INTRODUZIONE Lo sviluppo teatrale del Novecento 1. Negli anni che segnano il passaggio tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, la vita teatrale europea fu caratterizzata da una grande ricchezza di iniziative e da una notevole vivacità intellettuale che produsse come risultato profondi mutamenti nel mondo della scena. È significativo il fatto che tali iniziative di sperimentazione e di ricerca siano sorte in anni assai vicini in ambienti culturali molto diversi e distanti, dimostrando un’esigenza di cambiamento che accomuna paesi lontani dal punto di vista sociale e storico. Questa simultaneità di nuove esperienze testimonia un rapporto attivo e proficuo tra intellettuali, autori e poeti di varie nazioni, che si riconoscono in una comune istanza di innovazione che intuisce con un anticipo di qualche decennio la crisi del sistema economico-sociale e politico della borghesia europea, che il conflitto mondiale del 1914 renderà evidente. Il prolungato periodo di pace che precede la prima guerra mondiale aveva favorito un notevole progresso scientifico e tecnico, e una vivace circolazione delle idee tra i diversi stati europei. Nei testi teatrali e in quelli teorici scritti in questo periodo, l’elemento comune che si manifesta in modo più evidente è la violenta reazione antinaturalistica che veicola una più profonda contestazione dei modelli sociali e morali espressi dalla società della Belle Époque con il rifiuto della società borghese che già si esprimeva nell’Ubu Roi di Jarry (1896), opera antesignana del rinnovamento teatrale del Novecento, anche se questo testo costituisce una sorta di problematica anticipazione delle strade che percorrerà in seguito il teatro1. La geniale trovata di Jarry, la creazione di un personaggio che non è un uomo ma un fantoccio parodistico ed eccessivo, inaugura una tendenza che toglie all’individuo contemporaneo, al borghese razionale, il primato della scena affidandolo invece alla marionetta, alla maschera2. L’insofferenza anti-borghese caratterizza d’altronde tutte le opere teatrali rivoluzionarie di questo periodo; decisamente e scandalosamente anti-borghese è la prima opera di Wedekind che già nel 1891, con Risvegli di primavera, sconvolse il pubblico tedesco, sferrando un violento attacco al principio di autorità con una rappresentazione centrata sui problemi dell’adolescenza e del sesso, tematica che gli procurò non pochi guai con la censura3. D’altra parte, tutto il teatro espressionista, di cui Wedekind è uno dei principali esponenti, si configura come una disperata reazione contro la crescente asfissia dello spirito che la moderna civiltà induce in tutti i suoi membri. 1 È noto che l’opera scritta da Alfred Jarry a soli quindici anni, esprime il violento fermento antiborghese che si manifesta nel cuore della società trionfante di quel periodo svelando una giovanile esigenza di dissacrare gli ideali, i pregiudizi e i valori di questa società, collocandosi a metà strada tra il teatro d’arte e il lazzo. Ubu diventerà il simbolo di una spinta alla liberazione che ogni uomo porta dentro di sé. 2 Non dimentichiamo che Ubu Roi nella sua prima versione era destinato al teatro di marionette. 3 Cfr. Doglio Federico, Teatro in Europa, III, Milano, Garzanti, 1989, pp. 727-728 1 L’esperienza espressionista produrrà effetti dirompenti e non solo a livello tematico: la tendenza verso l’assoluto, l’essenziale, che caratterizza quest’arte, porterà alla condensazione e alla semplificazione. Seguendo un percorso che si allontana dagli aspetti fenomenici per inseguire l’astrazione, gli autori espressionisti incentreranno i propri drammi su personaggi che non sono individui bensì caratteri generali, talvolta caricature o burattini; la tendenza all’uso di nomi generici è funzionale a questa cancellazione del soggetto individuale dalla scena. Non si può negare tuttavia che il rifiuto della modalità di rappresentazione ottocentesca costituisse una posizione adottata anche da scrittori molto diversi, che operavano all’interno di un teatro più tradizionale. Un esempio può essere costituito dall’opera di Yeats il cui teatro simbolico e rituale, ambientato nell’Irlanda medievale, rifugge dalla rappresentazione mimetica, essendo l’autore convinto che “ogni deviazione verso il realismo coincide con un declino dell’energia drammatica”4. La posizione del poeta irlandese, nemico della meticolosità della rappresentazione verista di interni -si oppose decisamente, ad esempio, all’uso delle scene dipinte-, e sostenitore del primato della parola nello spettacolo teatrale, si può ricondurre alla lezione simbolista. E al simbolismo bisogna indubbiamente risalire per comprendere il filo rosso che percorre tutto il teatro del Novecento e che lo lega strettamente alla traiettoria seguita dalla poesia di questo secolo5. Se la poesia, secondo i dettami simbolisti, non è più rappresentazione o descrizione del reale ma rivelazione e al contempo ricerca e decifrazione, il teatro percorre un cammino analogo addentrandosi in uno spazio metafisico, il cui difficile accesso riduce drasticamente il pubblico, avviando un processo che porta l’arte, tutte le arti, a diventare estremamente elitarie e, in una certa misura, impopolari. D’altra parte, anche il teatro russo, fortemente radicato nel naturalismo -vedi gli allestimenti del Teatro d’Arte di Mosca- supera quest’impostazione e subisce il fascino del simbolismo; tant’è che, pur mantenendosi ancorato a tematiche di forte impegno sociale, si orienta verso la ricerca di nuovi moduli espressivi6. Pertanto, prima che la scena culturale europea venisse sconvolta dall’impatto dirompente delle avanguardie storiche, portatrici di un messaggio ricco di contenuti orientati verso la dissacrazione anti-borghese -non esente talvolta da un giocoso vitalismo giovanile alla ricerca di un’estetica antitradizionale-, diverse personalità operanti nel mondo dello spettacolo teatrale avevano intrapreso un cammino di profonda trasformazione. Diversi fattori, talvolta d’indole assai disparata, contribuirono a questo rinnovamento che, pur nella diversità degli esiti, prese la via di un distacco deciso dal mimetismo realista, nel tentativo di giungere ad una più profonda consapevolezza dell’evento teatrale. La valutazione degli elementi non verbali del teatro e la percezione dell’opera come spettacolo, e non solo come testo, costituiscono due nodi fondamentali attorno a cui si raccolsero le esperienze di tutti coloro che si avvicinarono ad una pratica teatrale innovativa. Alcune significative acquisizioni incisero in maniera determinante sul mondo della scena: le nuove tecniche di costruzione, l’uso dell’illuminazione elettrica, i 4 Roberto Sanesi, “Introduzione” a W.B. Yeats, Drammi celtici, Guanda, Parma, 1963, p. XIII. Ricordiamo che il Théâtre d’Art fondato nel 1890 da Paul Fort fu inaugurato al grido di “Vive Mallarmé! Vive le symbolisme!”. 6 Cfr. F. Doglio, op. cit., p. 761 e ss.; Cesare Molinari, Storia del teatro, Bari, Laterza, pp. 243-263. Lo stesso Stanislavskij supera il proprio modulo naturalistico originario ed accoglie le suggestioni simboliste. 5 2 progressi delle macchine teatrali, mutarono decisamente e profondamente la base materiale dello spettacolo provocando ripercussioni profonde e sostanziali sui modi di rappresentazione, su quanto veniva messo in scena e, fattore di non minore importanza, su come lo spettacolo veniva percepito dal pubblico7. Non a caso i principali rinnovatori del teatro del Novecento furono i grandi registi, che solo nel periodo che stiamo esaminando assumono una propria identità, facendo balzare in primo piano un ruolo che tradizionalmente era affidato ad attori e capocomici8. Tralasciando le esperienze di Paul Fort e Lugné-Poe (veri e propri pionieri della regia) è d’obbligo menzionare il contributo di Adolphe Appia e Gordon Craig. Entrambi, seppur con fondamentali differenze, misero l’accento sull’importanza della rappresentazione, sul testo spettacolare nettamente distinto dal testo letterario: se per Appia il nodo fondamentale dello spettacolo è costituito dall’attore, al cui servizio deve essere concepita la scenografia e in particolare l’illuminazione, tesa a far emergere dagli oggetti il loro significato più recondito, per Craig tutti gli elementi costitutivi dello spettacolo assumono importanza, anche se nella forma architettonica della scenografia sembra risiedere il nucleo della sua concezione. Questo geniale riformatore considerava che il teatro era stato troppo a lungo soffocato dalla parola e auspicava un ritorno alle origini, una ricerca delle radici dell’evento teatrale che egli individuava nella danza. Al movimento e al ritmo, secondo Craig, bisognava subordinare la parola, rispondendo all’esigenza del pubblico per il quale è più importante vedere piuttosto che sentire. Questa linea di rinnovamento, che valuta gli elementi non verbali del teatro, viene proposta dalla prima delle avanguardie storiche, il Futurismo, che nel Manifesto del teatro di varietà si scaglia contro la scena contemporanea che, secondo i redattori, “ondeggia stupidamente tra la ricostruzione storica (zibaldone e plagio) e la riproduzione fotografica della nostra vita quotidiana; teatro minuzioso, lento, analitico e diluito, degno tutt’al più dell’età della lampada a petrolio”9. Il richiamo alla modernità, al dinamismo, alla velocità, caratteristico di questo movimento, permea il manifesto citato, che sottolinea il valore attribuito alla comicità, alla caricatura e alla maschera. Il futurismo coglie il valore gestuale del teatro, forse mosso proprio dal suo inseguire la velocità e la sintesi10. D’altra parte il maggior contributo creativo dato dal Futurismo al teatro europeo è dovuto al talento scenografico di alcuni artisti del gruppo11. In particolare va ricordato Enrico Prampolini che, nel suo manifesto La scenografia futurista (1915), postulava un’azione teatrale intesa come coreografia pura, uso di elementi 7 L’impiego dell’energia elettrica, ad esempio, permise di mantenere la sala completamente al buio, concentrando l’illuminazione sullo scenario e avvolgendo così gli spettatori in quella sorta di “golfo mistico” auspicato da Wagner, il quale attribuì una valenza metafisica a questa situazione impensabile prima dell’avvento dell’elettricità. Cfr. F. Doglio, op. cit., p. 737. 8 Cfr. Fabrizio Cruciani - Clelia Falletti, ed., Civiltà teatrale nel XX secolo, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 35 e ss. 9 Cfr. Sipario, dicembre 1967, n. 260, pp. 4-6. 10 Cfr. Lia Lapini, Il teatro futurista italiano, Milano, Mursia, 1997; A.A.V.V., Il teatro degli anni venti, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Istituto Internazionale per la ricerca teatrale (Venezia, 1984), Roma, Bulzoni, 1987; Anna Barsotti, Futurismo e avanguardie nel teatro italiano fra de due guerre, Roma, Bulzoni, 1987; Franca Angelini, Teatro e spettacolo nel primo novecento, Bari, Laterza, 1997. 11 Cfr. F. Angelini, op. cit., pp. 184 e ss. e F. Doglio, op. cit., pp. 784-786. 3 architettonici e cromatici che suscitano nello spettatore sensazioni e che esprimono lo stato psichico richiesto dalla scena rappresentata. Il futurismo si inserisce quindi nel movimento di rinnovamento teatrale dei primi decenni del Novecento apportando il proprio contributo nel trasformare lo spazio scenico da spazio fisico a spazio metafisico12. Ad orientare molti uomini di teatro verso la riflessione intorno alle questioni del gesto e del ritmo come elementi fondanti dell’evento teatrale, contribuì l’enorme risonanza che ebbero in tutta l’Europa i balletti russi di Diaghilev il quale, grazie ad un grande intuito spettacolare e commerciale, favorì la diffusione di un nuovo modo di concepire la danza. La collaborazione con grandi artisti figurativi -Picasso, Matisse, Delaunay, Chagall- e musicisti -Satie, Stravinskij- nonché la visione della danza come mezzo d’espressione totale, fecero del balletto un tipo di spettacolo che utilizzava linguaggi e registri di comunicazione diversi, per trasmettere al pubblico una creazione ricca di contenuti emotivi, avvalendosi della ridondanza come mezzo di strutturazione poetica. L’intento era quello di arrivare ad un’arte completa, totale, che si rivolgesse ad uno spettatore capace di percepire attraverso la vista e l’udito, ma anche disposto a lasciarsi travolgere dalle emozioni suscitate dalla musica, dalla scenografia e dai costumi, non finalizzati a puro e semplice abbellimento, ma intimamente correlati all’espressione di un’azione drammatica che semantizza ogni elemento dello spettacolo. È l’operazione che nel 1917 compie Cocteau con lo spettacolo Parade che raccoglie le suggestioni del balletto russo. Guillaume Apollinaire si sofferma proprio su questa ricerca di un’unità del linguaggio scenico, scrivendo nel programma di sala: …questa alleanza di pittura e di danza, di plastica e di musica che è il segno dell’avvento di un’arte più completa. […] Da questa nuova alleanza, perché finora gli arredi e i costumi da una parte, la coreografia dall’altra non avevano che un legame fittizio fra loro, risulta, in Parade, una sorta di surrealismo donde parte una serie di manifestazioni di questo Spirito Nuovo[…].13 Tale concezione totalizzante della rappresentazione teatrale è frequente nei manifesti futuristi, come si è già osservato, senza essere affatto patrimonio esclusivo di questo movimento, e si basa a mio avviso sull’esigenza, chiaramente intuita, di riavvicinare la poesia al teatro utilizzando tutti i mezzi a disposizione per esprimere l’idea dell’autore -o per interpretarla- dando un senso alle diverse componenti della rappresentazione. Questo orientamento, che affonda le sue radici nella poesia simbolista, è una costante di tutto il teatro del novecento che attraverso la pratica della regia moltiplica le possibilità espressive del testo letterario. Apollinaire, antesignano del teatro d’avanguardia, -il suo dramma Les Mamelles de Tirésias (scritto nel 1903 e rappresentato nel 1917) viene da lui stesso definito “drame surréaliste”- anticipa una tendenza condivisa da numerosi autori appartenenti a diversi movimenti, sostenendo la necessità di un ritorno al teatro concepito come rito; egli auspica pertanto un recupero del teatro antico che consenta l’espressione di una profonda verità poetica. 12 13 F. Angelini, op. cit., p. 178. Cito da F. Angelini, op. cit., p. 129. 4 Come è noto, il rapporto del surrealismo con il teatro fu alquanto problematico: Breton in varie occasioni espresse le sue riserve o la sua indifferenza verso la scena14. La necessità dell’autore drammatico di sdoppiarsi, di indossare una maschera, di diventare un altro, si scontrava contro l’esigenza di scandagliare le profondità interiori, di ricercare l’unità fondamentale dell’individuo che si proponeva questo movimento e per tale motivo Breton rifiutò la dissociazione insita nella creazione del personaggio15. È probabile che questa fondamentale incompatibilità con l’arte drammatica sia alla base dell’espulsione dal surrealismo di due artisti che invece si erano dedicati con grande passione al teatro: Roger Vitrac e Antonin Artaud. Quest’ultimo, dopo molti anni di pratica teatrale, in Le Théâtre et son double (1935) raccoglie e attribuisce forma definitiva a una serie di istanze intorno alle quali, già dalla fine dell’ottocento, vari riformatori avevano incentrato la loro attività. In questo testo fondamentale è possibile trovare tutti i filoni attorno a cui ha operato il rinnovamento teatrale, non solamente fino agli anni trenta, ma anche in seguito per tutto il secolo: l’importanza del significato rituale16 del teatro e il ruolo di primo piano attribuito al regista -che deve utilizzare non solo le parole, come l’autore, ma una serie di segni che strutturino un verbo poetico che abbia come fine ultimo la verità- sono gli aspetti fondamentali della teorizzazione di Artaud17. Nonostante l’estremismo, e la difficile realizzazione di alcune posizioni, è innegabile l’influenza di Artaud su alcune prestigiose personalità del teatro francese contemporaneo come Jacques Copeau, Gaston Baty, Louis Jouvet e Jean Louis Barrault. Accanto alle intuizioni artaudiane, che sembrano orientate verso un teatro tutto esteriore, che escluda l’interiorità dell’individuo e lo scandaglio psicologico, confluiscono nel teatro dei primi decenni del novecento le acquisizioni della psicanalisi e la scoperta dell’inconscio; la crisi della ragione, e l’ondata di antiintellettualismo che ne consegue, porta il proprio contributo a una percezione frammentaria dell’individuo, che sfocia frequentemente nella constatazione dell’assurdità dell’esistenza. La realtà non appare all’artista del Novecento come una materia strutturata, bensì come una pluralità disarmonica che i vecchi modi di rappresentazione non riescono a formalizzare. Da questa percezione destrutturata deriva probabilmente l’uso del collage, ampiamente frequentato da varie espressioni artistiche del secolo, sia letterarie che figurative18. Nell’evoluzione teatrale del XX secolo pertanto si ravvisa una costante ricerca di nuovi modelli espressivi che procede in sintonia con i mutamenti dell’arte in 14 Nel romanzo Nadia, Breton riferisce di uno spettacolo che lo aveva colpito: “Les Détraquées, che resta e resterà a lungo il solo lavoro drammatico (voglio dire: fatto unicamente per la scena) del quale io voglia ricordarmi”. Del dramma, che apparteneva al genere del Grand Guignol, Breton indubbiamente apprezzò l’ambigua crudeltà e la rappresentazione di turpi passioni inconfessabili, decisamente sanzionate dalla critica borghese. Cfr. Ivos Margoni, ed., André Breton e il surrealismo, Milano, Mondadori, 1976, pp. 320-327. 15 Cfr. F. Doglio, op. cit., pp. 791-792. 16 Artaud fu profondamente colpito dal teatro balinese -insieme di mimica, danza, musica- ricco di contenuti culturali e spirituali e non umiliato dalle motivazioni commerciali. Cfr. A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 1968, p. 144. 17 Cfr. la brillante sintesi del rinnovamento proposto da Artaud in César Oliva- Francisco Torres Monreal, Historia básica del arte escénico, Madrid, Cátedra, 1997, pp. 386-391. 18 Cfr. Saúl Yurkievich, A través de la trama, Barcelona, Muchnik Editore, 1984, pp. 58-73. 5 generale e dei rapporti tra artista e società dovuti agli eventi storico-sociali che sconvolgono il periodo; tale rinnovamento prende le mosse dal simbolismo e in esso confluiscono esperienze culturali, scientifiche e artistiche a cui le avanguardie storiche contribuiscono con la spinta eversiva delle proprie estetiche. 2. Che cosa avveniva sulle scene spagnole mentre il teatro stava mutando in modo così radicale in Francia, in Italia, in Germania, in Russia? In che modo e attraverso quali canali il rinnovamento teatrale è andato penetrando in Spagna? Con quali risultati? Quale atteggiamento adottarono verso le novità gli scrittori, i critici, gli impresari, il pubblico? In anni recenti molti studiosi hanno cercato di trovare risposte a queste domande e di fare chiarezza attorno ad alcune contraddizioni evidenti che riguardano il teatro in Spagna nei primi decenni del Novecento, mettendo in luce aspetti dimenticati o sfatando luoghi comuni attorno a un periodo durante il quale il ruolo del teatro viene definito, talvolta in modo troppo affrettato, come secondario19. In un periodo che, per la ricchezza della produzione letteraria, ha fatto rivivere i fasti del secolo aureo, meritando la denominazione di Edad de Plata, sorprende la scarsità di figure di rilievo nell’ambito teatrale. Accanto ad numero notevole di poeti di primo piano, gli autori teatrali sembrano occupare una posizione ancillare. Inoltre, i drammaturghi di maggior valore, coloro che oggi riteniamo i principali esponenti del teatro della prima metà del secolo, erano quasi completamente ignorati dal mondo teatrale: o non rappresentavano affatto le loro opere o le mettevano in scena a fatica, andando incontro a clamorosi insuccessi. Gli intellettuali spagnoli, sempre attenti a quanto avveniva nel mondo culturale al di là dei Pirenei, erano perfettamente coscienti di un problema che si manifestava sotto due aspetti: da una parte, la maggioranza degli spettacoli teatrali che venivano rappresentati in Spagna presentavano un basso profilo qualitativo e, dall’altra, si rilevava una scarsa presenza di iniziative di rinnovamento. I primi tentativi di percorrere nuove strade, che risalgono ai primi anni del secolo, furono destinati al fallimento: non mancarono le iniziative o i progetti, ma venne meno la capacità di trasformarli in realizzazioni efficaci20. Che l’assenza di proposte rinnovatrici sia un luogo comune da sfatare, è dimostrato da alcuni studi recenti che mettono in evidenza come fosse presente e diffusa la consapevolezza di una decadenza delle formule drammatiche ottocentesche e fosse sentita la necessità di cercare delle alternative anche all’interno del pensiero regeneracionista21. 19 In particolare sono da ricordare le iniziative del C.S.I.C. e il progetto di ricerca Teatro y Sociedad: Nuevos enfoques críticos para una historia del teatro en Madrid entre 1900 y 1936, finanziato dalla Dirección General de Enseñanza Superior del Ministerio de Educación y Cultura. 20 Cfr. J. A. Hormigón, “Propuestas teatrales para un tiempo de crisis” in Jesús Rubio Jiménez, ed., La renovación teatral española de 1900, Publicaciones de la Asociación de Directores de Escena de España, Madrid, 1998, p. 16. 21 Cfr. A.A.V.V., Teatro y pensamiento en la regeneración del ’98, Madrid, Fundación Pro-Resad, 1998. 6 In un saggio del 1984, Dru Dougherty22 mette a fuoco alcune fondamentali contraddizioni del teatro degli anni venti: in primo luogo lo studioso fa rilevare la coscienza diffusa, tra gli intellettuali più illuminati, della profonda crisi in cui era caduta la scena spagnola. Critici e scrittori notavano con rammarico il divario che si era aperto tra gli orientamenti europei e ciò che avveniva in Spagna. Ricardo Baeza, sulle pagine di El Sol, giudicava il teatro spagnolo inferiore non solo in confronto a quello europeo, ma anche rispetto alle altre manifestazioni artistiche nazionali. Si assiste a una frattura evidente fra coloro che, sensibili agli sviluppi dell’arte e della cultura contemporanea, rilevano l’arretratezza degli spettacoli teatrali, la reiterazione sulle scene spagnole di formule drammaturgiche scontate e, per contro, un numero ristretto di autori che, soddisfatti dell’applauso del pubblico e dei notevoli proventi che il successo di cassetta procurava loro, negavano l’esistenza della pretesa crisi teatrale sbandierata da critici e giornalisti. L’affermazione sincera e un po’ ingenua di Benavente -“Ganamos más que nunca”- rende evidente la profonda contraddizione a cui va incontro lo spettacolo teatrale, per sua stessa natura molto più dipendente da questioni economiche rispetto ad altre forme artistiche. La preferenza accordata dal pubblico al teatro comico aveva scatenato a partire dal 1917 una campagna di stampa contro questo tipo di spettacolo e in particolare contro le “astracanadas” di Pedro Muñoz Seca, definite da Tomás Borrás, un “género cuadúpedo”23 che si propone come unico scopo quello di arricchire il proprio autore. In questo dibattito intervengono personaggi illustri come Manuel Machado il quale difende il teatro comico che per lo meno ha il merito di regalare un’ora di risate, mentre sulle scene spesso si rappresenta un teatro che pretende di essere culturale e invece è solo noioso e pedante. Non è colpevole il teatro comico di rubare pubblico a quello serio bensì è il teatro ritenuto colto responsabile dell’allontanamento degli spettatori da spettacoli vuoti e noiosi, ricoperti di “un vago barniz literario”24. La questione economica fu ampiamente dibattuta dalla stampa; era innegabile che il pubblico accordasse le proprie preferenze agli autori “consagrados” Benavente, Muñoz Seca, Arniches- e che questo scoraggiasse gli impresari dal lanciarsi in allestimenti rischiosi dal punto di vista economico. Le spese elevate che l’impresario doveva sostenere, lo spingevano a mantenere alti i prezzi dei biglietti, il che si rivelò controproducente quando il cinema cominciò a rappresentare una valida concorrenza. In assenza di un intervento ufficiale di sostegno che liberasse il teatro dalla dittatura del guadagno, gli unici spazi praticabili, quantomeno fino all’avvento della Repubblica, per coloro che volevano percorrere strade meno battute, furono i “teatros íntimos”25, i teatri da camera. Seguendo la linea inaugurata da Adriá Gual a Barcellona con il suo Teatre Intim, sorsero a Madrid alcune iniziative che 22 Dru Dougherty, “Talía convulsa: la crisis teatral de los años 20” in Robert Lima, Dru Dougherty, Dos ensayos sobre el teatro español de los 20, Cuadernos de la Cátedra de Teatro, Universidad de Murcia, 1984, pp. 87-155. 23 Cfr. La Tribuna, 12, II, 1917. 24 Manuel Machado, “Los estrenos. Comedia”, El Liberal, 1, II, 1917. 25 Non bisogna dimenticare tuttavia il lavoro svolto da Gregorio Martínez Sierra come direttore del teatro Eslava di Madrid, dal 1917 al 1925; egli seguì una politica di apertura all’innovazione del teatro europeo attraverso la proposta di opere straniere in traduzione ed avvalendosi di notevoli collaboratori nel campo della scenografia come l’uruguaiano Barradas, l’italiano Mignoni e il tedesco Burmann. 7 raggruppavano uomini di teatro disposti a sperimentare nuove ipotesi sceniche. Sono note le vicende legate all’attività del Mirlo Blanco di casa Baroja, del Cántaro Roto di Valle Inclán e del Caracol di Rivas Cherif. L’importanza che veniva attribuita al teatro nella società spagnola, nonostante le contraddizioni e le difficoltà lamentate da attori, autori e impresari e le perplessità degli uomini di cultura rispetto ad una ripetitività delle formule teatrali e ad una certa impenetrabilità ad un rinnovamento che in altri paesi era più avanzato, è testimoniata dal fatto che a partire dagli anni ’20 su quasi tutti i giornali madrileni apparve una rubrica fissa dedicata al teatro o una pagina teatrale. Una delle più prestigiose fu quella dell’Heraldo de Madrid 26, diretta da Rafael Marquina, che, dal 22 dicembre del ’23 al 29 marzo del ’27, svolse un’importante funzione informativa. Frequentemente il giornale offriva spazio alle collaborazioni dei critici e uomini di cultura più attenti all’evoluzione della scena, consentendo così un dibattito su questioni di ordine più generale e teorico, in cui si esprime il disagio di fronte ad un teatro ripetitivo e fedele a schemi che si erano imposti alla fine dell’Ottocento e ormai ritenuti obsoleti. Il teatro europeo costituiva un costante termine di paragone, sia attraverso le critiche degli spettacoli che le compagnie straniere rappresentavano a Madrid, sia grazie a informazioni e commenti sulle novità presentate all’estero. Già nel corso degli anni precedenti sulla rivista España, Julio Alvarez del Vayo aveva pubblicato una serie di articoli su direttori di scena sconosciuti in Spagna come Max Reinhardt, Konstantin Stanislavskij e André Antoine27. Sulle pagine dei giornali cominciarono ad apparire osservazioni su temi prima del tutto ignorati dalla critica: la scenografia, ad esempio, è il tema centrale di un intervento di Jacinto Grau sull’Heraldo de Madrid 28 in cui si oppone a chi considera la scenografia e i costumi come qualcosa a sé, indipendente dall’opera che si rappresenta, mentre secondo lo scrittore d’avanguardia, ci deve essere un profondo accordo fra tutte le componenti dello spettacolo. Uno fra i pochi critici sensibili alle nuove tendenze fu Manuel Pedroso, il quale, sempre dalle pagine dell’Heraldo, difendeva l’importanza di quegli elementi dello spettacolo (linguaggio scenico, illuminazione) generalmente trascurati. Anche la figura del regista che, come abbiamo già osservato, in Spagna era ignorata o confusa con il primo attore o l’impresario, cominciò ad avere un suo spazio negli articoli giornalistici29. Dalle pagine dei quotidiani partivano anche coraggiose iniziative come quella promossa da Manuel Pedroso il quale propose la creazione di una “Liga pro drama”30 26 Cfr. Dru Dougherty e Maria F. Vilches de Frutos, “La renovación del teatro español a través de la prensa periódica: la página teatral del Heraldo de Madrid (1923-1927)”, Siglo XX/20th Century, 6 (1988-1989), pp. 47-56. 27 Cfr. J. Alvarez del Vayo, “El teatro de Max Reinhardt, España, N°163, 23 maggio 1918, pp. 9-10; “El teatro en Rusia”, España, N° 169, 4 luglio 1918, pp. 11-12; “Notas sobre el teatro. La labor de Antoine”, España, N° 234, 2 ottobre 1919, pp. 8-9. 28 El Heraldo de Madrid, 22 agosto 1925, p. 5. 29 Indubbiamente in questo campo risalta, per le sue posizioni all’avanguardia, la figura di Rivas Cherif, mentre sorprende che Díez-Canedo, così attento alle realizzazioni del teatro moderno europeo, non veda il ruolo del regista come un elemento positivo, ritenendo il teatro basato essenzialmente sulla parola. Cfr. E. Díez-Canedo, El teatro y su lenguaje, México, La casa de España en México, 1939, pp. 40 e ss. 30 El Heraldo de Madrid, 8 luglio 1925, p. 5. 8 per liberare la scena dalla tirannia del guadagno e consentire la sopravvivenza a un teatro capace di attrarre, ma anche di educare il pubblico. Nel 1925 il problema della crisi teatrale assunse le dimensioni di un vero e proprio problema nazionale: nel mese di aprile El Imparcial promosse un’inchiesta sui problemi del teatro alla quale risposero vari rappresentanti di diversi settori della vita teatrale31 consentendo di osservare il problema da diverse angolazioni: i punti di vista dell’impresario, degli attori, degli autori e dei critici si alternarono sulle pagine del giornale. Le cause della crisi vennero via via individuate nelle tasse eccessive, nella scarsa qualità delle opere rappresentate, nella concorrenza del cinema, nel numero eccessivo di teatri, nel prezzo troppo elevato dei biglietti, nella scarsa preparazione degli attori. D’altra parte, durante la stagione 1924-1925 si può notare un crescente interesse verso i grandi successi del teatro straniero che vengono presentati, tradotti o adattati, e che fanno ritenere che il dibattito promosso sulla stampa cominci a dare i suoi frutti32. Voci assai autorevoli si levarono sulle questioni teatrali anche dalle pagine del quotidiano El Sol dove la rubrica “Teatros” apparve regolarmente per nove mesi, dal 29 settembre 1927 fino al 21 giugno 1928. Le firme di Luis Araquistáin, Gómez de Baquero, Díez-Canedo, Pérez de Ayala, Ricardo Baeza si alternarono a quelle dei corrispondenti esteri che dall’Inghilterra, dalla Francia, dall’Italia e dalla Germania inviano recensioni e articoli su quanto avveniva nel mondo teatrale in quei paesi33. Anche se il proposito informativo era predominante in questi articoli, non si può ignorare un’intenzione educativa soggiacente che si preoccupava di elevare il gusto del pubblico affinché abbandonasse l’esclusiva passione per l’”astracanada” e si avvicinasse a drammaturghi europei di maggiore rilievo artistico. Il taglio culturale di questa pagina è confermato dall’assenza di informazioni riguardo a problemi relativi alle tasse, agli affitti dei teatri, a prezzi e conflitti sindacali che invece trovarono spazio in altri giornali o sulla stampa specializzata34. Questa rubrica fu particolarmente rilevante proprio per le aggiornate informazioni -possibili anche grazie ai corrispondenti- che diffondeva su autori e registi stranieri commentando le opere di Strindberg, Wedekind, Shaw, Pirandello, Crommelynck, Lenormand o le proposte sceniche di Copeau, Lugné-Poe, Piscator, 31 Cfr. D. Dougherty, M. F. Frutos de Vilches, La escena madrileña entre 1918 y 1926, Madrid, Editorial Fundamentos, 1990, pp. 58-59. 32 “Llama la atención la variedad de obras que proceden de los teatros francés, portugués, húngaro, italiano, inglés, alemán, argentino, norteamericano e irlandés. Cabe citar tres títulos de Luigi Priandello, Piénselo bien… Traducción de E.López Alarcón, El hombre la bestia y la virtud, Traducción de Ricardo Baeza y Dos en una, traducción de F. Gómez Hidalgo, así como obras de Tristan Bernard, El hombre que quiere comer, adaptación de G. Martínez Sierra y Joaquín Abati y Béseme usted, versión de J.J. Cadenas. Otras obras que se estrenaron con gran expectación incluían Knock o El tiempo de la medicina de Jules Romains (traducción de Manuel y José Linares Rivas); Pina Birqauin, de Arnoldo Fraccaroli (traducción de F. Gómez Hidalgo); Flandorfer, el único, de Reineke Fuchs (adaptación de Francisco de Viu) y Disraeli de Luis Parker en versión de M. Linares Rivas”. Cfr. D. Dougherty, M. F. Frutos de Vilches, La escena madrileña entre 1918 y 1926, cit., pp. 80-81. 33 Cfr. Pilar Nieva de la Paz, “Teatros: Página teatral de El Sol (1927-1928)”, Anales de la Literatura Española Contemporánea, Vol. 16, N. 3, 1991, p. 305 34 Cfr. Pilar Nieva de la Paz, “Teatros: Página teatral …”, cit., pp. 291-319. 9 Stanislavskij; i redattori di El Sol rendevano evidente il divario fra le novità europee e la monotona ripetitività spagnola che necessitava di un urgente aggiornamento per poter raggiungere il livello delle realizzazioni straniere. Luis Araquistáin, assumendo la doppia veste di giornalista e autore teatrale, in un noto saggio pubblicato nel 1930, La batalla teatral, affronta il problema dal punto di vista sociologico, osservando che quando un’opera teatrale ha successo, nonostante la critica avversa e contro l’opinione della parte più intelligente del pubblico, significa che è profondamente radicata nella coscienza sociale del momento. Il merito dell’autore di successo risiede nell’interpretare “como nadie la conciencia de su generación, sus ideales o falta de ideales”35. Per Araquistáin il problema del teatro contemporaneo è centrato sul pubblico che, a causa dell’aumento del costo degli spettacoli, appartiene esclusivamente alla classe borghese: “El señorío del teatro contemporáneo corresponde a la burguesía, ella paga, ella manda, ella impone sus gustos y preside la mutación de los géneros”36. L’autore ammette che questo predominio del pubblico borghese è una costante anche negli altri paesi europei, che peraltro hanno un teatro più avanzato: la peculiarità della Spagna risiede nelle caratteristiche di questa classe sociale che secondo Araquistáin è una “burguesía niña” che si costituisce e acquista coscienza di sé solo dopo il 1898. A causa della mentalità infantile che l’autore ravvisa nella borghesia spagnola, il pubblico desidera esclusivamente un teatro che “le haga reír y le ayude la digestión”37. Opinioni analoghe esprime Jacinto Grau dalle pagine della Gaceta Literaria accusando la borghesia che “siente horror a toda inquietud y cambio de postura” di essere in larga misura responsabile dello stato di prostrazione del teatro. Afferma lo scrittore: Nuestro teatro presente -un presente larguísimo-, sin más objeto ni plan que seguir siendo un puro negocio o nutrición de una clase social, de un oficio ya sindicado, vegeta, sin más preocupación que una oportunidad feliz, en forma de obra taquillera, que permita seguir manteniendo los gastos del negocio y dejar alguna ganancia.38 Anche Enrique Díez-Canedo, attento osservatore della scena spagnola dalle colonne di vari quotidiani, quando nel 1937 redige un panorama del teatro spagnolo dal 1914 al 193639 disegna un profilo esaustivo e lucidissimo della situazione, individuando nella figura dell’impresario40 uno dei principali responsabili della resistenza al cambiamento che manifesta la scena spagnola dove, come osserva con sarcasmo, si considerano autori d’avanguardia Ibsen o Oscar Wilde. 35 Luis Araquistáin, La batalla teatral, Madrid, Mundo Latino, 1930, p. 8. Ibidem, p. 21. 37 Ibidem, p. 56. 38 Jacinto Grau, “Talía burguesa”, La Gaceta Literaria, 1 marzo 1927, p. 5. 39 Il testo The Theatre in a Changing Europe, commissionato da Thomas H. Dickinson nel 1937 fu pubblicato a New York dalla casa editrice Henry Holt & Co. Più recentemente è stato pubblicato in spagnolo in Enrique Díez-Canedo, Artículos de crítica teatral. El teatro español de 1914 a 1936, Vol. I, México, Joaquín Mortiz, 1968. 40 “Entre el favor del público y la personalidad del autor, se yergue la mentalidad del empresario que es en cierto modo, resumen de una élite, hoy por hoy, anti-intelectual”. E.Díez-Canedo, ibidem, p. 45. 36 10 Tuttavia Díez-Canedo passa in rassegna i tentativi di svecchiamento portati avanti da alcuni autori, sia coloro che rifiutano deliberatamente di scendere a patti con il pubblico come Unamuno o Valle Inclán, sia coloro che, mossi dal desiderio di introdurre in Spagna suggestioni e tecniche mutuate dal nuovo teatro europeo, scrivono opere sperimentali, come Azorín o Ramón Gómez de la Serna. Ma è in iniziative come quelle dei teatri da camera e nei teatri itineranti -La Barraca e le Misiones Pedagógicas- dove Díez-Canedo individua i tentativi più fecondi, orientati nella direzione che ritiene più giusta e cioè quella che si propone di formare un pubblico. Pur senza approfondire l’analisi sociale che sorreggeva le opinioni di Araquistáin, anche questo critico vede nella mancanza di un pubblico sensibile uno dei principali motivi dell’arretratezza del teatro spagnolo. C’è un aspetto, a mio avviso fondamentale, nella panoramica di Díez-Canedo: nel soffermarsi su due figure che si adoperano per rinnovare il teatro -Cipriano Rivas Cherif e Federico García Lorca- egli sottolinea nella loro attività il contatto con la scena, con gli allestimenti, con gli attori: entrambi, afferma Díez-Canedo, attuano il proprio impegno di rinnovamento attraverso una pratica che abbraccia aspetti molteplici che vanno dalla rivisitazione dei classici, alla sperimentazione scenografica e musicale e alle tecniche di recitazione, in uno stato di immersione totale nel mondo teatrale che non prescinde dalla ricezione, ma anzi si propone come obiettivo la ricerca di una mediazione tra le aspettative del pubblico reale e il tentativo di formazione di un pubblico ideale, meno legato ai convenzionalismi del teatro borghese. Díez-Canedo ritiene che il rinnovamento teatrale sia possibile solo dall’interno di un’interazione dialettica autore-pubblico attraverso la mediazione della figura, nuova per la Spagna, del regista, che si incarna perfettamente in un uomo di teatro come Cipriano Rivas Cherif 41. Il rifiuto di quest’interazione porta all’esclusione dalle scene (vedi il caso di Valle Inclán) mentre l’accettazione supina delle aspettative del pubblico soffoca qualunque proposito di rinnovamento42. Lo stesso Rivas Cherif, facendo propri i suggerimenti di Gordon Craig, riteneva fondamentali le esperienze fatte nella pratica teatrale che permettessero di verificare e rettificare le proprie opinioni riguardo il teatro e la letteratura. Presentando la propria partecipazione ad una tournée dell’attrice Irene López Heredia in Sud America, il regista osserva: Ni por un momento he dejado de tener presente la recomendación de Gordon Craig […] a los más renovadores en potencia, encareciéndoles la necesidad de aquilatar la virtud de las teorías en la práctica de la escena.43 D’altra parte, vari intellettuali spagnoli si erano espressi deprecando il cattivo gusto del pubblico e la necessità di educarlo. Ramón Pérez de Ayala si sofferma più 41 Nell’introduzione a Cipriano Rivas Cherif, Como hacer teatro: apuntes de orientación profesional en las artes y oficios del teatro español, Valencia, Pre-Textos, 1991, Enrique Rivas osserva come il lavoro di Rivas Cherif non abbia precedenti in Spagna, al di là degli sforzi di Martinez Sierra, José Francés e Ricardo Baeza. Cfr. op. cit., pp. 14-15. 42 E. Díez-Canedo, Artículos de crítica teatral…, cit., Vol. I, pp. 48 e ss. 43 Cipriano Rivas Cherif, “El rumbo de Irene López Heredia. Prólogo a un viaje entretenido”, ABC, 25.6.1929, p. 12 11 volte su analoghe questioni44 ritenendo che il pubblico contemporaneo stia toccando il fondo del “mal gusto”. “Jamás […] había llegado el gusto del público a extremos de tanta depravación en materias teatrales”45, osserva lo scrittore, sottolineando la necessità di adoperarsi per migliorarlo, per educarlo. Il limite del discorso di Ayala risiede tuttavia nel considerare l’attore come il responsabile di questa opera educativa, colui che ha il dovere di evitare che il pubblico si trasformi in “plebe” caratterizzata da bassi istinti- spronandolo invece a diventare “popolo” -espressione di una sensibilità superiore-46. Per Ayala l’opera teatrale è una sorta di ménage à trois: autore, attore e pubblico, i cui interessi artistici egli considera profondamente divergenti. Sottolineando la figura dell’attore come colui che realizza le potenzialità contenute nel testo dell’autore, Pérez de Ayala adotta una posizione a mio avviso più tradizionalista rispetto a quella che, leggendo tra le righe, si può scoprire nelle osservazioni di Díez-Canedo; lo scrittore attribuisce al grande attore l’importanza che già dalla fine dell’Ottocento gli veniva conferita, e non considera che in altri paesi il rinnovamento teatrale passa attraverso la costituzione della figura del regista, il quale, avendo dello spettacolo una visione complessiva, può dare luogo a una realizzazione che non sia basata esclusivamente sulla parola, ma che attinga a una pluralità di espressioni artistiche funzionali alla rappresentazione, come già avveniva in altri paesi europei. Comunque, anche se le soluzioni prospettate sono di diversa natura, la constatazione della mancanza di educazione, di sensibilità e di curiosità del pubblico è una costante negli articoli che riflettono sullo stato del teatro negli anni che precedono la Repubblica. Anche Federico García Lorca, nel periodo di maggiore impegno teatrale, si esprime sulla pretesa decadenza del teatro, negandola. Secondo il poeta, non è il teatro in sé, ma l’organizzazione teatrale ad essere carente. García Lorca nega, in un’intervista del 1935, che si possa parlare di una crisi di pubblico -“Hay una crisis actual de autores, no de público”47- anche se, un anno prima, si era scagliato contro gli spettatori borghesi che si recano a teatro solo per ridere, difendendo, al contrario, il pubblico popolare che considerava sensibile e ricettivo, forse idealizzandolo con una buona dose di entusiasmo e ottimismo: Yo espero para el teatro la llegada de la luz de arriba siempre, del paraíso. En cuanto los de arriba bajen al patio de butacas, todo estará resuelto. Lo de la decadencia del teatro a mí me parece una estupidez. Los de arriba son los que no han visto Otelo ni Hamlet, ni nada, los pobres. Hay millones de hombres que no han visto teatro. ¡Ah! ¡Y cómo saben verlo cuando lo ven! Yo he presenciado en Alicante cómo todo un pueblo se ponía en vilo al presenciar 44 Ramón Pérez de Ayala, Las máscaras, in Obras Completas, III. Madrid, Aguilar, 1962. Cfr. pp. 417-429; 473-483. 45 Ibidem, p. 422. 46 “En el público –congregación numerosa de muchos hombres- la batalla ya no se riñe entre un ángel y una bestia, singulares y recónditos, sino, ostensiblemente, entre un escuadrón de ángeles y un tropel de bestias. Cuando triunfa el escuadrón de las celestiales potencias, el público pasa a ser pueblo. Cuando triunfa el tropel de los bajos y torpes instintos, el público pasa a ser plebe”. Ibidem, p. 477. 47 Federico García Lorca, Entrevistas y declaraciones, in Obras Completas, Madrid, Aguilar, 1965, p. 1775. 12 una representación de la cumbre del teatro católico español: La vida es sueño. No se diga que no lo sentían.48 Dai numerosi studi che si propongono una revisione della storia del teatro spagnolo del Novecento anteriore alla guerra civile, evidenziando la contraddizione tra la coscienza della crisi e la notevole attività che contraddistingue la scena49, e da altri contributi che si soffermano sul periodo a cavallo tra i due secoli50, emerge in modo chiaro la funzione di informazione, guida e stimolo svolta da un gruppo ristretto di intellettuali e il profondo scollamento fra questi e la maggior parte dei fruitori dello spettacolo teatrale, appartenenti alla piccola e media borghesia. Attraverso gli articoli giornalistici, il pubblico colto riceveva informazioni su quanto stava avvenendo negli altri paesi europei ed è notevole l’attenzione prestata dalla stampa alle nuove correnti sceniche che si affermavano all’estero. Un mezzo privilegiato di contatto con il teatro straniero era costituito dalle tournées delle grandi compagnie; anche se queste rappresentavano in Spagna opere ormai consolidate e non rischiavano un fiasco con spettacoli particolarmente innovativi, esse costituivano una ventata di aria nuova, permettendo al pubblico di confrontarsi con allestimenti generalmente di buon livello e grande professionalità. In questo campo sarebbe auspicabile approfondire la ricerca, per poter meglio valutare la ricezione di tali spettacoli, e stabilire la portata effettiva della loro influenza sul teatro spagnolo. Due brevi osservazioni: gli attori recitavano ovviamente nella loro lingua e questo limitava il pubblico in condizioni di comprendere appieno il testo, anche se la maggior parte delle compagnie erano francesi e italiane e l’affinità linguistica riduceva le difficoltà di comprensione; inoltre le compagnie, generalmente, non replicavano le opere51. Alcune si sottoponevano ad un vero e proprio tour de force, facendo sfoggio di grande professionalità, rappresentando un vasto repertorio e cambiando spettacolo quasi ogni sera52. Questo limitava il numero degli spettatori rendendo modesta la valenza educativa di questi allestimenti nell’ottica di una maturazione del gusto della piccola 48 Ibidem, p. 1767. In particolare i lavori di Dru Dougherty e María Francisca Vilches de Frutos costituiscono uno strumento indispensabile, ricco di dati preziosi, che disegna in modo approfondito un panorama della scena madrilena dal 1918 al 1831 analizzando la straordinaria varietà e vivacità del mondo teatrale dell’epoca. Cfr. Dru Dougherty e María Francisca Vilches de Frutos, La escena madrileña entre 1918 y 1926, cit., e, degli stessi autori, La escena madrileña entre 1926 y 1931. Un lustro di transición, Madrid, Editorial Fundamentos, 1997. 50 Cfr. Jesus Rubio Jiménez, La renovación teatral española…, cit.; AA.VV., Teatro y pensamiento en la regeneración del 98, cit.; Ricardo de la Fuente Ballesteros, Introducción al teatro español del siglo XX (1900-1936), Valladolid, Aceña, 1987; Ursula Aszyk, Entre la crisis y la vanguardia, Varsavia, Cátedra de Estudios Ibéricos, Universidad de Varsovia, 1995. 51 Un’eccezione è costituita dal Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca che, con il suo teatro musicale di marionette, destinato a bambini e adulti, riscosse un successo notevole sia di critica che di pubblico. Durante la sua tournée di due mesi al Teatro de la Zarzuela nell’inverno 1924, rappresentò 13 opere; alcune ebbero un numero di repliche inconsueto per le compagnie di prosa (Alì Babà, opera buffa, 24 repliche; Don Giovanni di Mozart, 14 repliche; L’elisir d’amore di Donizetti, 13 repliche). Cfr. D. Dougherty e M.F.Vilches de Frutos, La escena madrileña entre 1918 y 1926, cit., p. 43. 52 Un caso notevole è quello della compagnia di Vera Vergani diretta da Dario Niccodemi che durante il soggiorno madrileno dal 18.12.1923 al 6.1.1924 rappresentò ben venti drammi (tra cui, il 22.12.’23, Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello) replicando le recite per due volte solo in due casi. 49 13 e media borghesia che affollava i teatri53, e gli effetti di stimolo prodotti dagli spettacoli stranieri sembrano ricadere in particolare sugli addetti ai lavori54. Nonostante l’evidente difficoltà del pubblico ad accettare le novità e la conseguente ostilità dimostrata dagli impresari, un numero non esiguo di autori si cimentò con la scrittura di opere decisamente innovative, composte sulla spinta dei movimenti di avanguardia. Questi tentativi per introdurre in Spagna, anche in campo teatrale, le teorie e le pratiche che già da alcuni decenni circolavano negli altri paesi europei sono ancora poco studiati e talvolta vengono classificati in modo approssimativo. La maggiore visibilità del fenomeno del surrealismo, nonostante il suo carattere più effimero in Spagna che in Francia55 -circostanza dovuta indubbiamente anche ad un orizzonte di attese del pubblico assai diverso nei due paesi- porta talvolta ad ascrivere a questo movimento opere che sarebbe più prudente definire d’avanguardia tout court, senza costringerle in una casella che spesso non corrisponde loro completamente56. D’altra parte un certo fastidio verso le classificazioni affrettate che danno una definizione limitata degli artisti, dimenticando o negando un’inevitabile e proficua contaminazione, veniva manifestato anche da artisti dell’epoca, come è il caso di Sebastián Gash che dalle pagine della Gaceta Literaria decretava: A unos cuantos artistas y escritores, unidos por una serie de coincidencias generales, la inefable caterva de bobos impermeables nos llamaba ayer vanguardistas. Hoy nos llama superrealistas. Y mañana nos colgará cualquier otro epíteto de moda57. 53 Non è di quest’avviso Mariano Martín Rodríguez che, analizzando i casi di Pirandello, Lenormand e Crommelynk ritiene che il successo di questi autori dimostri “que el drama de vanguardia no estaba condenado a ser entendido tan sólo por una minoría de artistas e intelectuales […]”. Le opere di questi autori, rappresentate in traduzione, ebbero un discreto successo. Cfr. Mariano Martín Rodríguez, “Ejemplos de renovación: teatro francés e italiano en la escena madrileña (1918-1936)”, in El teatro en España entre la tradición y la vanguardia, ed. di D. Dougherty e M.Francisca Vilches de Frutos, C.S.I.C., Madrid, Fundación Federico García Lorca-Tabacalera S.A., 1992. 54 La principale conseguenza benefica di tali spettacoli consistette forse nel suggerire, ad autori e impresari, testi stranieri da presentare tradotti o adattati, o nell’offrire lo spunto per aprire un dibattito giornalistico su temi teatrali. Osserva Juan Gutiérrez Cuadrado rispetto alla ricezione di Pirandello in Spagna, che una sola rappresentazione di Sei personaggi scatenò sulla stampa una vera e propria polemica, per la quale si coniarono i neologismi pirandelismo e pirandelitis, anche se la sera della rappresentazione il teatro non fece il tutto esaurito e un gran numero di spettatori confessò di non capire l’italiano. Cfr. Juan Gutiérrez Cuadrado, “Crónica de una recepción: Pirandello en Madrid”, Cuadernos Hispanoamericanos, 333, marzo de 1978, pp. 347-386. 55 Cfr. Jesús García Gallego, Bibliografía y crítica del surrealismo y la generación del veintisiete, Málaga, Centro Cultural de la Generación del 27, 1989, pp. 12-13. 56 Mi pare ad esempio che operi alcune forzature, spinta da un eccesso classificatorio, Barbara Sheklin Davis in uno studio, peraltro interessante e documentato, sul teatro surrealista. Cfr. “El teatro surrealista español”, in El Surrealismo, ed. di V. García de la Concha, Madrid, Taurus, 1982, pp. 327358. 57 Cfr. La Gaceta Literaria, 1.10.1929, p.3. Cito da Jaime Brihuega, Manifiestos, proclamas panfletos y textos doctrinales (Las vanguardias artísticas en España: 1910-1931), Madrid, Cátedra, 1982, p. 302. 14 È innegabile che opere come Sinrazón di Sánchez Mejías, Los medios seres di Gómez de la Serna, Tic-Tac di Guillermo de Torre, per citarne solo alcune, tentano di percorrere nuove strade, allontanandosi in modo netto da quelle praticate fino ad allora, anche dal teatro più avanzato. Tuttavia, questi autori, ed altri che scrivono negli anni ’20 e ’30 pièces teatrali innovative, dimostrano un notevole eclettismo58, assorbendo e rielaborando le novità che, fin dalla fine dell’Ottocento, erano state messe in pratica nei principali teatri europei. È interessante notare che la Gaceta de Arte di Tenerife, la rivista più dichiaratamente surrealista in Spagna, quando nel 1933 prende posizione contro il teatro spagnolo contemporaneo, individua come modelli, personalità di rilievo del teatro europeo che nulla hanno a che vedere con il surrealismo. Come osserva Andrew A. Anderson59 sono il simbolismo e l’espressionismo i movimenti “moderni” che servono frequentemente da orientamento per gli autori spagnoli e spesso i testi teatrali frettolosamente catalogati come surrealisti non si allontanano da una prassi piuttosto convenzionale. “Teatro d’avanguardia”, “teatro inquieto” o “teatro sperimentale”: le definizioni che sono state applicate al periodo di cui ci stiamo occupando, manifestano l’intenzione di non rinchiudere il teatro innovativo dell’epoca in gabbie troppo strette, tenendo conto, appunto, dell’eclettismo che contraddistingue la maggior parte di questi tentativi60. Il fatto fondamentale, al di là degli intenti classificatori e della ricerca delle influenze, è che tutta l’evoluzione del teatro spagnolo nei primi decenni del Novecento sembra procedere in modo faticoso, senza riuscire a sanare la profonda frattura che si manifesta fra teatro e società, fra autori e pubblico. Non sono gli autori teatrali che mancano, bensì tutto un insieme di elementi attori, scenografi, registi, impresari, pubblico- che rendano possibile la realizzazione spettacolare di quelle virtualità che, in modo embrionale ed abbozzato, o più elaborato e manifesto, sono presenti nei testi teatrali. Francisco Ruiz Ramón osserva la sproporzione tra le potenzialità del complesso sistema semiotico del teatro lorchiano e le possibilità di allestimento offerte dalle imprese teatrali degli anni ’30, che non possono far altro che tradire il testo attraverso un codice teatrale inadeguato a realizzarlo61. Sembra oramai evidente che non si possa affrontare una riflessione sul teatro dei primi decenni del secolo (in realtà sul teatro tout court) senza tener conto della prassi teatrale e quindi senza considerare le possibilità concrete di messa 58 C. B. Morris riporta il termine “hibridación” coniato da Derek Harris per definire le molteplici componenti che caratterizzano il linguaggio dell’avanguardia. Cfr. B. C. Morris, El surrealismo y España, Madrid, Espasa- Calpe, 2000, p. 23. 59 Cfr. Andrew A. Anderson, “Los dramaturgos españoles y el surrealismo francés”, 1924-1936, Insula, n° 515, Novembre 1989, pp. 23-25; dello stesso autore occorre ricordare il saggio “Bewitched, Bothered and Bewildered: Spanish Dramatism and Surrelism, 1924-1936”, in The surrealist Adventure in Spain, Ed. di C. Brian Morris, Ottawa, Dovehouse Editions Canada, 1991, pp. 240-263; a conclusioni analoghe giunge Ricardo de la Fuente Ballesteros in “El imposible vanguardismo en el teatro español”, in T. Albaladejo, F. J. Blasco e R. de la Fuente, ed., Las vanguardias. Renovación de los lenguajes poéticos, Madrid, Júcar, 1992, pp. 127-148. 60 Cfr. Mariano de Paco, “Crisis y renovación”, in Insula, N° 529, gennaio 1991, pp. 35-36; Arturo del Hoyo, Teatro inquieto español, Prólogo y notas de Antonio Espina, Madrid, Aguilar, 1967; José Gordón, Teatro experimental español (Antología e historia), Madrid, Escalicer, 1965. 61 F. Ruiz Ramón, “Espacio dramático/Espacio escénico o el conflicto de códigos teatrales”, in El teatro en España, cit., pp. 23-29. 15 in scena e senza tener conto dei rapporti con il pubblico e con la critica, assumendo il punto di vista della ricezione del fenomeno teatrale all’interno di una interazione di fattori62. 62 In questo ambito di studio si collocano diversi lavori che si propongono di indagare il fenomeno teatrale dal punto di vista della prassi piuttosto che dal testo affrontando i temi fondamentali della trasformazione dei codici teatrali dei primi trent’anni del secolo: cfr. El teatro en España entre la tradición y la vanguardia, ed. di D. Dougherty e M.Francisca Vilches de Frutos, C.S.I.C., Madrid, Fundación Federico García Lorca-Tabacalera S.A., 1992;Luciana Gentilli, Teatro e avanguardie nella Spagna del primo novecento. Cipriano Rivas Cherif, Roma Bulzoni, 1993; Juan Aguilera y Manuel Aznar Soler, Cipriano de Rivas Cherif y el Teatro español de su época (1891-1967), Madrid, Publicaciones de la Asociación de Directores de Escena, 1999; José A. Sánchez (ed.), La escena moderna. Manifiestos y textos sobre teatro de la época de vanguardias, Madrid. 16