II modello riabilitativo cognitivo C. Mencacci, F. Durbano, M. Comazzi, E. Stragapede Dipartimento di Salute Mentale- P.O. Melzo- Azienda Ospedaliera di Melegnano Milano. Introduzione ai disturbi cognitivi associati a schizofrenia Numerosi studi negli scorsi decenni hanno dimostrato come i soggetti affetti da schizofrenia presentino deficit neuropsicologici che impediscono una normale messa in atto di corrette abilità comunicative. Mancano cioè di quella che viene definita competenza pragmatica, che presuppone la integrità delle strutture e dei meccanismi della attività linguistica e che è prerequisito di qualsiasi intervento finalizzato al reinserimento sociale. In questo senso è spiegabile come il soggetto schizofrenico, al di là degli aspetti psicopatologici classici, manifesti evidenti e disabilitanti disturbi della comunicazione: incapacità di attivare strategie inferenziali, di differenziare tra enunciati formali e metalinguistici-simbolici, presenza di disturbi formali della comunicazione e assenza di consapevolezza delle regole fondanti il processo comunicativo. Uno dei modi per superare questo problema potrebbe essere l’attivazione delle strutture cognitive deficitarie con una differente modalità espressiva: possono trovare così un fondamento le varie forme di arte-terapia contestualizzate in un quadro riabilitativo di tipo cognitivo. Infatti l’utilizzo di meccanismi espressivi e comunicativi formalmente meno complessi, ma le cui regole comunicative di base sono condivise con la competenza linguistica, permettono di sviluppare strategie alternative di addestramento, meno frustranti sul piano operativo ed emotivo, per bypassare il deficit comunicativo, ed utilizzando in via prioritaria un canale apparentemente più integro permettere lo sviluppo di strategie comunicative più adeguate ed un recupero delle funzioni relazionali il più possibile completo. Ad oggi la letteratura sull’argomento è molto carente, nonostante i numerosi ed indubbi progressi fatti dalle scienze neurocognitive nel campo della malattia schizofrenica. Basi biologiche dei deficit cognitivi della schizofrenia Negli ultimi decenni clinici e ricercatori hanno indirizzato la loro attenzione in modo crescente sullo studio dei disturbi cognitivi in corso di schizofrenia. Non esiste peraltro un accordo in letteratura rispetto alla interpretazione della presenza dei deficit cognitivi dei soggetti affetti: tali deficit, secondo alcuni autori, potrebbero essere manifestazioni primarie della patologia schizofrenica, mentre secondo altri almeno in parte potrebbero essere favoriti dalla terapia con neurolettici o ancora secondari alla istituzionalizzazione. È peraltro noto che molti dei deficit cognitivi si manifestano, anche in modo subclinico, molto tempo prima dell’esordio conclamato del disturbo e che persistono anche dopo la remissione della sintomatologia psicotica. Inoltre alcuni autori hanno evidenziato che anche i familiari di primo grado non affetti da schizofrenia presentano i medesimi disturbi cognitivi seppure in modo meno grave. Tale riscontro è suggestivo del fatto che i deficit cognitivi possano riflettere una vulnerabilità o predisposizione al disturbo schizofrenico e costituire in particolare un marker fenotipico del disturbo. A questo riguardo una significativa percentuale di soggetti schizofrenici presenta alterazioni strutturali del SNC. Le ipotesi più recenti indicano in un alterato schema del neurosviluppo la base prima di questa vulnerabilità, che in fasi critiche della vita (adolescenza, passaggio all’età adulta, richieste ambientali stressanti) può determinare un cedimento delle funzioni psichiche complesse secondario alla alterazione dei circuiti neurali deputati alla percezione ed elaborazione delle informazioni (vedi ad esempio i lavori di Weinberger sui disturbi del neurosviluppo e quelli di Zubin e Spring e del gruppo di Brenner). La presenza di alterazioni cerebrali in corso di schizofrenia è largamente documentata a partire dagli anni ’70 dopo l’introduzione della tomografia assiale computerizzata (TAC) e poi della Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), confermando dati precedenti eseguiti con tecniche pneumoencefalografiche e analisi post-mortem. La maggior parte degli studi anatomico-strutturali condotti attraverso l’utilizzo di TAC e RMN ha infatti dimostrato la presenza di alterazioni neuromorfologiche quali l' allargamento dei ventricoli cerebrali, l' aumento del volume dei gangli della base, la riduzione del volume del lobo frontale, del lobo temporale, dell' ippocampo, dell’amigdala e del giro temporale superiore. Sono inoltre presenti alterazioni morfologiche e funzionali a livello dei sistemi di connessione intra ed interemisferici. Questi studi hanno anche un immediato riscontro clinico: l’allargamento ventricolare in particolare, ma anche le altre alterazioni, nella maggior parte degli studi si correla ad un esito più sfavorevole sia sul piano della sintomatologia clinica che su quello del funzionamento globale. Studi definitivi relativamente alle lesioni in altre aree cerebrali non sono tuttavia ancora stati pubblicati. Un ulteriore riscontro morfologico, ma il dato non è univoco, è la inversione della normale asimmetria cerebrale (dx > sn). Alcuni studi condotti dal gruppo di Gruzelier hanno evidenziato come il deficit delle funzioni temporo-ippocampali di sinistra sia responsabile dei deficit della memoria “verbale”, a fronte di una relativamente maggiormente conservata capacità mnesica “non verbale”, questo in particolare nella sottopopolazione di pazienti con sindrome deficitaria (isolamento sociale, appiattimento affettivo, scarsa spinta alla esplorazione dell’ambiente). Le tecniche di visualizzazione morfologica cerebrale tuttavia presentano il limite di non fornire informazioni sul funzionamento cerebrale. In relazione allo sviluppo delle moderne metodiche di brain-imaging funzionale (SPECT; PET, RMN funzionale) e al crescente interesse nei confronti delle alterazioni cognitive dei soggetti schizofrenici è stato però possibile studiare il flusso ematico ed il metabolismo cerebrale regionale giungendo a verificare nei soggetti schizofrenici la presenza di circuiti neurali disfunzionali e di patterns aberranti di attivazione. Il pattern funzionale che emerge più diffusamente dagli studi sulla schizofrenia è quello di una ipofrontalità relativa già suggerita in altri ambiti di ricerca quali gli studi che hanno utilizzato test di attivazione dell’area frontale (Wisconsin Card Sorting Test e Torre di Londra). Secondo alcuni autori l’ipofrontalità non sarebbe evidente a riposo ma corrisponderebbe all’incapacità da parte dei pazienti schizofrenici di attivare la corteccia prefrontale durante lo svolgimento di test cognitivi specifici per il lobo frontale (vedi il modello di vulnerabilità/stress già citato). Le strutture cerebrali prima citate sono infatti coinvolte in numerosi processi di elaborazione della informazione: i più recenti lavori integrano i dati morfofunzionali con quelli di performance alle indagine neuropsicologiche, evidenziando una stretta relazione tra le alterazioni anatomofunzionali citate e gli specifici deficit cognitivi (riduzione della capacità di discriminazione degli stimoli rilevanti da quelli irrilevanti, perseverazione, difficoltà a mantenere e dirigere selettivamente l’attenzione, incapacità di utilizzare informazioni precedentemente acquisite, deficit delle capacità di astrazione). Una particolare importanza viene attribuita ai deficit dell’attenzione in quanto essi interferiscono notevolmente sia con la formazione di concetti sia con la possibilità di fare un uso corretto delle esperienze passate. Come già più volte sottolineato, il quadro che ne consegue determina un malfunzionamento neurocognitivo, con ricadute di ordine sia clinico sia di funzionamento sociale (comunicazione in primis). Schizofrenia, neurocognitività e capacità sociali Prima di parlare della applicazione pratica delle arti-terapie in termini di intervento tecnico cognitivo-comportamentale riabilitativo, è opportuno quindi focalizzare l’attenzione sulle più recenti acquisizioni delle teorie cognitive del funzionamento mentale nella schizofrenia, con particolare riferimento alle capacità sociali e relazionali. In questo senso molto utile è risultato il paradigma della “teoria della mente”, cioè lo studio della capacità di attribuire stati mentali e di prevedere il comportamento manifesto, sia proprio che altrui, sulla base di tali stati. Gli stati mentali possono essere sia di natura motivazionale (desideri, intenzioni) sia di natura epistemica (credenze, conoscenze), ed il loro compito è di mediare l’attività degli individui nel mondo, creando una relazione indiretta con la realtà esterna. Detto in parole povere, gli individui si rapportano e reagiscono agli stimoli esterni non in base a come gli stimoli oggettivamente si presentano ma a come i soggetti stessi pensano che siano. Il ruolo della rappresentazione mentale è quindi fondamentale, ed è a questo livello che avvengono gli errori più significativi nella analisi della realtà. Le rappresentazioni mentali sono composte sia dai meccanismi cognitivi che le sottendono che dal prodotto stesso della loro attività, e si presentano con una natura ricorsiva: è possibile cioè avere una rappresentazione di un’altra rappresentazione. In questo caso si parla di metarappresentazione. Leslie si è occupato dello studio delle strutture e funzioni cognitive implicate in questi processi, definendo un primo livello rappresentativo come la risultante di un semplice “immagazzinamento” di informazioni di base, letterali, necessarie alla sopravvivenza dell’organismo nella realtà; il secondo livello sarebbe invece il risultato delle attività cognitive superiori che permettono di costruire descrizioni di eventi ipotetici (oggetti di finzione, sogni, pensieri). Uno degli ambiti in cui agiscono le metarappresentazioni (o rappresentazioni di secondo livello) è quello del gioco, in cui si agisce “come se” le cose fossero quelle stabilite dalle regole; oppure la creazione dell’opera d’arte, in cui il prodotto artistico è una metarappresentazione della percezione del mondo da parte dell’artista. Il mancato o alterato sviluppo o la perdita delle capacità metarappresentazionali rende ragione di quello che in psicopatologia classica viene definito “pensiero concreto”, cioè la incapacità di astrarre da uno stimolo comunicativo un significato oltre a quello strettamente letterale. In termini relazionali questo comporta un grave deficit delle capacità sociali. La mancata capacità di riflettere su sé stesso rende il soggetto “rigido” nella attribuzione dei significati, incapace di prevedere ed attribuire ad altri pensieri, desideri e fantasie. In questo modo vive in un mondo in cui non riesce a distinguere le persone dalle cose (in particolare questa osservazione viene fatta per i bambini autistici, in cui il disturbo della metarappresentazione sembra più severo). Anche nel caso della schizofrenia possono essere impiegati i costrutti enunciati precedentemente: isolamento sociale, stereotipie, deficit della comunicazione sono parte della cosiddetta sintomatologia negativa, sono i fattori principali responsabili dell’esito sfavorevole e della inabilità del soggetto schizofrenico, e possono essere fatti risalire ad una alterazione dello sviluppo dei processi metarappresentazionali. Non è questa la sede per analizzare la complessa sintomatologia della schizofrenia, rimandando a letture più ampie ed approfondite. Importa ricordare che la sintomatologia schizofrenica riconosce le sue basi in disturbi del neurosviluppo che possono determinare sia lesioni anatomiche discrete o diffuse, sia alterazioni funzionali dei sistemi cerebrali della trasmissione ed elaborazione della informazione. In particolare sembrano maggiormente coinvolti i sistemi che fanno capo alla corteccia prefrontale ed ai gangli della base, ed ai sistemi di connessione intracerebrale, come detto precedentemente. Tali disturbi ed alterazioni possono operativamente essere descritti nei termini della psicologia cognitiva. Secondo Frith, un autore che più di altri si è impegnato della sistematizzazione dei disturbi cognitivi della schizofrenia, la disabilità derivante dalla sintomatologia negativa può essere ricondotta all’incapacità da parte dei pazienti a generare risposte spontanee all’ambiente. Tale incapacità porta i pazienti ad adottare tre diverse strategie di intervento: 1. nessuna azione: si verificano in questo caso i segni descritti come povertà d’azione (riduzione dei movimenti spontanei, carenza di gestualità espressiva, alogia, abulia); il risultato è la incapacità di creare azioni/intenzioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi. 2. ripetizione decontestualizzata di movimenti / schemi di comportamento / emozioni precedenti: la manifestazione tipica di questa risposta sono le stereotipie; queste sono spiegate dal mancato collegamento tra azione e raggiungimento dell’obiettivo, raggiungimento che non viene riconosciuto facendo perdurare l’azione (manca il controllo inibitorio / modulatorio). 3. risposta inappropriata ai segnali dell’ambiente: si ha il cosiddetto comportamento stimolo-guidato, in cui il comportamento viene emesso in seguito al mancato filtro dello stimolo appropriato e la risposta comportamentale corretta viene emessa solo su base stocastica, con una elevata probabilità di risposta a stimoli non pertinenti, e quindi con la messa in atto di comportamenti inadeguati (dissociazione, disorganizzazione). I deficit maggiori coinvolgono l’autodeterminazione delle azioni: infatti nel caso di consegne guidate da stimoli esterni strutturati il paziente schizofrenico è in grado di svolgere il compito, mentre nel caso di azioni autogenerate, in assenza cioè di uno stimolo primer esterno, tale capacità viene meno. Questo sarebbe uno degli indicatori di deficit delle capacità di metarappresentazione, in cui scopi e progetti possono o non essere adeguatamente strutturati in termini cognitivi (deficit della corteccia prefrontale?) o non adeguatamente trasformati in azione (deficit delle connessioni cortico-sottocorticali?). Shallice ha sistematizzato le osservazioni relative ai disturbi dell’azione intenzionale, della capacità di autocontrollo e del controllo delle azioni altrui nei termini di un deficit di quello che viene definito Sistema Attentivo di Supervisione (SAS). Questo sistema normalmente modula un sistema di livello inferiore che ha il compito di controllare la produzione delle risposte routinarie. La compromissione del controllo superiore determina la difficoltà ad adottare i comportamenti adeguati al contesto. Secondo il modello di Frith tutte le anomalie cognitive mostrate dai pazienti schizofrenici riflettono un disturbo nella capacità di metarappresentazione sottostante l’autoconsapevolezza, ovvero la coscienza che un individuo ha dei propri obiettivi, delle proprie intenzioni e delle intenzioni altrui. La seguente tabella mostra in modo riassuntivo il modello proposto da Frith. Capacità di metarappresentazione Consapevolezza dei propri Consapevolezza delle Consapevolezza delle obiettivi proprie intenzioni intenzioni altrui DEFICIT Povertà di azione Mancanza di autocontrollo Incapacità a mentalizzare Anomalie comportamentali Anomalie nelle esperienze Anomalie nelle Positive e negative delle azioni rappresentazioni Povertà d’azione Allucinazioni Deliri paranoidei Perseverazioni Pensieri intrusivi Deliri di riferimento Comportamenti inadeguati Deliri di controllo Incoerenza Il linguaggio è uno dei modi principali che la specie umana utilizza nelle interazioni sociali e nello scambio di informazioni significative, che sono gli ambiti in cui le metarappresentazioni si manifestano prioritariamente. All’interno della comunicazione linguistica sono presenti tuttavia anche aspetti non linguistici (gesti, mimica, prosodia, atteggiamento corporeo). È noto che i soggetti schizofrenici presentano gravi disturbi delle funzioni comunicative, sia a livello verbale che non verbale. Le anomalie del linguaggio schizofrenico sono state di volta in volta interpretate come espressioni di anomalie del pensiero (Bleuler, Brown), dell’eloquio (Cohen) e del linguaggio in senso stretto (Chaika). La prima visione (olistica) presuppone che il pensiero sia una entità onnicomprensiva di cui il linguaggio è un epifenomeno, la seconda presuppone un deficit dei sistemi di integrazione superiore che permettono al linguaggio di costruirsi in modo armonico e strutturato, e l’ultima presuppone un deficit primitivo delle strutture di base della formazione del linguaggio (incapacità di correlare aspetti semantici a sequenze sonore). La Andreasen, in una revisione dei lavori sul linguaggio dei pazienti schizofrenici, ha operato una comparazione delle differenti prospettive di analisi dei disturbi del linguaggio schizofrenico: dai dati emerge come la componente pragmatica del linguaggio sia gravemente compromessa, a fronte di una sostanziale integrità delle componenti sintattiche e semantiche e solo di una lieve compromissione della componente fonetica-prosodica. Secondo questi dati i pazienti non sembrano essere in grado di individuare il corretto significato di una parola deducendolo dal contesto, ed il loro eloquio appare privo di pertinenza; non sembrano in grado di descrivere entità simili astraendo elementi comuni; presentano una modalità di connessione tra le frasi scorretta. Cutting ha ipotizzato che la base anatomica e funzionale di questi disturbi sia nell’emisfero destro del cervello. Dal punto di vista psicologico questa incapacità dipende da un deficit di quella che abbiamo precedentemente definito e descritto come competenza pragmatica. Infatti secondo Frith la causa decisiva della comunicazione errata nella schizofrenia va ricercata nel fatto che il paziente non riesce a tenere conto della conoscenza dell’ascoltatore quando costruisce le proprie espressioni. I pazienti schizofrenici hanno difficoltà a dedurre la conoscenza e le intenzioni dell’altro e non sono in grado quindi di usare le loro deduzioni per guidare i propri progetti di discorso. La mancata rappresentazione a se stesso degli stati mentali dell’interlocutore non permette di costruire quello che viene definito un enunciato cooperativo corretto, senza quindi il raggiungimento dello scopo relazionale della comunicazione o la condivisione delle conoscenze. In definitiva il paziente schizofrenico sembra essere incapace di costruire una teoria della mente e quindi di inferire le conoscenze e le intenzioni altrui, di fatto determinando un blocco delle capacità cognitive e sociali. Non è alterato però il suo grado di competenza nel riconoscere l’utilità di inferire lo stato mentale altrui ma insiste ricorsivamente ad utilizzare uno stesso modello anche quando non è più adeguato al contesto. L’incapacità metarappresentazionale porta a vedere intenzioni comunicative anche quando queste non vi sono (deliri di riferimento) così come la incapacità a percepire i propri pensieri e ad assegnare stati mentali a sé stessi porta alla produzione di deliri di controllo e allucinazioni. Il problema si aggrava quando il contesto del discorso prevede una non coincidenza tra contesto letterale dell’enunciato e quello inteso dal parlante (ironia, metafora, linguaggio simbolico in genere). Dai dati sopra riportati emerge la fondamentale importanza di un corretto assessment delle funzioni cognitive del singolo paziente, in quanto una analisi dettagliata dei deficit e delle funzioni residue consente di impostare un intervento personalizzato volto al recupero delle funzioni deficitarie ed allo sviluppo di funzioni vicarianti che possano proteggere da recidive. In questa prospettiva neurocognitiva possono inserirsi le diverse tipologie di arttherapies, le quali devono essere proposte agli utenti sulla base della loro specificità al fine di favorire il più rapido e completo miglioramento possibile di quelle funzioni nelle quali si è evidenziata in fase di valutazione deficitarietà. Sempre in questa prospettiva l’intervento di art-therapy deve essere inquadrato nel progetto globale di gestione del paziente schizofrenico con deficit: tale progetto globale vede al suo interno la centralità della farmacoterapia (in quanto intervento stabilizzante le alterazioni psicotiche produttive, rinforzante i circuiti neuronali deficitari e sedante l’angoscia di frammentazione del paziente schizofrenico), alla quale collaborano con pari dignità tutti gli altri interventi di risocializzazione, di addestramento all’espressione emotiva e alle funzioni sociali, di supporto psicologico. Le arti-terapie come approccio alla riabilitazione cognitiva Non può esistere alcuna forma di comunicazione senza espressione e percezione e in tal senso ogni espressione artistica può costituire la base per sviluppare la comunicazione La comunicazione è il fondamento di qualsiasi processo di apprendimento sia nel settore educativi che terapeutico-riabilitativo, qualsiasi disturbo di comunicazione porta alla grave difficoltà o incapacità di apprendere. Il processo di apprendimento è in continuo interscambio di espressione e percezione e in tal senso le terapie espressive cercano di facilitare l’espressione quale processo fondamentale nel percorso terapeutico. L’arte è senz’altro il mezzo espressivo più immediato, pur ricordando che vi sono altri metodi per facilitare l’espressione (linguaggio verbale o non verbale, suoni, gesti, mimo). Il primo metodo espressivo è definibile come “espressione artistica” , il secondo come “espressione diretta delle emozioni” Sia le terapie che si fondano sull’espressione artistica che sulla espressione diretta delle emozioni possono stimolare e coinvolgere in maniera importante le funzioni cognitive Modalità dell’espressione artistica: Tabella 1 FORME D’ARTE SENSI USATI SENSI USATI DURANTE DURANTE L’ESPRESSIONE LA PERCEZIONE DIPINGERE VISTA, NERVO VISTA, DISEGNARE SENSORIO-MOTORE SCULTURA TATTO, VISTA, NERVO VISTA, TATTO E NERVO SENSORIO-MOTORE SENSORIO-MOTORE UDITO (RADIO, DISCHI), MUSICA UDITO, NERVO VISTA (TV, CONCERTI), SENSORIO-MOTORE, VISTA NERVO SENSORIO-MOTORE (DANZA) POESIA RAPPRESENTAZIONE UDITO (RECITA) PROSA VERBALE, UDITO, VISTA VISTA (LETTURA) TEATRO UDITO, VISTA, NERVO UDITO, VISTA SENSORIO-MOTORE Modalità di comunicazione e arti: Tabella 2 ARTE MODALITA’ DI COMUNICAZIONE SENSI USATI SIGNIFICATIVA PITTURA IMMAGINE DISEGNO (ASTRATTA O CONCRETA) SCULTURA SPAZIO VISTA TATTO, NERVO SENSO-MOTORIO MUSICA SUONO UDITO DANZA MOVIMENTO NERVO SENSO-MOTORIO, TATTO POESIA LINGUAGGIO PROSA TEATRO VISTA, UDITO AZIONE VISTA, UDITO, NERVO SENSO-MOTORIO L’utilizzo di interventi riabilitativi che si avvalgono di tecniche di arte-terapia multisensoriale (disegno, musica e movimento corporeo) costituisce un aspetto importante nell’iter terapeutico di soggetti affetti da schizofrenia. Secondo Kornreich l’arte in molte delle sue manifestazioni può fornire ai soggetti schizofrenici quel senso di “stabilità e di continuità (constancy)” che essi hanno perso a causa della loro patologia attraverso l’acquisizione del senso di controllo e di ordine, nonché delle capacità di gestione di situazioni talvolta anche complesse. Per questa tipologia di pazienti è molto importante svolgere attività che comportino un certo impegno cognitivo al fine di recuperare la consapevolezza del proprio sé e la propria individualità. Uno degli obiettivi dell’arte terapia è quello di consentire ai soggetti schizofrenici di migliorare il riconoscimento dei propri stati d’animo e la comunicazione e manifestazione degli stessi. Pertanto l’arte terapia rappresenta una sorta di ponte tra il mondo interno del paziente e le esperienze da lui vissute, permettendo agli operatori di conoscere attraverso la produzione artistica del soggetto in esame le sue modalità di comprensione e di elaborazione ed al paziente di esprimere in modo meno formalizzato e con regole comunicative meno rigide i propri vissuti. In ultima analisi l’arte terapia permette di operare quel passaggio che abbiamo visto deficitario: la capacità metarappresentativa. Considerando le differenze interindividuali di comunicazione è auspicabile una stimolazione di più canali sensoriali avvalendosi di una integrazione delle diverse forme di arte terapia. A conferma di quanto sopra Akerman ha utilizzato il termine “sinestesia” per spiegare quel fenomeno secondo cui la stimolazione di un organo di senso favorisce lo stimolo degli altri organi di senso. Inoltre la stimolazione sensoriale che si ottiene attraverso l’arte terapia integrata favorisce il recupero di esperienze di vita passate rinforzando il senso del sé, della propria continuità ed il riconoscimento della propria individualità. Nell’ambito dei gruppi di arte terapia il soggetto inoltre può condividere la sua esperienza con gli altri, aumentando il suo senso di appartenenza e le capacità di socializzazione (attivazione indotta e addestramento “sul campo” di schemi comunicativi). I dati sperimentali indicano che le capacità sociali che il paziente ha interiorizzato ed iperappreso persistono a lungo: in questo senso l’utilizzo di gruppi di trattamento in cui si attivano situazioni non ansiogene e non frustranti (come nel caso delle arttherapies) permette lo sviluppo di esercizio, reminescenza, stimolazione sensoriale, che massimizzano i risultati ottenuti nelle singole sessioni di trattamento. Inoltre in alcuni casi si ha la possibilità di attivare direttamente meccanismi metarappresentazionali quali lo humor: alcuni autori ritengono infatti che lo humor (il cui ruolo terapeutico è di detendere situazioni critiche e di vivere sentimenti piacevoli) dipenda da meccanismi non verbali di comunicazione. Infine, anche nei casi in cui la produzione artistica comporti lo sviluppo di pensieri o sentimenti negativi o tristi, la possibilità di viverli in un contesto di addestramento comunicativo permette di condividerli ed elaborarli con strategie più funzionali, contribuendo a modificare in modo significativo gli schemi cognitivi di riferimento. Disturbi cognitivi non di origine schizofrenica e arti-terapie Il riscontro di deficit cognitivi è un rilievo estremamente frequente nella pratica clinica sia psichiatrica sia neurologica. Infatti per quanto riguarda le patologie psichiatriche non solo la schizofrenia, ampiamente trattata nei precedenti paragrafi, ma anche numerose altre patologie possono comportare un deterioramento, generalmente reversibile, del livello di funzionamento cognitivo. Deficit cognitivi costituiscono frequentemente i sintomi più evidenti del disturbo depressivo, in particolare in soggetti anziani. Basti pensare ai quadri di pseudodemenza, ove la deflessione timica appare addirittura meno rilevante rispetto all’alterazione cognitiva, sebbene in realtà queste siano secondarie alla sintomatologia affettiva. Anche i soggetti affetti da Disturbo Bipolare manifestano frequentemente sia durante le fasi depressive sia durante quelle maniacali una certa compromissione delle funzioni cognitive (memoria, attenzione, linguaggio in particolare), alterazioni che generalmente si risolvono con la remissione dell’episodio di malattia. Riteniamo sia doveroso anche menzionare i deficit cognitivi secondari ai disturbi d’ansia, soprattutto nelle forme in cui l’ansia costituisce una caratteristica di tratto. In questi casi si verifica, infatti, una ridotta capacità di concentrazione con conseguente compromissione dei processi attentivi e una minore efficienza dei processi mnesici. Tra le patologie di prevalente competenza neurologica la demenza è indubbiamente il disturbo nel quale il deficit cognitivo costituisce l’aspetto più centrale del quadro clinico. Si tratta, ad eccezione dei quadri reversibili, ovverosia quelle determinate da patologie intracraniche (meningiomi, ematomi subdurali ecc.), da malattie sistemiche (insufficienza respiratoria, aritmie cardiache ecc.), da stati deficitari (carenza di vitamina B 12, pellagra ecc.), da patologie endocrinologiche (Morbo di Addison, ipertiroidismo, morbo di Cushing ecc.), da intossicazioni da farmaci o da metalli pesanti (mercurio, arsenico ecc.), da infezioni (AIDS, lue, ascessi cerebrali, meningiti ecc.) di quadri clinici in cui le alterazioni cognitive anche se inizialmente isolate sono in evoluzione e comportano un coinvolgimento delle altre aree cognitive del funzionamento generale. I principali sintomi cognitivi riscontrabili in corso di demenza sono deficit mnesici, il disorientamento temporale e spaziale, l’aprassia, l’afasia, l’alessia, l’agrafia, i deficit di ragionamento astratto, di logica e di giudizio, l’acalculia, l’agnosia e i deficit attentivi. Tali alterazioni non sono generalmente contemporaneamente presenti se non negli stadi terminali del disturbo ma determinano fin dall’esordio della malattia un grave deterioramento del livello di funzionamento globale nonché della qualità della vita. In questa prospettiva trovano la loro applicazione le tecniche riabilitative di tipo cognitivo e le diverse forme di arteterapia le quali si prefiggono l’obiettivo di limitare le aree di disabilità, di conservare il più alto livello di autonomia possibile e di migliorare la qualità della vita. Si tratta cioè di interventi riabilitativi volti a favorire il rallentamento della progressione della malattia piuttosto del ripristino delle condizioni premorbose. Gli studi relativi agli interventi di riabilitazione cognitiva su soggetti affetti da demenza sono ad oggi ancora pochi, mancano quindi di solide evidenze di efficacia. Sono indubbiamente necessari sforzi ulteriori volti a verificare gli strumenti terapeutico-riabilitativi più idonei al recupero del soggetto demente. Infine riteniamo utile menzionare quel complesso di malattie, eterogeneo per eziologia e per quadro clinico, ma aventi in comune il fatto di essere caratterizzate da una alterazione del sistema nervoso centrale avvenuta o prima della nascita o entro l’infanzia che ha determinato un ritardo mentale, anomalia dello sviluppo dell’encefalo, anomalie cromosomiche, infezioni prenatali, disturbi metabolici post-natali ecc.). Nelle forme morbose da ultimo menzionate la patologia di base impedisce a priori ai soggetti di raggiungere un livello normale di sviluppo cognitivo laddove al contrario nei disturbi precedentemente descritti si assiste ad un deterioramento del livello di sviluppo cognitivo precedentemente acquisito. Le tecniche riabilitative e le varie forme di arte terapia hanno in questi casi di conseguenza l’obiettivo di favorire l’acquisizione ex novo di funzioni cognitive e non il loro recupero.