n. 8, settembre 2012 Comprendere il sistema climatico della Terra: alla scoperta delle dita di sale Con il supercalcolatore del consorzio CASPUR i primi al mondo a simulare la formazione di una “scalinata oceanica” Verso la metà degli anni ‘50, Henry Stommel, uno dei padri fondatori della moderna oceanografia, si domandò che cosa succede se si immerge nel mare un tubo di rame lungo molte centinaia di metri e si risucchia un po’ d’acqua da esso. La risposta, dedusse, è la formazione di una fontana perpetua. Questa curiosa risposta dipende dal modo peculiare con cui sono distribuite temperatura e salinità in quasi tutti gli oceani. Le acque vicine alla superficie sono tipicamente più calde e più salate 30 di quelle che si trovano a grande profondità, che sono più fredde e meno salate. Tuttavia, vicino alla superficie, la maggiore salinità (che tende ad aumentare la densità) non è sufficiente ad annullare del tutto gli effetti della maggiore temperatura (che invece rende l’acqua meno densa). Pertanto le acque di superficie letteralmente galleggiano sopra a quelle poste a maggiore profondità, che sono più dense. Che cosa succede, allora, all’acqua che scorre verso l’alto nel tubo di rame? Essa, risalendo dalle fredde n. 8, settembre 2012 profondità, si ritroverà a contatto termico con acque più calde (il rame è un buon conduttore...) ma non potrà arricchirsi di sale (che non passa attraverso le pareti del tubo). Il risultato netto è che la colonna d’acqua racchiusa nel tubo sarà complessivamente meno pesante di una colonna d’acqua di pari altezza, posta fuori dal tubo: la spinta di Archimede produrrà un vigoroso zampillo all’estremo superiore del tubo (figura 1). Per qualche anno tutto ciò rimase una mera “curiosità oceanografica”. Tuttavia nel 1960 Melvin Stern, allora al Woods Hole Oceanographic Institution, comprese che nel ragionamento di Stommel il tubo di rame era ridondante! Infatti la salinità diffonde circa cento volte più lentamente della temperatura. Una particella d’acqua profonda, spostata verso l’alto, acquista per diffusione la temperatura del fluido circostante molto più rapidamente di quanto non acquisti salinità. Perciò, a mano a mano che sale, essa diviene sempre più leggera, fino a raggiungere un equilibrio fra velocità di ascesa, frizione viscosa e diffusione di temperatura. Analogamente, una particella d’acqua superficiale, spostata più in basso, si raffredda, ma perde assai poca salinità, diventando quindi più pesante del fluido circostante. I calcoli di Stern indicavano che non c’è bisogno di grandi altezze per produrre questo effetto: la scala dell’instabilità è di pochi centimetri. Gli esperimenti di laboratorio confermarono che è sufficiente una vasca delle dimensioni di un piccolo acquario per osservare delle strutturine fluide allungate che si muovono verso l’alto o verso il basso: le ‘dita di sale’ (salt fingers). Infatti, riprodurle è così facile che ci sono riusciti anche gli autori di questo pezzo, nella cucina di uno dei due, pur essendo dei teorici molto poco avvezzi agli esperimenti di laboratorio (figura 2). La storia si complica intorno agli anni ‘70 del secolo scorso. Le prime campagne osservative volte a misurare gli effetti delle ‘dita di sale’ scoprirono che nei luoghi dell’oceano dove ci si aspetta la presenza dei salt fingers, i profili verticali di temperatura (T) e salinità (S) non presentano, come fanno altrove, una graduale variazione di temperatura e salinità dai valori abissali a quelli di superficie, ma assumono 31 invece un profilo a scalini: strati d’acqua con valori di T e S pressoché costanti sono verticalmente intervallati da strati d’acqua in cui T e S subiscono notevoli variazioni nel giro di pochi metri (figura 3, tratta da Schmitt, 2003). L’origine e la natura di queste scalinate oceaniche è rimasta per molto tempo misteriosa. Le osservazioni hanno subito mostrato che le dita di sale esistono solo all’interno di quei sottili strati caratterizzati da forte variazione verticale di T e S (la pedata dei singoli scalini). Gli spessi strati omogenei (l’alzata degli scalini) sono invece caratterizzati da vigorosi moti convettivi. Tuttavia, mentre in una comune pentola la convezione è generata dal calore del fornello, nelle scalinate oceaniche essa è dovuta all’eccesso di salinità ceduto da ciascuno strato di dita di sale allo strato omogeneo sottostante. Negli ultimi quaranta anni le dita di sale sono state il principale indiziato per la formazione delle scalinate oceaniche, ma finora non è stato possibile trovare una prova definitiva del loro ruolo. Infatti, esistono ottimi motivi teorici a supporto della tesi che le dita di sale, da sole, non sono in grado di dare l’avvio alla convezione che mantiene omogenee le alzate della scalinata: esse sono strutture troppo piccole e risentono così tanto della viscosità del fluido da non poter rimescolare l’acqua in modo efficace. Noi pensiamo di aver fatto un importante passo in avanti nella soluzione di questo n. 8, settembre 2012 Figura 3 enigma. Grazie a simulazioni numeriche ad altissima risoluzione delle equazioni del moto di un fluido (le equazioni di Navier-Stokes, nell’approssimazione di Boussinesq) ottenute usando il supercalcolatore del consorzio CASPUR (di cui fa parte l’Università del Salento) siamo stati fra i primi al mondo a simulare la formazione di una scalinata oceanica (figura 4). Analizzando i dati delle simulazioni abbiamo constatato che, quando la stratificazione di temperatura e salinità rientra in un regime opportuno, le singole dita di sale sono così veloci nel loro moto da trascinare del fluido intorno a loro. Questo, a sua volta, innesca la formazione di ulteriori dita di sale nel fluido coinvolto nel trascinamento, cosicché si assiste alla formazione di grappoli di dita di sale che si muovono insieme in modo coerente (figura 5). Il passaggio di un grappolo, a causa delle sue grandi dimensioni, lascia una scia di acqua rimescolata, dove i gradienti di temperatura e salinità sono leggermente inferiori a quelli preesistenti. Inoltre, gradienti relativamente deboli favoriscono la formazione di altri grappoli, mentre gradienti alti la ostacolano, in quanto sono associati a dita di sale più lente. Perciò si genera una instabilità dei profili verticali di T e S: là dove la pendenza si indebolisce si ha un ulteriore tendenza verso l’omogeneità; dove, invece, si ha inizialmente un leggero irripidimento, col tempo i gradienti aumentano (figura 6). Formulare un modello matematico di questo genere di processi non è banale. Tuttavia abbiamo forti indizi che suggeriscono di tentare un approccio basato su una classe di equazioni differenziali che è già stata studiata in un campo del tutto diverso, quello dell’elaborazione digitale delle immagini. In quell’ambito si cerca spesso di rendere Figura 4 32 n. 8, settembre 2012 Figura 5 pianeta Terra. L’impossibilità pratica di simulare un intero oceano risolvendo scale così piccole come quelle delle dita di sale (anche se l’informatica progredisse con i ritmi degli ultimi cinquanta anni, ce ne vorrebbero altri centocinquanta prima di poterlo fare) implica che solo una descrizione matematica che semplifichi e riassuma in una formula maneggevole l’effetto delle dita di sale (e, sperabilmente, di altri fenomeni di piccola scala), può dare le risposte che la comunità dei climatologi attende da tempo. Francesco Paparella, Università del Salento Jost von Hardenberg, CNR Isac - Torino Figura 6 omogenea una porzione di time = immagine caratterizzata da 0.3 deboli fluttuazioni di luminosità 0.2 (interpretate come rumore) e di far risaltare fluttuazioni di 0.1 maggiore entità (interpretabili 0 come bordi di oggetti, volti, -0.1 eccetera). Allo stesso modo, i grappoli di dita di sale -0.2 mantengono omogenee le -0.3 alzate delle scalinate oceaniche, -0.01 0 e danno risalto alle variazioni di temperatura e salinità che caratterizzano le pedate. Queste equazioni (tecnicamente si tratta di equazioni di diffusione nonlineari con coefficienti di diffusione che possono diventare negativi) pongono problemi matematici formidabili, e sono un ambito di ricerca molto attivo nell’analisi matematica. Un approccio ingenuo porta a una formulazione priva di senso, che non ammette soluzioni. Approcci più attenti permettono di arrivare a problemi matematicamente ben posti, ma rimane comunque da chiarire come ottenere una equazione le cui soluzioni approssimino bene quelle delle equazioni di Navier-Stokes. Questo sarà un lavoro che ci terrà occupati per i prossimi anni. Non si tratta di un esercizio di matematica astratta, o di una mera curiosità oceanografica. Infatti, la nostra ignoranza riguardo ai flussi verticali di salinità e, soprattutto, di temperatura costituisce l’incognita fondamentale che non ci permette di descrivere in modo soddisfacente il bilancio termodinamico degli oceani. E questo, a sua volta, è uno degli elementi che genera maggiore incertezza nella nostra comprensione del sistema climatico del 6 8 10 12 -6 14 · 10 z 4 0.01 B(z) Riferimenti Bibliografici R.W. Schmitt (2012). “The tortuous history of salt fingers”, dd2012.soe.ucsc.edu/sites/default/files/ Schmitt_History.pdf R.W. Schmitt (2003). “Observational and laboratory insights into salt finger convection”, Progress In Oceanography, vol. 56 J. Von Hardenberg, F. Paparella (2010). “Non-Gaussian buoyancy statistics in fingering convection”, Physics Letters A, vol. 374 F. Paparella, J. von Hardenberg (2012). “Clustering of Salt Fingers in Double-Diffusive Convection Leads to Staircaselike Stratification”, Physical Review Letters, vol. 109 P. Perona and J. Malik (1990). “Scale-space and edge detection using anisotropic diffusion”. IEEE Transactions on Pattern Analysis and Machine Intelligence, vol. 12 33