II modello riabilitativo cognitivo
C. Mencacci, F. Durbano, M. Comazzi, E. Stragapede
Dipartimento di Salute Mentale- P.O. Melzo- Azienda Ospedaliera di Melegnano
Milano.
Introduzione ai disturbi cognitivi associati a schizofrenia
Numerosi studi negli scorsi decenni hanno dimostrato come i soggetti affetti da
schizofrenia presentino deficit neuropsicologici che impediscono una normale messa
in atto di corrette abilità comunicative. Mancano cioè di quella che viene definita
competenza pragmatica, che presuppone la integrità delle strutture e dei meccanismi
della attività linguistica e che è prerequisito di qualsiasi intervento finalizzato al
reinserimento sociale. In questo senso è spiegabile come il soggetto schizofrenico, al
di là degli aspetti psicopatologici classici, manifesti evidenti e disabilitanti disturbi della
comunicazione: incapacità di attivare strategie inferenziali, di differenziare tra
enunciati formali e metalinguistici-simbolici, presenza di disturbi formali della
comunicazione e assenza di consapevolezza delle regole fondanti il processo
comunicativo.
Uno dei modi per superare questo problema potrebbe essere l’attivazione delle
strutture cognitive deficitarie con una differente modalità espressiva: possono trovare
così un fondamento le varie forme di arte-terapia contestualizzate in un quadro
riabilitativo di tipo cognitivo. Infatti l’utilizzo di meccanismi espressivi e comunicativi
formalmente meno complessi, ma le cui regole comunicative di base sono condivise
con la competenza linguistica, permettono di sviluppare strategie alternative di
addestramento, meno frustranti sul piano operativo ed emotivo, per bypassare il
deficit comunicativo, ed utilizzando in via prioritaria un canale apparentemente più
integro permettere lo sviluppo di strategie comunicative più adeguate ed un recupero
delle funzioni relazionali il più possibile completo.
Ad oggi la letteratura sull’argomento è molto carente, nonostante i numerosi ed
indubbi progressi fatti dalle scienze neurocognitive nel campo della malattia
schizofrenica.
Basi biologiche dei deficit cognitivi della schizofrenia
Negli ultimi decenni clinici e ricercatori hanno indirizzato la loro attenzione in modo
crescente sullo studio dei disturbi cognitivi in corso di schizofrenia. Non esiste peraltro
un accordo in letteratura rispetto alla interpretazione della presenza dei deficit cognitivi
dei soggetti affetti: tali deficit, secondo alcuni autori, potrebbero essere manifestazioni
primarie della patologia schizofrenica, mentre secondo altri almeno in parte
potrebbero essere favoriti dalla terapia con neurolettici o ancora secondari alla
istituzionalizzazione.
È peraltro noto che molti dei deficit cognitivi si manifestano, anche in modo subclinico,
molto tempo prima dell’esordio conclamato del disturbo e che persistono anche dopo
la remissione della sintomatologia psicotica. Inoltre alcuni autori hanno evidenziato
che anche i familiari di primo grado non affetti da schizofrenia presentano i medesimi
disturbi cognitivi seppure in modo meno grave. Tale riscontro è suggestivo del fatto
che i deficit cognitivi possano riflettere una vulnerabilità o predisposizione al disturbo
schizofrenico e costituire in particolare un marker fenotipico del disturbo. A questo
riguardo una significativa percentuale di soggetti schizofrenici presenta alterazioni
strutturali del SNC. Le ipotesi più recenti indicano in un alterato schema del
neurosviluppo la base prima di questa vulnerabilità, che in fasi critiche della vita
(adolescenza,
passaggio
all’età
adulta,
richieste
ambientali
stressanti)
può
determinare un cedimento delle funzioni psichiche complesse secondario alla
alterazione dei circuiti neurali deputati alla percezione ed elaborazione delle
informazioni (vedi ad esempio i lavori di Weinberger sui disturbi del neurosviluppo e
quelli di Zubin e Spring e del gruppo di Brenner).
La presenza di alterazioni cerebrali in corso di schizofrenia è largamente documentata
a partire dagli anni ’70 dopo l’introduzione della tomografia assiale computerizzata
(TAC) e poi della Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), confermando dati precedenti
eseguiti con tecniche pneumoencefalografiche e analisi post-mortem.
La maggior parte degli studi anatomico-strutturali condotti attraverso l’utilizzo di TAC e
RMN ha infatti dimostrato la presenza di alterazioni neuromorfologiche quali
l'
allargamento dei ventricoli cerebrali, l'
aumento del volume dei gangli della base, la
riduzione del volume del lobo frontale, del lobo temporale, dell'
ippocampo,
dell’amigdala e del giro temporale superiore. Sono inoltre presenti alterazioni
morfologiche e funzionali a livello dei sistemi di connessione intra ed interemisferici.
Questi studi hanno anche un immediato riscontro clinico: l’allargamento ventricolare in
particolare, ma anche le altre alterazioni, nella maggior parte degli studi si correla ad
un esito più sfavorevole sia sul piano della sintomatologia clinica che su quello del
funzionamento globale. Studi definitivi relativamente alle lesioni in altre aree cerebrali
non sono tuttavia ancora stati pubblicati.
Un ulteriore riscontro morfologico, ma il dato non è univoco, è la inversione della
normale asimmetria cerebrale (dx > sn).
Alcuni studi condotti dal gruppo di Gruzelier hanno evidenziato come il deficit delle
funzioni temporo-ippocampali di sinistra sia responsabile dei deficit della memoria
“verbale”, a fronte di una relativamente maggiormente conservata capacità mnesica
“non verbale”, questo in particolare nella sottopopolazione di pazienti con sindrome
deficitaria (isolamento sociale, appiattimento affettivo, scarsa spinta alla esplorazione
dell’ambiente).
Le tecniche di visualizzazione morfologica cerebrale tuttavia presentano il limite di non
fornire informazioni sul funzionamento cerebrale. In relazione allo sviluppo delle
moderne metodiche di brain-imaging funzionale (SPECT; PET, RMN funzionale) e al
crescente interesse nei confronti delle alterazioni cognitive dei soggetti schizofrenici è
stato però possibile studiare il flusso ematico ed il metabolismo cerebrale regionale
giungendo a verificare nei soggetti schizofrenici la presenza di circuiti neurali
disfunzionali e di patterns aberranti di attivazione.
Il pattern funzionale che emerge più diffusamente dagli studi sulla schizofrenia è
quello di una ipofrontalità relativa già suggerita in altri ambiti di ricerca quali gli studi
che hanno utilizzato test di attivazione dell’area frontale (Wisconsin Card Sorting Test
e Torre di Londra). Secondo alcuni autori l’ipofrontalità non sarebbe evidente a riposo
ma corrisponderebbe all’incapacità da parte dei pazienti schizofrenici di attivare la
corteccia prefrontale durante lo svolgimento di test cognitivi specifici per il lobo
frontale (vedi il modello di vulnerabilità/stress già citato).
Le strutture cerebrali prima citate sono infatti coinvolte in numerosi processi di
elaborazione della informazione: i più recenti lavori integrano i dati morfofunzionali con
quelli di performance alle indagine neuropsicologiche, evidenziando una stretta
relazione tra le alterazioni anatomofunzionali citate e gli specifici deficit cognitivi
(riduzione della capacità di discriminazione degli stimoli rilevanti da quelli irrilevanti,
perseverazione, difficoltà a mantenere e dirigere selettivamente l’attenzione,
incapacità di utilizzare informazioni precedentemente acquisite, deficit delle capacità
di astrazione).
Una particolare importanza viene attribuita ai deficit dell’attenzione in quanto essi
interferiscono notevolmente sia con la formazione di concetti sia con la possibilità di
fare un uso corretto delle esperienze passate. Come già più volte sottolineato, il
quadro che ne consegue determina un malfunzionamento neurocognitivo, con
ricadute di ordine sia clinico sia di funzionamento sociale (comunicazione in primis).
Schizofrenia, neurocognitività e capacità sociali
Prima di parlare della applicazione pratica delle arti-terapie in termini di intervento
tecnico cognitivo-comportamentale riabilitativo, è opportuno quindi focalizzare
l’attenzione sulle più recenti acquisizioni delle teorie cognitive del funzionamento
mentale nella schizofrenia, con particolare riferimento alle capacità sociali e
relazionali.
In questo senso molto utile è risultato il paradigma della “teoria della mente”, cioè lo
studio della capacità di attribuire stati mentali e di prevedere il comportamento
manifesto, sia proprio che altrui, sulla base di tali stati.
Gli stati mentali possono essere sia di natura motivazionale (desideri, intenzioni) sia di
natura epistemica (credenze, conoscenze), ed il loro compito è di mediare l’attività
degli individui nel mondo, creando una relazione indiretta con la realtà esterna. Detto
in parole povere, gli individui si rapportano e reagiscono agli stimoli esterni non in
base a come gli stimoli oggettivamente si presentano ma a come i soggetti stessi
pensano che siano. Il ruolo della rappresentazione mentale è quindi fondamentale, ed
è a questo livello che avvengono gli errori più significativi nella analisi della realtà.
Le rappresentazioni mentali sono composte sia dai meccanismi cognitivi che le
sottendono che dal prodotto stesso della loro attività, e si presentano con una natura
ricorsiva: è possibile cioè avere una rappresentazione di un’altra rappresentazione. In
questo caso si parla di metarappresentazione.
Leslie si è occupato dello studio delle strutture e funzioni cognitive implicate in questi
processi, definendo un primo livello rappresentativo come la risultante di un semplice
“immagazzinamento” di informazioni di base, letterali, necessarie alla sopravvivenza
dell’organismo nella realtà; il secondo livello sarebbe invece il risultato delle attività
cognitive superiori che permettono di costruire descrizioni di eventi ipotetici (oggetti di
finzione, sogni, pensieri). Uno degli ambiti in cui agiscono le metarappresentazioni (o
rappresentazioni di secondo livello) è quello del gioco, in cui si agisce “come se” le
cose fossero quelle stabilite dalle regole; oppure la creazione dell’opera d’arte, in cui il
prodotto artistico è una metarappresentazione della percezione del mondo da parte
dell’artista.
Il mancato o alterato sviluppo o la perdita delle capacità metarappresentazionali rende
ragione di quello che in psicopatologia classica viene definito “pensiero concreto”, cioè
la incapacità di astrarre da uno stimolo comunicativo un significato oltre a quello
strettamente letterale. In termini relazionali questo comporta un grave deficit delle
capacità sociali. La mancata capacità di riflettere su sé stesso rende il soggetto
“rigido” nella attribuzione dei significati, incapace di prevedere ed attribuire ad altri
pensieri, desideri e fantasie. In questo modo vive in un mondo in cui non riesce a
distinguere le persone dalle cose (in particolare questa osservazione viene fatta per i
bambini autistici, in cui il disturbo della metarappresentazione sembra più severo).
Anche nel caso della schizofrenia possono essere impiegati i costrutti enunciati
precedentemente: isolamento sociale, stereotipie, deficit della comunicazione sono
parte della cosiddetta sintomatologia negativa, sono i fattori principali responsabili
dell’esito sfavorevole e della inabilità del soggetto schizofrenico, e possono essere
fatti risalire ad una alterazione dello sviluppo dei processi metarappresentazionali.
Non è questa la sede per analizzare la complessa sintomatologia della schizofrenia,
rimandando a letture più ampie ed approfondite. Importa ricordare che la
sintomatologia schizofrenica riconosce le sue basi in disturbi del neurosviluppo che
possono determinare sia lesioni anatomiche discrete o diffuse, sia alterazioni
funzionali dei sistemi cerebrali della trasmissione ed elaborazione della informazione.
In particolare sembrano maggiormente coinvolti i sistemi che fanno capo alla corteccia
prefrontale ed ai gangli della base, ed ai sistemi di connessione intracerebrale, come
detto precedentemente.
Tali disturbi ed alterazioni possono operativamente essere descritti nei termini della
psicologia cognitiva.
Secondo Frith, un autore che più di altri si è impegnato della sistematizzazione dei
disturbi cognitivi della schizofrenia, la disabilità derivante dalla sintomatologia negativa
può essere ricondotta all’incapacità da parte dei pazienti a generare risposte
spontanee all’ambiente.
Tale incapacità porta i pazienti ad adottare tre diverse strategie di intervento:
1. nessuna azione: si verificano in questo caso i segni descritti come povertà d’azione
(riduzione dei movimenti spontanei, carenza di gestualità espressiva, alogia, abulia); il
risultato è la incapacità di creare azioni/intenzioni finalizzate al raggiungimento di
obiettivi.
2. ripetizione decontestualizzata di movimenti / schemi di comportamento / emozioni
precedenti: la manifestazione tipica di questa risposta sono le stereotipie; queste sono
spiegate dal mancato collegamento tra azione e raggiungimento dell’obiettivo,
raggiungimento che non viene riconosciuto facendo perdurare l’azione (manca il
controllo inibitorio / modulatorio).
3. risposta inappropriata ai segnali dell’ambiente: si ha il cosiddetto comportamento
stimolo-guidato, in cui il comportamento viene emesso in seguito al mancato filtro
dello stimolo appropriato e la risposta comportamentale corretta viene emessa solo su
base stocastica, con una elevata probabilità di risposta a stimoli non pertinenti, e
quindi
con
la
messa
in
atto
di
comportamenti
inadeguati
(dissociazione,
disorganizzazione).
I deficit maggiori coinvolgono l’autodeterminazione delle azioni: infatti nel caso di
consegne guidate da stimoli esterni strutturati il paziente schizofrenico è in grado di
svolgere il compito, mentre nel caso di azioni autogenerate, in assenza cioè di uno
stimolo primer esterno, tale capacità viene meno. Questo sarebbe uno degli indicatori
di deficit delle capacità di metarappresentazione, in cui scopi e progetti possono o non
essere adeguatamente strutturati in termini cognitivi (deficit della corteccia
prefrontale?) o non adeguatamente trasformati in azione (deficit delle connessioni
cortico-sottocorticali?).
Shallice ha sistematizzato le osservazioni relative ai disturbi dell’azione intenzionale,
della capacità di autocontrollo e del controllo delle azioni altrui nei termini di un deficit
di quello che viene definito Sistema Attentivo di Supervisione (SAS). Questo sistema
normalmente modula un sistema di livello inferiore che ha il compito di controllare la
produzione delle risposte routinarie. La compromissione del controllo superiore
determina la difficoltà ad adottare i comportamenti adeguati al contesto.
Secondo il modello di Frith tutte le anomalie cognitive mostrate dai pazienti
schizofrenici riflettono un disturbo nella capacità di metarappresentazione sottostante
l’autoconsapevolezza, ovvero la coscienza che un individuo ha dei propri obiettivi,
delle proprie intenzioni e delle intenzioni altrui.
La seguente tabella mostra in modo riassuntivo il modello proposto da Frith.
Capacità di
metarappresentazione
Consapevolezza dei propri
Consapevolezza delle
Consapevolezza delle
obiettivi
proprie intenzioni
intenzioni altrui
DEFICIT
Povertà di azione
Mancanza di autocontrollo Incapacità a mentalizzare
Anomalie comportamentali Anomalie nelle esperienze
Anomalie nelle
Positive e negative
delle azioni
rappresentazioni
Povertà d’azione
Allucinazioni
Deliri paranoidei
Perseverazioni
Pensieri intrusivi
Deliri di riferimento
Comportamenti inadeguati
Deliri di controllo
Incoerenza
Il linguaggio è uno dei modi principali che la specie umana utilizza nelle interazioni
sociali e nello scambio di informazioni significative, che sono gli ambiti in cui le
metarappresentazioni si manifestano prioritariamente. All’interno della comunicazione
linguistica sono presenti tuttavia anche aspetti non linguistici (gesti, mimica, prosodia,
atteggiamento corporeo). È noto che i soggetti schizofrenici presentano gravi disturbi
delle funzioni comunicative, sia a livello verbale che non verbale.
Le anomalie del linguaggio schizofrenico sono state di volta in volta interpretate come
espressioni di anomalie del pensiero (Bleuler, Brown), dell’eloquio (Cohen) e del
linguaggio in senso stretto (Chaika).
La prima visione (olistica) presuppone che il pensiero sia una entità onnicomprensiva
di cui il linguaggio è un epifenomeno, la seconda presuppone un deficit dei sistemi di
integrazione superiore che permettono al linguaggio di costruirsi in modo armonico e
strutturato, e l’ultima presuppone un deficit primitivo delle strutture di base della
formazione del linguaggio (incapacità di correlare aspetti semantici a sequenze
sonore).
La Andreasen, in una revisione dei lavori sul linguaggio dei pazienti schizofrenici, ha
operato una comparazione delle differenti prospettive di analisi dei disturbi del
linguaggio schizofrenico: dai dati emerge come la componente pragmatica del
linguaggio sia gravemente compromessa, a fronte di una sostanziale integrità delle
componenti sintattiche e semantiche e solo di una lieve compromissione della
componente fonetica-prosodica. Secondo questi dati i pazienti non sembrano essere
in grado di individuare il corretto significato di una parola deducendolo dal contesto,
ed il loro eloquio appare privo di pertinenza; non sembrano in grado di descrivere
entità simili astraendo elementi comuni; presentano una modalità di connessione tra
le frasi scorretta. Cutting ha ipotizzato che la base anatomica e funzionale di questi
disturbi sia nell’emisfero destro del cervello.
Dal punto di vista psicologico questa incapacità dipende da un deficit di quella che
abbiamo precedentemente definito e descritto come competenza pragmatica. Infatti
secondo Frith la causa decisiva della comunicazione errata nella schizofrenia va
ricercata nel fatto che il paziente non riesce a tenere conto della conoscenza
dell’ascoltatore quando costruisce le proprie espressioni. I pazienti schizofrenici hanno
difficoltà a dedurre la conoscenza e le intenzioni dell’altro e non sono in grado quindi
di usare le loro deduzioni per guidare i propri progetti di discorso. La mancata
rappresentazione a se stesso degli stati mentali dell’interlocutore non permette di
costruire quello che viene definito un enunciato cooperativo corretto, senza quindi il
raggiungimento dello scopo relazionale della comunicazione o la condivisione delle
conoscenze.
In definitiva il paziente schizofrenico sembra essere incapace di costruire una teoria
della mente e quindi di inferire le conoscenze e le intenzioni altrui, di fatto
determinando un blocco delle capacità cognitive e sociali. Non è alterato però il suo
grado di competenza nel riconoscere l’utilità di inferire lo stato mentale altrui ma
insiste ricorsivamente ad utilizzare uno stesso modello anche quando non è più
adeguato al contesto. L’incapacità metarappresentazionale porta a vedere intenzioni
comunicative anche quando queste non vi sono (deliri di riferimento) così come la
incapacità a percepire i propri pensieri e ad assegnare stati mentali a sé stessi porta
alla produzione di deliri di controllo e allucinazioni. Il problema si aggrava quando il
contesto del discorso prevede una non coincidenza tra contesto letterale
dell’enunciato e quello inteso dal parlante (ironia, metafora, linguaggio simbolico in
genere).
Dai dati sopra riportati emerge la fondamentale importanza di un corretto assessment
delle funzioni cognitive del singolo paziente, in quanto una analisi dettagliata dei
deficit e delle funzioni residue consente di impostare un intervento personalizzato
volto al recupero delle funzioni deficitarie ed allo sviluppo di funzioni vicarianti che
possano proteggere da recidive.
In questa prospettiva neurocognitiva possono inserirsi le diverse tipologie di arttherapies, le quali devono essere proposte agli utenti sulla base della loro specificità al
fine di favorire il più rapido e completo miglioramento possibile di quelle funzioni nelle
quali si è evidenziata in fase di valutazione deficitarietà.
Sempre in questa prospettiva l’intervento di art-therapy deve essere inquadrato nel
progetto globale di gestione del paziente schizofrenico con deficit: tale progetto
globale vede al suo interno la centralità della farmacoterapia (in quanto intervento
stabilizzante le alterazioni psicotiche produttive, rinforzante i circuiti neuronali deficitari
e sedante l’angoscia di frammentazione del paziente schizofrenico), alla quale
collaborano con pari dignità tutti gli altri interventi di risocializzazione, di
addestramento all’espressione emotiva e alle funzioni sociali, di supporto psicologico.
Le arti-terapie come approccio alla riabilitazione cognitiva
Non può esistere alcuna forma di comunicazione senza espressione e percezione e in
tal senso ogni espressione artistica può costituire la base per sviluppare la
comunicazione
La comunicazione è il fondamento di qualsiasi processo di apprendimento sia nel
settore educativi che terapeutico-riabilitativo, qualsiasi disturbo di comunicazione porta
alla grave difficoltà o incapacità di apprendere.
Il processo di apprendimento è in continuo interscambio di espressione e percezione
e in tal senso le terapie espressive cercano di facilitare l’espressione quale processo
fondamentale nel percorso terapeutico.
L’arte è senz’altro il mezzo espressivo più immediato, pur ricordando che vi sono altri
metodi per facilitare l’espressione (linguaggio verbale o non verbale, suoni, gesti,
mimo).
Il primo metodo espressivo è definibile come “espressione artistica” , il secondo come
“espressione diretta delle emozioni”
Sia le terapie che si fondano sull’espressione artistica che sulla espressione diretta
delle emozioni possono stimolare e coinvolgere in maniera importante le funzioni
cognitive
Modalità dell’espressione artistica: Tabella 1
FORME D’ARTE
SENSI USATI
SENSI USATI
DURANTE
DURANTE
L’ESPRESSIONE
LA PERCEZIONE
DIPINGERE
VISTA, NERVO
VISTA,
DISEGNARE
SENSORIO-MOTORE
SCULTURA
TATTO, VISTA, NERVO
VISTA, TATTO E NERVO
SENSORIO-MOTORE
SENSORIO-MOTORE
UDITO (RADIO, DISCHI),
MUSICA
UDITO, NERVO
VISTA (TV, CONCERTI),
SENSORIO-MOTORE, VISTA
NERVO SENSORIO-MOTORE (DANZA)
POESIA
RAPPRESENTAZIONE
UDITO (RECITA)
PROSA
VERBALE, UDITO, VISTA
VISTA (LETTURA)
TEATRO
UDITO, VISTA, NERVO
UDITO, VISTA
SENSORIO-MOTORE
Modalità di comunicazione e arti: Tabella 2
ARTE
MODALITA’ DI COMUNICAZIONE
SENSI USATI
SIGNIFICATIVA
PITTURA
IMMAGINE
DISEGNO
(ASTRATTA O CONCRETA)
SCULTURA
SPAZIO
VISTA
TATTO, NERVO
SENSO-MOTORIO
MUSICA
SUONO
UDITO
DANZA
MOVIMENTO
NERVO SENSO-MOTORIO,
TATTO
POESIA
LINGUAGGIO
PROSA
TEATRO
VISTA,
UDITO
AZIONE
VISTA, UDITO, NERVO
SENSO-MOTORIO
L’utilizzo di interventi riabilitativi che si avvalgono di tecniche di arte-terapia
multisensoriale (disegno, musica e movimento corporeo) costituisce un aspetto
importante nell’iter terapeutico di soggetti affetti da schizofrenia.
Secondo Kornreich l’arte in molte delle sue manifestazioni può fornire ai soggetti
schizofrenici quel senso di “stabilità e di continuità (constancy)” che essi hanno perso
a causa della loro patologia attraverso l’acquisizione del senso di controllo e di ordine,
nonché delle capacità di gestione di situazioni talvolta anche complesse.
Per questa tipologia di pazienti è molto importante svolgere attività che comportino un
certo impegno cognitivo al fine di recuperare la consapevolezza del proprio sé e la
propria individualità.
Uno degli obiettivi dell’arte terapia è quello di consentire ai soggetti schizofrenici di
migliorare il riconoscimento dei propri stati d’animo e la comunicazione e
manifestazione degli stessi. Pertanto l’arte terapia rappresenta una sorta di ponte tra il
mondo interno del paziente e le esperienze da lui vissute, permettendo agli operatori
di conoscere attraverso la produzione artistica del soggetto in esame le sue modalità
di comprensione e di elaborazione ed al paziente di esprimere in modo meno
formalizzato e con regole comunicative meno rigide i propri vissuti.
In ultima analisi l’arte terapia permette di operare quel passaggio che abbiamo visto
deficitario: la capacità metarappresentativa.
Considerando le differenze interindividuali di comunicazione è auspicabile una
stimolazione di più canali sensoriali avvalendosi di una integrazione delle diverse
forme di arte terapia. A conferma di quanto sopra Akerman ha utilizzato il termine
“sinestesia” per spiegare quel fenomeno secondo cui la stimolazione di un organo di
senso favorisce lo stimolo degli altri organi di senso. Inoltre la stimolazione sensoriale
che si ottiene attraverso l’arte terapia integrata favorisce il recupero di esperienze di
vita passate rinforzando il senso del sé, della propria continuità ed il riconoscimento
della propria individualità. Nell’ambito dei gruppi di arte terapia il soggetto inoltre può
condividere la sua esperienza con gli altri, aumentando il suo senso di appartenenza e
le capacità di socializzazione (attivazione indotta e addestramento “sul campo” di
schemi comunicativi).
I dati sperimentali indicano che le capacità sociali che il paziente ha interiorizzato ed
iperappreso persistono a lungo: in questo senso l’utilizzo di gruppi di trattamento in cui
si attivano situazioni non ansiogene e non frustranti (come nel caso delle arttherapies) permette lo sviluppo di esercizio, reminescenza, stimolazione sensoriale,
che massimizzano i risultati ottenuti nelle singole sessioni di trattamento. Inoltre in
alcuni
casi
si
ha
la
possibilità
di
attivare
direttamente
meccanismi
metarappresentazionali quali lo humor: alcuni autori ritengono infatti che lo humor (il
cui ruolo terapeutico è di detendere situazioni critiche e di vivere sentimenti piacevoli)
dipenda da meccanismi non verbali di comunicazione.
Infine, anche nei casi in cui la produzione artistica comporti lo sviluppo di pensieri o
sentimenti negativi o tristi, la possibilità di viverli in un contesto di addestramento
comunicativo permette di condividerli ed elaborarli con strategie più funzionali,
contribuendo a modificare in modo significativo gli schemi cognitivi di riferimento.
Disturbi cognitivi non di origine schizofrenica e arti-terapie
Il riscontro di deficit cognitivi è un rilievo estremamente frequente nella pratica clinica
sia psichiatrica sia neurologica. Infatti per quanto riguarda le patologie psichiatriche
non solo la schizofrenia, ampiamente trattata nei precedenti paragrafi, ma anche
numerose altre patologie possono comportare un deterioramento, generalmente
reversibile, del livello di funzionamento cognitivo.
Deficit cognitivi costituiscono frequentemente i sintomi più evidenti del disturbo
depressivo, in particolare in soggetti anziani. Basti pensare ai quadri di
pseudodemenza, ove la deflessione timica appare addirittura meno rilevante rispetto
all’alterazione cognitiva, sebbene in realtà queste siano secondarie alla sintomatologia
affettiva. Anche i soggetti affetti da Disturbo Bipolare manifestano frequentemente sia
durante le fasi depressive sia durante quelle maniacali una certa compromissione
delle funzioni cognitive (memoria, attenzione, linguaggio in particolare), alterazioni che
generalmente si risolvono con la remissione dell’episodio di malattia.
Riteniamo sia doveroso anche menzionare i deficit cognitivi secondari ai disturbi
d’ansia, soprattutto nelle forme in cui l’ansia costituisce una caratteristica di tratto. In
questi casi si verifica, infatti, una ridotta capacità di concentrazione con conseguente
compromissione dei processi attentivi e una minore efficienza dei processi mnesici.
Tra le patologie di prevalente competenza neurologica la demenza è indubbiamente il
disturbo nel quale il deficit cognitivo costituisce l’aspetto più centrale del quadro
clinico. Si tratta, ad eccezione dei quadri reversibili, ovverosia quelle determinate da
patologie intracraniche (meningiomi, ematomi subdurali ecc.), da malattie sistemiche
(insufficienza respiratoria, aritmie cardiache ecc.), da stati deficitari (carenza di
vitamina B 12, pellagra ecc.), da patologie endocrinologiche (Morbo di Addison,
ipertiroidismo, morbo di Cushing ecc.), da intossicazioni da farmaci o da metalli
pesanti (mercurio, arsenico ecc.), da infezioni (AIDS, lue, ascessi cerebrali, meningiti
ecc.) di quadri clinici in cui le alterazioni cognitive anche se inizialmente isolate sono in
evoluzione e comportano un coinvolgimento delle altre aree cognitive del
funzionamento generale. I principali sintomi cognitivi riscontrabili in corso di demenza
sono deficit mnesici, il disorientamento temporale e spaziale, l’aprassia, l’afasia,
l’alessia, l’agrafia, i deficit di ragionamento astratto, di logica e di giudizio, l’acalculia,
l’agnosia
e
i
deficit
attentivi.
Tali
alterazioni
non
sono
generalmente
contemporaneamente presenti se non negli stadi terminali del disturbo ma
determinano fin dall’esordio della malattia un grave deterioramento del livello di
funzionamento globale nonché della qualità della vita. In questa prospettiva trovano la
loro applicazione le tecniche riabilitative di tipo cognitivo e le diverse forme di
arteterapia le quali si prefiggono l’obiettivo di limitare le aree di disabilità, di
conservare il più alto livello di autonomia possibile e di migliorare la qualità della vita.
Si tratta cioè di interventi riabilitativi volti a favorire il rallentamento della progressione
della malattia piuttosto del ripristino delle condizioni premorbose. Gli studi relativi agli
interventi di riabilitazione cognitiva su soggetti affetti da demenza sono ad oggi ancora
pochi, mancano quindi di solide evidenze di efficacia. Sono indubbiamente necessari
sforzi ulteriori volti a verificare gli strumenti terapeutico-riabilitativi più idonei al
recupero del soggetto demente. Infine riteniamo utile menzionare quel complesso di
malattie, eterogeneo per eziologia e per quadro clinico, ma aventi in comune il fatto di
essere caratterizzate da una alterazione del sistema nervoso centrale avvenuta o
prima della nascita o entro l’infanzia che ha determinato un ritardo mentale, anomalia
dello sviluppo dell’encefalo, anomalie cromosomiche, infezioni prenatali, disturbi
metabolici post-natali ecc.). Nelle forme morbose da ultimo menzionate la patologia di
base impedisce a priori ai soggetti di raggiungere un livello normale di sviluppo
cognitivo laddove al contrario nei disturbi precedentemente descritti si assiste ad un
deterioramento del livello di sviluppo cognitivo precedentemente acquisito. Le
tecniche riabilitative e le varie forme di arte terapia hanno in questi casi di
conseguenza l’obiettivo di favorire l’acquisizione ex novo di funzioni cognitive e non il
loro recupero.