INTRODUZIONE Lo sviluppo teatrale del Novecento

INTRODUZIONE
Lo sviluppo teatrale del Novecento
1. Negli anni che segnano il passaggio tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del
nuovo secolo, la vita teatrale europea fu caratterizzata da una grande ricchezza di
iniziative e da una notevole vivacità intellettuale che produsse come risultato
profondi mutamenti nel mondo della scena.
È significativo il fatto che tali iniziative di sperimentazione e di ricerca siano
sorte in anni assai vicini in ambienti culturali molto diversi e distanti, dimostrando
un’esigenza di cambiamento che accomuna paesi lontani dal punto di vista sociale e
storico. Questa simultaneità di nuove esperienze testimonia un rapporto attivo e
proficuo tra intellettuali, autori e poeti di varie nazioni, che si riconoscono in una
comune istanza di innovazione che intuisce con un anticipo di qualche decennio la
crisi del sistema economico-sociale e politico della borghesia europea, che il
conflitto mondiale del 1914 renderà evidente. Il prolungato periodo di pace che
precede la prima guerra mondiale aveva favorito un notevole progresso scientifico e
tecnico, e una vivace circolazione delle idee tra i diversi stati europei.
Nei testi teatrali e in quelli teorici scritti in questo periodo, l’elemento comune
che si manifesta in modo più evidente è la violenta reazione antinaturalistica che
veicola una più profonda contestazione dei modelli sociali e morali espressi dalla
società della Belle Époque con il rifiuto della società borghese che già si esprimeva
nell’Ubu Roi di Jarry (1896), opera antesignana del rinnovamento teatrale del
Novecento, anche se questo testo costituisce una sorta di problematica anticipazione
delle strade che percorrerà in seguito il teatro1.
La geniale trovata di Jarry, la creazione di un personaggio che non è un uomo
ma un fantoccio parodistico ed eccessivo, inaugura una tendenza che toglie
all’individuo contemporaneo, al borghese razionale, il primato della scena
affidandolo invece alla marionetta, alla maschera2.
L’insofferenza anti-borghese caratterizza d’altronde tutte le opere teatrali
rivoluzionarie di questo periodo; decisamente e scandalosamente anti-borghese è la
prima opera di Wedekind che già nel 1891, con Risvegli di primavera, sconvolse il
pubblico tedesco, sferrando un violento attacco al principio di autorità con una
rappresentazione centrata sui problemi dell’adolescenza e del sesso, tematica che gli
procurò non pochi guai con la censura3.
D’altra parte, tutto il teatro espressionista, di cui Wedekind è uno dei principali
esponenti, si configura come una disperata reazione contro la crescente asfissia dello
spirito che la moderna civiltà induce in tutti i suoi membri.
1
È noto che l’opera scritta da Alfred Jarry a soli quindici anni, esprime il violento fermento
antiborghese che si manifesta nel cuore della società trionfante di quel periodo svelando una giovanile
esigenza di dissacrare gli ideali, i pregiudizi e i valori di questa società, collocandosi a metà strada tra
il teatro d’arte e il lazzo. Ubu diventerà il simbolo di una spinta alla liberazione che ogni uomo porta
dentro di sé.
2
Non dimentichiamo che Ubu Roi nella sua prima versione era destinato al teatro di marionette.
3
Cfr. Doglio Federico, Teatro in Europa, III, Milano, Garzanti, 1989, pp. 727-728
1
L’esperienza espressionista produrrà effetti dirompenti e non solo a livello
tematico: la tendenza verso l’assoluto, l’essenziale, che caratterizza quest’arte,
porterà alla condensazione e alla semplificazione. Seguendo un percorso che si
allontana dagli aspetti fenomenici per inseguire l’astrazione, gli autori espressionisti
incentreranno i propri drammi su personaggi che non sono individui bensì caratteri
generali, talvolta caricature o burattini; la tendenza all’uso di nomi generici è
funzionale a questa cancellazione del soggetto individuale dalla scena.
Non si può negare tuttavia che il rifiuto della modalità di rappresentazione
ottocentesca costituisse una posizione adottata anche da scrittori molto diversi, che
operavano all’interno di un teatro più tradizionale. Un esempio può essere costituito
dall’opera di Yeats il cui teatro simbolico e rituale, ambientato nell’Irlanda
medievale, rifugge dalla rappresentazione mimetica, essendo l’autore convinto che
“ogni deviazione verso il realismo coincide con un declino dell’energia
drammatica”4. La posizione del poeta irlandese, nemico della meticolosità della
rappresentazione verista di interni -si oppose decisamente, ad esempio, all’uso delle
scene dipinte-, e sostenitore del primato della parola nello spettacolo teatrale, si può
ricondurre alla lezione simbolista. E al simbolismo bisogna indubbiamente risalire
per comprendere il filo rosso che percorre tutto il teatro del Novecento e che lo lega
strettamente alla traiettoria seguita dalla poesia di questo secolo5. Se la poesia,
secondo i dettami simbolisti, non è più rappresentazione o descrizione del reale ma
rivelazione e al contempo ricerca e decifrazione, il teatro percorre un cammino
analogo addentrandosi in uno spazio metafisico, il cui difficile accesso riduce
drasticamente il pubblico, avviando un processo che porta l’arte, tutte le arti, a
diventare estremamente elitarie e, in una certa misura, impopolari.
D’altra parte, anche il teatro russo, fortemente radicato nel naturalismo -vedi
gli allestimenti del Teatro d’Arte di Mosca- supera quest’impostazione e subisce il
fascino del simbolismo; tant’è che, pur mantenendosi ancorato a tematiche di forte
impegno sociale, si orienta verso la ricerca di nuovi moduli espressivi6.
Pertanto, prima che la scena culturale europea venisse sconvolta dall’impatto
dirompente delle avanguardie storiche, portatrici di un messaggio ricco di contenuti
orientati verso la dissacrazione anti-borghese -non esente talvolta da un giocoso
vitalismo giovanile alla ricerca di un’estetica antitradizionale-, diverse personalità
operanti nel mondo dello spettacolo teatrale avevano intrapreso un cammino di
profonda trasformazione. Diversi fattori, talvolta d’indole assai disparata,
contribuirono a questo rinnovamento che, pur nella diversità degli esiti, prese la via
di un distacco deciso dal mimetismo realista, nel tentativo di giungere ad una più
profonda consapevolezza dell’evento teatrale. La valutazione degli elementi non
verbali del teatro e la percezione dell’opera come spettacolo, e non solo come testo,
costituiscono due nodi fondamentali attorno a cui si raccolsero le esperienze di tutti
coloro che si avvicinarono ad una pratica teatrale innovativa.
Alcune significative acquisizioni incisero in maniera determinante sul mondo
della scena: le nuove tecniche di costruzione, l’uso dell’illuminazione elettrica, i
4
Roberto Sanesi, “Introduzione” a W.B. Yeats, Drammi celtici, Guanda, Parma, 1963, p. XIII.
Ricordiamo che il Théâtre d’Art fondato nel 1890 da Paul Fort fu inaugurato al grido di “Vive
Mallarmé! Vive le symbolisme!”.
6
Cfr. F. Doglio, op. cit., p. 761 e ss.; Cesare Molinari, Storia del teatro, Bari, Laterza, pp. 243-263.
Lo stesso Stanislavskij supera il proprio modulo naturalistico originario ed accoglie le suggestioni
simboliste.
5
2
progressi delle macchine teatrali, mutarono decisamente e profondamente la base
materiale dello spettacolo provocando ripercussioni profonde e sostanziali sui modi
di rappresentazione, su quanto veniva messo in scena e, fattore di non minore
importanza, su come lo spettacolo veniva percepito dal pubblico7.
Non a caso i principali rinnovatori del teatro del Novecento furono i grandi
registi, che solo nel periodo che stiamo esaminando assumono una propria identità,
facendo balzare in primo piano un ruolo che tradizionalmente era affidato ad attori e
capocomici8.
Tralasciando le esperienze di Paul Fort e Lugné-Poe (veri e propri pionieri
della regia) è d’obbligo menzionare il contributo di Adolphe Appia e Gordon Craig.
Entrambi, seppur con fondamentali differenze, misero l’accento sull’importanza
della rappresentazione, sul testo spettacolare nettamente distinto dal testo letterario:
se per Appia il nodo fondamentale dello spettacolo è costituito dall’attore, al cui
servizio deve essere concepita la scenografia e in particolare l’illuminazione, tesa a
far emergere dagli oggetti il loro significato più recondito, per Craig tutti gli elementi
costitutivi dello spettacolo assumono importanza, anche se nella forma architettonica
della scenografia sembra risiedere il nucleo della sua concezione. Questo geniale
riformatore considerava che il teatro era stato troppo a lungo soffocato dalla parola e
auspicava un ritorno alle origini, una ricerca delle radici dell’evento teatrale che egli
individuava nella danza. Al movimento e al ritmo, secondo Craig, bisognava
subordinare la parola, rispondendo all’esigenza del pubblico per il quale è più
importante vedere piuttosto che sentire.
Questa linea di rinnovamento, che valuta gli elementi non verbali del teatro,
viene proposta dalla prima delle avanguardie storiche, il Futurismo, che nel
Manifesto del teatro di varietà si scaglia contro la scena contemporanea che, secondo
i redattori, “ondeggia stupidamente tra la ricostruzione storica (zibaldone e plagio) e
la riproduzione fotografica della nostra vita quotidiana; teatro minuzioso, lento,
analitico e diluito, degno tutt’al più dell’età della lampada a petrolio”9.
Il richiamo alla modernità, al dinamismo, alla velocità, caratteristico di questo
movimento, permea il manifesto citato, che sottolinea il valore attribuito alla
comicità, alla caricatura e alla maschera. Il futurismo coglie il valore gestuale del
teatro, forse mosso proprio dal suo inseguire la velocità e la sintesi10.
D’altra parte il maggior contributo creativo dato dal Futurismo al teatro
europeo è dovuto al talento scenografico di alcuni artisti del gruppo11. In particolare
va ricordato Enrico Prampolini che, nel suo manifesto La scenografia futurista
(1915), postulava un’azione teatrale intesa come coreografia pura, uso di elementi
7
L’impiego dell’energia elettrica, ad esempio, permise di mantenere la sala completamente al buio,
concentrando l’illuminazione sullo scenario e avvolgendo così gli spettatori in quella sorta di “golfo
mistico” auspicato da Wagner, il quale attribuì una valenza metafisica a questa situazione impensabile
prima dell’avvento dell’elettricità. Cfr. F. Doglio, op. cit., p. 737.
8
Cfr. Fabrizio Cruciani - Clelia Falletti, ed., Civiltà teatrale nel XX secolo, Bologna, Il Mulino, 1986,
pp. 35 e ss.
9
Cfr. Sipario, dicembre 1967, n. 260, pp. 4-6.
10
Cfr. Lia Lapini, Il teatro futurista italiano, Milano, Mursia, 1997; A.A.V.V., Il teatro degli anni
venti, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Istituto Internazionale per la ricerca teatrale
(Venezia, 1984), Roma, Bulzoni, 1987; Anna Barsotti, Futurismo e avanguardie nel teatro italiano
fra de due guerre, Roma, Bulzoni, 1987; Franca Angelini, Teatro e spettacolo nel primo novecento,
Bari, Laterza, 1997.
11
Cfr. F. Angelini, op. cit., pp. 184 e ss. e F. Doglio, op. cit., pp. 784-786.
3
architettonici e cromatici che suscitano nello spettatore sensazioni e che esprimono lo
stato psichico richiesto dalla scena rappresentata. Il futurismo si inserisce quindi nel
movimento di rinnovamento teatrale dei primi decenni del Novecento apportando il
proprio contributo nel trasformare lo spazio scenico da spazio fisico a spazio
metafisico12.
Ad orientare molti uomini di teatro verso la riflessione intorno alle questioni
del gesto e del ritmo come elementi fondanti dell’evento teatrale, contribuì l’enorme
risonanza che ebbero in tutta l’Europa i balletti russi di Diaghilev il quale, grazie ad
un grande intuito spettacolare e commerciale, favorì la diffusione di un nuovo modo
di concepire la danza. La collaborazione con grandi artisti figurativi -Picasso,
Matisse, Delaunay, Chagall- e musicisti -Satie, Stravinskij- nonché la visione della
danza come mezzo d’espressione totale, fecero del balletto un tipo di spettacolo che
utilizzava linguaggi e registri di comunicazione diversi, per trasmettere al pubblico
una creazione ricca di contenuti emotivi, avvalendosi della ridondanza come mezzo
di strutturazione poetica.
L’intento era quello di arrivare ad un’arte completa, totale, che si rivolgesse ad
uno spettatore capace di percepire attraverso la vista e l’udito, ma anche disposto a
lasciarsi travolgere dalle emozioni suscitate dalla musica, dalla scenografia e dai
costumi, non finalizzati a puro e semplice abbellimento, ma intimamente correlati
all’espressione di un’azione drammatica che semantizza ogni elemento dello
spettacolo. È l’operazione che nel 1917 compie Cocteau con lo spettacolo Parade
che raccoglie le suggestioni del balletto russo.
Guillaume Apollinaire si sofferma proprio su questa ricerca di un’unità del
linguaggio scenico, scrivendo nel programma di sala:
…questa alleanza di pittura e di danza, di plastica e di musica che è il segno
dell’avvento di un’arte più completa. […] Da questa nuova alleanza, perché
finora gli arredi e i costumi da una parte, la coreografia dall’altra non avevano
che un legame fittizio fra loro, risulta, in Parade, una sorta di surrealismo
donde parte una serie di manifestazioni di questo Spirito Nuovo[…].13
Tale concezione totalizzante della rappresentazione teatrale è frequente nei
manifesti futuristi, come si è già osservato, senza essere affatto patrimonio esclusivo
di questo movimento, e si basa a mio avviso sull’esigenza, chiaramente intuita, di
riavvicinare la poesia al teatro utilizzando tutti i mezzi a disposizione per esprimere
l’idea dell’autore -o per interpretarla- dando un senso alle diverse componenti della
rappresentazione. Questo orientamento, che affonda le sue radici nella poesia
simbolista, è una costante di tutto il teatro del novecento che attraverso la pratica
della regia moltiplica le possibilità espressive del testo letterario.
Apollinaire, antesignano del teatro d’avanguardia, -il suo dramma Les
Mamelles de Tirésias (scritto nel 1903 e rappresentato nel 1917) viene da lui stesso
definito “drame surréaliste”- anticipa una tendenza condivisa da numerosi autori
appartenenti a diversi movimenti, sostenendo la necessità di un ritorno al teatro
concepito come rito; egli auspica pertanto un recupero del teatro antico che consenta
l’espressione di una profonda verità poetica.
12
13
F. Angelini, op. cit., p. 178.
Cito da F. Angelini, op. cit., p. 129.
4
Come è noto, il rapporto del surrealismo con il teatro fu alquanto problematico:
Breton in varie occasioni espresse le sue riserve o la sua indifferenza verso la
scena14. La necessità dell’autore drammatico di sdoppiarsi, di indossare una
maschera, di diventare un altro, si scontrava contro l’esigenza di scandagliare le
profondità interiori, di ricercare l’unità fondamentale dell’individuo che si proponeva
questo movimento e per tale motivo Breton rifiutò la dissociazione insita nella
creazione del personaggio15.
È probabile che questa fondamentale incompatibilità con l’arte drammatica sia
alla base dell’espulsione dal surrealismo di due artisti che invece si erano dedicati
con grande passione al teatro: Roger Vitrac e Antonin Artaud. Quest’ultimo, dopo
molti anni di pratica teatrale, in Le Théâtre et son double (1935) raccoglie e
attribuisce forma definitiva a una serie di istanze intorno alle quali, già dalla fine
dell’ottocento, vari riformatori avevano incentrato la loro attività.
In questo testo fondamentale è possibile trovare tutti i filoni attorno a cui ha
operato il rinnovamento teatrale, non solamente fino agli anni trenta, ma anche in
seguito per tutto il secolo: l’importanza del significato rituale16 del teatro e il ruolo di
primo piano attribuito al regista -che deve utilizzare non solo le parole, come
l’autore, ma una serie di segni che strutturino un verbo poetico che abbia come fine
ultimo la verità- sono gli aspetti fondamentali della teorizzazione di Artaud17.
Nonostante l’estremismo, e la difficile realizzazione di alcune posizioni, è
innegabile l’influenza di Artaud su alcune prestigiose personalità del teatro francese
contemporaneo come Jacques Copeau, Gaston Baty, Louis Jouvet e Jean Louis
Barrault.
Accanto alle intuizioni artaudiane, che sembrano orientate verso un teatro tutto
esteriore, che escluda l’interiorità dell’individuo e lo scandaglio psicologico,
confluiscono nel teatro dei primi decenni del novecento le acquisizioni della
psicanalisi e la scoperta dell’inconscio; la crisi della ragione, e l’ondata di antiintellettualismo che ne consegue, porta il proprio contributo a una percezione
frammentaria dell’individuo, che sfocia frequentemente nella constatazione
dell’assurdità dell’esistenza. La realtà non appare all’artista del Novecento come una
materia strutturata, bensì come una pluralità disarmonica che i vecchi modi di
rappresentazione non riescono a formalizzare. Da questa percezione destrutturata
deriva probabilmente l’uso del collage, ampiamente frequentato da varie espressioni
artistiche del secolo, sia letterarie che figurative18.
Nell’evoluzione teatrale del XX secolo pertanto si ravvisa una costante ricerca
di nuovi modelli espressivi che procede in sintonia con i mutamenti dell’arte in
14
Nel romanzo Nadia, Breton riferisce di uno spettacolo che lo aveva colpito: “Les Détraquées, che
resta e resterà a lungo il solo lavoro drammatico (voglio dire: fatto unicamente per la scena) del quale
io voglia ricordarmi”. Del dramma, che apparteneva al genere del Grand Guignol, Breton
indubbiamente apprezzò l’ambigua crudeltà e la rappresentazione di turpi passioni inconfessabili,
decisamente sanzionate dalla critica borghese. Cfr. Ivos Margoni, ed., André Breton e il surrealismo,
Milano, Mondadori, 1976, pp. 320-327.
15
Cfr. F. Doglio, op. cit., pp. 791-792.
16
Artaud fu profondamente colpito dal teatro balinese -insieme di mimica, danza, musica- ricco di
contenuti culturali e spirituali e non umiliato dalle motivazioni commerciali. Cfr. A. Artaud, Il teatro e
il suo doppio, Torino, Einaudi, 1968, p. 144.
17
Cfr. la brillante sintesi del rinnovamento proposto da Artaud in César Oliva- Francisco Torres
Monreal, Historia básica del arte escénico, Madrid, Cátedra, 1997, pp. 386-391.
18
Cfr. Saúl Yurkievich, A través de la trama, Barcelona, Muchnik Editore, 1984, pp. 58-73.
5
generale e dei rapporti tra artista e società dovuti agli eventi storico-sociali che
sconvolgono il periodo; tale rinnovamento prende le mosse dal simbolismo e in esso
confluiscono esperienze culturali, scientifiche e artistiche a cui le avanguardie
storiche contribuiscono con la spinta eversiva delle proprie estetiche.
2. Che cosa avveniva sulle scene spagnole mentre il teatro stava mutando in
modo così radicale in Francia, in Italia, in Germania, in Russia? In che modo e
attraverso quali canali il rinnovamento teatrale è andato penetrando in Spagna? Con
quali risultati? Quale atteggiamento adottarono verso le novità gli scrittori, i critici,
gli impresari, il pubblico?
In anni recenti molti studiosi hanno cercato di trovare risposte a queste
domande e di fare chiarezza attorno ad alcune contraddizioni evidenti che riguardano
il teatro in Spagna nei primi decenni del Novecento, mettendo in luce aspetti
dimenticati o sfatando luoghi comuni attorno a un periodo durante il quale il ruolo
del teatro viene definito, talvolta in modo troppo affrettato, come secondario19.
In un periodo che, per la ricchezza della produzione letteraria, ha fatto rivivere
i fasti del secolo aureo, meritando la denominazione di Edad de Plata, sorprende la
scarsità di figure di rilievo nell’ambito teatrale. Accanto ad numero notevole di poeti
di primo piano, gli autori teatrali sembrano occupare una posizione ancillare. Inoltre,
i drammaturghi di maggior valore, coloro che oggi riteniamo i principali esponenti
del teatro della prima metà del secolo, erano quasi completamente ignorati dal
mondo teatrale: o non rappresentavano affatto le loro opere o le mettevano in scena a
fatica, andando incontro a clamorosi insuccessi.
Gli intellettuali spagnoli, sempre attenti a quanto avveniva nel mondo culturale
al di là dei Pirenei, erano perfettamente coscienti di un problema che si manifestava
sotto due aspetti: da una parte, la maggioranza degli spettacoli teatrali che venivano
rappresentati in Spagna presentavano un basso profilo qualitativo e, dall’altra, si
rilevava una scarsa presenza di iniziative di rinnovamento.
I primi tentativi di percorrere nuove strade, che risalgono ai primi anni del
secolo, furono destinati al fallimento: non mancarono le iniziative o i progetti, ma
venne meno la capacità di trasformarli in realizzazioni efficaci20.
Che l’assenza di proposte rinnovatrici sia un luogo comune da sfatare, è
dimostrato da alcuni studi recenti che mettono in evidenza come fosse presente e
diffusa la consapevolezza di una decadenza delle formule drammatiche ottocentesche
e fosse sentita la necessità di cercare delle alternative anche all’interno del pensiero
regeneracionista21.
19
In particolare sono da ricordare le iniziative del C.S.I.C. e il progetto di ricerca Teatro y Sociedad:
Nuevos enfoques críticos para una historia del teatro en Madrid entre 1900 y 1936, finanziato dalla
Dirección General de Enseñanza Superior del Ministerio de Educación y Cultura.
20
Cfr. J. A. Hormigón, “Propuestas teatrales para un tiempo de crisis” in Jesús Rubio Jiménez, ed., La
renovación teatral española de 1900, Publicaciones de la Asociación de Directores de Escena de
España, Madrid, 1998, p. 16.
21
Cfr. A.A.V.V., Teatro y pensamiento en la regeneración del ’98, Madrid, Fundación Pro-Resad,
1998.
6
In un saggio del 1984, Dru Dougherty22 mette a fuoco alcune fondamentali
contraddizioni del teatro degli anni venti: in primo luogo lo studioso fa rilevare la
coscienza diffusa, tra gli intellettuali più illuminati, della profonda crisi in cui era
caduta la scena spagnola. Critici e scrittori notavano con rammarico il divario che si
era aperto tra gli orientamenti europei e ciò che avveniva in Spagna. Ricardo Baeza,
sulle pagine di El Sol, giudicava il teatro spagnolo inferiore non solo in confronto a
quello europeo, ma anche rispetto alle altre manifestazioni artistiche nazionali.
Si assiste a una frattura evidente fra coloro che, sensibili agli sviluppi dell’arte
e della cultura contemporanea, rilevano l’arretratezza degli spettacoli teatrali, la
reiterazione sulle scene spagnole di formule drammaturgiche scontate e, per contro,
un numero ristretto di autori che, soddisfatti dell’applauso del pubblico e dei notevoli
proventi che il successo di cassetta procurava loro, negavano l’esistenza della pretesa
crisi teatrale sbandierata da critici e giornalisti. L’affermazione sincera e un po’
ingenua di Benavente -“Ganamos más que nunca”- rende evidente la profonda
contraddizione a cui va incontro lo spettacolo teatrale, per sua stessa natura molto più
dipendente da questioni economiche rispetto ad altre forme artistiche.
La preferenza accordata dal pubblico al teatro comico aveva scatenato a partire
dal 1917 una campagna di stampa contro questo tipo di spettacolo e in particolare
contro le “astracanadas” di Pedro Muñoz Seca, definite da Tomás Borrás, un “género
cuadúpedo”23 che si propone come unico scopo quello di arricchire il proprio autore.
In questo dibattito intervengono personaggi illustri come Manuel Machado il
quale difende il teatro comico che per lo meno ha il merito di regalare un’ora di
risate, mentre sulle scene spesso si rappresenta un teatro che pretende di essere
culturale e invece è solo noioso e pedante. Non è colpevole il teatro comico di rubare
pubblico a quello serio bensì è il teatro ritenuto colto responsabile
dell’allontanamento degli spettatori da spettacoli vuoti e noiosi, ricoperti di “un vago
barniz literario”24.
La questione economica fu ampiamente dibattuta dalla stampa; era innegabile
che il pubblico accordasse le proprie preferenze agli autori “consagrados” Benavente, Muñoz Seca, Arniches- e che questo scoraggiasse gli impresari dal
lanciarsi in allestimenti rischiosi dal punto di vista economico. Le spese elevate che
l’impresario doveva sostenere, lo spingevano a mantenere alti i prezzi dei biglietti, il
che si rivelò controproducente quando il cinema cominciò a rappresentare una valida
concorrenza.
In assenza di un intervento ufficiale di sostegno che liberasse il teatro dalla
dittatura del guadagno, gli unici spazi praticabili, quantomeno fino all’avvento della
Repubblica, per coloro che volevano percorrere strade meno battute, furono i “teatros
íntimos”25, i teatri da camera. Seguendo la linea inaugurata da Adriá Gual a
Barcellona con il suo Teatre Intim, sorsero a Madrid alcune iniziative che
22
Dru Dougherty, “Talía convulsa: la crisis teatral de los años 20” in Robert Lima, Dru Dougherty,
Dos ensayos sobre el teatro español de los 20, Cuadernos de la Cátedra de Teatro, Universidad de
Murcia, 1984, pp. 87-155.
23
Cfr. La Tribuna, 12, II, 1917.
24
Manuel Machado, “Los estrenos. Comedia”, El Liberal, 1, II, 1917.
25
Non bisogna dimenticare tuttavia il lavoro svolto da Gregorio Martínez Sierra come direttore del
teatro Eslava di Madrid, dal 1917 al 1925; egli seguì una politica di apertura all’innovazione del teatro
europeo attraverso la proposta di opere straniere in traduzione ed avvalendosi di notevoli collaboratori
nel campo della scenografia come l’uruguaiano Barradas, l’italiano Mignoni e il tedesco Burmann.
7
raggruppavano uomini di teatro disposti a sperimentare nuove ipotesi sceniche. Sono
note le vicende legate all’attività del Mirlo Blanco di casa Baroja, del Cántaro Roto
di Valle Inclán e del Caracol di Rivas Cherif.
L’importanza che veniva attribuita al teatro nella società spagnola, nonostante
le contraddizioni e le difficoltà lamentate da attori, autori e impresari e le perplessità
degli uomini di cultura rispetto ad una ripetitività delle formule teatrali e ad una certa
impenetrabilità ad un rinnovamento che in altri paesi era più avanzato, è testimoniata
dal fatto che a partire dagli anni ’20 su quasi tutti i giornali madrileni apparve una
rubrica fissa dedicata al teatro o una pagina teatrale. Una delle più prestigiose fu
quella dell’Heraldo de Madrid 26, diretta da Rafael Marquina, che, dal 22 dicembre
del ’23 al 29 marzo del ’27, svolse un’importante funzione informativa.
Frequentemente il giornale offriva spazio alle collaborazioni dei critici e uomini di
cultura più attenti all’evoluzione della scena, consentendo così un dibattito su
questioni di ordine più generale e teorico, in cui si esprime il disagio di fronte ad un
teatro ripetitivo e fedele a schemi che si erano imposti alla fine dell’Ottocento e
ormai ritenuti obsoleti.
Il teatro europeo costituiva un costante termine di paragone, sia attraverso le
critiche degli spettacoli che le compagnie straniere rappresentavano a Madrid, sia
grazie a informazioni e commenti sulle novità presentate all’estero.
Già nel corso degli anni precedenti sulla rivista España, Julio Alvarez del Vayo
aveva pubblicato una serie di articoli su direttori di scena sconosciuti in Spagna come
Max Reinhardt, Konstantin Stanislavskij e André Antoine27.
Sulle pagine dei giornali cominciarono ad apparire osservazioni su temi prima
del tutto ignorati dalla critica: la scenografia, ad esempio, è il tema centrale di un
intervento di Jacinto Grau sull’Heraldo de Madrid 28 in cui si oppone a chi considera
la scenografia e i costumi come qualcosa a sé, indipendente dall’opera che si
rappresenta, mentre secondo lo scrittore d’avanguardia, ci deve essere un profondo
accordo fra tutte le componenti dello spettacolo.
Uno fra i pochi critici sensibili alle nuove tendenze fu Manuel Pedroso, il
quale, sempre dalle pagine dell’Heraldo, difendeva l’importanza di quegli elementi
dello spettacolo (linguaggio scenico, illuminazione) generalmente trascurati.
Anche la figura del regista che, come abbiamo già osservato, in Spagna era
ignorata o confusa con il primo attore o l’impresario, cominciò ad avere un suo
spazio negli articoli giornalistici29.
Dalle pagine dei quotidiani partivano anche coraggiose iniziative come quella
promossa da Manuel Pedroso il quale propose la creazione di una “Liga pro drama”30
26
Cfr. Dru Dougherty e Maria F. Vilches de Frutos, “La renovación del teatro español a través de la
prensa periódica: la página teatral del Heraldo de Madrid (1923-1927)”, Siglo XX/20th Century, 6
(1988-1989), pp. 47-56.
27
Cfr. J. Alvarez del Vayo, “El teatro de Max Reinhardt, España, N°163, 23 maggio 1918, pp. 9-10;
“El teatro en Rusia”, España, N° 169, 4 luglio 1918, pp. 11-12; “Notas sobre el teatro. La labor de
Antoine”, España, N° 234, 2 ottobre 1919, pp. 8-9.
28
El Heraldo de Madrid, 22 agosto 1925, p. 5.
29
Indubbiamente in questo campo risalta, per le sue posizioni all’avanguardia, la figura di Rivas
Cherif, mentre sorprende che Díez-Canedo, così attento alle realizzazioni del teatro moderno europeo,
non veda il ruolo del regista come un elemento positivo, ritenendo il teatro basato essenzialmente sulla
parola. Cfr. E. Díez-Canedo, El teatro y su lenguaje, México, La casa de España en México, 1939, pp.
40 e ss.
30
El Heraldo de Madrid, 8 luglio 1925, p. 5.
8
per liberare la scena dalla tirannia del guadagno e consentire la sopravvivenza a un
teatro capace di attrarre, ma anche di educare il pubblico.
Nel 1925 il problema della crisi teatrale assunse le dimensioni di un vero e
proprio problema nazionale: nel mese di aprile El Imparcial promosse un’inchiesta
sui problemi del teatro alla quale risposero vari rappresentanti di diversi settori della
vita teatrale31 consentendo di osservare il problema da diverse angolazioni: i punti di
vista dell’impresario, degli attori, degli autori e dei critici si alternarono sulle pagine
del giornale.
Le cause della crisi vennero via via individuate nelle tasse eccessive, nella
scarsa qualità delle opere rappresentate, nella concorrenza del cinema, nel numero
eccessivo di teatri, nel prezzo troppo elevato dei biglietti, nella scarsa preparazione
degli attori.
D’altra parte, durante la stagione 1924-1925 si può notare un crescente
interesse verso i grandi successi del teatro straniero che vengono presentati, tradotti o
adattati, e che fanno ritenere che il dibattito promosso sulla stampa cominci a dare i
suoi frutti32.
Voci assai autorevoli si levarono sulle questioni teatrali anche dalle pagine del
quotidiano El Sol dove la rubrica “Teatros” apparve regolarmente per nove mesi, dal
29 settembre 1927 fino al 21 giugno 1928. Le firme di Luis Araquistáin, Gómez de
Baquero, Díez-Canedo, Pérez de Ayala, Ricardo Baeza si alternarono a quelle dei
corrispondenti esteri che dall’Inghilterra, dalla Francia, dall’Italia e dalla Germania
inviano recensioni e articoli su quanto avveniva nel mondo teatrale in quei paesi33.
Anche se il proposito informativo era predominante in questi articoli, non si può
ignorare un’intenzione educativa soggiacente che si preoccupava di elevare il gusto
del pubblico affinché abbandonasse l’esclusiva passione per l’”astracanada” e si
avvicinasse a drammaturghi europei di maggiore rilievo artistico.
Il taglio culturale di questa pagina è confermato dall’assenza di informazioni
riguardo a problemi relativi alle tasse, agli affitti dei teatri, a prezzi e conflitti
sindacali che invece trovarono spazio in altri giornali o sulla stampa specializzata34.
Questa rubrica fu particolarmente rilevante proprio per le aggiornate
informazioni -possibili anche grazie ai corrispondenti- che diffondeva su autori e
registi stranieri commentando le opere di Strindberg, Wedekind, Shaw, Pirandello,
Crommelynck, Lenormand o le proposte sceniche di Copeau, Lugné-Poe, Piscator,
31
Cfr. D. Dougherty, M. F. Frutos de Vilches, La escena madrileña entre 1918 y 1926, Madrid,
Editorial Fundamentos, 1990, pp. 58-59.
32
“Llama la atención la variedad de obras que proceden de los teatros francés, portugués, húngaro,
italiano, inglés, alemán, argentino, norteamericano e irlandés. Cabe citar tres títulos de Luigi
Priandello, Piénselo bien… Traducción de E.López Alarcón, El hombre la bestia y la virtud,
Traducción de Ricardo Baeza y Dos en una, traducción de F. Gómez Hidalgo, así como obras de
Tristan Bernard, El hombre que quiere comer, adaptación de G. Martínez Sierra y Joaquín Abati y
Béseme usted, versión de J.J. Cadenas. Otras obras que se estrenaron con gran expectación incluían
Knock o El tiempo de la medicina de Jules Romains (traducción de Manuel y José Linares Rivas);
Pina Birqauin, de Arnoldo Fraccaroli (traducción de F. Gómez Hidalgo); Flandorfer, el único, de
Reineke Fuchs (adaptación de Francisco de Viu) y Disraeli de Luis Parker en versión de M. Linares
Rivas”. Cfr. D. Dougherty, M. F. Frutos de Vilches, La escena madrileña entre 1918 y 1926, cit., pp.
80-81.
33
Cfr. Pilar Nieva de la Paz, “Teatros: Página teatral de El Sol (1927-1928)”, Anales de la Literatura
Española Contemporánea, Vol. 16, N. 3, 1991, p. 305
34
Cfr. Pilar Nieva de la Paz, “Teatros: Página teatral …”, cit., pp. 291-319.
9
Stanislavskij; i redattori di El Sol rendevano evidente il divario fra le novità europee
e la monotona ripetitività spagnola che necessitava di un urgente aggiornamento per
poter raggiungere il livello delle realizzazioni straniere.
Luis Araquistáin, assumendo la doppia veste di giornalista e autore teatrale, in
un noto saggio pubblicato nel 1930, La batalla teatral, affronta il problema dal punto
di vista sociologico, osservando che quando un’opera teatrale ha successo,
nonostante la critica avversa e contro l’opinione della parte più intelligente del
pubblico, significa che è profondamente radicata nella coscienza sociale del
momento. Il merito dell’autore di successo risiede nell’interpretare “como nadie la
conciencia de su generación, sus ideales o falta de ideales”35.
Per Araquistáin il problema del teatro contemporaneo è centrato sul pubblico
che, a causa dell’aumento del costo degli spettacoli, appartiene esclusivamente alla
classe borghese: “El señorío del teatro contemporáneo corresponde a la burguesía,
ella paga, ella manda, ella impone sus gustos y preside la mutación de los géneros”36.
L’autore ammette che questo predominio del pubblico borghese è una costante
anche negli altri paesi europei, che peraltro hanno un teatro più avanzato: la
peculiarità della Spagna risiede nelle caratteristiche di questa classe sociale che
secondo Araquistáin è una “burguesía niña” che si costituisce e acquista coscienza di
sé solo dopo il 1898. A causa della mentalità infantile che l’autore ravvisa nella
borghesia spagnola, il pubblico desidera esclusivamente un teatro che “le haga reír y
le ayude la digestión”37.
Opinioni analoghe esprime Jacinto Grau dalle pagine della Gaceta Literaria
accusando la borghesia che “siente horror a toda inquietud y cambio de postura” di
essere in larga misura responsabile dello stato di prostrazione del teatro. Afferma lo
scrittore:
Nuestro teatro presente -un presente larguísimo-, sin más objeto ni plan que
seguir siendo un puro negocio o nutrición de una clase social, de un oficio ya
sindicado, vegeta, sin más preocupación que una oportunidad feliz, en forma de
obra taquillera, que permita seguir manteniendo los gastos del negocio y dejar
alguna ganancia.38
Anche Enrique Díez-Canedo, attento osservatore della scena spagnola dalle
colonne di vari quotidiani, quando nel 1937 redige un panorama del teatro spagnolo
dal 1914 al 193639 disegna un profilo esaustivo e lucidissimo della situazione,
individuando nella figura dell’impresario40 uno dei principali responsabili della
resistenza al cambiamento che manifesta la scena spagnola dove, come osserva con
sarcasmo, si considerano autori d’avanguardia Ibsen o Oscar Wilde.
35
Luis Araquistáin, La batalla teatral, Madrid, Mundo Latino, 1930, p. 8.
Ibidem, p. 21.
37
Ibidem, p. 56.
38
Jacinto Grau, “Talía burguesa”, La Gaceta Literaria, 1 marzo 1927, p. 5.
39
Il testo The Theatre in a Changing Europe, commissionato da Thomas H. Dickinson nel 1937 fu
pubblicato a New York dalla casa editrice Henry Holt & Co. Più recentemente è stato pubblicato in
spagnolo in Enrique Díez-Canedo, Artículos de crítica teatral. El teatro español de 1914 a 1936, Vol.
I, México, Joaquín Mortiz, 1968.
40
“Entre el favor del público y la personalidad del autor, se yergue la mentalidad del empresario que
es en cierto modo, resumen de una élite, hoy por hoy, anti-intelectual”. E.Díez-Canedo, ibidem, p. 45.
36
10
Tuttavia Díez-Canedo passa in rassegna i tentativi di svecchiamento portati
avanti da alcuni autori, sia coloro che rifiutano deliberatamente di scendere a patti
con il pubblico come Unamuno o Valle Inclán, sia coloro che, mossi dal desiderio di
introdurre in Spagna suggestioni e tecniche mutuate dal nuovo teatro europeo,
scrivono opere sperimentali, come Azorín o Ramón Gómez de la Serna.
Ma è in iniziative come quelle dei teatri da camera e nei teatri itineranti -La
Barraca e le Misiones Pedagógicas- dove Díez-Canedo individua i tentativi più
fecondi, orientati nella direzione che ritiene più giusta e cioè quella che si propone di
formare un pubblico. Pur senza approfondire l’analisi sociale che sorreggeva le
opinioni di Araquistáin, anche questo critico vede nella mancanza di un pubblico
sensibile uno dei principali motivi dell’arretratezza del teatro spagnolo.
C’è un aspetto, a mio avviso fondamentale, nella panoramica di Díez-Canedo:
nel soffermarsi su due figure che si adoperano per rinnovare il teatro -Cipriano Rivas
Cherif e Federico García Lorca- egli sottolinea nella loro attività il contatto con la
scena, con gli allestimenti, con gli attori: entrambi, afferma Díez-Canedo, attuano il
proprio impegno di rinnovamento attraverso una pratica che abbraccia aspetti
molteplici che vanno dalla rivisitazione dei classici, alla sperimentazione
scenografica e musicale e alle tecniche di recitazione, in uno stato di immersione
totale nel mondo teatrale che non prescinde dalla ricezione, ma anzi si propone come
obiettivo la ricerca di una mediazione tra le aspettative del pubblico reale e il
tentativo di formazione di un pubblico ideale, meno legato ai convenzionalismi del
teatro borghese. Díez-Canedo ritiene che il rinnovamento teatrale sia possibile solo
dall’interno di un’interazione dialettica autore-pubblico attraverso la mediazione
della figura, nuova per la Spagna, del regista, che si incarna perfettamente in un
uomo di teatro come Cipriano Rivas Cherif 41. Il rifiuto di quest’interazione porta
all’esclusione dalle scene (vedi il caso di Valle Inclán) mentre l’accettazione supina
delle aspettative del pubblico soffoca qualunque proposito di rinnovamento42.
Lo stesso Rivas Cherif, facendo propri i suggerimenti di Gordon Craig,
riteneva fondamentali le esperienze fatte nella pratica teatrale che permettessero di
verificare e rettificare le proprie opinioni riguardo il teatro e la letteratura.
Presentando la propria partecipazione ad una tournée dell’attrice Irene López
Heredia in Sud America, il regista osserva:
Ni por un momento he dejado de tener presente la recomendación de Gordon
Craig […] a los más renovadores en potencia, encareciéndoles la necesidad de
aquilatar la virtud de las teorías en la práctica de la escena.43
D’altra parte, vari intellettuali spagnoli si erano espressi deprecando il cattivo
gusto del pubblico e la necessità di educarlo. Ramón Pérez de Ayala si sofferma più
41
Nell’introduzione a Cipriano Rivas Cherif, Como hacer teatro: apuntes de orientación profesional
en las artes y oficios del teatro español, Valencia, Pre-Textos, 1991, Enrique Rivas osserva come il
lavoro di Rivas Cherif non abbia precedenti in Spagna, al di là degli sforzi di Martinez Sierra, José
Francés e Ricardo Baeza. Cfr. op. cit., pp. 14-15.
42
E. Díez-Canedo, Artículos de crítica teatral…, cit., Vol. I, pp. 48 e ss.
43
Cipriano Rivas Cherif, “El rumbo de Irene López Heredia. Prólogo a un viaje entretenido”, ABC,
25.6.1929, p. 12
11
volte su analoghe questioni44 ritenendo che il pubblico contemporaneo stia toccando
il fondo del “mal gusto”. “Jamás […] había llegado el gusto del público a extremos
de tanta depravación en materias teatrales”45, osserva lo scrittore, sottolineando la
necessità di adoperarsi per migliorarlo, per educarlo. Il limite del discorso di Ayala
risiede tuttavia nel considerare l’attore come il responsabile di questa opera
educativa, colui che ha il dovere di evitare che il pubblico si trasformi in “plebe” caratterizzata da bassi istinti- spronandolo invece a diventare “popolo” -espressione
di una sensibilità superiore-46. Per Ayala l’opera teatrale è una sorta di ménage à
trois: autore, attore e pubblico, i cui interessi artistici egli considera profondamente
divergenti. Sottolineando la figura dell’attore come colui che realizza le potenzialità
contenute nel testo dell’autore, Pérez de Ayala adotta una posizione a mio avviso più
tradizionalista rispetto a quella che, leggendo tra le righe, si può scoprire nelle
osservazioni di Díez-Canedo; lo scrittore attribuisce al grande attore l’importanza
che già dalla fine dell’Ottocento gli veniva conferita, e non considera che in altri
paesi il rinnovamento teatrale passa attraverso la costituzione della figura del regista,
il quale, avendo dello spettacolo una visione complessiva, può dare luogo a una
realizzazione che non sia basata esclusivamente sulla parola, ma che attinga a una
pluralità di espressioni artistiche funzionali alla rappresentazione, come già avveniva
in altri paesi europei.
Comunque, anche se le soluzioni prospettate sono di diversa natura, la
constatazione della mancanza di educazione, di sensibilità e di curiosità del pubblico
è una costante negli articoli che riflettono sullo stato del teatro negli anni che
precedono la Repubblica.
Anche Federico García Lorca, nel periodo di maggiore impegno teatrale, si
esprime sulla pretesa decadenza del teatro, negandola. Secondo il poeta, non è il
teatro in sé, ma l’organizzazione teatrale ad essere carente. García Lorca nega, in
un’intervista del 1935, che si possa parlare di una crisi di pubblico -“Hay una crisis
actual de autores, no de público”47- anche se, un anno prima, si era scagliato contro
gli spettatori borghesi che si recano a teatro solo per ridere, difendendo, al contrario,
il pubblico popolare che considerava sensibile e ricettivo, forse idealizzandolo con
una buona dose di entusiasmo e ottimismo:
Yo espero para el teatro la llegada de la luz de arriba siempre, del paraíso. En
cuanto los de arriba bajen al patio de butacas, todo estará resuelto. Lo de la
decadencia del teatro a mí me parece una estupidez. Los de arriba son los que
no han visto Otelo ni Hamlet, ni nada, los pobres. Hay millones de hombres
que no han visto teatro. ¡Ah! ¡Y cómo saben verlo cuando lo ven! Yo he
presenciado en Alicante cómo todo un pueblo se ponía en vilo al presenciar
44
Ramón Pérez de Ayala, Las máscaras, in Obras Completas, III. Madrid, Aguilar, 1962. Cfr. pp.
417-429; 473-483.
45
Ibidem, p. 422.
46
“En el público –congregación numerosa de muchos hombres- la batalla ya no se riñe entre un ángel
y una bestia, singulares y recónditos, sino, ostensiblemente, entre un escuadrón de ángeles y un tropel
de bestias. Cuando triunfa el escuadrón de las celestiales potencias, el público pasa a ser pueblo.
Cuando triunfa el tropel de los bajos y torpes instintos, el público pasa a ser plebe”. Ibidem, p. 477.
47
Federico García Lorca, Entrevistas y declaraciones, in Obras Completas, Madrid, Aguilar, 1965, p.
1775.
12
una representación de la cumbre del teatro católico español: La vida es sueño.
No se diga que no lo sentían.48
Dai numerosi studi che si propongono una revisione della storia del teatro
spagnolo del Novecento anteriore alla guerra civile, evidenziando la contraddizione
tra la coscienza della crisi e la notevole attività che contraddistingue la scena49, e da
altri contributi che si soffermano sul periodo a cavallo tra i due secoli50, emerge in
modo chiaro la funzione di informazione, guida e stimolo svolta da un gruppo
ristretto di intellettuali e il profondo scollamento fra questi e la maggior parte dei
fruitori dello spettacolo teatrale, appartenenti alla piccola e media borghesia.
Attraverso gli articoli giornalistici, il pubblico colto riceveva informazioni su
quanto stava avvenendo negli altri paesi europei ed è notevole l’attenzione prestata
dalla stampa alle nuove correnti sceniche che si affermavano all’estero.
Un mezzo privilegiato di contatto con il teatro straniero era costituito dalle
tournées delle grandi compagnie; anche se queste rappresentavano in Spagna opere
ormai consolidate e non rischiavano un fiasco con spettacoli particolarmente
innovativi, esse costituivano una ventata di aria nuova, permettendo al pubblico di
confrontarsi con allestimenti generalmente di buon livello e grande professionalità.
In questo campo sarebbe auspicabile approfondire la ricerca, per poter meglio
valutare la ricezione di tali spettacoli, e stabilire la portata effettiva della loro
influenza sul teatro spagnolo. Due brevi osservazioni: gli attori recitavano
ovviamente nella loro lingua e questo limitava il pubblico in condizioni di
comprendere appieno il testo, anche se la maggior parte delle compagnie erano
francesi e italiane e l’affinità linguistica riduceva le difficoltà di comprensione;
inoltre le compagnie, generalmente, non replicavano le opere51. Alcune si
sottoponevano ad un vero e proprio tour de force, facendo sfoggio di grande
professionalità, rappresentando un vasto repertorio e cambiando spettacolo quasi
ogni sera52. Questo limitava il numero degli spettatori rendendo modesta la valenza
educativa di questi allestimenti nell’ottica di una maturazione del gusto della piccola
48
Ibidem, p. 1767.
In particolare i lavori di Dru Dougherty e María Francisca Vilches de Frutos costituiscono uno
strumento indispensabile, ricco di dati preziosi, che disegna in modo approfondito un panorama della
scena madrilena dal 1918 al 1831 analizzando la straordinaria varietà e vivacità del mondo teatrale
dell’epoca. Cfr. Dru Dougherty e María Francisca Vilches de Frutos, La escena madrileña entre 1918
y 1926, cit., e, degli stessi autori, La escena madrileña entre 1926 y 1931. Un lustro di transición,
Madrid, Editorial Fundamentos, 1997.
50
Cfr. Jesus Rubio Jiménez, La renovación teatral española…, cit.; AA.VV., Teatro y pensamiento
en la regeneración del 98, cit.; Ricardo de la Fuente Ballesteros, Introducción al teatro español del
siglo XX (1900-1936), Valladolid, Aceña, 1987; Ursula Aszyk, Entre la crisis y la vanguardia,
Varsavia, Cátedra de Estudios Ibéricos, Universidad de Varsovia, 1995.
51
Un’eccezione è costituita dal Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca che, con il suo teatro musicale
di marionette, destinato a bambini e adulti, riscosse un successo notevole sia di critica che di pubblico.
Durante la sua tournée di due mesi al Teatro de la Zarzuela nell’inverno 1924, rappresentò 13 opere;
alcune ebbero un numero di repliche inconsueto per le compagnie di prosa (Alì Babà, opera buffa, 24
repliche; Don Giovanni di Mozart, 14 repliche; L’elisir d’amore di Donizetti, 13 repliche). Cfr. D.
Dougherty e M.F.Vilches de Frutos, La escena madrileña entre 1918 y 1926, cit., p. 43.
52
Un caso notevole è quello della compagnia di Vera Vergani diretta da Dario Niccodemi che durante
il soggiorno madrileno dal 18.12.1923 al 6.1.1924 rappresentò ben venti drammi (tra cui, il 22.12.’23,
Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello) replicando le recite per due volte solo in due casi.
49
13
e media borghesia che affollava i teatri53, e gli effetti di stimolo prodotti dagli
spettacoli stranieri sembrano ricadere in particolare sugli addetti ai lavori54.
Nonostante l’evidente difficoltà del pubblico ad accettare le novità e la
conseguente ostilità dimostrata dagli impresari, un numero non esiguo di autori si
cimentò con la scrittura di opere decisamente innovative, composte sulla spinta dei
movimenti di avanguardia. Questi tentativi per introdurre in Spagna, anche in campo
teatrale, le teorie e le pratiche che già da alcuni decenni circolavano negli altri paesi
europei sono ancora poco studiati e talvolta vengono classificati in modo
approssimativo.
La maggiore visibilità del fenomeno del surrealismo, nonostante il suo
carattere più effimero in Spagna che in Francia55 -circostanza dovuta indubbiamente
anche ad un orizzonte di attese del pubblico assai diverso nei due paesi- porta
talvolta ad ascrivere a questo movimento opere che sarebbe più prudente definire
d’avanguardia tout court, senza costringerle in una casella che spesso non
corrisponde loro completamente56. D’altra parte un certo fastidio verso le
classificazioni affrettate che danno una definizione limitata degli artisti,
dimenticando o negando un’inevitabile e proficua contaminazione, veniva
manifestato anche da artisti dell’epoca, come è il caso di Sebastián Gash che dalle
pagine della Gaceta Literaria decretava:
A unos cuantos artistas y escritores, unidos por una serie de coincidencias
generales, la inefable caterva de bobos impermeables nos llamaba ayer
vanguardistas. Hoy nos llama superrealistas. Y mañana nos colgará cualquier
otro epíteto de moda57.
53
Non è di quest’avviso Mariano Martín Rodríguez che, analizzando i casi di Pirandello, Lenormand
e Crommelynk ritiene che il successo di questi autori dimostri “que el drama de vanguardia no estaba
condenado a ser entendido tan sólo por una minoría de artistas e intelectuales […]”. Le opere di questi
autori, rappresentate in traduzione, ebbero un discreto successo. Cfr. Mariano Martín Rodríguez,
“Ejemplos de renovación: teatro francés e italiano en la escena madrileña (1918-1936)”, in El teatro
en España entre la tradición y la vanguardia, ed. di D. Dougherty e M.Francisca Vilches de Frutos,
C.S.I.C., Madrid, Fundación Federico García Lorca-Tabacalera S.A., 1992.
54
La principale conseguenza benefica di tali spettacoli consistette forse nel suggerire, ad autori e
impresari, testi stranieri da presentare tradotti o adattati, o nell’offrire lo spunto per aprire un dibattito
giornalistico su temi teatrali.
Osserva Juan Gutiérrez Cuadrado rispetto alla ricezione di Pirandello in Spagna, che una sola
rappresentazione di Sei personaggi scatenò sulla stampa una vera e propria polemica, per la quale si
coniarono i neologismi pirandelismo e pirandelitis, anche se la sera della rappresentazione il teatro
non fece il tutto esaurito e un gran numero di spettatori confessò di non capire l’italiano. Cfr. Juan
Gutiérrez Cuadrado, “Crónica de una recepción: Pirandello en Madrid”, Cuadernos
Hispanoamericanos, 333, marzo de 1978, pp. 347-386.
55
Cfr. Jesús García Gallego, Bibliografía y crítica del surrealismo y la generación del veintisiete,
Málaga, Centro Cultural de la Generación del 27, 1989, pp. 12-13.
56
Mi pare ad esempio che operi alcune forzature, spinta da un eccesso classificatorio, Barbara Sheklin
Davis in uno studio, peraltro interessante e documentato, sul teatro surrealista. Cfr. “El teatro
surrealista español”, in El Surrealismo, ed. di V. García de la Concha, Madrid, Taurus, 1982, pp. 327358.
57
Cfr. La Gaceta Literaria, 1.10.1929, p.3. Cito da Jaime Brihuega, Manifiestos, proclamas panfletos
y textos doctrinales (Las vanguardias artísticas en España: 1910-1931), Madrid, Cátedra, 1982, p.
302.
14
È innegabile che opere come Sinrazón di Sánchez Mejías, Los medios seres di
Gómez de la Serna, Tic-Tac di Guillermo de Torre, per citarne solo alcune, tentano di
percorrere nuove strade, allontanandosi in modo netto da quelle praticate fino ad
allora, anche dal teatro più avanzato. Tuttavia, questi autori, ed altri che scrivono
negli anni ’20 e ’30 pièces teatrali innovative, dimostrano un notevole eclettismo58,
assorbendo e rielaborando le novità che, fin dalla fine dell’Ottocento, erano state
messe in pratica nei principali teatri europei. È interessante notare che la Gaceta de
Arte di Tenerife, la rivista più dichiaratamente surrealista in Spagna, quando nel
1933 prende posizione contro il teatro spagnolo contemporaneo, individua come
modelli, personalità di rilievo del teatro europeo che nulla hanno a che vedere con il
surrealismo.
Come osserva Andrew A. Anderson59 sono il simbolismo e l’espressionismo i
movimenti “moderni” che servono frequentemente da orientamento per gli autori
spagnoli e spesso i testi teatrali frettolosamente catalogati come surrealisti non si
allontanano da una prassi piuttosto convenzionale.
“Teatro d’avanguardia”, “teatro inquieto” o “teatro sperimentale”: le
definizioni che sono state applicate al periodo di cui ci stiamo occupando,
manifestano l’intenzione di non rinchiudere il teatro innovativo dell’epoca in gabbie
troppo strette, tenendo conto, appunto, dell’eclettismo che contraddistingue la
maggior parte di questi tentativi60.
Il fatto fondamentale, al di là degli intenti classificatori e della ricerca delle
influenze, è che tutta l’evoluzione del teatro spagnolo nei primi decenni del
Novecento sembra procedere in modo faticoso, senza riuscire a sanare la profonda
frattura che si manifesta fra teatro e società, fra autori e pubblico.
Non sono gli autori teatrali che mancano, bensì tutto un insieme di elementi attori, scenografi, registi, impresari, pubblico- che rendano possibile la realizzazione
spettacolare di quelle virtualità che, in modo embrionale ed abbozzato, o più
elaborato e manifesto, sono presenti nei testi teatrali. Francisco Ruiz Ramón osserva
la sproporzione tra le potenzialità del complesso sistema semiotico del teatro
lorchiano e le possibilità di allestimento offerte dalle imprese teatrali degli anni ’30,
che non possono far altro che tradire il testo attraverso un codice teatrale inadeguato
a realizzarlo61. Sembra oramai evidente che non si possa affrontare una riflessione
sul teatro dei primi decenni del secolo (in realtà sul teatro tout court) senza tener
conto della prassi teatrale e quindi senza considerare le possibilità concrete di messa
58
C. B. Morris riporta il termine “hibridación” coniato da Derek Harris per definire le molteplici
componenti che caratterizzano il linguaggio dell’avanguardia. Cfr. B. C. Morris, El surrealismo y
España, Madrid, Espasa- Calpe, 2000, p. 23.
59
Cfr. Andrew A. Anderson, “Los dramaturgos españoles y el surrealismo francés”, 1924-1936,
Insula, n° 515, Novembre 1989, pp. 23-25; dello stesso autore occorre ricordare il saggio “Bewitched,
Bothered and Bewildered: Spanish Dramatism and Surrelism, 1924-1936”, in The surrealist
Adventure in Spain, Ed. di C. Brian Morris, Ottawa, Dovehouse Editions Canada, 1991, pp. 240-263;
a conclusioni analoghe giunge Ricardo de la Fuente Ballesteros in “El imposible vanguardismo en el
teatro español”, in T. Albaladejo, F. J. Blasco e R. de la Fuente, ed., Las vanguardias. Renovación de
los lenguajes poéticos, Madrid, Júcar, 1992, pp. 127-148.
60
Cfr. Mariano de Paco, “Crisis y renovación”, in Insula, N° 529, gennaio 1991, pp. 35-36; Arturo
del Hoyo, Teatro inquieto español, Prólogo y notas de Antonio Espina, Madrid, Aguilar, 1967; José
Gordón, Teatro experimental español (Antología e historia), Madrid, Escalicer, 1965.
61
F. Ruiz Ramón, “Espacio dramático/Espacio escénico o el conflicto de códigos teatrales”, in El
teatro en España, cit., pp. 23-29.
15
in scena e senza tener conto dei rapporti con il pubblico e con la critica, assumendo il
punto di vista della ricezione del fenomeno teatrale all’interno di una interazione di
fattori62.
62
In questo ambito di studio si collocano diversi lavori che si propongono di indagare il fenomeno
teatrale dal punto di vista della prassi piuttosto che dal testo affrontando i temi fondamentali della
trasformazione dei codici teatrali dei primi trent’anni del secolo: cfr. El teatro en España entre la
tradición y la vanguardia, ed. di D. Dougherty e M.Francisca Vilches de Frutos, C.S.I.C., Madrid,
Fundación Federico García Lorca-Tabacalera S.A., 1992;Luciana Gentilli, Teatro e avanguardie nella
Spagna del primo novecento. Cipriano Rivas Cherif, Roma Bulzoni, 1993; Juan Aguilera y Manuel
Aznar Soler, Cipriano de Rivas Cherif y el Teatro español de su época (1891-1967), Madrid,
Publicaciones de la Asociación de Directores de Escena, 1999; José A. Sánchez (ed.), La escena
moderna. Manifiestos y textos sobre teatro de la época de vanguardias, Madrid.
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