STAGIONE 2011/2012 6 febbraio 2012 · ore 20.45 CROSSOVER 2984 di Enrico Remmert e Luca Ragagnin tratto da 1984 di George Orwell regia di Emanuele Conte produzione: Teatro della Tosse 7 febbraio 2012 · dalle ore 9.00 alle 12.00 Si risvegliò di colpo verso mezzanotte: ansimando chiese un medico. Delirava, ma riprese lucidità quando Ol’ga gli applicò la borsa del ghiaccio sul petto: «Non si mette il ghiaccio su un cuore spento». Alle due venne il medico: «Ich sterbe» gli disse piano, io muoio. Il dottore gli fece un’iniezione e volle procurarsi dell’ossigeno, ma lo scrittore lo fermò: «È inutile». Allora fu ordinato champagne. «È tanto che non bevo champagne». Bevve e si distese sul fianco. Poi silenzio. Erano le tre del mattino, una falena batteva le ali nere sul vetro della lampada accesa. OraDiMusica 2 dedicata al concerto di Denis Matsuev relatori Maria Luisa Merlo e Vittorio Gusmaroli pianoforte Ferdinando Mussutto ideazione e progettazione Carlo Delfrati 7 febbraio 2012 · ore 20.45 MUSICA Denis Matsuev pianoforte Schubert Sonata op. 143 D 784 Beethoven Sonata n. 23 op. 57 “Appassionata” Grieg Sonata op. 7 Stravinskij Tre movimenti da “Petruška” 21 - 24 febbraio 2012 · ore 20.45 PROSA LE BUGIE CON LE GAMBE LUNGHE di Eduardo De Filippo regia Luca De Filippo con Luca De Filippo, Nicola Di Pinto, Anna Fiorelli, Fulvia Carotenuto, Carolina Rosi, Massimo De Matteo scene di Gianmaurizio Fercioni costumi di Silvia Polidori luci di Stefano Stacchini produzione: La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo 26 febbraio 2012 · dalle ore 15.30 alle 16.30 Sala stampa del Teatro · incontri con i genitori ACCOMPAGNARE I BAMBINI A TEATRO 2 Siamo a teatro con i bambini: chi siamo? Dove siamo? Che spettacolo vediamo? ingresso libero su prenotazione ([email protected] · Tel. 0432 248418) 26 febbraio · ore 17.00 A TEATRO DA GIOVANNI 12 febbraio 2012 · ore 20.45 CROSSOVER Compagnia Argentina di Roberto Herrera TANGO DE BUENOS AIRES direzione e coreografie di Roberto Herrera Decarisìmo Quinteto pianoforte e direzione musicale di Ariel Rodriguez Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine Via Trento, 4 - 33100 Udine Tel. 0432248411 [email protected] www.teatroudine.it QUISQUILIA Viaggio per un Angelo e un Clown regia di Philip Radice con Olivia Ferraris e Milo Scotton musiche originali di Carlo Cialdo Capelli coreografie di Milo e Olivia, Paola Colonna produzione: Compagnia Milo e Olivia Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani - Teatro Stabile di Innovazione età consigliata: dai 6 anni Biglietteria online [email protected] www.teatroudine.it www.vivaticket.it Segui il Teatro © Studio Novajra · print: Grafiche Filacorda Anton Pavlovič Čechov (1860 - 1904) era nato in Ucraina, da una famiglia di servi della gleba. Con grandi sacrifici era riuscito ad ottenere la laurea in medicina, professione che eserciterà solo sporadicamente, perché i suoi racconti, pubblicati sui giornali di San Pietroburgo e Mosca, gli varranno presto un prestigio da scrittore. Oltre a numerosi atti unici, è autore di alcuni fra i più importanti testi del teatro che apre la strada al Novecento: da Il Gabbiano, del 1896, a Zio Vanja, Tre Sorelle, Il giardino dei ciliegi, che debutta al Teatro d’Arte di Mosca nel 1904, pochi mesi prima che lo scrittore, minato dalla tubercolosi, si spenga, a 44 anni. 1 - 4 febbraio 2012 · ore 20.45 IL GIARDINO DEI CILIEGI PROSA È l’alba, presto sorgerà il sole. È già maggio, i ciliegi sono in fiore, ma nel giardino fa ancora freddo, c’è la brina. IL GIARDINO DEI CILIEGI di Anton Pavlovič Čechov traduzione di Paolo Magelli dramaturg Željka Udovičić regia Paolo Magelli con Valentina Banci, Francesco Borchi, Valeria Cocco, Daniel Dwerryhouse, Corrado Giannetti, Elisa Cecilia Langone, Mauro Malinverno, Fabio Mascagni, Paolo Meloni, Silvia Piovan, Luigi Tontoranelli, Sara Zanobbio scene Lorenzo Banci costumi Leo Kulas, musiche Arturo Annecchino luci Roberto Innocenti produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana Teatro Stabile della Sardegna Una scena completamente vuota, salvo alcune intermittenze scenografiche, e gli attori che, sotto la guida di Paolo Magelli, si confrontano con la dolorosa comicità cechoviana. Con le sue allegorie spietate e struggenti. Il terzo Giardino dei ciliegi diretto dal regista indaga, più che mai, sulla fragilità della vita. E ci ricorda che la bellezza, come quella dei rami fioriti, dura lo spazio di un respiro. Čechov, quel classico diverso Autori come Shakespeare e Molière sono classici. Anche perché i personaggi da loro inventati celebrano, nel bene come nel male, passioni, sentimenti e debolezze che sono le nostre: la gelosia in Otello, l’ambizione in Macbeth, gli scrupoli in Amleto. Oppure i vizi, cosi minuziosamente catalogati da Molière: avarizia, misantropia, idiosincrasia… Anche Čechov, che è vissuto a un secolo e mezzo di distanza da noi, è un autore classico. Ma per ragioni diverse. Se lo leggiamo, non pare affatto un drammaturgo dalla potenza tragica, né il manovratore di una tagliente penna comica. Nel suo teatro non troveremo caratteri esemplari, e le sue storie sembrano sempre seguire percorsi labili, mentre scivolano nel continuo rompersi delle battute. I personaggi arrivano nel primo atto a grappoli: chiacchierano, si amano, si odiano, si sopportano distrattamente, poi, come sono venuti, ripartono negli ultimi atti. Scorrono, così come inesorabile, inarrestabile, scorre il loro tempo. Convivono in Čechov, che scrive teatro a cavallo tra un secolo e l’altro, l’estro, l’allegria, perfino l’umorismo, e un’indole malinconica, cupa. Tanto che spesso chi ha a che fare con lui cade nell’equivoco. In risposta alla lettera di un’amica scrittrice, egli stesso si meraviglia: «Voi, Lidia Avilova, vi lamentate che i miei personaggi siano tristi e cupi. Ahimè, non è colpa mia. Questo avviene contro la mia volontà, quando scrivo a me non pare di scrivere cose tristi e comunque, quando lavoro, sono sempre di ottimo umore». Di questo moto ondoso, che inquieta il suo animo e la sua drammaturgia, Il giardino dei ciliegi, la sua ultima opera (1904), è il più efficace esempio. Vuole che la si chiami commedia, la riempie di personaggi burleschi, inventa persino una donna clown, Charlotte, ventriloqua e esperta in giochi di prestigio. Ma al tempo stesso capiamo che questo è anche «il requiem di un mondo» e sappiamo che mancano soli pochi mesi al giorno in cui, malato di tubercolosi, a soli 44 anni, egli si spegnerà. Čechov è «un alveare di temi, un formicolio di motivi che si susseguono e si scalzano senza un motivo apparente», ci spiega uno dei suoi lettori più acuti, Angelo Maria Ripellino, un fine intellettuale italiano che era penetrato nel fondo dell’anima, e dei trucchi, del teatro e della cultura russa. Perciò Čechov piace ai registi. Anche a quelli che, per temperamento, sarebbero portati a occuparsi di personaggi e di passioni forti. Anche a chi ha appena messo in scena un feroce Riccardo III, o il veleno di un Tartufo. Di Čechov piace invece la quotidianità, il naufragio senza traumi. Piace soprattutto la capacità che hanno le sue comiche tragedie, o commedie tragiche, di assumere toni e coloriture diverse, di concedersi al regista, e rispondere ogni volta docilmente alle sue domande. Il grande teatro di Čechov, e Il giardino in particolare, si prestano alle richieste di un impianto realistico. Realistico era l’impianto fissato dal suo primo regista, Konstantin Stanislavskij. Un realismo non tanto scenografico, perché le scene in quei primi anni del secolo erano forzatamente pittoriche (e ai nostri occhi di oggi, che vedono le fotografie, appaiono finte). Quanto nei modi dell’interpretazione: «Non bisogna recitare, rappresentare – raccomandava Stanislavskij ai suoi attori – bisogna essere, vivere, esistere, procedendo lungo l’arteria principale dell’anima». In Italia, in maniera abbastanza simile, Il giardino se l’era immaginato anche Luchino Visconti quando nel 1965 vi aveva diretto Rina Morelli e Paolo Stoppa, e una timida, adolescente Ottavia Piccolo. Anche Giorgio Strehler nel 1974 aveva realizzato un importante allestimento. Ma all’avventura umana dei singoli personaggi aveva aggiunto lo sguardo sulla dialettica della Storia: il naufragio di un’epoca, di una classe sociale, lo stordimento che l’accompagna. In più, l’invenzione di un leggero velario bianco che dal palcoscenico invadeva la platea. Attestato per biografia e formazione dentro la scuola teatrale russa, e capace di cogliere dal di dentro quella malinconia, Lev Dodin ne ha fatto qualcosa di ancor più struggente (1993), fino a far sentire l’angoscia alla fine dell’ultimo atto, coi colpi secchi della scure sugli alberi. E inseguendo una sua idea di paesaggio come matrice di quello spirito, il tedesco Peter Stein aveva organizzato per i propri attori accurati viaggi esplorativi nella campagna russa (1986). Perché i principi del realismo si possono declinare in tanti modi. Ma questo Čechov, il Čechov che più facilmente riconosciamo, può essere anche ribaltato. Registi di altra impostazione hanno rovesciato la scatola del dramma e sorprendentemente il teatro di Čechov non si è ribellato. Anzi, si è dimostrato subito capace di dinamismo, ritmo, eccitazione. La meticolosità con cui Vsevolod Mejerchol’d aveva contato, in piccoli tre atti unici, ben trentatré svenimenti è diventata, nei lugubri anni ‘30 sovietici, il motivo portante di un allestimento clamoroso, alimentato da musica, irresistibilmente vitale. E nel rinnovarsi della geografia europea degli anni ‘90, l’attenzione che il lituano Eimuntas Nekrošius ha rivolto a Čechov ne ha svelato l’essenzialità, il nervosismo, il carattere quasi espressionista, tanto che il Giardino (2003) è diventato per il regista nordico dagli occhi di ghiaccio un punto d’arrivo, oltre Gabbiano, Zio Vanja e Tre sorelle. Dopo averlo allestito una volta a Wuppertal in Germania, e una seconda a Zagabria, il regista Paolo Magelli ha messo in scena adesso un nuovo Giardino per lo Stabile della Toscana, il Metastasio di Prato. Nel suo background di cittadino d’Europa, che a Prato è nato e dopo una lunga esperienza all’estero a Prato ritorna, Magelli è forse in grado di rinsaldare ora le due linee che da quel 1904 si dipartono – la linea del realismo e quella dell’espressionismo – per ricavarne ancora una volta un classico, ma ancora una volta diverso. Roberto Canziani Università di Udine