Domenica delle palme A La liturgia di questa domenica ha il suo vertice nella lettura del racconto della passione del Signore. Per moltissimi cristiani (in pratica, per tutti quelli che non partecipano ai riti del Venerdì Santo), è l'unica occasione che hanno per ascoltare, nel corso di un'assemblea liturgica, questa parte del Vangelo. Cosa, a prima vista, strana: la liturgia ha inserito questa lettura tra la domenica delle Palme che è caratterizzata da un clima di festa e di trionfo. La nostra celebrazione odierna inizia con l'Osanna! e culmina nel Crucifige! Ma questo non è un controsenso; è piuttosto il cuore del mistero. I racconti della passione sono all'origine, non alla fine, del Vangelo. Le biografie degli uomini illustri cominciano con il racconto della nascita e finiscono con quello della morte; la biografia di Gesù (se si può parlare di biografia) cominciò con il racconto della morte e solo più tardi arrivò a quello della nascita. I racconti della passione furono i primi, infatti, a formarsi nella tradizione ed essere messi per iscritto L'accordo tra i quattro evangelisti è in loro molto maggiore che nel resto del Vangelo sulla trama essenziale dei fatti esso, anzi, è totale. La loro scarna semplicità, il tono narrativo privo di polemica, la parte meschina e le incoerenze degli autori stessi del racconto non sono state eliminate: tutto concorre a dare l'impressione di una testimonianza obiettiva e di prima mano Quando si legge il racconto della passione il problema fondamentale è: chi furono i responsabili della morte di Gesù, i giudei e romani? Gesù morto per motivi religiosi (perché si proclamava Messia), o per motivi politici (come agitatore sociale e ribelle contro Roma)? La ricerca più equilibrata ha già risposto a questi interrogativi: Gesù fu condannato insieme dai giudei e dai romani; nella sua morte si realizzò una strana coincidenza di motivi religiosi e di motivi politici, anche se la responsabilità più diretta pare senz'altro ricadere sui capi ebraici del tempo (non quindi su tutto il popolo ebraico di allora meno ancora, sulle generazioni ebraiche successive!). Il credente però è alla ricerca di un altro responsabile della morte di Cristo; sente che c'è accusatore implacabile alle sue spalle, il quale, prima ancora del suo arresto, ha già preparato per Gesù il calice da bere. La storia della passione presenta degli strani inserti ad incastro che rompono apparentemente il filo del racconto: la storia del tradimento di Giuda, quella del rinnegamento di Pietro, la lavanda delle mani di Pilato, Barabba, i due ladroni. Ma non sono corpi estranei; in loro risiede piuttosto la spiegazione di tutto. Quelle storie esprimono e simboleggiano la sola grande realtà che ha portato Gesù alla croce: Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce Giuda che tradisce, Pietro che rinnega, Pilato che si lava le mani, la gente che si scalda al fuoco chiacchierando del più e del meno, i soldati che si dividono avidamente le vesti del condannato, i ladroni che hanno ucciso, non sono lì da soli: dietro di ognuno di loro ci sono folle e ci siamo anche noi. Finito di leggere il passio, noi abbiamo richiuso oggi il libro, ma adesso sappiamo che la storia non è finita, continua ed è tuttora in atto. Anche per noi cristiani, il processo di Gesù e la sua passione continuano, ma in ben altro senso. In due sensi: si rinnova in ogni uomo che soffre ed è perseguitato, come Gesù, per la giustizia; è rinnovato da chiunque, abbandonandosi al peccato, non fa che prolungare il grido: Non costui, ma Barabba! Crucifige! Sta a noi scegliere in che veste vogliamo entrare nella storia della passione di Cristo: se nella veste del Cireneo che si affianca a Gesù, a spalla a spalla, per portare con lui il peso della croce; se nella veste delle donne che piangono, del centurione che si batte il petto e di Maria che sta silenziosa accanto alla croce; o se vogliamo entrarvi nella veste di Giuda, di Pietro, di Pilato e di coloro che « guardano da lontano » come vanno a finire le cose. Il racconto della passione che abbiamo ascoltato si è chiuso con l'immagine del masso rotolato contro l'entrata del sepolcro; noi sappiamo però che quel masso non ha « tenuto »: Gesù è risorto ed è assiso alla destra del Padre. Eppure, finché dura questo mondo di dolore e di peccato, egli è ancora misteriosamente nella tomba; non è ancora risorto del tutto. «Egli - scrive un autore del II secolo - è in prigione, è nelle tombe, è nei ceppi, è nelle carceri, è tra le offese e sotto processo; perché con quelli che soffrono soffre anche lui» La Settimana Santa deve ricordarci soprattutto questo. « Di questi tre misteri (la crocifissione, la sepoltura e la risurrezione), noi compiamo nella vita presente ciò di cui è simbolo la croce, mentre teniamo per fede e per speranza ciò di cui è simbolo la sepoltura e la risurrezione di Cristo. Tutta la nostra vita è, in certo senso, una Settimana santa, se la viviamo con coraggio e fede, nell'attesa dell'« ottavo giorno » che è la grande domenica del riposo e della gloria eterna. In questo tempo, Gesù ripete a noi l'invito che rivolse ai suoi discepoli nell'orto degli ulivi: Restate qui e vegliate con me Domenica delle palme B DALLO SCONCERTO DEI FATTI NASCE L’ATTO DI FEDE Marco 11,1-10 (processione) Isaia 50,4-7 Salmo 21 (Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?) Filippesi 2,6-11 Marco 14,1-15,47 Marco espone la vicenda della passione con un linguaggio vivace e stringato. Data la lunghezza dell’odierna liturgia, l’omelia non può che procedere per cenni. (1)L’apertura e la chiusura del vangelo ci danno la chiave di lettura teologica della passione: la fede in un Dio che ribalta gli schemi ordinari del pensiero, si identifica con i sofferenti (e con la loro protesta), ama fino alla morte, salva non con la potenza ma col dono di sé. L’asinello dell’ingresso in Gerusalemme, la donna di Betania, il centurione del Golgota esprimono bene tale intento di Marco. (2)L’ultima cena anticipa simbolicamente, nel pane e nel vino, l’offerta della vita sulla croce per far crescere nel mondo la comunione e la pace. Non c’è pace né gioia senza perdono, offerta, amore. (3)Il Getsemani è il luogo del tradimento: di Giuda, di Pietro (predizione di Gesù), dei discepoli che fuggono. Gesù non sente neppure la vicinanza del Padre. È solo, in balia dei suoi avversari. Quante volte siamo presi dalla stessa sensazione: essere soli sulla via della giustizia, delusi e tentati di abbandonarla! (4)Il processo giudaico, davanti al sommo sacerdote, è paradossale. Proprio coloro che, sulla scorta delle Scritture, avrebbero potuto e dovuto con facilità riconoscere la missione divina di Gesù, lo condannano. È un messia che aveva predicato una legge di troppa libertà e di troppo amore; meglio trattarlo da bestemmiatore! (5)Il processo romano, davanti a Pilato, è piuttosto sbrigativo. Il procuratore capisce che si tratta di una montatura e, dopo un maldestro tentativo di liberare Gesù, cede alla “ragione di stato” e permette la crocifissione; dopo tutto per lui salvare un popolano, benché innocente, non valeva certo il rischio di inimicarsi i dirigenti. Anche il “duro” Pilato è forte con i deboli e deboli con i forti! (6)La morte in croce segna il culmine degli avvenimenti, cui segue l’epilogo della tumulazione. Gesù, il predicatore solitario di una nuova giustizia, sembra davvero aver fallito. Ma il centurione, Maria di Magdala, Maria di Joses intuiscono che non è così. La storia non finisce qui. La croce è un seme d’amore gettato nella storia: esso germinerà a vita nuova nella risurrezione. Giovedì santo A Il Giovedì santo è il grande "portale d'ingresso" delle celebrazioni pasquali. La liturgia del Giovedì Santo si riduce alla celebrazione di una Messa, sostanzialmente identica nella sua struttura complessiva a tutte le messe dell'anno. Singolare è invece il fatto che tale Messa sia l'unica che si celebra nelle singole parrocchie, e che si celebri soltanto alla sera. Attraverso questi aspetti in un certo senso esteriori si esprime un significato, che è di ogni Messa. Si esprime innanzitutto il fatto che la Messa è comunione: L'amore di Cristo ci ha riunito, ha fatto di noi una sola cosa. La Messa infatti non è un generico servizio di culto, celebrato dal sacerdote quasi ad ogni ora del giorno almeno nei giorni festivi per l'utilità di tutti quelli che vogliano singolarmente servirsene; è piuttosto il gesto nel quale si esprime e si produce la chiesa come incontro di tutti i figli di Dio. Quando venne la sua ora, Gesù riunì i dodici, soltanto quelli, ma pure in essi riunì tutti "i suoi che erano nel mondo" e "li amò sino alla fine" (Gv 13, 1). E questo incontro di comunione avviene alla sera, nell'ora in cui il mondo cade nelle tenebre. Nella stanza della cena, ci ritroviamo alla stessa tavola come fratelli, strappati alla dispersione del mondo e inseriti nella vita nuova di Cristo. Al centro della liturgia della Parola di questa celebrazione sta ovviamente il testo del vangelo che ricorda la cena di Gesù con i suoi e il gesto da lui compiuto. Il testo è quello di Giovanni, che non ricorda espressamente la frazione del pane e l'offerta del calice; ricorda invece il gesto di Gesù che lava i piedi ai suoi. E tuttavia anche quell'altro gesto è ricordato in questa messa, attraverso le parole di Paolo ai Corinzi nella seconda lettura. L'uno e l'altro gesto, nell'intenzione di Gesù e nella ripetizione che la chiesa ne fa in obbedienza al suo mandato, interpretano il senso della passione, morte e risurrezione di Gesù, e insieme fanno di quegli avvenimenti un dono ai discepoli. Gesù, nel suo cammino di passione, apparirà solo e silenzioso, circondato da estranei e abbandonato da quelli ai quali soltanto avrebbe potuto e voluto dire una parola. E tuttavia il suo cammino è per loro: "fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato", diciamo nel Credo. Il gesto del pane e del vino, così come la lavanda dei piedi, trasformano in anticipo la passione silenziosa in una parola detta ai suoi, perché abbiano parte con lui. "Questo è il mio corpo dato per voi, è la mia vita offerta per amore della vostra vita", dice Gesù ai suoi discepoli. Il pane che Cristo spezza, il calice che offre come segno della nuova ed eterna alleanza, non sono però soltanto un dono, ma anche un compito. Il dono di sé da parte del Figlio di Dio fatto uomo è insieme "comandamento": è dono che non può essere accolto senza esserne mutati, trasformati, convertiti. Così sono i doni di Dio, sempre. Non doni che l'uomo possa possedere come si possiedono le cose esteriori alla nostra persona; ma doni che alla fine consistono in un modo nuovo d'essere della persona, in una vita nuova, nell'inizio di un destino di salvezza che offerto gratuitamente da Dio può essere realizzato soltanto attraverso la personale e continua obbedienza della libertà umana. Questo aspetto del dono di Cristo appare più chiaramente espresso dal segno della lavanda dei piedi: esso annuncia quello che Gesù sta per fare per i suoi, ma comanda anche quello che i suoi dovranno fare per essere in comunione con Lui. "Sapete ciò che vi ho fatto?... Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri" (Gv 13,1214). Come per Gesù il gesto di servizio durante la cena prelude e impegna ad un servizio reso con la vita, così per i suoi discepoli di oggi: il gesto rituale del sacerdote che lava i piedi agli ultimi è memoria ed insieme accettazione nella fede del comandamento nuovo di Gesù, quello di amarsi gli uni gli altri come ci ha amato lui (cfr. Gv 13, 34 Giovedì santo B Quello che noi stiamo facendo non è invenzione dell'uomo, ma istituzione di Cristo: « Fate questo in memoria di me »; « annunciate la morte del Signore finché egli torni ». E' un memoriale che attraversa la storia, fin dalla notte dell'esodo rievocata nella prima lettura, e che ha raccolto, strada facendo, tutti gli interventi di Dio fino al supremo e definitivo con Gesù E' questa l'Eucaristia che crea la comunità e fa la Chiesa “Voi mi chiamate maestro……..Se dunque io……. Stasera Gesù lava i piedi anche a noi Se non ce li lasciamo lavare non avremo parte con lui, non saremo dei suoi Non solo i piedi, ma il cuore Solo lavando i piedi agli altri, lavo me stesso Gesù solo e abbandonato Dolcezza e tristezza Comandamento dell’amore Dal crocifisso all’eucaristia Nella Cena d’addio Gesù compì due gesti tradizionali, caricandoli di una novità sconcertante. Era costume che il capofamiglia aprendo la cena giudaica recitasse la benedizione e spezzasse un grande pane porgendone un pezzo ad ogni commensale: era un dono che rendeva partecipi della benedizione. Ma, contrariamente al costume abituale, Gesù spiega il gesto e addirittura dice: Questo è il mio corpo dato per voi. Era tradizionale anche la preghiera di ringraziamento sull’ultimo calice della Cena, ma non era secondo il costume che Gesù facesse circolare il calice e perché tutti ne bevessero e che spiegasse il gesto. Per di più lo spiegò con crudezza inattesa, quasi a dissipare ogni illusione sul suo destino: Questo è il mio sangue versato per voi. Versare il sangue significa uccidere e tutti compresero: io sarò ucciso. A quel punto i due gesti apparivano ai discepoli come espressione di un dono radicale: la sua vita per loro. Un pane che è corpo spezzato e un vino che è sangue versato stanno a dire: "Voi siete nutriti dalla croce". Riusciremo a vivere almeno qualcuna delle nostre Messe consapevoli di essere nutriti dalla croce? Giovedì santo C Che significa il rito di questa sera e che significano i riti che ci apprestiamo a ripetere anche quest'anno, in occasione della Pasqua? Che cos'è dunque ciò che noi facciamo ogni anno a Pasqua? Quello che noi stiamo per fare non è invenzione dell'uomo, ma istituzione di Cristo: « Fate questo in memoria di me »; « annunciate la morte del Signore finché egli torni ». E' un memoriale che attraversa la storia, fin dalla notte dell'esodo rievocata nella prima lettura, e che ha raccolto, strada facendo, tutti gli interventi di Dio fino al supremo e definitivo, avvenuto all'altezza degli anni trenta della nostra era, con la morte e risurrezione di Cristo. E' una specie di asse intorno a cui ruotano non solo gli anni, ma anche le settimane e i giorni. Il memoriale della Pasqua scorre infatti nella storia con tre ritmi: a) un ritmo quotidiano, ed è l'Eucaristia che si celebra ogni giorno nella Chiesa: « la Pasqua quotidiana », la chiamava sant'Agostino; b) un ritmo settimanale, ed è il ricordo della risurrezione che si celebra ogni domenica: « la piccola Pasqua », come la chiamano i nostri fratelli orientali; c) un ritmo annuale, ed è la solennità di Pasqua che ci apprestiamo a vivere con tutta la Chiesa. E' questa l'Eucaristia che crea la comunità e fa la Chiesa, come spiga cresciuta da quel chicco di grano caduto in terra e morto e che ha portato molto frutto. E' questa la Pasqua della Chiesa, con la quale ci apprestiamo a celebrare la Pasqua di Cristo e la nostra pasqua. “Voi mi chiamate maestro……..Se dunque io……. Stasera Gesù lava i piedi anche a noi Se non celi lasciamo lavare non avremo parte con lui, non saremo dei suoi Non solo i piedi, ma il cuore Solo lavando i piedi agli altri, lavo me stesso Gesù solo e abbandonato Dolcezza e tristezza Comandamento dell’amore Dal crocifisso all’eucaristia Uno dei più interessanti misteri della fede cristiana è che Dio è venuto a noi in un corpo, ha sofferto per noi nel corpo, è risorto nel corpo e ci ha dato come cibo il suo corpo. Il corpo non è visto come nemico o come prigione dello spirito. Mangiando il corpo di Cristo, i nostri fragili corpi sono diventati intimamente uniti a Cristo Nella Cena d’addio Gesù compì due gesti tradizionali, caricandoli di una novità sconcertante. Era costume che il capofamiglia aprendo la cena giudaica recitasse la benedizione e spezzasse un grande pane porgendone un pezzo ad ogni commensale: era un dono che rendeva partecipi della benedizione. Ma, contrariamente al costume abituale, Gesù spiega il gesto e addirittura dice: Questo è il mio corpo dato per voi. Era tradizionale anche la preghiera di ringraziamento sull’ultimo calice della Cena, ma non era secondo il costume che Gesù facesse circolare il calice e perché tutti ne bevessero e che spiegasse il gesto. Per di più lo spiegò con crudezza inattesa, quasi a dissipare ogni illusione sul suo destino: Questo è il mio sangue versato per voi. Versare il sangue significa uccidere e tutti compresero: io sarò ucciso. A quel punto i due gesti apparivano ai discepoli come espressione di un dono radicale: la sua vita per loro. Un pane che è corpo spezzato e un vino che è sangue versato stanno a dire: "Voi siete nutriti dalla croce". Riusciremo a vivere almeno qualcuna delle nostre Messe consapevoli di essere nutriti dalla croce? Consapevoli innanzi tutto di essere accolti ed immersi nella vita stessa di Dio, che è poi il suo amore. I nostri giorni e le nostre ore, le nostre azioni e i nostri pensieri, i nostri sentimenti e i nostri affetti…. tutto è purificato dal sangue di Gesù e tutto è portato nel suo stesso dinamismo di vita Ma il movimento profondo della sua vita fu il servire ("sono tra voi come uno che serve"), l’amare senza riserve ("amò i suoi sino alla fine "), il donarsi radicale al Padre e a ciascuno di noi ("non c'è amore più grande di colui che sacrifica la vita per i suoi amici"). Nutriti dalla croce significa essere nutriti e quindi assimilati ad un amore radicale. La missione nelle nostre fragili mani subisce invece tante mediocrità: compromessi, paure, piccoli o grandi egoismi, presunzioni. Ci sentiamo sproporzionati al compito e impauriti anche solo da parole come: "amare con tutte le forze", "sino alla fine", "perdere la vita per ritrovarla", "il servo non è da più del padrone", "pregate sempre"... Ma dobbiamo credere che siamo nutriti dalla croce e dalla sua potenza. Ed è la croce e la potenza del Risorto. Venerdì santo A La lancia del soldato Il cuore deve battere sempre. Se altri organi o parti del corpo conoscono momenti di riposo o di interruzione della loro attività, il cuore non cessa mai di battere, altrimenti sopravviene la morte. L'amore, al pari del cuore umano, deve sempre operare per garantire la vitalità di tutto l'organismo Il cuore svolge due movimenti o funzioni principali, con il primo movimento espelle il sangue dalle sue cavità spingendolo alla periferia e con il secondo lo richiama al centro. Anche l'amore conosce ed esige una forza centrifuga che lo spinge all'esterno, alla missionarietà, alla donazione di sé agli altri. Come il cuore richiama il sangue dalla periferia al centro, così l'amore di Cristo richiama quelli che ha inviato ricordando che non si può vivere in perenne atteggiamento di donazione: chi dà deve anche ricevere. L'intimità con lui rigenera la vita, motiva il senso della missione e permette di ripartire. In tal modo il ciclo continua senza interruzione. Il cuore invia nella periferia solo sangue opportunamente ossigenato. Il cuore di Gesù, simbolo di amore senza confini e senza frontiere, deve essere non solo l'oggetto della nostra devozione, ma anche il modello del nostro amore, un amore che, al pari del cuore, lavora sempre e a vantaggio di tutti. Capiremo allora meglio com'è possibile che un cuore trafitto sia un cuore capace di generare Oggi siamo invitati a fare un gesto che forse sembra sorpassato: la venerazione e il bacio della croce Ma è un gesto eccezionale Baciando Cristo, si baciano tutte le ferite dei mondo, tutte le ferite dell'umanità, quelle ricevute e quelle date, quelle che gli altri ci hanno inciso e quelle che abbiamo inciso noi. Anzi, baciando Cristo, baciamo le nostre ferite, quelle ferite lasciateci dal nostro non essere stati amati. Quando diciamo che Cristo è morto è come se dicessimo che ogni sofferenza è stata già sofferta da Dio Fuori da Dio la sofferenza umana non è sopportabile, non si può affrontare Giorno della Croce Giorno della sofferenza Giorno della speranza Giorno dell’abbandono Giorno del lutto Giorno della gioia Giorno della fine Giorno dell’inizio Verrete a baciare la croce: espressione di amore e gratitudine Pensiamo alle grandi sofferenze dell’umanità nel corso dei secoli, persone uccise, persone morte per fame e stenti, persone portate via ai loro cari, persone morte per malattia, persone morte in incidente, persone uccise in guerra. Quanta gente che grida: Dio mio, perché mi hai abbandonato ? Vorrei immaginare una fila di gente che soffre che si mette in coda per baciare la croce e bagnarla di lacrime , occhi pieni di lacrime, zoppicando, persone tormentate e dopo aver baciato il crocifisso andarsene confortati e consolati La croce dell’orrore può diventare la croce della speranza, le ferite aperte fonte di perdono di guarigione e di riconciliazione. Venerdì santo B Bisogna però avere coscienza anche delle cause storiche che provocarono questa tragica fine per cogliere con più chiarezza il vincolo esistente tra la morte di Gesù e la causa da Lui abbracciata Gesù è morto per la fedeltà alla causa del Regno La coerenza di Gesù con la sua causa lo ha portato alla croce. Autori della sua condanna a morte sono stati quelli che si sentivano da Lui scalzati dalla condizione di privilegio e di potere , quelli che furono lasciati da Lui allo scoperto nella loro manipolazione di Dio a vantaggio proprio, quelli che persero per causa sua nei loro meschini interessi Le accuse per cui lo sentenziarono furono quelle di sobillatore del popolo e di bestemmiatore contro il Tempio e contro Dio. E' facile cogliere dietro a tali accuse la paura provocata in loro da questo Profeta che richiamava a una conversione radicale dei cuori e anche dei rapporti tra le persone e i diversi gruppi e delle strutture. SE GESU' SI FOSSE ACCONTENTATO DI PROCLAMARE CHE BISOGNA ESSERE BUONI SI SAREBBE RISPARMIATO LA CROCE. INVECE LO ELIMINARONO VIOLENTEMENTE PERCHE' DISTURBAVA, PERCHE' COSTITUIVA UN PERICOLO La Croce di Gesù però non è la canonizzazione del dolore umano e della morte in quanto tale. Essa rimane di per se una maledizione come ogni dolore e ogni sofferenza inflitta dalla cattiveria umana. Ma in Gesù cambia di segno perché diventa l’espressione massima del suo impegno per trasformare il mondo in regno di Dio. METTE IN EVIDENZA UNO DEGLI ASPETTI COSTITUTIVI DELL'AMORE TRASFORMATORE: NON SI CAMBIA IL MONDO SENZA DOLORE E FATICA O DETTO IN ALTRE PAROLE, NON SI AMA SUL SERIO SENZA SOFFRIRE. La croce è il più grande scandalo della narrazione evangelica e della storia futura cristiana. Noi abbiamo cercato di rendere “normale” questo linguaggio, ma se si vuole ricondurre il venerdì santo al suo vero significato, la fede cristiana dovrà guardare la nuda verità della croce e del Dio crocifisso DOPO LA CROCE LA SOLIDARIETA’ NON E’ PIU’ QUALCOSA CHE SI SCEGLIE , MA E’, PER CREDENTI E NON CREDENTI, SPIRITO E PAROLA, CARNE E SANGUE PER TUTTI, E’ LA NUOVA E UNIVERSALE LEGGE. Oggi siamo invitati a fare un gesto che forse sembra sorpassato: la venerazione e il bacio della croce Ma è un gesto eccezionale Quando si svelerà la croce, guardando questa scena di sofferenza e di martirio con un atteggiamento di adorazione, possiamo in essa riconoscere il Salvatore. Vedere l'Onnipotente nella debolezza, nella fragilità, nel fallimento, nella sconfitta, è il mistero del Venerdì santo al quale noi fedeli accediamo con l'adorazione. Il bacio di un uomo lo ha consegnato alla morte Baciando Cristo, si baciano tutte le ferite dei mondo, tutte le ferite dell'umanità, quelle ricevute e quelle date, quelle che gli altri ci hanno inciso e quelle che abbiamo inciso noi. Anzi, baciando Cristo, baciamo le nostre ferite, quelle ferite lasciateci dal nostro non essere stati amati. Ma oggi, sperimentando che uno si è dato nelle nostre mani e che ha assunto su di sé il male del mondo, le nostre ferite sono amate. In lui noi possiamo amare le nostre ferite trasfigurate. Questo bacio che la Chiesa ci invita a dare oggi è il bacio dello scambio della vita. Cristo sulla croce ha effuso la vita e noi, baciandolo, accogliamo il suo bacio, cioè il suo spirare amore che ci fa respirare, rivivere. Veglia pasquale IMPEGNARSI A FAR BELLE LE COSE Secondo una vecchia tradizione, questo è il giorno senza Eucaristia, il giorno del silenzio e del digiuno a causa della morte del Redentore. Solo la sera si radunano i fedeli per la veglia notturna e le preghiere. I riti del Sabato Santo, anche se celebrati ancora la sera di questo giorno, in sostanza appartengono già alla liturgia della Domenica della Risurrezione. Il corpo del Figlio di Dio riposava nel sepolcro. All`entrata del sepolcro era stata posta una grande pietra, furono apposti i sigilli e le guardie. Se n`è andato il nostro Pastore, la fonte dell`acqua viva; perciò, la Chiesa oggi ha pianto su di lui come si piange l`unico figlio l`Innocente, il Signore è stato ucciso. Ma il Signore disse una volta: «Come Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, cosí il Figlio dell`uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» «distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» Il chicco di grano gettato in terra porterà frutto. La Chiesa in preghiera ha atteso la Risurrezione del Signore. Tre parole chiave sono al centro della nostra celebrazione pasquale: “Non temete, Venite a vedere; Andate !” L’unica occasione in cui la liturgia domenicale ci propone il primo racconto della creazione è quella della veglia pasquale. E’ un testo molto ricco e potrebbe costituire una buona sintesi di tutta questa liturgia notturna, fortemente caratterizzata dai segni materiali: fuoco, acqua, luce… Anzitutto il racconto è pervaso da un grande ottimismo: tutta la creazione è “bella e buona”. È suggestivo, in questa notte santa, sentirsi non solo dentro il piccolo tempio che è la nostra chiesa, ma dentro il grande tempio che è tutto l’universo, e celebrarlo come dono di Dio. La prima tappa della salvezza è la creazione: le cose sono frutto dell’amore del Signore. Siamo invitati a ricuperare una dimensione nuova e ineludibile della vita: la contemplazione. Sull’esempio di Dio, anche l’uomo non è solo capace di costruire cose, ma soprattutto di capirne e gustarne il senso. È importante recuperare spazi di contemplazione nella nostra vita. Questo tempo di Pasqua ci trovi disponibili alla riflessione e alla preghiera per comprendere tutta la bellezza e la gioia di essere amati dal Signore e di essere destinati a manifestare la sua gloria nella storia del mondo. Siamo invitati alla gioia, all’esultanza. Non solo noi, ma addirittura gli angeli. Perché ? Domenica di Pasqua “vide e credette”. Anche noi, oggi, siamo invitati a vedere e a credere come Giovanni; ma: credere che cosa? Credere che Cristo è risorto. Sembrava tutto definitivamente finito nella sua vita: un profeta messo finalmente a tacere dai potenti del tempo, morto in croce e sepolto. Ma il sepolcro viene trovato vuoto e Cristo si fa vedere ai suoi discepoli ancora vivo, apparendo loro più volte, sia a singoli che a gruppi. Cristo risorge perché è la Verità, è l’Amore. Può forse morire la verità e l’amore? Se ciò accadesse, sarebbe la fine di tutto, nulla meriterebbe più d’essere vissuto. Resterebbero solo gli egoismi e le violenze di una umanità ormai alla deriva. Ma questo non è il piano di Dio. Credere che l’umanità può risorgere. “Un mondo nuovo è possibile” Potrebbe sembrare un sogno irrealizzabile: l’uomo è cattivo e non nascerà mai un mondo buono! Così dice qualcuno, che però non crede alla Pasqua. Cristo risorto non è un singolo isolato: egli riassume tutta la realtà, è lo stesso Verbo che è presente, come progetto, in tutta la creazione. In Cristo è il mondo e l’universo intero che risorge. La Pasqua si tinge di speranza per gli uomini che vivono da schiavi: la liberazione è possibile, anzi è vicina. Credere che io posso e devo risorgere. Il mondo diventa buono, se io, proprio io in prima persona, assumo nella mia vita il progetto di Cristo: amare fino in fondo, costi quel che costi, i miei famigliari, i miei vicini di casa, i colleghi di lavoro, i poveri del mondo (e i ricchi perché si convertano); amare e rispettare le cose, l’ambiente, amare con tutto me stesso il Signore che dà valore a tutta l’esistenza. Non devo avere paura: la mia vita è ormai al sicuro, presso il Signore (II lettura). Mio compito è spenderla giorno dopo giorno per far risorgere l’angolo di terra che Dio mi ha affidato. La risurrezione di Cristo è un germe di assoluta positività: tocca a noi credenti, insieme con tutte le persone di buona volontà, farla crescere e far sì che si estenda su tutta la terra. Buona Pasqua!