www.novitafiscali.supsi.ch Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale N° 7–8 Luglio–Agosto 2015 Politica fiscale Il segreto bancario nei confronti del fisco svizzero 3 Diritto tributario italiano Fruibilità del credito d’imposta e voluntary disclosure 5 Voluntary disclosure: limiti e conseguenze tributarie 8 Voluntary disclosure e stabile organizzazione in Italia 19 Diritto tributario internazionale e dell’UE Un primo commento alla LASSI 22 Diritto finanziario Legittimità delle restrizioni bancarie nell’esecuzione delle istruzioni dei clienti 32 IVA e imposte indirette Il rimborso dell’IVA italiana per i soggetti passivi non appartenenti all’UE 40 Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario 45 Introduzione Novità fiscali 07–08/2015 Redazione SUPSI Centro di competenze tributarie Palazzo E 6928 Manno T +41 58 666 61 75 F +41 58 666 61 76 [email protected] www.novitafiscali.supsi.ch ISSN 2235-4565 (Print) ISSN 2235-4573 (Online) Redattore responsabile Samuele Vorpe Comitato redazionale Flavio Amadò Elisa Antonini Paolo Arginelli Sacha Cattelan Rocco Filippini Roberto Franzè Marco Greggi Giordano Macchi Giovanni Molo Andrea Pedroli Sabina Rigozzi Curzio Toffoli Samuele Vorpe Impaginazione e layout Laboratorio cultura visiva Qual è la hit dell’estate 2015? Negli studi dei professionisti del Canton Ticino il tormentone della stagione si intitola sicuramente voluntary disclosure! La legge, adottata nel 2014 dal Parlamento italiano per favorire l’emersione ed il rientro dei capitali detenuti all’estero, ha comprensibilmente creato fermento e preoccupazioni, non solo negli ambienti bancari ma anche in fiduciarie e studi legali che trattano con clientela italiana. All’entrata in vigore della normativa sulla regolarizzazione è del resto strettamente legata la firma, avvenuta il 23 febbraio scorso, del Protocollo che modifica la Convenzione per evitare le doppie imposizioni fra Svizzera e Italia. Non può pertanto sorprendere il fatto che questo numero estivo di Novità fiscali proponga ben tre contributi, rispettivamente di Giovanna Costa, di Roberto Bianchi e Giovanni Parisi, che trattano proprio il tema della voluntary disclosure. Per la Svizzera, la questione è ancora quella del rapporto fra tutela del segreto bancario e scambio di informazioni fiscali. Se ne occupano, l’uno dal punto di vista del fisco svizzero e l’altro da quello delle autorità fiscali estere, Samuele Vorpe e Curzio Toffoli. Quest’ultimo propone in particolare un’ampia panoramica sulla Legge federale concernente l’applicazione unilaterale dello standard OCSE sullo scambio di informazioni (LASSI), recentemente posta in consultazione. I nuovi obblighi internazionali, assunti dalla Svizzera, all’insegna della trasparenza, hanno avuto anche ripercussioni nello svolgimento dei rapporti contrattuali fra banche e clienti. Sulla controversa legittimità delle restrizioni bancarie nell’esecuzione delle istruzioni dei clienti si esprime Giovanni Molo. Infine, Sara Montalbetti affronta il tema del rimborso IVA ai soggetti passivi non appartenenti all'UE, tra i quali vi rientra anche la Svizzera. Andrea Pedroli Politica fiscale Il segreto bancario nei confronti del fisco svizzero Samuele Vorpe Responsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI Sulla base della continua erosione del segreto bancario, anche nell’ambito penale e civile, non è da escludere che anche il Tribunale federale possa presto cambiare la sua giurisprudenza relativa all’articolo 127 capoverso 2 LIFD Il segreto bancario nel diritto svizzero protegge in particolare la sfera privata del cliente e il segreto professionale del personale della banca ai sensi dell’articolo 47 della Legge federale sulle banche e sulle casse di risparmio (LBCR). La violazione del segreto bancario da parte di un funzionario di banca costituisce un delitto per il quale è comminata una pena detentiva sino a tre anni o una pena pecuniaria. Dal profilo fiscale, il contribuente è obbligato a compilare la dichiarazione d’imposta in modo completo e veritiero, e inviarla con gli allegati, anche bancari, all’autorità fiscale. Su richiesta di quest’ultima il contribuente deve segnatamente fornire anche documenti concernenti le relazioni d’affari con un istituto finanziario (articolo 126 capoverso 2 della Legge federale sull’imposta federale diretta [di seguito LIFD]). Se, nonostante diffida, il contribuente non produce l’attestazione, l’autorità fiscale può richiederla dal terzo. È salvo il segreto professionale tutelato dalla legge (articolo 127 capoverso 2 LIFD)! Ed è proprio in questa disposizione che viene tutelato il segreto bancario. Infatti l’autorità fiscale non può direttamente andare dalla banca, ma deve chiedere al contribuente la documentazione, perché è l’unico che può rinunciare al segreto bancario. La disposizione di cui all’articolo 127 capoverso 2 LIFD tutela, oltre al segreto professionale indicato all’articolo 321 capoverso 1 del Codice penale (di seguito CP), che riguarda ecclesiastici, avvocati, notai, medici, psicologi, eccetera, anche il segreto bancario (non indicato all’articolo 321 capoverso 1 CP), come confermato anche dal Tribunale federale (cfr. sentenza TF n. 2A.208/2005) e dalla dottrina. Nell’ambito di una procedura penale (per esempio in un caso di frode fiscale, ma non di contravvenzione fiscale), la banca è obbligata a collaborare e a fornire tutte le informazioni all’autorità penale. A sua volta, l’autorità fiscale può ricorrere all’assistenza di altre autorità (articolo 122 LIFD) e richiedere ogni documento necessario al fine di tassare il contribuente. Articolo pubblicato l’08.07.2015 sul Giornale del Popolo Per quanto attiene la procedura civile, un terzo può rifiutarsi di cooperare per i casi coperti dal segreto professionale (articolo 321 capoverso 1 CP), per contro le banche possono rifiutarsi di cooperare soltanto se rendono verosimile che l’interesse al mantenimento del segreto prevale su quello all’accertamento della verità (articolo 166 capoverso 2 del Codice di procedura civile). Tornando all’ambito fiscale, con la decisione del Consiglio federale del 13 marzo 2009 di levare il segreto bancario nei confronti delle autorità fiscali estere, le autorità fiscali cantonali hanno più volte richiesto al Parlamento la parità di trattamento: “Perché loro sì e noi no?”. Questa questione si è nuovamente posta con l’adozione da parte svizzera dello scambio automatico di informazioni con l’estero. Infatti il 5 giugno scorso sono stati licenziati i messaggi del Consiglio federale affinché la Svizzera recepisca lo scambio automatico di informazioni. Ad oggi, le autorità fiscali svizzere soffrono del “principio di autolimitazione”, nel senso che possono richiedere informazioni bancarie all’estero soltanto se queste potrebbero essere ottenute secondo il diritto svizzero. Di conseguenza le richieste verso l’estero oggi sono pari a zero. Con il messaggio del 5 giugno questa autolimitazione sarà parzialmente abrogata con gli Stati con i quali è previsto lo scambio automatico (cfr. articolo 22 capoversi 6 e 7 del Progetto di Legge sull’assistenza amministrativa in materia fiscale). Le recenti politiche perseguite dal Consiglio federale su pressione della Comunità internazionale hanno senza ombra di 3 4 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 dubbio indebolito il segreto bancario nei confronti del fisco. Sulla base della continua erosione del segreto bancario, anche nell’ambito penale e civile, non è da escludere che anche il Tribunale federale possa cambiare la sua giurisprudenza relativa all’articolo 127 capoverso 2 LIFD, permettendo alle autorità fiscali di richiedere direttamente le informazioni alle banche in caso di sospetti fondati. Se così fosse, probabilmente non sarebbe nemmeno necessario dover procedere ad una revisione del diritto penale fiscale, il cui messaggio del Consiglio federale è previsto per questo autunno. Per maggiori informazioni: Conferenza dei direttori cantonali delle finanze, Approbation, d’une part, de l’accord multilatéral entre autorités compétentes concernant l’échange automatique de renseignements relatifs aux comptes financiers, de l’autre d’une loi fédérale sur l’échange international automatique de renseignements en matière fiscale (MCAA et LEAR) (Prise de position par rapport au projet de consultation), Berna, 27 marzo 2015, in: http://www.fdk-cdf.ch/ fr-ch/150327_mcaa-aiag_vl-stn_fdkv_uz_f.pdf [03.08.2015] Conferenza dei direttori cantonali delle finanze, Approbation et mise en œuvre de la Convention du Conseil de l’Europe et de l’OCDE concernant l’assistance administrative mutuelle en matière fiscale (MAC et LAAF) (Prise de position par rapport au projet de consultation), Berna, 27 marzo 2015, in: http://www.fdk-cdf.ch/fr-ch/150327_mac-stahig_vl-stn_fdkv_uz_f.pdf [03.08.2015] Consiglio federale, Il Consiglio federale adotta i messaggi concernenti le basi legali per lo scambio automatico di informazioni, Comunicato stampa, Berna, 5 giugno 2015, in: https://www.news.admin.ch/message/index. html?lang=it&msg-id=57554 [03.08.2015] Locher Peter, Sottrazione d’imposta e frode fiscale, segreto bancario (del cliente della banca) e nuova politica di assistenza amministrativa della Svizzera, in: Vorpe Samuele (a cura di), Il segreto bancario nello scambio di informazioni fiscali, Manno 2011, pagina 159 e seguenti Elenco delle fonti fotografiche: h t t p : // w w w. 2 0 m i n . c h /d y i m /4 d 2 9 47/M 6 0 0 , 1 0 0 0/ i m a g e s /c o n tent/1/5/5/15544482/6/topelement.JPG [03.08.2015] Diritto tributario italiano Fruibilità del credito d’imposta e voluntary disclosure Giovanna Costa Dottore Commercialista Studio Marino e Associati, Milano Il punto sulla posizione ministeriale con riguardo all’eliminazione della possibile doppia imposizione internazionale sui redditi da attività oggetto di rimpatrio assolte all’estero in relazione ai redditi derivanti dalle attività rientranti nella procedura in questione, su cui ci si soffermerà nel prosieguo. 1. Voluntary disclosure e aspetti irrisolti Con la Legge n. 186/2014, intitolata “Disposizioni in materia di emersione e rientro dei capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio”, è stata introdotta anche in Italia una procedura di collaborazione volontaria tra fisco e contribuente. La voluntary disclosure (nella sua dimensione internazionale), come noto, consente ai contribuenti, interessati dall’ambito di applicazione, di sanare le violazioni relative alla detenzione di attività all’estero non dichiarate. La procedura non può esser disgiunta dal contesto internazionale in cui si inserisce. Uno scenario nel quale si può individuare una strategia globale volta ad isolare quei Paesi che ancora non hanno aderito alle procedure di emersione dei capitali nascosti: si pensi alla disciplina sullo scambio automatico di informazioni tra le Amministrazioni finanziarie, agli accordi bilaterali Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA), alla Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in campo fiscale, si tratta di provvedimenti finalizzati a favorire un regime di trasparenza tra le diverse Amministrazioni finanziarie, a incrementare lo scambio di informazioni e contrastare i fenomeni di evasione e elusione su scala internazionale. Guardando l’attuale panorama internazionale è di immediata apprensione che la voluntary disclosure costituisce, almeno secondo le intenzioni del nostro legislatore, “l’ultimo treno per la regolarizzazione”, in quanto strumento utilizzabile dai contribuenti per sanare la propria posizione fiscale in relazione alle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero in violazione degli obblighi previsti per il monitoraggio fiscale. Nonostante l’Amministrazione finanziaria si sia premurata di chiarire alcuni aspetti operativi della neo introdotta disciplina[1] , vi sono ancora diversi punti oscuri. Molteplici sono i nodi che non sono ancora stati sciolti tra cui il problema del riconoscimento o meno di un eventuale credito per le imposte 2. Credito di imposta e recente posizione dell'Amministrazione finanziaria Sia consentito ricordare, innanzitutto, che il credito per le imposte assolte all’estero finalizzato all’eliminazione della doppia imposizione a livello internazionale, è disciplinato dall’articolo 165 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (di seguito TUIR). Il meccanismo del credito di imposta trova fondamento nell’esigenza di evitare l’emergere di fenomeni di doppia imposizione internazionale sui redditi prodotti oltralpe e imponibili in Italia. Potrebbe accadere infatti che sia lo Stato della residenza del contribuente sia lo Stato della fonte, i.e. quello in cui il reddito è prodotto, esercitino la potestà impositiva sullo stesso identico reddito sulla base di differenti criteri di imposizione, i.e. principio di tassazione su base mondiale e principio di territorialità, dando origine ad una doppia imposizione. Secondo quanto disposto dal primo comma dell’articolo 165 TUIR, il credito d’imposta è riconosciuto, in estrema sintesi, qualora ricorrano congiuntamente le tre seguenti condizioni: la produzione di un reddito all’estero, il concorso del reddito prodotto all’estero alla formazione del reddito complessivo in Italia e, infine, il pagamento di imposte estere a titolo definitivo. Infine solo i tributi stranieri che si sostanziano in un’imposta sul reddito o in tributi di natura similare possono beneficiare del credito d’imposta. 5 6 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Tra le condizioni cui è subordinata la fruizione della detrazione, rileva – soprattutto ai nostri fini – quella prevista dal comma 8 dell’articolo 165 TUIR, il quale dispone che “La detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata”. Si rileva come tale disposizione si ponga in un rapporto di continuità con lo scopo ultimo sotteso al metodo per evitare la doppia imposizione giuridica internazionale di cui al citato articolo 165 TUIR. Vale a dire che l’ordinamento riconosce il beneficio del credito d’imposta lì solo dove si è effettivamente verificata una doppia imposizione giuridica internazionale. Ed è proprio per assicurare la sussistenza di tale circostanza che il comma 8 si preoccupa di riconoscere tale beneficio solo quando sia stata presentata la dichiarazione dei redditi in Italia ovvero sia stato indicato il reddito prodotto all’estero per il quale si chiede la fruizione del foreign tax credit. E così, la ratio del suddetto comma 8 va ravvisata nel fatto che il reddito estero abbia concorso effettivamente alla formazione del reddito imponibile nel territorio dello Stato e, in quanto tale, abbia subìto una doppia tassazione, circostanza che non ricorrerebbe nel caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia, ovvero di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata. merita segnalare – sempre nel senso della previa rettifica in sede di ravvedimento – la posizione del Gruppo di studio attivato in seno all’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano che ha rilevato la possibilità per i contribuenti, che avessero subìto un prelievo all’estero, di sanare le proprie violazioni reddituali attraverso il ravvedimento operoso avvalendosi in tale sede della possibilità di far valere il credito di imposta per le imposte pagate all’estero. Conseguentemente, ritengono i Commercialisti di Milano, a fronte dell’avvenuta sanatoria reddituale, la procedura di voluntary disclosure potrà essere attivata al fine di sanare eventuali violazioni commesse in relazione alle norme sul monitoraggio fiscale o comunque in relazione ad altre violazioni non sanate attraverso la procedura di ravvedimento operoso. In conclusione, non sembrano esserci, a legger l’Amministrazione finanziaria, margini per superare l’ostacolo “formale” dell’esposizione in dichiarazione se non ricorrendo all’istituto del ravvedimento operoso. Tuttavia tale prospettiva non convince. Invero l’articolo 165, comma 8 TUIR non può travalicare le disposizioni delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, laddove queste ultime fossero applicabili. Recentemente l’Amministrazione finanziaria[2] ha chiarito taluni aspetti operativi del foreign tax credit particolarmente rilevanti. Fermo restando che dall’omessa dichiarazione (ossia la dichiarazione presentata con un ritardo superiore a novanta giorni) discende l’irrimediabile perdita del credito d’imposta, la mancata o parziale indicazione dei redditi prodotti all’estero lascia ancora aperto lo spiraglio della detrazione con una dichiarazione integrativa nei termini di legge. Su tale possibilità si è soffermata la Circolare, in particolare, sull’istituto del ravvedimento operoso, così come novellato dall’ultima Legge di stabilità, la quale – come noto – ne ha esteso significativamente gli effetti premiali. 3. Credito di imposta e voluntary disclosure In questo modo l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto l’applicabilità della disciplina del credito d’imposta di cui all’articolo 165 TUIR nel caso di ravvedimento operoso in quanto “tale possibilità consente al contribuente di dichiarare un reddito estero non indicato nella dichiarazione originaria e di sanare la violazione commessa” [3]. La stessa Amministrazione non ha, però, preso formale posizione sulla possibilità di fruire del credito di imposta nell’ambito della collaborazione volontaria. I segnali, anzi, sono di segno contrario. In occasione di incontri con i professionisti, l’Agenzia delle Entrate ha negato l’applicabilità dell’istituto, da un lato ricordando, condivisibilmente, (è il caso della Direzione Regionale del Piemonte nell’incontro con i Commercialisti di Torino) che il credito di imposta “non è comunque applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta, a imposta sostitutiva o a imposizione sostitutiva operata dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi ai sensi dell’articolo 18 del TUIR”; dall’altro (è il caso della Direzione Lombardia in risposta ad un quesito dell’Ordine di Monza) mettendo sullo stesso piano imposte prelevate all’estero ed euroritenuta, e negando il credito in quanto in ogni caso subordinato all’esposizione in dichiarazione. Infine A tal fine, sia consentito diffondersi sulla portata della citata norma in rapporto alle previsioni contenute nei Trattati fiscali, potendo ritenersi detta disposizione in contrasto con gli obblighi pattizi la cui applicazione (e prevalenza) trova fondamento, nell’Ordinamento italiano, nel parametro costituzionale dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, il quale conferisce alle norme convenzionali una forza resistente maggiore rispetto alle leggi interne successive, senza peraltro attribuire loro il rango primario. Difatti, la suddetta disposizione, prevedendo che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto […] dei vincoli derivanti […] dagli obblighi internazionali”, realizza “un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi al parametro, tanto da essere comunemente qualificata norma interposta” [4]; di conseguenza, gli eventuali contrasti fra norma convenzionale e una legge interna (anche) successiva “non generano problemi di successione nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimità costituzionale” aventi ad oggetto la legge interna e, come parametro interposto, la stessa norma convenzionale[5]. Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Orbene, a seguito della modifica dell’articolo 117 della Costituzione e dell’interpretazione fornita dal Giudice delle leggi, la prevalenza della normativa internazionale discende proprio da quel rango sovraordinato della norma convenzionale rispetto alla legge ordinaria, ossia un rango sub-costituzionale, intermedio fra la Carta fondamentale e la legge ordinaria. A ciò si aggiunga che l’articolo 169 TUIR dispone che “Le disposizioni del presente testo unico si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione”. Stante quanto detto, e giacché uno stesso reddito non può essere assoggettato più volte all’imposta reddituale senza che vi sia alcuna misura volta ad annullare gli effetti negativi scaturenti da una duplice imposizione, qualora si dovesse configurare un’ipotesi di tal genere per fattispecie transfrontaliere, questa dovrà essere regolata, necessariamente, dal Trattato contro le doppie imposizioni rilevante ai fini che ne occupano, in luogo dell’articolo 165 TUIR (ed a fortiori non trovando applicazione quanto espresso nel comma 8) che, come noto, individua lo strumento giuridico domestico unilaterale atto ad evitare i fenomeni di doppia imposizione giuridica internazionale[6]. Sul punto si segnala il principio espresso dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano che, nella sentenza n. 2944/17/15 del 27 marzo 2015, ha affermato che la detrazione delle imposte assolte all’estero deve essere sempre riconosciuta anche nel caso in cui queste non siano indicate in dichiarazione, come previsto dall’articolo 165, comma 8 TUIR. Diversamente, se dovesse prevalere il formalismo dell’indicazione in dichiarazione rispetto alla “sostanza” della spettanza del credito, l’articolo 165 TUIR si porrebbe in aperto contrasto con la Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni nonché con i principi costituzionali di uguaglianza (articolo 3) e di capacità contributiva (articolo 53). [1] Cfr. Circolare n. 10/E del 13 marzo 2015 e Circolare n. 27/E del 16 luglio 2015. [2] Circolare n. 9/E del 5 marzo 2015. [3] Cfr. Circolare n. 9/E del 5 marzo 2015, pagina 32. [4] Corte Costituzionale, sentenza n. 349 del 2007. [5] Corte Costituzionale, sentenza n. 348 del 2007. [6] In tal senso cfr. Nota n. 51217/97 del 1. ottobre 1997, emanata dal Ministero delle Finanze – Di. Ent. Dir. Reg. Entrate. Tale recente sentenza rappresenta la sponda giurisprudenziale della prassi operativa che si registra nell’ambito delle procedure compositive con l’Agenzia delle Entrate, ove gli Uffici tendono spesso a riconoscere il credito per le imposte estere in applicazione delle disposizioni pattizie. È, quindi, probabile che l’evoluzione interpretativa ci riserverà importanti sorprese, anche – chissà – su impulso dei casi di voluntary disclosure. 4. Conclusioni Concludendo, appare evidente che l’ostacolo al riconoscimento del credito di imposta nell’ambito della cosiddetta voluntary disclosure non discenda (quanto meno, unicamente) dal tenore dell’articolo 165, comma 8 TUIR – il quale, si ritiene, non può comunque contrastare con le disposizioni convenzionali per tutto quel che si è rilevato in precedenza – rilevando, invece, l’ostacolo insito nella tipologia, prevalente, dei redditi derivanti dalle attività estere oggetto di emersione, assoggettati – generalmente – a ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva, inibendo, per ciò stesso, il diritto al foreign tax credit. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.boltoncab.co.uk/Global/News%20Pictures/tax%20credits. jpg [03.08.2015] http://economictimes.indiatimes.com/thumb/msid-5912454,width640,resizemode-4/2-tighten-foreign-tax-credit-rules.jpg [03.08.2015] 7 8 Diritto tributario italiano Voluntary disclosure: limiti e conseguenze tributarie Roberto Bianchi Dottore commercialista, Revisore legale in Bologna e Ravenna, Professore a contratto di diritto tributario Università degli studi di Firenze, Dipartimento Scienze Giuridiche Docente Didacom Guida al fisco e master norme e tributi de Il Sole 24 Ore Editorialista e pubblicista tributario IPSOA Wolters Kluwer, Giuffrè, Maggioli, Studio Cioni & Partners, Bologna Ci siamo posti il problema di cosa potrebbe accadere qualora un’istanza di collaborazione volontaria dovesse arenarsi. Cosa si verificherebbe se si appalesasse una crisi di collaborazione discendente dal fatto che un contribuente, che ha presentato la propria domanda di affioramento e che ha pertanto reso edotta l’Amministrazione finanziaria in merito a tutte le contingenze oggetto di emersione, non riuscisse per qualsivoglia motivo a perfezionare la procedura di “voluntary disclosure”? Il contribuente si troverebbe calato in una situazione di grande difficoltà, avendo esposto integralmente tutti gli elementi rilevanti ai fini dell’accertamento, senza poter beneficiare degli effetti premiali previsti dall’istituto della collaborazione volontaria. Proviamo a capirne qualcosa di più 1. I postulati dell’istituto Il novellato accordo tra Agenzia delle Entrate e partecipanti alle spese dello Stato, identifica un procedimento che permette ai contribuenti, in passato “infedeli”, di “bonificare” il patrimonio frutto dell’evasione, inviando all’Agenzia delle Entrate un’autodenuncia esaustiva e corrispondendo integralmente le imposte e i relativi interessi dovuti per tutte le annualità ancora accertabili, alla data di presentazione della dichiarazione di emersione. La “voluntary disclosure” rappresenta un coacervo di norme di legge in forza delle quali si è tentato di individuare un sofisticato compromesso tra le necessità di accertamento e di gettito dell’Amministrazione finanziaria, da una parte, e il bisogno di tutele per quei contribuenti che, in passato, hanno presentato dichiarazioni dei redditi infedeli, violando coscientemente una serie di prescrizioni normative, dall’altra. Il risultato generato da questo esperimento, mosso dall’ambizione non celata di contemperare due esigenze completamente divergenti, lo si può rappresentare come una sorta di “giano bifronte” [1] che da una parte si pone l’obiettivo di incoraggiare i contribuenti non collaborativi a trasformarsi in soggetti adempienti in modo permanente, concedendo loro un’ultima occasione[2] per garantirsi una sostanziale riduzione delle sanzioni comminabili agli inadempimenti del passato, ma che dall’altra desidera garantire anche la “compliance” dei contribuenti che si sono dimostrati onesti, imponendo a chi volesse regolarizzare le proprie precedenti infrazioni, di corrispondere integralmente le imposte evase e i relativi interessi senza ottenere il benché minimo sconto, assicurandosi esclusivamente la riduzione delle pene pecuniarie e la depenalizzazione di gran parte dei reati connessi a questo tipo di trasgressioni, compiute negli anni oggetto di emersione. Per i partecipanti alle spese dello Stato, che in passato hanno evaso i tributi, la “collaborazione volontaria” rappresenta l’occasione conclusiva per fare emergere e rientrare i patrimoni sottratti artificiosamente alla tassazione nel nostro Paese, beneficiando di un rilevante ridimensionamento delle pene pecuniarie. Tutto ciò raffigura certamente un’opportunità poiché consente di beneficiare di sanzioni ridotte, ma contestualmente rappresenta altresì un pericolo, in quanto la disciplina di emersione volontaria cela per il momento delle ombre, dal punto di vista normativo, che lasciano presagire prospettive preoccupanti per i contribuenti e per i professionisti che li assistono e che si trovano a essere implicati nella menzionata procedura di emersione dei patrimoni, detenuti al di fuori dei confini nazionali. Un postulato deve tuttavia essere scolpito nella pietra: chi decide di non salire sul bus della “voluntary disclosure” e, di conseguenza, di vanificare la possibilità di accedere volontariamente a questo procedimento di composizione agevolata, deve essere ben conscio del fatto che, qualsivoglia Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 atto aggiuntivo scaturente dagli introiti criminosi, avrebbe tutte le potenzialità per perfezionare la fattispecie del reato di autoriciclaggio[3] , punito con la reclusione a partire da due e fino a otto anni e che prevede la confisca dei patrimoni oggetto di evasione tributaria. La sanzione comminabile risulta essere molto severa e, come sostenuto[4] da Stefano Cavallini e Luca Troyer, la “voluntary disclosure” e il nuovo reato di autoriciclaggio rappresentano la carota e il bastone che l’ordinamento penale e tributario intende brandire per fare riemergere i patrimoni detenuti sia in Italia che all’estero. È opportuno ricordare che, in un primo momento, l’ottica era quella di far rientrare, nel procedimento di emersione, esclusivamente i capitali illecitamente detenuti al di là dei confini nazionali, mentre in seguito il legislatore ha optato per un ampliamento soggettivo e oggettivo dell’ambito di applicazione. 2. Gli oneri e le motivazioni A questo punto ci siamo chiesti: ma quali sono gli oneri del procedimento di emersione e, prima di ogni altra cosa, per quale motivo un contribuente che possiede delle somme ingenti fuori dai confini nazionali e sulle quali non ha corrisposto i tributi dovuti e non ha ottemperato agli obblighi di monitoraggio tributario dovrebbe, in questo momento, autodenunciarsi corrispondendo le imposte evase senza sconti e gli interessi in misura piena? Che utilità ne trae? E di quali rischi si fa carico se decide di non aderire al procedimento di emersione volontaria? La “voluntary disclosure” non va confusa né con un condono, né tantomeno con uno scudo fiscale; non vengono contemplate diminuzioni sulle imposte e l’empio partecipante alle spese dello Stato che accetta di acconsentire al procedimento di emersione e, di conseguenza, di autodichiararsi evasore fiscale, sarà tenuto a corrispondere integralmente i tributi evasi per le annualità di imposta per le quali il termine per l’accertamento non risulta essere decaduto, oltre agli interessi corrispondenti. Ma allora in che cosa è possibile individuare la convenienza ad aderire alla collaborazione volontaria da parte del contribuente infedele? In prima battuta si garantisce uno sconto importante sulle sanzioni amministrative connesse all’omessa o incompleta compilazione del quadro RW, oltre che sulle sanzioni relative all’omessa e/o infedele dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell’Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), dell’Imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA) e degli obblighi dei sostituti di imposta; ma il vantaggio più rilevante, che si accaparra il partecipante alle spese dello Stato, è rappresentato dalla non punibilità dei reati dichiarativi[5] e, di conseguenza, non esclusivamente l’omessa (articolo 5) o l’infedele dichiarazione (articolo 4), ma bensì anche la dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false (articolo 2) o altri artifici (articolo 3), oltre all’impunità per i reati di omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis) e di omesso versamento IVA (articolo 10-ter), che si ricollegano agli inadempimenti posti in essere dal contribuente[6] , oltre alla piena valenza agli accordi con Liechtenstein, Svizzera e Monte Carlo, rilevanti al fine del loro riconoscimento quali “Paesi black list con accordo” [7] esclusivamente in caso di adesione alla collaborazione volontaria. La “voluntary disclosure” rappresenta un procedimento del quale è possibile beneficiare esclusivamente nella circostanza in cui non siano già stati avviati, nei confronti del contribuente, né controlli né tantomeno verifiche[8]; ed è proprio questo il contesto per il quale la procedura di “collaborazione volontaria” viene considerata un atto spontaneo del soggetto partecipante alle spese dello Stato; pertanto, per poter aderire alla “disclosure”, non devono essere stati notificati “avvertimenti” nei confronti dei contribuenti interessati, ed è al tempo stesso necessario comprendere che si tratta di una procedura diversa da tutte quelle in cui ci siamo imbattuti nel recente passato in quanto, come già più volte ricordato, le imposte e gli interessi devono essere corrisposti in maniera globale; inoltre non è tollerato in alcuna accezione l’anonimato del soggetto emergente, peculiarità che ha invece caratterizzato gli scudi fiscali del 2001[9] , del 2003[10] e del 2009[11] , così come non è ammessa l’autodenuncia parziale da parte del contribuente e, di conseguenza, vige l’obbligo codificato di far emergere integralmente il patrimonio che si detiene al di fuori dei confini italici, in quanto è necessario dichiarare con precisione “certosina” in quale maniera e con l’assistenza e la collaborazione di chi, le attività detenute oltre frontiera siano state occultate per consentire all’Amministrazione finanziaria di mantenere la facoltà di utilizzare i dati e le informazioni raccolti per effettuare accessi e verifiche nei confronti dei soggetti coobbligati e/o collusi. Di conseguenza questo procedimento di “emersione volontaria” appare, in prima battuta, di gran lunga meno favorevole degli scudi fiscali nei quali ci siamo imbattuti nel primo decennio del XXI. secolo, ed è proprio per questo motivo che ci troviamo a interrogarci sul motivo per il quale, chi non ha aderito agli scudi fiscali del 2001, del 2003, del 2009 dovrebbe aderire alla “collaborazione volontaria” introdotta dalla L. n. 186/2014. Ma fornire una risposta a questa domanda risulta essere molto agevole: è cambiato il contesto internazionale[12] e nazionale nel quale gli operatori economici si trovano a operare; intorno agli evasori si sono serrate sempre di più le maglie, il segreto bancario sta per cadere definitivamente e, di conseguenza, tutte le istituzioni – internazionali e nazionali – si sono impegnate negli ultimi anni per isolare gli Stati[13] che rappresentavano l’ultima roccaforte europea del segreto 9 10 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 bancario. Ciò premesso appare ancor più evidente come la “voluntary disclosure” raffiguri l’ultimo bus per gli evasori italiani che vogliono regolarizzare la propria posizione e definire un accordo onorevole con il fisco nazionale. 3. La relazione intercorrente tra le imposte IVIE e IVAFE e l’emersione volontaria Con la Circolare n. 27/E/2015, l’Agenzia delle Entrate, relativamente all’Imposta sul valore degli immobili situati all’estero (di seguito IVIE) e l’Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (di seguito IVAFE) ha stabilito di fare propria una linea di condotta solo in parte congruente con il contenuto testuale della disposizione, ampliando l’ambito di applicazione della collaborazione volontaria anche all’IVIE e all’IVAFE. Tali imposte non risultano in nessuna circostanza citate dalla disciplina e la menzionata Circolare ammette che in alcun passaggio vengano richiamate palesemente. Il documento di prassi comunque afferma che una “lettura logico sistematica delle disposizioni in materia di procedura di collaborazione volontaria porta a ritenere che i benefici previsti dalla stessa possano essere riconosciuti anche con riguardo a tali imposte, per le quali, con riferimento al versamento, alla liquidazione, all’accertamento, alla riscossione, alle sanzioni e ai rimborsi nonché al contenzioso trovano applicazione le disposizioni previste per l’imposta sul reddito delle persone fisiche”. L’Ufficio tenta di far risaltare che, nella filosofia che guida il procedimento di emersione, la completezza delle informazioni e la collaborazione del contribuente qualificano il processo; per garantirne il perfezionamento i partecipanti alle spese dello Stato sono pertanto chiamati a mettere a disposizione dell’Ufficio tutti i documenti e le informazioni necessari per addivenire alla quantificazione degli eventuali maggiori imponibili, con riferimento anche ai contributi previdenziali e alle patrimoniali IVAFE e IVIE. Sulla scorta di queste pur imperfette motivazioni, le due imposte sul patrimonio all’estero sono ritenute anch’esse rientranti nella procedura di collaborazione volontaria internazionale, sebbene in carenza di violazioni in tema di monitoraggio fiscale e pertanto assoggettate alle pene pecuniarie, definite al minimo edittale e ridotte nella misura di un quarto. Non viene in alcun modo preclusa al partecipante alle spese dello Stato la possibilità di regolarizzare la propria posizione ai fini dell’IVIE e dell’IVAFE accedendo all’istituto del ravvedimento operoso. Sebbene sia stato fatto emergere dalla dottrina che l’IVIE e l’IVAFE non avrebbero potuto essere ricomprese all’interno del procedimento di emersione, l’interpretazione estensiva della disciplina caldeggiata dall’Amministrazione finanziaria si concretizza in un vantaggio per il contribuente e per il professionista che lo consiglia. Tanto è vero che il partecipante alle spese dello Stato potrà scegliere se optare per il ravvedimento operoso, anticipando la notifica di un avviso di accertamento per le menzionate patrimoniali, oppure se approfittare della riduzione sulle sanzioni nella misura disposta dalla collaborazione volontaria. In merito all’attività del dottore commercialista che assiste il contribuente nella procedura di emersione, non viene previsto che tali tributi vengano determinati all’interno della relazione esplicativa, né che il loro valore sia indicato nell’istanza di collaborazione volontaria. La Circolare n. 27/E/2015 ha precisato che devono essere prodotti “i documenti e le informazioni per la determinazione degli eventuali maggiori imponibili agli effetti anche dei contributi previdenziali e delle imposte IVAFE e IVIE”: in teoria tale documentazione dovrebbe essere già stata recuperata dai professionisti beneficiando del lavoro svolto dagli intermediari esteri per consentire la regolarizzazione delle violazioni in tema di monitoraggio fiscale e di imposte sui redditi. Tuttavia, il procedimento non potrebbe mai essere ritenuto invalido per l’insufficienza degli elementi necessari a liquidare l’IVIE e l’IVAFE, in quanto la Circolare ministeriale è stata resa pubblica nel tardo pomeriggio di giovedì 16 luglio 2015, e pertanto in prossimità delle vacanze estive, circostanza che complica notevolmente il reperimento dagli istituti di credito stranieri di eventuale documentazione integrativa entro la scadenza, prevista a tutt’oggi al 30 settembre 2015. 4. I prelievi consistenti non giustificati e il denaro detenuto in cassette di sicurezza Il chiarimento rappresentato dalla Circolare n. 27/E/2015 in merito ai prelievi non ha convinto gli operatori del settore interessati alla procedura di emersione volontaria. A parere dell’Agenzia delle Entrate, gli insufficienti chiarimenti relativi ai prelevamenti di valore significativo che depauperano il patrimonio illecitamente posseduto al di fuori dei confini nazionali, potrebbe costare il respingimento della domanda di emersione per lacune della medesima. Questo perché, la carente o infedele dimostrazione del rimpatrio, nel territorio nazionale delle disponibilità, o del loro impiego, potrebbe essere rappresentativa della circostanza che detti denari siano stati utilizzati per creare o acquisire un’analoga attività, al di fuori dei confini nazionali, volontariamente esclusa dal procedimento di emersione. Tuttavia, pur in vigenza della facoltà di effettuare tutte le verifiche ritenute necessarie, l’Amministrazione finanziaria in tale circostanza non possiede l’autorità per precludere la possibilità di depositare l’istanza di collaborazione volontaria a un contribuente nei confronti del quale ha un indimostrato “sospetto” circa la detenzione di attività finanziarie possedute all’estero e non riemerse, in considerazione del fatto che quanto viene dichiarato dal contribuente fa fede sino a prova contraria[14]. Il documento di prassi, infine, chiarisce che la soglia dei prelievi “per uso personale” considerata “ragionevole” dovrebbe essere individuata, in buona sostanza, nel rendimento degli investimenti illegalmente posseduti al di fuori dei confini nazionali[15]. Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Relativamente ai contanti conservati all’interno di cassette di sicurezza e che si ha la volontà di fare emergere, la linea sposata dall’Ufficio non ci convince sino in fondo in quanto, se da un verso ammette l’utilizzabilità delle “prove indirette” per supportare un prelievo effettuato dal conto estero e poi destinato alla cassetta di sicurezza, dall’altro richiede, come esempio, che, in tale circostanza, sia comprovato un accesso in una cassetta di sicurezza locata presso un istituto di credito italiano[16] in un periodo prossimo rispetto a quello nel quale si è dato corso ai prelievi. Ma la questione si complica notevolmente qualora il partecipante alle spese dello Stato avesse ingenuamente trasferito quel denaro contante all’interno della cassaforte della propria abitazione, anche nel caso in cui fosse in grado di documentare, grazie all’intervento di un notaio, l’esistenza di quelle somme[17] all’interno della cassetta di sicurezza domestica. obbliga a far salvi gli effetti degli atti impositivi, cronologicamente successivi a quelli di controllo). 5. Il decreto sulla certezza del diritto e le questioni ancora da definire Il Consiglio dei ministri del 31 luglio 2015[18] ha approvato, in via definitiva, il nuovo decreto sulla “certezza del diritto”, specificando l’ambito applicativo del raddoppio dei termini per violazioni penali tributarie, nonché la fase transitoria. Per prima cosa, si conferma, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 8 comma 2 L. n. 23/2014, che il raddoppio opera a condizione che la denuncia penale, per reati ricadenti nel D.Lgs. n. 74/2000, sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria del termine. Ciò si è reso necessario per evitare che l’Amministrazione finanziaria, in forza del differente orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 247/2011, abbia a disposizione un tempo eccessivamente lungo per notificare gli atti impositivi, e che, di conseguenza, tale possibilità si concretizzi in una maniera per eludere il termine ordinario di decadenza. Inoltre, vengono fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire e dei processi verbali di constatazione (articoli 5 D.Lgs. n. 218/1997 e 24 L. n. 4/1929) notificati o dei quali il contribuente abbia avuto conoscenza entro la data in cui entra in vigore il decreto, “sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015”. Non sono fatti salvi, ai fini del raddoppio con denuncia presentata, elementi rinvenuti oltre il termine ordinario di decadenza, i questionari, gli inviti a comparire ex articolo 32 del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1973, le richieste di informazioni su indagini bancarie, i processi di verifica giornalieri e quelli di accesso. La norma è molto chiara nel fare riferimento esclusivamente alle due tipologie di atti indicate. Occorre inoltre una vincolante coincidenza tra il contenuto del verbale e quello dell’atto impositivo. Nell’ipotesi in cui un verbale, già consegnato prima dell’entrata in vigore del decreto e inerente a un’annualità ormai decaduta, contenga rilievi penalmente rilevanti solo ai fini IVA, durante la fase dell’accertamento, l’Amministrazione finanziaria potrà contestare, entro il termine raddoppiato, solo una maggiore IVA, e non certamente le altre imposte come l’IRPEF o l’IRES. Si precisa, però, che il raddoppio opera per le denunce presentate dall’Amministrazione finanziaria all’interno della quale viene ricompresa anche la Guardia di Finanza. Da ciò si dovrebbe dedurre che, se, ora come allora, è certa l’applicabilità del raddoppio quando la denuncia è inviata ai sensi dell’articolo 331 del Codice di procedura penale (di seguito CPP) (ad esempio al termine della verifica, dopo la redazione del processo verbale di constatazione), non è, e non sarà, così per le denunce inviate ai sensi dell’articolo 330 CPP. Si tratta delle denunce notificate non in occasione del controllo fiscale, ma in seguito a indagini eseguite dalla polizia giudiziaria e, sebbene la notifica avvenga a mezzo della Guardia di Finanza, non si rientra all’interno dell’ambito applicativo dell’articolo 331 CPP. Il secondo elemento concerne la decorrenza della nuova norma, in ragione del fatto che la legge delega impone di fare salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore del decreto. Il Governo pare aver trovato una soluzione “intermedia”, che possa bilanciare equamente le esigenze dei contribuenti e quelle dell’Erario. Infatti, per prima cosa si ribadisce, come da testo precedente, che rimangono salvi gli effetti degli atti impositivi già notificati alla data di entrata in vigore del decreto (cosa che appare dovuta, visto che la legge delega, parlando di atti di controllo, implicitamente Il D.Lgs. sulla certezza del diritto ha introdotto delle migliorie anche sul fronte della salvaguardia dai reati penalmente rilevanti. Anche le attività e le imposte riferite ad anni per i quali siano decaduti i termini per l’accertamento fiscale (quattro per la dichiarazione infedele e cinque per l’omessa dichiarazione) hanno la facoltà di accedere alla collaborazione volontaria beneficiando della riduzione delle sanzioni amministrative tributarie e della non punibilità penale. La formulazione vigente della “voluntary disclosure” non permette l’estensione dei benefici della procedura di emersione spontanea anche ai reati antecedenti all’arco temporale dei cinque anni[19]. Pertanto in precedenza si correva il rischio di regolarizzare dal punto di vista amministrativo senza riuscire a fare altrettanto dal punto di vista penale, nel caso di possesso all’estero di capitali anche precedentemente agli anni 2009 e 2010. Oltre a ciò, e pertanto prescindendo da questa vicenda per la quale molti studi professionali hanno già predisposto un buon numero di istanze di “voluntary disclosure” che vengono tenute in “stand by” in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto sulla certezza del diritto che ha consentito di conoscere 11 12 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 gli anni ancora accertabili e pertanto da definire, esistono altre criticità che si riferiscono ai rapporti fra Amministrazione finanziaria e contribuenti, in tutti i casi nei quali questa procedura, che trova il suo avvio nell’istanza presentata all’Agenzia delle Entrate, durante il suo percorso, per una ragione o per un’altra, si imbatta in un intoppo, si interrompa e non riesca a giungere a quella che è la sua naturale e sperata conclusione. In tutti i casi in cui si manifesta una crisi di collaborazione tra partecipante alle spese dello Stato e Amministrazione finanziaria, la “voluntary disclosure” rischia di insabbiarsi con una serie di conseguenze molto pericolose sia per il contribuente, sia per i suoi consulenti. Tentiamo in concreto di comprendere in quali problematiche ci si può imbattere una volta presentata l’istanza e quest’ultima, per un motivo o per un altro, sebbene sia stato correttamente completato il lavoro di raccolta dei dati, delle informazioni e dei documenti richiesti dai funzionari dell’Amministrazione finanziaria e dell’Ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali (UCIFI), dovesse incappare, suo malgrado, in un intoppo. Quali sono le tutele del contribuente nel caso in cui la procedura di emersione volontaria non si definisca? L’interrogativo ce lo si pone poiché, qualora una “voluntary disclosure” non si chiuda con l’adesione in quanto l’Amministrazione finanziaria e il contribuente non riescono a trovare un accordo sull’oggetto dell’emersione, si verifica la peculiare circostanza che il contribuente, dopo essersi autodenunciato e, di conseguenza, dopo aver fornito all’Agenzia delle Entrate tutti i documenti e le informazioni relative alle proprie attività estere e dopo aver ricostruito tutte le evoluzioni che il patrimonio in emersione ha sviluppato nel corso degli anni e i correlati redditi che nel frattempo ha generato, e dopo avere infine calcolato le imposte e gli interessi dovuti, si viene a trovare nella particolare situazione in conseguenza della quale, se l’Amministrazione finanziaria decide di non portare a conclusione la procedura di adesione, non ha vie di scampo. Ma quale tipo di tutela possiamo ipotizzare a salvaguardia del contribuente in tutti quei casi in cui la “voluntary disclosure” non si riesca a perfezionare? Un preliminare problema viene generato dalla stessa norma che disciplina la “collaborazione volontaria” e che in realtà non fa alcuna chiarezza in merito al contraddittorio endoprocedimentale, che dovrebbe instaurarsi tra Amministrazione finanziaria e contribuente nel momento in cui viene depositata l’istanza, seppur prima di giungere al provvedimento conclusivo della “emersione volontaria”. Nel nuovo comma 5-quater D.L. n. 167/1990[20] si fa menzione all’“invito al contraddittorio”[21]; tuttavia proseguendo nella lettura della disciplina, nei commi successivi, troviamo menzionato l’“invito a comparire”[22], facendo risaltare la peculiare correlazione tra queste due differenti tipologie di convocazione. L’invito a comparire ci fa tornare in mente in maniera un poco vessatoria l’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973 e pertanto la contingenza nella quale il contribuente viene chiamato in causa non per instaurare un contraddittorio con l’Ufficio, ma bensì per fornire informazioni e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento ed è pertanto la disciplina stessa che ci porta sulla difensiva in quanto risulta strutturata in maniera tale da non consentire di comprendere, anche a un lettore attento, se il menzionato contraddittorio endoprocedimentale[23] debba effettivamente essere istituito in quanto tale, oppure si pone il problema di dover comparire di fronte all’Amministrazione finanziaria, esclusivamente per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento; ciò rappresenta una peculiare sovrapposizione della disciplina che si aggroviglia involontariamente tra l’invito al contraddittorio e quello a comparire. Il problema si accentua ulteriormente considerando che, quando la disciplina statuente la “voluntary disclosure” regolamenta la data fissata per la comparizione, la stessa collega questo momento non all’instaurazione del contraddittorio ma all’adesione ai contenuti dell’invito, come se l’approvazione potesse avvenire senza che il contribuente abbia avuto modo, in precedenza, di confrontarsi con l’Amministrazione finanziaria per determinare i contenuti dell’accertamento al quale aderire. Si tratta di problematiche di natura tecnica che molto probabilmente scaturiscono esclusivamente da un’imperfetta formulazione della norma e che possono essere superate attraverso una interpretazione sistematica; tuttavia qualche dubbio su questa carenza, che sgorga specificamente dalla norma, non ci abbandona definitivamente; non è possibile non riconoscere ai dirigenti centrali dell’Agenzia delle Entrate di essersi costantemente espressi in modo molto favorevole al contribuente e, in considerazione di ciò, il contraddittorio tra le parti si ritiene che verrà sicuramente instaurato[24]; tuttavia non siamo ancora riusciti a comprendere se il contraddittorio debba considerarsi preventivo oppure se il contribuente sia chiamato a comparire esclusivamente per sottoscrivere l’adesione, così come predisposta anticipatamente dall’Ufficio. A nostro parere esistono ragioni sistematiche per ritenere che il contraddittorio endoprocedimentale debba sempre essere instaurato in quanto, la necessità di esperire il contraddittorio prima di giungere alla stesura del provvedimento finale, rappresenta una necessità da tempo affermata dalla giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia dell’Unione europea (di seguito CGUE)[25] , che considera necessaria la partecipazione attiva del contribuente già nella fase di formazione del provvedimento amministrativo, indipendentemente dalla possibilità concessa al partecipante alle spese dello Stato, di proporre ricorso successivamente alla notifica di tale provvedimento; di conseguenza il contraddittorio dovrà necessariamente avvenire prima che il provvedimento venga notificato al contribuente. Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Tuttavia la questione appare ancora controversa; non possiamo infatti non considerare che è pendente di fronte alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione un’ordinanza attraverso la quale la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha richiesto esplicitamente alle Sezioni Unite di fornire un chiarimento sulle eventuali conseguenze della violazione del diritto al contraddittorio e, di conseguenza, su quelle che saranno le ripercussioni qualora il diritto al contraddittorio endoprocedimentale non venisse rispettato. Restiamo pertanto in attesa di una sentenza delle Sezioni Unite, che auspicabilmente si adeguerà a quella della giurisprudenza della CGUE; tra l’altro non possiamo dimenticare che una soluzione normativa espressa, può giungere anche attraverso l’attuazione della delega fiscale in quanto è previsto al suo interno un passaggio nel quale si disquisisce effettivamente di contraddittorio e pertanto anche in quel punto potrebbe essere introdotta una norma che dovrebbe fare chiarezza, una volta per tutte, in merito all’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale. Tuttavia, nonostante questa ricostruzione sistematica, la giurisprudenza della CGUE e le buone intenzioni espresse dall’Amministrazione finanziaria, se il menzionato contraddittorio non venisse attivato in seguito a un procedimento di “voluntary disclosure”, quali sono le tutele che competono al contribuente? Sicuramente spetta la salvaguardia differita[26] rappresentata dalla possibilità di ricorrere contro l’atto finale; tuttavia in questa prospettiva il contribuente perderebbe immediatamente il beneficio delle sanzioni ridotte nella misura di un sesto e, di conseguenza, subirebbe un pregiudizio imputabile esclusivamente alla possibilità di reagire solo differitamente. Le istanze recanti l'indicazione dei maggiori imponibili esteri da assoggettare a tassazione dovranno essere presentate telematicamente. Sarà l'Ufficio a liquidare imposte e sanzioni dovute, previo invio di una relazione accompagnatoria che fornisca una ricostruzione fattuale e giuridica delle violazioni da regolarizzare. 6. Le problematiche connesse alla presentazione dell’istanza di “voluntary disclosure” Ma quali ulteriori disfunzioni, in aggiunta a quella che grava persistentemente sul contraddittorio endoprocedimentale, sono in grado di rappresentarsi[27] e affliggere la procedura di emersione? All’interno della procedura di “collaborazione volontaria” è possibile focalizzare ulteriori alterazioni. Qualora un contribuente invii un’istanza di “voluntary disclosure”, ricostruendo per filo e per segno ogni passaggio della propria posizione e, di conseguenza, il proprio patrimonio accumulato all’estero e i proventi generati da quest’ultimo, ma la sua istanza non ricevesse alcuna risposta da parte dell’Agenzia delle Entrate, circostanza che non ci sentiamo di escludere, su quali garanzie procedimentali potrà contare il partecipante alle spese dello Stato nell’ipotesi di silenzio da parte dell’Amministrazione finanziaria? L’Ufficio potrebbe decidere di non rispondere a una istanza di “voluntary disclosure” in quanto potrebbe ritenerla inammissibile ovvero non sufficientemente avvalorata dalla documentazione prodotta, perfino dopo l’eventuale integrazione richiesta al contribuente anche se puntualmente fornita da quest’ultimo. In questa malaugurata circostanza il contribuente dovrà attendersi un avviso di accertamento, notificato nelle modalità e nei termini ordinari e tutto ciò anche qualora le obiezioni effettuate dall’Agenzia delle Entrate non risultassero corrette. L’unica tutela per il contribuente, che possiamo individuare, consiste nell’interpretare la mancata emissione dell’invito a comparire quale silenzio rifiuto a dar seguito all’istanza e, di conseguenza, essere considerato atto impugnabile nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 19 D.Lgs. n. 546/1992. Proseguendo la nostra riflessione sui potenziali ostacoli al perfezionamento dell’istanza di emersione volontaria, ci corre l’obbligo di esaminare la circostanza nella quale il contribuente riceva l’invito a comparire dall’Amministrazione finanziaria, ma non condivida la quantificazione delle imposte e degli interessi effettuata dall’Ufficio nonché delle relative sanzioni. In questa peculiare contingenza, qualora il partecipante alle spese dello Stato non provvedesse a corrispondere, entro quindici giorni dalla notifica, le somme riportate nell’invito a comparire, la procedura di emersione non si potrebbe perfezionare. Il contribuente conserverà certamente la facoltà di avviare la procedura di accertamento con adesione ma, anche in questa circostanza, vanificherà il beneficio della riduzione delle sanzioni nella misura di un sesto del dovuto non avendo aderito alla quantificazione effettuata dall’Ufficio. Il contribuente pertanto, non sottoscrivendo l’atto di adesione predisposto dall’Amministrazione finanziaria quale conclusione della fase di contraddittorio, non perfezionerà la procedura di emersione e, di conseguenza, il partecipante alle spese dello Stato subirà un accertamento in base alle regole ordinarie. Tuttavia il mancato accordo comporterà ulteriori pericoli per il contribuente quali il raddoppio dei termini di accertamento e delle sanzioni[28] , la contestazione dei reati tributari ed eventualmente penali che il contribuente stesso ha provveduto a confessare all’Amministrazione finanziaria e la conseguente decadenza della prevista tutela penale[29]. Pertanto il rifiutare ciò che l’Ufficio propone in fase di adesione, conduce il contribuente in un vicolo cieco, con la pericolosa conseguenza che Paesi come il Liechtenstein, la Svizzera e il Principato di Monaco vengano considerati come non collaborativi, in quanto la qualificazione di Paese black list con accordo viene riconosciuta per queste nazioni esclusivamente in presenza 13 14 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 di una “voluntary disclosure”, con il conseguente raddoppio dei termini di accertamento, delle sanzioni e la contestazione degli eventuali reati penali/tributari. 7. L’impugnabilità dei verbali relativi all’accertamento con adesione Sulla base delle considerazioni effettuate ci siamo chiesti se il contribuente avesse la facoltà di impugnare i verbali interni relativi all’accertamento con adesione o il verbale negativo che chiude il procedimento di accertamento. Una parte autorevole della dottrina[30] ritiene che sia possibile ricorrere contro tutti gli atti che manifestino una pretesa tributaria individuata, senza la necessità di attendere che la stessa arrivi alla forma autoritativa di uno degli atti impugnabili previsti dall’articolo 19 D.Lgs. n. 546/1992. Tuttavia, qualora decidessimo di utilizzare questa più ampia visione, argomentando che si tratta di un atto che determina una pretesa tributaria individuata e pertanto impugnabile, come potremmo ricorrere avverso a un atto, nel caso di specie un verbale negativo che dovrebbe chiudere il procedimento, il cui contenuto difficilmente si presta a formare oggetto di un processo di “impugnazione-merito” [31] come quello tributario, o meglio come potremmo utilizzare un verbale che chiude negativamente la procedura di adesione, considerandolo un atto che consente di entrare nel merito e di conseguenza di instaurare un giudizio dinnanzi a una Commissione Tributaria? Nel caso in cui non riuscissimo a trovare una risposta convincente alle nostre domande potremmo sempre fare affidamento alla tutela estrema, rappresentata dalla cosiddetta “tutela differita”; il contribuente potrà ricorrere contro l’avviso di accertamento che gli sarà notificato all’indomani del mancato perfezionamento della procedura di emersione e in quella sede potrà far valere, in ogni caso, il suo diritto a beneficiare della procedura di emersione in ragione di quanto indicato nell’istanza e con l’obiettivo di ottenere, in sede contenziosa, la dichiarazione di “illegittimità derivata” [32] dell’atto impugnato da parte della Commissione Tributaria adita. Di conseguenza, il contribuente avrà la facoltà di far valere il proprio diritto a beneficiare della procedura di emersione in forza di quanto indicato nell’istanza e non sulla rideterminazione effettuata dall’Ufficio. La Suprema Corte di Cassazione ha affermato esplicitamente che, impugnando l’iscrizione a ruolo generata dall’Amministrazione finanziaria che non ha ritenuto accoglibile l’istanza di condono, il contribuente avrebbe potuto sempre far valere, tra le proprie difese, anche quella relativa al diritto di beneficiare del condono negato dall’Amministrazione finanziaria. Pertanto risulta essere possibile, in fase di tutela differita, ricorrendo contro l’avviso di accertamento notificato secondo le modalità ordinarie dell’Amministrazione finanziaria, far valere il diritto di beneficiare della procedura di “voluntary disclosure”, con tutto quello che ne consegue in termini di sanzioni ridotte, depenalizzazione e così via. 8. Le problematiche connesse alla riscossione L’ultima disfunzione che possiamo prevedere in fase di perfezionamento del procedimento di emersione è quella circoscritta alla fase della riscossione, nel caso in cui il contribuente non ottemperi agli obblighi di versamento scaturenti dall’avviso di accertamento con adesione o dall’avviso di irrogazione delle sanzioni. Anche in questa circostanza la procedura va in crisi, ma la contingenza ci preoccupa solo parzialmente in quanto anche la peggior conseguenza, seppur gravosa per il contribuente, risulterebbe plausibile in quanto, il partecipante alle spese dello Stato ha comunque accettato e sottoscritto le determinazioni del “quantum debeatur”[33] effettuata in contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, sebbene non abbia adempiuto alle obbligazioni tributarie direttamente scaturenti dal perfezionamento della “collaborazione volontaria”. Anche in questa circostanza, saltata la “voluntary disclosure”, si applicheranno le norme generali e di conseguenza le imposte, gli interessi e le sanzioni piene e scatteranno i reati penali/ tributari; ma la questione, tutto considerato, non ci preoccupa oltre misura in quanto la scelta di non pagare tempestivamente quanto accettato e sottoscritto in fase di contraddittorio, rappresenta una circostanza difficilmente difendibile. Altro fronte critico della procedura di “voluntary disclosure” afferisce al diritto del contribuente di avvalersi della facoltà di non rispondere. La procedura di emersione implica che il contribuente debba rendere edotta l’Agenzia delle Entrate circa le violazioni commesse in merito alla normativa sul monitoraggio fiscale e, nel dettaglio, sia le violazioni dichiarative in connessione con gli archivi esteri oggetto di emersione, sia quelle non in connessione con gli archivi esteri. Nel rilasciare le menzionate dichiarazioni a fronte delle richieste da parte dell’autorità fiscale, come per esempio la richiesta di consegnare materiale probatorio suscettibile di causare autoincriminazioni penalmente rilevanti, ci siamo chiesti se il contribuente possa avvalersi della facoltà di non rispondere o fosse tenuto a rispondere esaustivamente. L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (di seguito CEDU) ci fornisce qualche informazione aggiuntiva in quanto in essa si afferma che il diritto al silenzio oltrepassa i confini del processo penale e risulta essere opponibile anche all’interno dei processi amministrativi. In materia sanzionatoria la Corte europea dei diritti dell’uomo (di seguito Corte EDU), alla quale si è conformata la Corte di Cassazione, ha stabilito che in presenza di determinati requisiti, la lite sulla sanzione penale e la lite sulla sanzione amministrativa rientrano nel Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 campo di applicazione dell’articolo 6 CEDU, in quanto le controversie assumono carattere penale considerata la gravità delle loro conseguenze e ciò garantirebbe la possibilità di far valere il diritto al silenzio. Tuttavia in una procedura caratterizzata dalla collaborazione volontaria il “nemo tenetur” pare contrastare energicamente il principio di leale collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, che sta alla base dell’emersione volontaria e se pertanto un contribuente decidesse volontariamente di collaborare risulterebbe complicato ipotizzare di poter beneficiare del diritto al silenzio in quanto in evidente contrasto con quanto disposto dallo statuto dei diritti del contribuente sul principio di leale collaborazione tra Amministrazione finanziaria e partecipante alle spese dello Stato. In aggiunta a ciò non si può fare a meno di ricordare che per la Suprema Corte di Cassazione il principio del silenzio[34] non risulta essere costituzionalizzato[35] e, pertanto, il contribuente è sempre tenuto a produrre documenti attendibili all’Ufficio non avendo il diritto di mentire; se lo facesse commetterebbe un reato appositamente introdotto dal legislatore, caratterizzato dalle false esibizioni e dalle false comunicazioni all’Amministrazione finanziaria[36] , immesso nel nostro ordinamento nel corso del 2011 per tutelare il principio della sincera e fattiva collaborazione con l’Ufficio; ed è proprio per questo motivo che il diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere difficilmente potrà essere invocato all’interno del procedimento di “emersione volontaria”. in relazione al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo – mentre dall’altro sono tenuti a osservare l’obbligo della riservatezza, anche questo tutelato dalla legge in quanto la violazione all’obbligo del riserbo – sempre che il fatto non costituisca un reato più grave – viene punito con l’arresto da sei mesi a un anno e con un’ammenda che può raggiungere la cifra di 50’000 euro. In verità esistono delle correlazioni nella giurisprudenza comunitaria[37] a tutela del silenzio del contribuente, tuttavia in una procedura caratterizzata dalla collaborazione spontanea che deve essere totale, come affermato sia dalla norma sia dai documenti di prassi[38], riscontriamo un evidente contrasto tra il diritto ad avvalersi della facoltà di non rispondere e il principio della leale e completa collaborazione, che dovrebbe caratterizzare la procedura di emersione volontaria; a fronte di tutto ciò non siamo in grado di prevedere la direzione verso la quale potrà indirizzarsi la giurisprudenza di merito e di legittimità, pur temendo che, avendo gli ermellini già affermato in passato che il principio del nemo tenetur non è costituzionalizzato[39], non esistano elementi particolarmente fondati per tutelare il contribuente utilizzando questo strumento di difesa. All’interno della L. n. 186/2014 è contenuta una disposizione ad hoc a tutela del professionista che dispone che, qualora il contribuente, nell’ambito della procedura di emersione, esibisca o trasmetta documenti falsi in tutto o in parte o fornisca dati che non rispondono al vero, quest’ultimo viene punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. La disciplina prevede inoltre che il partecipante alle spese dello Stato sia tenuto a rilasciare, al professionista che lo assiste, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale attesti che gli atti e i documenti, consegnati per espletare l’incarico, sono veritieri e che i dati e le notizie fornite sono rispondenti al vero. Individuata una tutela indiretta del professionista all’interno della norma sulla “voluntary disclosure” nella dichiarazione che si ottiene dal contribuente, tutto ciò non ci porta a escludere la responsabilità dell’esperto in quanto quest’ultimo, consapevole del “mendacio”, potrebbe accollarsi il rischio dell’eventuale falsità dei documenti nonostante la dichiarazione sostitutiva rilasciata dal contribuente. Il professionista quindi, ottenuto il conferimento dell’incarico, deve verificare attentamente la clientela attraverso il compimento di tutte le attività di controllo previste dalla normativa, soprattutto qualora sospetti il riciclaggio o abbia dei dubbi in merito alla veridicità delle informazioni e dei documenti ricevuti. 9. La responsabilità dei professionisti L’ultimo profilo di rischio della “voluntary disclosure” è rappresentato dalla responsabilità dei professionisti in quanto, il reato di false comunicazioni all’Amministrazione finanziaria può riguardare anche gli esperti che assistono i contribuenti nella procedura di emersione e che redigono la relazione di accompagnamento. I professionisti si vengono a trovare tra l’incudine e il martello in quanto, da un lato devono adempiere agli obblighi previsti avendo riguardo alle informazioni possedute o acquisite nell’ambito della loro attività istituzionale o professionale – ove peraltro, in presenza di indicatori di rischio, dovrebbero ottenere dai clienti informazioni ulteriori sulla natura e sullo scopo delle operazioni da svolgere e, se ne ricorrono i presupposti, segnalare all’autorità giudiziaria questo tipo di operazioni che presentano elementi di sospetto Ebbene, tutto ciò considerato, si possono riscontrare i presupposti per opporre il segreto professionale? Può il professionista tutelarsi utilizzando il segreto professionale nello stesso modo in cui il contribuente può proteggersi ricorrendo al “nemo tenetur”? L’unico elemento di collegamento che abbiamo individuato, seppure con una tutela relativa, è rappresentato dall’articolo 8 CEDU[40] sia con riferimento alle verifiche compiute dall’Amministrazione finanziaria presso lo studio, sia in relazione alla tutela della corrispondenza che il professionista intrattiene con i propri clienti. Ci sono due sentenze del 2008[41] della Corte EDU e una sentenza del 2008 della Corte Costituzionale[42] che danno degli elementi per opporre il segreto professionale; tuttavia non siamo in grado di sapere quanto questi principi possano “tenere” nei confronti di una procedura di emersione volontaria per il fatto che si tratta di un procedimento spontaneo, facoltativo e integrale. 15 16 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Dall’Amministrazione finanziaria abbiamo avuto in più di un’occasione le più ampie assicurazioni in merito alla compliance delle loro strutture preposte, ma tuttavia solo quando ci troveremo di fronte al funzionario dell’Agenzia delle Entrate comprenderemo il loro reale atteggiamento. Ciò che ci sentiamo di consigliare ai contribuenti emergenti e ai professionisti che li assistono durante la procedura di emersione, al fine di circoscrivere le proprie rispettive responsabilità[43] è di menzionare, in sede di richiesta di documenti, di dati e di notizie da parte degli Uffici, il diritto a non esibire, trasmettere o fornire documenti o notizie di cui l’Amministrazione finanziaria è già in possesso[44]. Nel caso invece di generiche richieste di esibizione di documentazione che verranno effettuate dall’Ufficio, esistendo casi in cui il procedimento di “voluntary disclosure” richiede la predisposizione di masse enormi di documenti, riteniamo opportuno far verbalizzare che non è l’intenzione del contribuente quella di sottrarsi alla richiesta dell’Ufficio ma che, in virtù del principio di collaborazione, si chiede che venga specificato per iscritto a quale anno, a quale tipo di imposta e a quale particolare documento si riferisce la richiesta. Certamente non si vuole rischiare di apparire scarsamente collaborativi ma proprio per questo sarà necessario comprendere con la massima precisione quale tipo di documentazione l’Amministrazione finanziaria sta richiedendo; si potrebbe far verbalizzare per esempio, qualora l’Ufficio richieda documentazione bancaria, che al momento il contribuente è impossibilitato a produrla ma che per quella documentazione è stata presentata la richiesta di copia o di estratto all’istituto di credito di riferimento, per evitare di divenire inadempienti a causa dei ritardi accumulati da soggetti terzi. 10. Conclusioni Nei casi di diniego dovremo pertanto provvedere a impugnare l’avviso a comparire facendo formalizzare il rifiuto anche all’interno del verbale di mancata adesione, in modo da avere a disposizione un atto da contestare e al quale applicare, eventualmente, tutte le tutele cautelari del caso poiché, nel momento in cui a un contribuente verrà notificato un avviso di accertamento confezionato con le regole ordinarie, lo stesso, a nostro sommesso avviso, avrà sostanzialmente già perduto. A Vostro parere, sarebbe piacevole per un difensore, ma ancor di più per il proprio assistito, trovarsi davanti a un giudice tributario a disquisire di denari occultati in Liechtenstein, dissertando su improbabili commi della norma e sulla loro interpretazione? Noi siamo convinti che si sia già perduto ancor prima di iniziare a discutere. Per questo motivo sarà necessario verificare, prima che l’istanza venga presentata, che “every stone has to be turned” [45] e che, di conseguenza, non si possa incappare in qualche inconveniente che impedisca il perfezionamento della collaborazione volontaria richiesta. Riteniamo pertanto che il non aver individuato una corsia preferenziale di gestione delle crisi di collaborazione, prevedendo che tutto rifluisca nell’ordinario tritarifiuti del procedimento e del contenzioso tributario, rappresenti una delle carenze più rilevanti di questo istituto giuridico così importante e attuale. Elenco delle fonti fotografiche: http://giornalesm.com/wp-content/uploads/2015/07/Voluntar yDisclosure-3-Imc.jpg [03.08.2015] http://www.infoinsubria.com/wp-content/uploads/2015/06/Voluntary. jpg [03.08.2015] http://www.forexinfo.it/IMG/arton23817.jpg [03.08.2015] http://www.studiogiallo.eu/wp-content/uploads/2015/06/svizzerabanche.jpg [03.08.2015] http://www.uniteis.com/dw/wp-content/uploads/2015/06/voluntarydisclosure.jpg [03.08.2015] http://static.milanofinanza.it/upload/img/TMFI/201503201927058232/ img402234.jpg [03.08.2015] http://w w w.notaiobonifrancesco.it/site_files/wp-content/uploads/2014/12/documenti700.jpg [03.08.2015] http://giornalesm.com/wp-content/uploads/2014/07/Banche-Svizzerein-Italia.jpg [03.08.2015] Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 [1] Giano (latino: Ianus) è il Dio degli inizi, materiali e immateriali, ed è una delle divinità più antiche e più importanti della religione romana, latina e italica. Solitamente è raffigurato con due volti, poiché il Dio può guardare il futuro e il passato ma anche perché, essendo il Dio della porta, può guardare sia all’interno sia all’esterno. A causa di un errore d’interpretazione del cosiddetto fegato di Piacenza, si è ritenuto che fosse stato venerato anche presso gli Etruschi con il nome di Ani. [2] Questa volta non più rinnovabile. [3] È stato introdotto con l’articolo 3 della Legge (di seguito L.) n. 186/2014, l’articolo 648-ter1 del Codice penale, cosiddetto “Autoriciclaggio”, oltre che una modifica all’articolo 25-octies del Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 231/2001, che terrà adesso in considerazione anche questo nuovo reato (entrata in vigore il 1. gennaio 2015). L’autoriciclaggio consiste nell’attività di occultamento dei proventi derivanti da crimini propri; si riscontra soprattutto a seguito di particolari reati, come ad esempio: l’evasione fiscale, la corruzione e l’appropriazione di beni sociali. [4] Cavallini Stefano/Troyer Luca, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, in: Diritto penale contemporaneo. [5] Articoli da 2 a 7 D.Lgs. n. 74/2000. Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 L. n. 205/1999. [6] È stato approvato dal Consiglio dei Ministri del 26 giugno 2015 il testo del D.Lgs. sulla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario. La bozza, ora alle Camere per l’approvazione definitiva, contiene la tanto attesa modifica dei reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, così come era stato sancito nella legge delega fiscale. [7] Che si aggiungono allo sblocco delle posizioni di San Marino e Lussemburgo. [8] Sono validi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative, i processi verbali di constatazione della Guardia di Finanza e gli inviti a comparire di cui il contribuente ne ha avuto conoscenza entro la data di entrata in vigore del D.Lgs. ma a condizione che questi atti di controllo con la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015. [9] Decreto legge (di seguito D.L.) n. 350 del 2001. [10] Articolo 1 comma 2-bis D.L. n. 12/2002 (L. n. 73/2002) e articoli da 6 a 6-quinquies D.L. n. 282/2002 (L. n. 27/2003). [11] L’articolo 13-bis D.L. n. 78/2009, convertito, con integrazioni e modificazioni, dalla L. n. 102/2009, successivamente corretto dal D.L. n. 103/2009. [12] Oggi ci sono gli accordi dei 51 Paesi e dal 2018 con i dati 2017 ci sarà lo scambio di informazioni automatico, oltre agli accordi bilaterali, ad esempio quelli che hanno firmato la Svizzera, il Liechtenstein e il Principato di Monaco sulla base dell’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione fiscale. [13] Svizzera, Monte Carlo, Jersey, eccetera. [14] Che, se provata, comporta conseguenze penali gravi in capo al contribuente. [15] In mancanza di versamenti di contante. [16] Posseduta presso un intermediario finanziario nazionale. [17] Anche solo parzialmente. [18] Il Consiglio dei ministri del 31 luglio 2015 ha approvato in via definitiva il decreto legislativo sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente. [19] I tempi della prescrizione penale risultano essere più lunghi rispetto a quelli di decadenza dell’accertamento tributario. [20] D.L. n. 167/1990. Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori; D.L. convertito con modificazioni dalla L. n. 227/1990, norma che attualmente disciplina la collaborazione volontaria. [21] Il contribuente può essere invitato dall’Agenzia delle Entrate ad avviare un contraddittorio su un’ipotesi di pretesa fiscale e sui motivi che l’hanno determinata. Se il contribuente accetta il contenuto dell’invito (ossia la pretesa tributaria contenuta nello stesso), beneficia di un regime sanzionatorio agevolato (le sanzioni sono ridotte a un sesto del minimo previsto per legge). Nel caso in cui, invece, il contribuente non intenda aderire al contenuto dell’invito - rinunciando, in tal modo, al regime sanzionatorio agevolato - può recarsi presso l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate nel luogo e nella data stabiliti, per avviare il contraddittorio, e fornire elementi o dati che consentano di modificare in tutto o in parte la pretesa dell’Amministrazione finanziaria. La definizione dell’invito al contraddittorio si realizza con l’acquisizione dell’assenso del contribuente e il pagamento delle somme dovute, entro il quindicesimo giorno antecedente la data fissata per la comparizione. Per ulteriori informazioni consultare la relativa scheda adempimento “Adesione all’invito al contraddittorio”. Attenzione: la possibilità di aderire, con conseguente riduzione delle sanzioni, esiste per gli inviti al contraddittorio in materia di imposte sui redditi, di imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette, notificati entro il 31 dicembre 2015. [22] Il primo momento di confronto tra Agenzia delle Entrate e contribuente si ha mediante la notifica dell’invito a comparire. Tramite tale atto, il contribuente viene invitato, appunto, a comparire per fornire dati e notizie rilevanti nonché per esibire documenti relativamente alle spese sostenute nel corso dell’anno, o alle spese presunte dal Decreto Ministeriale del 24 dicembre 2012, relative al mantenimento di beni nella sua disponibilità, come autovetture, natanti e immobili. Ricevuto l’invito a comparire, il contribuente ha l’obbligo di presentarsi alla data fissata per l’incontro e, se le giustificazioni che egli adduce vengono ritenute persuasive, la pratica potrà subito essere archiviata. Occorre evidenziare che, la mancata comparizione del contribuente può comportare l’irrogazione di una sanzione amministrativa da 258 a 2’065 euro. In linea di principio, i documenti che non vengono prodotti a seguito di circostanziata e specifica richiesta contenuta nell’invito non potranno più essere utilizzati in momenti procedimentali successivi (ciò non succede se nell’invito è presente un generico invito a produrre documenti idonei a giustificare la totalità delle spese sostenute). [23] La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 19667/2014 ha riconosciuto anche nel nostro ordinamento la giusta rilevanza al “contraddittorio endoprocedimentale” affermando che “il contraddittorio endoprocedimentale […] costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa” e costituisce condizione di legittimità della pretesa tributaria. [24] In una sorta di lascia o raddoppia perché nella normativa si lascia intendere che se non passa l’istanza così com’è, si verrà chiamati a corrispondere le sanzioni nella misura di un terzo anziché in quella di un sesto. [25] CGUE, 18 dicembre 2008, causa C-349/07, in: GT-Riv. dir. trib., 2009, pagina 203 con commento di Marcheselli Alberto, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministra- tivo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario. Il precedente di tale decisione si può rinvenire nella sentenza Cipriani, 12 dicembre 2002, causa C-395/00 in materia di accise relativa ad una controversia fra Distillerie Fratelli Cipriani S.p.A. contro Ministero delle Finanze. [26] Come riconosciuta dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite Civile, sentenza del 16 marzo 2009, n. 6315. [27] Che tuttavia riteniamo possano essere superate attraverso o disposizioni normative o sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione o i buoni uffici dell’Amministrazione finanziaria in fase di contraddittorio. [28] Per gli investimenti detenuti nei Paesi black list con accordo “Svizzera, Liechtenstein, Principato di Monaco”. [29] Compreso il reato di autoriciclaggio. [30] Glendi Cesare, La giurisdizione nel quadro evolutivo di nuovi assetti ordinamentali, in: Dir. Prat. Trib., 2009, pagina 773; Nicotina Ludovico, L’ampliamento della giurisdizione tributaria ex articolo 2 D.Lgs. n. 546 del 1992: un’interpretazione costituzionalmente orientata, in: Dir. Prat. Trib., 2008, pagina 151; Basilavecchia Massimo, Funzione impositiva e forme di tutela, Torino 2009, pagina 29; Tesauro Francesco, Manuale del processo tributario, Torino 2009, pagina 82; Falsitta Gaspare, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Padova 2008, pagina 546; Cantillo Michele, Aspetti critici del processo tributario nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, in: Rass. trib., 2010, pagina 13; Russo Pasquale, L’ampliamento della giurisdizione tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo, in: Rass. trib., 2009, pagina 1585; Perrone Leonardo, I limiti della giurisdizione tributaria, in: Rass. trib., 2006, pagina 707; Carinci Andrea, Dall’interpretazione estensiva dell’elenco degli atti impugnabili al suo abbandono: le glissment progressif della Cassazione verso l’accertamento negativo nel processo tributario, (commento a Cass., 15/06/2010, n. 14373, sez. Tributaria; Cass., 06/07/2010, n. 15946, sez. Tributaria), in: Riv. dir. trib., 2010, pagine 10 e 617; Tsbet Giuliano, Verso la fine del principio di tipicità degli atti impugnabili?, in: GT-Riv. giur. trib., 2008, pagina 507, Allorio, “sugli istituti giuridici che si atteggiano spesso in modo non conforme a quelli che sono gli schemi precostituiti e [...] alla loro storia ideale”, sviluppato in un famoso saggio del 1946, dopo la pubblicazione della fondamentale opera di costui sul diritto processuale tributario. [31] Il processo tributario, non è annoverabile tra quelli di “impugnazione-annullamento” ma tra i processi di “impugnazione-merito” in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio. [32] L’illegittimità derivata è un istituto di matrice dottrinaria che attiene al rapporto tra atti amministrativi che presentano un legame di presupposizione. Accade spesso, infatti, che nel contesto di una serie procedimentale lunga e complessa, l’Amministrazione addivenga al provvedimento finale come estrinsecazione ultima di una serie di tappe (obbligate o meno), delimitate dalla emanazione di atti autonomi, ma connessi con quelli successivi e con quelli precedenti. D’altronde, il procedimento amministrativo viene proprio definito come il complesso di atti giuridici collegati secondo un meccanismo stabilito dalla legge e volti ad uno stesso fine. In tale ambito può quindi facilmente svilupparsi la relazione logico-giuridica che ci interessa: un provvedimento (presupponente) può quindi derivare parte, o la totalità, dei suoi presupposti da uno o più atti amministrativi pregressi, ciò sia in chiave 17 18 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 cronologica che anche soltanto logica. [33] L’espressione indica la valutazione che il giudice deve compiere, dopo aver accertato l’esistenza del diritto vantato, per quantificare in denaro la prestazione dovuta dalla parte soccombente. [34] Il diritto al silenzio si applica agli interrogatori della polizia giudiziaria e nei tribunali. L’imputato dovrebbe avere il diritto di astenersi dal rendere testimonianza e, di conseguenza, di non divulgare il contenuto del suo teorema difensivo prima del processo. Le leggi degli Stati membri riconoscono il diritto al silenzio nel corso delle indagini preliminari durante gli interrogatori della polizia giudiziaria o del pubblico ministero. Tuttavia, il modo in cui l’imputato viene informato di tale diritto è diverso nei singoli Stati e per garantirne il rispetto occorre che l’imputato ne abbia conoscenza. Secondo il citato Studio sulle prove, in molti Stati membri esiste l’obbligo di informare l’imputato del suo diritto al silenzio. Tale obbligo è previsto dalla Costituzione, dalla legge o dalla giurisprudenza. Alcuni Stati membri hanno dichiarato che la prova ottenuta in violazione di tale obbligo potrebbe essere considerata inammissibile, mentre altri sostengono che la mancata comunicazione all’accusato dell’esistenza di questo diritto potrebbe integrare gli estremi di un reato o costituire un motivo di appello contro la sentenza di condanna. Questo diritto non è assoluto. Qualora un giudice tragga conclusioni sfavorevoli dal silenzio dell’imputato, esistono fattori che determinano se sono stati violati il diritto a un giusto processo. Le conclusioni devono essere dedotte solo dopo che l’accusa abbia provato i fatti prima facie. Il giudice ha allora facoltà discrezionale di trarre le conclusioni dai fatti come rappresentati in udienza. Solo le deduzioni basate sul “buon senso” (common sense) sono ammissibili e nella sentenza devono essere esposte le ragioni su cui si fonda la decisione. La prova contro l’imputato deve essere una prova schiacciante; in tal caso può essere utilizzata la prova ottenuta mediante pressione indiretta. Il riferimento sul punto resta la causa Murray contro Regno Unito, nella quale la Corte EDU ha dichiarato che se i fatti fossero provati prima facie, e se l’onere della prova continuasse a restare a carico dell’accusa, dal silenzio dell’imputato si potrebbero dedurre conclusioni sfavorevoli. Obbligare l’imputato a rendere testimonianza non è stato ritenuto in contrasto con la CEDU, mentre vi sarebbe violazione della CEDU se una condanna fosse basata solo o principalmente sul rifiuto di testimoniare. Ricavare conclusioni sfavorevoli dal silenzio dell’imputato potrebbe essere considerata una violazione del principio della presunzione di non colpevolezza a seconda dell’importanza che i giudici nazionali attribuiscono a questo silenzio in sede di valutazione degli elementi probatori e del grado di coartazione esercitato. Le prove dell’accusa devono essere sufficientemente solide per esigere una replica. Il giudice nazionale non può ritenere l’imputato colpevole solo perché questi si è avvalso del diritto al silenzio. Solo quando le prove contro l’imputato “richiedono” una spiegazione che egli potrebbe fornire, dall’eventuale rifiuto di spiegazioni potrebbe dedursi, secondo un ragionamento fondato sul buon senso, che non esiste alcuna spiegazione possibile e che l’imputato è colpevole. Al contrario, se gli argomenti dell’accusa hanno una forza probatoria così debole che non richiedono una replica, avvalersi del diritto al silenzio non consente di concludere che l’imputato è colpevole. La Corte EDU ha precisato che le conclusioni ragionevoli dedotte dal comportamento dell’imputato non devono avere l’effetto di spostare l’onere della prova dall’accusa alla difesa, violando in tal modo il principio di presunzione di non colpe- volezza. La Corte EDU non ha stabilito se tale diritto si applichi anche alle persone giuridiche. La CGUE ha dichiarato che le persone giuridiche non hanno un diritto assoluto al silenzio; esse devono rispondere alle domande relative ai fatti, ma non possono essere obbligate ad ammettere l’esistenza di una infrazione. [35] Cass. n. 25242 del 2006 nella quale viene ribadita l’irrilevanza del silenzio della parte a fronte di una domanda o un’eccezione tardiva: ne consegue che la valutazione relativa alla novità della domanda o dell’eccezione è integralmente rimessa al potere del giudice; Cass. n. 19543 del 2005; Cass., a Sezioni Unite, 25 febbraio 2000, n. 45; Cass., 16 ottobre 2009, n. 21967; Cass., 26 marzo 2009, n. 7269; Cass., 27 giugno 2011, n. 14027; Cass. n. 415/2013; Cass., 26 maggio 2014, n. 11765; Cass., 11 aprile 2014, n. 8539; Cass., 17 settembre 2007, n. 34928. [36] Reato di false esibizioni e false comunicazioni al Fisco introdotto nel nostro ordinamento giuridico con il D.L. n. 201/2011, articolo 11, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 214/2011. [37] CGUE del 24 aprile 2012, causa C-571/2010, Kamberaj, paragrafo 63: “[…] il rinvio operato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE alla CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa”. [38] L. n. 186/2014 e Circolare n. 10/E del 2015. [39] Cass. n. 20032/2001: “il principio del «nemo tenetur» non è costituzionalizzato e, comunque, la circostanza (della configurabilità del reato) è recessiva rispetto all’obbligo di concorso alle spese pubbliche, secondo la propria capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost.”; Cass. n. 179975/2013; Cass. n. 415/2013; Cass., 26 maggio 2014, n. 11765; Cass., 11 aprile 2014, n. 8539; Cass., 17 settembre 2007, n. 34928. [40] Diritto al rispetto della vita privata e familiare. [41] La Corte di Strasburgo ha imposto l’alt alle perquisizioni nelle redazioni a tutela delle fonti dei giornalisti. “Gli Stati contraenti sono vincolati ad uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Cedu” (sentenze n. 348-349/2007). [42] Sentenza n. 39/2008 della Corte Costituzionale. [43] Che tuttavia non risultano essere perfettamente definite. [44] Al contribuente, in forza dell’articolo 6, comma 4, L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente) non possono essere richiesti documenti o informazioni già necessariamente in possesso dell’Amministrazione finanziaria, la quale, anche ai sensi dell’articolo 18, n. 2, L. n. 241/1990 è tenuta d’ufficio ad acquisire o produrre il documento in questione o copia di esso. [45] Ogni sasso deve essere girato. Diritto tributario italiano Voluntary disclosure e stabile organizzazione in Italia Giovanni Parisi Dottore Commercialista in Milano Consulente fiscale in Ginevra e Lugano Cultore in scienze aziendali, economiche e metodi quantitativi presso l’Università degli Studi di Bergamo La voluntary disclosure “riguarda” solo gli italiani che hanno conti non dichiarati in Svizzera? Falso! La voluntary disclosure è percepita nel territorio ticinese come una problematica relativa agli italiani che in passato hanno versato nelle “casse” delle banche elvetiche capitali non dichiarati in Italia “sfruttando” la doppia opportunità del segreto bancario e di un confine di Stato. È quindi facilmente percepita come un istituto normativo “estero” che, sulla base del protocollo di intesa sottoscritto il 23 febbraio 2015 dalla Svizzera con l’Italia al fine di adeguare la Convenzione contro le doppie imposizioni del 1976 agli attuali standards dell’OCSE in materia di assistenza fiscale, si è “introdotta” nel territorio elvetico portando estrema “agitazione” (e novità, non poche) nel sistema bancario ma sostanzialmente, per la pubblica opinione, concerne solo gli italiani “evasori”. Non è così. Un contesto mondiale di sempre maggiore collaborazione fiscale tra gli Stati ha negli ultimi anni mutato lo scenario degli accordi fiscali contro le doppie imposizioni sempre più spesso oggi affiancati a protocolli di intesa volti più al recupero di base imponibile ed omessa imposta ed allo scambio di informazioni incrociate, che alla mera determinazione di un'appartenenza fiscale di un contribuente che operi su differenti mercati internazionali. Il nuovo scenario del monitoraggio fiscale adottato in Italia per i propri contribuenti quale strumento propedeutico per le amministrazioni finanziarie ad attuare una nuova e differente modalità di tassazione dei redditi della persona fisica sempre più volta ad assumere la completa conoscenza della “sostanza” e della capacità di spesa ovunque detenuta ed ovunque effettuata nel mondo, pongono un nuovo scenario di consulenza fiscale che coinvolge il contribuente che deve essere necessariamente valutato e soppesato in ambito globale e non solo locale, rischiando di generare gravi inadempimenti dichiarativi in capo al contribuente. Il controllo pregnante, al di fuori dei confini nazionali, sul monitoraggio fiscale ha imposto anche agli istituti di credito elvetici l’avvio di nuove forme di controllo, senza precedenti. Oggi più che in passato la valutazione fiscale della persona fisica e della persona giuridica non può essere effettuata solo in ambito locale ma deve essere sempre più allargata alla valutazione preliminare che ogni mercato richiede per l’instaurazione di una nuova attività di impresa; sempre più spesso l’amministrazione fiscale di un nuovo mercato addita ad un'impresa estera la sussistenza di una stabile organizzazione per appropriarsi delle imposte derivanti dai ricavi “locali” e, di contro, l’amministrazione fiscale di originaria appartenenza richiede un consolidato fiscale per attuare una tassazione globale dei redditi ovunque essi allocati. Risultato? Il medesimo contribuente si trova in un potenziale contenzioso fiscale tra due differenti enti impositori litigiosi tra loro al fine di determinare l’appartenenza fiscale del contribuente (la cosiddetta presunzione di estero vestizione della persona giuridica ma anche della persona fisica). Eclatanti casi quali Amazon ed i passati Google, E-Bay e Bikkembergher dimostrano chiaramente come nessuno sia escluso dalla additazione di appartenenza fiscale per il tramite di una stabile organizzazione occulta quando esercita una stabile (o presunta tale) attività imprenditoriale in Italia. Lo scenario della consulenza fiscale internazionale della recente normativa della voluntary disclosure che ha interessato i contribuenti italiani (e non solo) dall’anno 2015 si pone in questo ambito di massima apertura mentale e vede la necessità di comprendere le opportunità di tale strumento normativo non solo per chi in passato ha consapevolmente omesso alla propria amministrazione fiscale legittime basi imponibili, ma anche verso chi oggi comprende che per passati errori di interpretazione di differenti normative estere, anche in contrasto tra di loro, ha ora la consapevolezza di “non essere in regola”. La Legge n. 186/2014 trae diretto spunto e derivazione proprio dal mutato scenario internazionale e si propone ai contribuenti italiani ed anche agli operatori esteri che 19 20 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 sul suolo italiano svolgono stabilmente attività di impresa senza avere alcun supporto giuridico territoriale di stabile riferimento, quale ultima possibilità di regolarizzazione di pregresse omissioni erariali che oggi, non come in passato, costituiscono ben differente presupposto di reato penale (quale anche l’autoriciclaggio introdotto con decorrenza a partire dall’anno 2015). Viene quindi da sè l’intuizione che sussiste una possibilità di utilizzo della normativa relativa alla voluntary disclosure “domestica” anche per sanare irregolarità formali ed anticipare il rischio di una verifica fiscale per imprese svizzere che stabilmente operano sul mercato italiano in assenza di una stabile organizzazione dichiarata con la consapevolezza e la conoscenza degli ampi strumenti di accertamento preventivo che l’Agenzia delle Entrate ha già nei propri data-base e che ogni anno rinnova proprio per il tramite degli adempimenti fiscali a cui sono chiamati i contribuenti italiani nell’ambito dello svolgimento dell’attività di impresa, quali sono la comunicazione black-list (in cui la Svizzera è ancora inclusa) e la comunicazione degli elenchi dei clienti e fornitori. Oggi quell’impossibile è realtà anche in Svizzera. Impensabile non prenderne atto. Alla domanda: “la voluntary disclosure «riguarda» solo gli italiani che hanno conti non dichiarati in Svizzera?” la corretta risposta è: “falso!”. Ma cosa è una stabile organizzazione? La definizione di stabile organizzazione pur essendo da tempo utilizzata è di recente introduzione normativa; nasce dalla necessità di individuare le modalità operative per la tassazione delle operazioni d’impresa poste in essere con gli Stati esteri. Semplicisticamente il concetto di stabile organizzazione è quel presupposto necessario per individuare l’imposizione fiscale di un’attività economica svolta da un soggetto in un Paese diverso da quello di residenza o di sede dell’azienda stessa. È quindi possibile autodenunciare al Fisco italiano redditi non dichiarati oppure il mancato rispetto di adempimenti dichiarativi non riferibili alla disciplina del monitoraggio fiscale (prima che venga lo stesso a “bussare” alla società madre in territorio elvetico). La voluntary disclosure può quindi essere definita quale procedura di regolarizzazione come omnicomprensiva, poiché comprende le violazioni degli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi, delle imposte sostitutive, dell’Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), dell’Imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA), nonché le violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d'imposta, commesse fino al 30 settembre 2014. L’individuazione geografica della stabile organizzazione non è affatto cosa di poco conto in quanto da essa dipende l’indicazione dello Stato che ha diritto ad esercitare la “potestà impositiva” (ovvero lo Stato che ha il diritto di applicare le imposte) a carico del soggetto “non residente” che in uno Stato ha comunque posto in essere operazioni commerciali, mediante una struttura dipendente ed ivi localizzata in via permanente. La procedura deve riguardare tutte le violazioni tributarie relative ai periodi d'imposta ancora accertabili al momento di presentazione della domanda, per cui non è ammissibile una regolarizzazione parziale limitata ad alcune tipologie di irregolarità o solo per alcune annualità. Verso l’Italia le fonti per una corretta definizione della stabile organizzazione sono: (i) l’articolo 162 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR); (ii) gli articoli 7-ter e seguenti del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 633/1972; (iii) il Regolamento dell’Unione europea (UE) ai fini IVA n. 282/2011, entrato in vigore il 1. luglio 2011; (iv) l’articolo 5 del Modello OCSE di Convenzione fiscale. Il contribuente che intende aderire alla voluntary disclosure dovrà quindi far emergere tutte le irregolarità commesse fino al 30 settembre 2014. Dopo la caduta delle barriere commerciali è sempre più facile presagire anche la caduta delle barriere fiscali e lo scambio delle informazioni in ambito internazionale sarà sempre più velocizzato e penetrante. L’accordo fiscale che andava sottoscritto entro il primo giorno del mese di marzo di quest’anno per consentire una diminuzione dei termini di accertamento ai fini della voluntary disclosure è stato firmato, oltre che dalla Svizzera, anche dal Principato di Monte Carlo; oggi leggiamo (e abbiamo chiaramente letto) di accordi di intesa con l’Italia che solo tre anni fa se accennati venivano prontamente “liquidati” con la parola “impossibile” dai rispettivi sistemi bancari e finanziari. La finalità di una corretta definizione del termine “stabile organizzazione”, è quella di determinare il diritto di uno Stato contraente a tassare gli utili conseguiti da un’impresa residente in un altro Stato contraente; infatti lo Stato può tassare i redditi di impresa prodotti da un soggetto non residente, in quanto sia possibile localizzarne l’ubicazione della fonte (e, pertanto l’attività produttiva) nel suo territorio, attraverso la configurazione di una stabile organizzazione (che dà il materiale collegamento del non residente con il territorio dello Stato) dotata della forza di attrarre i redditi qui prodotti attraverso una struttura stabile nel tempo che fa assumere all’imprenditore estero, nell’ordinamento giuridico italiano, una presenza fiscale qualificata, sostanziale e permanente in grado di collocarlo operativamente su un piano di ipotetica parità con le imprese residenti. Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 La nozione di stabile organizzazione comprende ciò che comune gergo imprenditoriale trova individuazione con: ◆◆ una sede di direzione, i.e. la disponibilità di qualsiasi spazio (immobile, pozzi di perforazione, macchinari, computers, navi, autocarri), non è necessaria la presenza di personale; ◆◆ una succursale (cosiddetta “branch”), i.e. il luogo dove si dirige parte o la totalità dell’attività di un’impresa, svolta anche mediante strutture con “dimensioni minime”; ed anche ◆◆ un ufficio, i.e. una struttura non indipendente giuridicamente, ma che svolge attività organizzativa distinta da quella della casa madre, a volte anche in modo indipendente da un punto di vista economico; ◆◆ un’officina o un laboratorio; ◆◆ una miniera, una cava o un altro luogo di estrazione di risorse naturali; ◆◆ un cantiere di costruzione o di montaggio la cui durata superi i tre mesi; ◆◆ ma anche un macchinario mobile ma stabilmente locato in Italia. Sono degli esempi di stabile organizzazione: ◆◆ un dipendente di una società estera che per un lungo periodo di tempo è abilitato ad usare un ufficio nella sede di un’altra società ubicata in Italia (per esempio una controllata appena acquisita) al fine di assicurarsi che quest’ultima società ottemperi ai propri obblighi contrattuali assunti con la società estera. In questo caso, l’impiegato sta svolgendo un’attività per conto della società estera e l’ufficio che è a sua disposizione presso la sede della società italiana costituisce una stabile organizzazione del suo datore di lavoro, posto che l’ufficio sia a sua disposizione per un lasso di tempo sufficientemente lungo per costituire una “sede fissa d’affari”; ◆◆ un pittore per due anni si trova per tre giorni alla settimana presso gli uffici del suo principale cliente italiano. In questo caso la presenza del pittore in quel luogo dove egli sta svolgendo la sua più importante funzione lavorativa (dipingere) costituisce una stabile organizzazione del pittore stesso. Sono esempi di non stabile organizzazione: ◆◆ un addetto al reparto commerciale di un’impresa estera visita regolarmente il principale cliente italiano per raccogliere gli ordini e incontra a tal fine nei suoi uffici il direttore acquisti. In questo caso, gli uffici del cliente italiano non sono a disposizione dell’impresa estera per cui l'addetto al reparto commerciale sta lavorando e, comunque, non costituiscono una sede fissa d’affari attraverso cui quell’impresa estera svolge la propria attività in Italia; ◆◆ una società di trasporti estera utilizza come luogo di carico un magazzino del cliente italiano ogni giorno per un determinato numero di anni allo scopo di consegnare i beni acquistati dal cliente medesimo. In questo caso la presenza della società di trasporti al magazzino di stoccaggio sarebbe così limitata che quell’impresa estera non potrebbe considerare quel posto come a sua disposizione così da costituire una stabile organizzazione dell’impresa. Infine, si è in presenza di una stabile organizzazione occulta quando la stessa sia improntata al solo fine elusivo riconducibile alla stessa stabile organizzazione, ma non è sempre detto che le omissioni in ambito di fiscalità internazionale derivino da comportamenti elusivi ma anche da omissioni e mancate valutazioni, anzi spesso una valutazione effettuata in ambito di start-up può poi ben presentare difetti con il successivo sviluppo del business e trovare quindi legittima additazione dalle competenti autorità fiscali. Concludendo, appare chiaro che la stabile organizzazione è certamente l’elemento di risultanza di un'approfondita ed accurata preventiva pianificazione societaria e fiscale per l’implementazione del business aziendale in un nuovo mercato (in questo caso nel mercato italiano, ancor più che europeo); spesso, invece, nella realtà delle aziende di piccole e medie dimensioni l’internazionalizzazione, più che del preventivo parere di un consulente, è frutto del “tentativo imprenditoriale” di approccio al mercato per la “misurazione” (a posteriori non ad anteriori) della fattibilità di sviluppo nel nuovo mercato. Sempre più spesso, nell’ambito della risoluzione professionale di controversie fiscali, la ratio dell’omissione di implementazione di una stabile organizzazione non deriva da una volontà omissiva dell’imprenditore ma dal mancato adeguamento formale di un'idea imprenditoriale che poi (magari) ha trovato lo sviluppo nel mercato consentendone la permanenza ma non ha trovato successivo adeguamento formale (anche perché intervenire “a posteriori” non sempre è agevole in quanto il business è “partito”, i contratti sono siglati e gli impegni formalizzati; intervenire è spesso quindi un problema ben percepito dall’imprenditore). La voluntary disclosure si propone quale strumento preventivo per la consapevole regolarizzazione di posizioni fiscali, che allo stato attuale presentano tutte le caratteristiche di consapevole omissione in materia di stabile organizzazione, consentendo la regolarizzazione “autoindotta” e non subita e, di fatto, ponendo l’Amministrazione finanziaria alla disamina di dati e consultivi appositamente sviluppati variando anche (e soprattutto) tempi ed i modi del potenziale accertamento fiscale che si rischierebbe di subire (e senza trascurare anche i benefici in termini di sanzioni che la voluntary disclosure, quale istituto di regolarizzazione straordinario, propone). Elenco delle fonti fotografiche: h t t p :// w w w. a v v o c a t o b e r t a g g i a . c o m / b l o g / w p - c o n t e n t /u p l o ads/2015/07/Stabile-organizzazione-requisiti.jpg [03.08.2015] 21 22 Diritto tributario internazionale e dell’UE Un primo commento alla LASSI Curzio Toffoli [email protected] Avvocato, Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law Studio legale e notarile Toffoli & Sala, Chiasso La Svizzera intende estendere unilateralmente lo standard OCSE allo scambio di informazioni su domanda in materia fiscale a tutte le convenzioni contro le doppie imposizioni in vigore attraverso una nuova legge: la LASSI A. Presentazione 1. Nel quadro della strategia volta ad attuare in modo completo le Raccomandazioni del Global Forum, il 19 febbraio 2014 il Consiglio federale ha deciso di estendere unilateralmente lo scambio di informazioni su domanda conforme allo standard OCSE a tutti gli Stati e territori con i quali è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni sul reddito e sulla sostanza (di seguito CDI). Tra il 22 ottobre 2014 e il 5 febbraio 2015 si è dunque svolta la procedura di consultazione per una Legge federale concernente l’applicazione unilaterale dello standard OCSE sullo scambio di informazioni (di seguito LASSI)[1]. Si tratta di uno strumento legislativo di portata transitoria, il cui scopo è garantire a tutti gli Stati che sono già partner della Svizzera, uno scambio di informazioni secondo lo standard completo OCSE, anche se la rispettiva CDI ancora non lo prevede. 2. Occorre ricordare che in occasione degli esami (peer reviews) di fase 1 del mese di giugno 2011, il Global Forum è giunto alla conclusione che le condizioni quadro legali e regolamentari in Svizzera dovevano essere ancora migliorate ed ha conseguentemente emesso alcune raccomandazioni, una delle quali indicava proprio la necessità di ampliare il network di accordi sullo scambio di informazioni in materia fiscale conformi allo standard[2]. 3. In considerazione delle misure nel frattempo approntate[3] , nel mese di giugno del 2014 la Svizzera ha chiesto un rapporto supplementare che valutasse i progressi compiuti dal mese di giugno del 2011. Dopo discussione nel gruppo di valutazione tra Paesi, tenutasi nel mese di febbraio di quest’anno, il 13 febbraio 2015 il plenum del Global Forum ha approvato il rapporto che ammette la Svizzera alla seconda fase della valutazione (fase che dovrebbe iniziare nell’autunno prossimo). La volontà del Consiglio federale di promulgare la LASSI è stato un fattore considerato positivamente nel rapporto, e che ha certamente contribuito ad ottenere la promozione nelle peer reviews[4]. 4. Con il progetto LASSI, si intendono stabilire le condizioni alle quali è possibile accordare l’assistenza amministrativa secondo lo standard dell’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione fiscale (di seguito M-OCSE) a quegli Stati o territori che hanno concluso con la Svizzera una CDI che (ancora) non adempie pienamente tale standard. 5. La LASSI disciplina le domande di assistenza amministrativa provenienti da Stati o territori che attualmente non dispongono di uno strumento giuridico che consenta lo scambio di informazioni su domanda con la Svizzera conformemente allo standard OCSE. La LASSI ha quindi carattere residuale, trovando applicazione unicamente se lo Stato o territorio interessato non può presentare la propria domanda di assistenza amministrativa in base ad altro strumento giuridico. La LAAF resta applicabile, in assenza di divergenti disposizioni della LASSI. 6. Conformemente allo standard dell’OCSE, agli Stati o territori interessati è accordato lo scambio di informazioni verosimilmente rilevanti per l’applicazione della relativa CDI oppure per l’applicazione o l’esecuzione della loro legislazione domestica relativamente alle imposte in questione. Lo Stato o territorio richiedente dovrà confermare per iscritto: ◆◆ che garantisce reciprocità, ◆◆ che garantisce la confidenzialità delle informazioni ricevute (protezione dei dati e principio di specialità). 7. L’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC) darà esecuzione alla LASSI. A tale scopo, l’AFC utilizzerà le possibilità che ha a disposizione per ottenere le informazioni Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 richieste, anche qualora queste informazioni non siano utili a fini fiscali interni. Sono applicabili le disposizioni della LAAF relative all’ottenimento di informazioni. La LASSI autorizza inoltre l’AFC a presentare domande di assistenza amministrativa agli Stati e territori interessati e disciplina l’impiego delle informazioni così ottenute. 8. Secondo il Consiglio federale, la LASSI potrebbe entrare in vigore già nel 2016 per essere abrogata non appena esisterà, per tutti gli Stati e territori interessati, un accordo (bilaterale o multilaterale) che preveda uno scambio di informazioni su domanda conforme allo standard. B. Breve commento alle singole disposizioni del progetto di legge[5] Legge federale concernente l’applicazione unilaterale dello standard OCSE sullo scambio di informazioni (LASSI) del ... L’Assemblea federale della Confederazione Svizzera, visto l’articolo 173 capoverso 2 della Costituzione federale (Cost.); visto il messaggio del Consiglio federale del ..., 0.3. Di fatto, le misure unilaterali non offrono la stessa certezza del diritto e stabilità di una convenzione bilaterale o multilaterale poiché possono essere modificate o ritirate in qualsiasi momento dallo Stato che le ha introdotte. 0.4. In base all’ordinamento giuridico svizzero e alla prassi vigente, una norma può essere introdotta se la sua portata va oltre quella prevista nell’assistenza amministrativa di una CDI e se prevede l’applicazione unilaterale dello scambio di informazioni per adeguare la rete di CDI allo standard OCSE. 0.5. La LASSI si basa in ampia misura, sia a livello formale che a livello materiale, sull’articolo 26 M-OCSE e sulla politica svizzera in materia fiscale. Per quanto concerne lo scambio di informazioni su domanda secondo lo standard internazionale, la LASSI rappresenta dunque uno strumento equivalente ad una CDI, ad un TIEA o, ancora, alla Convenzione multilaterale dell’OCSE e del Consiglio d’Europa sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale (di seguito Convenzione multilaterale). decreta: 0.1. La LASSI si basa sull’articolo 173 capoverso 2 della Costituzione federale della Confederazione Svizzera (di seguito Cost.), secondo il quale è l’Assemblea federale che tratta le questioni rientranti nella competenza della Confederazione che non siano attribuite ad altre autorità. La regolamentazione interna dell’esecuzione dell’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale non rientra nella competenza legislativa dei Cantoni o di altra autorità federale, di modo che appare giustificato fondare la competenza a promulgare la LASSI su tale base costituzionale. 0.2. In generale, l’ordinamento giuridico svizzero garantisce la precedenza del diritto internazionale rispetto al diritto interno (articolo 5 capoverso 4 Cost.). Il diritto internazionale riconosce che uno Stato possa contrarre obblighi nei confronti di uno Stato terzo con un atto normativo unilaterale. Su questa base il Global Forum accetta misure unilaterali quali soluzioni temporanee per accelerare l’attuazione dello standard, a condizione che siano rispettati alcuni principi generali, tra i quali figurano: ◆◆ la definizione di criteri chiari e oggettivi per determinare gli Stati ai quali è possibile applicare la misura unilaterale, ◆◆ l’informazione degli Stati che beneficiano della misura, e ◆◆ la disponibilità a concludere un accordo bilaterale (giacché queste misure sono considerate una fase intermedia verso una relazione concretizzata in un accordo). Belgio, Singapore e San Marino hanno già fatto uso di tale facoltà. 0.6. La LASSI disciplina unicamente lo scambio di informazioni su domanda. Essa non prevede alcuno scambio di informazioni spontaneo o automatico, per i quali sono necessari altri strumenti giuridici (che necessitano di essere sottoposti per approvazione all’Assemblea federale). Occorre ricordare che lo scambio di informazioni su domanda e spontaneo, a differenza dello scambio automatico di informazioni, raggruppa tutte le informazioni verosimilmente rilevanti, e non solo quelle relative ai conti finanziari. 0.7. CDI e TIEAs, LASSI e Convenzione multilaterale costituiscono un insieme di strumenti complementari per scambiare informazioni. Se la LASSI e la Convenzione multilaterale fossero oggi in vigore, la Svizzera potrebbe scambiare informazioni fiscali su domanda in modo conforme allo standard con 127 Stati e territori (stato al 2 dicembre 2014). 23 24 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Articolo 1 – Campo d’applicazione La presente legge disciplina le domande di assistenza amministrativa provenienti dagli Stati e territori: 1 a) che hanno concluso una convenzione per evitare le doppie imposizioni in cui le disposizioni relative allo scambio di informazioni non corrispondono a quelle dell’articolo 26 del Modello di convenzione dell’OCSE per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio nella sua versione del 15 luglio 2014 (scambio di informazioni conforme allo standard OCSE), e b) con cui la Svizzera non ha convenuto lo scambio di informazioni conforme allo standard OCSE in alcun altro accordo internazionale. Essa si applica inoltre alle domande svizzere di assistenza amministrativa presentate a uno Stato o territorio secondo il capoverso 1. 2 La presente legge è sussidiaria agli altri accordi internazionali che prevedono uno scambio di informazioni in materia fiscale. 3 1.1. La LASSI delimita il suo campo oggettivo di applicazione con due condizioni, che devono ricorrere cumulativamente: ◆◆ una condizione inclusiva (capoverso 1 lettera a), per cui essa si applica alle domande di assistenza amministrativa di Stati e territori con cui la Svizzera dispone di una CDI in vigore, le cui disposizioni relative allo scambio di informazioni non corrispondono allo standard internazionale riconosciuto; ◆◆ una condizione esclusiva (capoverso 1 lettera b), che dichiara la LASSI non applicabile agli Stati o territori che, sebbene soddisfino le suddette condizioni, possono scambiare con la Svizzera informazioni su domanda secondo lo standard sulla base di un altro accordo internazionale. Tra questi “altri accordi” figura (ad esempio) la Convenzione multilaterale. Qualora venisse approvata dall’Assemblea federale ed entrasse in vigore per la Svizzera, quest’ultima diverrà applicabile per i seguenti Stati e territori: Albania, Anguilla, Belize, Isole Vergini britanniche, Cile, Georgia, Indonesia, Italia, Croazia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Marocco, Moldavia, Montserrat, Nuova Zelanda, Sudafrica e Tunisia. Non tocca invece l’applicabilità della LASSI l’eventuale (futura) applicabilità dell’Accordo multilaterale tra autorità competenti sullo scambio automatico di informazioni (cosiddetto “Multilateral Competent Authority Agreement”, MCAA), basato sull’articolo 6 della Convenzione multilaterale. 1.2. Una prima categoria degli Stati e territori inclusi nel capoverso 1 lettera a comprende: Egitto, Algeria, Antigua e Barbuda, Armenia, Azerbaigian, Bangladesh, Barbados, Dominica, Ecuador, Costa d’Avorio, Gambia, Grenada, Iran, Israele, Giamaica, Kirghizistan, Kuwait, Macedonia, Malesia, Malawi, Mongolia, Montenegro, Pakistan, Filippine, Zambia, Serbia, Sri Lanka, St. Kitts e Nevis, St. Lucia, St. Vincent, Tagikistan, Tailandia, Trinidad e Tobago, Venezuela, Vietnam e Bielorussia (tutti Stati o territori che non hanno posto in vigore la Convenzione multilaterale, non l’hanno firmata o non ne fanno parte). 1.3. Una seconda categoria comprende gli Stati per i quali l’Assemblea federale ha approvato una CDI riveduta ma che non è pienamente conforme allo standard. Il Global Forum ha infatti ritenuto tali le prime CDI rivedute a seguito della decisione del Consiglio federale del 13 marzo 2009 di riprendere lo standard internazionale OCSE. L’Assemblea federale adottò allora (il 23 dicembre 2011 e il 16 marzo 2012) una serie di decreti federali che autorizzavano il Dipartimento federale degli affari esteri a ricercare una soluzione bilaterale per colmare la lacuna[6]. Tolti gli Stati con i quali è stato possibile trovare tale soluzione bilaterale (Danimarca, Finlandia, Lussemburgo, Norvegia, Austria e Regno Unito), restano quattro Stati (Francia, Qatar, Messico e Stati Uniti d’America [di seguito USA]) ancora interessati dalle misure unilaterali. Il 25 giugno 2014 è stato firmato un Protocollo con la Francia in cui viene disciplinata la questione dello scambio di informazioni. Alla sua entrata in vigore la CDI tra la Svizzera e la Francia aderirà totalmente allo standard e troverà applicazione al posto della LASSI. Per gli altri tre Stati, invece, la disciplina LASSI resta applicabile fintanto che non si giungerà ad una soluzione bilaterale. 1.4. La terza categoria comprende 11 Stati con i quali è stata parafata o firmata una CDI conforme allo standard, ma che non è ancora entrata in vigore (Argentina, Australia, Belgio, Cina, Estonia, Ghana, Islanda, Colombia, Ucraina, Ungheria e Uzbekistan). Talune CDI sono già state approvate dall’Assemblea federale o le sono state sottoposte per approvazione. È dunque verosimile che la maggior parte di queste CDI sarà in vigore al momento dell’entrata in vigore della LASSI. In sintesi, allo stato settembre 2014, il Consiglio federale indicava che la misura unilaterale potrebbe trovare applicazione con riferimento a 69 Stati o territori. 1.5. Per quanto riguarda lo specifico caso dell’Italia, occorre precisare che il 23 febbraio 2015 la consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf e il ministro delle finanze italiano Pier Carlo Padoan hanno firmato a Milano un Protocollo che modifica la vigente CDI unitamente ad una roadmap per la prosecuzione del dialogo sulle questioni finanziarie e fiscali. Al lato pratico, la CDI tra Svizzera e Italia sarà completata da un Protocollo che riprende lo standard dell’OCSE per lo scambio di informazioni su domanda. Una volta entrato in vigore il Protocollo, la LASSI non sarà quindi applicabile a domande provenienti dall’Italia[7]. Analogo discorso vale per il Principato del Liechtenstein. Lo scorso 10 luglio, infatti, la citata consigliera federale ha firmato a Vaduz una CDI con il Liechtenstein che mira a evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio (in sostituzione della vigente Convenzione del 22 giugno 1995). Il testo riprende le corrispondenti raccomandazioni dell’OCSE, in particolare per quanto concerne lo scambio di informazioni[8]. 1.6. Gli Stati o territori che presentano una domanda di informazioni alla Svizzera devono precisare se la richiesta si fonda sulla CDI o sulla LASSI. Dal canto suo l’AFC verifica, a seconda dello strumento giuridico scelto dallo Stato o territorio interessato, Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 che le condizioni contenute nella CDI o nella LASSI siano soddisfatte. Non sarà possibile basare una domanda su entrambe le basi legali. In caso di rifiuto di una domanda che ad esempio si basa su una CDI, gli Stati o territori interessati possono tuttavia inoltrare una seconda domanda basandosi sulla LASSI. In questo caso l’AFC verificherà se tutte le condizioni della LASSI sono soddisfatte. 1.7. Il capoverso 3 sancisce il carattere residuale della LASSI. Se le informazioni richieste da uno Stato o territorio ai sensi del capoverso 1 possono essere scambiate sulla base di accordi esistenti con la Svizzera, questo Stato o territorio deve presentare la sua domanda di assistenza amministrativa sulla base di tali accordi. posteriori) in merito alla domanda pendente e chi ha il diritto di partecipare al procedimento. In presenza delle condizioni necessarie, la trasmissione delle informazioni può avvenire nel quadro della procedura semplificata oppure mediante notifica di una decisione finale nell’ambito della procedura ordinaria. La LAAF contiene, inoltre, le disposizioni particolari riguardanti la procedura di ricorso (al Tribunale amministrativo federale e, entro determinate condizioni, al Tribunale federale). Articolo 3 – Domande di assistenza amministrativa estere Lo scambio di informazioni è accordato su domanda agli Stati e territori secondo l’articolo 1 capoverso 1, se tali informazioni sono verosimilmente rilevanti per: 1 a) l’esecuzione di una convenzione per evitare le doppie imposizioni conclusa con la Svizzera, o b) l’applicazione o l’esecuzione della legislazione interna degli Stati e territori relativo alle imposte: 1. riscosse per conto di Stati o territori, di loro suddivisioni politiche o di loro enti locali, e 2. che rientrano nelle disposizioni di una convenzione per evitare le doppie imposizioni conclusa con la Svizzera o previste nelle disposizioni relative allo scambio di informazioni di detta convenzione, se il campo di applicazione di queste ultime è più esteso. Lo scambio di informazioni può anche riguardare persone che non risiedono o non hanno la cittadinanza dello Stato o territorio richiedente o della Svizzera. 2 Articolo 2 – Diritto applicabile Sempre che la presente legge non disponga altrimenti, la legge del 28 settembre 2013 sull’assistenza amministrativa fiscale (LAAF) è applicabile per analogia; al riguardo il termine “convenzione” che figura negli articoli 6 capoversi 1 e 2, 7 lettera b, 8 capoverso 2, 20 capoversi 2 e 3 nonché 22 capoversi 2 e 5 indica la presente legge. 2.1. Nella misura in cui la LASSI non contenga disposizioni specifiche, l’esecuzione dello scambio di informazioni è disciplinato dalla LAAF, e – in via subordinata (articolo 5 capoverso 1 LAAF) – dalla Legge federale sulla procedura amministrativa (PA). 2.2. Diverse disposizioni della LAAF rimandano alla “convenzione applicabile”. Ciò è ad esempio il caso per l’articolo 8 capoverso 2, secondo cui lo scambio di informazioni in possesso di una banca, di altro istituto finanziario, di un mandatario, oppure che si rifanno ai diritti di proprietà di una persona è possibile soltanto se la convenzione applicabile lo preveda. Poiché per definizione per gli Stati e territori interessati dall’applicazione della LASSI non esiste alcuna CDI applicabile, la norma precisa che la LASSI adempie, per le disposizioni della LAAF che richiamano tale strumento, il ruolo di “convenzione applicabile”. 2.3. La LAAF contiene le disposizioni di diritto procedurale concernenti l’esecuzione dello scambio di informazioni in materia fiscale. Essa stabilisce chi può ottenere le informazioni e con quali provvedimenti, chi deve essere informato (a priori o a 3.1. Il capoverso 1 riprende le condizioni dell’articolo 26 paragrafo 1 M-OCSE. La Svizzera garantisce lo scambio di informazioni verosimilmente rilevanti per: ◆◆ l’applicazione di una CDI vigente, o ◆◆ l’amministrazione o l’applicazione della legislazione interna degli Stati o territori interessati relativa alle imposte in questione, a prescindere dall’esistenza di un reato fiscale (sottrazione di imposta o frode fiscale), ossia al fine del mero accertamento. 3.2. La lettera a del capoverso 1 ha carattere meramente tuzioristico. Talune CDI che non corrispondono allo standard contengono già una disposizione che permette questo tipo di scambio di informazioni mentre altre non contengono alcuna disposizione su qualsivoglia scambio di informazioni. Anche nel caso in cui manchi una tale disposizione, la Svizzera garantisce comunque già oggi, sulla base di una decisione del Tribunale federale del 20 novembre 1970[9] , lo scambio delle informazioni necessarie per l’applicazione della CDI. 3.3. La lettera b.2. del capoverso 1 intende ampliare il campo di applicazione convenuto bilateralmente. Ad esempio, la Svizzera ha concluso CDI il cui campo di applicazione si limita in linea di principio alle imposte sul reddito e sul patrimonio. Per queste CDI le disposizioni relative allo scambio di informazioni sono 25 26 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 però applicabili a tutti i tipi di imposte. In questo caso la Svizzera accorderà pertanto allo Stato o territorio interessato, sulla base della LASSI, assistenza amministrativa per tutte le imposte. Articolo 4 – Condizioni per accordare l’assistenza amministrativa L’assistenza amministrativa è accordata nella misura in cui l’imposizione prevista dallo Stato o territorio richiedente non è contraria alla convenzione per evitare le doppie imposizioni conclusa dalla Svizzera con questo Stato o territorio. 1 Le informazioni sono comunicate soltanto se l’autorità competente dello Stato o territorio richiedente conferma per scritto che: 2 a) può, sulla base della sua legislazione interna, accordare alla Svizzera lo scambio di informazioni conforme allo standard OCSE; b) tali informazioni sono tenute segrete allo stesso modo di quelle ottenute in applicazione della legislazione interna di questo Stato o territorio; c) tali informazioni sono comunicate soltanto alle persone o autorità (compresi i tribunali e le autorità amministrative) che si occupano: 1.dell’accertamento o della riscossione delle imposte di cui all’articolo 3 capoverso 1 lettera b, 2.dell’esecuzione o del perseguimento penale relativi a tali imposte o 3. delle decisioni circa i rimedi giuridici inerenti a tali imposte; d) tali informazioni sono utilizzate ai fini previsti nella lettera c; e e) tali informazioni sono utilizzate per altri fini soltanto se la legislazione della Svizzera e dello Stato o territorio richiesto lo permette e l’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) lo autorizza. Il fatto che le persone e autorità di cui al capoverso 2 lettera c possano rivelare le informazioni nel corso di una procedura giudiziaria pubblica o in una decisione giudiziaria non è contrario alla conferma di cui al capoverso 2. 3 L’AFC non è tenuta a fornire le informazioni richieste se lo Stato o territorio richiedente non ha rispettato gli impegni contenuti nella sua previa conferma secondo il capoverso 2. 4 4.1. Il capoverso 1 ribadisce il principio sancito al paragrafo 1 dell’articolo 26 M-OCSE, per cui lo scambio di informazioni non sarà accordato se l’imposizione dello Stato o territorio interessato è contraria alla CDI in vigore. Ciò è il caso in presenza di un’imposizione discriminatoria o non ossequiosa di determinate disposizioni della CDI (come ad esempio l’aliquota dell’imposta alla fonte, la definizione di stabile organizzazione o la determinazione dei suoi utili imponibili). 4.2. Prima di poter ricevere le informazioni, lo Stato o territorio richiedente deve confermare per scritto che sono soddisfatte determinate condizioni per accordare l’assistenza amministrativa. In considerazione del suo carattere di norma unilaterale di diritto interno, la LASSI non può (ovviamente) imporre alcun obbligo agli Stati o territori interessati. La LASSI esige dunque che al momento in cui presenta la domanda, lo Stato richiedente confermi di poter garantire alla Svizzera lo scambio di informazioni su domanda secondo lo standard internazionale riconosciuto (reciprocità). La norma non prevede però alcuna verifica astratta in merito alla capacità di uno Stato o territorio terzo di accordare alla Svizzera lo scambio di informazioni su domanda secondo lo standard internazionale, limitandosi ad esigere un’assicurazione concreta nel momento in cui questo Stato presenta alla Svizzera una domanda fondata sulla LASSI. 4.3. Inoltre, secondo la disposizione del paragrafo 2 dell’articolo 26 M-OCSE, lo Stato o territorio richiedente deve confermare che le informazioni scambiate sono tenute segrete, che sono trasmesse soltanto a determinate persone o autorità e utilizzate soltanto per scopi chiaramente definiti (protezione dei dati e principio di specialità). Le informazioni scambiate possono tuttavia essere utilizzate per altri fini se la legislazione dello Stato o territorio interessato e della Svizzera lo permette e l’AFC lo autorizza. Articolo 5 – Diritti e obblighi dell’AFC in relazione all’ottenimento e la fornitura delle informazioni richieste L’AFC usa le possibilità a sua disposizione al fine di ottenere le informazioni richieste, anche qualora tali informazioni non le siano utili a fini fiscali propri. 1 2 Essa non è tenuta a: a) eseguire misure amministrative in deroga alla legislazione e alla prassi amministrativa svizzere o a quelle dello Stato o territorio richiedente; b) fornire informazioni che non possono essere ottenute in virtù della legislazione o nell’ambito della prassi amministrativa normale della Svizzera oppure di quelle dello Stato o territorio richiedente; c) fornire informazioni che potrebbero rivelare segreti commerciali o d’affari, industriali o professionali oppure metodi commerciali o informazioni la cui comunicazione sarebbe contraria all’ordine pubblico. 3 Essa non può rifiutare di comunicare informazioni unicamente perché: a) queste non presentano alcun interesse in ambito nazionale; o b) queste sono detenute da una banca, un altro istituto finanziario, un mandatario o una persona operante come agente o fiduciario oppure perché dette informazioni si rifanno ai diritti di proprietà di una persona. L’AFC è autorizzata a divulgare tali informazioni, sempre che sia indispensabile per soddisfare gli obblighi previsti dalla presente legge. Per il resto sono applicabili le disposizioni relative all’ottenimento di informazioni (articoli 8–15 LAAF). 4 5.1. L’AFC deve servirsi dei mezzi a sua disposizione anche qualora le informazioni richieste non le siano utili a fini fiscali interni (capoverso 1). Dal punto di vista dell’utilizzo ai fini fiscali interni, è bene ricordare che per l’articolo 21 LAAF (applicabile in virtù dell’articolo 2 LASSI), le autorità svizzere possono Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 utilizzare soltanto le informazioni effettivamente trasmesse all’autorità richiedente, ritenuto che – tra queste – le informazioni bancarie potranno essere impiegate soltanto qualora avrebbero potuto essere ottenute secondo il diritto svizzero. 5.2. La norma riprende le disposizioni dei paragrafi 3-5 dell’articolo 26 M-OCSE, descrivendo le condizioni alle quali l’AFC accorda l’assistenza amministrativa. Il capoverso 2 limita gli obblighi dell’AFC, precisando che l’ottenimento di informazioni non deve derogare alla prassi amministrativa o alla legislazione svizzera né, ad esempio, violare segreti d’affari. D’altro canto (capoverso 3), in quanto necessari per soddisfare gli obblighi sanciti dalla LASSI medesima, l’AFC non può rifiutarsi di raccogliere e comunicare le informazioni richieste per il solo motivo che queste sono detenute da una banca, da un altro istituto finanziario, da un mandatario (agente o fiduciario) oppure perché si rifanno ai diritti di proprietà di una persona. 6.3. La procedura chiamata a disciplinare le domande svizzere di informazioni in virtù della LASSI resta (ex articolo 2 LASSI) quella ancorata nell’articolo 22 LAAF. L’AFC riceve quindi le domande dalle autorità fiscali svizzere interessate, ne esamina la legittimità ed eventualmente le inoltra alla competente autorità estera. Non è dato ricorso contro le domande svizzere di assistenza amministrativa internazionale (articolo 22 capoverso 4 LAAF). 6.4. Per il resto si deve ricordare che domande di assistenza amministrativa svizzere relative a informazioni bancarie possono essere presentate soltanto se tali informazioni potrebbero essere ottenute secondo il diritto interno svizzero (articolo 22 capoverso 6 LAAF). 5.3. La norma richiama infine agli articoli da 8 a 15 LAAF che disciplinano la procedura per l’ottenimento delle informazioni da parte dell’AFC (tra i quali figurano pure i provvedimenti coercitivi, articolo 13 LAAF), che tornano pertanto applicabili anche per il trattamento di domande di assistenza amministrativa in virtù della LASSI. Articolo 6 – Domande svizzere di assistenza amministrativa In applicazione della presente legge l’AFC può presentare domande di assistenza amministrativa all’autorità competente di uno Stato o territorio secondo l’articolo 1 capoverso 1. 6.1. Poiché le (eventuali) richieste svizzere di informazioni ad uno Stato o territorio terzo fondate sulla LASSI non trovano fondamento in uno strumento bilaterale, la norma precisa che le domande di assistenza amministrativa agli Stati e territori interessati sono presentate secondo il diritto svizzero. 6.2. La questione se uno Stato o territorio terzo possa eseguire la domanda presentata dalla Svizzera deve pertanto essere esaminata sulla base della sola legislazione interna dello Stato o territorio richiesto. Sono quindi (in principio) ipotizzabili due scenari: ◆◆ gli Stati o territori hanno a loro volta già presentato una domanda alla Svizzera, e in questo contesto hanno confermato la sussistenza della reciprocità (articolo 4 capoverso 2 lettera a); questi dovrebbero quindi poter rispondere positivamente alla richiesta svizzera; ◆◆ gli Stati o territori non hanno ancora presentato alcuna domanda alla Svizzera; con tutta probabilità essi non possono rispondere alla domanda di informazioni poiché mancano le necessarie basi legali nella loro legislazione interna. Articolo 7 – Impiego delle informazioni richieste dalla Svizzera Le informazioni ottenute dall’AFC a seguito di una domanda di assistenza amministrativa svizzera sono tenute segrete allo stesso modo di quelle ottenute in applicazione della legislazione interna Svizzera. 1 L’AFC comunica tali informazioni soltanto alle persone o autorità (compresi i tribunali e le autorità amministrative) che si occupano: 2 a) dell’accertamento o della riscossione delle imposte di cui all’articolo 3 capoverso 1 lettera b, b) dell’esecuzione o del perseguimento penale relativi a tali imposte o c) delle decisioni circa i rimedi giuridici inerenti a tali imposte. Esse possono essere utilizzate per altri fini di quelli di cui al capoverso 2 se la legislazione della Svizzera e dello Stato o territorio richiesto lo permette e l’autorità competente dello Stato o territorio richiesto lo autorizza. 3 Le persone e autorità di cui al capoverso 2 possono rivelare tali informazioni nell’ambito di una procedura giudiziaria pubblica o in una decisione giudiziaria. 4 7.1. La norma riprende il paragrafo 2 dell’articolo 26 M-OCSE, che costituisce anche la base dell’articolo 4 capoversi 2 e 3 LASSI. Riguardo alle informazioni che riceve, la Svizzera dovrà quindi garantire lo stesso livello di protezione dei dati di quello degli Stati e territori interessati dai quali provengono le informazioni e rispettare il principio di specialità. 27 28 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Articolo 8 – Esecuzione L’AFC esegue la presente legge. Articolo 9 – Applicabilità Le disposizioni della presente legge si applicano alle domande di informazioni presentate alla data d’entrata in vigore della presente legge, o dopo tale data, per le informazioni: 1 a) relative a un periodo fiscale che inizia il 1° gennaio dell’anno civile seguente l’entrata in vigore della presente legge, o dopo tale data; oppure, b) in mancanza di un periodo fiscale, per tutti i crediti fiscali sorti il 1° gennaio dell’anno civile seguente l’entrata in vigore della presente legge, o dopo tale data. Gli Stati e territori secondo l’articolo 1 capoverso 1, la cui convenzione per evitare le doppie imposizioni è stata oggetto di un decreto federale che autorizza il Dipartimento federale delle finanze (DFF) a convenire un complemento per introdurre una clausola sullo scambio di informazioni conforme allo standard OCSE, possono, a condizione che la convenzione per evitare le doppie imposizioni sia in vigore, presentare domande di informazioni che si riferiscono a un periodo per cui la convenzione per evitare le doppie imposizioni prevede lo scambio di informazioni. In questo caso, le domande raggruppate sulla base della presente legge sono autorizzate per le informazioni su fattispecie avvenute dal 1. febbraio 2013. 2 9.1. Mentre il capoverso 1 enuncia la disciplina di carattere generale, aderente alle usuali disposizioni presenti nelle CDI concluse dalla Svizzera, il capoverso 2 delinea un ordine ad hoc, per tenere conto di alcune particolarità. 9.2. Il capoverso 2 disciplina segnatamente l’applicabilità della LASSI alle CDI concluse con gli USA, la Francia, il Qatar e il Messico[10]. I periodi ai quali si applicano le disposizioni rivedute sullo scambio di informazioni sono stati convenuti di volta in volta bilateralmente. Il capoverso 2 rimanda pertanto al periodo convenuto nella CDI in vigore, in luogo di quello – generale – previsto al capoverso 1. Nello specifico, questo significa che lo scambio di informazioni ai sensi della LASSI trova applicazione per i periodi fiscali che iniziano il 1. gennaio 2010 (Francia) e il 1. gennaio 2011 (Qatar e Messico). 9.3. Per quanto riguarda gli USA occorre invece distinguere, a dipendenza che la CDI alla quale si applica il decreto federale – ossia la CDI nella versione modificata dal Protocollo del 23 settembre 2009 (di seguito CDI-USA 2009[11]) – sarà o meno entrata in vigore (ad oggi la CDI-USA 2009 è stata approvata soltanto dall’Assemblea federale svizzera ma non dal Parlamento americano). Quindi: ◆◆ se all’entrata in vigore della LASSI la CDI-USA 2009 non sarà ancora in vigore, farà stato la CDI-USA del 2 febbraio 1996 (di seguito CDI-USA 1996). Siccome quest’ultima non è oggetto di un decreto federale, tornerà allora applicabile l’articolo 9 capoverso 1 LASSI; ◆◆ se invece all’entrata in vigore della LASSI la CDI-USA 2009 sarà in vigore, sia applicherà l’articolo 9 capoverso 2 LASSI. In questo caso la misura unilaterale si applicherà, per quanto attiene lo scambio di informazioni bancarie, ai periodi che iniziano il 23 settembre 2009 o posteriori. In tutti gli altri casi, invece, alle informazioni concernenti i periodi fiscali che iniziano il 1. gennaio 2010, o posteriori (cfr. articolo 5 capoverso 2 lettera b del Protocollo del 23 settembre 2009). 9.4. Per l’insieme di CDI alle quali si applica il capoverso 2, la presentazione di domande raggruppate secondo lo standard OCSE è possibile in relazione a fattispecie che riguardano periodi dal 1. febbraio 2013. Il testo riprende le disposizioni dell’articolo 1 capoverso 1 dell’Ordinanza del 20 agosto 2014 sull’assistenza amministrativa fiscale (OAAF), in modo da garantire la parità di trattamento a tutti gli Stati partner della Svizzera. Nello specifico, questo significa che per Francia, Messico e il Qatar sono legittimate domande raggruppate in relazione a fattispecie che riguardano periodi posteriori al 1. febbraio 2013, ancorché la CDI in vigore disciplini diversamente l’applicazione delle disposizioni sullo scambio di informazioni, e meglio: ◆◆ per la Francia, i periodi fiscali che iniziano il 1. gennaio 2010 (cfr. anche la soluzione convenuta nell’ambito dell’Accordo che modifica il protocollo addizionale alla CDI firmato il 25 giugno 2014); ◆◆ per Qatar e il Messico i periodi fiscali che iniziano il 1. gennaio 2011. 9.5. Nuovamente, nel caso degli USA, è necessario operare un distinguo a seconda che la CDI-USA 2009 sarà entrata o meno in vigore. Quindi: ◆◆ nella negativa, le domande raggruppate per i casi che riguardano “truffe e delitti analoghi” sono autorizzate conformemente alla CDI-USA 1996. Per le domande raggruppate secondo lo standard internazionale si applica la disposizione dell’articolo 9 capoverso 1 LASSI; ◆◆ nella positiva, invece, le domande raggruppate per i periodi dal 23 settembre 2009 al 1. febbraio 2013 saranno trattate in base CDI-USA 2009 in combinazione con il decreto federale del 16 marzo 2012 (che completa la Convenzione tra la Svizzera e gli USA per evitare le doppie imposizioni[12]). In questo contesto, le domande raggruppate dovranno in ogni caso contenere un’indicazione secondo cui la persona in possesso delle informazioni richieste (o i suoi collaboratori) hanno contribuito in maniera significativa a “modellare” il comportamento che permette di identificare il gruppo di contribuenti interessato dalla domanda. Per il resto, le domande raggruppate secondo lo standard OCSE sono autorizzate in relazione a fattispecie che riguardano periodi dal 1. febbraio 2013, ritenuto che in tali casi un terzo avrà, di regola ma non necessariamente, avuto un ruolo attivo nell’attualizzare il comportamento fiscalmente non conforme dei contribuenti appartenenti al gruppo[13]. Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Articolo 10 – Entrata in vigore e abrogazione 1 La presente legge sottostà a referendum facoltativo. 2 Il Consiglio federale ne determina l’entrata in vigore. Esso abroga la presente legge se la Svizzera conviene di uno scambio di informazioni conforme allo standard OCSE con Stati e territori ai secondo l’articolo 1 capoverso 1 nel quadro di una convenzione per evitare le doppie imposizioni conclusa con uno di questi Stati e territori o nel quadro di un altro accordo internazionale. 3 10.1. La LASSI sottostà a referendum facoltativo (articolo 141 capoverso 1 lettera a Cost.). Secondo le indicazioni del Consiglio federale, la LASSI potrebbe entrare in vigore nel 2016. 10.2. La Svizzera continuerà a rinegoziare le sue CDI o a convenire altri strumenti anche quando la LASSI sarà entrata in vigore. La LASSI sarà abrogata non appena per tutti gli Stati e territori interessati esisterà un trattato (CDI o altro accordo internazionale) che disponga uno scambio di informazioni su domanda conforme allo standard OCSE. Secondo la prassi del Global Forum, infatti, la presenza di una misura unilaterale non autorizza a uno Stato a schivare la conclusione di una convenzione bilaterale o multilaterale che garantisca uno scambio di informazioni fiscali aderente allo standard[14]. 10.3. La LASSI potrà essere definitivamente abrogata solo una volta che tutte le domande di assistenza amministrativa presentate sulla base della medesima saranno concluse con decisione definitiva. Ciò per evitare che la base legale vigente al momento della presentazione di una domanda sia abrogata in pendenza di procedura. C. Elenco degli Stati o territori con cui la LASSI potrebbe essere applicata Tabella 1: Elenco dei 69 Stati o territori con cui la LASSI verrebbe applicata (stato al 12 settembre 2014) (Fonte: Consiglio federale, Rapporto LASSI, Berna, 22 ottobre 2014, pagina 14) Stato o territorio Nessuna CDI riveduta o Convenzione multilaterale Nessuna CDI riveduta Egitto 2 Albania • 3 Algeria • 4 Anguilla • 5 Antigua e Barbuda 6 Argentina 7 Armenia • 8 Azerbaigian • 9 Australia 10 Bangladesh • • • • 11 Barbados • 12 Bielorussia • 13 Belgio 14 Belize • 15 Isole Vergini britanniche • 16 Cile • 17 Cina 18 Dominica • 19 Ecuador • • 20 Costa d’Avorio Estonia 22 Francia 23 Gambia 24 Georgia CDI riveduta parafata o firmata • 1 21 CDI riveduta oggetto di un decreto federale • • • • • • 29 30 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Stato o territorio Nessuna CDI riveduta o Convenzione multilaterale Nessuna CDI riveduta Ghana 26 Grenada 27 Indonesia 28 Iran 29 Islanda 30 Israele 31 Italia 32 Giamaica 33 Qatar 34 Kirghizistan 35 Colombia 36 Croazia 37 Kuwait 38 Lettonia • • • • • • • • • • • • • 39 Liechtenstein • 40 Lituania • 41 Malesia • 42 Malawi • 43 Marocco Macedonia 45 Messico 46 Moldavia CDI riveduta parafata o firmata • 25 44 CDI riveduta oggetto di un decreto federale • • • • 47 Mongolia • 48 Montenegro • 49 Montserrat • 50 Nuova Zelanda • 51 Pakistan • 52 Filippine • 53 Zambia • 54 Serbia • 55 Sri Lanka • 56 St. Kitts e Nevis • 57 St. Lucia • 58 St. Vincent • 59 Sudafrica 60 Tagikistan • 61 Tailandia • 62 Trinidad e Tobago • 63 Tunisia 64 Ucraina • 65 Ungheria • 66 USA 67 Uzbekistan • • • • 68 Venezuela • 69 Vietnam • Totale 19 35 4 11 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Elenco delle fonti fotografiche: https://www.efd.admin.ch/efd/de/home/_ jcr_content/par/columncontrols/items/0/column/teaserfocus/items/automatisccher_infor/ teaserfocuspar/teaser/image.imagespooler.jpg/1437491121099/original/ aia.jpg [03.08.2015] http://www.fiscooggi.it/files/immagini_articoli/u13/svizzera_0.jpg [03.08.2015] http://www.oecd.org/media/oecdorg/directorates/centrefortaxpolicyandadministration/SG%20PSA.jpg [03.08.2015] [1] Consiglio federale, Il Consiglio federale avvia la consultazione relativa all’applicazione unilaterale dello standard OCSE sullo scambio di informazioni su domanda, Comunicato stampa, Berna, 22 ottobre 2014. Il Rapporto esplicativo relativo alla Legge federale concernente l’applicazione unilaterale dello standard OCSE sullo scambio di informazioni (LASSI) è disponibile al seguente link: http://www.news.admin.ch/NSBSubscriber/ message/attachments/36975.pdf [03.08.2015]. Con presa di posizione del 21 gennaio 2015, il Consiglio di Stato del Cantone Ticino ha comunicato al Dipartimento federale delle finanze (di seguito DFF) di non ritenere necessaria l’adozione della LASSI, invocando (sostanzialmente) tre ordini di ragioni. In primis due delle tre condizioni alternative richieste dal Global Forum per accedere alla seconda fase sono già state adempiute, per cui non vi sarebbe alcuna necessità di adottare le misure unilaterali proposte con la LASSI. Vi sono poi incongruenze tra la LASSI e la Legge federale sull’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale (di seguito LAAF), in particolare in ordine alla possibilità di utilizzo dei dati bancari alle autorità fiscali svizzere. Infine, il Governo ticinese auspica che la LASSI entri comunque in vigore soltanto dopo che la nuova CDI con l’Italia sia stata ratificata da entrambi i parlamenti nazionali. [2] In questo momento (marzo 2015) la Svizzera conta 57 CDI conformi allo standard e accordi sullo scambio d’informazioni (“Tax Information Exchange Agreement”, di seguito TIEA). Il 15 ottobre 2013 la Svizzera ha inoltre firmato la Convenzione multilaterale che dovrebbe entrare in vigore il 1. gennaio 2017. [3] Ricordiamo che, per attuare le raccomandazioni del Global Forum, la Svizzera ha rivisto la LAAF introducendo un’eccezione all’informazione preliminare di persone oggetto della domanda di assistenza amministrativa (è stata così introdotta la cosiddetta “informazione a posteriori”, articolo 21a LAAF). Inoltre il 12 dicembre 2014 le Camere federali hanno approvato la Legge sull’attuazione delle raccomandazioni rivedute del Gruppo d’azione finanziaria (GAFI) in materia di lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, che forniranno maggiore trasparenza per quanto concerne le azioni al portatore. [4] Global Forum, Rapport d’examen par les pairs supplémentaire, Phase 1, Cadre légal et réglementaire, Suisse, OCSE 2015, n. 48, in: http://www. news.admin.ch/NSBSubscriber/message/ attachments/38722.pdf [03.08.2015]. [5] Riprendo qui essenzialmente (con alcune integrazioni) quanto esposto dal Consiglio federale nel Rapporto esplicativo alla legge federale concernente l’applicazione unilaterale dello standard OCSE sullo scambio di informazioni (LASSI) del 22 ottobre 2014. [6] Cfr. Foglio federale 2011, pagina 3419 e seguenti. [7] DFF, Svizzera e Italia firmano un’intesa sulle questioni fiscali, Comunicato stampa, Berna, 23 febbraio 2015, in: https://www.news.admin. ch/message/index.html?lang=it&msg-id=56318 [03.08.2015]. [8] Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI), Visita di lavoro della consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf nel Liechtenstein, Comunicato stampa, Berna, 10 luglio 2015, in: https://www.admin.ch/gov/it/paginainiziale/documentazione/comunicati-stampa. msg-id-58083.html [03.08.2015]. [9] DTF 96 I 733. [10] Oggetto di un decreto federale; cfr. sopra n. 1.3. [11] Cfr. Foglio federale 2010, pagina 229 e seguenti. [12] Cfr. Foglio federale 2012, pagina 3127 e seguenti. [13] Commentario M-OCSE, paragrafo 5.2 ad articolo 26, in: http://www.oecd.org/fr/ctp/echange-de-renseignements-fiscaux/120718_Article%20 26-FR.pdf [03.08.2015]. [14] Cfr. sopra n. 0.3. 31 32 Diritto finanziario Legittimità delle restrizioni bancarie nell’esecuzione delle istruzioni dei clienti Giovanni Molo Avvocato, LL.M. Socio Studio Bolla Bonzanigo & Associati, Lugano Esame dei possibili fondamenti giuridici e punti interrogativi 1. Introduzione Mentre l’attenzione dei commentatori, in particolare nell’ambito della letteratura giuridica, si è concentrata sulla svolta intrapresa dalla Svizzera in materia di scambio delle informazioni, le nuove strategie messe in campo dagli operatori finanziari per limitare i propri rischi in funzione della situazione fiscale dei loro clienti è stata oggetto di un approfondimento ben minore. Non vi sarà un approfondimento sulle proposte legislative in atto in merito ad obblighi di diligenza accresciuti degli operatori finanziari relativamente alla conformità fiscale dei clienti: un accenno a tali proposte potrà essere fornito soltanto con immediato riferimento alla nuova prassi in materia di vigilanza nonché ai nuovi orientamenti strategici in proposito degli istituti finanziari. Secondariamente, ci si asterrà del tutto dal considerare le questioni procedurali che contraddistinguono le controversie giudiziali in corso tra banche e clienti, con riferimento in particolare all’adempimento, o meno, dei requisiti per caso manifesto ai sensi dell’articolo 257 del Codice di procedura civile che aprono la strada alla procedura sommaria[1]. Eppure, si tratta di una realtà palpabile che ha trasformato i rapporti tra banche e clienti, e la stessa natura del private banking svizzero, in maniera ancora più marcata rispetto ai cambiamenti legislativi fin qui intervenuti nell’ambito della cooperazione internazionale in materia fiscale. Questa discrepanza tra l’enorme rilievo da un profilo pratico nello svolgimento concreto dei rapporti bancari di questo fenomeno, e la poca attenzione di cui ha goduto nella letteratura giuridica, si spiega con la sua natura difficilmente decifrabile. Qui di seguito, si proporrà una riflessione sui fondamenti di diritto materiale in virtù dei quali può giustificarsi l’inadempimento delle istruzioni dei clienti da parte delle banche. In primo luogo, ci si concentrerà quindi sulla svolta dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (di seguito FINMA) relativamente alla presa in considerazione dei rischi transfrontalieri, con particolare riferimento alle posizioni fiscali dei propri clienti. Secondariamente, ci si concentrerà sulle modalità con cui le banche hanno integrato preoccupazioni relative alla conformità fiscale dei propri clienti nelle loro strategie commerciali, e nei loro modelli di compliance. Infine, si arriverà quindi al nocciolo della questione, alle modalità, cioè, con cui tali preoccupazioni possono interferire nei rapporti contrattuali tra banche e clienti. Si passeranno quindi in rassegna diversi fondamenti giuridici a cui può richiamarsi una restrizione dei diritti contrattuali di clienti. Vi sono, invece, due aspetti che non potranno essere considerati per non estendere eccessivamente il nostro contributo. 2. Nuovi indirizzi nella sorveglianza bancaria sui rischi transfrontalieri degli istituti finanziari in relazione agli adempimenti fiscali dei clienti Il documento che sancisce in termini generali i nuovi indirizzi della FINMA è la posizione della FINMA sui rischi transfrontalieri del 22 ottobre 2010[2]. È interessante osservare la forma con cui la FINMA ha deciso di intervenire. Secondo l’articolo 7 della Legge federale concernente l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (di seguito LFINMA), infatti, l’Autorità di sorveglianza dispone di due strumenti per fissare i principi regolamentari: ◆◆ le ordinanze, laddove previsto da una delega legislativa, e ◆◆ le circolari, che sono a loro volta utilizzate per concretizzare le leggi sui mercati finanziari in vista della loro applicazione. Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 La posizione in oggetto non costituisce né una circolare né un’ordinanza. Essa infatti, non si fonda su alcuna delega legislativa, e non è nemmeno finalizzata, in quanto tale, a concretizzare delle nozioni specifiche delle leggi sui mercati finanziari. La FINMA riconosce infatti che il diritto svizzero sulla sorveglianza non stabilisce per gli istituti finanziari svizzeri, in maniera diretta, un obbligo di ottemperare al diritto estero[3] , così come non sussiste, de lege lata, un obbligo per gli istituti finanziari di non accettare averi non dichiarati e, a fortiori, di intrattenere relazioni d’affari soltanto con clienti preesistenti che dichiarano i loro averi depositati in Svizzera. Pur riconoscendo tali presupposti giuridici, l’Autorità di sorveglianza ritiene essenziale che un’analisi approfondita dei rischi connessi alle transazioni transfrontaliere, in particolare in ambito fiscale, sia condotta dagli istituti finanziari al fine di contenere questi rischi in maniera appropriata[4]. Essi possono in particolare materializzarsi nel fatto che un istituto finanziario svizzero o suoi collaboratori possano ritrovarsi implicati, a titolo di riciclaggio o per reati di partecipazione, in procedimenti penali relativi a reati fiscali commessi da propri clienti all’estero. Tali rischi sono invero connaturati al principio dell’ubiquità, riconosciuto anche dal diritto penale svizzero, secondo cui un reato deve ritenersi verificato non soltanto nel luogo in cui è stato commesso ma anche in quello in cui si verificano i suoi effetti. Poiché gli effetti di un reato fiscale consistono nel risparmio fiscale illecito conseguito nello Stato di residenza del cliente, ecco quindi che un reato di partecipazione, o un atto di riciclaggio, può considerarsi eseguito in tale Stato, anche con riferimento ad atti di partecipazione concretamente commessi soltanto in Svizzera. Ne consegue che la violazione di norme penali fiscali estere presenta una pertinenza riflessa anche per il diritto della sorveglianza svizzera, che può condurre, in casi gravi, ad intaccare la garanzia di irreprensibilità prevista dall’articolo 3 capoverso 2 lettera c della Legge federale sulle banche e sulle casse di risparmio (di seguito LBCR). La nozione di garanzia dell’attività irreprensibile costituisce una nozione giuridica indeterminata[5]: essa consente quindi di modulare in maniera flessibile, ed evolutiva nel tempo, le condizioni d’esercizio dell’attività bancaria, tanto per gli istituti finanziari in quanto tali che per le persone fisiche aventi una funzione dirigenziale o di organo soggetti a tale garanzia (“Gewährsträger”). Questa natura aperta della nozione di garanzia di irreprensibilità, e, più in generale, della nozione di risk management che ogni istituto deve condurre, ha consentito alla FINMA, anche senza cambiamenti legislativi, di eseguire un autentico cambio di rotta nei criteri della sua sorveglianza bancaria. Così come la svolta nel marzo 2009 in materia di assistenza amministrativa non si è caratterizzata come un punto di cambiamento unico, ma piuttosto come un franamento continuo, anche quella in materia di vigilanza bancaria ha preso le forme di un movimento progressivo. Non potendo qui analizzare nel suo insieme tale attività di vigilanza, così come emerge in particolare dai rapporti di inchiesta pubblicati, quello sul Credit Suisse ed i rapporti di attività 2010-2014 (i quali, in quanto tali, non rappresentano che la superficie di emersione dell’azione di monitoraggio e di raccomandazione della FINMA), possono essere individuate tre linee direttrici. In primo luogo, nonostante il contenuto degli articoli 7 e 8 della Convenzione di diligenza bancaria 2008 (di seguito CDB 08), diventa sempre meno necessario, per accendere i lampeggianti dell’autorità di sorveglianza, mettere in atto da parte degli istituti finanziari un comportamento attivo di partecipazione all’evasione fiscale ed alla fuga di capitali, la semplice accettazione di averi non dichiarati e/o la continuazione di relazioni non dichiarate rivelandosi di per sé stesse sempre più problematiche. Con riferimento alla richiesta della FINMA di abbandonare le relazioni d’affari con clienti i cui averi non sono dichiarati, si verifica, inoltre, un’estensione del campo di applicazione geografico. Inizialmente, le indicazioni della FINMA non riguardavano che le attività cross border con clientela americana. In seguito, vi è stata la tendenza ad estendere tali restrizioni ai maggiori Stati europei, ed in particolare a quelli che offrivano ai propri contribuenti opportunità di dichiarazione agevolata. In terzo luogo, la selezione dei propri clienti, nuovi e preesistenti, in funzione della conformità fiscale rende necessaria l’acquisizione, da parte dell’istituto finanziario, di elementi di conoscenza in proposito, ciò che viene infatti richiesto dall’autorità di sorveglianza. La conoscenza del cliente (know your customer) si integra con la conoscenza del suo profilo fiscale. Nella nozione di compliance auspicata dall’Autorità di sorveglianza irrompe quindi una dimensione fiscale, volta a considerare, nel sistema di monitoraggio e di prevenzione dei rischi, il profilo fiscale del cliente, ed i rischi che ne possono scaturire per l’istituto finanziario e per i propri collaboratori. Ritenuto come nella sorveglianza bancaria ante 2008 era sufficiente che non venissero accettati dagli istituti averi di provenienza criminale (secondo la limitata accezione che le nozioni di crimine e di riciclaggio rivestivano tradizionalmente nella concezione giuridica svizzera, così da escluderne le infrazioni fiscali[6]) e che gli istituti non contribuissero attivamente all’evasione fiscale ed alla fuga dei capitali dei propri clienti[7] , ciò che dava quindi luogo ad un doppio criterio di demarcazione tra condotte reprensibili, con, cioè, da un lato, la distinzione tra provenienza criminale o non criminale degli averi, dall’altro tra accettazione passiva degli stessi, ed atti di partecipazione attiva; lo stacco rispetto al passato è duplice. Il crinale su cui si muove il riorientamento degli indirizzi della vigilanza della FINMA dal profilo del principio della legalità è sottile. Da un lato, la prassi della FINMA non può anticipare i 33 34 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 nuovi indirizzi legislativi del Consiglio federale, in particolare in materia di oneri di diligenza estesi degli istituti finanziari, dovendo gli stessi ancora passare al vaglio delle Camere federali[8]. D’altro lato, la stessa appare coerente con il principio della legalità nella misura in cui è tesa ad applicare in maniera rigorosa il divieto all’assistenza attiva alla sottrazione fiscale ed alla fuga di capitali postulato dagli articoli 7 e 8 della CDB 08 ed a concretizzare un approccio proattivo alla vigilanza degli istituti finanziari in maniera tale da tenere conto dell’evoluzione dei rischi e dell’inasprimento della prassi regolamentare dei Paesi esteri. 3. Nuove strategie di compliance: integrazione del fattore F Parallelamente ai nuovi indirizzi dell’azione di vigilanza della FINMA, gli istituti finanziari hanno riorientato le loro strategie commerciali, adeguando i loro regolamenti interni e le loro politiche di compliance. I nuovi indirizzi degli istituti finanziari vengono attuati a più livelli, non tutti accessibili per il pubblico. In primo luogo, vengono definiti dei nuovi obiettivi strategici e commerciali dal Consiglio di amministrazione o dalla Direzione generale della banca. In assenza di una base legale vigente che definisca obblighi di diligenza estesi per tutti gli istituti finanziari volti a garantire la conformità fiscale dei clienti, tali obiettivi possono variare, anche significativamente, da istituto a istituto, ed analogo margine di variazione potrà sussistere per gli ulteriori livelli e strumenti mediante i quali la banca attua la sua politica di riorientamento del risk management. Quale denominatore comune, troviamo tipicamente, a partire dal 2009-2010, un orientamento degli istituti finanziari verso una clientela fiscalmente conforme. Tale denominatore comune può quindi essere concretizzato in maniera diversa da istituto a istituto. In generale, non verranno aperte nuove relazioni con clientela non dichiarata fiscalmente (e ciò, in particolare laddove la clientela in questione proviene dagli Stati Uniti d’America [di seguito USA] oppure da Stati importanti dell’Unione europea [di seguito UE] quali Germania, Francia, Spagna o Italia). Quanto alla clientela preesistente, gli approcci strategici della maggior parte degli istituti finanziari sono stati più flessibili e sono stati tipicamente modulati in funzione delle opportunità di regolarizzazione per i contribuenti nei loro Paesi di residenza. Quindi, in particolare per la clientela preesistente, l’approccio è stato ed è differenziato secondo i Paesi di residenza dei contribuenti. Così, ad esempio, decorsi i termini di regolarizzazione facilitata offerta da tali Paesi, i relativi clienti/ contribuenti (leggasi ad esempio, nel passato, quelli degli USA o della Spagna, e in futuro, quelli con residenza in Italia) venivano invitati a chiudere le loro relazioni. Tipicamente, l’obiettivo a medio-lungo termine degli istituti è quello di giungere ad una clientela estera (ed in particolare a quella dei più importanti Stati dell’UE e dell’OCSE) completamente dichiarata. Diversi possono invece essere, tra istituto e istituto, gli obiettivi strategici con riferimento alla conformità fiscale della clientela svizzera. Si sottolinea come l’orientamento commerciale e strategico degli istituti finanziari verso una clientela tax compliant, che oggi sembra una banalità, costituisce in realtà lo sbocco di un’autentica rivoluzione aziendale, posto come, sino ad alcuni anni fa, il modello di business del private banking transfrontaliero svizzero si è innegabilmente fondato largamente su una clientela non dichiarata; da un profilo giuridico e di compliance essendo quindi determinante esclusivamente l’insussistenza di fattispecie di riciclaggio nella ristretta accezione svizzera. Un secondo livello è costituito dai codici di condotta degli istituti bancari, che sono talvolta pubblicati sui loro siti come delle autentiche carte costituzionali degli stessi[9]. In maniera generale, tali codici di condotta stabiliscono il principio secondo cui la banca, con tutti i suoi collaboratori, si impegna a rispettare non solo il diritto vigente nel luogo in cui opera, ma anche quello esistente nel luogo di domicilio dei clienti. Tuttavia, tali codici non sanciscono un obbligo attivo di verifica da parte degli istituti finanziari della conformità fiscale della propria clientela. Resta, in qualche modo, salvo, almeno nei codici di condotta pubblicamente accessibili, il principio secondo cui gli adempimenti fiscali incombono ai clienti/ contribuenti, e non alla banca. ll terzo livello, inoltre, è costituito da regolamenti e direttive interne che dettagliano, in particolare in termini di compliance, gli obiettivi commerciali e strategici della banca. Così, ad esempio, nei regolamenti interni può essere indicata la tempistica precisa entro la quale devono essere cessate le relazioni con clientela non conforme fiscalmente di una determinata area geografica. Inoltre, possono essere indicati i criteri secondo i quali una determinata relazione d’affari può essere, o meno, ritenuta conforme fiscalmente. Infine, come meglio vedremo in seguito, possono essere indicate le modalità relative all’operatività sulle relazioni fiscalmente non conformi. Un quarto, ed ultimo, livello di intervento da parte dell’istituto finanziario riguarda invece i contatti con la clientela direttamente: si può trattare, quindi, di informative e/o comunicazioni volte ad informare la clientela in merito ai nuovi obiettivi della banca in termini di conformità fiscale della clientela, oppure con riferimento al nuovo contesto regolamentare di scambio delle informazioni, oppure, ancora, in merito a opportunità di dichiarazione facilitata nel Paese di residenza. Alle informative e comunicazioni alla clientela senza effetti giuridici possono inoltre aggiungersi, come meglio vedremo nei capitoli che seguono, notificazioni con cui vengono sottoposte loro nuove condizioni generali della banca. Obiettivi strategici, codici di condotta, regolamenti e direttive interne sono, da un profilo giuridico, parzialmente vincolanti: essi dispongono, in altri termini, entro un campo di applicazione soggettivamente delimitato. Hanno infatti pieno effetto nei rapporti interni, ed in particolare sui rapporti di lavoro con i collaboratori, i quali, se non li rispettano, possono essere passibili di sanzioni disciplinari interne (disdetta inclusa). Tali strumenti possono inoltre avere una ripercussione indiretta su organi e dirigenti degli istituti finanziari, ritenuto che una loro grave violazione può mettere a repentaglio la garanzia di irreprensibilità dei soggetti coinvolti, rispettivamente può dare luogo all’emanazione di una misura amministrativa quale Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 il divieto provvisorio di esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 33 LFINMA. Non sono invece cogenti per i rapporti tra banche e clienti. Nella misura in cui prevedono delle restrizioni sulle operazioni di cui i clienti domandano l’esecuzione, al fine segnatamente di facilitarne la regolarizzazione fiscale, gli stessi, come meglio vedremo ai prossimi capitoli, non costituiscono quindi un fondamento giuridico sufficiente in proposito. Nel passare in rassegna diversi fondamenti giuridici su cui possono basarsi le restrizioni all’esecuzione delle istruzioni dei clienti, prima di passare agli elementi verticali di diritto pubblico, si accennerà brevemente a possibili elementi orizzontali di natura privatistica, con particolare riferimento alle condizioni generali nonché alle comunicazioni tra banca e cliente. 5. Direttive interne, comunicazioni tra banca e cliente e condizioni generali? In quanto tali, le direttive interne che prevedessero delle restrizioni nell’adempimento delle istruzioni dei clienti, in particolare con riferimento a prelievi a contanti e/o a bonifici, non sono opponibili ai clienti. Simili disposizioni hanno infatti una validità relativa e si applicano esclusivamente ai rapporti interni della banca. Potrebbero invece applicarsi delle nuove condizioni generali, che prevedessero delle simili restrizioni, laddove venissero approvate dal titolare del conto. 4. L’integrazione del fattore F nei rapporti correnti con i clienti Preoccupazioni di compliance fiscale vanno non solo a configurare gli obiettivi a medio-lungo termine di rinunciare ad una clientela transfrontaliera non dichiarata, non accettando quindi nuove relazioni d’affari non conformi fiscalmente, e abbandonando le relazioni preesistenti che non adempiono tale criterio. Regolamenti e direttive delle banche incidono inoltre massicciamente sui rapporti con i clienti, determinando in particolare delle restrizioni sull’operatività sui conti. Sul piano giuridico dei rapporti contrattuali tra cliente e banca, quest’ultima, per opporsi alle richieste del cliente, invoca sovente l’articolo 119 del Codice delle obbligazioni (di seguito CO), che libera il debitore dall’adempimento contrattuale allorquando la sua prestazione è divenuta impossibile. La legge non definisce la nozione di impossibilità della prestazione. È evidente che la banca non si trova in una situazione di impossibilità fattuale ed oggettiva, poiché la non esecuzione dell’istruzione del cliente dipende esclusivamente dall’esercizio di una sua volontà. Quale origine possibile dell’impossibilità, tuttavia, l’articolo 119 CO non contempla soltanto degli eventi fattuali, ma anche dei motivi giuridici[10]. Il riferimento all’eccezione giuridica di impossibilità, e quindi all’articolo 119 CO, diviene tuttavia in ultima analisi una diversione superflua. Determinante è infatti, in ultima analisi, conoscere se all’obbligo contrattuale della banca di adempiere l’istruzione del proprio cliente si oppone, secondo l’articolo 20 CO, un preminente dovere di quest’ultima di non darvi seguito. Per affrontare la questione in termini plastici, si pone quindi l’interrogativo se possono imperniarsi nel rapporto orizzontale di durata tra cliente e banca, che imporrebbe a quest’ultima di adempiere i propri doveri nei confronti del cliente in base alle originarie pattuizioni contrattuali, elementi verticali di diritto pubblico che possono condurre la banca a derogare alle sue obbligazioni[11]. L’incorporazione di nuove condizioni generali nei rapporti contrattuali tra banca e cliente presuppone evidentemente che le stesse siano state portate a conoscenza del titolare del conto[12], non potendosi ritenere sufficiente, nel caso di disposizioni “posta fermo banca”, la finzione di una loro notifica. Inoltre, a meno che il cliente non approvi individualmente e singolarmente una nuova disposizione generale in maniera esplicita, ma le stesse vengano invece approvate dallo stesso globalmente, non possono applicarsi ai rapporti contrattuali tra le parti nuove condizioni generali dai contenuti inabituali[13]. Deve essere ritenuta tale una nuova clausola contrattuale generale che consenta alla banca di non dare esecuzione alle istruzioni del cliente bloccando unilateralmente l’esecuzione di istruzioni (prelievi, o bonifici) del cliente laddove la banca ritenga che la relazione bancaria in oggetto non sia conforme fiscalmente. Il carattere inabituale di una simile clausola si evince dal fatto che non incombe alla banca, né per legge né per contratto, un onere di collaborazione con lo Stato cui è fiscalmente assoggettato il cliente per accertare i suoi elementi di sostanza e di reddito imponibili, e di restringere di conseguenza la sua disponibilità sugli stessi. La banca ha senz’altro il divieto di non assistere attivamente il cliente in qualsivoglia forma di evasione fiscale così da non determinare, per sé stessa, una fonte di rischio. La responsabilità sul pagamento dei tributi fiscali resta però al cliente/contribuente; con la conseguenza che, difettando in proposito un onere legale della banca, una conseguenza giuridica (restrizione dell’adempimento delle istruzioni del cliente) che scaturisse da verifiche in proposito della banca, è da ritenersi inabituale. Ne discende quindi che di principio non può fondarsi sulle condizioni generali una restrizione all’adempimento di istruzioni di bonifico e/o di prelievo di clienti, a meno che la clausola contrattuale generale su cui una simile restrizione si fondi non sia stata individualmente approvata dal cliente. 6. Blocchi LRD? Quali elementi verticali di diritto pubblico che possono fondare una restrizione nell’adempimento delle istruzioni dei clienti, la 35 36 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 base legale si individua, nel diritto svizzero, in particolare nella legislazione in materia di lotta contro il riciclaggio, e quindi nell’articolo 10 LRD, che appunto codifica l’obbligo dell’intermediario finanziario di bloccare i beni patrimoniali oggetto di una comunicazione poiché provengono da un crimine. Il riferimento a tale norma è tuttavia di scarso supporto per giustificare le restrizioni nell’esecuzione di istruzioni di clienti con averi fiscalmente non dichiarati. La Legge federale concernente l’attuazione delle Raccomandazioni del Gruppo d’azione finanziaria rivedute nel 2012 (di seguito Legge GAFI), che introdurrà il 1. gennaio 2016 reati fiscali gravi quali infrazioni che possono dare luogo ad obblighi di comunicazione e di blocco dei beni dell’intermediario finanziario, si applicherà infatti soltanto a fattispecie fiscali, tanto nella fiscalità diretta che in quella indiretta, estremamente qualificate, ed ad infrazioni fiscali commesse dopo il 1. gennaio 2016[14]. Lo strumento legale che il diritto svizzero mette a disposizione degli intermediari finanziari per bloccare l’esecuzione delle istruzioni dei clienti non può quindi di principio applicarsi in materia fiscale. Da un lato, infatti, la semplice sottrazione fiscale non è sufficiente, e devono invece essere adempiuti degli elementi qualificanti ulteriori sui quali non è il caso di dilungarsi nell’ambito del presente contributo. Secondariamente, inoltre, le disposizioni intertemporali ne impediscono l’applicazione con riferimento ad infrazioni fiscali commesse prima del 1. gennaio 2016. Quindi, anche nell’ipotesi in cui si fosse costituita in Svizzera un’importante giacenza patrimoniale non dichiarata per mezzo di falsificazioni nella contabilità industriale tali da dare luogo ad un sospetto di reati fiscali gravi e qualificati secondo la Legge GAFI, e anche se tali averi non dovessero essere dichiarati dopo il 1. gennaio 2016, si perpetuerebbe, dopo tale data, di principio soltanto una sottrazione fiscale importante, e non già invece una frode fiscale qualificata, con la conseguenza che la LRD continuerebbe ad essere inapplicabile anche dopo il 1. gennaio 2016. Tale conseguenza, auspicabile o meno da un profilo di politica legislativa, discende da una scelta restrittiva che il legislatore ha effettuato nella definizione dei reati fiscali gravi nell’ambito della Legge GAFI. 7. Applicazione immediata del diritto estero? Posto come il diritto interno estero non è, di per sé, applicabile nell’ordinamento svizzero, una voce della dottrina ha invocato l’applicazione dell’articolo 19 della Legge federale sul diritto internazionale privato (di seguito LDIP), che autorizza, a determinate condizioni, i tribunali svizzeri a prendere in considerazione le disposizioni imperative di uno Stato estero[15]. La norma in questione, tuttavia, non è pertinente. Essa, che è ritenuta dalla giurisprudenza una norma di applicazione eccezionale[16] presuppone in effetti la sussistenza di quattro condizioni cumulative[17]: ◆◆ la norma estera deve postulare imperativamente la sua applicazione sul piano internazionale; ◆◆ deve avere una connessione stretta con la fattispecie in questione; ◆◆ deve sussistere, secondo la concezione svizzera del diritto, un interesse preponderante e degno di protezione affinché la norma estera venga applicata; ◆◆ e infine occorre che la sua applicazione, alla luce degli scopi che persegue e delle conseguenze che comporta, dia luogo a una decisione equa dal profilo della concezione svizzera del diritto. Tali condizioni non sono adempiute nella materia in questione. Infatti, se è vero che gli Stati esteri hanno una competenza legittima per tassare i loro contribuenti, ovunque siano depositati i loro averi e che le frontiere non consentono di opporsi all’applicazione del diritto fiscale estero, non è questo diritto di cui è rivendicata l’applicazione immediata mediante l’articolo 19 LDIP, poiché esso non tocca minimamente i rapporti tra banche e cliente ma solo quelli tra quest’ultimo e lo Stato in cui è assoggettato fiscalmente. Si tratta, per contro, di applicare le regole antiriciclaggio di questo Stato, le quali hanno tuttavia vocazione ad applicarsi soltanto sul piano interno ai propri intermediari finanziari. Ne consegue che già l’oggetto stesso di un’applicazione immediata del diritto estero e cioè l’esistenza di una norma che si applichi imperativamente anche sul piano internazionale, fa difetto in questo ambito. In ogni caso, non esiste alcun interesse preponderante degno di protezione ad applicare in maniera immediata le regole estere in materia di antiriciclaggio posto come il diritto svizzero conosce, nella materia, un sistema legislativo e regolamentare estremamente sviluppato ed esaustivo. Infine, appare contradditorio riferirsi al diritto penale estero che sanziona la sottrazione d’imposta e il riciclaggio di averi fiscalmente sottratti con lo scopo di giustificare la violazione di obbligazioni contrattuali della banca allorquando tale legislazione estera è stata completamente ignorata nel corso di tutta la relazione d’affari[18]. 8. Nuovi sviluppi legislativi Un’ulteriore possibile fonte di ispirazione per le banche per giustificare la restrizione nell’esecuzione delle istruzioni dei clienti è costituita dai nuovi progetti legislativi in ambito di obbligo di diligenza cresciuti. La dottrina è arrivata addirittura fino a proporre di mettere in qualche modo in sospeso in maniera ancora più generale l’esecuzione delle attività sui conti non conformi fiscalmente fino all’introduzione dello scambio automatico delle informazioni[19], in maniera tale da creare, provvisoriamente, fino a quando appunto i contribuenti esteri non potranno più sfuggire alla trasparenza fiscale, una sorta di gabbia provvisoria, o di congelamento delle loro situazioni. Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 Questa posizione appare tuttavia insostenibile. In primo luogo, in maniera conforme con il principio della legalità e della sicurezza giuridica, qualsiasi restrizione verticale di diritto pubblico ai diritti soggettivi dei clienti nei loro rapporti orizzontali con la banca deve poggiare su una base legale autentica, cioè su una legge in vigore. Inoltre, in questa concezione, i rischi fiscali per la banca sono concepiti in maniera imprecisa. Le banche, infatti, non rispondono di principio per le obbligazioni fiscali dei loro clienti e non hanno nemmeno un’obbligazione legale di controllare i loro comportamenti fiscali: contrariamente a ciò che viene presupposto almeno in maniera implicita per sostenere la tesi secondo la quale ogni operazione su un conto non conforme fiscalmente può essere una fonte di rischio[20] , le banche non hanno in altre parole una posizione di garante con riferimento agli obblighi fiscali dei loro clienti che renderebbero punibile una semplice omissione in caso di esecuzione dell’istruzione di un cliente. Il rischio per la banca non proviene dunque dalla violazione di un dovere di un obbligo di garante che non esiste con riferimento alle obbligazioni fiscali dei clienti, ma invece, in particolare in base all’esperienza dei procedimenti americani nei confronti di banche svizzere, da un comportamento attivo di sollecitazione di clienti non conformi fiscalmente e da un’assistenza attiva fornita loro per sottrarsi ai loro obblighi fiscali. A questo proposito, l’auspicio delle banche di conquistarsi la benevolenza degli Stati esteri per cancellare il passato non costituisce evidentemente un fondamento legale sufficiente per restringere o per annullare le loro obbligazioni contrattuali nei confronti dei clienti. In maniera analoga, il semplice riferimento alla soft law o a delle dichiarazioni politiche senza effetti giuridici non può influire sui rapporti orizzontali di diritto privato tra banche e clienti. Così, la Roadmap tra il Governo svizzero e italiano non contiene che un programma di lavoro sulla base del quale le banche svizzere possono certo incoraggiare i clienti italiani a partecipare al programma di divulgazione fiscale volontario italiano fornendo loro ogni supporto necessario a questo scopo[21] , ma non possono certamente forzare in questa direzione i clienti italiani bloccando ogni operazione sui conti di clienti ricalcitranti. 9. Garanzie di irreprensibilità e articolo 30 dell’Ordinanza LRD-FINMA Un’ultima fonte verticale per giustificare le restrizioni bancarie è costituita dalla garanzia di irreprensibilità prevista dall’articolo 3 capoverso 2 lettera c LBCR[22]. Poiché questa garanzia ha quale scopo principale la protezione del cliente[23] , non potrà di principio essere invocata dalla banca contro il cliente al fine di disinnestare il suo obbligo contrattuale di eseguire le sue istruzioni. E non sarà invece che in casi eccezionali che la funzione residua di questa garanzia di protezione del sistema (Funktionsschutz)[24] , che concerne la salvaguardia dell’integrità della piazza bancaria svizzera nel suo insieme, potrà consentire alla banca di opporsi alla messa in esecuzione delle istruzioni del cliente. Ciò sarà in particolare il caso laddove il cliente dovesse domandare di chiudere una relazione bancaria con dei prelievi importanti senza ragioni particolari e in maniera tale da interrompere la tracciabilità del flusso finanziario (paper trail): in una simile situazione di fatto la necessità per la banca di preservare la sua garanzia di attività irreprensibile sarebbe messa a repentaglio in caso di esecuzione di un’operazione visibilmente insolita. In simili fattispecie, una restrizione bancaria nell’esecuzione di istruzioni dei clienti potrebbe quindi fondarsi validamente sulla garanzia di irreprensibilità. In casi analoghi, può giungere in soccorso all’istituto finanziario anche una base legale esplicita, ovvero l’articolo 30 dell’Ordinanza LRD-FINMA (articolo 32 nella nuova versione del 3 giugno 2015), che prevede che l’intermediario finanziario che mette termine a una relazione d’affari dubbia senza procedere a una comunicazione in assenza di sospetti fondati di riciclaggio, può autorizzare il prelievo di importanti valori patrimoniali soltanto con una modalità che permetta alle autorità di perseguimento penale di poterne seguire la traccia (paper trail). Alla luce dei rischi fiscali e reputazionali esteri una banca può considerare un conto fiscalmente non conforme estero come una relazione d’affari dubbia e può quindi rifiutarsi, in tale circostanza, di dare seguito ad una operazione che interrompa la tracciabilità dei flussi finanziari. Tali disposizioni esplicite della FINMA, anche nella nuova versione del 3 giugno 2015, limitano il campo di applicazione delle restrizioni bancarie alle sole operazioni suscettibili di annullarne la tracciabilità. Resta da individuarne il perimetro. Vi rientrano, certamente, i prelievi a contanti per importi cospicui o non giustificabili per incombenze straordinarie. Secondo un’accezione più estesa e funzionale del criterio di paper trail, possono rientrarvi le operazioni (anche non a contanti) che sono manifestamente finalizzate a far disperdere le tracce degli averi in questione, in particolare mediante bonifici in favore di relazioni situate in giurisdizioni opache da un profilo della reperibilità delle informazioni (alla luce, quindi, in particolare, dell’implementazione delle Raccomandazioni GAFI in materia dei doveri di diligenza e di concretizzazione del principio Know your customer) oppure in favore di prestanome o di soggetti terzi che si prestano a tale scopo per una girandola di transazioni. 37 38 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 10. Conclusione Da diversi anni Governo, FINMA e organi dirigenti delle principali banche svizzere camminano in sintonia verso una piazza finanziaria fiscalmente conforme. Il trauma di accerchiamento negli anni 2007-2009 fu tale da ispirare un nuovo comune indirizzo strategico: “Never again”. Prima, troppo spesso nella piazza finanziaria gli obiettivi commerciali hanno indotto gli operatori a prestare, nonostante gli obblighi di prudenza già previsti dal 1977 nella Convenzione di diligenza bancaria, assistenza attiva ai propri clienti per sottrarsi ai loro obblighi fiscali, ciò che avveniva nelle forme più diverse, dall’organizzazione del trasporto di valuta alla messa a disposizione di entità giuridiche per prevenire l’imposizione alla fonte (gli “switchies” su cui si è concentrata l’attenzione anche delle autorità americane e che ha suscitato anche la disapprovazione degli Stati europei, in particolare dell’Italia, nell’ambito dell’implementazione dell’Accordo sulla fiscalità del risparmio[25]). Oggi, FINMA e organi dirigenti delle banche sono chiamati nel non facile ruolo di attuare il nuovo indirizzo strategico, in particolare con riferimento ai clienti preesistenti, in maniera equilibrata e nel rispetto del diritto vigente. Proprio per ripristinare la credibilità della piazza finanziaria, anche secondo la funzione di salvaguardia di sistema della garanzia di irreprensibilità (“Funktionsschutz”), il motto “scurdammoce o passato” non può tradursi in un annullamento dei legittimi diritti contrattuali acquisiti dei clienti. Elenco delle fonti fotografiche: http://f.blick.ch/img/incoming/origs2014630/2240487462-w980-h640/ geld-tausendernoten.jpg [03.08.2015] http://w w w.fuw.ch/wp-content/uploads/2014/07/finma_logo_S640x360.jpg [03.08.2015] http://www.swissinfo.ch/image/34188728/3x2/640/426/a7f3bb1cd7d6cd 0c78305efc3350f342/nL/188270595-34188730.jpg [03.08.2015] http://www.siwikinews.it/images/7/71/Soldi_lucchetto.jpg [03.08.2015] http://consulenza.soldiweb.com/Media/Default/images/630x390/ Lente_conti_630x390.jpg [03.08.2015] Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 [1] Vedi in proposito la relazione di Francesco Trezzini “La legittimità da un profilo civilistico delle restrizioni bancarie per rischi fiscali esteri: casistica e sviluppi giurisprudenziali”, nel quadro del seminario Centro competenze tributarie SUPSI, “Le restrizioni bancarie all’esecuzione delle istruzioni dei clienti”, venerdì 17 aprile 2015, in: http://www.supsi.ch/fc/ eventi-comunicazioni/eventi/2015/2015-04-17. html [03.08.2015]. [2] Posizione della FINMA sui rischi giuridici e di reputazione nelle operazioni transfrontaliere aventi per oggetto prestazioni finanziarie (“Posizione della FINMA rischi giuridici”) del 22 ottobre 2010, in: https://www.finma.ch/it/news/2010/10/mmfinma-positionspapier-rechtsrisiken-20101022 [03.08.2015]. [3] Idem, pagina 11. [4] Idem, pagina 14. [5] Vedi in proposito Baumgarten Mark-Oliver/ Burkhardt Peter/Roesch Alexander, Gewährsverfahren im Bankenrecht und Verhältnis zum Strafverfahren, in: AJP 02/2006, pagine 169-180, pagina 170; Klein Beat/Schwob Renate/Winzeler Christoph, Kommentar zum Bundesgesetz über die Banken und Sparkassen, Zurigo 2013, N 174 ad Art. 3 LBCR. [6] Vedi in proposito, in prospettiva storica, Molo Giovanni, Il confine tra la lotta al riciclaggio di denaro e la repressione dei reati fiscali: un muro di argilla?, in: RtiD I-2009, pagine 563-594. [7] Vedi in proposito Zulauf Urs, “Weissgeldstrategie” für das Schweizer Private Banking?, in: Isler Peter R./ Cerutti Romeo (a cura di), Vermögensverwaltung VI, Europa Institut Zürich (EIZ), n. 141, 2013, pagine 6-40. [8] Vedi ad esempio il progetto di revisione della Legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo nel settore finanziario (di seguito LRD) volto ad introdurre degli obblighi di diligenza estesi per gli intermediari finanziari. Vedi in particolare: Consiglio federale, Il Consiglio federale chiede obblighi di diligenza estesi per impedire l’accettazione di valori patrimoniali non dichiarati, Comunicato stampa, Berna, 5 giugno 2015, in: https://www.news.admin.ch/message/ index.html?lang=it&msg-id=57552 [03.08.2015]. È interessante tuttavia rilevare in proposito il fenomeno inverso, e cioè che questi indirizzi appaiano codificare, in parte, la prassi di sorveglianza della FINMA: il principio contenuto nella proposta di revisione della LRD di tenere conto della difficoltà soggettiva del contribuente nel regolarizzare i propri averi non dichiarati quale criterio per decidere se chiudere, o meno, una relazione bancaria preesistente ricalca l’approccio della FINMA che esige dagli istituti che questi orientino i propri clienti affinché vengano sfruttate le opportunità di dichiarazione agevolata nelle giurisdizioni fiscali cui sono assoggettati. [9] Vedi ad esempio www.ubs.com o www.creditsuisse.com. [10] Vedi così già Aepli Viktor, Art. 114-126 OR. Das Erlöschen der Obligation, Band V/1h/, Das Obligationenrecht, Kommentar zum Schweizerischen Zivilrecht, 3. edizione, Zurigo 1991, N 45 ad Art. 119 CO. [11] Questa opposizione tra una prospettiva orizzontale ed una verticale è ripresa dalla relazione di Francesco Trezzini, op. cit. [12] Vedi in particolare già Schönenberger Wilhelm/ Jäggi Peter, Kommentar zum Schweizerischen Zivilgesetzbuch, Obligationenrecht, Teilband V 1a, 3. edizione, Zurigo 1973, N 456 ad Art. 1 CO. [13] Vedi in proposito già Schönenberger Wilhelm/ Jäggi Peter, op. cit., N 498-499 ad Art. 1 CO. [14] Vedi in proposito Beusch Michael/Friedli Sara/ Borla Manuel, “Serious Tax Crimes”: come i delitti fiscali sono divenuti improvvisamente dei crimini, pagine 529-551; Molo Giovanni, Il recepimento del riciclaggio fiscale nel diritto svizzero: cause e conseguenze pratiche, pagine 552-585, entrambi in: Vorpe Samuele (a cura di), Contravvenzioni e delitti fiscali nell’era dello scambio internazionale d’informazioni, Scritti in onore di Marco Bernasconi, Manno 2015; sull’applicazione in temporale a partire dal 1. gennaio 2016 della nuova fattispecie fiscale qualificata nell’ambito della fiscalità indiretta anche in assenza di una disposizione transitoria esplicita in virtù dei principi generali di diritto penale di diritto intertemporale del Codice Penale vedi Cassani Ursula, L’extension du système de lutte contre le blanchiment d’argent aux infractions fiscales: Much Ado About (Almost) Nothing, in: RSDA 2/2015, pagine 78-90, pagina 77. [15] Vedi in particolare Lombardini Carlo, Comment les banques peuvent-elles résister aux demandes de transfert des clients défiscalisés?, in: Le Temps, lunedì 2 marzo 2015, http://www.letemps.ch/Page/ Uuid/479db3f2-c037-11e4-b1aa-59105399a835/ Comment_les_banques_peuvent-elles_r%C3%A9sister_ aux_demandes_de_transfert_des_ clients_d%C3%A9fiscalis%C3%A9s [03.08.2015]; Lombardini Carlo, Banques et clients en situation fiscale irrégulière, un état des lieux, in: Not@lex, revue de droit privé et fiscal du patrimoine, 2015/33, pagine 33-52, pagine 48-52. [16] Vedi in proposito Tribunale federale, Prima Corte Civile, 7 maggio 2004, A.B. contro D.SA., sentenza n. 4C.332/2003, in: SJ 2004 I, pagina 576, consid. 3.5. [17] Idem, consid. 3.2. [18] In questo senso anche Béguin Marc, Avoirs bancaires non déclarés: réponse à Carlo Lombardini, in: Le Temps, giovedì 12 marzo 2015, http://www. letemps.ch/Page/Uuid/d95c6f24-c80f-11e4959d-74804f4bcbe7/Avoirs_bancaires_non_d%C3 %A9clar%C3%A9s_r%C3%A9ponse_%C3%A0_Carlo_Lombardini [03.08.2015]. [19] Vedi Matteotti René/Bourquin Gabriel/Many Selina, Steuerrisiken mit Offshore-Strukturen für Banken und ihre Mitarbeiter, Chancen und Gefahren der geplanten Bestimmungen gegen die Geldwäscherei bei Steuerhinterziehungen und des automatischen Informationsaustausches in der Vermögensverwaltung, in: ASA 82 (2013/2014), pagine 669-709, pagine 706-709. [20] Idem, pagina 700. [21] Vedi Roadmap on the way forward in fiscal and financial issues between Italy and Switzerland, del 23 febbraio 2015, in: http://www.news.admin.ch/ NSBSubscriber/message/attachments/38401.pdf [03.08.2015]. [22] È su tale principio che si è in particolare fondata la estesa giurisprudenza della Pretura di Lugano che si è sviluppata in proposito, vedi relazione Trezzini Francesco, op. cit. [23] Vedi DTF 106 1b 145, consid. 2a. [24] Kleiner Beat/Schwob Renate, N 163-166 ad Art. 3 LBCR, in: Zobl Dieter et al. (a cura di), Kommentar zum Bundesgesetz über die Banken und Sparkassen, Zurigo 2014. [25] Vedi, critico sulla “disinvoltura” in merito all’elusione dell’Accordo sulla fiscalità del risparmio Manzitti Andrea, I rapporti fiscali tra la Svizzera e l’UE a dieci anni dalla Direttiva sulla fiscalità del risparmio, pagine 376-386, in: Vorpe Samuele (a cura di), op. cit. 39 40 IVA e imposte indirette Il rimborso dell'IVA italiana per i soggetti passivi non appartenenti all'UE Sara Montalbetti Dottore Commercialista Maisto e Associati, Milano Anche gli operatori economici svizzeri possono presentare istanza di rimborso per il 2014 entro il prossimo 30 settembre 2015 1. Premessa Il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA) italiana a favore dei soggetti non residenti trova la sua disciplina specifica negli articoli 38-bis2 e 38-ter del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 633/1972 (di seguito Decreto IVA) che riguardano gli operatori economici residenti rispettivamente in altri Stati membri ed in Stati non appartenenti all’Unione europea (di seguito UE). In particolare, l’articolo 38-ter [1] con riferimento ai rimborsi ai soggetti passivi non appartenenti all’UE ha recepito in Italia le regole stabilite in modo armonizzato a livello comunitario dalla Direttiva n. 86/560/CE del Consiglio del 17 novembre 1986 (di seguito Tredicesima Direttiva). Le regole applicative per tali rimborsi[2] sono state in parte integrate e modificate nel 2010, a seguito della riforma introdotta dalla cosiddetta “VAT Package”[3]. La normativa nazionale, così come interpretata dall’Amministrazione finanziaria, presenta tuttavia ancora oggi alcuni profili di incompatibilità rispetto a quanto previsto dal diritto comunitario. 2. Condizioni L’articolo 38-ter Decreto IVA definisce le modalità procedurali per l’esecuzione dei rimborsi IVA ai soggetti passivi stabiliti in Stati non appartenenti all’UE. Si tratta di una procedura di rimborso diretto[4] che può essere applicata soltanto al ricorrere di specifiche condizioni oggettive e soggettive. Innanzitutto, conformemente a quanto previsto dalla Tredicesima Direttiva, la procedura di rimborso diretto è applicabile soltanto a condizione di reciprocità, vale a dire nei confronti degli operatori economici stabiliti in Stati esteri che riconoscono ai soggetti passivi stabiliti in Italia un analogo diritto al rimborso dell’imposta sulla cifra d’affari applicata localmente[5]. Tale procedura si applica anche nei confronti degli operatori economici svizzeri. Infatti l’Agenzia delle Entrate ha confermato che al momento tale procedura di rimborso si applica soltanto per i soggetti passivi stabiliti in Israele, Norvegia e Svizzera. Gli operatori economici stabiliti in altri Stati terzi possono invece ottenere il rimborso dell’imposta unicamente a seguito della nomina di un rappresentante IVA in Italia. Per quanto riguarda le condizioni soggettive che devono essere verificate, innanzitutto, è opportuno premettere che possono accedere alla procedura di rimborso diretto soltanto i soggetti passivi IVA che esercitano “un’attività d’impresa, arte o professione” [6]. La procedura di rimborso diretto non è inoltre applicabile se il soggetto passivo estero ha effettuato nel periodo di riferimento operazioni attive rilevanti ai fini IVA in Italia, salvo alcune eccezioni. In particolare, non rilevano a tal fine (i) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi soggette al meccanismo del reverse charge per le quali il debitore dell’imposta è il cessionario o committente[7] , (ii) le prestazioni di trasporto non imponibili e quelle ad esse accessorie, nonché (iii) i servizi cosiddetti “Business to Consumer” di telecomunicazione, teleradiodiffusione e i servizi elettronici resi da soggetti non residenti nell’ambito dello specifico regime speciale introdotto a decorrere dal 1. gennaio 2015. Ciò premesso, ad esempio, non possono avvalersi della procedura di rimborso diretto in questione i soggetti esteri che hanno una posizione IVA italiana e che fatturano forniture di beni o di servizi territorialmente rilevanti ai fini IVA in Italia nei confronti di privati o di soggetti passivi non residenti o che effettuano dall’Italia cessioni all’esportazione o cessioni intracomunitarie di beni. Anche l’invio di beni in conto lavorazione in Italia può, in alcune circostanze, pregiudicare il diritto di avvalersi della procedura di rimborso diretto[8]. La medesima procedura inoltre è esclusa se il soggetto non residente dispone in Italia di una stabile organizzazione[9]. Su tale aspetto la normativa italiana, così come interpretata dall’Agenzia delle Entrate, non risulta allineata rispetto a quanto previsto dal diritto comunitario. Infatti, la mera Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 presenza di una stabile organizzazione in Italia nel periodo cui si riferisce il rimborso preclude l’applicabilità della procedura di rimborso diretto. Viceversa, secondo la normativa[10] e la giurisprudenza comunitaria[11] , tale procedura di rimborso dovrebbe essere preclusa soltanto se viene accertato che nel periodo di riferimento la stabile organizzazione ha concretamente effettuato operazioni attive[12] nello Stato membro del rimborso[13]. ◆◆ originali delle fatture di acquisto e delle bollette doganali di importazione; ◆◆ documentazione da cui si evinca il pagamento delle operazioni effettuate; ◆◆ attestazione rilasciata dall’Amministrazione dello Stato di stabilimento del richiedente, dalla quale risulti la qualità di soggetto passivo IVA, nonché la data di decorrenza di tale iscrizione[20]. La nomina del rappresentante IVA non dovrebbe invece precludere l’accesso alla procedura di rimborso diretto, in presenza delle altre condizioni normativamente richieste. Tale principio è stato recentemente sancito dalla CGUE e dovrebbe di fatto superare l’opinione contraria informalmente espressa in passato dall’Agenzia delle Entrate[14]. Di regola la richiesta viene presentata con periodicità annuale[21] , ma sono ritenute valide anche le istanze trimestrali, purché riferibili ad un importo non inferiore a 400 euro per un trimestre solare. In pratica, sono ammesse anche le istanze riferite ad uno dei seguenti periodi: Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 1. aprile 2010 stabilisce che il rimborso dell’imposta assolta nello Stato italiano spetta “in relazione a beni e servizi ivi acquistati e importati, con le modalità previste dal decreto ministeriale 20 maggio 1982, n. 2672”. In particolare, il rimborso spetta “limitatamente all’imposta relativa agli acquisti ed importazioni di beni mobili e servizi inerenti” all’attività svolta dal richiedente e soltanto se “detraibile” secondo le disposizioni nazionali[15]. Il rimborso non spetta, ad esempio, se l’imposta è oggettivamente indetraibile o se è stata erroneamente addebitata. Deve invece essere riconosciuto, al ricorrere di tutte le condizioni ivi previste, il rimborso per i soggetti passivi esteri che effettuano talune operazioni finanziarie e assicurative nei confronti di destinatari non stabiliti nell’UE[16]. Inoltre, se il soggetto estero effettua unicamente operazioni esenti o non soggette, che secondo la normativa comunitaria non danno diritto alla detrazione dell’imposta, il diritto al rimborso è escluso. In relazione a tale aspetto le istruzioni per la compilazione della richiesta di rimborso[17] prevedono che “il diritto al rimborso dell’IVA è condizionato all’effettivo assoggettamento all’imposta dell’attività svolta dal richiedente nel proprio Stato, con conseguente esclusione o limitazione nell’ipotesi di attività totalmente o parzialmente esente; in quest’ultima ipotesi il richiedente avrà diritto al rimborso parziale dell’IVA assolta pari al pro-rata di detrazione” [18]. 3. Modalità e termini L’istanza di rimborso, compilata in stampatello su apposito modello (Modello IVA 79), in lingua italiana o inglese, deve essere inviata per posta con raccomandata AR, tramite corriere o consegnata a mano all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente per i rimborsi IVA a soggetti non residenti (Centro Operativo di Pescara). La richiesta deve essere presentata entro e non oltre il 30 settembre dell’anno successivo a quello cui si riferisce la richiesta. Tale termine deve considerarsi perentorio[19]. L’istanza può essere presentata esclusivamente in formato cartaceo e deve essere corredata dalla seguente documentazione: ◆◆ ◆◆ ◆◆ ◆◆ I trimestre (gennaio - marzo); II trimestre (aprile - giugno); III trimestre (luglio - settembre); IV trimestre (ottobre - dicembre). È ammessa anche la richiesta di rimborso per un periodo inferiore a tre mesi ma soltanto nell’ipotesi in cui tale periodo rappresenti la parte residua di un anno solare. Il rimborso deve essere eseguito entro sei mesi dalla ricezione della richiesta di rimborso ovvero, in caso di richiesta di informazioni aggiuntive, entro otto mesi dalla medesima[22]. In caso di ritardo nell’erogazione dei rimborsi sulle somme dovute si applicano gli interessi nella stessa misura prevista per i rimborsi interni (attualmente del 2% su base annuale)[23]. Gli interessi non sono, tuttavia, dovuti allorché il richiedente non fornisca, entro un mese, le informazioni aggiuntive richieste dall’Ufficio o nel caso in cui non siano stati allegati alla richiesta di rimborso tutti i documenti richiesti. I rimborsi sono effettuati direttamente dal Centro operativo di Pescara e vengono accreditati sul conto corrente bancario designato dal richiedente[24]. A differenza dei rimborsi richiesti secondo la procedura prevista per i soggetti stabiliti o registrati ai fini IVA in Italia[25] , non è richiesta la presentazione di una specifica garanzia. In caso di diniego, il Centro operativo di Pescara emana, entro lo stesso termine, apposito provvedimento motivato avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni nazionali relative al contenzioso tributario. Se successivamente alla esecuzione del rimborso l’Ufficio viene a conoscenza di fatti o elementi che fanno venir meno il diritto al rimborso, viene emesso un motivato provvedimento di recupero delle 41 42 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 somme indebitamente riscosse e vengono irrogate le relative sanzioni. In tal caso, il contribuente extracomunitario è tenuto alla restituzione delle somme rimborsate entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento di recupero. Inoltre si applica la sanzione amministrativa compresa fra il 200 ed il 400% della somma rimborsata[26]. L’Ufficio provvede altresì a sospendere ogni ulteriore rimborso al soggetto interessato fino a quando non sia restituita la somma indebitamente rimborsata e pagata la relativa sanzione. subordinato, in deroga ai principi ordinari, all’avvenuto pagamento dell’imposta addebitatagli in via di rivalsa dal fornitore), nelle medesime circostanze e al ricorrere di tutte le necessarie condizioni, deve essere fatto salvo anche il diritto al rimborso in ambito internazionale. Tale conclusione è valida anche per i soggetti esteri, compresi quelli stabiliti in uno Stato non appartenente all’UE[31]. Infatti, il rimborso è una modalità procedurale che consente di garantire la neutralità dell’imposta, in quanto permette ai soggetti passivi di ottenere il recupero dell’imposta assolta sugli acquisti di beni e di servizi effettuati nell’ambito della propria attività economica. Infine, occorre ricordare che la procedura di rimborso diretto di cui si discute è altresì applicabile per i soggetti esteri domiciliati o residenti in Stati non appartenenti all’UE che si sono identificati in Italia (o in un altro Stato membro) avvalendosi del regime speciale applicabile, a decorrere dal 1. gennaio 2015, per i servizi elettronici e per quelli di telecomunicazione e di teleradiodiffusione[32]. In tal caso la procedura di rimborso diretto rappresenta l’unica soluzione praticabile per poter recuperare l’eventuale imposta assolta in Italia[33]. Per tale ragione la procedura è ammessa a favore degli operatori economici domiciliati o residenti in tutti gli Stati terzi, a prescindere dalla sussistenza della condizione di reciprocità[34]. 4. Considerazioni conclusive Per il recupero dell’imposta assolta in Italia in relazione agli acquisti di beni e di servizi o alle importazioni di beni imponibili, effettuati nell’ambito della propria attività economica, gli operatori stabiliti in alcuni Stati non appartenenti all’UE, tra i quali anche la Svizzera, possono valutare l’opportunità di presentare una istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate in base alla disciplina illustrata nei precedenti paragrafi. Come già precisato, tale procedura consente di ottenere un rimborso dell’imposta direttamente, senza dover necessariamente aprire una posizione IVA in Italia. In alternativa, al ricorrere di specifiche condizioni, i medesimi operatori economici possono anche decidere di nominare un rappresentante IVA[27] in Italia. In tal caso occorre considerare che la nomina del rappresentante IVA deve avvenire, di regola, in epoca anteriore[28] all’effettuazione delle operazioni passive che originano il credito IVA. Le predette due soluzioni sono entrambe percorribili, in presenza delle diverse condizioni rispettivamente previste, per ottenere il rimborso dell’imposta assolta in Italia. Tale conclusione è valida, sempre che siano rispettate alcune condizioni, anche quando il soggetto estero dovesse subire la rivalsa dell’imposta esercitata tardivamente da un proprio fornitore, a seguito di un accertamento IVA effettuato in capo a quest’ultimo dall’Amministrazione finanziaria. Infatti, in base a quanto attualmente previsto dalla normativa IVA Italiana[29] , se viene accertata l’omessa applicazione dell’imposta[30] , il fornitore ha il diritto di esercitare la rivalsa dell’imposta nei confronti del proprio cliente dopo aver pagato all’Erario l’imposta accertata (unitamente ai relativi interessi e alle relative sanzioni). In tale ipotesi, così come viene fatto salvo, in ambito nazionale, il diritto di detrazione a favore del cliente (che resta Elenco delle fonti fotografiche: http://img.plug.it/sg/economia2009/upload/730/0003/730-precompilato-367.jpg [03.08.2015] http://www.casaeclima.com/public/casaeclima/Immagini%20sito/2015/ italia2/iva_reverse_charge.jpg [03.08.2015] Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 [1] Il primo comma dell’articolo 38-ter prevede che “la disposizione del primo comma dell’articolo 38-bis2 si applica, a condizione di reciprocità, anche ai soggetti esercenti un’attività d’impresa, arte o professione, stabiliti in Stati non appartenenti alla Comunità, limitatamente all’imposta relativa agli acquisti e importazioni di beni mobili e servizi inerenti alla loro attività”. [2] Contenute anche nei Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 53471/2010 del 1. aprile 2010 (articolo 3) e n. 64109/2010 del 29 aprile 2010. [3] Gli articoli 38-bis2 e 38-ter Decreto IVA sono stati integralmente riformulati a seguito della riforma introdotta dalla cosiddetta “VAT Package” avvenuta nel 2010 ed attuata in Italia con il Decreto legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 18/2010. Si precisa che nell’ambito di tale riforma la materia dei rimborsi a non residenti è stata strutturalmente modificata soprattutto per quel che riguarda i rimborsi a soggetti stabiliti in un altro Stato membro dell’UE, a seguito del recepimento della Direttiva n. 2008/9/ CE del 12 febbraio 2008 che ha sostituito, a decorrere dal 1. gennaio 2010, la Direttiva n. 79/1072/CEE del 6 dicembre 1979 (cosiddetta “Ottava Direttiva”). Fino al 31 dicembre 2009 l’articolo 38-ter riguardava tutti i rimborsi a soggetti non residenti. A seguito della predetta riforma l’articolo 38-ter si riferisce soltanto ai rimborsi ai soggetti passivi non appartenenti all’UE. Si ricorda infine che l’articolo 38-ter è stato riformulato anche a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE (di seguito CGUE) del 16 luglio 2009, causa C-244/08, Commissione/Italia che aveva ritenuto illegittima la normativa nazionale allora vigente in quanto, in presenza di una stabile organizzazione nel territorio italiano che avesse effettuato operazioni attive rilevanti in Italia, imponeva ai soggetti non residenti di attivare la procedura di rimborso diretto per recuperare l’IVA assolta sugli acquisti effettuati direttamente dalla casa madre estera. [4] Generalmente si definisce tale procedura di “rimborso diretto” in quanto l’imposta viene rimborsata direttamente al soggetto non residente senza che quest’ultimo abbia la necessità di gestire una posizione IVA in Italia. [5] L’articolo 2, paragrafo 2 della Tredicesima Direttiva prevede che gli Stati membri “possono subordinare il rimborso […] alla concessione da parte degli Stati terzi di vantaggi analoghi nel settore delle imposte sulla cifra d’affari”. Inoltre, il successivo articolo 3, paragrafo 2 della medesima Direttiva prevede che il rimborso “non può essere concesso a condizioni più favorevoli di quelle applicate ai soggetti passivi della Comunità”. In relazione a tale aspetto vale la pena di ricordare che, secondo la giurisprudenza della CGUE (cfr. sentenza del 7 giugno 2007, causa C-335/05 Rizeni L. P.), gli Stati membri possono esigere la condizione di reciprocità in materia di rimborso IVA ai residenti in Stati terzi, ma possono anche prescinderne e basarsi su altri accordi internazionali, come quello derivante dall’accordo generale sugli scambi di servizi (General Agreement on Trade in Services, GATS), il cui articolo II n. 1) recita: “Per quanto concerne le misure contemplate dal presente accordo, ciascun membro è tenuto ad accordare ai servizi e ai prestatori di servizi di un qualsiasi altro membro, in via immediata e incondizionata, un trattamento non meno favorevole di quello accordato ad analoghi servizi e prestatori di servizi di qualsiasi altro Paese”. Infatti, la CGUE ha ritenuto che l’articolo 2, n. 2 della Tredicesima Direttiva si applica nei confronti di tutti i soggetti passivi non residenti nel territorio dell’UE in quanto l’espressione “Stati terzi” ivi menzionata comprende l’insieme degli Stati terzi, senza distinzioni; inoltre, tale disposizione, non introducendo un obbligo ma accordando semplicemente una facoltà, non pregiudica il potere e la responsabilità degli Stati membri di rispettare i loro obblighi derivanti da accordi internazionali (come il GATS). [6] Tale condizione deve essere verificata in base alle disposizioni recate dagli articoli 4 e 5 Decreto IVA che definiscono la nozione di soggetto passivo IVA e che devono essere comunque interpretate in base ai principi generali contenuti nell’articolo 9 della Direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006 (di seguito Direttiva IVA). [7] Secondo quanto previsto dall’articolo 17, secondo comma Decreto IVA. [8] A tal fine occorre tenere conto in particolare dei principi interpretativi sanciti dalla CGUE nella sentenza del 2 ottobre 2014, causa C-446/13 Fonderie 2A. [9] In relazione a tale profilo l’articolo 38-ter rimanda alle condizioni soggettive indicate nell’articolo 38-bis2 Decreto IVA. [10] In particolare ci si riferisce all’articolo 192-bis Direttiva IVA e all’articolo 53 Regolamento UE n. 2011/282 del 15 marzo 2011. [11] Come sancito dalla CGUE nella sentenza del 25 ottobre 2012, cause riunite C-318/11 e C-319/11, Daimler AG & Widex A/S. [12] Diverse da quelle soggette al meccanismo del reverse charge e dalle prestazioni non imponibili di trasporto e relative prestazioni accessorie. [13] In pratica l’applicabilità della procedura di rimborso diretto dovrebbe essere ammessa a prescindere dalla mera presenza di una stabile organizzazione. [14] La nomina del rappresentante IVA non è una condizione espressamente prevista dalle disposizioni di riferimento, sia nazionali che comunitarie. L’Agenzia delle Entrate aveva considerato ostativa tale condizione (cfr. FAQ pubblicate sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate in data 12 luglio 2010). Tuttavia, ad oggi tale interpretazione dovrebbe ritenersi superata per effetto di quanto affermato dalla CGUE nella sentenza del 6 febbraio 2014, causa C-323/12 E.ON G.C. SE, ancorché con riferimento alla disciplina che riguarda i rimborsi a soggetti stabiliti in altri Stati membri. [15] In base alle disposizioni recate dagli articoli 19 e seguenti Decreto IVA. [16] In linea di principio, l’imposta sugli acquisti destinati alle predette operazioni risulta detraibile – e quindi rimborsabile – conformemente a quanto previsto dall’articolo 19, terzo comma, lettera a-bis Decreto IVA. Tale principio è desumibile dalla sentenza della CGUE del 15 luglio 2010, causa C-582/08, Commissione UE vs Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. [17] Cfr. istruzioni al Modello IVA 79 (punto E). [18] L’Ottava Direttiva, che regola i rimborsi a soggetti stabiliti in un altro Stato membro, prevede espressamente che, se il soggetto passivo effettua nello Stato membro in cui è stabilito sia operazioni che danno diritto alla detrazione sia operazioni che non conferiscono diritto alla detrazione in tale Stato membro, il rimborso è ammesso “soltanto per il pro-rata dell’importo dell’IVA rimborsabile”, come determinato nello Stato membro di stabilimento. L’applicabilità di tale principio è stata estesa ai rimborsi riguardanti i soggetti non appartenenti all’UE, ancorché tale condizione non sia a tal fine espressamente prevista dalla Tredicesima Direttiva. In relazione a tale aspetto si deve inoltre considerare che l’articolo 13 Ottava Direttiva stabilisce che il contribuente è tenuto a modificare l’importo chiesto a rimborso qualora successivamente alla presentazione della relativa istanza sia tenuto ad effettuare una rettifica della detrazione per mutamento del pro-rata. [19] Cfr. sentenza della CGUE del 21 giugno 2012, causa C-294/11, Elsacom, nonché sentenza della Corte di Cassazione del 3 luglio 2013, n. 16692. [20] Il predetto certificato ha validità annuale dalla data del rilascio e può essere utilizzato per tutte le istanze presentate nel medesimo anno. [21] Se l’importo è inferiore a 50 euro, il rimborso non può essere richiesto. [22] Come previsto dal secondo comma dell’articolo 38-ter Decreto IVA. [23] Stabilito dal primo comma dell’articolo 38-bis Decreto IVA. 43 44 Novità fiscali / n.7–8 / luglio–agosto 2015 [24] Cfr. articolo 2 Decreto Ministeriale n. 2672/1982. [25] Disciplinata dall’articolo 38-bis Decreto IVA. [26] Tale sanzione è stabilita dal quarto comma dell’articolo 38-ter Decreto IVA. In proposito si deve considerare che tale sanzione è pari al doppio di quella prevista, per la medesima fattispecie, per i rimborsi IVA ai soggetti comunitari (prevista dall’undicesimo comma dell’articolo 38-bis2 Decreto IVA). [27] Secondo l’opinione dell’Amministrazione finanziaria italiana attualmente i soggetti passivi stabiliti in Stati non appartenenti all’UE non possono avvalersi dell’istituto dell’identificazione diretta prevista dall’articolo 35-ter Decreto IVA, in alternativa alla nomina di un rappresentante IVA. Tale conclusione è stata formalmente confermata in passato (cfr. Risoluzione n. 220/E del 5 dicembre 2003) e ad oggi non risulta sia stata avallata un’opinione meno restrittiva. [28] Di regola la nomina del rappresentante IVA deve essere sempre preventiva. Ad esempio, in passato l’Agenzia delle Entrate ha affermato che per l’imposta relativa ad acquisti e importazioni effettuati anteriormente alla nomina del rappresentante IVA può soltanto essere oggetto di rimborso diretto nel rispetto delle condizioni previste dall’articolo 38-ter Decreto IVA (cfr. Risoluzione n. 301/E del 12 settembre 2002). Esistono tuttavia alcune perplessità sul punto in quanto in linea di principio la nomina tardiva del rappresentante IVA – purché effettuata in termini ragionevoli – non può pregiudicare il diritto alla detrazione (rectius al recupero) dell’imposta. Tale conclusione è stata anche definitivamente confermata dalla CGUE (cfr. sentenza del 21 ottobre 2010, causa C-385/09 Nidera). [29] L’ultimo comma dell’articolo 60 Decreto IVA, come modificato dall’articolo 93 Decreto Legge n. 1/2012, prevede che “il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”. [30] Ad esempio, quando le operazioni sono state considerate escluse, esenti o non imponibili e invece avrebbero dovuto essere considerate imponibili o quando è stata applicata un’aliquota IVA inferiore rispetto a quella corretta. Il medesimo principio è valido anche in caso di rettifica di una bolletta doga- nale per un’importazione a seguito della revisione dell’accertamento effettuata dalle autorità doganali. [31] A tal proposito l’Agenzia delle Entrate ha altresì confermato che per tutelare il principio di neutralità dell’imposta, si ritiene possibile procedere alla nomina del rappresentante fiscale anche successivamente al perfezionamento dell’operazione originaria, fino al pagamento dell’imposta addebitata in via di rivalsa ai sensi dell’articolo 60, purché si tratti di un adempimento cui il soggetto non residente non fosse già tenuto (cfr. Circolare n. 35/E del 17 dicembre 2013, paragrafo 3.1). [32] Disciplinato dall’articolo 74-quinquies Decreto IVA. [33] Come previsto dall’articolo 38-ter, comma 1-bis Decreto IVA, come modificato dall’articolo 4, comma 1, lettera c) D.Lgs. n. 42/2015. [34] A differenza di quanto precisato nel precedente paragrafo 2. 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