STORIA DELL’HIP HOP: L’hip hop è nato circa nel 1970. Tutti i media lo avevano giudicato solo una moda passeggera, oggi, nel 2003 l’hip hop esiste e devasta! Tutto è nato negli U.S.A miscela esplosiva di Black-music, soul, funk e R&B (Rhythm and Blues); l’hip hop in poco tempo si è letteralmente espanso in tutto il mondo, chiaramente ogni nazione l’ha reso suo, cercando di adattarlo al loro stile di vita. Tra il muretto e i centri sociali, l’hip hop è il racconto in presa diretta della strada, la narrazione minuziosa della quotidianità di chi sta ai margini della quotidianità. Quando esplode in Italia, alla fine degli anni Ottanta, l’hip hop ha alle spalle la più straordinaria rivoluzione “afrocentrica” che abbia attraversato la società americana dai tempi delle proteste nei campus e dalle pantere nere. Microfono offerto al ghetto, occasione per competizioni territoriali, questa è la musica dei cantastorie urbani, dei sound system arrivati nel Bronx grazie agli immigrati giamaicani che confondono le strade polverose di Kingston, Giamaica, con le periferie urbane degradate. Negli Stati Uniti, l’hip hop cerca di salvare la comunità nera dalla degradazione sociale, dall’azzeramento delle proprie radici culturali, dal totale assorbimento nel sistema mediatico americano. È la cultura delle posse, di chi vuole esprimere il proprio senso di comunità, di gruppo. La posse è un gruppo di persone che sedimenta la propria unione intorno a un bisogno o una passione comune, sia esso di rafforzare le proprie radici, sia la ricerca di un mezzo per condividere frammenti di esistenza. È un metodo artigianale di riappropriazione delle strade nato da un aggregazione spontanea, un network casalingo che diventa ogni giorno più forte, si stratifica, organizza difese e strategie, impone stili di vita, affermando che la solidarietà umana è il primo irrinunciabile valore. La storia dell’hip hop è anche in Italia, una storia di posse, di gruppi informali che si accendono, si sintonizzano e scompaiono, che vivono la città come lo scenario di un emozionante gioco di ruolo. E la posta in gioco è l’orgogliosa affermazione della propria identità, la vorace conquista del mercato, l’azzeramento della distanza abissale tra centro e periferia e, forse, una visione eccitante inedita dell’impegno sociale. Il potere delle posse sta nella capacità di scandagliare i desideri, di mescolare cultura alta e cultura bassa, oscuri mondi sotterranei e lustri grandi magazzini, alla ricerca del beat perfetto, del pulsare metronomico di una batteria elettronica in perfetta sintonia con il cuore. Basta davvero poco per spalancare scenari inediti: due piatti, un mixer artigianale e un microfono. Si utilizza materiale preesistente, oggetti di consumo, pezzi di plastica già incisa, vecchi dischi funk e soul destrutturandoli e poi ricostruendoli, secondo una sequenza che li metta in grado di parlare una nuova lingua, cancellandone le caratteristiche iniziali. Prima ancora che la parola, infatti, l’hip hop è arte del giradischi, turntablism, cioè l’utilizzo dei giradischi come fossero strumenti musicali, gioco di manopole, effettismi. Un trattamento che trasforma la canzone originale esaltando e dilatando all’infinito i passaggi ritmici, i fraseggi profondi del basso e secchi stacchi di batteria, i breakbeat, che sono alla base dell’hip hop. Il ritmo è un fortissimo elemento di coesione, comunicazione non verbale che solo in un secondo tempo è integrata nelle rime. Non a caso sono in molti a ritenere che l’hip hop originale sia quello del turntablism, e anche in questo periodo il ritorno alla cosiddetta old school, cioè il rap delle origini, è interpretato come supremazia del giradischi nei confronti della parola. La festa, l’intrattenimento, l’espressione artistica sono dunque gli aspetti esteriori più riconoscibile di una musica che, sin dall’inizio, è un 9 catalogo di suoni, un esercizio di stile affidato alle mani veloci e delicatissime insieme, che comprimono in un mixer un universo di citazione. Aspetti dell’hip hop: La cultura dell’hip hop è variegata: comprende l’amore per il cut e il rap, per gli sports “da strada” quali lo skate boarding, per l’arte metropolitana del graffitismo, per la break dance e per la musica ritmata dal d.j. attraverso lo scratch. L’hip hop è formato da quattro elementi: Mcing; Djing; Writing ; Breaking. Ognuno di questi completa l’altro e tutti assieme formano il vero hip hop. Parola chiave dell’hip hop è “free style”, ovvero l’arte dell’improvvisazione, non come mancanza totale di regole, ma come interpretazione soggettiva e originale delle regole stesse. Ognuno ha il suo compito, proviamo ad analizzare ogni singolo elemento: - L’Mc a.k.a. Master of Ceremony (maestro di cerimonia): è colui che canta, solitamente mette in rima quello che vede e quello che sente, la maggior parte dei testi tratta di argomenti veri e vissuti, sono presenti molti contenuti espliciti; utilizza il microfono per infiammare la pista da ballo. Altra specialità è il free-style ovvero la capacità di improvvisare, durante basi casuali fatte solitamente con la sola bocca, vere e proprie canzoni in rima riguardanti le situazioni o i pensieri che si stanno vivendo nello stesso momento. Gli Mc’s solitamente si sfidano in gare di free-style per dimostrare la loro bravura; molte volte è proprio da questa improvvisazione che nascono poi i pezzi più 10 curati che troviamo nelle varie cassette. Il “free style”, è l’interpretazione soggettiva e originale delle regole. - Il Dj e/o Bit-Maker: è colui che appoggia tecnicamente l’Mc, è lui che prepara le basi, cerca e trova le sonorità più adatte per il pezzo finito, lo mixa, lo remixa e lo arricchisce con scratch, insomma tutto quello che sentiamo oltre alla voce dell’Mc in un pezzo hip hop è opera del suo Dj. - Il Writer: è colui che dipinge e teggha (firma col suo nome “d’arte” qualsiasi tipo di superficie), lo sente per necessità, solitamente dipinge con tecniche di Aerosol-art, colpisce muri, tetti, garage, treni, ecc. I writer, scorazzano per le metropoli armati di bomboletta, pronti a lasciare una traccia indelebile della propria esistenza, a sottolineare il proprio passaggio con una testimonianza di vita che ricorda i segni ancestrali delle tribù primitive. Nello stivale vantiamo di molti writer veramente validi, che possono competere in tutto e per tutto con quelli degli U.S.A. - Il Breaker: è colui che balla e si può presupporre che tutto l’hip hop sia nato intorno a questa figura. In quanto, doveva esserci qualcuno che faceva basi per far ballare il breaker, da questa necessità è nato il Dj, subito dopo si è sviluppata anche la figura dell’Mc, ovvero colui che canta sulle basi (l’unico “personaggio” forse indipendente è il Writer, cioè colui che disegna). Il breaker balla la breakdance, fa evoluzioni spettacolari è solitamente protagonista nelle Jam (ovvero le feste tipiche dei b-boy, occasioni di unione e scambi culturali). Essi sfidano la legge di gravità emulando sinuose evoluzioni; il palcoscenico è la strada; la tuta da ginnastica è l’uniforme che non intralcia i movimenti e ripara dalle cadute. Le coreografie nascono sul campo, devono stupire soprattutto per le possibilità ginniche sempre più ardite, in particolare devono aiutare la tribù a prendere saldamente il controllo del territorio, a conquistarsi il rispetto. 11 Musica hip hop: È cosa abbastanza comune ritenere il Rap e l’hip hop perfetti sinonimi, tante volte si tenta di fare una distinzione trattandoli come due generi separati, anche se di stretta parentela, considerando in genere l’hip hop come una variante “morbida” del Rap. Nessuna di queste posizioni è completamente sbagliata, imprecisa e confusa sicuramente sì. Hip hop è il nome della cultura nata nel ghetto nero delle metropoli americane verso la metà degli anni ‘70 e che si è espressa sotto diverse forme: la Breakdance, l’Aerosol Art (o Writing) e musicalmente con l’unione dell’attività di un Dj e di un Rapper. Il concetto di hip hop è quindi più vasto e più complesso e riguarda un intero “stile di vita”, quello delle comunità nere americane, che musicalmente si esprime con il Rap: la tecnica del parlare su di una base musicale. Principalmente l’hip hop ha due grandi divisioni la East-coast e la Westcoast. La costa est è caratterizzata dal caos, la musica è molto più “grezza”. I b-boy hanno una mente completamente diversa dai loro compagni della W-coast, hanno molti più problemi e casini. Principalmente i b-boy della E-coast sono più poveri, non lo fanno per soldi, e anche se ne hanno non li mettono in mostra. La West-coast è molto diversa, la musica è molto più melodica, e la gente è molto più tranquilla. Esaltano la ricchezza, si mettono in mostra con macchinoni, catene d’oro, denti d’oro e anelli tempestati di diamanti. Lo scenario musicale da cui partire è quello della seconda metà degli anni ‘70: la Musica Nera sta straripando nelle classifiche di tutto il mondo. Sono gli anni della disco music di gruppi come gli Chic o della Gap Band, e del trionfo del Funky dei Parliament di George Clinton, degli Ohio Players oltre che dei più “riempipista” Earth Wind & Fire e Kool & The Gang, senza mai dimenticare la lezione del “Godfather” James Brown. Non manca neanche la “vecchia scuola” Soul, ora più che mai vicina a certe produzioni disco, di band storiche come gli Isley Brothers o l’intera generazione Motown primi tra tutti i Jacksons e i Commodores. È in questo clima, in questo convergere di disco-music, funky e Soul, che nasce l’hip hop. I pionieri di questa nuova tendenza sono i dj. Dj Kool Herc arriva nel Bronx dalla Giamaica, e fin dai primi anni settanta sperimenta un nuovo modo di proporre i brani, “Tagliati” dall’uso contemporaneo di due giradischi: ha così origine un rudimentale “sampling”, il celebre campionamento che della musica hip hop diverrà la caratteristica fondamentale. Ma non è tutto: con Kool Herc la figura del dj inizia a diventare qualcosa di più del semplice professionista del “mettere i dischi”, intervenendo spesso e volentieri al microfono, incitando la pista al divertimento. Grand Wizard Theodore fu il primo dj a usare lo “scratch”: era il 1975, in un posto chiamato Sparkle, nel Bronx. I primi Master Of Ceremony (gli Mc’s o molto più profanamente “rapper”) avevano nomi come Grandmaster Caz o Rahiem. Il loro compito “primitivo” era quello di aiutare il dj nell’invogliare il pubblico delle discoteche a riempire la pista. Il termine hip hop, non è nient’altro che un’onomatopea del modo di ballare, viene coniato da quello che è storicamente conosciuto come il primo disco di hip hop Music: “Rapper’s Delight” della Sugarhill Gang, autunno 1979. La prima metà degli anni ottanta viene oggi definita come “Old School”, la vecchia scuola pioneristica della Sugarhill Gang, Grandmaster Flash & The Furious Five, Kurtis Blow, Afrika Bambaataa, Funky Four Plus One, The Treacherous Three, Fearless Four, The Sequences. L’hip hop è un genere appena nato che trova spazio soprattutto fra i Breakdancers del Bronx e di Queensbridge o nelle dancefloor dei club di NewYork, piuttosto che nelle Bilboard Charts, anche se non tardano ad arrivare i primi successi commerciali: “The Message” di Grandmaster Flash diviene 12 presto una hit mondiale, mentre “The Breaks” di Kutis Blow è il primo disco rap a ricevere il disco d’oro in poche settimane. Inutile affermare che i testi di questi brani sono quasi sempre quanto di più lontano dall’impegno e dalla denuncia sociale: lo scopo è quello del puro e semplice intrattenimento secondo i dettami, quasi sempre sessisti, del Funky. Unico isolato caso di testo “impegnato” arriva dal già citato Grandmaster Flash: “The Message” è un’attenta descrizione dello squallore dei borghi newyorchesi, mentre “White Lines” è un’esplicita denuncia degli effetti devastanti della cocaina. I primi passi nello showbusinness dell’hip hop sono caratterizzati da una old school ingenua e divertita, che sforna storici 12 pollici con “Extended Versions” tendenti all’infinito (Rapper’s Delight), ma quasi incapace di lanciare artisti in grado di produrre interi album degni di questo nome. Occorre attendere che il fenomeno passi dallo status di “novità” a quello di realtà discografica significativa. Non c’è cosa più difficile, soprattutto per i fenomeni musicali contemporanei, di stabilire la fine di una corrente, una tendenza e l’inizio di una nuova. Nel 1989 i Public Enemy pubblicano “Fear of a Black Planet”, denunciando ancora una volta un mondo dominato da una supremazia bianca. Nei primi mesi del 1993 Dr. Dre esce col suo primo album solista, “The Chronic”, universalizzando uno stile West Coast che, riduttivamente, sarebbe stato etichettato con la definizione di “Gangsta Rap”. Gli anni chiusi tra questi due dischi simbolo, sono quelli del declino di un hip hop militante e impegnato a favore di un dominio West Coast; quelli del passaggio da puro e semplice fenomeno nazionale a genere musicale mondialmente riconosciuto. È il periodo che viene chiamato, non senza inevitabile approssimazione, della New School: è il debutto di tutta una serie di nuovi talenti la cui influenza rimarrà evidente negli anni a venire. Sotto il disteso e pacifico messaggio di “Love & Peace” si basa l’intera esperienza di una delle più importanti hip hop crew di questo periodo, la “Native Tongue” dei De la Soul, A Tribe Called Quest, Jungle Brothers e Black Sheep. I De La Soul esordiscono nel 1989 con “Three Feet High And Rising” cui fa seguito il bellissimo “De La Soul Is Dead”. Il loro modo di fare hip hop è all’insegna del divertimento e dell’ironia, lontano anni luce dall’atteggiamento pesantemente “machista” del cliché abituale, che viene puntualmente scimmiottato e ridicolizzato. A Tribe Called è il nome di un’altra band fondamentale, sempre “affiliata” alla “Native Tongue”. Testi profondi e impegnati, basi minimaliste e ricercate, per un sound inconfondibile e degli album capolavoro, “The Low End Theory” in testa. Una delle etichette più importanti dei primi anni novanta è la Wild Pitch, che ha il tempo di lanciare le più influenti band, tipicamente “seminali”, per poi fallire in poco tempo. Per la Wild Pitch esce il primo lavoro di Guru e Dj Premier, i Gang Starr. “No More Mr. Nice Guy”, questo il titolo, è un album ancora lontano dai vertiginosi standard di produzione Dj Premier, ma è con i successivi “Step In The Arena” e “Daily Operation” che il duo trova il giusto sound, di album in album, sempre migliore, sempre lontano dalle Top Ten, ma ai vertici della qualità. Per la Wild Pitch non si possono dimenticare due gioielli new school: “Breaking Atoms” dei Main Source e “Funky Technician” di Lord Finesse. Sempre a New York un’altra etichetta, la Tommy Boy, la stessa che lanciò i De La Soul, monopolizza il mercato con il successo di una band, i Naughty By Nature. Il loro primo disco, omonimo, è il giusto mix tra un hip hop “vero e duro” e uno stile “Radio-friendly”, che conquista le classifiche di mezzo mondo e il singolo “O.P.P.” nuovo inno di strada. Anche la rapper Queen Latifah fa parte della scuderia Tommy Boy, e con un’altra artista,Mc Lyte, regna incontrastata nel rap al femminile. Nella East Coast fiorisce tutto un “vivaio” di gruppi che sono la vera e propria 13 essenza della filosofia della Nuova Scuola, basata su un disimpegno programmatico dei contenuti dei testi, su un cosciente e divertito modo di proporre temi spensierati, come la vita nei College, dove l’unica preoccupazione sembra sia organizzare “house party”... Completamente immersi in questo clima ci sono band come i Leaders of The New School di Busta Rhymes o i Brand Nubian che esordiscono con uno degli album più rappresentativi di questo periodo, “One For All”. Contemporaneamente all’avanzare delle nuove leve, continua il successo di gente come i Public Enemy, i Boogie Down Productions, LL Cool J, gli EPMD. Prodotti da questi ultimi, escono i DAS EFX con il loro hip hop direttamente dalla rete fognaria di New York, e Redman da Newark, altro grandioso Mc. Questo lo scenario di New York e dintorni, che sarebbe incompleto se non si ricordassero anche le esperienze di Pete Rock & CL Smooth e il loro raffinato hip hop/soul, di Diamond D e la sua D.I.T.C. Crew, di Special Ed, Heavy D, Nice & Smooth. Negli stessi anni anche la West Coast diviene sempre più il terreno di nuove generazioni hip hop. Tra i nomi di spicco, il gruppo che lanciò 2Pac, i Digital Underground da Oakland, che si ispirano direttamente al P-Funk di George Clinton, i Pharcyde che con il primo disco, “Bizarre Ride II”, lasciano un’impronta indelebile con uno stile raffinatissimo che raggiunge il massimo con il singolo “Passing Me By”. Ma è da Los Angeles, quel che resta del supergruppo N.W.A. che si sviluppa quello che la critica musicale americana chiamerà “Gangsta rap”, il rap delle gang malavitose di Los Angeles, quello dei famigerati “playas & bitches”. Ice Cube è il primo fuoriuscito dal gruppo e i suoi primi album “Amerikka’z Most Wanted” e “Death Certificate” sono i primi segnali di un “California style” che durerà negli anni a venire. Del 1992 è il singolo, ormai un pezzo di storia hip hop, “Deep Cover” di Dr. Dre “introducing” Snoop Doggy Dogg. Si tratta del primo passo di un sodalizio, quello tra Dre e Snoop, che dura tutt’ora e che frutterà milioni di dischi venduti. Il disco di Dr. Dre “The Chronic”, che ospita oltre a Snoop Dogg altri mc’s come Warren G e D.O.C., diventa platino in poche settimane ed è subito il segnale di una riscossa West Coast stanca di vivere all’ombra di New York e dintorni. “Nuthing But a G Thang”, primo singolo estratto, è un successo clamoroso. Qualche mese dopo “The Chronic”, un altro disco sempre prodotto da Dr. Dre, ma di Snoop Doggy Dogg, “Doggystyle”, ne ribadisce il successo: quattro milioni di copie vendute. Siamo nel 1993 e la West Coast sembra aver tolto alla East il ruolo di leader. Gli anni immediatamente successivi, quelli centrali dei novanta, saranno caratterizzati da una vera e propria “lotta” Fra le due coste, che terminerà solo con le morti di 2Pac e The Notorious B.i.g. Le morti di 2Pac e Notorious B.i.g. hanno un’eco incredibile in tutti gli Stati Uniti e non solo. Lo scenario hip hop è un fiorire di tributi in ricordo dei due “street warriors”, soprattutto Tupac Shakur diventa una vera e propria icona della black community, con connotati che lo avvicinano a miti come Marvin Gaye o Otis Redding. Ma gli ultimi anni ‘90 sono anche quelli di un proliferare caotico di nuove bands, nuovi artisti pronti a invadere le classifiche di tutto il mondo, ora non più solo quelle specialistiche, della black music, grazie anche alla tendenza, sempre più diffusa, di contaminare il rap con dei cori RnB, ottenendo un effetto più morbido, oltre che più orientato alle vendite. Questa la linea di Puff Daddy che, dopo l’esperienza di ballerino prima, di proprietario della Bad Boy poi, decide di intraprendere la carriera di rapper. Il suo primo album, “No Way Out” esce poco dopo la morte di Notorious B.i.g.: un successo mondiale, così come il disco del suo “protetto” Mase. Un hip hop che accontenta 14 tutti, che mira esplicitamente ad arrivare nella Bilboard Chart, piuttosto che accontentare i gusti dei puristi del genere. Nel ‘96 il secondo album dei Fugees, “The Score”, diventa in poche settimane uno dei dischi più venduti dell’anno. Il gruppo dei cugini Wyclef Jean e Praz, con la cantante/rapper Lauryn Hill, mescola l’hip hop più puro a sonorità reggae, vista la provenienza caraibica di Wyclef e Praz. Il singolo “Killing Me Softly” (rapcover di un brano di Roberta Flack), diviene numero uno in quasi tutto il mondo, ma se la cavano bene anche brani come “Ready Or Not” o “Fu-gee-la”. Sia Lauryn Hill che Wyclef Jean, in seguito all’esperienza Fugees, intraprenderanno una carriera solista con lo stesso enorme successo. Del 1996 è il debutto di un rapper che influenzerà un’intera generazione di nuovi mc’s sul finire degli anni ‘90: Jay-Z. Il suo primo album “Reasonable Doubt” è un capolavoro che rimane apprezzato però solo a un livello “semi-underground”, ma con produzioni di Dj Premier e Clark Kent rimane a oggi la sua prova più convincente. I successivi saranno soprattutto degli enormi successi commerciali. Il rap al femminile diventa una realtà sempre più presente nell’universo hip hop e Foxy Brown e Lil’ Kim, le female mc’s più rappresentative. Foxy Brown esplode dopo vari “Featuring” con l’album “Ill Na Na”: il suo modo di reppare è prepotente e sboccato, le basi del suo disco sono prodotte dal Team di Trackmaster, specialisti delle produzioni a metà strada tra la hit da classifica e un rispettoso “real hip hop”. Lil’ Kim proviene dal mondo della Bad Boy di Puff Daddy e Notorious B.i.g.. Il suo debutto “Queen Bee” è un successo clamoroso: i temi delle sue canzoni quasi sempre incentrati sul sesso, passabili in radio solo in censuratissime “radio edit”. Fra le altre “signore” del rap, più o meno fenomeni da classifica: Da Brat, Bahamadia e Paula Perry prodotte dai Gang Starr di Guru e Premier, Nonchalant, Queen Pen. Un discorso a parte per un vero e proprio fenomeno di hip hop al femminile: Missy Elliott. Il suo è uno stile insolito e originale: al rap affianca anche una buona dose di cantato, grazie a una bella voce che le permette di farlo… la produzione del suo disco d’esordio, “Supa Dupa Fly” (1997), è di un produttore agli esordi, Timbaland. Si tratta di un nuovo modo di fare hip hop: vengono abbandonati i suoni caldi del repertorio funky-soul per delle sonorità fredde, inondate da un tappeto di sintetizzatori, per un effetto glaciale e fortemente elettronico. Questo evoluzione (o involuzione) del genere, diverrà in breve tempo un “trendy” richiesto dalla maggior parte dei rapper di successo, in prima fila nomi come Jay-Z, Nas e Busta Rhymes. Parlare dell’hip hop degli ultimi anni novanta sarebbe incompleto se non si citasse l’enorme successo di un rapper di New Orleans, Master P, che dopo aver fondato una propria casa discografica, la No Limit Records, diventa uno degli uomini più ricchi dello Showbusiness musicale americano, grazie ai milioni di dischi venduti da solo o con i suoi “affiliati”: Silkk The Shocker, Mia X, Mystical e un redivivo Snoop Dogg. La parabola artistica di Big Punisher, di origine portoricana, dura solamente 2 anni e un disco: a neanche trent’anni , nel febbraio del 2000, muore per problemi legati alla sua enorme mole fisica di quasi 200 chili. Il suo primo e unico album, “Capital Punishment” (1998), diventa platino in poco tempo, grazie soprattutto ai numerosi ospiti di prestigio come Busta Rhymes, Wyclef Jean dei Fugees, B-Real dei Cypress Hill e il suo “gemello” (di stazza) Fat Joe. Sotto il nome di Ruff Ryders nasce un vivaio di nuovi mc’s destinati a un successo straordinario: DMX, con il suo “flow” decisamente duro e arrabbiato, Eve altra stella al femminile del rap, i The Lox, fuoriusciti dall’esperienza con Puff Daddy e la sua Bad Boy. Swizzbeats è il loro produttore: l’ispirazione è quella “elettro-hip hop” di Timbaland, spesso inframezzata di 15 sonorità latin-pop, come vuole la moda del momento. Gli anni ‘90 dell’hip hop si chiudono con un personaggio incredibile. Pochi bianchi (Beastie Boys, Third Bass) erano riusciti a irrompere nel mondo del rap come Eminem, di Detroit. Alle sue spalle una produzione di altissima qualità a opera di un rinato Dr. Dre. I suoi testi sono sprezzanti e irriverenti, in genere puntano il dito contro i personaggi celebri del mondo pop, Britney Spears e Christina Aguilera in primis. I suoi primi dischi “The Slim Shady Lp” e “The Marshall Matthers Lp”, diventano multiplatino in diverse parti del mondo, e non c’è talkshow che non dedichi un’accesa discussione sulla moralità di certe sue affermazioni. Contemporaneamente al successo di Eminem, riemerge dopo anni nell’ombra, il talento di un grande rapper oltre che produttore: Dr.Dre. Il suo “The Chronic 2001” lo riporta ai vecchi fasti, con un sound rinnovato e più che mai attuale. Alle soglie del Terzo Millennio l’hip hop è un genere musicale affermato, con tanto di universo Mainstream e Underground. Ha perso inevitabilmente l’ingenuità e la schiettezza dei primi ferventi anni di sperimentalismi, diventando sempre più terreno di “coverizzazioni” e campionamenti un tempo solo esclusivamente “Black”, ora di ogni altro genere. Anni d’oro della musica hip hop: Gli anni racchiusi tra il 1985 e il 1989 sono quelli della cosiddetta “Golden Age”, l’età d’oro del genere, quella in cui si misero le basi per fare dell’hip hop un genere musicale importante e non più soltanto un “trendy” da club newyorkese. L’evento discografico che segnerà per sempre il futuro dell’hip hop è sicuramente la fondazione a opera di Russel Simmons e Rick Rubin di un’etichetta indipendente che tutt’ora rimane tra la più importanti nel genere: la Def Jam Records di New York. Quasi tutti i dischi più importanti di quegli anni portano il marchio di fabbrica Def Jam, vera e propria garanzia di qualità. Stiamo parlando di artisti che hanno fatto, e continuano oggi, a fare la storia dell’hip hop. LL Cool J esordisce con un album eccezionale, “Radio”; è solo l’inizio di una carriera che lo porterà a inanellare un elenco lunghissimo di successi e di album storici. I Public Enemy di Chuck D e Flavor Flav incarnano perfettamente la figura del gruppo impegnato: i loro testi sono sempre una denuncia della posizione subalterna e ghettizzata della “Black Community” all’interno della società americana. Sempre per la Def Jam, un altro gruppo questa volta bianco e con un passato punk-rock, i Beastie Boys, entra nelle charts di tutto il mondo con “License To Ill”: un rap sguaiato e festaiolo, che non dimentica le influenze del rock più duro. Anche per loro, una carriera longeva, attualmente più viva che mai. Ma l’età d’oro dell’hip hop non è soltanto Def Jam. Per una piccola etichetta, la Profile, escono i dischi di un gruppo fondamentale, come i RUN-DMC: gli album “Raising Hell” e “King Of Rock” sono dei veri e propri “must-have” per chiunque voglia parlare seriamente di hip hop, e singoli come “Peter Piper” o “It’s Like That”, veri e propri “anthems” che a distanza di anni sono ancora proposti in qualsiasi hip hop jam. L’età d’oro non potrebbe essere così definita senza tenere conto di un disco di importanza capitale “Paid In Full” il primo album di Eric B & Rakim, quest’ultimo da sempre considerato il migliore Mc (Master Of Ceremony) di tutti i tempi, e non a caso il suo appellativo più usuale è l’impegnativo “The God”. Rime vertiginose, basi sempre più sofisticate per un album davvero “mangetout”, dove non esistono tracce riempitive. Dj Scott La Rock e Krs-One sono i leaders di un altro gruppo storico della Golden Age, i Boogie Down Productions. Come i Public Enemy il loro è un messaggio decisamente 16 impegnato, ma con un taglio meno sovversivo, più attento a un coinvolgimento culturale delle comunità nere, mirato a una diffusione del concetto di hip hop come stile di vita: il loro fine è quello di educare, attraverso la musica, le masse disagiate dei Boroughs di New York, il Bronx in testa. “Criminal Minded” e “By Any Means Necessary” i loro album “bandiera”. Gli EPMD sono Erick Sermon e Parrish Smith, e il nome del duo è un acronimo che significa “Erick and Parrish Make Dollars” e lascia più che chiaramente intendere quanto l’impegno sia lontano dai loro testi. Ma il loro primo album “Strictly Businness” è una bomba: per la prima volta si parla di “Hardcore Hip Hop”. Basta dare un ascolto a pezzi come “You Gots To Chill” o “It’s My Thing” per accorgersi dell’appropriatezza della definizione “Hardcore”. Altri grandi protagonisti della fine degli anni ottanta sono tutti nomi legati a un’altra piccola etichetta indipendente, la Cold Chillin’. Si tratta di produzioni che raramente entrano nelle charts, ma decisamente “avanti” nelle sonorità; sono dischi tipicamente “seminali”, avendo suoni e liriche già fortemente anni novanta. Tutto questo in pochi anni, in una sola città, New York. Ma cosa stava succedendo nel resto degli Stati Uniti? Il 1988 è l’anno di nascita di un gruppo di Los Angeles, del quartiere di Compton, precisamente: gli N.W.A. iniziatori del cosiddetto “Gangsta Rap” che di lì a poco tempo avrebbe fatto tanto parlare. Il gruppo è formato da future “Rapstars” del calibro di Dr. Dre, Ice Cube, Eazy-E, Mc Ren… Il loro primo lavoro “Straight Outta Compton” è il manifesto programmatico di un modo di concepire il rap estremamente crudo e realistico che non si risparmia in descrizioni “exploitation” di una realtà violenta come quella della sterminata periferia di Los Angeles. La West Coast non è più ai margini dell’hip hop che conta. Bibliografia: Testo: Writing from the style Underground – stampa alternativa in associazione con IGTimes. www.hiphop.it www.oversize.it 17