo determinato caso è assolutamente brillante e molte delle considerazioni
che vengono fatte mi trovano pienamente d’accordo. Indubbiamente la colpa deve implicare anche la
consapevolezza di essa ed è chiaro che questo elemento era quasi totalmente assente nel popolo tedesco, un
popolo la cui unica colpa secondo la Arendt è stata quella di aver obbedito al proprio Stato, e questa non può
essere certamente imputabile ai cittadini. Assolutamente veritiere ho trovato le riflessioni fatte sulla
questione dei padri di famiglia e la conseguente manipolazione psicologica che venne loro inferta. Questa è
sicuramente una questione che sento particolarmente vicina, perché va a colpire quella sfera della normalità
che spesso viene trascurata. Il buon padre di famiglia potrebbe veramente essere chiunque e la
consapevolezza di ciò infonde una incosciente paura di fondo nell’uomo moderno. Sapere che una
manipolazione come quella che venne fatta dal governo tedesco è stata incentrata proprio sull’elemento più
comune della società è in sé qualcosa di sconcertante, perché ci permette di pensare che noi stessi potremmo
esserne vittima. Sapere che un entità che dovrebbe essere garante dei cittadini potrebbe, in maniera più o
meno diretta, arrivare a ricattare, in un certo senso, il cittadino stesso per renderlo complice dei suoi crimini è
una consapevolezza che può seriamente ledere alla salute delle persone; non è un caso che , come sottolinea
l’autrice, in Germania molti abbiano sentito il bisogno di suicidarsi dopo essersi resi conto di ciò che era
effettivamente successo. Per quanto riguarda l’ultima parte del capitolo, ho particolarmente apprezzato la
riflessione che l’autrice fa sulle cause della diffusione della dottrina della razza. Il fatto che gli uomini si
siano rifugiato in tutto ciò per non assumersi la responsabilità dei crimini commessi da loro stessi e che le
nazioni si siano comportate nello stesso modo è qualcosa di estremamente pericoloso: un ragionamento di
questo tipo non ha fatto altro che portare l’uomo ai suoi livelli più bassi di umanità, a metterlo addirittura su
un piano inferiore a quello di un animale, perché lo ha portato ad agire in un determinato modo con una
macabra lucidità. Lo ha portato a compiere uno degli atti più spaventosi della storia umana, dopo che alti
ideali erano stati celebrati il secolo appena precedente. L’uomo ora ha giustamente paura di questo, ha paura
di se stesso, perché ha visto di cosa è capace di produrre in particolari momenti storici. Il fatto che
avvenimenti di questo tipo siano avvenuti in un momento storico segnato da un certo clima di crisi non è
secondario; non è secondario anche il fatto che personalità di un certo tipo si siano potute diffondere più
facilmente in certe zone piuttosto che in altre. Nel recente passato c’è una grande lezione: non lasciarsi
trascinare nel buio anche se non si riesce a vedere la luce, e soprattutto non comprarsi la sua luce vendendo
la propria dignità, e questo non dovrebbe mai essere dimenticato.
Andrea Cinti