Rossella e l`empatia

annuncio pubblicitario
L’” exordium” è sempre complicato!
Iniziare qualcosa o un racconto è un’operazione faticosa dato che, come dice Calvino, bisogna
mettere ordine e dare forma ad un turbine di idee, che inizialmente sembrano chiare. <Fino al
momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo
[…] ogni volta l’inizio è quel momento di distacco dalla molteplicità dei possibili […]>
(Calvino, Appendice a “Lezioni americane”)
Difficile si pensava essere anche il primo incontro del gruppo letterario “Elicona”, un monte sito
pressappoco nell’area di Delfi (Beozia) ed è un nome che delinea l’essenza del gruppo stesso.
Nome che aiuta ad immergerci in una dimensione atipica, propria, invece, della quotidianità delle
persone protagoniste dei romanzi e di altri generi letterari che abbiamo letto, amato e che ci hanno
segnato. Nome che ci permette di immaginarci immersi in un mondo che è diametralmente l’opposto
del nostro. È un gruppo scherzosamente definito elitario, composto di persone legate da interessi
comuni e desiderosi di esprimersi e di apprendere nuove prospettive.
Bando alle ciance, dovrei cominciare a scrivere del primo incontro! Un primo incontro ruotato
intorno ad un tema non proprio lineare e limpido perché vasto e passibile di diverse interpretazioni.
L’ empatia.
La definizione riportata dal vocabolario è: < [gr. Empatheia ‘passione’, comp. di en, ‘in’ e un deriv.
di pathos ‘affetto’].
1- Coinvolgimento emotivo nell’opera d’arte
2- Capacità di immedesimarsi nelle condizioni di un altro e condividerne pensieri ed emozioni \
profonda intesa con qualcuno >. (Lo Zanichelli, 2012)
Assumendo questo presupposto, sorgono numerosi quesiti. Primo tra tutti è chiederci cos’è
l’empatia. Può essere sufficiente la mera definizione su riportata?
L’empatia è un sentimento indefinibile, ma è da considerarsi sentimento?
Ammettendo che ‘esista’ come sentimento, si può essere empatici?
Ammettendo che si possa essere empatici, bisogna prendere in considerazione molte sfumature
proprie dell’empatia e queste, del resto, sono sorte nell’arco della discussione stessa.
Si può definire l’empatia come <emozione sociale>; voler ‘mettersi nei panni altrui’, capire l’altro.
L’empatia, però, non si può provare per tutti gli esseri umani con la stessa intensità che riserviamo
alle poche e preziose persone. Si opererebbe una sorta di ‘elezione’, di scelta nei confronti di persone
con le quali siamo in contatto più a lungo: < […] persone, che tengono lo stesso passo, inevitabilmente
diventano indispensabili l’uno all’altra e un sentimento reciproco deve, necessariamente sbocciare.>
(‘Le affinità elettive’, Goethe)
L’empatia come ‘radice’ di concetti politici. Secondo R. Dahl, politologo statunitense, l’empatia sta
alla base dello sviluppo dell’uguaglianza politica, in quanto la società umana deriverebbe da
sentimenti ed emozioni. L’empatia aiuta ad apprendere in che modo cooperare con gli altri.
Intenderla, poi, come sentimento esteso e quindi non solo con un raggio d’azione tra due persone. È
possibile un riferimento all’humanitas che Terenzio postula nel ‘Punitore di se stesso’. Cremete e
Menedemo sono vicini di casa e ‘provano compassione per il lavoro dell’altro’. Cremete chiede
all’altro perché si sforza di lavorare il suo campo e alla risposta seccata di Menedemo, questi gli
risponde: <sono un uomo e tutto ciò che è umano mi riguarda>.
Un’altra interpretazione, invece, ha messo in evidenza il significato letterale di empatia, il quale è
provare ‘una qualunque emozione’, rapportandolo a quello di simpatia e compassione. Per simpatia
si intende ‘condividere uno stato di sofferenza’ e compassione ha il medesimo significato.
In particolare, il termine compassione ha una connotazione negativa ed esemplificativo è un verso di
“Ti chiesi”, poesia di Hesse: “[…] ti voglio bene perché sei tanto triste”. C’è uno scarto: l’uno prova
empatia e l’altro compassione. Questa è la dinamica tipicamente umana. In fondo, gli esseri umani
sono egoisti, competitivi, il più delle volte crudeli…
Capire l’altro sembrerebbe impossibile.
In un passo di “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera è possibile leggere una diversa
interpretazione della compassione, ‘co-sentimento’. Tereza aveva capito che Tomas la tradiva da
profumi diverso dal suo, dalla presenza di capelli di altre donne e frugando nei suoi cassetti. Tereza
si era tradita, quando aveva sognato di infilarsi gli aghi sotto le unghie.
<Se glielo avesse fatto un’altra donna, lui non le avrebbe più rivolto la parola […], non l’aveva
cacciata via, ma le aveva preso la mano e le aveva baciato la punta delle dita, perché in quell’istante
sentiva lui stesso il dolore sotto le unghie di lei, come se i nervi delle dita di Tereza fossero collegati
direttamente al suo cervello.
[…] gli sembrava di essere stato lui stesso a inginocchiarsi davanti al cassetto aperto della scrivania;
Capiva Tereza e non solo era incapace di arrabbiarsi con lei, ma le voleva ancora più bene.>
Si può essere empatici nel senso di penetrare nell’Io dell’altro, anche se quest’ultimo non lo
conosciamo. È possibile assorbire il dolore dell’altro e fare in modo che l’altro non lo senta più…ma
l’altro in questione?
C’è un limite! Non possiamo comprendere l’altro fino in fondo e non dovremmo aspettarci nulla in
cambio, in quanto l’empatia non è scambio. Potrebbe, però, essere rovina.
Considerare, quindi, l’empatia nel senso di ‘sentirsi uno’, intenderla come ‘quello che sei, lo sono io
ed io non esisto più’. Ha, dunque, una connotazione negativa perché implica l’annullamento dell’‘uno
che sente’ o di entrambi le parti. Lampante è il richiamo ad Heathcliff e Catherine, i due protagonisti
pazzi (pazzi per amore o semplicemente pazzi?) di ‘Cime tempestose’ di Emily Bronte. Catherine,
parlando di Heathcliff, dice: <[..]come il mio stesso essere>. Frase chiave che descrive l’empatia
come sentimento deleterio che comporta la rovina e l’alienazione degli uomini. Ci si dimentica del
sé, dei propri desideri o opinioni, inconsapevolmente o magari volontariamente. Un ‘rapporto alla
pari’ tra gli uomini non è possibile e lo si può provare, invece, con la Natura, in particolare con un
elemento prediletto: il vento. Quest’ultimo permette di sentirsi un tutt’uno con la natura e di riempirsi
di emozioni che si erano dimenticate.
Il vento dà forza e coraggio.
“Il vento dell’ovest” (1819) di Shelley, è la poesia che delinea perfettamente questo relazione (alla
pari) tra uomo e natura. È una relazione equilibrata in quanto l’uomo riceve vigore e possibilità di
comprendersi.
<< Sii il mio spirito tu, spirito fiero! Spargi sull’universo i miei pensieri come foglie avvizzite a nuova
nascita! [..] sii attraverso le mie labbra la tromba di una profezia>>.
L’obiezione è, però, legittima: noi cosa diamo al vento? È come se lo sfruttassimo. Magari, essendo
noi parte della natura, possiamo giovarne dei suoi elementi…
L’empatia è interpretabile anche come sentimento derivante dalla conoscenza. Si può capire ciò che
prova l’altro perché l’abbiamo già vissuto.
Nell’‘Ode alla gelosia’ di Saffo,
< […] e appena ti vedo
non ho più voce;
ma la lingua silenziosamente
s’inceppa e un fuoco sottile
corre sotto la pelle,
con gli occhi non vedo più niente,
mi rombano le orecchie
un sudore freddo mi avvolge,
un tremito tutta m’afferra,
più verde dell’erba divento,
e già quasi vicina a morire (...)>
si può leggere una vera e propria sintomatologia della gelosia, ciò che essa provoca al ‘geloso’. Sono
sintomi che, però, si possono provare per un qualunque sentimento.
A prescindere dalla gelosia descritta nell’ode, dunque, noi potremmo capire l’altro solo perché quella
situazione l’abbiamo già vissuta o già sentita.
Ma questa è l’empatia? Non dovrebbe funzionare in questo modo… dovremmo capire l’altro perché
lo vogliamo o perché l’‘altro’ vuole aprirsi…
Inoltre si può ridurre ad una mera descrizione quello che noi pensiamo provare? Ci sono tanti modi
di ‘sentire’.
Un’analisi insolita dell’empatia è quella che va indagare le relazioni del mondo omerico.
Dal libro Ω (vv 1-18) dell’Iliade viene messa in risalto la contrapposizione che c’è tra Achille, che
per il dolore causato dalla morte di Patroclo, si lascia sopraffare dall’ira e Priamo che piange il corpo
del figlio Ettore ucciso dal pelide. Sembrano distanti, ma sono accomunati dal dolore.
Priamo si reca da Achille per riprendersi il corpo del figlio dicendo:
<rispetta i Numi, abbi pietà di me>.
Omero parla di pietà che per Aristotele significa ‘sentimento di dolore nei confronti di chi ha subito
ingiustizia’. Questa pietà scatta quando Priamo dice ad Achille di pensare al padre. C’è, dunque,
compassione ‘mediata’ perché Achille comprende il dolore e la richiesta del re solo tramite il
riferimento al padre. Il riferimento in sé di Priamo era del tutto casuale, ma Achille sa che non vedrà
più il padre perché dovrà morire. C’è anche un contatto fisico (<alzò il vecchio per mano>) e un invito
a cena. Invito che corrisponde ad un momento di forte intimità in quella società ed entrambi provano
meraviglia quando si guardano negli occhi. In quel momento ‘si riconoscono, si conoscono come
sono in realtà’. Priamo si accorge che Achille è simile a un dio e Achille vede Priamo come un nobile.
Allora, cos’è l’empatia?
L’unica certezza è che nella quotidianità scatta ‘qualcosa’ dentro di sé, difficile da definire.
Compassione, gentilezza, egoismo?
Ciò è descritto da alcune frasi. Una frase di Platone: <sii gentile, perché chiunque tu incontri sta
combattendo una lotta più dura>.
Ma si ritorna sempre ad un punto: non si può ridurre questo sentimento così vasto e indefinibile ad
un mero tornaconto! Risulta ad hoc, invece, una frase di Spinoza: <non deridere, non compiangere,
non disprezzare, ma comprendere le azioni umane>.
Non c’è definizione che tenga e propongo una tesi, direi, più scientifica e sintetica.
Un (mio) docente di filosofia del linguaggio (Università Federico II), per spiegare l’origine del
linguaggio, tra tante ipotesi, sostiene quella dei ‘neuroni specchio’ (una classe di neuroni che si attiva,
allo stesso modo, sia quando è il soggetto ad osservare altri fare un’azione, sia quando è il soggetto a
compiere l’azione). Il linguaggio, comunque, è una caratteristica tipicamente umana e il linguaggio
gestuale è da considerarsi la prima forma di comunicazione fra gli uomini e la scoperta dei neuroni
specchio rende l’ipotesi gestuale del linguaggio verosimile.
Ciò che è importante in questo contesto, va al di là del problema del linguaggio al quale, però, è
collegato il tema dell’interazione tra gli uomini, prodotto dello stesso linguaggio: <La capacità di
comprendere gli altri esseri umani è dipendente dalla natura relazionale del comportamento degli
individui, nella misura in cui viene riconosciuto dagli altri. […] recenti evidenze empiriche
suggeriscono che le stesse strutture nervose coinvolte nell’analisi delle sensazioni ed emozioni vissute
in prima persona sono attive anche quando tali emozioni e sensazioni vengono riconosciute negli
altri.>
(Rocco Pititto, “Pensare, parlare, fare; una introduzione alla filosofia del linguaggio”).
Scarica