CASO N° 9
Pz maschio 79aa, diabetico.
Intervento di resezione prostatica per via trans-uretrale 4 mesi prima del decesso (vedi esame
istologico).
Esame istologico su materiale di TURP: frammenti di prostata con quadri di iperplasia prostatica
fibroleiomioadenomatosa, prostatite cronica aspecifica. Occasionali quadri di PIN di basso grado.
Sintomatologia stenocardiaca, inizialmente interpretata dal pz come disturbi dispeptici.
Aggravamento della sintomatologia e ricovero ospedaliero (15 ore dopo l’esordio). Iniziata terapia
anticoagulante.
Il giorno successivo comparsa di macroematuria, verosimilmente di origine dalle basse vie.
Progressiva insufficienza renale (con creatininemia fino 3,1mg/dl).
Dopo 2 giorni, comparsa di BAV completo. Morte improvvisa da dissociazione elettromeccanica.
Iperplasia fibroleiomioadenomatosa = aumento di volume della ghiandola per proliferazione delle
tre componenti: fibrosa, muscolare e ghiandolare.
Prostatite cronica = diffuso infiltrato flogistico del tessuto prostatico di linfociti, plasmacellule,
macrofagi e neutrofili (forma batterica e non batterica).
1- Approfondire le ragioni anatomiche e topografiche che giustificano l’intervento di TURP
nell’iperplasia prostatica.
PROSTATA pesa circa 20g, è un organo extraperitoneale che circonda il collo della vescica e
l’uretra ed è priva di una capsula distinta.
Istologicamente è una ghiandola a composizione tubuloalveolare che al taglio presenta spazi
ghiandolari di diverse dimensioni ricoperte da epitelio. Le ghiandole sono rivestite da due strati
cellulari: uno strato basale di epitelio cuboide ricoperto da uno strato di cellule cilindriche
secretorie. Queste ghiandole hanno tutte una chiara membrana basale e sono separate da abbondante
stroma fibromuscolare.
Il parenchima prostatico può essere distinto in 4 regioni biologicamente e anatomicamente distinte:
zona centrale, zona periferica, zona transizionale e regione anteriore dello stroma fibromuscolare.
Mentre i carcinomi originano dalla zona periferica, l’iperplasia (patologia assai comune nell’uomo
sopra i 50 anni, ormono-dipendente) è tipica della zona di transizione (parte craniale della zona
periuretrale).
Si caratterizza per iperplasia delle cellule stromali ed epiteliali, che esita nella formazione di ampi
noduli, abbastanza definiti, nella regione periuretrale della prostata (diverse modalità di
sgrossamento: laterale, mediana, trilobare –con formazione di un lobo medio-, subcervicale e
mediana. Queste ultime due danno distorsione dell’uretra). Quando raggiungono una dimensione
importante, i noduli comprimono il canale uretrale restringendone il lume e causando una parziale e
talvolta praticamente completa ostruzione dell’uretra.
L’ostruzione da iperplasia prostatica che si verifica a livello del collo vescicale è di fondamentale
importanza clinica.
-
Innanzitutto si verifica ritenzione urinaria da cui conseguono le altre manifestazioni.
-
Nelle prime fasi si osserva un’ipertrofia del detrusore e un ispessimento della parete
vescicale dovuto ad ipertrofia a colonne del muscolo liscio, con superficie mucosa indenne.
-
Poi, con la progressiva ipertrofia del rivestimento muscolare, i fasci muscolari aumentano
notevolmente di volume e producono la trabecolazione della parete vescicolare (vescica a
colonne).
-
Nel tempo si formano cripte che poi possono diventare veri e propri diverticoli acquisiti.
-
Nella malattia terminale la vescica può diventare molto dilatata, in questi casi la parete della
vescica è estremamente assottigliata e le trabecolazioni scompaiono completamente.
-
La ritenzione di urina in vescica (il lobo medio solleva il pavimento dell’uretra, lasciando al
termine della minzione un crescente quantitativo di urina in vescica) favorisce l’insorgenza
d’infezioni delle vie urinarie (cistite, rara la pielonefrite), calcoli e raramente la formazione
di neoplasie dovuta alla stasi e a fenomeni irritativi cronici.
Clinicamente il pz presenta disuria (x compressione dell’uretra), pollacchiuria, nicturia, difficoltà a
iniziare la minzione ed arrestare il mitto, iscuria paradossa.
La TURP non è l’approccio di prima linea nell’iperplasia prostatica, in quanto:
-
La terapia medica è indicata quando compaiono sintomi clinici e consta di:
1) inibitori 5 alfa-reduttasi (Finasteride o Dutasteride: inibitore dell’enzima che metabolizza
il testosterone in un androgeno più potente e attivo, il diidrotestosterone) sono in grado di
ridurre le dimensioni (riduce il volume delle ghiandole) della prostata migliorando il flusso
urinario e i sintomi da ostruzione, ma anche ridurre il valore di PSA fino a dimezzarlo;
2) simpaticolitici ( alfa-bloccanti) Alfuzosina, Doxazosina...
-
La TURP è riservata a quei casi di IPB moderata o severa che risultano resistenti alla terapia
medica.
La TURP è efficace nel ridurre i sintomi, nel migliorare il flusso e nel diminuire il valore del
residuo minzionale.
L’indicazione chirurgica diventa assoluta in caso di complicanze quali la ritenzione urinaria, le
infezioni ricorrenti, il danno renale, la calcolosi della vescica, la sofferenza importante della
vescica.
In base alle Linee Guida della EAU (European Association of Urology) 2008 le indicazioni alla
chirurgia sono:
- ritenzione urinaria refrattaria alla terapia
- infezione urinaria ricorrente
- ematuria ricorrente refrattaria alla terapia medica con inibitori della 5-alpha reduttasi
- insufficienza renale
- calcolosi vescicale
L’incremento del volume residuo post-minzionale può essere usato come indicazione alla chirurgia,
tuttavia c’è una grande variabilità individuale.
2- Identificare possibili lesioni secondarie a TUR nella prostata residua.
Poichè l’intervento di TURP prevede l’asportazione della sola zona transizionale, nella prostata
residua può verificarsi:
- Granuloma post- turp
- Prostatite in genere associata a epididimite secondaria all’intervento o per infezione batterica, ma
solo nel 1% dei pz.
 l’insorgenza di un adenocarcinoma nella prostata residua è possibile. Infatti il 70% dei tumori
maligni della prostata insorgono nella zona periferica e solo il 20% nella zona centrale, il resto
nella zona di transizione.
- l’intervento di TURP richiede molta manualità per essere certi di aver asportato tutto l’adenoma,
fino alla capsula. Se viene lasciato in sede soprattutto l’apice, l’adenoma residuo può sclerotizzare o
ipertrofizzarsi. Nell’arco dei 10 anni successivi all’operazione il 10% circa dei pz operati deve
andare incontro ad una nuova operazione identica alla prima.
Bassa morbilità (8-10%) e mortalità (0,1%)
Complicanze intraoperatorie:
- mortalità < 0,25%
- la sindrome da TURP (sindrome dovuta al riassorbimento del liquido di lavaggio che comporta
sodio sierico<130nmol/L , confusione, nausea, vomito, disturbi nervosi ed instabilità circolatoria) si
verifica nel 2% dei pz. Il rischio di sviluppare questa sindrome è l’eccessivo sanguinamento durante
l’intervento, prolungato tempo di operazione, importante dimensione della ghiandola prostatica e
fumatore o ex. La necessità di trasfusione intraoperatoria è del 2-5%. La percentuale più alta si ha
nelle prostatectomie aperte. Il rischio di sanguinamento post operatorio è trascurabile.
Complicanze a lungo termine:
Incontinenza: 2.2% dopo TURP.
Ritenzione urinaria (6.5 % dei casi).
Infezione urinaria (15.5 % dei casi).
Orchiepididimite (1.1 % dei casi).
Incontinenza urinaria (2.2 % dei casi), che può essere dovuta a deficit sfinterico (incontinenza da
sforzo) oppure a iperattività della vescica.
Stenosi dell’uretra: il rischio è del 3.8% dopo TURP. Sclerosi del collo vescicale (1.7 % dei casi).
Disfunzione sessuale: eiaculazione retrograda per la distruzione del collo vescicale nel 65-70%
dopo TURP. L’incidenza della disfunzione erettile dopo TURP è del 6.5% (95% Cl: 0.2-12.7%).
3- Dare la definizione di PIN e chiarire il significato clinico del suo riconoscimento in
materiale chirurgico.
Si intende per PIN, neoplasie intraepiteliali prostatiche, lesioni focali costituite da ghiandole
benigne con proliferazione intracinare di cellule che mostrano anaplasia nucleare. Lo strato
cellulare basale è riconoscibile. La classificazionedi PIN in alto e basso grado si basa sulle
caratteristiche citologiche della lesione:
PIN basso grado: affollamento delle cellule epiteliali secernenti con nuclei ampi, di dimensioni
variabili, contenuto cromatinico normale o lievemente aumentato e possiedono nucleoli piccoli.
Cellule dello strato basale conservate.
Non progredisce, non è da considerare una lesione precancerosa.
PIN alto grado: è caratterizzato da cellule con nuclei grandi e relativamente uniformi per
dimensione, con contenuto cromatinico aumentato, che può essere distribuito irregolarmente, e
nucleoli prominenti simile a quelli delle cellule neoplastiche. Lo strato delle cellule basali è
discontinuo. Pattern di crescita del PINH: piatta, cribriforme, micropapillare, a ciuffo.
Il PIN ad alto grado consiste in ampie ghiandole dilatate con protrusioni papillari, contrariamente al
k invasivo che è tipicamente caratterizzato da piccole ghiandole affollate con bordi luminali definiti.
Citologicamente i due processi possono essere identici.
Le ghiandole interessate da PIN sono circondate da uno strato di cellule basali e hanno membrana
basale intatta.
Sia il PIN ad alto grado che il k si sviluppano nella regione periferica e sono abbastanza rari
nelle altre zone. Una prostata neoplastica contiene frequentemente PIN ad alto grado. Esso si
reperta nelle vicinanze del K stesso, che talvolta origina dalle zone stesse in cui è presente PIN ad
alto grado. Le mutazioni molecolari del k invasivo sono le stesse che si ritrovano nel PIN. Tali dati
supportano che il PIN costituisca una lesione intermedia tra tessuto normale e quello neoplastico,
ancora discusso però.
Riassumendo, fattori che fanno pensare che il PIN ad alto grado sia precursore dell’adenocarcinoma
prostatico sono:
- l’incidenza e l’estensione del PIN e dell’adenok aumentano con l’età del pz
- esiste un aumento di frequenza e di estensione del PIN quando associato con l’adenok
prostatico rispetto al PIN isolato
- sia il PIN che l’adenok sono multifocali e condividono la stessa localizzazione nelle zone
prostatiche
- il passaggio del PIN di alto grado all’adenok si può osservare con l’indagine morfologica.
Da studi immunoistochimici, morfometrici, molecolari e genetici:
- la proliferazione e la morte cellulare (apoptosi) sono maggiori nel PIN e nell’adenok rispetto
alla prostata normale
- il PIN e l’adenok sono fenotipicamente simili
- il PIN e l’adenok hanno in comune alcune alterazioni genetiche con inattivazione di geni
soppressori della neoplasia o sovraespressione di oncogeni in regioni importanti per
l’iniziazione e la progressione della neoplasia prostatica
- la neovascolarizzazione è maggiore nella PIN e nell’adenok rispetto alla prostata normale.
Ciò che manca è la storia naturale del PIN ciò che si sa è che: 1) il PIN a basso grado nonha valore
predittivo negativo; 2) i portatori di PIN ad alto grado hanno un rischio alto di sviluppare una neo
prostatica, stessa predisposizione della familiarità, di conseguenza le biopsie reiterate sono utili
nella ricerca di un k che possa essere stato inizialmente misconosciuto, follow up a lungo termine.
Per questo studi a lungo termine mettono in evidenza che circa un terzo delle PIN progrediscono
verso un carcinoma nel giro di 10 anni. MA solo con un PIN NON si opera.
Quello che si fa nella pratica clinica è questo:
Se riscontro un PIN
ripeto la biopsia a 6 sett.
se riscontro adenocarcinoma
nel materiale chirurgico
prostatectomia radicale
se negativa devo portare alla
terza biopsia in 3 mesi
BIOPSIA DI SATURAZIONE
Visita ambulatoriale e PSA semestrale
La prima biopsia consiste in 10-12 prelievi, quando ripeto la biopsia dopo 6 settimane (se PIN o
ASAP o aumento del PSA) se faccio lo stesso numero di prelievi la probabilità di trovare il tumore
si abbassa e per questo motivo si aumenta il numero di prelievi ogni volta.
Da 10-12 a 16-18 a 24-36. si parla di biopsie di saturazione.
Nella valutazione istologica delle biopsie prostatiche, effettuate per sospetto clinico di
neoplasia, si possono incontrare problemi diagnostici:
- PIN ad alto grado
- ASAP (atipical small acinar proliferation). Alla biopsia proliferazione microacinare atipica
sospetta, ma non diagnostica per malignità. Ci sono piccoli focolai costituiti da piccoli acini,
cellule atipiche che proliferano ma non sono ne normali ne patologiche, ne PIN. Si tratta di
un dubbio diagnostico e non si sa come gestire, quindi si è deciso di gestirlo come il PIN.
- IPERPLASIA ADENOMATOSA ATIPICA (AAH) proliferazione circoscritta di piccoli
acini con scarso stroma interposto. Gli acini sono rivestiti da cellule secretorie che
morfologicamente sono simili a quelle dei dotti ed acini normali. I nucleoli delle cellule
dell’AAH però sono occasionalmente prominenti. Lo strato di cellule basali è discontinuo e
costituito da cellule singole e sparse lungo il contorno esterno degli acini. La DD si basa sul
fatto che nell’adenocarcinoma ben differenziato (Gleason grado 1) lo strato basale è assente,
i nuclei sono di dimensioni maggiori (rispetto all’AAH e all’IPB) e i nucleoli sono
prominenti, multipli e marginati in tutte le cellule.
La transizione ad adenocarcinoma non è mai stata dimostrata.
- METAPLASIA l’epitelio prostatico può mostrare una varietà di lesioni metaplastiche e
proliferative che possono simulare l’adenocarcinoma: metaplasma squamosa
Mataplasia uroteliale
Metaplasma mucinosa
Metaplasma nefrogenica
Cellula neuroendocrine con granuli
eosinofili
4- Identificare le modalità di indagine bioptica in un pz in cui si riscontri un innalzamento del
PSA con particolare riferimento ai limiti.
PSA
L’antigene prostatico specifico viene usato per la diagnosi e il monitoraggio del k prostatico. Il PSA
è un prodotto dell’epitelio prostatico che viene normalmente secreto con il liquido seminale. È una
serin proteasi che ha la funzione di lubrificare e liquefare i coaguli seminali che si formano dopo
l’eiaculazione. Nel soggetto normale solo un’esigua quantità di PSA circola nel sangue. Il livello
sierico di 4 ng/ml è considerato il cut.off tra un reperto normale e uno patologico; tuttavia questo è
un approccio semplicistico.
Il PSA è un marcatore organo-specifico e non tumore-specifico. Altri fattori come, l’iperplasia
prostatica, la prostatite, l’infarto prostatico, la manipolazione strumentale e l’eiaculazione
aumentano i valori di PSA sierico.
La sua sensibilità è bassa per valori tra 4 e 10 ng (valore predittivo positivo 20%) e va
progressivamente aumentando (per valori superiori ai 10 ng il valore predittivo positivo è tra 42 e
64%, sino a portarsi vicino al 100% per valori superiori a 100ng).
La specificità è bassa per valori tra 4 e 10 ng, aumentando anche in caso di patologia prostatica
benigna (IPB ed in misura maggiore in caso di prostatite). Pertanto nel range di valori del PSA
entro il quale oggi si perviene alla maggior parte di diagnosi di CaP (2- 10ng) la sensibilità e la
specificità del test sono basse. La sua diffusione nell’uso clinico, avvenuta all’inizio degli anni ’90,
ha determinato un’anticipazione diagnostica, un aumento dell’incidenza della malattia e uno shift di
grado verso il basso in quanto, in proporzione, sono aumentate le diagnosi di malattia
organoconfinata e diminuite quelle di malattia extracapsulare.
I valori di PSA totale, alla diagnosi, correlano abbastanza bene per Gleason score bassi e medi, con
lo stadio clinico: nei pazienti con PSA <10 e Gleason <7, la possibilità di essere in presenza di
metastasi è estremamente rara e pertanto in fase di stadiazione non si esegue la scintigrafia ossea e
nel caso che si opti per la prostatectomia radicale, si può omettere la linfoadenectomia otturatoria.
Sono disponibili nomogrammi (tabelle di Partim) che, combinando PSA, Gleason score e Stadio
clinico, forniscono la previsione in termini di probabilità della possibilità d’invasione linfonodale,di
malattia extracapsulare ed invasione delle vescicole seminali.
Il PSA non ha valori di riferimento assoluti, ma va sempre preso i considerazione in relazione a:
-quanto e in quanto tempo in cui si è verificato l’innalzamento
-clinica
-età del pz
-ER
INDICAZIONE:
La BIOPSIA prostatica viene fatta in presenza di ER + e/o PSA elevato e/o ECO che vede area
ipoecogena. Si fanno 10-12 prelievi ma un esito negativo può non essere significativo in quanto il
risultato dipende del mappaggio, dall’abilità dell’operatore..
La biopsia può essere eseguita per via transrettale con guida ecografica o digitale, o per via
transperineale.
E’ necessario che la biopsia sia un mappaggio e venga effettuata con ago tranciante per effettuare
un esame istologico e poter valutare i segni di malignità: invasione della capsula, dei vasi, dei
linfatici e infiltrazione perineurale.
Il solo esame citologico non consente di distinguere le cellule della PIN da quelle del carcinoma,
ma per definizione le prime sono limitate agli acini e ai dotti.
Incremento della sensibilità del dosaggio del PSA
Possibili vie per incrementare la specificità del test del PSA sono:

determinazione del rapporto PSA totale/volume della prostata (PSA density). Alti livelli di PSA
si riscontrano in ghiandole prostatiche con volume maggiore rispetto a quelle di dimensioni
minori. La misurazione della densità del PSA annulla il contributo dell’IPB agli alti livelli di
marcatore. La densità del PSA riflette la produzione dell’antigene per grammo di tessuto
prostatico. Si calcola dividendo il PSA totale per il volume ghiandolare stimato (con ECO trans
rettale).
PSA density
- mette in relazione il valore di PSA con il volume prostatico
 utilizzo di parametri di riferimento età-correlati;
PSA correlato all’età
Con l’aumento del’età si assiste all’aumento di volume della prostata.
Valori normali correlati all’età (per la razza Caucasica):
- fino a 49 anni:
2.5 ng/ml
- da 50 a 59 anni: 3.5 ng/ml
- da 60 a 69 anni: 4.5 ng/ml
- da 70 a 79 anni: 6.5 ng/ml
Tali valori sarebbero più bassi quando si consideri la razza nera.

determinare la curva di variazione del PSA nel tempo, la velocità di variazione del PSA (PSA
velocity)
PSA velocity
Un aumento di PSA > di 0.75 ng/ml/anno è sospetto per carcinoma.
È un metodo criticato, perché possa avere validità, è necessaria una valutazione dei valori di
PSA su di un periodo di almeno 18-24 mesi. Questo perché c’è una forte variabilità a breve termine
(fino 20%) tra le ripetute misurazioni di PSA. Un significativo aumento del PSA, anche se l’ultima
determinazione resta < 4ng/ml, è anomala e va indagata.
 rapporto tra PSA libero e PSA legato nel sangue.
PSA libero/totale
La quota di PSA presente nel sangue si trova in 2 forme:
- libera: 15-30%
- legata: (a delle proteine, nel 70% all’α1-antichimotripsina)
Il rapporto tra PSA libero e PSA legato è più basso nel K prostatico che nella patologia prostatica
benigna.
Valori di F/T:
< al 10%
suggerisce una più elevata probabilità di K prostata
tra 4 e 10 ng/ml
“zona grigia”
> 25%
suggerisce basso rischio di k prostatico e potrebbero anche non fare la biopsia
se l’ER è negativa.
Finora non ci sono evidenze che lo screening del cancro della prostata con il dosaggio del PSA sia
in grado di ridurre la mortalità, mentre aumenta il numero di trattamenti terapeutici sia radicali che
palliativi (10,11). Per queste motivazioni lo screening del k prostatico, con il PSA, dai più
attualmente non è ritenuto ammissibile né etico.
5- Identificare i mezzi ed i metodi della diagnostica anatomo-patologica che consentano di
identificare il Ca prostatico.
I mezzi anatomo-patologici che consentono di identificare un K prostata sono:
-
Agoaspirato prostatico. Consiste in un prelievo che viene eseguito mediante un ago sottile
(Ago di Franzen) guidato digitalmente a livello delle aree di sospetto prostatico.
Vantaggi: modestissima invasività e rapidità di lettura dei preparati.
Svantaggi: richiede un citologo esperto, una modesta quantità di materiale.
Posta la diagnosi citologica di k si cerca di determinare il grado di differenziazione seguendo la
classificazione di Esposti (1971) che suddivide i K, prendendo in considerazione soprattutto la
coesione cellulare e l’anaplasia nucleare, in 1) tumori ben differenziati, 2) moderatamente
differenziati; 3) scarsamente differenziati.
Non sempre il grado di differenziazione citologico corrisponde al reale grado di differenziazione
istologico del tumore.
- Biopsia prostatica. L’agobiopsia o truc-cut prostatico, sostituisce sempre più spesso
l’agoaspirato, essendo più sensibile. L’esecuzione della biopsia sotto guida ecografia transrettale ha consentito di posizionare con precisione l’ago bioptico nella prostata ottenendo un
adeguato campionamento non solo nelle aree dubbie, ma di tutta la ghiandola.
Vantaggi: si ottiene una notevole quantità di tessuto, maggiore sensibilità, scarsa morbilità.
Svantaggi: la procedura comporta disagi psico-fisici al pz, il pz può avvertire dolore, è più
invasiva e rischiosa del citoaspirato con ago di Franzen.
Le indicazioni all'esecuzione di una biopsia prostatica sono:1) un aumento dei livelli sierici di
PSA, associato o meno al rilievo digitale e/o ecografico di un nodulo sospetto o di un'area
ipoecogena sospetta. 2) Valutazione istologica della prostata periferica per riscontro incidentale
di PIN dopo TURP o adenomectomia a cielo aperto. 3) Ristadiazione di carcinoma prostatico
dopo terapia radiante o chirurgica per sospetto clinico di ripresa di malattia.
La biopsia viene eseguita con guida ecografia transrettale. Il pz, a vescica piena, è posto in
posizione ginecologica o litotomica e viene eseguito un mappaggio della ghiandola prostatica in
genere 10- 12 prelievi. Il prelievo può essere eseguito ambulatorialmente in anestesia locale e
non richiede il ricovero.
Il tessuto escisso non si deve alterare significativamente dopo l’asportazione. Il tessuto è infatti
un insieme di cellule che sono strutture elementari vive. Separate dall’organismo che le nutre, le
cellule si alterano e muoiono. Per impedire ciò, dopo aver eseguito il prelievo, il materiale viene
adagiato su spugnetta imbevuta di fissativo, una sostanza cioè che preserva e stabilizza i
costituenti dei tessuti, inattivando gli enzimi autolitici. Il fissativo più usato è la formalina
8soluzione di acqua e formaldeide). Il frustolo deve rimanere orizzontale. Poi il tessuto viene
opportunamente disidratato e si procede con l’inclusione in paraffina. Per inclusione si intende
lasciar permeare il tessuto da una sostanza che solidifica a temperatura ambiente; essendo la
paraffina una sostanza idrofoba occorre disidratare precedentemente il tessuto (con lo xilolo).
Una volta che la compenetrazione della paraffina liquida (a circa 54°C) è avvenuta, il pezzo
viene rapidamente raffreddato, onde acquista la consistenza della paraffina solida. Dal
blocchetto vengono tagliate delle fettine dello spessore di circa 5 micron con il microtomo a
lama d’acciaio. Le sezioni vengono montata su un vetrino portaoggetti, deparaffinate e il tessuto
è riportato al suo stato d’idratazione. A questo punto si procede con le colorazioni.
In presenza di una biopsia negativa e di un persistente sospetto di malattia neoplastica la biopsia
può essere ripetuta a 3 o 6 mesi. Falsi negativi possono essere dovuti a diversi fattori:
microfocolai, difficoltà tecniche nell’esecuzione del prelievo, diagnosi anatomo-patologica
incerta…In casi selezionati, con forte sospetto di malattia in ghiandole per altro di aspetto
regolare, si può talora eseguire un campionamento esteso con 24 prelievi che viene eseguito in
anestesia in regime di ricovero breve (Day Hospital).
La indagini immunoistochimiche d’ausilio
Le indagini immunoistochimiche, che possono essere d'ausilio nella definizione dell'immunoprofilo
del carcinoma prostatico e quindi della sua diagnosi, comprendono la determinazione di:
1) Antigene prostatico specifico (PSA) e Fosfatasi acida prostatica specifica (PAP). Usualmente
l'adenocarcinoma della prostata è positivo per PSA e PAP. Una minoranza di tumori ad alto grado è
negativa per questi due biomarcatori, ma esprime l'RNA messaggero per PSA
2) Citocheratine ad alto peso molecolare, evidenziate mediante specifici anticorpi monoclonali,
cioè 34betaE12 (LP34 o citokeratina 903). Queste citocheratine sono presenti nelle cellule dello
strato basale. Le cellule basali sono assenti nel carcinoma che risulta negativo a questa indagine
immunoistochimica.
3) p63, proteina nucleare espressa dalle cellule basali, assente nell'adenocarcinoma.
4) alfa-metil-CoA-racemasi (o P504S) è un indicatore di malignità e può essere usato in
associazione con la LP34 e la p63.
5) Recettori per ormoni androgeni, valutati sia con metodiche immunoistochimiche che con tecnica
di ibridazione in situ fluorescente (FISH), per la determinazione del fenotipo ormono-dipendente.
Questi tipi di indagini per i recettori sono considerati di tipo opzionale e solo raramente sono
utilizzati nella routine.
Quadri bioptici della prostata fuorvianti:
- atrofia ghiandolare
- adenosi
- quadri post-irradiazione
- iperplasia a cellule basali
(hanno un quadro simile a quello neoplastico, con l’IIC si vede però positività per le citocheratine
ad alto peso molecolare che nella neoplasia non c’è).
Il k prostata può essere: latente (si vede alla biopsia), incidentale (si trova nella prostata asportata
per altro motivo, es: IPB, e non dà segni clinici) od occulto (si rivela con mtx).
Per il grado istologico, il sistema di Gleason è considerato il sistema di riferimento internazionale.
Si basa sulla valutazione delle caratteristiche architetturali della neoplasia, più precisamente viene
presa in considerazione la morfologia della proliferazione ghiandolare, i rapporti fra le ghiandole e i
rapporti fra le ghiandole e lo stroma. Distinguiamo quindi cinque diversi pattern:
Gleason 1: Tumore composto da noduli di ghiandole ben delimitati, strettamente ravvicinate,
uniformi, singole e separate l'una dall'altra.
Gleason 2: Tumore ancora abbastanza circoscritto, ma con eventuale minima estensione delle
ghiandole neoplastiche alla periferia del nodulo tumorale, nel tessuto prostatico non-neoplastico
Gleason 3: Tumore che infiltra il tessuto prostatico non-tumorale; le ghiandole presentano notevole
variabilità di forma e dimensione.
Gleason 4: Ghiandole tumorali con contorni mal definiti e fuse fra di loro; possono essere presenti
ghiandole cribriformi con bordi irregolari.
Gleason 5: Tumore che non presenta differenziazione ghiandolare, ma è composto da cordoni solidi
o da singole cellule.
Il pattern primario, o predominate, e quello secondario vengono valutati separatamente e poi
combinati nello score di Gleason. Il suo range è da 2 (1 + 1) a 10 (5 + 5).
Per quanto riguarda l'utilizzo del sistema di Gleason, vanno fatte le seguenti considerazioni,
soprattutto per le biopsie:
- è raro osservare uno score 2-4 nelle biopsie. In genere tumori con questo score sono presenti nella
zona di transizione e sono campionati con la TURP.
- in biopsie con tumore di dimensioni inferiori al 5% della biopsia stessa, lo score finale si ottiene
raddoppiando il valore del pattern osservato. Se è presente solo un pattern 3, per esempio, lo score
attribuito è 3+3=6.
- nei casi in cui lo score è uguale a 7, vanno specificate le due componenti, cioè 3+4 oppure 4+3. È
stato osservato che i tumori con score 4+3=7 hanno un comportamento più aggressivo di quelli con
3+4=7.
- nei casi di eterogeneità tra i diversi prelievi, a ciascuno di essi deve essere assegnato un distinto
score. Infatti, nei pazienti con score 4 + 4 = 8 presente in un prelievo e con pattern 3 negli altri è
probabile che il comportamento tumorale corrisponda a quello di una neoplasia di alto grado
(4+4=8) piuttosto che ad una neoplasia score 4+3=7.
- in una minoranza di casi, il tumore mostra anche un pattern terziario, in aggiunta a quello primario
e secondario. In questi tumori è stato visto che un pattern terziario ad alto grado ha un valore
prognostico.
Il sistema di Gleason non va utilizzato, nei pazienti che sono stati sottoposti a trattamento ormonale
neoadiuvante, in quanto inaffidabile; in questi casi deve essere fatto riferimento al Gleason bioptico
pre-ormonoterapia.
Un sistema di grading alternativo, ma meno utilizzato per le neoplasie prostatiche non trattate, è
quello proposto da Mostofi, che prevede una loro suddivisione in tre gradi in relazione all'entità
dell'anaplasia nucleare.
SPECIMEN CHIRURGICO PROSTATA
Procedura :
1)Fissare pezzo in formalina 4°C per una notte.
2)Indicare margini chirurgici con inchiostro di china (passare per qualche minuto in alcool acidulato
per evitare diffusione dell’inchiostro).
3)Fare sezioni parallele di circa 5 mm di spessore ed esaminare attentamente le superifici di taglio.
4)Eseguire foto.
Descrizione :
1)Peso e dimensioni del campione.
2)Organi presenti : prostata intera? Uretra (lunghezza), vescicole seminali, deferenti, lnf.
3)Prostata : tumore (localizzazione in lobi, dimensioni, colori, margini, estensione extracapsulare e
periprostatica)
4)Uretra : pervia? Zaffata dal tumore?
5)Vescicole seminali : interessate dal tumore?
MACROSEZIONAMENTO : inclusione di sezioni della prostata in toto di dimensioni di circa 5
mm di spessore, non dà migliori risultati delle singole sezioni.
Margini da valutare : apice prostatico (sbocco dell’uretra)
collo vescicale (base, può dimostrare diffusione verso la vescica)
dotti deferenti (margini deferenziali, se invasi sono segno di diffusione
canalicolare)
capsula
Vie di propagazione del tumore
1. Contiguità: la capsula prostatica rappresenta una barriera alla diffusione della malattia, pur
presentando due punti deboli: zona dell’apice e zona in cui i dotti eiaculatori entrano nella
ghiandola.
Superata la capsula il tumore diffonde a : tessuti periprostatici, vescicole seminali, collo vescicale,
ureteri e uretra. La diffusione al retto è limitata dalla aponevrosi di Denonviller.
2. Linfatica: prima stazione otturatori, ipogastrici, presacrali e preischiatici. Extra regionali: iliaci esterni
e comuni, inguinali, periaortici, mediastinici e sovraclaveari (nel 5% dei casi c’è salto di stazione).
3. Ematica: ossa bacino e colonna (lesioni osteo-addensanti) e tardivamente polmone, fegato,
surrene e rene (testicolo)
A
DISEASE-RELATED RISK FACTORS
1. Stadio Clinico : TNM
2. Grado istologico: Gleason score
B
PATIENT-RELATED RISK FACTORS
1. Età
2. Aspettativa di vita
3. PSA
3. Co-morbidità
Età ed Aspettativa di Vita
Esiste una correlazione inversa tra aggressività terapeutica ed età, in parte perchè i tumori prostatici
nei giovani sembrano essere biologicamente più aggressivi ( ipotesi non condivisa, mancano
dimostrazioni certe), ed in parte perchè, considerata la storia naturale della neoplasia prostatica, la
perdita di anni di vita è più probabile nei pazienti più giovani rispetto a quelli più anziani.
Condizioni Generali
Le condizioni generali del paziente sono determinanti nelle decisioni sugli indirizzi terapeutici, in
quanto contribuiscono alla definizione dell’aspettativa di vita.
Co-morbidità
La prevalenza di alcune patologie (cardiovascolari, neurologiche, diabete mellito, BPCO, tumori,
ect) aumenta dopo la quinta decade di vita. Nello studio Vacurg del 1964, su 3099 pazienti con
tumore di prostata in stadio avanzato, la principale causa di morte fu rappresentata dalle malattie
concomitanti od intercorrenti non inerenti al tumore prostatico (o sue conseguenze). Si è propensi
ad indicare un trattamento radicale 6 (prostatectomia radicale e terapia radiante) in presenza di un
tumore organoconfinato in un maschio di età inferiore a 70 anni o con aspettativa di vita superiore a
10 anni.
RISCONTRO AUTOPTICO
ESAME ESTERNO GENERALE E FENOMENI POST-MORTALI
Condizioni generali discrete. Macchie ipostatiche di II grado fino alla linea ascellare media.
Rigidità presente in parte risolta.
APPARATO TEGUMENTARIO
Modesti edemi declivi agli arti inferiori.
SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Arteriosclerosi delle arterie del circolo di Willis
APPARATO CARDIOVASCOLARE
Cuore del peso di 560g con ipertrofia ventricolare sx e dx (marcata).
Coronarosclerosi diffusa con trombosi occlusiva della coronaria dx a 3 cm dall’imbocco.
Infarto recente della parete posteriore del ventricolo sx (terzo medio superiore) e del terzo inferiore
del margine acuto.
Grave e diffusa arteriosclerosi complicata dell’aorta, dei vasi epiaortici e delle arterie iliache e
renali.
Esame istologico: necrosi miocardica coagulativa con spiccata infiltrazione infiammatoria di PMN.
CUORE DI 560 gr: Ipertrofia ventricolare sinistra, probabilmente da ipertensione arteriosa di lunga
data e spesso presente in pazienti diabetici; Ipertrofia ventricolare destra marcata: probabilmente da
fibrotorace bilaterale ed enfisema (cuore polmonare) con aumento delle resistenze a livello
polmonare e conseguente ispessimento delle pareti ventricolari di destra.
Altre cause di ipertrofia ventricolare destra:
- Malattie parenchimali polmonari: pneumopatie croniche ostruttive (BPCO), pneumoconiosi,
fibrosi cistica, bronchiectasie
- Malattie dei vasi polmonari: microembolia polmonare ricorrente, ipertensione polmonare
primitiva, arteriti polmonari (granaulomatosi di Wegener), sclerosi vascolare da farmaci, tossine
Infarto della parete posteriore del ventricolo sinistro (terzo medio e superiore) perché l’irrorazione
di questa area è di competenza della coronaria di destra.
Istologico: necrosi coagulativa con infiltrato di PMN: compatibile con un quadro di infarto insorto
più di 60 ore prima (15+48)
Grave e diffusa aterosclerosi: da ipertensione e diabete che è un fattore “peggiorativo”. Inoltre il
NIDDM che causa neuropatia periferica, può dare un IMA paucisintomatico.
razione e proliferazione delle cellule muscolari lisce con accumulo
di matrice extracellulare; adesione piastrinica con formazione di microtrombi (che possono
embolizzare); vascolarizzazione della placca attraverso neoformazione vascolare in connessione
con i vasa vasorum dell’arteria che può complicarsi con emorragie intraplacca; accumulo di calcio.
1- Valutare la localizzazione della trombosi coronaria e rapportarla ai danni anatomici e
funzionali.
L’arteria coronaria sx si divide in ramo discendente anteriore e ramo circonflesso.
Sedi più frequenti con distribuzione regionale degli effetti:
-Arteria coronaria sx – Ramo discendente anteriore: -2/3 anteriore del setto interventricolare,
parete anteriore del ventricolo sx, apice del cuore.
-Arteria coronaria dx: parete posteriore del ventricolo sx, 1/3 posteriore del setto interventricolare.
-Arteria coronaria sx – Ramo circonflesso: parete laterale del ventricolo sx.
I trombi arteriosi e cardiaci solitamente iniziano in un sito di lesione endoteliale (es. placca
aterosclerotica la più frequente, ma anche vasculite o trauma..) o di turbolenza (biforcazione dei
vasi); tendono ad accrescersi in direzione retrograda e sono di solito occlusivi.
I trombi sono saldamente aderenti alla parete arteriosa lesa, sono grigio biancastri e friabili,
composti da una rete aggrovigliata di piastrine, fibrina, eritrociti, leucociti degenerati.
TROMBOSI OCCLUSIVA DELLA CORONARIA DX Si verifica nel 30-40% dei casi di infarto
miocardio.
In considerazione dell’irrorazione a carico della coronaria di destra, in un cuore con dominanza
della circolazione di destra:
1. parete inferiore/posteriore del ventricolo sinistro
2. parete posteriore del setto interventricolare
3. parete libera inferiore/posteriore del ventricolo destro
possiamo pensare che la TROMBOSI OCCLUSIVA DELLA CORONARIA DX A 3 CM
DALL’IMBOCCO (nel tratto prossimale della coronaria, dà effetti occlusivi gravi) possa causare:
1) Infarto della parete inferiore/posteriore del ventricolo sinistro
destra, il ramo posteriore destro è voluminoso, mentre quello circonflesso è sottile. La parete
posteriore del ventricolo sinistro, in questo caso, è irrorata in larga misura (terzo medio e superiore)
dalla coronaria di destra.
2) Associato ad infarto del terzo inferiore del margine acuto
l’arteria del margine destro, che provvede all’irrorazione di questa area.
Una occlusione a 3 cm dall’imbocco comporta quindi una mancata per fusione di entrambi i
distretti, con conseguente infarto.
2- L’infarto del ventricolo dx è raro. Identificare i motivi della sua presenza in questo caso.
L’INFARTO DEL VENTRICOLO DESTRO E’ RARO, ma spesso accompagna un infarto
dell’adiacente parete posteriore del ventricolo sx e del setto interventricolare. L’infarto ventricolare
dx può causare un serio deficit funzionale indipendentemente dal tipo di infarto: in questo caso ci
sono almeno due possibili fattori che possono averlo determinato:
4.
pareti del ventricolo destro sono
sottili (circa 1/6? di quelle del ventricolo sinistro) ed un infarto a questo livello è
improbabile perché, anche in caso di occlusione della coronaria, il ventricolo trae ossigeno
nutrimento dal lume per diffusione diretta. In caso di aumento del volume delle sue pareti,
però, questo non è più sufficiente e quindi il ventricolo va incontro ad infarto.
5.
è raro, ma può associarsi a danno ischemico del ventricolo sinistro e del setto. In questo caso
un danno ischemico del ventricolo destro causa un grave deficit funzionale.
3. Chiarire le modificazioni morfologiche dell’infarto in rapporto al tempo intercorso fra
inizio dell’ischemia e il decesso.
Dal punto di vista morfologico, riconosciamo 3 fasi successive:
-necrosi ischemica
-infiammatoria
-riparazione cicatriziale
Nella maggior parte dei casi l’infarto del miocardio è di tipo anemico per cui il tessuto appare
pallido.
0 - 8 ore:
da 0 a 2 ore le sole alterazioni visibili sono solo ultrastrutturali (generalmente non si fa un’indagine
del genere, a meno che non sia possibile l’immediato prelievo del cuore). La microscopio
elettronica mostra rigonfiamento idropico del sarcoplasma, scomparsa dei granuli di glicogeno, la
trasformazione vacuolare del reticolo endoplasmatico, il rigonfiamento dei mitocondri e
l’equivalente strutturale del danno irreversibile cioè la rottura del sarcolemma.
MACRO: aspetto normale; Le tecniche istochimiche mostrano la presenza enzimi respiratori
(deidrogenasi succinica o succinato deidrogenasi). Qsti scompaiono nella zona infartuata (che non
si colora), mentre sono ancora presenti nel miocardio limitrofo. Fette di miocardio vengono messe
ad incubare nella soluzione di un sale tetrazolico, che in pochi min si riduce in un composto
colorato nelle aree di tex che hanno l’enzima. Si può ricercare anche fosfatasi alcalina e citocromoossidasi.
MICRO: no alterazioni.
8 - 24 ore: alterazioni minime.
Tra le 6 e le 12 ore:
macro: nessuna alterazione/pallore
micro: compare il primo segno, ma indiretto. Alla periferia della zona infartuata compaiono fibre
miocardiche assottigliate che presentano un’ondulazione parallela (waving o streaming). È dovuto
all’assenza di contrazione dell’area infartuata, per cui le fibre poste sull’interfaccia con il tex
irrorato e contrattile vengono stirate anelasticamente.
MACRO: congestione e pallore dell’area infartuata.
MICRO: lieve separazione delle fibre; lieve aumento di numero dei leucociti tra le fibre; lievi
alterazioni citoplasmatiche (bande di contrazione); necrosi coagulativa.
24 ore - 3 gg: alterazioni definite nel muscolo.
24 -48 ore:
macro: focolaio infartuale, giallastro e soffice.
micro: necrosi coagulativa con nucleo a disposizione marginale della cromatina, si decolora e va in
picnosi. Il sarcoplasma va incontro a progressiva perdita della striatura trasversale e diventa
disomogeneo. Miocellule iperesinofile. Alla periferia abbiamo infiltrazione di neutrofili e compare
la miocitolisi colliquativa.si caratterizza per notevole rigonfiamento idropico della cellula, che
sospinge alla periferia le miofibrille e isola il nucleo al centro di un alone otticamente vuoto.
2-3 gg:
macro: la zona centrale è gialla, i bordi sono iperemici. Abbiamo infatti demarcazione periferica del
focolaio infartuale. I margini dell’infarto sono dentellati (per l’intersecazione dei campi di
distribuzione dei rami coronarici) e evidenziati da un alone rosso (per iperemia combinata con
piccole aree emorragiche). Il miocardio necrotico acquista un colore grigio-giallastro omogeneo,
opaco e asciutto, di consistenza aumentata.
Micro: nella zona centrale abbiamo necrosi coagulativa e neutrofili. Ai bordi neutrofili, macrofagi
(che rimuovono i miociti morti) e fibroblasti. Il viraggio di colore è dovuto al completarsi della
necrosi coagulativa: le mio cellule hanno perso il nucleo e la striatura trasversale e appaiono come
passerelle ialine. Ai bordi della lesione si trovano granulociti neutrofili.
Di solito si apprezza un sottile strato di muscolo sano sotto l’endocardio (perché il miocardio
subendocardico trae nutrimento dal lume per diffusione diretta di O2 e altre sostanze).
3 - 10 gg: inizio della guarigione (organizzazione).
3-4 gg:
macro: l’infarto assumo un colorito giallastro.
micro: massiva infiltrazione di neutrofili, che colliquano il tessuto necrotico con i loro enzimi
proteolitici. Compaiono i primi mononucleati (linfociti e macrofagi).
7-10 gg:
si completa la colliquazione del tessuto necrotico.
Macro: il brodo rosso dell’infarto appare doppiato verso l’interno della lesione da un orletto
giallastro, dovuto alla presenza di granulociti. La consistenza del focolaio infartuale si riduce fino al
rammollimento (miomalacia). Al taglio, l’infarto appare come un’area demarcata , depressa.
Micro: i neutrofili vengono progressivamente rimpiazzati dai macrofagi, che asportano il materiale
necrotico e, intorno al 10 gg, si ha penetrazione della lesione, a partire dai margini, ad opera del
tessuto di granulazione (macrofagi e gemmazione di capillari sanguigni neoformati). Il materiale
necrotico viene riassorbito dai macrofagi e viene sostituito da connettivo giovane, ricco di
fibroblasti.
10 gg e seguenti: guarigione avanzata e cicatrizzazione
10-14 gg:
macro: la zona centrale è giallo-brunastra e depressa; i bordi sono grigio-rossastri.
Micro: tessuto di granulazione, deposizione di collagene.
Dalla terza settimana:
macro: il terreno necrotico è sostituito completamente da tessuto roseo e ancora cedevole che si
arricchisce di fibre collagene, finchè, dalle 6 settimane in poi, si trasforma in tessuto connettivo
fibroso denso, grigio-biancastro, compatto, che tende a retrarsi, riducendo le dimensioni della
perdita di sostanza di miocardio. Nei casi più favorevoli si forma un callo sclerotico che connette i
monconi della muscolatura distrutta come un giunto tendineo, il quale determina condizioni
funzionali compatibili con una buona tensione e con lo sviluppo di un’ipertrofia compensatoria.
Dal 3 mese la cicatrice risulta stabilizzata e non consente + alcuna datazione istologica.
4. Collegare la cronologia dell’infarto con possibili complicazioni
MINUTI, ORE
- DISFUNZIONE CONTRATTILE: le anomalie funzionali del ventricolo sinistro indotte dall’infarto
sono in rapporto con le dimensioni dell’area lesa. Nella maggior parte dei casi, si verifica un certo
grado di insufficienza ventricolare sinistra con ipotensione, congestione polmonare e trasudazione
nel tessuto interstiziale polmonare, che può portare ad edema polmonare con deficit respiratorio (in
qsto caso è spesso fatale). Una grave “insufficienza di pompa” (shock cardiogeno), si verifica nel
10-15% dei pz ed, in genere, è dovuta a un infarto esteso, che coinvolge spesso più del 40% del
ventricolo sinistro. La mortalità per shock cardiogeno è del 70% circa, pari ai due terzi dei decessi
ospedalieri.
- ARITMIE: in molti pz compaiono disturbi della conduzione o della eccitabilità cardiaca, che, senza
dubbio, sono responsabili delle morti improvvise. Si manifestano come arresto cardiaco, bradicardia
sinusale, tachicardia sinusale, contrazioni ventricolari premature o tachicardia ventricolare,
fibrillazione ventricolare o asistolia. La fibrillazione ventricolare determina arresto cardiaco; si
verifica soprattutto all’inizio dell’infarto e nei primi giorni, per alterato stato di irritabilità
miocardia. Il blocco della conduzione dell’impulso nel fascio di His e/o nelle sue branche di solito
causa il rallentamento del ritmo ventricolare o sbilancia la contrazione ventricolare e porta a uno
scompenso cardiaco acuto (spesso fatale). L’arresto della conduzione a livello ventricolare possono
essere permanenti (se il tex di conduzione è compreso nell’area d’infarto) o transitorie (se è stato
interessato dal solo edema perifocale).
- COMPLICANZE TROMBOTICHE (nelle prime ore fino alla quarta settimana): la combinazione
di anomalie della contrattilità (che causano stasi) e di danno endocardico (che espone una superficie
trombogenica) può determinare una trombosi murale (parietale). In caso di disturbi del ritmo atriale,
si possono formare trombi nelle orecchiette e trombosi atriale. I trombi nel ventricolo sx possono
determinare embolie sistemiche (encefalo, intestino, rene, arti inferiori, milza).Ci può essere anche
trombosi delle vene degli arti inferiori, dovuta fondamentalmente alla stasi venosa. Questa trombosi
può dare embolia polmonare (spesso fatale) che può essere determinata raramente anche da infarto
dx .
La trombosi può complicare anche un aneurisma ventricolare (assume l’aspetto di un menisco
stratificato).
DOPO 3-7 GIORNI
-ROTTURA DEL CUORE: si verifica in genere o nei primi 3 gg, quando inizia la miocitolisi e la
colliquazione della necrosi, o all’inizio della 2 settimana, quando il tessuto muscolare è stato
sostituito da connettivo giovane e cedevole. È facilitata da un infarto interessante la parete a tutto
spessore (infarto transmurale) e dalla diminuita consistenza del muscolo necrotico (miomalacia
cordis) per infiltrazione di PMN.
Comprende:
Rottura della parete libera del ventricolo (generalmente sx): è la più frequente, con emopericardio e
tamponamento cardiaco (200 cc). Si ha ostacolo alla contrazione e al ritorno venoso; morte nel giro
di minuti. A volte però la persenza di aderenze pericardiche può bloccare la rottura, che può esitare
in uno pseudoaneurisma o falso aneurisma (è una rottura tamponata che esita in un ematoma
saccato, in comunicazione con la cavità ventricolare). La parete è costituita da epicardio e
pericardio parietale. Possono trombizzare, ma quasi tutti si rompono.
Rottura del setto interventricolare (più rara): porta alla creazione di uno shunt sinistro-destro.
Rapida insufficienza ventricolare combinata; morte nel giro di ore o pochi giorni.
Rottura del muscolo papillare (la meno comune) che ha come conseguenza insufficienza mitralica
acuta, importante sovraccarico della pompa cardiaca, scompenso acuto e edema polmonare. Morte
nel giro di minuti o di ore.
-PERICARDITE ACUTA: può complicare un infarto trans murale nei primi 4 gg. È una pericardite
fibrinosa o fibro-emorragica limitata all’epicardio che riveste l’area infartuata. Generalmente
l’infiammazione si risolve con la cicatrizzazione dell’infarto.
La pericardite rappresenta l’epifenomeno, in sede epicardica, dell’infiammazione evocata dal
sottostante infarto transmurale.
-ESTENSIONE DELL’INFARTO: ulteriori aree necrotiche possono svilupparsi alla periferia di un
infarto preesistente.
-ESPANSIONE DELL’INFARTO: dovuta all’indebolimento del muscolo necrotico che può andare
incontro a stiramento, assottigliamento e dilatazione nella regione infartuata.
-INFARTO DEL VENTRICOLO DESTRO: l’infarto isolato del ventricolo destro è raro, ma può
associarsi a danno ischemico della parete posteriore del ventricolo sinistro e del setto
interventricolare. Può causare un serio deficit funzionale.
DOPO SETTIMANE
-SCOMPENSO CARDIACO CRONICO: può comparire a cicatrizzazione già iniziata, quando
l’estensione dell’infarto è tale da comportare particolari difficoltà nell’azione di pompa.
-PERICARDITE DI DRESSLER: è legata probabilmente a una patogenesi immunitaria scatenata
dallo smascheramento di antigeni in corso di infarto. Si sviluppa dopo un periodo di latenza di 10
gg.
MESI
-ANEURISMA VENTRICOLARE: è un aneurisma vero, delimitato da miocardio cicatrizzato. Spesso
associato ad un infarto esteso trasmurale antero-settale, è dovuto alla distensione graduale e
assottigliamento della cicatrice fibrosa, sede di movimento paradosso durante la sistole.
Complicazioni dell’aneurisma ventricolare possono essere trombi murali, aritmie e insufficienza
cardiaca, mentre la rottura della parete fibrosa è rara, ma se avviene dà tamponamento cardiaco e
morte improvvisa.
Mentre l’aneurisma è una dilatazione del solo segmento di parete infartuato, nel
RIMODELLAMENTO SFERICO è tutto il ventricolo sx a dilatarsi. Se l’area non contrattile non
supera il 20-40% del ventricolo sx, si instaura un’ipertrofia compensatoria efficace che riesce a
mantenere inalterata la gittata sistolica. In caso contrario, l’aumento dello stress di parete dovuto
alla dilatazione del ventricolo sx innesca un circolo vizioso che porta a progressiva dilatazione del
ventricolo sx, fino ad un quadro di cardiomiopatia dilatativa secondaria post-infartuale.
5- Valutare il possibile influsso della terapia sull’evoluzione del quadro morfologico (e sulle
possibili complicazioni)
5. Ripristinare più rapidamente possibile la perfusione del tessuto coronarico consente di limitare il
danno miocardio ischemico prodotto dall’infarto, migliorare la funzione ventricolare ed abbassare la
mortalità. Le tecniche utilizzate al fine di ristabilire il flusso coronarico (riperfusione) sono la
trombolisi, la PTCA, e il bypass aorto coronario. Oltre alla riperfusione terapeutica, occorre tenere
conto della riperfusione spontanea, per fenomeni di vasodilatazione e trombolisi, che può rendere
intermittente (stuttering) il danno ischemico. Si parla di riperfusione precoce quando questa
manovra è eseguita a meno di 6 ore dall’esordio della sintomatologia clinica. Lo scopo della
riperfusione precoce è quello di arrestare il fronte d’onda della necrosi prima che abbia interessato
l’intero spessore della parete. Il salvataggio di anche solo una porzione limitata del miocardio
migliora comunque la prognosi a distanza, riducendo le probabilità di evoluzione dell’area
infartuata verso la cicatrice (con il rischio di aneurisma post-infartuale) o verso il rimodellamento
sferico del ventricolo.
La riperfusione, però, può indurre alcuni stati patologici tra i quali:
- aritmie (tachiaritmie da riperfusione),
- emorragia miocardia (trasformazione dell’infarto da ischemico ad emorragico, quando la
riperfusione avviene quando si sono già instaurate lesioni ischemiche del microcircolo,
evenienza più comune con la riperfusione mediante trombolisi),
- necrosi a bande di contrazione delle miocellule (le fibre muscolari appaiono chiare, con
bande intensamente eosinofile che attraversano trasversalmente l’intero spessore cellulare.
Tale alterazione viene attribuita alla morte della fibra muscolare in stato di ipercontrazione,
con addensamento delle zone I, quando il ripristino della circolazione e, quindi, dell’apporto
di ossigeno al miocardio ischemico, può provocare la formazione di radicali liberi in grado
di causare la morte di miocellule lese in modo ancora reversibile -danno letale da
riperfusione-),
- danno vascolare da riperfusione (quando la lesione del microcircolo ne ha condizionato
l’occlusione, con aree di mancata riperfusione -no reflow-). Il danno microvascolare indotto
dalla riperfusione non è responsabile solo dello stravaso ematico, ma anche di un
rigonfiamento dei capillari, che ostacola così la riperfusione del miocardio criticamente
danneggiato.
- prolungata disfunzione ischemica (non consente l’immediata ripresa funzionale del
miocardio riperfuso: per un certo intervallo di tempo, che può durare giorni, le miocellule
rimangono stordite -stordimento miocardio, stunned myocardium- ovvero mostrano
-
anormalità metaboliche e contrattili tali da richiedere talvolta l’impiego di mezzi di
assistenza meccanica temporanea al circolo),
accelera i processi di cicatrizzazione dell’infarto modificandone i criteri di datazione (vedi
tabella).
Intervallo dall’occlusione Quadro macroscopico
coronarica
12 ore
Marezzatura emorragica
24-48 ore
Aspetto francamente emorragico
3-5 gg
6-10 gg
10-14 gg
2-8 sett
Quadro microscopico
Necrosi a bande di contrazione
Miocellule
ipereosonofile,
necrosi a bande di contrazione,
infiltrazione
di
neutrofili,
emorragia
Aspetto francamente emorragico Macrofagi e fibroblasti (+++),
iniziale deposizione di collagene
Area rosso-bruna, depressa, con Cicatrizzazione
precoce,
variegatura biancastra
macrofagi e collagene (+++)
Area grigio-biancastra, con Cicatrizzazione
precoce:
variegatura bruna
collagene (+++)
Cicatrice commista a miocardio Collagene
commisto
a
residuo
miocellule residue
(anche se una riperfusione condotta ad oltre 6 ore dall’esordio non ha alcuna possibilità di arrestare
il fronte d’onda della necrosi, ha alcuni effetti favorevoli:
- aumenta la stabilità elettrica del miocardio
- riduce l’area del miocardio ibernato
- riduce il rischio di rimodellamento sferico post infartuale, facilitando la cicatrizzazione e
favorendo l’ipertrofia compensatoria del miocardio adiacente all’infarto)
Nonostante il completo ristabilimento del flusso, il miocardio ischemico può andare incontro ad
importanti modificazioni funzionali: per giorni possono persistere alterazioni biochimiche e
funzionali dei miociti salvati dalla riperfusione (disfunzione ventricolare prolungata post-ischemica
o miocardio stordito). Lo stordimento può comportare uno stato di scompenso cardiaco reversibile,
superabile mediante la temporanea assistenza cardiologica.
Terapia medica nell’IMA:
 Beta bloccanti : riducono dolore, stress parietale, frequenza e contrattilità cardiaca,
riducono il consumo di O2, l’estensione dell’area necrotica e le recidive (riduzione della
mortalità del 13% in acuto e del 23% in cronico).
 ACE inibitori : diminuiscono la disfunzione ed il rimodellamento ventricolare (compenso
in acuto che può preludere allo scompenso) e il rischio di insufficienza cardiaca congestizia
 Nitrati: sono vasodilatatori e diminuiscono il pre e il post carico del ventricolo sinistro con
riduzione dell’estensione della necrosi e del rimodellamento cardiaco.
 Ossigeno terapia: può diminuire l’estensione dell’infarto.
EVOLUZIONE DEL QUADRO MORFOLOGICO: infarto tipicamente pallido diventa emorragico
stravaso emorragico dopo il ripristino del flusso.
COMPLICANZE: I fenomeni emorragici rappresentano la complicanza più frequente e
potenzialmente più grave. L’ictus emorragico rappresenta la complicanza più grave e i verifica nello
0.5-0.9% dei casi trattati con trombolisi farmacologia, soprattutto in pazienti di età superiore
a 70 anni.
APPARATO RESPIRATORIO
Fibrotorace bilaterale
Enfisema più accentuato ai lobi superiori
Grave edema
Esame istologico: enfisema centro lobulare e bronchite cronica
FIBROTORACE
Con il termine fibrotorace si indica aderenza totale della pleura viscerale con quella parietale e
conseguente obliterazione completa del cavo pleurico accompagnata da eventuale retrazione e
deformazione della gabbia toracica. È l’esito di:
-processi pleuritici fibrinosi o siero fibrinosi
-pleuropolmoniti post-traumatiche (che si instaurano a seguito di gravi traumi toracici che hanno
causato fratture costali multiple con emotorace massivo che a sua volta genera sequele fibrocalcifiche, tanto più che si complica con un empiema )
-irradiazione toracica ad alte dosi
-nel decorso evolutivo di mesotelioma pleurico di derivazione asbestosica e di alcune
collagenopatie
- in questi ultimi anni ancora sopravvive il fibrotorace tubercolare, seppure con rara casistica in età
geriatrica, tanto da poterlo ritenere un'entità in via di estinzione
- può derivare derivare dalla pleurite essudativa specifica (fibrotorace post-pleuritico) o dalla
patologia iatrogena conseguente alla terapia pneumotoracica complicata da versamento pleurico
(fibrotoracemetapneumotoracico).
Dal punto di vista radiologico, si presenta come opacizzazione diffusa di un intero emitorace, con
zone di calcificazione (soprattutto pleurica, in forma di chiazze "a osso di seppia") e zone
trasparenti o ipertrasparenti per formazione di aree enfisematose.
PUNTI DA APPROFONDIRE
1-Chiarire eventuali rapporti fra bronchite cronica, tipo di enfisema e danno polmonare e
cardiaco
Rapporto bronchite cronica-enfisema centrolobulare Le malattie ostruttive croniche delle vie
aeree (bronchite cronica, enfisema polm, bronchiolite, bonchiectasie e asma bronchiale)sono
accomunate da un’ostruzione cronica o ricorrente delle basse vie aeree. Si tende comunque a
considerare la bronchite e l’enfisema come un unico complesso sindromico (progressiva ostruzione
delle basse vie aeree) definito BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva). La bronchite cronica
interessa i bronchi di grandi e medie dimensioni, l’enfisema gli alveoli ma gli aspetti patogenetici
sono largamente interconnessi tanto che l’evoluzione naturale della bronchite cronica è
rappresentata dall’enfisema polmonare centroacinare. Questa evoluzione enfisematosa è dovuta
all’eziologia comune (fumo che è uno stimolo pro infiammatorio) e al fatto che le esacerbazioni
infettive determinano comunque distruzione tessutale. Infatti, bronchiti ricorrenti, irritazioni e tosse
croniche (con alta pressione centro lobulare) determinano danno strutturale ai bronchioli e agli
alveoli circostanti di tipo enfisematoso.
Rapporto con il danno cadiaco
Cuore polmonare si ha quando vi è dilatazione o ipertrofia del ventricolo dx provocato da
un’alterazione della struttura o della funzione dei polmoni che determina ipertensione polmonare
(Pmedia>20mmHg e Psist>30). Si parla di cuore polmonare cronico se l’ipertensione polmonare è
stabile, almeno sotto sforzo, mentre il cuore polmonare acuto quando l’aumento di pressione è
repentino e transitorio (embolia massiva). Non vengono considerate cuore polmonare le dilatazioni
o ipertrofie del ventricolo dx che dipendono da altre cause come scompenso sx, stenosi mitralica,
cardiopatie congenite.
-ci può essere IPNT polmonare senza cuore polmonare ma non il contrario
-cuore polmonare non è sinonimo di scompenso dx: si arriva allo scompenso quando il sovraccarico
di pressione supera i meccanismi di compenso del ventricolo dx. Inoltre lo scompenso dx può cmq
essere generato da cause diverse (cardiopatia ischemica, valvulopatie, vizi congeniti, scompenso
sx…).
Cause:
6. Alterazioni anatomiche del letto vascolare
Il letto vascolare polmonare presenta un’ampia riserva, nel senso che in condizioni normali
non tutti i vasi sono aperti, ma rimangono chiusi in modo tale da poter essere “reclutati” in
caso di bisogno (come sforzo) in modo da impedire l’aumento delle resistenze quando
aumenta il flusso. Occorre la distruzione di almeno 2/3 del letto vascolare perché si
manifesti una rilevante IPNT polm.
-IPNT polm primitiva, idiopatica
-embolie polmonari ricorrenti (generalmente occulte)
-distruzione vasale per: fibrosi interstiziali, granulomatosi aspecifiche, pneumoconiosi,
carcinoma infiltrante.
7. Vasocostrizione polmonare
Lo stimolo più importante è l’ipossia, determinata da:
-ipoventilazione alveolare generalizzata che si verifica in: deficit neurologico, muscolare,
alterazioni della cassa toracica, ostruzione delle vie aeree superiori, obesità grave.
In qsto caso abbiamo anche ipercapnia (che può determinare distrurbi neurologici fino al
coma) e acidosi respiratoria (che a sua volta peggiora la vasocostrizione).
L’ipossia stimola la produzione di EPO renale e determina policitemia, che contribuisce
all’IPNT polm.
-alterazione del rapporto V/Q: BPCO, fibrosi cistica.
La BPCO è la causa + frequente di cuore polmonare. Determina IPNT polm attraverso tutti i
meccanismi sopracitati: riduzione anatomica del letto vascolare, vasocostrizione polm (da ipossia e
acidosi) e aumento della viscosità ematica (da policitemia).
Morfologia: tutte le arterie polm sono colpite, sptto le arteriole. Il Grading microscopico (effettuato
tramite biopsie polmonari) corrisponde allo stadio della malattia:
I grado: ipertrofia muscolare
II grado: proliferazione cell endoteliali
III grado: fibrosi intimale laminare concentrica
IV grado: vasculite necrotizzante
V grado: lesioni plessiformi
VI grado: dilatazioni microaneurismatiche e lesioni angiomatoidi
È possibile che il pz abbia sviluppato un cuore polmonare a causa della patologia primitiva
bronchitica cronica, poi evolutasi in enfisema polmonare. L’ipnt del piccolo circolo ha determinato
ipertrofia ventricolare dx prima e successivamente insufficienza: sono infatti presenti segni di
scompenso dx come edemi declivi e epatomegalia con stasi cronica. L’ipertrofia ventricolare sx
potrebbe essere stata determinata da IPNT sistemica, in parte potrebbe essere compensatoria da
danno ischemico cronico.
2. Metodiche diagnostiche nella bronchite cronica
Clinica: pz che presenta tosse produttiva persistente per almeno 3 mesi per almeno 2 anni
consecutivi, in assenza di qualsiasi altra causa identificabile.
Autoptica: In sede autoptica, la gravità della malattia può essere misurata con l’indice di Reid che è
il rapporto tra lo spessore dello strato ghiandolare cioè della sottomucosa contenente le ghiandole e
lo spessore della parete tra l’epitelio e la cartilagine. Un rapporto > 0,5 è patologico (normale fino a
0,4). Da notare che in stadio avanzato la parete si può assottigliare con atrofia di tutte le strutture.
Spirometria: sindrome ostruttiva, aumento del VR, CPT; VR/CPT; riduzione VEMS, VEMS/CV,
CV normale o ridotta.
Rx torace: accentuazione della componente bronco vascolare, ispessimento pareti bronchiali,
opacità peribronchiali e bronchiali (da tappi di muco).
Esame dell’espettorato: prevalentemente microbiologico nelle riacutizzazioni. Utile anche nella
valutazione di trasformazione neoplastica.
APPARATO DIGERENTE
Esofago, stomaco, intestino tenue: nulla di patologico da segnalare.
Colon: malattia diverticolare del sigma.
FEGATO E VIE BILIARI
Fegato del peso di 1900 gr da stasi cronica.
Colecisti: nulla di patologico da segnalare.
Vie biliari pervie.
PANCREAS
Nulla di patologico da segnalare.
PERITONEO E RETROPERITONEO
Modesto versamento trasudatizio.
MILZA ED ORGANI EMOPOIETICI
Milza da stasi cronica.
APPARATO NEFROURINARIO
Reni del peso di 140 gr, senza evidenti alterazioni macroscopiche.
Vescica contenente coaguli ematici. Trasformazione a colonne della parete. Presenza di numerosi
piccoli diverticoli.
Esame istologico: lesioni diffuse con danno glomerulare ialino-ischemico, tubulare atrofico e
arteriosclerotico grave. Glomerulosclerosi nodulare diabetica.
Vescica a colonne con piccoli diverticoli: questo quadro è conseguenza di un’ostruzione a livello
uretrale-del collo vescicale. Nel nostro caso il pz aveva un’iperplasia prostatica di vecchia data che
può giustificare il quadro. Altre cause di ostruzione uretrale che possono portare alla comparsa di
vescica a colonne sono:
- restringimento o stenosi congenita dell’uretra,
- stenosi infiammatoria dell’uretra,
- fibrosi infiammatoria e contrazione della vescica conseguenti a vari tipi di cistite,
- tumori della vescica in localizzazioni strategiche,
- invasioni secondarie del collo vescicale da neoformazioni che originano da strutture
perivescicali,
- ostruzioni meccaniche da corpi estranei-calcoli,
- lesioni dell’innervazione vescicale che determinano una vescica neurologica.
Nelle prime fasi si verifica solo un ispessimento della parete vescicale (da verosimile ipertrofia del
muscolo liscio). Con la progressiva ipertrofia del rivestimento muscolare i singoli fasci muscolari
aumentano notevolmente di volume e producono trabecolazione della parete vescicale; nel tempo si
possono formare cripte che possono diventare veri e propri diverticoli acquisiti (falsi diverticoli).
È l’aumento della pressione endovescicale che causa l’estroflessione della parete vescicale e la
formazione di diverticoli. Questi sono frequentemente multipli e hanno uno stretto colletto posto in
mezzo a fasci muscolari ipertrofici intrecciati. Il diverticolo normalmente consiste in una tasca di
forma rotondeggiante o ovoidale, simile ad una sacca, la cui grandezza varia da meno di 1 cm a 510 cm di diametro. La maggior parte dei diverticoli è piccola e asintomatica, ma essi possono essere
clinicamente significativi, poiché costituiscono siti di stasi urinaria e predispongono all’infezione e
alla formazione di calcoli vescicali. Possono predisporre al reflusso vescico-ureterale come risultato
di una lesione dell’uretere e raramente possono essere sede di insorgenza di carcinomi.
(richiami di anatomia: la mucosa della vescica è ricoperta di epitelio transizionale che presenta un
sottile strato di tessuto connettivo elastico noto come lamina propria. Il muscolo detrusore vescicale
è composto da fibre muscolari lisce senza distinzione di strati. Fa eccezione il trigono, un’area
triangolare che giace tra gli osti uretrali e l’apertura del collo vescicale. In questa area la parete
muscolare ha due strati, uno strato superficiale fuso con la muscolatura ureterale ed uno strato più
profondo indistinguibile dal detrusore).
Interessamento renale in corso di di diabete: le lesioni più frequenti interessano i glomeruli e si
associano a tre sindromi glomerulari, ovvero proteinuria non nefrosica, sindrome nefrosica e IRC. Il
diabete colpisce anche le arteriole causando scleroialinosi arteriolare (caratteristico del diabete è
l’ispessimento ialino della parete non solo dell’arteriola afferente, comune in varie condizioni
ipertensive, ma anche di quella efferente), aumenta la suscettibilità alle pielonefriti (spt alla necrosi
papillare) e causa una serie di lesioni tubulari.
Nefropatia diabetica indica l’insieme di lesioni che spesso si verificano contemporaneamente nel
rene diabetico. La glomerulosclerosi diabetica compare in circa il 40% dei pz con DM I e nel 1530% dei pz con DM II.
Le alterazioni morfologiche a carico dei glomeruli comprendono: ispessimento della membrana
basale capillare, sclerosi mesangiale diffusa, glomerulosclerosi nodulare.
ISPESSIMENTO DELLA MEMBRANA BASALE CAPILLARE: un diffuso ispessimento della
GMB si osserva in tutti i pz diabetici, indipendentemente dalla presenza di proteinuria, ed è parte
della microangiopatia diabetica. L’ispessimento continua progressivamente in genere
contemporaneamente all’espansione del mesangio. Inoltre compare l’ispessimento delle membrane
basali tubulari.
SCLEROSI MESANGIALE DIFFUSA: consiste nell’incremento diffuso della matrice mesangiale
(gli assi mesangiali sono più modestamente, ma omogeneamente ampliati per aumento della
sostanza fondamentale, rispetto alla glomerulosclerosi nodulare). Si può osservare una lieve
proliferazione delle cellule mesangiali nelle prime fasi di malattia, ma la proliferazione cellulare
non è la fase preponderante di questa lesione. L’aumento del mesangio si associa all’ispessimento
della GMB. I depositi sono PAS positivi. L’espansione del mesangio può arrivare fino ad assumere
un aspetto nodulare. La progressiva espansione del mesangio si correla con gli indici di
deterioramento della funzione renale.
GLOMERULOSCLEROSI NODULARE (glomerulosclerosi intercapillare o malattia di
Kimmelstiel-Wilson): le lesioni glomerulari si presentano sotto forma di noduli ovoidali o sferici,
spesso di aspetto laminato, situati alla periferia del glomerulo. I noduli sono PAS positivi (si
colorano in rosso con il PAS, in rosa con l’eosina, in nero con i sali d’argento e hanno aspetto
compatto). La sostanza ialina del nodulo è costituita da materiale non distinguibile dalla matrice in
cui sono normalmente immerse le cellule mesangiali. Si trovano all’interno dell’asse mesangiale dei
lobuli glomerulari e possono essere circondati da anse capillari beanti o marcatamente dilatate (le
anse capillari sono pervie e assumono una disposizione periferica a corona, in rapporto ai noduli). I
noduli spesso presentano segni di mesangiolisi con sfaldamento dell’interfaccia mesangio-lume
capillare, distruzione dei siti di ancoraggio dei capillari sull’asse mesangiale e conseguente
formazione di microaneurismi capillari, zeppi di emazie (i capillari stessi, senza sostegno
mesangiale vanno incontro a dilatazione per la pressione ed il flusso endoluminare). Nei singoli
glomeruli, non tutti i lobuli sono interessati dalle lesioni nodulari, ma anche i lobuli non coinvolti
mostrano una spiccata sclerosi mesangiale diffusa. Con il progredire della malattia i singoli nodi
aumentano di volume, e possono comprimere e circondare i capillari, occludendo il convoluto
glomerulare. Queste lesioni si accompagnano, a livello del glomerulo, a prominenti accumuli di
materiale ialino (tappi di fibrina, cappe fibrinoidi; sono lesioni essudative costituite da accumuli
tondeggianti o in forma di semiluna posti sul versante interno delle pareti dei capillari che si
colorano positivamente con i metodi per la fibrina e vanno interpretate come materiale plasmatico
filtrato) o aderenti alla capsula di Bowman (gocce capsulari, gocce ialine; passerelle eosinofile
sporgenti nello spazio urinifero, specifiche della nefropatia diabetica). Come conseguenza delle
lesioni arteriolari e glomerulari il rene va incontro ad ischemia, sviluppa atrofia tubulare e fibrosi
interstiziale e generalmente si riduce di dimensioni ( per quanto riguarda i tubuli, dapprima nel TCP
si può osservare una vacuolizzazione delle cellule tubulari a causa dell’intenso riassorbimento
proteico e della presenza di lipidi, successivamente i tubuli vanno incontro ad atrofia e risultano
immersi in stroma fibroso).
La glomerulosclerosi nodulare e la sclerosi mesangiale diffusa sono fondamentalmente lesioni
simili del mesangio, ma la lesione nodulare è altamente specifica per il diabete.
Nb: aspetto simile possono presentare la glomerulonefrite membranoproliferativa (lobulare), la light
chain disease, l’amiloidosi.
Patogenesi: la glomerulosclerosi diabetica sembra essere causata da un difetto metabolico (deficit
insulinico, iperglicemia, intolleranza al glucosio). Tali difetti sono responsabili delle alterazioni
biochimiche a carico della GMB, con aumento della quantità e della sintesi di collagene IV e
fibronectina e riduzione della sintesi di proteoglicani eparan solfati.
Anche la formazione di AGE può contribuire alla glomerulopatia.
Un’ipotesi sull’inizio e sulla progressione della glomerulosclerosi diabetica chiama in causa
alterazioni emodinamiche. La prima fase della nefropatia è caratterizzata da un incremento del GFR
con aumento della pressione nel capillare glomerulare e da ipertrofia glomerulare con aumento della
superficie di filtrazione glomerulare.
ASPETTO MACROSCOPICO: i reni mostrano una variazione simmetrica di volume e possono
essere ingranditi ed anche rimpiccioliti. In concomitanza di una sintomatologia dominata da
proteinuria o sindrome nefrosica e funzione renale conservata, presentano superficie liscia e
corticale tumida. Quando sono rimpiccioliti (in genere questo aspetto è legato a contrazione
funzionale e ipertensione), i reni hanno superficie finemente granulare o solcata da cicatrici,
consistenza aumentata e corticale irregolarmente assottigliata. Alla superficie cortico-midollare le
arterie mostrano parete rigida, ispessita, debordante sulla superficie di taglio.
ALL’IMMUNOFLUORESCENZA: depositi lineari di IgG (da intrappolamento). La si ritiene una
falsa positività dovuta ad incarceramento delle proteine plasmatiche nelle MB alterate.
Altre lesioni morfologiche nel diabete:
Pielonefrite acuta:
è una nefropatia tubulo-interstiziale da causa infettiva, caratterizzata da infiammazione acuta focale
del parenchima renale estesa dalla corticale alla midollare. Si differenzia dalla nefrite interstiziale,
in cui il danno infiammatorio è limitato al parenchima ed è legato ad un’infezione renale
particolarmente severa in cui l’infiltrazione granulocitaria è più accentuata che nella PNA.
Corrisponde all’attuale accezione di lobar nephronia.
MACRO: reni ingranditi e rigonfi con ascessi giallastri sulla superficie, numerosi e di piccole
dimensioni prevalenti nella corteccia. Talora gli ascessi possono confluire in più ampie raccolte e
addirittura aprirsi, attraverso la capsula nel tessuto adiposo che circonda il rene, formando ascessi
perirenali. Al taglio gli ascessi appaiono come aree rotondeggianti giallastre, circondate da un alone
emorragico, a localizzazione prevalentemente corticale. Le papille che drenano le aree corticali
colpite dall’infezione mostrano striature giallastre parallele che corrispondono ai dotti collettori
zaffati di granulociti neutrofili. Può complicarsi con necrosi delle papille spt nei pz diabetici.
MICRO: infiltrazione di granulociti dentro e intorno ai tubuli (caratterizzati dalla presenza di
epitelio necrotico) con possibile formazione di microascessi, fino ad arrivare alla formazione di aree
di escavazione ascessuale circondati da campi di connettivo fittamente infiltrato da pmn. Glomeruli
e vasi prevalentemente risparmiati. Carattere focale dell’infiammazione.
Papillite necrotizzante:
si osserva anche per assunzione di grandi quantità di fenacetina (donne di mezza età sofferenti di
emicrania). Macro: varia in rapporto a gravità e durata della malattia. Nelle forme più gravi i reni
hanno dimensioni normali o ridotte. La superficie esterna presenta aree infossate in corrispondenza
delle papille necrotiche e aeree rilevate in corrispondenza delle colonne del Bertin (risparmiate e
talora ipertrofiche). Al taglio la corticale appare assottigliata eccetto che in corrispondenza delle
colonne del Bertin Tutte le papille sono coinvolte (nella necrosi papillare da analgesici), ma le
lesioni sono di varia gravità e il limite tra tessuto necrotico e tessuto risparmiato è sfumato. Le
papille sono retratte, di colorito bianco sporco o brunastro con più o meno ampie concrezioni
calcaree. Talora gli apici sono necrotici, si staccano e si ritrovano nella cavità pielica. Nel
DIABETE non tutte le papille sono colpite ma quelle interessate dal processo necrotico hanno lo
stesso aspetto. Inoltre la demarcazione tra tessuto necrotico e tessuto sano è netta per la presenza di
una vallo di PMN e le calcificazioni parenchimali sono rare.
Nefrosclerosi:
dal punto di vista clinico alla nefrosclerosi corrisponde un innalzamento lento e progressivo dei
valori pressori diastolici, la funzione renale è per lungo tempo conservata e in questi soggetti le
cause di morte più comuni sono quelle di origine cardiaca (IMA) o cerebrale.
Macro: nel caso di malattia ipertensiva di lunga durata i reni sono ridotti di volume e sono
simmetricamente colpiti, hanno capsula aderente alla superficie che appare finemente granulare in
seguito alle lesioni delle più fini diramazioni arteriose. Al taglio la corticale è assottigliata.
Micro: 1) danno arteriosclertorico delle a. arciformi e interlobulari, con ispessimento fibroso
intimale, riduzione del calibro e frammentazione della lamina elastica interna, che può apparire
anche reduplicata, atteggiandosi in formazioni multilaminari concentriche. Le lesioni della media
sono scarse e legate ad un ispessimento sostenuto dall’iperplasia delle cellule muscolari lisce;
2) arteriolosclerosi ialina: ispessimento in toto della parete delle arteriole per la deposizione di
materiale ialino PAS positivo. La deposizione è focale con aspetti più evidenti nei tratti prossimali
delle arteriose afferenti e, nei diabetici soprattutto, nelle arteriose efferenti. È una lesione
riscontrabile anche in soggetti anziani non diabetici;
3) glomeruli possono essere normali oppure ischemici, con matassa glomerulare ipocellulare e
membrane basali ispessite e ripiegate con lumi dei capillari poco evidenti e spazio urinifero
occupato da materiale amorfo, debolmente PAS positivo, riferibile a collagene nel cui contesto sono
sporadiche cellule fusate di natura fibroblastica. Il danno ischemico glomeulare risulta comunque
ben evidente sulle sezioni colorate con PAS reazione;
4) tubuli atrofici per la carente irrorazione sanguigna (possono anche essere ipertrofici). I tubuli
atrofici possono presentarsi con membrana basale ispessita e lume virtuale, ma anche dilatati e
conteneti cilindri ialini.
5) in rapporto con i glomeruli ischemici e le aree di atrofia tubulare l’interstizio è aumentato in
ampiezza, finemente fibroso, più o meno infiltrato di elementi mononucleati.
Questi aspetti microscopici definiscono la NEFROSCLEROSI BENIGNA; in quella maligna (da
ipertensione maligna) vi è necrosi fibrinoide delle arteriole e dei glomeruli.
Sovrapposizione di una seconda nefropatia su preesistente glomerulosclerosi diabetica:
prevalentemente GN membranosa o GN a depositi di IgA.
- GN membranosa: è la causa più frequente di s. nefrosica negli adulti. È caratterizzata da diffuso
ispessimento della parete capillare glomerulare (della GMB) e dall’accumulo di depositi
elettrondensi di Ig (spt IgG) lungo il lato subepiteliale della membrana basale. I fattori causali non
sono conosciuti (glomerulonefrite membranosa idiopatica, 80%); la glomerulonefrite membranosa
che si manifesta in associazione ad altre malattie sistemiche e ad una varietà di agenti eziologici
identificabili (farmaci come penicillamina, fans, oro, captopril; tumori maligni cm k polmone,
melanomi e k colon; LES; infezioni, spt da HBV, HCV, treponema pallidum, schistosoma,
plasmodium falciparum; altre patologie autoimmuni come la malaria) è detta secondaria.
Caratteristiche AP: al MO i glomeruli presentano uniforme e diffuso ispessimento della parete
capillare glomerulare. In ME si nota come l’ispessimento sia causato da irregolari depositi densi tra
la membrana basale e le sovrastanti cellule epiteliali, che mostrano una scomparsa di processi
pedicillari. Tra questi depositi si osserva la formazione di materiale simile alla membrana basale
che appare sottoforma di spikes irregolari che protrudono dalla GMB (e che si osservano meglio
con le colorazioni all’argento che colorano la GMB). Con il tempo gli spikes si ispessiscono, la
membrana si ispessisce schiacciando il lume capillare e può manifestarsi sclerosi del mesangio, nel
tempo i glomeruli possono diventare completamente sclerotici. In fase avanzata di malattia i
depositi perdono la loro caratteristica elettrondensità e, lasciando spazi chiari, conferiscono alla
GMB un aspetto tarlato. L’IF dimostra depositi granulari ravvicinati lungo la GMB, la positività è
spiccata e consistente per IgG e C3, in 1/3 dei casi ci sono anche IgM.
- GN a depositi di IgA (Gn di Berger, è una glomerulonefrite proliferativi focale): è la GN
primitiva più diffusa al mondo; può presentarsi in corso di porpora di Schonlein-Henoch. Mostra
prominenti depositi di IgA nelle regioni mesangiali individuabili con l’IF (la diagnosi viene posta di
solito sulla base di tecniche immunoistochimiche). Caratteristiche AP: le lesioni possono variare
notevolmente, i glomeruli possono apparire normali o mostrare espansione e proliferazione del
mesangio, proliferazione segmentale limitata ad alcun glomeruli o, raramente, una vera e propria
glomerulonefrite a semilune. Sono di riscontro abbastanza frequente anche aspetti focali e
segmentali di proliferazione endocapillare. In casi di lunga durata, possiamo riscontrare anse
capillari collassate e aree di sclero-ialinosi mesangiale. Il danno tubulo-interstiziale varia da caso a
caso, così come la frequenza di sclero-ialinosi arteriolare. All’IF il quadro tipico è quello di depositi
mesangiali granulari di IgA, spesso associati a C3 e ad una minore quantità di IgG ed IgM. La ME
conferma la presenza di depositi mesangiali elettrondensi, e in alcuni casi anche la presenza di
depositi a livello della GMB. Si presenta con ematuria macroscopica e dolore al fianco (30%)
oppure con ematuria microscopica e proteinuria (32%).
PUNTI DA APPROFONDIRE
1. In rapporto ai dati fin qui riportati, discutere le possibili cause della progressiva
insufficienza renale.
2. Elencare le possibili cause della macroematuria e discuterne la maggiore/minore probabilità
nel paziente in questione.
1. il quadro presentato è quello di un rapido peggioramento acuto della funzione renale, quindi una
IRA. Le cause di IRA possono essere pre-renali, renali o post-renali. In questo caso abbiamo un
insieme di cause che possono essere alla base del peggioramento acuto della funzione renale.
Innanzitutto c’è un rene già compromesso dalla patologia diabetica con quadri di glomerulosclerosi
nodulare, atrofia tubulare e arterioslclerosi-arteriolosclerosi diffusa. Su questa base si è inserito un
peggioramento acuto (IMA) di una funzione emodinamica già compromessa, come testimoniano i
reperti di scompenso cardiaco cronico, che probabilmente hanno portato ad una ipovolemia relativa
con ipoperfusione renale e verosimile IRA prerenale. Non sembra importante, nella patogenesi
dell’IRA, invece il ruolo dell’IPB che ha condizionato il quadro di vescica a colonne con
diverticoli. A livello renale non ci sono infatti reperti di una patologia da reflusso e comunque il pz
è stato trattato con TUR.
2. l’ematuria può riconoscere diverse origini: renale/ureterale, vescicale e uretrale. Dato che il
paziente in causa aveva coaguli vescicali, indice di sanguinamento importante dall’urotelio, è
possibile escludere la presenza di una GMN (avrebbe potuto essere una gmn di Berger sovrapposta
alla nefropatia diabetica) e un sanguinamento basso, di origine uretrale.
Le cause principali di ematuria isolata possono essere:
- neoplasie vescicali-ureterali,
- calcolosi,
- traumi,
- TBC,
- prostatite,
- cistite emorragica,
- TAO,
- infezione delle vie urinarie.
Anche l’infarto renale può provocare ematuria.
Il rene è un sito favorito per la comparsa di infarti renali (circolazione terminale con scarsa
possibilità di circoli collaterali, enorme flusso ematico). Le cause di infarto renale possono essere
un’aterosclerosi in fase avanzata, una vasculite, ma soprattutto delle embolie (spt a partenza da
trombi murali di atrio e ventricolo sx). La maggior parte degli infarti renali sono anemici, entro 24 h
l’area infartuata diventa ben demarcata, pallida con aree bianco-giallastre con piccoli ed irregolari
foci di discromia emorragica, di solito queste aree sono circondate da intensa iperemia. In sezione
l’infarto è a forma di cuneo, con base verso la corticale ed apice verso la midollare. Queste aree
vanno poi incontro a fibrosi. Le alterazioni istologiche sono quelle tipiche di una necrosi ischemica
coagulativa. Nel nostro caso, il pz non aveva tali reperti patologici, era in TAO e si dovrebbe
ipotizzare un infarto importante con necrosi per giustificare la presenza di coaguli in vescica.
Nel nostro caso il paziente aveva effettuato la terapia per l’IMA il gg prima della comparsa
dell’ematuria, e viene riportato che l’ematuria è verosimilmente dalle basse vie (emazia ben
conservate). Il sanguinamento potrebbe essere quindi conseguenza della terapia fibrinoliticaanticoagulante a partenza dall’urotelio (dai diverticoli vescicale, dalla sede di pregressa TUR,
traumatismo da catetere?).
Cosa si fa in caso di ematuria? Si effettua un esame urine con sedimento e si manda il campione
(50-100cc, la seconda urina del mattino per tre gg consecutivi). Per valutare la citologia cellulare
l’anatomopatologo fa un sedimento particolare, il citospin: è una provetta particolare, con un foro al
fondo, che durante la centrifugazione delle urine “spara” le cellule del campione direttamente su un
vetrino, formando due piccoli cerchi che l’anatomopatologo poi esamina.
APPARATO GENITALE
Iperplasia della prostata.
TECNICHE D’INDAGINE APPARATO RESPIRATORIO
CITOLOGIA
indicazioni:
masse polmonari; sospette infiltrazioni; infiltrati post-infiammatori non risolti; tosse e espettorato;
infezioni in soggetti immunodepressi; pz con tumori laringei.
broncoscopia e espettorato rappresentano il primo step nella diagnostica delle masse polmonari
centrali.
1.Citologia dell’espettorato:
- Utile specie nei pz non ospedalizzati. Se abbondante può essere espressione di una
broncorrea associata a carcinoma bronchiolo-alveolare.
- Su materiale emesso spontaneamente al mattino: si raccolgono e si osservano almeno 3
campioni di espettorato emessi al risveglio (3 espettorati consecutivi per 3 giorni). Nella
citologia polmonare si procede all’allestimento di + vetrini, strisciati a caso nelle varie parti
del campione (per aumentare l’accuratezza dx).
- Materiale raccolto in un unico contenitore nel corso di 3 giorni: concentrazione delle cellule
prima dell’allestimento dei preparati.
- Induzione dell’espettorato mediante aerosol: importante nella dx precoce oncologica quando
il pz è ancora asintomatico o cmq produce poco espettorato. Si può indurre espettorazione:
glicole propilenico al 20% in soluzione salina al 15% somministrato attraverso un
nebulizzatore meccanico ad aria calda oppure glicole propilenico al 20% in soluzione salina
al 10% 5-7 mg di alfa-chimotripsina per agevolare (sostanze irritanti per es. soluzione salina
ipertonica).
Per patologia neoplastica: è la metodica di elezione sia nei programmi di prevenzione secondaria,
sia nei pazienti sintomatici. La sensibilità è più elevata per le neoplasie centrali e varia in funzione
del numero dei campioni esaminati: si consiglia come regola generale l'esame di 3-5 campioni
prelevati in giorni successivi.
E' opportuno utilizzare l'escreato del mattino ricco del secreto accumulatosi nell'albero bronchiale
durante la notte.
Il paziente deve essere istruito sul modo di effettuare una efficace espettorazione e reso edotto che
saliva e catarro nasofaringeo non sono utili all'esame.
E' da sottolineare la particolare utilità di un esame dell'espettorato raccolto poche ore dopo un
esame broncoscopio.
Il materiale, raccolto in recipiente idoneo (capsula Petri), può essere inviato al laboratorio fresco o,
più comunemente, prefissato con alcool denaturato a 95° (per almeno 24 ore). Il materiale fresco
deve pervenire al laboratorio entro 2-4 ore dal prelievo e va esaminato per striscio ponendo
particolare attenzione a scegliere accuratamente i frustoli più densi, specie se striati di sangue. Il
materiale prefissato con alcool etilico 95° o con liquido di Saccomanno (alcool 50° più 2% di
glicole polietilenico) non richiede un invio sollecito. Se si usa il liquido di Saccomanno, si possono
raccogliere nello stesso contenitore gli escreati di giorni successivi. E' questa la metodica di
elezione nello screening. Gli escreati già fissati in alcool 95° vanno tenuti nel fissativo per una notte
e poi inclusi in paraffina e colorati con ematossilina-eosina. Si chiamano cito-inclusi, dopo la
fissazione, i campioni possono rimanere a temperatura ambiente o possono essere conservati in
frigorifero a 4+/-2 C.
Per esame colturale: raccogliere l'espettorato dopo un forte colpo di tosse di prima mattina.
L'espettorato deve essere profondo, cioè provenire dalle basse vie aeree ed essere contaminato il
meno possibile da saliva. Prima di effettuare l'esame colturale il laboratorio effettua una valutazione
della idoneità del campione mediante esame microscopico di Gram. Qualora il campione non risulti
idoneo verrà comunicato di ripetere la raccolta
Fissativo di Saccomanno
componenti: Carbowax (glicole polietilenico), Etanolo 95° e Acqua deionizzata; applicazione:
Fissativo pronto all’uso per campioni citologici fluidi, in particolare escreati ricchi di muco. Il
fissativo provoca la lisi dei globuli rossi e rende solubile mucoproteine non coagulate,
predisponendo il campione alle successive operazioni di citocentrifugazione o filtrazione.
Osservazione macroscopica aspetto mucoide e traslucido, colore bianco-grigiastro nella fase
catarrale delle tracheobronchiti. L’aspetto purulento è torbido, giallo-verdastro tipico degli ascessi
polmonari. Il materiale mucopurolento è frequente nelle bronchiti e nelle broncopolmoniti, nella
TBC e nelle bronchiectasie. Nella TBC il volume dell’esepttorato raramente è > 25 ml/die se non ci
sono lesioni cavitarie e bronchiectasie. Nei bronchiectasici, l’espettorazione > 100ml/die. Aspetto
siero-mucoso o sieroso, schiumoso, è suggestivo di edema polmonare acuto. L’espettorazione di
materiale mucoso, misto a sangue è comune nella TBC, polmoniti, bronchi ectasie e tumori maligni.
Criterio di adeguatezza macrofagi alveolari (il pigmento antracotico testimonia la loro origine
endoalveolare). Infatti l’escreato è costituito principalmente da secrezioni provenienti dall’albero
tracheobronchiale più che dalle alte vie aeree. Il riscontro di macrofagi alveolari e di altre cellule
infiammatorie indica che il campione ha origine dai segmenti più distali dell’albero respiratorio,
mentre la presenza di cellule squamose epiteliali segnala la contaminazione con secrezioni
provenienti dalle vie aeree superiori.
Colorazione di Gram e colture per i comuni patogeni batterici; si possono ricercare anche altri
patogeni, come colorazione e esame colturale per micobatteri o funghi, colture virali e la
colorazione per Pneumocystis Carinii.
Colorazione di Papanicolaou consente indagine non invasiva per la ricerca di cellule neoplastiche.
Tecniche di concentrazione dell’espettorato per migliorare l’accuratezza dx è meglio selezionare,
per l’esecuzione degli strisci, le zone + sospette dei campioni di espettorato, allestire molti preparati
da un singolo campione, eseguire indagini ripetute, concentrare il materiale cellulare contenuto nei
diversi campioni. Sono stati sviluppati dei metodi che consentono di osservare tutte le cellule
presenti in un campione di espettorato:
a. Liquefazione mediante digestione enzimatica
2 tecniche
-per ciascun campione, si aggiungono 10 mg di tripsina cristallina a 10 ml di Isolyte E., una
soluzione elettrolitica bilanciata. Qsta soluzione viene miscelata all’espettorato in una provetta,
nella quale si introduce un segmento di filo metallico. La provetta viene posta in agitatore
automatico per 30 min a 35-45 C (lampade infrarosse). Si getta poi via il filo metallico e la provetta
contenete il materiale digerito viene centrifugata per 15 min a 2500 rpm. Gli strisci vengono allestiti
con la tecnica di strisciamento tra 2 vetrini a partire dal sedimento.
-L’espettorato viene raccolto in un matraccio contente 20 ml di formalina al 2% in soluzione
elettrolitica bilanciata. La digestione enzimatica avviene mediante aggiunta di una soluzione di 10
mg di tripsina disciolti in 5 ml della stessa soluzione elettrolitica e quindi filtrati. La liquefazione è
facilitata pipettando il materiale per 10 min o passando la miscela espettorato-tripsina-soluzione
elettrolitica in una provetta contenete delle palline di vetro che viene agitata. Si centrifuga poi per 5
min a 2000 rpm.
-La digestione dell’espettorato può essere ottenuta anche con ialuronidasi e chinotripsina.
b. Emulsione e miscelazione ad alta velocità
2 tecniche
-l’espettorato viene raccolto in una fiaschetta contenete 35 ml di formalina al 10% e emulsionato
applicando un agitatore di forma elicoidale che ruota a 2000 rpm per 10 sec. Le cellule vengono
isolate e raccolte mediante filtrazione su filtri Millipore, che vengono poi disciolti in acetato di etile
o tetraidrofurano.
-l’espettorato viene raccolto in una fiaschetta piena per metà di alcool etilico o isopropilico al 50%
contenente il 2% di glicole propilenico???. Il campione viene quindi portato fino ad un volume tot
di 50-100 ml mediante ulteriore aggiunta di alcol etilico al 50%. L’espettorato così diluito viene
emulsionato in un’apposita centrifuga per 5 min a 1500 rpm. 1 o 2 gocce del sedimento vengono
strisciate su vetrino con la tecnica di strisciamento. Qsta tecnica ha il vantaggio di consentire la
raccolta di + campioni nello stesso contenitore e di mantenere la fissazione per almeno 1 mese.
2. Metodiche eseguite in corso di broncoscopia:
È un esame che permette una visualizzazione diretta dell’albero tracheobronchiale, fino ai bronchi
segmentari. Attualmente praticata mediante strumenti flessibili e fibre ottiche. La broncoscopia con
fibroscopio rigido è invece eseguita in camera operatoria; ha ancora un ruolo in alcune circostanze,
principalmente per la presenza di un canale per aspirazione + grande e per la possibilità di ventilare
il pz attraverso il canale del broncoscopio (recupero di corpi estranei, aspirazione di emorragie
massive).
Broncoscopia con broncoscopio flessibile a fibre ottiche eseguito su pz svegli. Il broncoscopio
viene inserito attraverso il naso o la bocca. Si possono visualizzare tutte le porzioni dell’albero
tracheobronchiale fino ai bronchi segmentari.
Indicazioni: dx e stadiazione di malattia nei pz con neoplasia polmonare primitiva o mtx; dx in pz
con tosse cronica da cause ignote; emottisi (per ricerca di sede e causa); identificare agenti
eziologici di infezioni polmonari; causa di infiltrati, ipossiemia, febbre nei pz immunodepressi;
biopsie transbronchiali e lavaggi bronco alveolari per patologie infiltrative; ottenere tessuto linfoide
bronchiale/mediastinico; valutare laringe in pz che hanno aspirato fumo o con ustioni dell’apparato
respiratorio.
Controindicazioni: instabilità cardiovascolare; alterazioni dello scambio gassoso, trasporto di O2
insufficiente; diatesi emorragica.
Complicanze: morte nei pz con BPCO/coronaropatie/polmoniti/neoplasia avanzata; pnx; aritmie.
Procedure
Lavaggio bronchiale: instillazione di soluzione salina sterile, attraverso il canale del broncoscopio,
sulla superficie della lesione. Una parte del liquido è prelevata mediante aspirazione tramite lo
stesso broncoscopio; il materiale recuperato può essere analizzato per lo studio citologico o
batteriologico (colorazioni convenzionali ed esami colturali). E' particolarmente consigliato dopo lo
spazzolato bronchiale per raccogliere le cellule disperse nel lume bronchiale.
Vengono inviati a fresco in laboratorio. Possono avere 2 destini:
- fissati in alcol a 95° o in fissativo di Dubosh (vengono poi trattati come citoinclusi, cioè
inclusi in paraffina e colorati in ematossilina e eosina).
- il campione inviato a fresco in laboratorio, viene citocentrifugato (diviene un citologico in
strato sottile). Serve per studiare le popolazioni cellulari linfocitarie.
Liquido di Duboscq - Brasil: costituito da 150 ml di alcool etilico 80°, 60 ml di formaldeide 40%,
15 ml di acido acetico glaciale ed 1 g di acido picrico.
Utile per la diagnosi di infezioni (specie Pneumocysti Carinii), patologie interstiziali, sarcoidosi,
proteinosi alveolare.
Procedura: anestesia superficiale per aerosol; inserire il broncoscopio per via trans-nasale o per via
trans-orale (paziente non intubato) oppure attraverso il tubo endotracheale (paziente intubato);
iniettare S.F. (con NaCl 0,9% in aliquote di 5-20 ml per un quantitativo totale massimo di circa 100
ml) con siringa applicata esternamente al broncoscopio; rinviare le operazioni di brushing o le
biopsie a quando la raccolta del materiale di lavaggio bronchiale sarà stata ultimata: un eccessivo
sanguinamento nel liquido di recupero potrebbe modificare il rapporto tra le componenti cellulari e
quelle non cellulari; aspirare la soluzione fisiologica direttamente nella provetta del set monouso
prima di iniettare al paziente l’aliquota successiva. Mediamente viene recuperato circa il 50-75%
del liquido iniettato. Raccogliere ogni aliquota in un contenitore dedicato; addizionare in un unico
contenitore solo il materiale prelevato dallo stesso sito anatomico;
Brushing (spazzolamento bronchiale) o biopsia: si usa una piccola spazzola o una pinza bioptica
poste all’estremità di un cavo introdotto attraverso il broncoscopio. Queste tecniche consentono il
recupero di materiale cellulare o di frammenti di tessuto che vengono poi analizzati con tecniche
citologiche e istopatologiche standard.
Brushing: non diagnostica validamente lesioni periferiche, metastatiche, sottomucose.
Criteri di adeguatezza: globet cells (cellule caliciformi), cellule ciliate colonnari e macrofagi
alveolari
I preparati citologici possono essere allestiti direttamente da chi esegue l'esame; in questo caso è
necessario che il materiale sia strisciato delicatamente ed il velo assai sottile fissato
immediatamente in alcool 95° o con fissativo di pellicola (es. Cytospray o Cytofix: alcool 95° +
2% di cera). Lo spazzolato può essere indirizzato all’asciugatura all’aria per colorazione Giemsa.
Altra colorazione è Papanicolau. In alternativa la spazzola può essere posta in una provetta con
alcool 50° curando di ruotarla energicamente nel liquido fissativo. Per patologia neoplastica: la
citologia esfoliativa ha un’attendibilità del 90-95%, i casi dubbi sono classificati di grado 3, quelli
sicuri di grado 4 e quando vi sono frustoli di carcinoma di grado 5. Altri tipi di risposta possono
essere materiale non idoneo, atipie cellulari non specificate. In caso di quadro sospetto è consigliata
la ripetizione dell’esame, i falsi negativi per cancro sono quei casi in cui non si è verificato
sfaldamento di cellule al momento del prelievo mentre i falsi positivi sono dovuti a cellule
infiammatorie con nucleo globoso ed ipercromico.
Lavaggio bronco alveolare (washing): ha potere diagnostico inferiore rispetto al brushing ma utile
per patologie alveolari, infezioni e carcinoma bronchiolo-alveolare. Il broncoscopio può prelevare
campioni non solo dalle vie aeree direttamente visualizzate, ma anche da porzioni + distali del
parenchima polmonare. Tecnica utile per l’isolamento di microrganismi come P. Carinii nei pz
HIV.
Procedura: anestesia e sedazione leggera (possibilmente evitando l’impiego di xylocaina); inserire il
broncoscopio e incuneare la punta in un ramo sub-segmentale facendo avanzare il più possibile lo
strumento durante un’inspirazione profonda; iniettare soluzione salina sterile per un quantitativo
pari a circa 100-150 ml (quantitativo totale massimo di 200 ml) con siringa applicata esternamente
al broncoscopio. E’ opportuno somministrare in aliquote di 20 ml (almeno cinque) o di 50 ml
(almeno tre); si ottengono così campioni di cellule e microrganismi provenienti anche dagli spazi
alveolari; rinviare le operazioni di brushing o le biopsie a quando la raccolta del materiale di
lavaggio bronchiale sarà stata ultimata: un eccessivo sanguinamento nel liquido di recupero
potrebbe modificare il rapporto tra le componenti cellulari e quelle non cellulari; aspirare la
soluzione fisiologica direttamente nella provetta del set monouso prima di iniettare al paziente
l’aliquota successiva. Mediamente viene recuperato circa il 50-75% (40-60% nei grandi fumatori)
del liquido iniettato. Raccogliere ogni aliquota in un contenitore sterile dedicato; non utilizzare per
le indagini microbiologiche le prime aliquote (“frazione bronchiale”) ma usare invece le aliquote
successive (“frazione alveolare”). La frazione bronchiale può essere utilizzata per ricerche di sicuri
patogeni (Legionella spp. Mycobacterium spp. ecc.); il materiale viene inviato a fresco in
laboratorio, dove viene citocentrifugato (citologia su strato sottile) e sottoposto a colorazione
(Giemsa o Papanicolau).
Indagine colturale: Inviare tempestivamente il materiale in Microbiologia per la coltura non oltre
un'ora dalla raccolta, conservando a temperatura ambiente, in un contenitore sterile. Il ritardo della
consegna può comportare risultati falsi negativi (perdita di vitalità dei patogeni) o falsi positivi
(sovracrescita di flora contaminante).
Analisi cito-immunologica : Conteggio cellulare in camera, conteggio microscopico delle linee
cellulari, immunofenotipizzazione dei linfociti (metodo: citoflourimetro).
Criteri di adeguatezza : come brushing.
Biopsia trans bronchiale: si esegue con gli stessi strumenti usati per le biopsie bronchiali, introdotti
attraverso il broncoscopio nelle piccole vie aeree, permettendo la biopsia di aree di tessuto alveolare
peribronchiale. Tecnica utilizzata sia quando c’è una patologia diffusa sia quando c’è una lesione
localizzata di grandezza adeguata. L’esame viene eseguito sotto guida fluoroscopia per evitare che
la pinza danneggi la pleura (pnx). Altre complicanze sono emorragie polmonari.
Biopsia dei tessuti peritracheali o peribronchiali: l’ago bioptico viene fatto passare attraverso il
broncoscopio e viene introdotto attraverso la parete delle vie aeree. L’ago consente di aspirare, da
masse solide o linfonodali, materiale cellulare che viene analizzato per la ricerca di cellule
neoplastiche.
Per le biopsie: il campione viene fissato in formalina al 4% per 24 h e poi incluso in paraffina.
Altre tecniche: broncoscopia a fluorescenza (per identificare precoci lesioni maligne
endobronchiali) e l’ecografia endobronchiale (per patologie mediastiniche).
Broncoaspirato :
con il sondino endotracheale: in presenza di abbondante secrezione collegare il sondino
endobronchiale direttamente al set monouso. In caso di scarsa secrezione, immettere sterilmente 3-5
ml soluzione fisiologica sterile nel sondino endo-bronchiale, far rimuovere, quanto possibile, le
secrezioni profonde con colpi di tosse ed aspirare nel flaconcino del set monouso.
con l’uso del broncoscopio: in presenza di abbondanti secrezioni collegare il canale di aspirazione
al set monouso. In caso di scarsa secrezione, immettere 3-5 ml di soluzione fisiologica sterile,
attraverso il broncoscopio; far rimuovere, quanto possibile, le secrezioni profonde con colpi di tosse
ed aspirare nel flaconcino del set monouso. È necessario che il pz sia a digiuno da almeno sei ore.
Il materiale va raccolto in contenitore a parete rigida con chiusura ermetica, recante un'etichetta con
cognome e nome del paziente, tipo di materiale, data e provenienza.
Per esame colturale: Inviare tempestivamente il materiale in Microbiologia non oltre un'ora dalla
raccolta (al massimo a 4 C per non + di 2 ore), conservando in temp. ambiente: il ritardo nella
consegna può comportare risultati falsi negativi (perdita di vitalità dei patogeni) o falsi positivi
(sovracrescita di flora contaminante).
Per patologie neoplastiche: nonostante il prelievo sia più mirato, la sensibilità non supera quella
dell'escreato.
Il materiale deve essere prefissato in alcool 50° (o 95?) oppure strisciato direttamente sui vetrini
facendo seguire immediata fissazione; si pone in liquido fissativo con acido picrico (liquido di
Dubosh), per una notte e il giorno successivo inclusione in paraffina e colorazione in ematossilinaeosina (citoincluso).
Nelle neoplasie di piccole dimensioni e periferiche, l’indagine citologica è resa + difficile dalla
scarsa disponibilità di materiale emesso spontaneamente o raccolto mediante aspirazione
bronchiale.
3. FNAB (PERCUTANEO) agoaspirazione Utile per diagnosi di neoplasie-infezioni-patologia
infiammatoria. Maggiore utilità nella diagnosi di malignità e da ottimi risultati in caso di neoplasie
periferiche non altrimenti raggiungibili. Accuratezza diagnostica 80-95%. Viene eseguita sotto
guida TC.
Si allestiscono dei vetrini: se il materiale è fissato si colora in Papanicolau, se non è fissato si usa
Giemsa. Viene esaminato su striscio allestito all'atto del prelievo e immediatamente fissato e
colorato con blu di toluidina. Le colorazioni che si effettuano non a fresco sono papanikolau ed
ematossilina-eosina. Ciò che rimane nella siringa dopo esame estemporaneo, viene posto in provette
con fondello di agar e viene aggiunto liquido lisante le emazie, dopo si segue il processo per citoincluso.
Aghi utilizzati 22 o 23 Gaunge con lunghezza variabile tra 15 e 20 cm e spessore di 0,6 mm.
La FNAB trans bronchiale risulta utile nelle lesioni centrali e la FNAB percutanea in quelle
periferiche.
Indicazioni: noduli non diagnostici in citologi esfoliativa; diagnosi preoperatoria di noduli
periferici; diagnosi di inoperabilità e/o mtx; diagnosi di K a piccole cellule per trattamenti chemioradioterapici; processi infettivi; diagnosi di complesse patologie di eziologia sconosciuta.
Controindicazioni: pz non collaboranti o molto debilitati con severa BPCO; recenti gravi emottisi,
diatesi emorragiche, ipertensione polmonare severa, patologie vascolari; pz con unico polmone
funzionante; presenza di cisti polmonari da Echinococco.
Complicanze: pnx (dal 5 al 50%, la maggior parte non richiedono trattamento), emorragie
polmonari con emottisi, embolia gassosa, eventuale trasporto di cellule tumorali.
Limitazioni: errori di campionamento dovuti alle piccole quantità di materiale prelevato.
CHIRURGIA TORACICA VIDEO-INVASIVA (VATS) meno invasiva della toracotomia, ha
soppiantato la biopsia a cielo aperto. Si utilizza un toracoscopio rigido (con una lente nell’estremità
distale) che viene introdotto nella pleura, tramite una piccola incisione intercostale. Si visualizzano,
su un monitor, immagini di alta qualità che permettono di eseguire biopsie mirate di lesioni
pleuriche. Qsta procedura è utilizzata anche per eseguire biopsie del parenchima polmonare
periferico o per rimuovere formazioni nodulari periferiche (scopo dx e terapeutico).
TORACOTOMIA usata in alternativa alla VATS per il prelievo di frammenti di tessuto
polmonare. Fornisce grandi quantità di materiale. Usata per eseguire biopsie e rimuovere delle
lesioni troppo profonde o troppo vicine a strutture vitali per la VATS.
MEDIASTINOSCOPIA (approccio sovra sternale) e MEDIASTINOTOMIA (approccio
parasternale). Le principali procedure utilizzate per ottenere campioni da masse o da linfonodi
mediastinici. In anestesia generale. Nella mediastinoscopia, il mediastinoscopio rigido viene fatto
passare anteriormente alla trachea, nel mediastino. Si prelevano campioni bioptici da masse o
linfonodi paratrecheali o pretracheali, ma non i paratracheali di sx e quelli aortopolmonari che
vengono raggiunti dalla mediastinotomia.
PREPARATI CON CITOCENTRIFUGA
Utilizzata soprattutto per liquidi scarsamente cellulati (es. liquor e liquidi cavitari a fresco e
conservati).
Struttura della citocentrifuga e modalità d’esecuzione:
centrifuga alla cui testa rotante sono collegate vaschette a forma di parallelepipedo, nella cui metà
superiore è presente un canale verticale entro cui viene seminata un’aliquota del liquido; il canale
continua con un tratto cilindrico cavo orizzontale che si apre sulla superficie più esterna della
vaschetta a cui è applicato verticalmente, mediante interposizione di un rettangolo di carta da filtro
con foro circolare di 6 mm di diametro, un vetrino, su cui, per effetto della centrifugazione,
vengono spruzzate le cellule, mentre l’eccesso di liquido viene assorbito dalla carta da filtro. La
citocentrifugazione viene effettuata a 500 rpm per 5 minuti, ponendo 200 microlitri di campione
(citocentrifuga modello CYTOTEK). Si ottengono così preparati in monostrato, nei quali le cellule
sono concentrate in un’area circolare di 6 mm di diametro; oppure, da cellette usa e getta, che
possono contenere fino a 5 ml di materiale, si possono ottenere vetrini delimitati da uno spazio di
cm 2,5x2. Nel caso in cui si utilizzino cellette usa e getta, si esegue la citocentrifugazione con
l’apparecchiatura CYTOSPIN 3 a 1250 rpm per 5 minuti.
CITOINCLUSI (CELL BLOCKS)
· materiali mucosi (espettorati, broncoaspirati)
· materiali purulenti (ascessi)
· frustoli similtessutali
· coaguli fibrinoematici
· liquidi cavitari ricchi di cellule
Metodica di preparazione del materiale che andrà poi raccolto e processato come l’istologico:
il materiale viene trattato con fissativo: alcool etilico 95° per circa 24 ore per campioni
mucopurulenti, voluminosi coaguli fibrinoematici, espettorati e broncoaspirati che pervengono a
fresco).
Dopo che il materiale è divenuto compatto a sufficienza, tale cioè da poter essere raccolto con
pinzette, esso viene trasferito su carta da filtro, per asciugare l’eccesso di fissativo. Il materiale
viene quindi arrotolato ed inserito nelle biocassette che vengono processate (=disidratazione tramite
scala ascendente di alcool etilico); includere il materiale in paraffina; sezionare le inclusioni ai
microtomi rotativi, raccogliendo almeno 4 sezioni di 3 micron su 2 vetrini per ciascuna biocassetta;
colorare i vetrini con EMATOSSILINA EOSINA.
· per campioni piccoli, il materiale va processato tutto in 1 bc
· per campioni abbondanti (espettorati, broncoaspirati), si eseguono campionamenti del materiale
più significativo (es. frammenti biancastri similtissutali nei broncoaspirati, che spesso pervengono
ematici, evitando il campionamento del sangue; negli espettorati, evitare il campionamento del
materiale salivare, selezionando quello mucoso, di provenienza bronchiale). Nel caso di espettorati,
si includono in 1 bc; invece, i broncoaspirati vanno inclusi in 2 bc (tranne nei casi in cui pervenga
scarsissimo materiale, per cui si include in toto in 1 bc)
· evitare di lasciare i campioni in alcool etilico 95° oltre il tempo necessario alla fissazione, onde
evitare l’effetto coartante dell’alcool stesso
· la citoinclusione ha il vantaggio di consentire la conservazione di materiale, che può essere
utilizzato in un secondo momento per ulteriori indagini (es. immunocitochimiche); per contro, essa
presenta uno svantaggio, ossia lunghi tempi di allestimento (da 1 a 2 giorni), in funzione della
fissazione del materiale