CAPITOLO 9 L’ORIENTE TRA CIVILTÀ ISLAMICA E IMPERO BIZANTINO (VII-VIII secolo) I. L’ISLAM ALL’ORIZZONTE Nel VII secolo, l’impero bizantino, impegnato a fronteggiare la minaccia dei persiani, oltre che a frenare l’espansione longobarda in Italia e a contrastare l’ascesa del papato, non si rese conto che un’altra potenza si stava affacciando sulla scena internazionale pronta a sconvolgerne gli equilibri già precari. Nasceva in una regione, l’Arabia, rimasta finora ai margini della storia, e la sua ascesa fu improvvisa, rapida e imprevista. GEOSTORIA L’Arabia La penisola araba, che costituisce la zona più meridionale dell’Asia occidentale e si estende tra il Mediterraneo e il mar Rosso a ovest, l’oceano Indiano a sud, il golfo Persico e il mar Arabico a est, con i suoi quasi 3.000 km² è la seconda penisola più grande al mondo, dopo l’India. Costituita in gran parte da un enorme altopiano inclinato da ovest verso est, lungo la fascia costiera che si affaccia sul mar Rosso presenta, proprio a ridosso della costa, una catena montuosa che in qualche punto supera i 2000 metri e digrada verso l’altopiano interno centrale, in cui domina un ampio deserto con vaste zone di steppa – che consentono la pastorizia – e la presenza di oasi (G), in cui è possibile praticare l’agricoltura. La regione orientale, affacciata sul golfo Persico, è in gran parte occupata da una pianura desertica delimitata e intercalata da rilievi collinari. La fascia meridionale, soprattutto verso ovest, oggi occupata dallo stato dello Yemen, è la più fertile, per il clima temperato dai monsoni provenienti dall’oceano Indiano. Qui il paesaggio è tipicamente mediterraneo. La zona era ricca, sin dall’antichità, di agrumi, cereali e datteri, ma anche d’oro, pietre preziose, aromi, come l’incenso e la mirra, e spezie ricercate con cui si preparavano medicamenti e profumi. I romani la chiamavano Arabia felix (“fertile” e “fortunata”) e la consideravano una terra favolosa, in cui l’aria era impregnata di aromi deliziosi. In tutta la penisola mancano i fiumi, le precipitazioni sono minime e le temperature elevate quasi dappertutto. La sua posizione tra Africa e Asia, facile da raggiungere dall’India attraverso l’oceano Indiano, ma affacciata anche sul Mediterraneo e quindi verso l’Europa, la rese crocevia dei commerci internazionali conteso tra persiani e romani e poi bizantini. La via di comunicazione più famosa era la via dell’incenso che attraversava la penisola e collegava l’India al Mediterraneo. 1.1 L’Arabia prima di Maometto (I millennio a.C.) Arabi beduini In età remota, nella penisola arabica vivevano beduini nomadi, divisi in tribù molto coese al loro interno, con un forte senso dell’ospitalità, ma in conflitto permanente tra loro, soprattutto per il controllo dei pascoli e delle sorgenti. Parlavano una lingua semitica, definivano sé stessi arab, “la gente” per eccellenza, e praticavano l’allevamento di dromedari e ovini. I dromedari permettevano loro di spostarsi nel deserto e commerciare lungo le vie carovaniere che cominciarono molto presto ad solcare la penisola. Il nome di aribi o arabu, dal quale con molta probabilità deriva quello di arabi, compare per la prima volta in fonti assire del VII secolo a.C., in cui si dice anche che la forma politica delle loro tribù si fondava sulla successione matrilineare degli sceicchi, (sayyid, “vecchio”), cioè dei capi tribù. In guerra, talvolta, lo sceicco veniva sostituito dal rais, un comandante militare. Proprio con gli assiri gli arabi si scontrarono per molto tempo nel tentativo di estendere i propri commerci e fondare colonie sulla costa siro-palestinese. Memo Il cavallo del deserto Il dromedario, l’ultimo dei grandi erbivori domesticati dall’uomo, permetteva di percorrere lunghe distanze anche nel deserto, perché resiste agli sbalzi di temperatura e sopravvive persino otto giorni senza bere né mangiare. Inoltre forniva latte, carne, pelle. Diversi dai cittadini Quando nacquero i primi insediamenti stabili, soprattutto lungo la costa occidentale e meridionale della penisola araba e lungo le vie carovaniere, si creò una netta contrapposizione tra gli abitanti di villaggi e città e i nomadi del deserto, fieri della propria indipendenza, che proprio gli abitanti delle città e delle oasi definirono bedewi, “abitanti della steppa, del deserto”, cioè beduini, ma anche “uomini delle tende”. I beduini rimasero mercanti, predatori e guerrieri molto coraggiosi e aggressivi, dediti alle razzie nelle città, nei villaggi e nelle oasi, dove si procuravano prodotti agricoli, utensili e armi. Ma erano anche pronti a mettersi al servizio delle carovane come cammellieri, per garantirne la sicurezza in cambio della possibilità di rifornirsi nelle città. Regni favolosi Lungo le coste dell’Arabia meridionale già nel corso del I millennio a.C. si erano costituiti alcuni regni, tra cui il mitico regno di Saba, nell’attuale Yemen, fiorito tra il X e il VI secolo a.C., di cui parla anche il Corano. Famosa una sua regina, protagonista di molte leggende, che incontrò il re ebreo Salomone, come racconta la Bibbia. Nel nord-ovest della penisola, il regno più importante, nel I secolo a.C, era quello dei nabatei, che l’imperatore Traiano conquistò nel 106 d.C. La regione, divenuta la provincia romana dell’Arabia Petrea, dal nome della splendida capitale Petra, fruttò all’impero grandi ricchezze perché controllava la grande via carovaniera dall’Egitto all’Eufrate, una delle più importanti vie del commercio con l’Oriente. Tra storia e leggenda La regina di Saba La regina del fiorente regno di Saba è una figura semileggendaria di cui parlano la Bibbia, i Vangeli e il Corano. Nel primo libro dei Re della Bibbia si racconta degli amori della regina con Salomone, cantati in un altro splendido libro della Bibbia, il Cantico dei Cantici, da cui nacque Menelik, capostipite degli imperatori etiopi. dida Petra tra l’Arabia e Roma Petra era il centro di smistamento dei prodotti orientali destinati alle città romane della costa siropalestinese e dirette da lì a Roma. Le carovane che da Petra transitavano verso i porti dell’Arabia meridionale fecero la fortuna delle oasi lungo il tragitto, tra cui quella posta a metà della pista carovaniera, sulla costa del mar Rosso, La Mecca. Memo Il regno di Palmira Un altro regno era sorto nel III secolo d.C. a Palmira, nella Siria interna, al cui governatore Odonato, un aristocratico arabo che si era opposto all’avanzata dei persiani, l’imperatore Gallieno (253-268) riconobbe il controllo di tutto l’Oriente. Dopo l’assassinio di Odonato, il principato di Palmira passò alla sua vedova Zenobia, che si proclamò regina di Palmira e creò uno stato autonomo, particolarmente ricco e fiorente perché vi convergevano le carovane provenienti dall’Arabia e dall’Egitto. La Mecca tra culti e commerci In origine gli arabi erano politeisti e veneravano divinità e demoni sotto forma di pietre, alberi o corpi celesti, custoditi in recinti sacri, che sorgevano in piccoli centri urbani nel deserto o lungo le vie carovaniere: tra essi Yàtrib, poi chiamato Medina, e il più famoso di tutti La Mecca, la città sacra, dove, nella Ka’ba, si veneravano vari idoli, tra cui la pietra nera. La Mecca era controllata da un’oligarchia di mercanti della tribù dei Quraysh, resa ricca e potente dai guadagni derivanti dai commerci e dai pellegrinaggi. Infatti ogni anno in primavera gli arabi si recavano in pellegrinaggio alla Mecca, dove, sospeso per l’occasione ogni conflitto, per quattro mesi considerati sacri, nella città si svolgevano fiere e mercati, ma anche incontri tra i sapienti che si scambiavano conoscenze e opinioni. Proprio i commerci e le fiere misero in contatto gli arabi con i mercanti e i sapienti ebrei e bizantini e con le loro religioni monoteiste, che ispirarono una nuova religione. La svolta (VII secolo d.C.) All’inizio del VII secolo la società araba era in grande fermento: dalla vita nomade e tribale si stava passando a strutture organizzate e stabili e dal politeismo a forme di culto monoteistiche, come quello della pietra nera alla Mecca. Ad acuire la tensione contribuivano anche le lotte tra bizantini e persiani sasanidi per il controllo delle vie carovaniere, perché i due imperi cercavano di attirare ciascuno dalla propria parte le città arabe e le tribù beduine, mettendole l’una contro l’altra. Scheda Tra storia e leggenda La pietra nera La “pietra nera” è probabilmente un frammento di meteorite della grandezza di un pallone da calcio. Secondo la tradizione più diffusa, sarebbe l’ultimo frammento della capanna costruita da Dio per accogliere Adamo ed Eva scacciati dal paradiso terrestre, consegnato ad Abramo dall’arcangelo Gabriele e affidato a Noè per salvarlo dal diluvio universale: avrebbe la stessa forma dell’arca. In origine bianca, la pietra sarebbe stata resa nera dai peccati degli uomini. Lo stesso Maometto, prima di diventare il profeta di Allah, durante la ristrutturazione della Ka’ba, l’edificio in cui è custodita, avrebbe reinserito personalmente la pietra nell’angolo sudorientale in cui si trova ancora oggi. I fedeli la venerano, rivolgendosi al punto in cui è incastonata, ovunque essi si trovino. Dida Il “cubo” sacro La Ka’ba (letteralmente “il cubo”) è un edificio scoperto in legno, di forma pressoché cubica (10 m di larghezza, 12 di lunghezza e 15 di altezza) che sorge all’interno del recinto sacro della Mecca, dove un tempo si conservavano i simulacri di tutte le divinità arabe. È rivestita di un prezioso tessuto nero, decorato con precetti del Corano, ogni anno diversi, scritti con lamine d’oro. Infatti una volta all’anno il tessuto viene tolto, strappato e distribuito ai fedeli come reliquia e la Ka’ba viene ricoperta di un nuovo tessuto. All’interno dell’edificio possono accedere solo i custodi del santuario e i membri della famiglia reale. La Ka’ba è meta di pellegrinaggi: in segno di adorazione i pellegrini, che indossano una veste sacra di tela bianca priva di cuciture, vi girano intorno per sette volte. 1.2 Nascita di un altro credo Il giovane Maometto Da tempo ogni tanto si levava in Arabia la voce di qualche predicatore che proclamava di essere un nuovo profeta, ma veniva ascoltato da pochi seguaci e poi scompariva. Diversa fortuna ebbe Maometto. Sebbene siano scarse le notizie certe sulla sua vita, sappiamo che Muhammad (“il più lodato”) apparteneva a una famiglia di mercanti, di un ramo secondario della tribù dei Quraysh. Nacque intorno al 570 alla Mecca, orfano del padre, morto durante un viaggio d’affari. La madre Amina lo affidò a una balia beduina perché lo allevasse nel deserto, dove si riteneva che il clima fosse più salutare. Persa anche la madre all’età di sei anni, non poté ereditare i beni familiari e, affidato a uno zio, fu avviato al mestiere di carovaniere. Ebbe così occasione di entrare in contatto con ebrei e cristiani e restò affascinato dai racconti sulla loro religione, anche se non poté leggerli direttamente perché era analfabeta. Verso i vent’anni fu assunto dalla bella e ricca vedova Khadija, di una famiglia di mercanti, per curare i suoi affari. Quando a venticinque anni la sposò, lei quarantenne, Maometto, oltre agli affari, poté dedicarsi anche alla meditazione, isolandosi nelle grotte intorno alla Mecca. «La ilah illa Allah» Una notte del 610, definita la Notte del Destino, mentre si trovava in una grotta sul monte Hirà, Maometto ebbe la rivelazione: udì delle voci che lo proclamavano profeta di Allah e gli apparve una figura luminosa, che si presentò come l’arcangelo Gabriele e gli rivelò che «la ilah illa Allah», “non c’è altro Dio all’infuori di Allah”. Allah, “il Dio”, era la principale divinità tra quelle venerate tradizionalmente dagli arabi. Con la dichiarazione dell’arcangelo, che costituisce ancora oggi la professione di fede dei musulmani, la shahadah, poi completata con la frase «... e Maometto è il suo profeta», Allah rivelava al suo profeta di essere l’unico Dio, lo stesso degli ebrei e dei cristiani, e gli prescriveva di diffondere un rigoroso monoteismo. Gli uomini dovevano sottomettersi di fronte alla potenza di Allah, diventare cioè muslim, “musulmani”, “sottomessi”, ed entrare a far parte della umma, la “comunità” dell’islàm, che, a sua volta, significa “sottomissione, abbandono alla volontà di Allah”. La comunità politica, morale e civile degli arabi, quindi, non sarebbe più stata fondata sui legami di sangue, ma sui vincoli religiosi. Storia di parole Slm I concetti fondamentali della nuova religione erano espressi con parole derivate tutte dalla stessa radice: slm. Oltre a islam, “sottomissione”, e muslim, “sottomesso”, anche la parola sala’m, “pace”, “protezione”, esprimeva il nuovo messaggio islamico: essere musulmano significava essere nella pace di Allah e sotto la sua protezione. Il saluto più frequente nei paesi islamici è proprio «Sala’m aleikum», “La pace sia con voi”. In italiano l’espressione si è deformata nel sostantivo salamelecco, più spesso usato al plurale salamelecchi, per indicare una forma di saluto o di complimento eccessivamente cerimonioso e adulatorio, come nell’espressione “fare troppi salamelecchi”. Dida L’arcangelo messaggero L’arcangelo Gabriele (Gavri’el in ebraico e Jibra’il in arabo, “forza di Dio”) nell’Antico Testamento appare al profeta Daniele per spiegargli il significato delle sue visioni (Daniele, 8-9) e nel Nuovo annuncia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista e a Maria l’incarnazione di Gesù nel suo grembo (Luca, 1, 5-38). Quando appare a Maometto suscita in lui un tale timore che, credendo di essere impazzito, l’uomo sta per buttarsi giù dalla montagna, ma Gabriele lo prende tra le sue ali e gli annuncia: «Maometto, non temere, perché tu sei il profeta di Allah» (G). (Glossario) Profeta Il termine deriva dal greco profétes, “colui che dice prima”, che ha cioè il dono di preannunciare avvenimenti futuri, ispirato da Dio, e di interpretare la sua volontà. «... e Maometto è il suo profeta» Maometto predicò la nuova fede dapprima, per tre anni, a una ristretta cerchia di amici e parenti, poi nel 612 un’altra visione lo spinse a diffondere la rivelazione. Per dieci anni predicò alla Mecca la fede in un solo Dio, la prossima fine del mondo e il Giudizio Universale, incitando alla generosità verso i poveri e scagliandosi contro la corruzione dei costumi, lo strapotere dell’oligarchia mercantile e l’ingiusta distribuzione della ricchezza. Così raccolse seguaci tra le classi più umili, ma si scontrò con la reazione violenta dell’oligarchia mercantile della Mecca, preoccupata che l’affermazione del monoteismo potesse distruggere gli antichi idoli e soprattutto danneggiare gli affari basati sui pellegrinaggi. La moglie Khadija lo protesse dagli attacchi della sua stessa famiglia dei Quraysh, ma alla sua morte nel 619, Maometto fu escluso dalla comunità e considerato un fuorilegge: chiunque poteva ucciderlo impunemente. Fu perciò costretto a fuggire, con un seguito di 70 seguaci, a Yàthrib, una grande oasi che sorgeva a 350 km a nordest della Mecca sulla stessa via carovaniera, dove vivevano parenti di sua madre. Gli islamici presentano la fuga come una migrazione, égira (hijra) e Maometto come il capo di un popolo in fuga, simile a Mosè. Il 16 luglio del 622, giorno dell’ègira, segnò l’inizio di una nuova era e costituisce ancora oggi il primo giorno del calendario islamico. Cultura e identità La rivelazione compiuta Maometto presentò la nuova religione come naturale, cioè instillata da Dio nell’animo di ogni uomo. Era la stessa religione di ebrei e cristiani, che però l’avevano corrotta con false interpretazioni. Perciò Dio aveva inviato Maometto come ultimo profeta per riportare in luce nella sua forma originaria, nella sua versione pura e definitiva, l’unica religione, eterna, senza origine né fine. Prima di lui centotrentatré profeti nel corso dei secoli avevano avuto la rivelazione e l’avevano annunciata agli uomini, ma solo sei erano i profeti superiori (rasul): Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Gesù e Maometto, “sigillo dei profeti” con cui la rivelazione si compiva definitivamente. Gli attributi di Dio Il Dio dei musulmani, Allah, presenta molte somiglianze con il Dio di ebrei e cristiani. Creatore dell’universo, onnipotente, onnisciente e sommamente buono, vuole la fratellanza tra gli uomini ed è giusto. Ciò che crea è bene, anche ciò che all’uomo appare come un male, perché i suoi disegni sono imperscrutabili: perciò gli uomini, creature insignificanti di fronte alla sua immensa potenza, devono solo affidarsi alla sua volontà. L’islam, a differenza del cristianesimo, impone un monoteismo assoluto e critica come falsa interpretazione il dogma della trinità – che moltiplicherebbe la divinità – e la venerazione di santi e di cose o immagini, indice di idolatria pagana (dal greco éidos, “immagine”, e latréia, “schiavitù”, quindi “culto delle immagini”). Perciò l’islam vieta di introdurre immagini di esseri viventi nei luoghi di culto, divieto, per altro, comune anche agli ebrei. Dida Solo splendidi arabeschi Il divieto assoluto di riprodurre immagini di esseri viventi nei luoghi di culto nasceva dall’idea che l’uomo è troppo limitato per poter imitare l’opera di Dio e tanto meno raffigurare Dio stesso. Perciò l’arte musulmana si indirizzò verso forme alternative, come gli arabeschi e la calligrafia. La parola del Corano scritta con l’elaborata calligrafia, cioè “bella grafia”, araba, molto decorativa e raffinata, intrecciata con forme vegetali e motivi geometrici, stilizzati e ripetuti infinite volte, in modo da coprire ogni spazio vuoto, divenne elemento di decorazione, i cosiddetti arabeschi, delle moschee (masjid) e delle madrase, le scuole coraniche che sorgevano spesso accanto alle moschee. Dida La moschea non è la casa di Allah, come i templi antichi e le chiese, ma luogo di incontro e di preghiera ecc. Dida Miniature preziose Un’arte particolarmente raffinata era quella delle miniature, disegni e dipinti in piccole proporzioni con particolare finezza e attenzione alla cura dei particolari. Dida su paradiso islamico Un paradiso di delizie Il paradiso islamico, in cui si godranno piaceri molto simili a quelli terreni, oltre alla visione di Dio come nel paradiso dei cristiani, è caratterizzato dalla presenza di acqua, fonti, ruscelli, che irrigano giardini popolati di uccelli variopinti e creature incantevoli. Ebrei, cristiani e musulmani concordano, a differenza delle religioni del mondo classico, sulla certezza della fine del mondo e del Giudizio Universale, ma per i musulmani le anime devono aspettare il Giudizio in uno stato di incoscienza prima di scontare la loro pena di tormenti o ottenere il premio in paradiso. Il Corano Il Corano, il libro sacro dell’islam, nacque come recitazione (questo è il significato del termine qur’ān) delle rivelazioni di Allah dettate a Maometto dall’arcangelo Gabriele per tutto il corso della la vita del profeta: quindi la stesura del libro va dal 610 fino al 632. Maometto non trascrisse le rivelazioni, ma le trasmise oralmente ai suoi discepoli. Così alla sua morte si rischiava di perderne o tradirne il messaggio, quindi nel 653 il califfo Othman (644-656) affidò a Zaid ibn Thabit, segretario di Maometto, uomo di memoria eccezionale, di raccogliere i ricordi dei seguaci del profeta ancora in vita e di trascriverli. Furono compilati i primi quattro esemplari del Corano, che vennero spediti in quattro importanti città del mondo musulmano e costituiscono ancora il testo canonico immodificabile del libro sacro. Il Corano è suddiviso in 114 sure, “capitoli”, articolate in 6200 versetti, ciascuna titolata con una o più parole presenti in essa e tutte, tranne la nona, introdotte dalla stessa frase: «Nel nome di Dio clemente e misericordioso». Furono ordinate da Zaid per ampiezza, dalla più lunga alla più breve, a parte la prima detta l’“aprente”. I contenuti delle sure sono molto vari e spaziano su ogni aspetto della vita, dalle verità teologiche al diritto penale e civile (eredità, rapporti tra uomini e donne o tra padri e figli), alle norme morali e persino ai precetti alimentari. Col tempo le sure furono ordinate anche cronologicamente, per potere applicare il principio, stabilito dallo stesso Corano, “dell’abrogante e dell’abrogato”: in caso di contraddizione tra più versetti, quello rivelato per ultimo abroga quelli rivelati prima. In particolare, gli studiosi dividono le sure in meccane, rivelate alla Mecca tra il 610 e il 622, e medinesi dopo il 622. Un’altra suddivisione per contenuto raggruppa le sure in: disposizioni legali, racconti e leggende, esortazioni e ammonimenti. La parola di Allah Il Corano ha nella vita dei musulmani una centralità maggiore di quanta ne abbia la Bibbia per gli ebrei e il vangelo per i cristiani. Infatti la Bibbia e i Vangeli sono opera degli uomini, sia pure ispirati da Dio, mentre il Corano è la trascrizione del Corano “increato”, sempre esistito e che sempre esisterà nella sua perfezione presso Allah, che vi parla in prima persona. Il Corano, quindi, è indiscutibile perché parola diretta di Dio: il profeta lo ha solo trasmesso ai seguaci, ma non ne è il creatore e neppure il curatore. Perciò il libro deve essere recitato in arabo classico e non può essere tradotto (solo di recente sono state concesse traduzioni), né può essere interpretato in base al contesto storico. Proprio per la necessità di recitare in arabo il Corano, la lingua araba si diffuse di pari passo con l’islam. Ahadith, sunna e shari’a Il Corano non era sufficiente a rispondere a tutti gli svariati casi della vita, perciò col tempo si ricorse anche agli ahadith, cioè ai “detti e fatti” del profeta, trascritti nel IX secolo, che costituiscono la sunna, considerata un’integrazione del Corano, che presenta la vita e i comportamenti di Maometto come esemplari, quindi come modello di comportamento per i fedeli. Dalla tradizione è stata trasmessa anche la shari’a, la “via da seguire”, che costituisce il diritto islamico, l’insieme di norme di comportamento civile e morale insieme, senza distinzione tra legge e fede. Fine scheda cultura e identità Otto anni a Medina Divenuta la sede di Maometto e dei suoi seguaci, Yàthrib fu chiamata la città del profeta, Madinat an-Nabi, cioè Medina. Qui Maometto assunse il ruolo non solo di profeta, ma anche di capo politico e militare. Per punire i meccani che lo avevano costretto alla fuga, decise di ritornare alle vecchie tradizioni beduine della razzia e del saccheggio, soprattutto nei confronti delle carovane di mercanti della Mecca, e avviò contro la città una spietata guerriglia. Sperava di attirare invece verso l’islam gli ebrei stanziati a Medina, visto che la nuova religione presentava molti punti di contatto con l’ebraismo e poneva al centro del mondo Gerusalemme verso cui ci si rivolgeva pregando. Ma gli ebrei, che si consideravano il popolo eletto, accettarono Maometto solo come un profeta arabo che diffondeva una specie di imitazione del giudaismo, ma ne rifiutarono il messaggio. Maometto allora arrivò ad accusarli di tradimento e ruppe con la tradizione ebraica e cristiana, a cui rimproverò di aver alterato la religione di Abramo. Riuscì invece a convertire molte tribù di nomadi beduini e diede loro per la prima volta l’idea di costituire una nazione. Dida battaglia di Badr La guerriglia contro La Mecca La guerriglia contro La Mecca iniziò nel dicembre del 623 con un attacco a mercanti in transito verso la Siria. L’anno successivo una carovana di mille cammelli che trasportava enormi ricchezze venne raggiunta da 300 beduini di Maometto al pozzo di Badr: con 74 morti e 40 prigionieri tra i meccani, contro solo 14 morti tra le truppe di Maometto, fu la prima grande vittoria del profeta, che sembrava aiutato dagli angeli di Allah. Quando, nel 627, 10.000 meccani assediavano Medina, gli ebrei, accusati di parteggiare per i meccani, vennero ferocemente puniti: gli uomini decapitati e gettati in fosse scavate nel mercato della città, donne e bambini venduti come schiavi. La conquista pacifica della Mecca Dopo aver ridotto la Mecca alla disperazione, Maometto guidò i suoi seguaci contro la città, dove l’11 gennaio del 630, ottavo anno dell’egira, a capo di 10000 soldati, entrò acclamato come trionfatore. La conquista avvenne senza spargimento di sangue, perché l’oligarchia di mercanti decise di convertirsi all’islam pur di mantenere il controllo dei traffici commerciali. Maometto ebbe l’accortezza di conservare alla città il primato religioso, facendone la città santa dell’islam, confermando la sacralità della pietra nera e obbligando i fedeli al pellegrinaggio alla Ka’ba. Da quel momento pregando ci si rivolse verso La Mecca e non più verso Gerusalemme. In un paio d’anni tutti gli arabi entrarono a far parte della “casa dell’islam”, dar al-islam, unità religiosa e culturale destinata a espandersi all’intera umanità. Maometto riuscì a superare la struttura tribale della società beduina, a fonderla con la società sedentaria delle città, creando un nuovo stato, una specie di confederazione di tribù, e ponendo fine ai conflitti sociali e alle discordie tribali. Soddisfece le esigenze dei ceti meno abbienti, mantenne la prosperità dei commerci e garantì la pace interna indirizzando le spinte bellicose verso l’esterno. Stava appunto organizzando una spedizione verso la Giordania, ai confini dell’impero bizantino, quando, alla vigilia della partenza, si ammalò e l’8 giugno del 632 morì tra le braccia di Aisha, la prediletta delle sue nove mogli. 1.3 Fondamenti islamici I cinque pilastri della fede Il successo e la rapida diffusione dell’islam derivarono in gran parte dall’estrema semplicità dei suoi precetti, facilmente comprensibili a tutti e basati sui cosiddetti cinque pilastri: 1. la doppia professione di fede, la sahadah, «Non c’è altro dio che Allah e Maometto è il suo profeta», che, pronunciata davanti a due testimoni, dà accesso come muslim alla umma. 2. la preghiera rituale, salat, da recitare cinque volte al giorno (all’alba, a mezzogiorno, al pomeriggio, al tramonto, alla notte), in un luogo delimitato, anche solo da un tappeto, in ginocchio, con la fronte a toccare terra e le braccia alzate in direzione della Mecca. Nelle città dove sorge una moschea, le ore della preghiera vengono annunciate dall’alto del minareto da un muezzin, mu’adhlin, “colui che invita alla preghiera”, con una formula recitata come una cantilena. Il venerdì, giorno festivo, la preghiera è collettiva, guidata a mezzogiorno da un imam, “colui che parla davanti agli altri”, un predicatore autorevole e competente, non un sacerdote; 3. le elemosine stabilite per legge (zakat) a cui si possono aggiungere offerte volontarie: la generosità richiesta dalla religione, oltre a garantire solidarietà e pace nell’umma, evita l’attaccamento ai beni terreni. La zakat è una decima, cioè una tassa corrispondente alla decima parte del reddito; 4. il digiuno (sawm) nel mese del Ramadàn, il nono mese dell’anno lunare islamico, lo stesso in cui Maometto ebbe la rivelazione. Dall’alba al tramonto non si può mangiare né bere, né avere rapporti sessuali, e oggi neppure fumare: è un altro esercizio per staccarsi dai piaceri terreni. Ne sono esentati malati cronici, malati di mente, minorenni, viaggiatori e donne gravide o che allattano; 5. il pellegrinaggio (hagg) alla Mecca almeno una volta nella vita. Chi non fosse in grado di effettuarlo per gravi motivi deve sostituirlo con elemosine e offerte supplementari. Sono vietati e severamente puniti l’idolatria, il furto (punito con l’amputazione della mano destra), l’usura, la vendetta, l’adulterio (punito con la lapidazione), la calunnia, l’assunzione di vino e di cibi impuri, come la carne di maiale. Molte delle indicazioni dell’islam sono comuni al cristianesimo e al giudaismo: la professione di fede corrisponde al Credo dei cristiani, il digiuno alla quaresima, il pellegrinaggio nei luoghi santi è uso anche cristiano, come il divieto di mangiare alcuni cibi o l’obbligo di macellare la carne in un certo modo è comune agli ebrei. Impegno o guerra santa? Alcuni includono come sesto pilastro anche il jihad, letteralmente “sforzo, impegno”, ma tradotto comunemente in occidente come “guerra santa”. Per l’islam il jihad può essere grande e piccolo. Il grande jihad è la lotta che ogni fedele deve compiere contro le proprie pulsioni, che lo portano a peccare; il piccolo deve essere praticato non dal singolo, ma dalla comunità nel suo complesso, ed è rivolto a difendere e a diffondere l’islam presso gli infedeli. Solo a volte è legittimo usare la forza, quando gli infedeli rifiutano di convertirsi, mentre non è legittima la guerra per puro scopo di bottino né è lecito arrecare offesa agli inermi. Come a Roma venivano compiuti sacrifici agli dei prima di ogni guerra e i cristiani andavano in guerra con il vessillo della croce, così anche per i musulmani la guerra era posta sotto la tutela di Dio, quasi che, di fronte a un atto così grave come l’uccisione di altri essere umani, ne chiedessero l’autorizzazione. Il sacrificio che la guerra comporta, presentato come testimonianza di fede e sacrificio per il bene della comunità, viene ricompensato o con la gioia di veder diffondersi l’islam o, se si muore, con l’arrivo immediato in paradiso senza attendere il Giudizio Universale, come spetta a chi non ha sacrificato la vita per Allah. Convertirsi o pagare Verso gli infedeli l’atteggiamento dell’islam, in genere tollerante, era diverso a seconda che si trattasse di pagani e atei o di zoroastriani, indu, ebrei e cristiani, definiti “popoli del Libro” (G). Nel primo caso l’alternativa per gli infedeli era solo tra la conversione e la morte, nel secondo era possibile mostrare la propria sottomissione all’islam assoggettandosi al pagamento di una tassa più elevata dell’elemosina legale per essere riconosciuti come “protetti”, continuando a professare il proprio credo, anche se con varie restrizioni, ma col vantaggio di essere esentati dal servizio militare. Glossario I popoli del Libro erano i seguaci delle religioni rivelate, che i musulmani riconoscevano di origine divina: ebrei e cristiani, che fondavano la loro fede sulla bibbia, ispirata da Dio, zoroastriani, perché monoteisti, e induisti, che si fondavano sui libri sacri dei Veda. Un potere solo Il Corano non si limitò a dare indicazioni di fede, ma regolamentò ogni aspetto della vita dei fedeli con normative e leggi relative alla società, all’economia e alla politica. Mentre il cristianesimo pose la netta separazione tra potere politico e potere della Chiesa («Rendete a Cesare quel che è di Cesare» aveva esortato Gesù) e quindi impero e papato rimasero due poteri distinti e spesso in conflitto, Maometto fondò una teocrazia, in cui la fede investiva ogni ambito del vivere, dal personale al pubblico, e tutto era “sottomesso” ad Allah. Scheda generi e generazioni La donna tra parità e sottomissione Dopo la morte della prima moglie Khadija, da cui aveva avuto tre figli maschi, tutti morti in giovane età, e quattro femmine, Maometto mantenne un harem di nove mogli, oltre a diverse concubine. Ma nelle norme che diede ai fedeli egli ridusse la pratica, propria dei ceti agiati, di contrarre matrimonio con un gran numero di donne. Concesse a ogni uomo solo quattro mogli e solo a condizione che fosse in grado di mantenerle e di garantire loro lo stesso trattamento. Nella società preislamica in realtà le donne beduine, come in quasi tutte le culture poco avanzate, partecipavano alla vita comunitaria in una posizione non troppo dissimile da quella dell’uomo. E anche successivamente ebbero la possibilità di lavorare, sia in campagna sia in città, come medico, infermiera, parrucchiera o addirittura insegnante o poetessa. Tuttavia vennero anche sottoposte al potere maschile. Maometto, però, impose agli uomini di trattare le donne con gentilezza, concesse alla donna di produrre e possedere beni e la esentò dal contribuire al mantenimento della famiglia con i propri beni, vietò i matrimoni tra consanguinei e l’infanticidio femminile, che si praticava seppellendo le bambine vive. Nel Corano Allah considera la donna spiritualmente al pari dell’uomo e in grado di godere pienamente della rivelazione. Pertanto alcune donne, come la prima moglie del profeta, Kadija, contribuirono alla diffusione della nuova fede. Tuttavia il Corano sostiene anche l’inferiorità femminile rispetto agli uomini che «sono un gradino più in alto» (Corano, 2,282): la donna dipende perciò totalmente dall’uomo, ha diritto a un’eredità dimezzata rispetto agli eredi maschi, la sua testimonianza in un processo vale la metà di quella maschile e non le è concesso avere più di un marito. Donne velate: protette o annientate? Usato prima dell’avvento dell’islam, l’hijab, il velo che avvolge interamente i capelli delle donne, era un segno distintivo, senza connotazioni religiose, delle donne di rango elevato. Nel mondo arabo il velo è utilizzato infatti come segno di rispetto: il Corano viene coperto per rispettare la sua sacralità e presso i tuareg sono gli uomini a velarsi davanti alle donne in segno di rispetto nei loro confronti. Il Corano non impone alla donna di coprirsi, ma solo di tenere un atteggiamento pudico, che la indichi come vera credente e perciò la risparmi dalle molestie maschili. Il velo quindi rappresenta un segno di riguardo da parte degli uomini nei confronti del corpo femminile considerato sacro e da parte della donna è segno di obbedienza e intimità con Dio. Naturalmente una tradizione di rispetto può essere anche usata contro le donne. Quando si picchiano e lapidano le donne che non indossano il burqa, il pesante velo che ricopre tutto il corpo e permette di vedere a stento attraverso una feritoia all’altezza degli occhi, si trasforma un segno di rispetto in uno strumento per privare la persona di ogni identità, civile e individuale. Harem ed eunuchi Come nella società dell’Atene classica, anche alle donne arabe veniva riservata una specifica zona della casa, l’harem. Haram in arabo vuol dire “inviolabile” e indica un luogo dove non è possibile entrare agli impuri e dove non si possono commettere atti immorali. Trasformato in “harem” in italiano, indica anche il luogo dove vivevano coi loro figli le diverse mogli di un uomo. A ognuna di loro il marito doveva destinare una stanza. Nell’harem vivevano anche le parenti del proprietario, madre e sorelle, schiave e concubine dette con termine turco “odalische”. A nessun uomo era concesso entrarvi, a parte gli eunuchi (dal greco euné, “letto”, ed échein, “avere, custodire”, quindi “custodi delle camere da letto”), uomini evirati usati a guardia dell’harem, inteso sia come luogo sia come insieme delle mogli. L’harem era un segno del potere e della ricchezza di un uomo. Fine scheda 2. L’IMPERO BIZANTINO E ALTRI IMPERI ALL’EPOCA DI MAOMETTO 2.1 La crisi dell’impero d’Oriente (VII secolo) L’impero dopo Giustiniano Mentre l’Islam si avviava a conquistare il mondo, il confinante impero d’Oriente presentava inequivocabili segni di debolezza. Prima di morire nel 565, l’imperatore Giustiniano era stato costretto a far fronte alla grave crisi economica e all’ostilità dei persiani e degli slavi che avevano cominciato a dilagare verso occidente nei territori lasciati liberi dai germani. Alla sua morte l’impero era in gravi difficoltà e rischiò di sfaldarsi: all’interno rivolte popolari, dispute religiose e tentativi di indipendenza di varie regioni rendevano instabile l’impero; all’esterno, l’Italia era caduta in gran parte in mano ai longobardi e il papato si era svincolato sempre più dal potere imperiale; i visigoti avevano strappato nuovamente la penisola iberica all’impero; i persiani sasanidi avevano approfittato della crisi per saccheggiare Gerusalemme dove fu trafugata la “Vera Croce”, una scheggia della croce su cui sarebbe stato crocefisso Gesù, oggetto di venerazione dei cristiani. Si erano poi spinti fino alle porte di Costantinopoli costringendo i bizantini a richiamare tutte le forze e a lasciare sguarnite le frontiere danubiane; due popolazioni slave, serbi e croati, erano allora dilagate oltre confine stanziandosi nell’Illiria; altri slavi stanziati lungo il Volga, in Boemia e Moravia, si erano suddivisi in vari gruppi (russi, polacchi, slovacchi) e convertiti al cristianesimo orientale. La riforma dell’impero Nel 610 sul trono d’Oriente era frattanto salito Eraclio (610-641), un abile generale che provvide innanzitutto a riorganizzare l’impero: suddivise il territorio in temi, affidati a uno stratego, un magistrato dotato di pieni poteri civili e militari; a ogni tema assegnò il compito di fornire un contingente militare all’esercito, arruolato tra i contadini a cui distribuì terre come ricompensa del servizio militare: ai costosi soldati mercenari poté così sostituire soldati-contadini, definiti stratioti, assai meno costosi e più interessati a difendere il territorio. Promulgò anche leggi atte a impedire che i grandi proprietari terrieri si impossessassero delle terre assegnate ai contadini e contrastò lo sviluppo di vasti latifondi dove i proprietari tendevano a rendersi autonomi dal potere centrale. L’impero diventa bizantino Eraclio impresse anche una svolta culturale decisiva all’impero che con lui cessò di essere l’impero romano d’Oriente per diventare l’impero bizantino. Infatti appena salito al trono, proclamò il greco come lingua ufficiale e si definì basiléus anziché augustus. Del resto in Occidente non si studiavano già più i classici greci e in Oriente decadde lo studio della letteratura latina. La frattura si manifestò anche nell’arte: solo Venezia divenne centro di contatto in cui le due culture si fusero. Il merito di ritrasmettere il patrimonio greco in Occidente toccherà poi agli arabi. A difesa delle frontiere Eraclio realizzò la sua riforma per ridare vigore all’impero. Il problema più grave era quello finanziario: a rimpinguare le casse imperiali contribuì persino il patriarca di Costantinopoli che cedette gli arredi d’oro delle chiese. Eraclio ebbe così risorse sufficienti per placare con ingenti somme di denaro le pretese degli àvari, una popolazione turco-mongola, imparentata con gli unni, penetrata nella penisola balcanica. Nel 622 poté attaccare la capitale dell’impero persiano Ctesifonte, in Mesopotamia, dove, per vendicare il saccheggio di Gerusalemme, incendiò il tempio di Zoroastro. Ma i persiani, coadiuvati dagli avari, assediarono per terra e per mare Costantinopoli, che tuttavia resistette grazie alle sue possenti e inespugnabili mura e alla mobilitazione di tutta la popolazione. Nel 628 presso le rovine di Ninive, l’antica capitale assira, Eraclio sconfisse e uccise l’imperatore persiano Cosroe II, mentre gli avari sarebbero stati sottomessi solo un secolo dopo da Carlo Magno. Conflitti devastanti Restava il pericolo arabo. Dopo la morte di Maometto nel 632, gli arabi realizzarono l’attacco all’impero bizantino che il profeta aveva solo avviato. Per anni gli eserciti arabi dilagarono nelle regioni imperiali distruggendo villaggi e città e catturando prigionieri. Gli stratioti cercavano di rimediare ai danni e addirittura in Cappadocia, nell’Anatolia, costruirono città rifugio sotterranee. La stessa capitale Costantinopoli dovette subire altri due assedi (nel 673 e nel 717), ma resistette grazie al fuoco greco, l’esplosivo di cui l’impero deteneva il segreto. La massacrante resistenza garantì alla fine la vittoria all’impero bizantino e l’arresto dell’espansione araba verso l’Europa orientale, ma l’impero dovette cedere gran parte dei suoi territori e si ridusse all’Asia Minore, a una parte della penisola balcanica, ai territori superstiti in Italia. Si trasformò così decisamente in un impero a forte impronta greca, con il suo centro nell’Egeo, mentre perse del tutto il controllo dei traffici mediterranei. In compenso gli scambi sia economici che culturali con gli arabi favorirono un nuovo progresso. La lotta iconoclasta Il mondo islamico influenzò la cultura bizantina a partire dalla religione. L’islam vietava di rappresentare l’immagine di Dio e una delle accuse più frequenti dei musulmani ai cristiani, che veneravano le immagini sacre di Dio, della Madonna e dei santi, era quella di esseri idolatri. Perciò molti cristiani si erano convertiti al monoteismo assoluto dell’islam. Quando salì al trono, l’imperatore Leone III (717-741), per contrastare le accuse, proibì il culto delle immagini sacre o icone e nel 726 ne ordinò la distruzione, avviando l’iconoclastia (da eikón, “immagine”, e kláo, “rompere”, quindi “distruzione delle immagini”). Fu una scelta politica di grande rilevanza. Infatti, la venerazione delle immagini era la forma di devozione più diffusa tra il popolo, che attribuiva alle icone poteri miracolosi. I monaci, che custodivano le icone, ne traevano grande prestigio e ricevevano molte donazioni. La lotta iconoclasta si inserì pertanto nel più ampio conflitto tra impero e papato avviato da Gregorio Magno e si trasformò in una vera e propria guerra civile, in cui il papa condannò come eretica la dottrina degli iconoclasti e arrivò a scomunicare Leone III. La guerra, che durò un secolo e finì quando nell’842 l’imperatore Michele III riconobbe la legittimità del culto delle immagini, sancì la separazione tra il cristianesimo d’Occidente e quello d’Oriente, tra Chiesa di Roma cattolica (G) e Chiesa greca ortodossa (G), una separazione che avrebbe portato allo scisma d’Oriente nel 1054. Glossario Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa La Chiesa di Roma pretendeva di comprendere tutti i cristiani, quindi di essere universale: katholikós deriva da hólos, “tutto intero”. La Chiesa greca invece si considerava l’unica ad aver rispettato i principi della “corretta opinione” (da orthós e dóxa), della “ortodossia” stabilita dai concili. 2.2 Gli altri imperi d’Asia (IV-VII secolo) Il periodo d’oro dell’India Dopo un periodo di divisioni e lotte intestine, tra il IV e il VI secolo in India assunse il potere la dinastia dei Gupta che avviò l’epoca classica della cultura indiana. Una potente burocrazia affiancava il potere centrale, mentre l’artigianato creava prodotti raffinati che i commerci spandevano in tutta l’Asia sudorientale. Riprendeva vigore l’induismo vedico diffuso anche per merito della fioritura della letteratura in sanscrito, l’antica lingua indoeuropea diffusa in India con l’invasione degli arii nel II millennio a.C. Ma la grande invenzione destinata a rivoluzionare la cultura mondiale fu quella dei numeri in cifre, il cui valore era determinato dalla loro posizione: mentre infatti i numeri romani erano rappresentati da lettere che avevano valore in sé, quelli indiani lo assumevano in base alla posizione: quindi i romani scrivevano MMMMCCCLV e gli indiani 4355, con sole quattro cifre in cui, ad esempio, la stessa cifra 5 assume valore diverso, di decina e di unità, in base alla posizione. La matematica se ne avvantaggiò enormemente, soprattutto quando l’invenzione passò ai persiani e, con la conquista dell’impero persiano, agli arabi che aggiunsero anche lo zero (dall’arabo sifr, “vuoto”) che sia gli indiani sia greci e romani ignoravano. Dagli arabi la conoscenza dei numeri, detti appunto “arabi”, passò al mondo intero. La Cina si apre al mondo Dopo la fine del primo impero cinese ad opera di una rivolta contadina alla fine del II secolo d.C., per quattrocento anni e un susseguirsi di regni e dinastie e di lotte interne durante il periodo definito medioevo cinese, la Cina settentrionale fu riunificata sotto la dinastia Sui (568-618) e nel VII l’impero cinese raggiunse un nuovo splendore sotto la dinastia Tang (618-907). Furono i secoli di una inedita apertura verso l’esterno: la Cina fece accordi col Giappone e l’impero bizantino di Eraclio, si aprì al commercio con l’Asia sudorientale e alle influenze straniere, come alle religioni che i mercanti vi diffondevano: buddhismo, ebraismo, islam, zoroastrismo e alcune eresie cristiane. È il periodo in cui i cinesi inventarono la stampa e la polvere da sparo, che, poi attraverso gli arabi, si sarebbero diffusi in Europa. 3. L’espansione araba 3.1 Califfi scelti (632-660) Beduini alla conquista del mondo La rapidità con cui si svolse l’espansione araba non finisce di stupire. Ma occorre tener presente che le condizioni storiche erano favorevoli e lo spirito bellicoso dei beduini, da sempre dediti a razzie e lotte tribali, ebbe sicuramente il suo peso nell’approfittare con successo dell’indebolimento dei due grandi imperi, il bizantino e il persiano, che si erano logorati a vicenda. Così bastò un numero esiguo di agili cavalieri arabi a sconfiggere spesso grandi schieramenti nemici: in Egitto, ad esempio, 3-4000 beduini sconfissero 30000 nemici. A rendere impavidi i combattenti di Allah intervennero sicuramente la certezza di ottenere con la morte immediatamente il paradiso, ma anche, molto più prosaicamente, la speranza di ricchissimi bottini. Essi tuttavia non cercavano volontariamente la morte, non combattevano per saccheggiare e non compivano atti di ferocia gratuita contro le popolazioni, perché lo vietava il Corano. Anzi si mostravano molto tolleranti perché il loro scopo era convertire all’islam gli infedeli, non massacrarli. Meglio arabi! L’impero bizantino non mostrava invece la stessa tolleranza nei confronti delle dottrine ritenute eretiche, come il diffuso monofismo (memo), e si rendeva così odioso a gran parte della popolazione. Più grave motivo di insofferenza popolare era l’intollerabile pressione fiscale che affamava le popolazioni dei due imperi, bizantino e sasanide. Il più delle volte i popoli sottomessi accoglievano come liberatori gli eserciti arabi e talvolta, senza neppure essere obbligati, si convertivano alla nuova religione. Certamente a spingerli era in qualche caso il beneficio che ne traevano, l’esenzione dal tributo imposto a chi voleva continuare a professare il proprio credo e l’accesso a incarichi nell’amministrazione. In poco più di un secolo l’islam si diffuse da est a ovest, stringendo a tenaglia da sud l’Europa, spostando definitivamente verso il centro-nord il suo asse e privandola di quel bacino mediterraneo su cui si erano fondate le sue origini. Memo Il monofismo (mónos, “solo”, e phýsis, “natura”) attribuiva a Cristo la sola natura divina ed era un’eresia diffusa soprattutto in Egitto e Siria, perseguitata dagli imperatori e pronta ad avvicinarsi all’intransigente monoteismo islamico. La difficile scelta del successore Alla morte di Maometto non fu facile decidere chi dovesse succedergli: non aveva lasciato un figlio maschio né indicazioni per la successione. Difficile scegliere il metodo da seguire: elezioni o ereditarietà. I parenti più stretti pretendevano il diritto a succedergli come eredi, in particolare il cugino di Maometto Ali, marito della figlia prediletta del profeta, Fatima, il primo ad essersi convertito subito dopo Khadijia. Ma i seguaci della prima ora, tra cui l’amico e suocero Abu Bakr, padre di Aisha, la moglie preferita da Maometto, volevano eleggere uno di loro come suo successore: ebbero la meglio e Abu Bakr divenne califfo (khalifa, “sostituto del profeta”). Le grandi conquiste (632-656) Abu Bakr (632-634) dovette subito affrontare le spinte indipendentistiche dei beduini, riprendendo l’opera di conquista appena avviata da Maometto. Nel 634 riuscì a sconfiggere le truppe bizantine poste a difesa della Siria, ma lo stesso anno morì. Gli succedette un altro compagno di Maometto, Omar (634-644) che strappò a Bisanzio la Siria (635), mentre nel 638 le truppe islamiche entravano a Gerusalemme che, già città santa per ebrei e cristiani, divenne un luogo di culto anche per i musulmani: nell’VIII secolo essi vi erigeranno la grande moschea di Omar con la cupola della Roccia. Poi gli arabi conquistarono la Mesopotamia e l’Egitto. Egitto, Siria e Palestina, culla dell’ellenismo e del cristianesimo, subirono un processo di islamizzazione che avrebbe modificato per sempre la loro identità. D’altro canto proprio la conquista di questi territori favorì l’assimilazione della cultura greco-romana da parte degli arabi. Le conquiste continuarono con il successore di Omar, Othman (644-656), che conquistò tutta la costa nordafricana fino a Tripoli in Libia, convertendo le tribù berbere, che però mantennero la propria lingua e la propria identità culturale. Nel 651 il califfo sconfisse definitivamente i sasanidi e uccise il loro ultimo re. Da quel momento l’impero persiano sparì per sempre e lo zoroastrismo fu soppiantato dall’islam. Una spaccatura storica Ma nel 656 una congiura uccise il califfo nel suo stesso palazzo, mentre leggeva il Corano. Ad animarla era stato Ali (656-660), il cugino genero di Maometto: da anni aspettava di diventare il suo successore. Ma ora il sospetto che fosse stato il mandante dell’omicidio rendeva il suo potere molto fragile. L’islam si spaccò in due fazioni, in conflitto per alcuni anni. Alla fine Ali si rifugiò in Iraq dove fondò il “partito di Ali”, la shi’a da cui deriva il termine sciiti: vi aderirono quelli che si erano convertiti durante l’egira a Medina e rifiutavano la sunna. Al contrario si definirono sunniti quelli che invece seguivano, oltre al Corano, anche la sunna: erano sostanzialmente le tribù della Mecca convertite all’islam. L’anno dopo, il 660, Ali venne ucciso. Memo o dida I berberi, un ceppo etnico di origine camita, vivevano sulla costa del Maghreb. Erano pastori nomadi, che si spostavano divisi in tribù; solo quelli che si insediarono sulla costa diventarono agricoltori sedentari. La loro lingua è la più antica del Maghreb ed è parlata ancor oggi: dal 2001 è la lingua nazionale dell’Algeria. Scheda Storia di parole Sunniti e sciiti Ancora oggi i due termini, nati dalla scissione dei seguaci di Maometto, indica una frattura nel mondo arabo. Alla maggioranza sunnita, che nel mondo rappresenta l’85% dei musulmani, si oppone una minoranza sciita, per lo più concentrata in Iran, ma presente anche in Iraq, Afghanistan, Yemen e Libano, che non riconosce legittimità ai califfi successori di Maometto, ma solo ai discendenti di Maometto e di Ali. La differenza principale riguarda il clero: i sunniti non hanno sacerdoti e ritengono che nessuno sia più vicino a Dio o riceva un’investitura da Maometto, ma chiunque conosca a sufficienza il corano può guidare la preghiera e assumere il ruolo di leader religioso; essi inoltre separano l’autorità civile cui spetta applicare la shari’a, la legge islamica, e quella religiosa, che guida i fedeli in materia di fede, (l’imam per loro è solo colui che dirige la preghiera del venerdì). Per gli sciiti il ruolo di leader deve essere ricoperto solo da un discendente del profeta, perché i sacerdoti, gli imam, costituiscono una casta, sono infallibili e sono gli unici che possano interpretare il Corano e dirigere la comunità anche politicamente, perché ne ricevono l’investitura dal profeta. Dove prevalgono gli sciiti, come in Iran, lo stato è quindi una teocrazia. 3.2 Il califfato ereditario (661-750) Gli Omayyadi (661-750) e lo stato centralizzato A diventare califfo alla morte di Ali fu il governatore della Siria Mu’awiya (661-680) che diede origine alla dinastia degli Omayyadi. Con gli Omayyadi il califfato divenne ereditario e assunse il modello dello stato centralizzato dei grandi imperi: il califfo non fu più solo il successore di Maometto, ma la massima autorità politica dell’islam con potere assoluto. Il nuovo califfo spostò la capitale a Damasco in Siria, quindi verso quel Mediterraneo che si avviava a conquistare, spostando l’asse politico dell’impero fuori dall’Arabia, ma conservando alla Mecca il primato nel culto. Damasco, che lasciava ancora spazio ai cristiani nella burocrazia, divenne multietnica, centro interreligioso, con una corte cosmopolita e caratteristiche che resteranno tipiche di tutte le grandi capitali islamiche. La grande casa dell’Islam L’impero raggiunse la sua massima espansione territoriale, venne a contatto con la progredita cultura greco-romana, la rielaborò e creò una cultura originale, che si diffuse in tutto l’impero. L’arabo divenne la lingua ufficiale; i guerrieri beduini si trasformarono in proprietari terrieri; nuove città furono fondate soprattutto dove erano stanziati gli accampamenti, nelle oasi e nei punti di incontro delle piste carovaniere. Da cultura del deserto, la civiltà araba divenne urbana, raggiungendo livelli che la nuova Europa non avrebbe toccato ancora per molto tempo. Tutti i territori conquistati divennero un’unica grande “casa dell’Islam”, dar al-Islām, con un’unica religione e un’unica lingua. La grande espansione Tra il 680 e il 720 gli Omayyadi diedero un impulso straordinario all’espansione. Gli arabi, che non contavano più di due milioni di individui, crearono in pochi anni un impero più grande di qualsiasi altro prima, con decine di milioni di abitanti. A ovest raggiunsero l’Atlantico conquistando tutta la costa settentrionale africana; nel 711 insieme a guerrieri berberi oltrepassarono lo stretto dove i greci ponevano le colonne d’Ercole, che dal loro condottiero Tariq si chiamò da allora Gibilterra (Gebel al Tariq, “Monte di Tariq”). Sottrassero quindi ai visigoti la penisola iberica, che gli arabi chiamavano al Andaluz (da Vandalusia, “terra dei vandali”, i barbari che vi si erano fermati prima di passare in Africa) e varcarono persino i Pirenei. Erano i famosi mori, come li chiamavano le popolazioni iberiche: solo nel 732 furono fermati a Poitiers dai franchi. A est penetrarono nell’Asia centrale e nel 711 raggiunsero l’Indo, dove l’islam si diffuse tra i buddhisti e tra gli indu delle caste inferiori. Si impossessarono della via della seta e i mercanti arabi dilagarono anche nell’oceano Indiano, raggiungendo le coste dell’Africa orientale e il sud-est asiatico che islamizzarono a tal punto che oggi l’Indonesia è il più grande paese islamico. Gli arabi divennero padroni del Mediterraneo che percorrevano come mercanti e come pirati: i cristiani li chiamavano saraceni (memo). Non riuscirono però, come abbiamo detto, a conquistare Costantinopoli malgrado due lunghi assedi: il primo tra il 673 e il 678, il secondo dal 717 al 718. Le inespugnabili mura resistettero, la popolazione lottò tenacemente per la propria terra, il fuoco greco, lanciato contro le navi arabe, le incendiava senza rimedio. memo Arabi saraceni Il termine saraceni deriva da Sarakenói il nome che i greci davano ad alcune tribù arabe del Sinai. Per gli arabi invece il termine sarqi, da cui saraceni, significa orientali. 3.3 Il califfato diviso (VIII secolo) La dinastia degli Abbasidi (750-1258) Alla metà dell’VIII secolo il califfato omayyade cominciò a vacillare perché le classi più agiate manifestavano malcontento per un potere eccessivamente centralistico e i nuovi convertiti si sentivano discriminati rispetto all’etnia araba; esaurita la spinta all’espansione, erano anche ripresi i conflitti tra le tribù arabe. In Persia divenne maggioritario il partito di Ali, gli sciiti, che contestavano la legittimità del potere degli omayyadi e fu il discendente di uno zio di Maometto, Abu al Abbas, sciita e affiancato da tribù iraniche, a porsi a capo dell’opposizione, a intraprendere una lotta all’ultimo sangue contro la dinastia omayyade, che dopo tre anni, ormai decimata, dovette cedere il potere a quella degli Abbasidi, che lo avrebbe mantenuto fino al 1258. L’ultima espansione Gli Abbasidi portarono a termine la conquista del Mediterraneo occupando tutte le isole maggiori, tenendo sotto scacco gli abitanti delle coste e controllando con i loro mercanti-pirati le rotte commerciali soprattutto nella parte occidentale: in quella orientale avevano ancora il predominio i commerci bizantini, a cui in breve si sarebbe aggiunta la potenza di Venezia. Proseguì anche l’espansione verso l’Asia orientale. Nel 751 lo scontro coi cinesi sul fiume Talas si risolse in una vittoria dei musulmani, ma in realtà bloccò ogni ulteriore avanzata araba. Tuttavia il contatto col mondo cinese e la cattura di prigionieri esperti nella produzione della seta e della carta permise agli arabi l’acquisizione di straordinarie conoscenze che essi diffusero poi in Occidente. Nel 762, il secondo califfo del dinastia, al Mansur (762-767), fondò sul Tigri, non lontano dalla capitale persiana Ctesifonte, la nuova città di Dar al-Salaam, “la sede della pace”, l’odierna Baghdad, dove trasferì la sede del potere: l’impero si allontanava dal Mediterraneo e si spostava verso est. La scissione con i domini occidentali si faceva inevitabile. Il califfato teocratico Fu soprattutto nell’organizzazione del vastissimo impero che gli abbasidi diedero una svolta decisiva. Salita al potere con il sostegno soprattutto dei persiani, la dinastia abbaside suddivise il territorio in emirati (simili alle satrapie dell’antico impero persiano), governate da un emiro (da amir, “capo”), con poteri politici e militari e un largo margine di autonomia dal potere centrale. Il califfo assunse la funzione sacra dell’imam, rappresentante di Allah sulla terra, e ispirandosi agli antichi sovrani orientali diede al suo potere un carattere teocratico, che lo rese sempre più distante dai sudditi. Si attorniò di alti funzionari, in genere persiani, che si occupavano dell’amministrazione, coordinati dal visir, il quale col tempo divenne sempre più potente e soppiantò la figura del califfo. Il califfato di Cordova (750-1089) I primi sintomi di una spaccatura del mondo islamico erano già evidenti quando un principe omayyade, Abd ar-Rahman, riuscì a sfuggire alla strage della sua dinastia e con un esercito di arabi siriani e berberi si rifugiò al capo opposto del Mediterraneo, in Spagna, nella regione già islamica dell’Andalusia. Qui si insediò nella città di Cordova come emiro e ben presto costituì uno stato indipendente, molto fiorente, che raggiunse livelli di grande splendore ed ebbe, come vedremo, un ruolo importante nella cultura europea. Tra l’VIII e il IX secolo si resero autonomi anche gli stati del Maghreb, l’Egitto e la Siria. Altri regni si formeranno nei secoli successivi. L’età d’oro dell’Islam Se la spinta all’espansione finì con l’esaurirsi quasi del tutto, non si esaurì invece quella al progresso e alla conoscenza. I contatti con popoli tanto diversi e di così antica civiltà, in particolar modo quella persiana, permise agli arabi, che non mostravano alcun pregiudizio e una grande apertura nei confronti delle altre culture, di dare vita a una civiltà molto evoluta, in cui l’elemento arabo perse la sua centralità per dare spazio ad altre culture e soprattutto a un sincretismo culturale originale, di cui avremo modo di parlare. Nasceva la civiltà islamica, non più solo araba, che si estendeva dalla Spagna all’Indo ed era fondata su una cultura ampia e diversificata, sulla ricerca, sull’innovazione in tutti campi del sapere, dalla filosofia alla tecnologia, dalla medicina alla matematica all’ingegneria all’arte. È il periodo che gli storici hanno definito Rinascimento per le analogie che presenta con il Rinascimento italiano del XVI secolo.