LA GIOCONDA IN BOBBIO:

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LA GIOCONDA IN BOBBIO:
IPOTESI E MODELLI 3D DI EVOLUZIONE STRUTTURALE DEL CASTELLO MALASPINA
DAL VERME
ANALISI TERRITORIALE VIRTUALE 3D E VERIFICHE SUL PAESAGGIO – IL PAESAGGIO
DELLA VAL TREBBIA COME SFONDO DELLA GIOCONDA
Arch. Angelo Bellocchi [email protected]
Arch. Davide Bellocchi [email protected][email protected]
1
ELENCO
Pag. 2
Elenco
Pag. 3
Premesse
Pag. 4
PARTE PRIMA – Castello Malaspina Dal Verme - Ipotesi di evoluzione strutturale
Pag. 5
1) Rilievo e restituzione grafica della facciata nord – est
Pag. 6
2) Esame obiettivo della muratura
3) I finestroni
4) Il sopralzo del tetto
5) L’hourds (ballatoio o cammino di ronda)
Pag. 7
6) Il modello digitale tridimensionale
7) Lo studio evolutivo del torrione
8) La costruzione del modello digitale 3D del territorio limitrofo
Pag. 8
RACCOLTA DI IMMAGINI
Pag. 9
1) Rilievo e restituzione grafica della facciata nord – est
Pag. 12 2) Esame obiettivo della muratura
Pag. 14 3) I finestroni
Pag. 17 4) Il sopralzo del tetto
Pag. 19 5) L’hourds (ballatoio o cammino di ronda)
Pag. 26 6) Il modello digitale tridimensionale
Pag. 27 7) Lo studio evolutivo del torrione
Pag. 30 PARTE SECONDA – Il paesaggio come sfondo del quadro “La Gioconda” di Leonardo da Vinci
Pag. 31 Criteri e metodologia di analisi
Pag. 32 Conoscenza del territorio da parte di Leonardo
Pag. 33 Costruzione del modello territoriale digitale
Pag. 38 Traslazione del Ponte Gobbo operata dal Pittore
Pag. 41 Confronto tra lo sfondo della Gioconda e il modello tridimensionale
Pag. 45 Confronto tra lo sfondo della Gioconda e le immagini satellitari
Pag. 50 RACCOLTA DI IMMAGINI TERRITORIALI
Pag. 57 Conclusioni
Pag. 58 Note per gli approfondimenti con i relativi riferimenti bibliografici
2
PREMESSE
Il presente lavoro si colloca nell’ambito della ricerca finalizzata alla verifica della tesi avanzata dalla
ricercatrice e studiosa Carla Glori, che interpreta lo sfondo del dipinto di Leonardo “La Gioconda” come il
panorama della val Trebbia visto dal castello di Bobbio.
Non entriamo nel merito dell’identità della modella, che non è nostro compito, né abbiamo le competenze
scientifiche, storiche e artistiche per affrontare il tema.
Il contributo si compone di due fasi distinte ma strettamente collegate tra loro.
La prima consiste nello studio evolutivo del castello Malaspina Dal Verme sotto l’aspetto storico
architettonico, che definisce l’evoluzione strutturale a livello di massima, nella ricerca di un eventuale
punto di vista collocato nel castello, dal quale si spazia verso nord/nord-est, ove il paesaggio– sulla base di
questa prima analisi - presenta, a nostro avviso, almeno tre o quattro punti “notevoli” dalle forti
corrispondenze fisiche con altrettanti elementi pittorici inseriti nello sfondo del dipinto. L’analisi individua
con una certa sicurezza e una sufficiente precisione alcune grandi aperture preesistenti, ora tamponate,
dalle quali era possibile osservare il paesaggio della val Trebbia verso nord, nord-est.
La seconda parte prevede lo sviluppo di un modello virtuale 3D del territorio attorno al castello, con
l’intento di verificare le analogie paesaggistiche e panoramiche tra paesaggio reale e sfondo del dipinto
Gli elementi fisici su cui si è accentrata questa seconda fase di verifica, che sono 1) il Ponte Gobbo; 2) le
anse del fiume; 3) le rupi sulla sponda destra adiacenti al ponte stesso e le emergenze di alcune alture
poste ai due lati del volto della modella; 4) la complessiva compatibilità del profilo dei monti che formano
lo skyline del panorama dipinto e reale e la coincidenza del tracciato curvilineo delle acque del dipinto con il
percorso del fiume Trebbia
Quelle considerate in questa sede sono solo alcune delle “Coordinate perenni”, come vengono definite al
dettaglio nella ricerca di Carla Glori le coincidenze di precisati punti di riferimento individuati nel panorama
reale e nello sfondo pittorico”. (nota 1)
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PARTE PRIMA
CASTELLO MALASPINA DAL VERME DI BOBBIO
IPOTESI DI EVOLUZIONE STRUTTURALE
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IL CASTELLO DI BOBBIO
CASTELLO MALASPINA DAL VERME DI BOBBIO
IPOTESI DI EVOLUZIONE STRUTTURALE
Ben nove coordinate nel dipinto coincidono con aspetti o elementi del paesaggio concretamente esistenti e
storicamente documentati inquadrati da un punto di vista precisato “sulla facciata nord est del castello
dove approssimativamente la ricerca localizza l’antica loggia” (come da didascalia apposta a TAVOLA IV C ,
Traiettoria visiva dal castello al ponte Vecchio, in “Enigma Leonardo: decifrazioni e scoperte”, La Ricerca,
p.339).
Prendendo spunto da questo assunto di Carla Glori, si è voluto verificare la possibile presenza in passato di
una antica loggia o comunque di una finestra posta nella facciata rivolta verso valle, ove il panorama
attuale pare delineare sorprendenti corrispondenze con lo sfondo del dipinto di Leonardo da Vinci.
Tali corrispondenze si strutturano in un insieme di nove punti, coincidenti con elementi presenti e
storicamente documentati del paesaggio reale, che la Glori definisce “coordinate”. Queste non vanno
intese come precise coordinate geografiche strumentali, con longitudine, latitudine e altitudine, ma di tipo
intuitivo e descrittivo, atte per un verso a rendere riconoscibile il paesaggio reale e per altro verso a
rappresentare un paesaggio ideale, artisticamente rielaborato tramite adeguamenti di qualità formale ed
estetica, in cui l’intervento creativo del Pittore modifica la veduta puramente realistica.
Il paesaggio sullo sfondo della Gioconda, appare una verosimile interpretazione della vallata del Trebbia
così come vista da una postazione sopraelevata, che la ricerca localizza nel castello Malaspina - Dal Verme.
Leonardo, secondo l’interpretazione della Glori, realizza qui una “artistica fusione” delle sue conoscenze di
cartografo con la dimensione pittorica, portatrice di significati profondi e di elementi simbolici.
Il Pittore, ampliando la prospettiva, sembra abbia effettuato una trasposizione di tale veduta, ruotandola di
un certo angolo, dalla quota della torre, come se la visuale si ottenesse dalla sommità della torre del
castello. In pratica, è come se l’artista avesse traslato più a monte la posizione del castello, per fornire una
più completa e fascinosa visuale della vallata e del ponte.
Tale “ampliamento di prospettiva” può essere stato ottenuto dal Pittore variando il “punto di vista”,
tramite ulteriore affaccio anche dalla parte della facciata est del castello, che volge al paese e al fiume, e
quindi realizzando una visione comprensiva del paesaggio, cumulativa dei due punti di vista (facciata nord
est e secondariamente facciata est ).
Va in ogni caso posta in conto la concreta possibilità della veduta del paesaggio a 360 gradi dal cammino di
ronda oppure dalla terrazza panoramica in sommità, tra i merli del castello.
E’ infine verosimile, pur se da verificare, l’esistenza di pilastri perimetrali (di sostegno alla copertura) in
sommità alla torre del castello, anch’essi interpretati e restituiti, nel dipinto, in foggia di più nobili colonne
tipiche dei loggiati dell’epoca (visibili ai lati della modella e volutamente tagliate dall’”inquadratura”
leonardesca).
1) RILIEVO E RESTITUZIONE GRAFICA DELLA FACCIATA NORD EST
La prima fase del lavoro è consistita nel rilievo della facciata ove si ipotizza l’esistenza pregressa del “punto
di vista” (finestra, loggia, balcone) che inquadra prospettivamente la valle del Trebbia, verso nord (lo
sfondo della Gioconda).
Si sono eseguite numerose riprese fotografiche, non frontali, a causa dell’ impedimento di altro corpo di
fabbrica, parallelo alla facciata e troppo ravvicinato, e soprattutto a causa dell’ingombro di un grande
albero che copre parte della muratura. Le foto sono riprese diagonalmente e di sghimbescio, inquadrano
zone parziali del prospetto da diversi punti di vista. Non è stato possibile reperire documenti utili che
potessero agevolare il lavoro.
Si è eseguito il raddrizzamento digitale riportando l’immagine di ogni foto in forma piano-parallela (ricerca
dei punti di fuga e ripresa di misure campione).
Successivamente si sono portate tutte le foto alla medesima scala grafica e se ne è eseguita la mosaicatura,
sino ad ottenere il prospetto fotografico completo della facciata nord-est.
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2) ESAME OBIETTIVO DELLA MURATURA
Con ingrandimenti al monitor ad alta definizione, si è analizzata al dettaglio la tessitura della muratura,
individuandone i danni, le riparazioni, i resti di aperture, i tamponamenti, i materiali costitutivi, le parti
originarie. Tutto quanto trovato è stato illustrato e messo in evidenza su una tavola dal titolo: CASTELLO
MALASPINA DAL VERME - RILIEVO MATERICO, che riporta anche il quadro fessurativo, secondo la disciplina
del restauro architettonico.
Le riparazioni e i tamponamenti con materiali spuri, con pietre appena sbozzate, ciottoli di fiume, laterizi di
recupero di vari formati, evidenziano che questa porzione del castello è quella che subì i maggiori danni,
forse perché parte più vulnerabile agli assalti e la più esposta ai tiri di artiglieria (va posta in conto da
questa parte l’esistenza del secondo ponte levatoio). Le cronache raccontano di un forte assalto da parte
delle truppe francesi nel 1500, con rovina parziale del mastio.
3) I FINESTRONI
Si sono individuati elementi interessanti, rispondenti all’ipotesi della Glori, circa l’esistenza di un’ “antica
loggia” o comunque di una finestra, approssimativamente localizzata come da TAVOLA IV C sopra citata.
Alcuni conci di pietra, disposti a coltello lungo una curva d’arco, denunciano chiaramente l’esistenza di una
apertura, la quale si ripete in altre due facciate (tra cui quella posta ad est) ove sono molto più evidenti i
loro tamponamenti relativamente recenti, eseguiti con laterizi di formato omogeneo. Tali finestroni paiono
aver avuto differenti dimensioni, ristrette in tempi meno remoti (metri 3x4 la più antica e metri 2,30x3,15
quella più recente, secondo misure indirette), e sono stati inseriti senz’altro all’epoca del cambio di
destinazione del mastio, da opera difensiva a residenza gentilizia o, quantomeno a residenza fortificata, in
analogia con la maggioranza dei castelli, causa la tattica militare che subì notevoli evoluzioni in
conseguenza dei nuovi mezzi di combattimento (artiglieria) e delle rinnovate mentalità ed attitudini fisiche
dei combattenti.
E’ da presumere che il citato cambiamento avvenne gradualmente, tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500,
forse a seguito dei vari passaggi di proprietà.
4) IL SOPRALZO E IL TETTO
Il torrione è stato anche sopralzato, con la costruzione di un piano sottotetto. I muri perimetrali aggiunti in
altezza, sono di tipo misto: mattoni e pietra, con prevalenza dei primi. Sono stati tamponati i vuoti
intercalati dei preesistenti merli, che appaiono del tipo “guelfo” non essendovi nessun minimo indizio degli
incavi a coda di rondine tipici della versione “ghibellina”. Nel perimetro del sopralzo, sono ricavate finestre
ad arco, quattro per ogni lato minore e cinque negli altri due lati, che consentono una visuale a 360 gradi
del territorio circostante. Di tale sottotetto si è eseguito un rilievo metrico e disegnata la pianta.
Un dipinto seicentesco esposto all’interno, illustra il torrione con il tetto, ma senza le finestre appena citate
che, certamente, sono state ricavate in tempi successivi, al pari della volta a vela che nasconde la struttura
lignea del tetto, che apparve alquanto interessante ad un cronista ottocentesco (lo storico vogherese
Cavagna Sangiuliani, che nel 1861 stese una relazione sul castello); prova ne sia che nel ‘900 sono stati
attuati notevoli lavori di trasformazione scarsamente documentati, che impediscono la ricostruzione storica
esauriente del torrione e, in generale di tutto il complesso castellano.
5) L’HOURDS (BALLATOIO O CAMMINO DI RONDA)
Hourds è un termine francese, che non trova corrispondenza in italiano; si può tradurre come incastellatura
di legno.
Su tre lati del torrione in quota appena sotto agli ex merli, quasi complanari all’ultimo solaio piano, quello
del sottotetto, vi è una serie di fori allineati in orizzontale e pressoché equidistanti. Sono i fori d’incastro di
mensole di legno, o di pietra, chiamati “gattoni”. Questi sostenevano una struttura di legno aggettante, a
forma di ballatoio, con parapetto che alla bisogna poteva essere rialzato, mentre sul tavolato di pavimento
erano ricavate botole apribili per la difesa piombante, ovvero i difensori lasciano cadere pietre, acqua ed
olio bollente e quanto altro. Spesso tali strutture comprendevano anche una copertura a falda inclinata.
L’hourds poteva essere montato e smontato, secondo le esigenze difensive del periodo. Era però
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vulnerabile agli incendi; il lancio del “fuoco greco”, da parte degli assedianti, poteva incendiarlo facilmente.
Generalmente si trasformò così in costruzione in pietra o di mattoni, sostenuta da mensole del medesimo
materiale, incastrate nella muratura, chiamati beccatelli. Divennero i coronamenti delle torri e delle mura
che cingono i castelli, con funzione di camminamento di ronda e di difesa. Sono tra le parti più suggestive,
interessanti dal punto di vista dell’architettura castellana. Nel caso all’esame non si sono rinvenuti minimi
resti o indizi dell’esistenza di simile opera in pietra o in mattoni; neppure tracce degli incastri delle mensole
di sostegno. E’ certo, però, che veniva montato l’hourds di legno. Si ipotizza che con la mutazione
funzionale del torrione, a seguito della costruzione della cinta difensiva, delle torri d’angolo ed altri corpi di
fabbrica, decadde l’uso dell’hourds. In ogni caso va posta in conto la possibilità che lo sfondo della
Gioconda fosse stato osservato e memorizzato dalla struttura appena descritta.
6) IL MODELLO DIGITALE TRIDIMENSIONALE
Al fine di comprendere sufficientemente l’evoluzione storica e cronologica del castello di Bobbio, a
prescindere delle cronache storiche non sufficientemente approfondite, si è deciso di eseguire un modello
tridimensionale. Impossibilitati a praticare un rilievo metrico, si è partiti da una pianta esistente nella
bacheca del castello; si è digitalizzata la foto, portandola in scala per mezzo di misure campione. La
trasformazione in modello solido è risultata piuttosto laboriosa e difficile. Si sono usati anche sistemi
empirici, dettati anche dalla discreta esperienza nella disciplina del restauro, per esempio conteggiando i
corsi dei mattoni, delle pietre, e di altri elementi dalle note dimensioni, leggendoli sulle svariate fotografie,
per ricavare le altezze ed altre dimensioni mancanti sulla pianta. Il risultato è un modello che forse in
alcune parti è approssimativo (per esempio le quote altimetriche del terreno ed i livelli dei pavimenti
esterni sono stati inseriti “a occhio”), ma che risponde discretamente alla finalità per la quale è stato
realizzato: una visione d’insieme da svariati punti di vista, mediante rotazione, spostamenti, ingrandimenti
e riduzioni; sono possibili anche stampe, sia parziali che d’insieme da infiniti punti di vista e l’affinamento
del modello con il “rendering” ovvero la resa realistica delle immagini. Analizzando tale modello, si può
interpretare anche la cronologia di massima degli interventi realizzati in successione. Sotto questo aspetto
vanno rilevati gli errori nella didascalia della pianta esistente in bacheca riguardo le assegnazioni dei periodi
di costruzione di alcuni corpi di fabbrica.
7) LO STUDIO EVOLUTIVO DEL TORRIONE
Il torrione è stato oggetto di uno studio della sua trasformazione storica a livello di massima.
Si è estratto dal modello tridimensionale e si sono elaborate alcune versioni a partire dalla configurazione
probabile iniziale, quando vi era la merlatura, non v’era il contrafforte di scarpa (questo ha una tessitura e
un tipo di pietra diversa e risulta scarsamente ammorsato al muro verticale, pertanto dovrebbe essere
stato aggiunto successivamente alla costruzione del torrione) ed erano inesistenti i finestroni ad arco,
aperti successivamente al centro di almeno tre facciate (nella quarta non si sono rinvenute tracce), appena
sotto gli incastri dei gattoni e, quindi, al penultimo ordine di orizzontamento. La seconda versione inserisce
l’hourds; la terza i finestroni più grandi e la scarpa; l’ultima l’assetto attuale.
8) LA COSTRUZIONE DEL MODELLO DIGITALE 3D DEL TERRITORIO LIMITROFO
La prossima fase dell’analisi, in fase di esecuzione, comporterà la costruzione del modello solido del
territorio, prendendo come base varie carte tecniche regionali alla scala 1:5.000.
Si tratta di digitalizzare le curve di livello o isoipse, equidistanti in quota di 5 metri. Una volta finita la
digitalizzazione tutte le linee di livello, disegnate a polilinea chiusa, saranno elevate secondo la rispettiva
quota e quindi l’insieme delle stesse sarà rivestito da mesh tridimensionale. Si avrà così un modello solido
realistico per volume e superficie, di colore neutro (non vi saranno colori, né vegetazione, né edifici, salvo il
castello ed il Ponte Gobbo).
Si potrà ruotare, alzare, abbassare ridurre e aumentare in scala, comprimere e dilatare per sovrapporlo allo
sfondo del dipinto di Leonardo per tentare di trovare corrispondenze, anche approssimative, che ad occhio
appaiono esservi.
05 ottobre 2014
Angelo e Davide Bellocchi
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RACCOLTA DI IMMAGINI
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1) RILIEVO E RESTITUZIONE GRAFICA DELLA FACCIATA NORD EST
FOTO DELLA FACCIATA NORD EST COMPLETA PRESA IN DIAGONALE
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LA FOTO PRECEDENTE “RADDRIZZATA”
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“MOSAICATURA” DI PIU’ FOTO RIPRESE DA DIVERSE ANGOLAZIONI, RADDRIZZATE E RIDIMENSIONATE A SCALA UNIFORME
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2) ESAME OBIETTIVO DELLA MURATURA
RILIEVO MATERICO E QUADRO FESSURATIVO FACCIATA NORD EST
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RIFERIMENTO FOTOGRAFICO
SIMBOLOGIA E LEGENDA DELLA TAVOLA PRECEDENTE
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3) I FINESTRONI
DETTAGLI IN CENTRO DI FACCIATA NORD EST – SI NOTA L’ACCENNO DELL’ARCO IN CONCI DISPOSTI A COLTELLO, IL VASTO TAMPONAMENTO –
RIPARAZIONE DI MATTONI, OLTRE A NUMEROSI INSERTI DI PIETRE E CIOTTOLI DI FIUME – INDUBBIAMENTE PREESISTEVA UNA VASTA APERTURA
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FACCIATA SUD EST OVE SONO MOLTO EVIDENTI TAMPONAMENTI DI APERTURE ARCUATE, LA PIU ALTA SEMBRA DISPOSTA IN ANALOGIA CON
QUELLA DELLA FACCIATA NORD EST.
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INDIVIDAZIONE DI PREESISTENTI APERTURE SULLA FACCIATA SUD EST CHE PROSPETTA SU BOBBIO
SI RITIENE CHE ANCHE LA FACCIATA NORD EST, DA CUI SI SPAZIA SUL PANORAMA DEL TREBBIA VERSO VALLE, ABBIA SUBITO I MEDESIMI
CAMBIAMENTI QUI EVIDENZIATI
UN ESEMPIO DI FINESTRONE APERTO NELLA MURATURA A SEGUITO DELLA MUTAZIONE FUNZIONALE, DA FORTEZZA A RESIDENZA(dongione di
Paternò- Catania)
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4) IL SOPRALZO E IL TETTO
PIANTA DEL SOPRALZO (SOTTOTETTO)
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FOTO RIPRESA NEL 1896 OVE SI NOTA LA PRIMA VERSIONE DEL TETTO. E’ VEROSIMILE CHE IL MANTO DI COPERTURA ORIGINARIO FOSSE
COMPOSTO DA LASTRE DI PIETRA O EMBRICI, CHIAMATE NEL DIALETTO LIGURE EMILIANO “CIAPPE”, DI QUESTO TIPICO MANTO DI
COPERTURA RIMANGONO MOLTI ESEMPI NELL’ARCHITETTURA RUSTICA DELL’APPENNINO LIGURE- EMILIANO. NEL CASTELLO E’
SUPERSTITE IL TETTO IN CIAPPE DEL PICCOLO POZZO.
LA SECONDA VERSIONE, DI CUI AL DISEGNO CHE SEGUE A PAG. 23, EVIDENZIA LA FINESTRATURA PERIMETRALE COMPLETA, ILLUSTRATA
ANCHE NELLA PIANTA CHE PRECEDE.
E’ INTERESSANTE NOTARE IL “TORRINO” SENZA COPERTURA E QUASI ALLO STATO DI RUDERE. ALTRESI’ INTERESSANTI, A SINISTRA,
SONO I RESTI DI UNA TORRE, FORSE L’ANTICA “TORRE DEL VESCOVO” SECONDO G.OLMI. LE DUE APERTURE VISIBILI, PAIONO ESSERE IN
STILE “GOTICO, A SESTO ACUTO.
NELLA FOTO SEGUENTE ’ IL CASTELLO DOPO I “RESTAURI” SUCCESSIVI
.
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5) L’HOURDS (BALLATOIO O CAMMINO DI RONDA)
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RICOSTRUZIONE IPOTETICA ESPLICARTIVA DI HOUNDS – SI E’ VOLUTO DIFFERENZIARE IL LATO PIU’ ESPOSTO NORD EST, INSERENDOVI ANCHE UNA
FALDA DI COPERTURA CHE FORSE ESISTEVA ANCHE SUGLI ALTRI LATI. IL BALLATOIO E’ STATO DISEGNATO SOLO SULLE PARTI OVE SONO RIMASTI I
FORI PER GATTONI – LE PARTI DELLA MURATURA PRIVA DEI FORI PROSPETTANO SU RIPIDI PENDII OVE GLI ASSALTI SAREBBERO STATI MOLTO
DIFFICOLTOSI. COMUNQUE ANCHE IL CAMMINO DI RONDA AVREBBE POTUTO ESSERE MONTATO LUNGO TUTTO IL PERIMETRO.
FORI DA HOUNDS
GATTONI (MENSOLE)
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HOUNDS
DIFESA PIOMBANTE
SCHIZZI ESPLICATIVI DIDATTICI TRATTI DA “TECNICA ED EVOLUZIONE DELLA FORTIFICAZIONE MEDIEVALE” Ed. i Castelli. Org
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ESEMPI DI HOUNS RICOSTRUITI E DI CAMMINO DI RONDA
SCHIZZO DI “BECCATELLI” DI MATTONI E DI PIETRA- SERVIVANO A SOSTENERE LE OPERE DIFENSIVE SPORGENTI IN SOSTITUZIONE DI HOUNDS LIGNEI
PREESISTENTI. Schizzi tratti da “Tecnica ed evoluzione della fortificazione medievale” Ed. i Castelli. org
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ESEMPIO DI BECCATELLI O GATTONI DI PIETRA SUPERSTITI
ESEMPIO DI INCASTRI DI BECCATELLI DI PIETRA DEMOLITI E CHE REGGEVANO UN’OPERA DIFENSIVA SPORGENTE SOSTITUTA DELLA PREESISTENTE
STRUTTURA LIGNEA (HOUNDS)– NEL CASTELLO DI BOBBIO NON VI SONO RESTI O INDIZI DI SIMILI ELEMENTI (Rocca di Ravaldino- Forlì)
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FOTO DELLA PIANTA POSTA NELLA BACHECA DELL’INGRESSODA QUESTA SI E’ RICAVATA LA PLANIMETRIA DEL CASTELLO RIPRODOTTA DI SEGUITO
(qualche errore di assegnazione del periodo di costruzione)
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6) IL MODELLO DIGITALE TRIDIMENSIONALE
DUE IMMAGINI DEL MODELLO TRIDIMENSIONALE – L’UNA IN PROIEZIONE PROSPETTICA, L’ALTRA IN PROIEZIONE ASSONOMETRICA
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7) LO STUDIO EVOLUTIVO DEL TORRIONE
PROBABILE ASSETTO ORIGINARIO DEL TORRIONE – GENERALMENTE L’INGRESSO ERA POSTO IN QUOTA E VENIVA RAGGIUNTO CON
SCALA RETRATTILE COME DA SCHIZZO DIDATTICO SOTTOSTANTE (‘300)
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INSERIMENTO DI HOUNDS E CAMMINO DI RONDA (‘300-‘400)
APERTURA DEI FINESTRONI- SOPRALZO SOTTOTETTO CON FINESTRATURA- TETTO (IN DUE RIPRESE)- INSERIMENTO BASAMENTO A SCARPA- SCALA
FISSA (‘500-700’)
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TAMPONAMENTO FINESTRONI (MURATI)- RISTRUTTURAZIONE GENERALE– NUOVI CORPI DI FABBRICA ACCORPATI (Assetto attuale)
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PARTE SECONDA
IL PAESAGGIO COME SFONDO DEL QUADRO “LA GIOCONDA” DI LEONARDO DA VINCI
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IL PAESAGGIO COME SFONDO DEL QUADRO “LA GIOCONDA” DI LEONARDO DA VINCI
CRITERI E METODOLOGIA DI ANALISI
L’articolazione dell’opera comprende la costruzione di un modello digitale del terreno, e di modelli 3D del
castello e del Ponte Gobbo. Per la collocazione delle due strutture entro la zona topografica presa in esame,
si sono osservate con precisione le coordinate geografiche planimetriche e altimetriche. Si è ottenuto così
un complesso tridimensionale molto simile, per morfologia fisica, alla realtà attuale del sito. Si tenga conto
che, sia per facilitare il confronto e per chiarezza di rappresentazione, sia per non appesantire
ulteriormente i files digitali, non si sono inseriti gli insediamenti urbani, le infrastrutture, i manufatti in
genere e la vegetazione, cosicché il paesaggio reso appare completamente spoglio. Tale scelta – focalizzata
sugli obiettivi prefissati – implica che in questa fase non vengano presi in considerazione ulteriori aspetti
paesaggistici e gli elementi architettonici assunti dalla ricercatrice quali costitutivi del sistema di punti di
riferimento (da lei detti “coordinate”), riguardo ai quali si rinvia alla documentazione prodotta nel libri di
cui alla nota 1.
L’analisi territoriale, topografica e morfologica si è valsa anche del contributo d’immagini satellitari ricavate
da Google Earth, più “vestite” rispetto al mero modello tridimensionale digitale, ma meno precise sotto
l’aspetto morfologico e topologico, causa le sproporzioni e le distorsioni prospettiche delle immagini, che
sono essenzialmente ricavate da riprese satellitari e successivamente manipolate tramite algoritmi
tridimensionali virtuali, che non ne restituiscono l’effettiva morfologia in favore di una restituzione visiva
più ampia, ma conseguentemente distorta. Tuttavia lo strumento satellitare è utilissimo per la particolare
versatilità e facilità di ripresa che consente la visione zenitale, azimutale e prospettica, da infiniti punti di
vista a distanza e angolazione variabili. Si possono così ottenere varie inquadrature del paesaggio, orientate
all’incirca a nord, nord-est del castello Malaspina Dal Verme, con differenti inclinazioni zenitali e azimutali,
nel tentativo di rilevare somiglianze tra il paesaggio reale con lo sfondo del dipinto. Sono state prodotte
svariate immagini con differenti proiezioni prospettiche.
Infine si è operato sulle suddette immagini, sia quelle desunte dal modello digitale, sia quelle satellitari
Google, attraverso compressioni e/o dilatazioni della geometria, secondo gli assi x e y, pervenendo, a
rigore, a una deformazione della configurazione topografica con l’esito di evidenziarne compatibilità e
similarità con lo sfondo del Dipinto, nell’intento di verificare l’ipotesi della ricercatrice da cui – come da
premessa - lo sfondo de “La Gioconda” risulterebbe essere il panorama della val Trebbia visto dal castello
di Bobbio.
Si deve considerare che il panorama ripreso in profondità di un dipinto, anche se ne è riprodotto l’aspetto
formale complessivo, a nostro avviso difficilmente risulta fedelissimo alle sue proporzioni e dimensioni,
poiché si registrano inevitabilmente delle deformazioni; inoltre va considerato che nell’opera d’arte
intervengono sempre l’ estro e l’interpretazione dell’autore.
In Leonardo, infatti, le deformazioni sono interpretazioni del paesaggio volute attraverso una “artistica
fusione” delle sue conoscenze di cartografo con la dimensione pittorica, come egli teorizza nel suo
“Trattato della Pittura”, nel modo in cui si vedrà più avanti.
Nell’ipotesi che il paesaggio della Gioconda sia veramente ciò che si vedeva dal castello di Bobbio, si osservi
un esempio di deformazione: la traslazione verso nord, rispetto alla reale collocazione, del ponte Gobbo;
forse un modo per renderlo più leggibile e per identificare meglio il sito di Bobbio, il cui ponte ne era, e ne è
tuttora, il simbolo. (nota 2) .
Il ponte dipinto pare avere alcune caratteristiche formali e tipologiche vicine a quelle del ponte che
vediamo oggi. Al proposito è molto esauriente e documentata la ricerca storica e architettonica di Carla
Glori, che riguarda il ponte Gobbo, sia per quanto concerne l’evoluzione della struttura del ponte nei secoli,
con particolare riferimento all’analisi della riflettografia agli infrarossi del quadro esistente al Louvre, nella
quale vengono evidenziati “pentimenti” del Pittore e, secondo Glori, simboli criptici. Per quanto attiene alla
presente ricerca, molto sorprendente e, per certi versi, per noi stupefacente, è il fatto che un evidente
“pentimento” riguarda un accenno molto esplicito di ponte, o, per meglio dire, un arco di ponte (definito
nello studio dell’autrice “un abbozzo progettuale tracciato nell’underdrawing”), proprio nel sito
esattamente corrispondente a quello del ponte attuale visto dalla facciata nord-est del castello Malaspina
Dal Verme (da finestra approssimativamente localizzata dalla ricerca di cui alla premessa).
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Lo sfondo del quadro è stato confrontato con le immagini satellitari e col modello tridimensionale digitale
ricavati, come si è detto, mettendo in evidenza le probabili coincidenze geometriche e morfologiche.
CONOSCENZA DEL TERRITORIO DA PARTE DI LEONARDO
Al momento non vi sono prove documentarie decisive sulla presenza di Leonardo da Vinci a Bobbio.
Tuttavia– come da ipotesi posta nella ricerca di cui alla premessa - si può assumere come probabile che il
Genio conoscesse la valle del Trebbia (nota 3), avendola osservata dal castello Malaspina dal Verme, quando
Bobbio era territorio dominato da Ludovico Sforza il Moro che, al tempo, aveva Leonardo al suo servizio; va
inoltre considerato che nella famosa abbazia di Bobbio, la cui Biblioteca era frequentata da intellettuali e
scienziati della corte sforzesca, erano conservati rari documenti antichi: pergamene, codici, manoscritti,
incunaboli ecc…, che avrebbero dovuto attirare l’avidità del sapere del grande Genio.
Secondo uno scritto di Arturo Pastorelli, pubblicato sul Bollettino Storico Piacentino del luglio – ottobre
1919, risulta che il Pittore pare abbia soggiornato per circa tre mesi a Piacenza (..città di passo come
Fiorenza), ove già nel corso del suo primo soggiorno milanese si era proposto per l’esecuzione di tre porte
di bronzo per la cattedrale (come da sua lettera riportata nel Codice Atlantico, foglio 887 r). In base a tali
soggiorni è possibile abbia visitato i luoghi caratterizzati dall’era geologica del Piacenziano, di cui (come
testimoniato nel foglio 9 del codice Leicester) conosceva i famosi “nicchi”, ovvero fossili (zona attorno a
Castell’Arquato, la vall’Ongina, la val Stirone, il confine tra il piacentino e il parmense), spingendosi fino a
Bobbio con la sua famosa “finestra tettonica”. E’ probabile che gli schizzi del terreno e i calcoli delle
distanze contenuti nel Codice Atlantico siano stati eseguiti durante il soggiorno piacentino (come sostiene
Edmondo Solmi nella sua opera “Leonardo”).
Non è arduo ipotizzare, quindi, che il Genio– in relazione ai suoi studi - avesse anche visitato le alture in
ofiolite di serpentino Pietra Parcellara e Pietra Perduca, nonché l’orrido di Barberino, poco a nord di Bobbio
(in cui la ricerca della Glori ravvisa compatibilità con le formazioni rocciose e le rupi dipinte nello sfondo
della Gioconda).
Non si entra nel merito di come e quando Leonardo dipinse lo sfondo della Gioconda; autorevoli studiosi
ritengono che il paesaggio alle spalle della modella fosse stato dipinto in periodo successivo alla ripresa
della modella, forse tenuto a memoria. Sul modo di rilevamento dei soggetti da ritrarre, in particolare dei
paesaggi da dipingere successivamente nello studio, ai tempi di Leonardo, quando non era ancora in uso la
pittura diretta sul luogo “en plein air”, vale la pena riportare almeno due paragrafi contenuti nella Parte
seconda del Trattato di Pittura del grande Genio:
69. Modo di bene imparare a mente.
Quando tu vorrai sapere una cosa studiata bene a mente, tieni questo modo: cioè quando tu hai disegnato
una cosa medesima tante volte che ti paia averla a mente, prova a farla senza lo esempio; ed abbi lucidato
sopra un vetro sottile e piano lo esempio suo, e lo porrai sopra la cosa che hai fatto senza lo esempio; e nota
bene dove il lucido non si scontra col disegno tuo; e dove trovi avere errato, li tieni a mente di non errare
più, anzi ritorna all'esempio a ritrarre tante volte quella parte errata, che tu l'abbia bene nella
immaginativa. E se per lucidare una cosa tu non potessi avere un vetro piano,togli una carta di capretto
sottilissima e bene unta e poi seccata; e quando l'avrai adoperata per un disegno,potrai colla spugna
cancellarla e fare il secondo.
87. Modo di ritrarre un sito col vetro.
Abbi un vetro grande come un mezzo foglio reale,e quello ferma bene dinanzi agli occhi tuoi, cioè tra
l'occhio e la cosa che tu vuoi ritrarre; poi poniti lontano con l’occhio al detto vetro due terzi di braccio,e
ferma la testa con un istrumento, in modo che tu non possa muoverla punto. Dipoi serra, o copriti un
occhio,e col pennello o con il lapis a matite segna sul vetro ciò che di là appare, e poi lucida con carta tal
vetro, e spolverizzalo sopra buona carta, e dipingila se ti piace,usando bene di poi la prospettiva aerea.
In questi due passi Leonardo teorizza come eseguire il rilievo di un soggetto, disegnandone il profilo sopra
un vetro e quindi “lucidando” il disegno su carta trasparente, quindi il bozzetto o l’abbozzo, per poi
utilizzarlo trasferendolo a pittura sul quadro vero e proprio, anche a distanza di anni. Che Leonardo si sia
avvalso di questo sistema per realizzare il panorama della Gioconda in tempi successivi?
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Il rilievo a vetro precorre quell’altro più evoluto e successivo della “camera ottica” utilizzata dai vedutisti, in
particolare dai “veneziani” Canaletto, Bellotto, Guardi, quando il paesaggio e la natura assunsero il valore di
soggetti principali.
COSTRUZIONE DEL MODELLO TERRITORIALE DIGITALE
Per una ricostruzione paesaggistica coerente col dipinto, si è elaborato un modello tridimensionale del
territorio circostante il castello Malaspina Dal Verme , ridisegnando le curve di livello desunte dalle CTR
(carte tecniche regionali alla scala 1:5.000) e “rivestendole” con superfici 3D, il che ha consentito di
generare un modello matematico pressoché esatto del territorio, con tolleranze nell’ordine di cinque metri.
A questo punto è occorsa una ulteriore elaborazione, tentando di immaginare la scomposizione e la
ricomposizione che il Genio ha operato nel paesaggio. Quindi si è tentato di arrivare a una sufficiente
coincidenza virtuale, con la compressione o la dilatazione, l’avvicinamento o l’allontanamento del punto di
vista, la rotazione in verticale e in orizzontale.
La coincidenza precisa non si può ottenere, perché come detto, si può congetturare che il Pittore, visto il
paesaggio della Val Trebbia, lo abbia riportato a memoria, scomponendolo e ricomponendolo con
interpretazione anche fantasiosa e secondo il suo stile artistico (enfatizzazione delle parti rocciose,
traslazione verso nord del Ponte Gobbo, del punto di vista e altro).
Quadro d’unione delle CTR (carte tecniche regionali) utilizzate per la composizione del territorio virtuale.
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La parte di territorio trattata con le curve di livello.
Territorio 3d con elevazione delle curve di livello.
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Alcune proiezioni prospettiche del modello completo di castello e del ponte Gobbo.
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Tentativo di proiezione prospettica ripresa dal castello.
Proiezione prospettica satellitare da Google earth.
36
Proiezioni prospettiche del modello con Trebbia (messa in evidenza dell’alveo inciso).
37
.
Proiezione prospettica satellitare da Google earth.
Proiezione prospettica prescelta del modello tridimensionale.
TRASLAZIONE DEL PONTE GOBBO OPERATA DAL PITTORE
La certezza dell’esistenza del ponte al tempo di Leonardo, è testimoniata dal primo documento d’archivio
scritto datato 1196; è probabile che anche prima, tra l’800 e il 900 vi fosse un primo ponte, forse poi
rimaneggiato o ricostruito, anche più volte. Tali notizie sono pubblicate in vari studi di accreditati storici
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locali (nota 4); tra essi si è qui privilegiata la consultazione del volume che tratta la storia del Ponte Vecchio
di Bobbio, ottimamente corredato di progetti storicamente documentati in archivio ed esauriente sotto
ogni aspetto, “QUANDO SORGER FU VEDUTO… Storia del Ponte Vecchio di Bobbio, ipotesi e documenti” di
Gian Luigi Olmi (nota 5). Dalla citata opera si ricava un notizia fondamentale per la nostra ricerca: “è cosa
certa che tra il XIII e il XIV secolo, la costruzione si componeva di cinque arcate con l’aggiunta di due
arcatelle a sostegno della rampa che dal greto, immetteva al valico del ponte.” Tale dato risulta confermato
anche da studi e da dipinti ed ex voto d’epoca riportati nelle due pubblicazioni di Carla Glori citati, e viene
recepito nella ricerca della medesima “L’ARCO NASCOSTO DI LEONARDO” (nota 6) che, avvalendosi dello studio
approfondito della riflettografia della Gioconda, esistente al Louvre, riporta - tra altri importanti dettagli - la
scoperta di un particolare importantissimo per la validazione della nostra ricerca: si tratta di un
“pentimento” del Maestro. Alla destra del quadro, accanto alla modella, in basso, si può vedere
chiaramente un arco di ponte, che non appare sul dipinto perché poi coperto dalla pittura di finitura.
Ma la posizione dell’arco coincide con ottima approssimazione con quella del ponte reale, dove lo vediamo
ancora oggi. L’arco in riflettografia dovrebbe rappresentare un primo abbozzo dal probabile rilievo del
panorama eseguito presumibilmente col sistema già illustrato : il “rilievo a vetro”. Il pentimento è
probabilmente avvenuto per raffigurare al meglio e per intero il manufatto, visto che nella posizione reale
sarebbe stato coperto quasi del tutto dalla modella, nella considerazione che il ponte Gobbo era ed è
l’elemento maggiormente indicativo di Bobbio.
I dettagli accurati dello sfondo, che si rilevano sul dipinto e anche leggibili all’infrarosso, possono far
dubitare, a nostro avviso, che un paesaggio così complesso ed articolato al dettaglio sia solo frutto della
fantasia del Pittore.
Immagine tratta dal modello 3d leggermente compressa sull’asse X (0,8).
La freccia indica la traslazione verso nord del ponte Gobbo eventualmente applicata da Leonardo.
La posizione del ponte, collocata nel modello secondo le precise coordinate geografiche planimetriche ed
altimetriche, coincide con la quella dell’arco di ponte visibile nella riflettografia del quadro.
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Riflettografia del Louvre con il pentimento del Maestro che rappresenta un arco di ponte.
Le Immagini in questa pagina sono di Ugo Cappello, tratte dal citato studio di Carla Glori “L’ARCO
NASCOSTO DI LEONARDO”.
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Immagini di Ugo Cappello tratte dal citato studio di Carla Glori “L’ARCO NASCOSTO DI LEONARDO”.
CONFRONTO TRA LO SFONDO DELLA GIOCONDA E IL MODELLO TRIDIMENSIONALE
Ripresa dei profili del quadro per sovrapposizione.
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Inserimento dei profili nel modello.
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Confronto - le frecce indicano le corrispondenze formali. Quella più lunga, in basso a destra, indica la
traslazione del ponte verso nord, mentre l’arco di ponte in riflettografia corrisponde quasi esattamente alla
posizione attuale del ponte. Nella riflettografia in basso, con riquadro giallo, è indicato l’arco di ponte nella
posizione quasi esatta del ponte reale posto nel modello 3D. Immagine della riflettografia di Ugo Cappello tratta
dallo studio “L’arco nascosto di Leonardo”di Carla Glori.
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Il confronto evidenzia indubbie corrispondenze formali e analogie geometriche tra sagome del profilo tratto
dal quadro e la proiezione grafica del modello del terreno, anche tenendo in debito conto le deformazioni e
le inevitabili imprecisioni dell’impostazione prospettica del modello territoriale. A destra di chi guarda (a
sinistra della modella) dal basso all’alto: il ponte traslato; l’accenno dell’ansa del fiume; la formazione
rocciosa; le alture molto somiglianti.
A sinistra di chi guarda (a destra della modella): la formazione rocciosa sopra alla strada serpentina; l’ansa
del fiume; una formazione rocciosa quasi identica al nostro modello.
Va considerato il tempo trascorso fra l’epoca nella quale è stato eseguito il dipinto e quella attuale; in più di
cinque secoli saranno senz’altro capitati eventi naturali di trasformazione territoriale come erosioni, frane,
smottamenti, possibili parziali piene del fiume con modifiche della morfologia, (ossia forma geometrica dei
profili montuosi, spostamenti e modificazioni volumetriche e geometriche di anse e del corso del fiume….).
Pertanto, anche ammesso che, nel dar forma all’opera d’arte, Leonardo avesse rilevato con assoluta
precisione il panorama, col sistema citato di ricalco a vetro, e ammesso che il nostro modello
tridimensionale sia perfetto, l’identità esatta tra sfondo dipinto e l’immagine ricavata dal modello è
impossibile. Comunque, nell’analisi fisica e formale di un territorio così esteso, l’approssimazione utilizzata
ci sembra rappresenti una tolleranza più che accettabile, non tale da incidere sui risultati conseguiti.
Per quanto riguarda la deformazione delle immagini tratte dal modello 3D, veramente minima, e quella dal
satellite, nel tentativo di conseguire con massima approssimazione la coincidenza con lo sfondo del quadro,
vanno tenute in conto le teorie di Leonardo, codificate nel suo Trattato di Pittura.
In particolare si riporta integralmente il seguente paragrafo:
Si intuisce chiaramente che quanto riprodotto nei dipinti non è perfettamente proporzionale al paesaggio
reale; lo si deduce dallo schema esplicativo che non è un triangolo regolare (ovvero cono o piramide di
ripresa tridimensionale), ma i due lati sono curvi, a forma di parabola, per cui l’obiettivo da ritrarre,
avvicinandosi al punto di ripresa, si riduce e si deforma in modo non proporzionale, ma in modo
esponenziale (i due lati hanno forma di parabola) ovvero, più semplicemente, si ricompone e si compatta
per essere contenuto nello “spiracolo, buca o finestra”. Dunque l’operazione di modesta deformazione che
abbiamo operato sulle immagini ci pare coerente con la teoria leonardesca; insistiamo ancora nel mettere
in evidenza che il nostro modello territoriale tridimensionale, più preciso, ha subito solo una lieve
compattazione sull’asse x. Per meglio indagare la lezione di Leonardo, si vedano anche i seguenti paragrafi
del trattato: dal 787 al 795 che indicano come ritrarre i monti, mentre per i panorami e l’orizzonte si veda
l’intera Parte Ottava.
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CONFRONTO TRA LO SFONDO DELLA GIOCONDA E LE IMMAGINI SATELLITARI
Immagine satellitare prescelta.
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Stessa immagine deformata (X 0,7; Y 1,2).
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Inserimento nell’immagine dei profili del quadro.
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Confronto - le frecce indicano le corrispondenze formali. La freccia lunga, in basso a destra, indica la
traslazione del ponte operata dal Pittore.
A partire, come posto in premessa, dall’ipotesi della ricerca di Carla Glori, qui fatta oggetto di verifiche
mirate, che il paesaggio dello sfondo della Gioconda sia effettivamente la valle del Trebbia vista dal castello
Malaspina Dal Verme di Bobbio, e alla luce delle teorie del Trattato di pittura di Leonardo ( di cui sono
riportati alcuni stralci), si evidenziano alcune considerazioni.
Rispetto al confronto con il modello 3d, mentre il ponte, le anse del fiume e le formazioni rocciose a quota
media sono conformi, anche se leggermente traslate, vi è meno corrispondenza dell’orizzonte; ciò è
probabilmente dovuto alle alture più lontane non rilevate sul dipinto, ma il profilo in alto a sinistra, seppur
traslato, ha la forma quasi identica. Si noti anche la sagoma della formazione rocciosa alla destra di chi
guarda (a sinistra della modella) e sopra il ponte: se proviamo a sovrapporre il profilo alla parte rocciosa
avremmo una corrispondenza quasi esatta. Circa l’ansa del fiume a sinistra, quasi identica e, in generale, le
alture visibili, se si traslano i relativi profili, si ottengono buone conformità. Le similitudini, indicate con
freccette, sono molte, tenendo presenti ragionevoli e legittime tolleranze. Per il ponte vale anche qui la sua
identificazione verificata sulla riflettografia relativamente alla coincidenza della sua posizione con l’arco.
Un’accentuata differenza formale consiste nel come il Pittore tratta le formazioni rocciose. Esse sono molto
enfatizzate a forma di rupi frastagliate e picchi acuti, quasi fossero agglomerati di pinnacoli. Questo stile –
come riconosciuto dagli storici dell’arte - è una caratteristica costante nei dipinti di Leonardo (nota 7).
La probabile conoscenza del territorio della valle del Trebbia da parte di Leonardo trova elementi storici e
biografici a suo supporto (nota 8) oltre che giustificazioni nel suo interessamento alle formazioni
geologiche. A Bobbio infatti si trovano la “finestra tettonica” e formazioni rocciose di origine oceanica al
centro dei suoi studi ( ad esempio, la Pietra Parcellara, la Pietra Perduca e inoltre l’ orrido di Barberino: le
prime due poste a sinistra del fiume e il terzo un canyon nel fondo del quale scorre il Trebbia). Dall’analisi si
evince che lo stile pittorico delle rupi richiami la morfologia dei citati elementi. Molto esplicita è la zona
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rocciosa vicino al ponte Gobbo, la cui forma reale, a parte l’enfatizzazione con gli acuti picchi, assomiglia a
quella del quadro. Di seguito alcune riprese fotografiche attuali della Pietra Parcellara, fornite gentilmente
dalla dottoressa Luisa Follini, nelle quali é evidente la similitudine dei conglomerati rocciosi reali con lo
“stile” pittorico del grande Maestro.
Nelle pagine che seguono riportiamo anche foto dell’orrido di Barberino e della formazione rocciosa sulla
sponda destra del fiume, vicino al ponte Gobbo, a supporto dell’analogia formale “sfondo del dipinto –
paesaggio reale”.
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RACCOLTA DI IMMAGINI TERRITORIALI
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PIETRA PARCELLARA
foto della dott.ssa Luisa Follini
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ORRIDO BARBERINO
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Ripresa satellitare zenitale Orrido di Barberino.
Formazioni rocciose con calanchi presso ponte Gobbo, sulla sponda destra.
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CONCLUSIONI
L’apparente somiglianza del paesaggio a nord del castello di Bobbio con il quadro della Gioconda, che
abbiamo intuito avendolo osservato direttamente, ci ha molto incuriositi e poi convinti ad affrontare la
presente ricerca, finalizzata alla verifica della tesi della ricercatrice citata in premessa, che interpreta lo
sfondo del dipinto di Leonardo “La Gioconda” come il panorama della val Trebbia visto dal castello di
Bobbio, applicando le nostre cognizioni ed esperienze professionali di tecnici del territorio e le nostre
conoscenze cartografiche. Il lavoro, quindi, tende ad apportare ulteriori elementi concreti a supporto di
questa tesi.
Riteniamo di avere verificato una sufficiente e probabile compatibilità formale tra la realtà fisica e quella
pittorica sulla base di procedure rigorose e conseguendo risultati oggettivamente documentati.
Il nostro parere, che si è consolidato “toccando con mano” gli elementi analizzati, mentre il lavoro
avanzava, si può definire nel seguente modo: che il panorama che fa da fondale al dipinto della Gioconda
rappresenti la valle del Trebbia è un’ipotesi suggestiva, basata però su un’analisi di elementi aventi forti
analogie, coincidenze fisiche e formali con quelli corrispondenti del quadro.
In particolare, la presente relazione, formulata sulla base dello studio del paesaggio e dei relativi modelli
3d, evidenzia:
-
1) La corrispondenza della posizione del ponte dipinto col ponte Gobbo visto da una finestra della
facciata di nord est del castello di Bobbio a) in quanto il ponte reale risulta posto conformemente
al quadro in basso e a destra di chi guarda (ovvero alla sinistra della modella); b) inoltre è verificata
la coincidenza pressoché esatta dell’arco scoperto in riflettografia dalla ricerca di Carla Glori con la
posizione del ponte reale visto da finestra locata sulla predetta facciata di nord est del castello
- 2) La corrispondenza dello slargo simil-lacustre dipinto alla destra della modella con la grande ansa
del fiume vista dalla medesima finestra, (in zona approssimativamente a fronte di Piancasale),
storicamente documentata in piante dell’epoca e riscontrabile nella proiezione satellitare di Google
Earth. Inoltre, la corrispondenza della seconda ansa e complessivamente dell’andamento
curvilineo del fiume dipinto con quello del fiume Trebbia a partire dalla zona del ponte e lungo il
suo percorso fino all’orizzonte
- 3) La similarità delle rupi sulla sponda destra adiacenti al ponte stesso e delle emergenze di alcune
alture poste ai due lati del volto della modella. I calanchi posti sulla sponda destra sono compatibili
con le pareti rocciose dipinte; mentre le formazioni rocciose tipicamente ofiolitiche visibili alla
destra della modella (a sinistra di chi guarda il paesaggio reale, indicativamente verso la val Tidone)
sono sorprendentemente simili alle singolari formazioni rocciose dipinte da Leonardo e visibili in
lontananza e alla fine della strada serpentina (la singolare similitudine è documentata
fotograficamente dall’accurata ricerca sul campo della dottoressa Luisa Follini sulle formazioni
ofiolitiche della Parcellara).
Più in generale, il paesaggio dipinto sullo sfondo in base ai modelli 3D risulta complessivamente simile al
paesaggio bobbiese visto dalla facciata nord-est del castello per :
a) la compatibilità di massima del profilo dei monti che formano lo skyline del panorama dipinto e
reale (al riguardo sono da prevedersi ulteriori approfondimenti)
b) la coincidenza del tracciato curvilineo delle acque sullo sfondo con il percorso sinuoso del fiume
Trebbia
Ci si riserva di completare le variabili verificate in questa prima fase tramite nuove verifiche gradualmente
estese ad altri punti di riferimento individuati nella tesi di Carla Glori. (nota9)
Con tutte le doverose cautele e restando salvi ulteriori accertamenti ad integrazione, riteniamo che
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l’ipotesi di cui alla premessa, che interpreta lo sfondo del dipinto di Leonardo “La Gioconda” come il
panorama della val Trebbia visto dal castello di Bobbio - qui assunta ai fini della verifica, possa essere
considerata verosimile, poiché le similitudini che abbiamo sperimentato sono evidenti e sorprendenti.
3 maggio 2015
Angelo e Davide Bellocchi
NOTE PER GLI APPROFONDIMENTI CON I RELATIVI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
(nota 1) Glori C. e Cappello U., “Enigma Leonardo: Decifrazioni e scoperte – La Gioconda. In memoria di Bianca” Versione La
ricerca, Edizioni Cappello, Savona, 2011 e idem Versione Volume I°, 2012. Nella prima versione, ampiamente documentata in
dettaglio, venivano individuati otto punti di riferimento; nella seconda versione i punti di riferimento sono saliti a dieci e inoltre è
stata aggiunta la scoperta dell’arco in riflettografia che è importante variabile assunta nel corso della verifica.
(nota 2) Come scrive l’autrice della ricerca a cui si fa riferimento, “al fine di dipingere il ponte per intero il Pittore è stato costretto a
spostare virtualmente all’indietro il ponte Gobbo, che non sarebbe rientrato se non in minima parte entro la dimensione in larghezza
del quadro. Inoltre, al fine di darne una raffigurazione esteticamente e simbolicamente più efficace, il Pittore ha collocato il ponte
raddrizzandolo al meglio”
(nota 3) I due libri citati in nota 1 offrono una approfondita ricostruzione storico-biografica incentrata sul primo soggiorno milanese
di Leonardo, alla quale si rinvia, non essendo argomento di pertinenza della presente relazione
(nota 4) Una esaustiva bibliografia delle pubblicazioni relative al ponte Gobbo nel corso dei secoli, comprendente le Indicazioni
bibliografiche generali sulla storia del ponte, con le opere scritte da numerosi storici locali, è riportata nella versione citata ”La
ricerca”, 2011, SCHEDA 3, pagine 317-320
(nota 5) Gian Luigi Olmi, QUANDO SORGER FU VEDUTO… Storia del Ponte Vecchio di Bobbio, ipotesi e documenti” ed. Fantigrafica –
Cremona, giugno 2014.
(nota 6) Una esposizione approfondita della scoperta dell’arco in riflettografia è riportata nell’inserto “Addenda” (fornito
gratuitamente con i due libri nelle versioni 2011 e 2012 di cui alla nota 1), alle pagine introduttive 4/6 e in “Studi integrativi, nuove
ipotesi e scoperte” alle pagine 15-21 e 31-33.
(nota 7) Una rassegna di riproduzioni di particolari dei dipinti di Leonardo TAVOLA X D, sull’arco temporale 1475-1510, (pagina 353
nella versione 2011 e pagina 153 nella versione 2012), visualizza le formazioni rocciose con i tipici “pinnacoli”, simili a quelli che
compaiono sulla formazione rocciosa sullo sfondo a destra del quadro (a sinistra della testa della modella).
(nota 8) La ricostruzione storico-biografica non è stata presa in considerazione nel contesto della relazione qui presentata, in
quanto non rientrante negli obiettivi prefissati e nelle competenze specifiche della verifica. Nelle due pubblicazioni citate in nota 1,
sussistono in merito sia l’approfondita ricostruzione storica sulla famiglia Sforza e sul primo soggiorno milanese di Leonardo presso
la corte sforzesca, sia puntuali riferimenti a contatti e interessi che riconducono l’artista e scienziato Leonardo al Piacentino e a
Bobbio,
(nota 9) Restano da verificare in dettaglio, con analogo percorso metodologico e con gli stessi strumenti, altri due punti di
riferimento individuati dalla ricerca: la posizione e la forma della Pietra Parcellara visibile dalla facciata nord-est del castello rispetto
alla formazione rocciosa dipinta sullo sfondo in posizione analoga (precisamente all’altezza della testa della modella alla sua
sinistra); inoltre la posizione della formazione lacustre dipinta tra le rocce dello sfondo a sinistra di chi guarda il quadro con l’antico
Lachum Baxigionum, di cui residua l’avallamento ancora riscontrabile ai piedi del monte Pradegna in località Lagobisione, a sinistra
di chi guarda il paesaggio. Diverso approccio (richiedente idonei metodi e strumenti) comporta invece il sistema degli altri sei punti
di riferimento (come da pubblicazioni citate in nota 1), costituiti dai resti architettonici storicamente documentati e ancora esistenti
alle spalle della modella, coincidenti con precisati elementi architettonici dipinti e riconoscibili sullo sfondo della Gioconda.
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