Etnografia e antropologia - Dipartimento di Sociologia e Ricerca

Etnografia e antropologia di C. Geertz
A lungo il campo dell’antropologia è stato caratterizzato da una sorta di suddivisione disciplinare dettata da Claude LéviStrauss (1908-2009), padre dello strutturalismo antropologico (> rimando), punto di riferimento importante della
disciplina per molti decenni del Novecento e anche oltre; Lévi-Strauss distingueva l’etnografia, disciplina
fondamentalmente documentaria e dedita alla raccolta dei dati sul campo su una particolare popolazione, primo gradino
della ricerca, dall’etnologia, disciplina finalizzata alla ricostruzione complessiva della cornice culturale di un popolo o di
un gruppo di popolazioni collocate in una certa area, dall’antropologia vera e propria, ambito dell’analisi teorica e
astratta, finalizzata alla produzione del sapere antropologico “universale”, di ampia portata e ultimo gradino della ricerca.
Il brano che segue, tratto da un importante articolo, Verso una teoria interpretativa della cultura (1973), tradotto in
italiano nel volume Interpretazione di culture (1987), si apre con una famosa affermazione di Clifford Geertz, «se volete
capire che cosa sia una scienza… dovete guardare cosa fanno gli specialisti», che sintetizza un’idea dell’antropologia
opposta a quella di Lévi-Strauss, che rifiuta ogni distinzione fra etnografia e antropologia, e che si basa
sull’interpretazione come operazione complessiva e centrale da cui dipende interamente la capacità dell’analisi
antropologica di produrre conoscenza.
Il brano prosegue poi con la presentazione, realizzata attraverso l’altrettanto celebre esempio della differenza fra il tic e
l’ammiccamento, dell’oggetto dell’etnografia, che è poi lo stesso oggetto dell’antropologia, cioè i comportamenti
culturalmente significativi, che l’etnografo/antropologo coglie o si sforza di cogliere già quando è nel campo, immerso nel
contesto di un’altra cultura.
Se volete capire che cosa sia una scienza, non dovete considerare
anzitutto le sue teorie e le sue scoperte (e comunque non quello
che ne dicono i suoi apologeti): dovete guardare cosa fanno
quelli che la praticano, gli specialisti.
Nell’antropologia, o per lo meno nell’antropologia sociale, gli
specialisti fanno dell’etnografia. È solo comprendendo che cosa
è l’etnografia, o più precisamente che cosa sia fare etnografia,
che si può cominciare ad afferrare in che cosa consista l’analisi
antropologica come forma di conoscenza. Occorre dire subito che
non si tratta di una questione di metodo. Dal punto di vista dei
manuali fare etnografia significa intrattenere rapporti, scegliere
degli informatori, trascrivere testi, ricostruire genealogie, definire
“campi”, tenere un diario e così via. Ma non sono queste cose,
tecniche e procedure stabilite, che definiscono l’impresa: ciò che
la definisce è l’attività intellettuale in cui consiste: un elaborato
avventurarsi, per usare il termine di Gilbert Ryle, in una “thick
description”1.
Le considerazioni di Ryle sulla Thick description sono contenute
nei suoi due saggi (ristampati nel secondo volume dei Collected
Papers) che vertono sulla questione generale di quello che, come
dice lui, sta facendo Le Penseur: Pensare e riflettere e Il pensare
pensieri. Considerate, dice, due ragazzi che contraggono
rapidamente la palpebra dell’occhio destro. Per uno, questo è un
tic involontario; per l’altro, un segnale di intesa a un amico. I due
movimenti sono identici come tali: un’osservazione di tipo
meramente “fotografico”, “fenomenico”, non è sufficiente per
distinguere un tic da un ammiccamento, e neanche per valutare se
entrambi o uno dei due siano tic o ammiccamenti. Tuttavia la
Espressione che non ha un esatto equivalente in italiano. Thick significa “denso”, “spesso”, ma anche, nella particolare
accezione di Geertz, “complesso”, “stratificato”.
1
differenza tra un tic e un ammiccamento, per quanto non
fotografabile, è grande, come sa chiunque è abbastanza
sfortunato da aver scambiato l’uno per l’altro. Chi ammicca sta
comunicando, e in un modo molto preciso e particolare: a)
deliberatamente, b) con qualcuno in particolare, c) per
trasmettere un particolare messaggio, d) secondo un codice
socialmente stabilito ed e) senza che il resto dei presenti lo
sappia. Come fa notare Ryle, non è che chi ammicca ha fatto due
cose, contratto le palpebre e ammiccato, mentre chi ha un tic ne
ha fatto solo una, ha contratto le palpebre. Contrarre le palpebre
apposta quando esiste un codice pubblico in cui farlo equivale a
un segnale di intesa, è ammiccare. Vi è tutto questo: un briciolo
di comportamento, un granello di cultura e – voilà – un gesto.
Questo tuttavia è solo il principio. Supponete, continua, che ci sia
un terzo ragazzo che “per divertire maliziosamente i suoi amici”
faccia la parodia della strizzata d’occhio del primo ragazzo
perché dilettantesca, goffa, banale e così via. Naturalmente lo fa
nell’identico modo in cui il secondo ragazzo ha ammiccato e il
primo ha avuto un tic involontario, contraendo cioè la palpebra
destra: soltanto che questo ragazzo non sta né ammiccando né
strizzando l’occhio involontariamente; sta parodiando il tentativo
di qualcun altro, ridicolo a parer suo, di ammiccare. Anche qui
esiste un codice stabilito socialmente (“ammiccherà” in modo
laborioso, fin troppo apertamente, forse aggiungendo una
smorfia: i soliti artifici del clown) ed esiste anche un messaggio.
Solo che in questo caso non si tratta di intesa, ma di ridicolo. Se
gli altri credono che stia effettivamente ammiccando, tutto il suo
progetto fallisce completamente, benché con risultati un po’
diversi, come se pensassero che ha uno spasmo involontario. Si
può andare oltre: incerto sulle sue abilità mimiche, l’aspirante
comico può far pratica a casa davanti allo specchio, nel qual caso
non ha un tic, non ammicca, non prende in giro, ma fa le prove;
benché, per quello che registrerebbe una macchina fotografia, un
comportamentista radicale o uno che crede nelle proposizioni
protocollari2, stia solo contraendo rapidamente la palpebra destra
come tutti gli altri. Dal punto di vista logico, se non pratico, sono
possibili complicazioni senza fine.
[…] Ma l’importante è che tra quella che Ryle chiama thin
description di ciò che il personaggio (parodista, ammiccatore,
ragazzo con il tic…) sta facendo (“contrarre rapidamente la
palpebra destra”) e la thick description (“sta facendo la parodia di
un amico che finge un ammiccamento per ingannare un
2
Cioè un positivista logico (N.d.C.).
innocente e fargli credere che ci sia un complotto”) risiede
l’oggetto dell’etnografia: una gerarchia stratificata di strutture
significative nei cui termini sono prodotti, percepiti e interpretati
tic, ammiccamenti, falsi ammiccamenti, parodie, prove di parodie
e senza le quali di fatto non esisterebbero (neppure tic nudi e
crudi che come categoria culturale sono tanto non-ammiccamenti
quanto gli ammiccamenti sono non-tic).
C. Geertz, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna 1987, 41-44