A cura della Dott.ssa Federica Pirrone, Ph.D, Ricercatore Docente di Etologia e Benessere Animale Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria Sezione di Biochimica e Fisiologia Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano Email: [email protected] IL LUPO CATTIVO NON ESISTE E COMUNQUE I CANI NON SONO LUPI MASCHERATI Un tempo si pensava che i lupi vivessero in branchi, regolati da relazioni sociali altamente competitive e controllati da una rigida coppia di tiranni, il maschio e la femmina alfa. Anche se oggi sappiamo che non è così, non tutti sembrano esserne al corrente e l’analogia secondo cui i lupi acquisiscono il controllo della prole attraverso l’aggressione costituisce una giustificazione del ricorso alla punizione fisica nell’educazione del cane. Su questa giustificazione, infatti, si fondano alcune tecniche di addestramento molto in voga, con conseguenze nefaste sia per il cane che per il compagno umano. Fino ad una decina di anni fa, gli studi sulla struttura sociale dei lupi venivano effettuati osservando gli animali in cattività, più facili da monitorare, piuttosto che quelli nei loro ambienti naturali. Questa fu la causa dell’errore (Bradshaw, 2011). La cattività, infatti, spesso costringe i lupi a vivere in gruppi non imparentati, che non hanno alcun interesse in comune, magari privi di uno o entrambi i genitori. Generalmente, questi individui non hanno la possibilità di allontanarsi, come invece farebbero se fossero liberi: in natura, infatti, i lupi di branchi diversi tendono ad evitarsi, perché se si incontrano quasi sempre finiscono per combattere, anche fino alla morte. Condizioni così artificiali e forzate inducono l’instaurarsi di relazioni basate sulla rivalità ed il conflitto, anziché sulla fiducia. Lo sviluppo di più avanzati sistemi tecnologici per il monitoraggio degli animali in natura, insieme all’inserimento dei lupi tra le specie protette, che ha consentito ai branchi di ricominciare a formarsi e crescere naturalmente, ha contribuito a far emergere la prospettiva corretta. Così si è scoperto che in natura è tutto diverso: la collaborazione sembra essere alla base del branco, e non la dominanza. I lupi sono animali molto sociali, animati da un forte desiderio di compagnia che li porta a vivere in armoniosi gruppi familiari di 6-10 individui, rappresentati da un maschio, una femmina e la loro prole. I giovani, se il cibo è sufficiente, scelgono di rimanere nel gruppo finché non sono del tutto cresciuti e, nel frattempo, aiutano nella caccia e collaborano a crescere i fratelli e le sorelle più piccoli, sorvegliandoli quando gli altri sono a caccia o portando loro il cibo. Le conclusioni errate sul comportamento del lupo, purtroppo, hanno portato con sé la formulazione di conclusioni errate anche sul comportamento del cane. Ancora oggi, molti libri e programmi televisivi sull’argomento, fondandosi sul concetto di coppia alfa, sostengono che i proprietari debbano imporre la propria “posizione alfa” sul cane, per evitare che il cane la voglia per sé, e non tengono conto, invece, del fatto che la “posizione alfa” di norma non si riferisce al rango sociale ma al ruolo parentale: in altre parole, non è propria del più forte ma spetta di diritto al genitore. Tra l’altro, per certi aspetti la struttura sociale del cane differisce apertamente da quella del lupo. Un ottimo paragone può essere effettuato con i cosiddetti “cani di villaggio”, ossia quelli che vivono ai bordi dei nuclei abitati, frugano tra i rifiuti ed eventualmente chiedono cibo all’uomo, dal quale però rimangono indipendenti pur non temendolo, sempre che da quest’ultimo non vengono perseguitati, ovviamente. I cani in natura si raccolgono in gruppi familiari più piccoli e molto meno uniti di quelli dei lupi: l’unico legame davvero forte è quello tra la madre e i piccoli non ancora autonomi e i giovani figli, crescendo, condividono il territorio con i genitori ma non li aiutano ad allevare la nuova cucciolata. Si procurano il cibo da soli, anche perché mancano prede talmente grandi da richiedere di essere cacciate insieme, quindi è fuorviante considerare questi gruppi al pari dei branchi di lupi. Nonostante le due specie condividano il 99.96% del codice genetico, poi, esistono numerose altre differenze nel loro comportamento. I cani raggiungono la maturità in anticipo rispetto ai lupi e sono fertili per tutto l’anno, mentre i lupi lo sono soltanto in inverno, in modo che i cuccioli nascano in primavera. I cani sono molto meno taciturni dei lupi e sono naturalmente molto più socievoli sia nei confronti di altri individui della stessa specie, anche se non imparentati ed esteticamente molto diversi (pensiamo all’enorme varietà d’aspetto di cani appartenenti a razze diverse), sia nei confronti di individui di specie diversa, come la nostra. Non a caso, rispetto ai lupi hanno una capacità notevolmente maggiore di legarsi all’uomo e questa affabilità, che deve essere stata una molla essenziale del processo di addomesticamento, è una qualità innata indipendente all’addestramento, contrariamente a quanto ancora sostengono gli esperti non aggiornati. Non esiste alcuna prova scientifica che il cane sia sempre pronto ad assumere il comando del gruppo o sia continuamente impegnato a stabilire una gerarchia di dominanza nei confronti del partner sociale, canino o umano che sia. Anzi, presenta una struttura sociale molto collaborativa e tollerante. Non a caso, studi scientifici effettuati sui padroni hanno rivelato che i cani addestrati con le punizioni tendono ad essere meno obbedienti, più spaventati e più ansiosi di quelli educati con le ricompense. Insomma, i cani non sono lupi mascherati, su cui l’uomo di casa deve costantemente esercitare il proprio controllo per mantenere il ruolo di “capo”. Al massimo, possono essere considerati lupi non cresciuti: il loro sviluppo comportamentale si ferma presto, in corrispondenza della fase giovanile del lupo, così anche quando sono adulti, ossia capaci di riprodursi, sotto certi aspetti rimangono immaturi. Questo giustifica il fatto che i cani, a differenza di altri animali, continuano a giocare anche da adulti e spiega chiaramente perché dipendono dai loro amici umani - che secondo il modello di gruppo familiare non è poi tanto sbagliato chiamare “genitori”- per tutta la vita. Nota: John Bradshaw, La naturale superiorità del cane sull’uomo (Rizzoli) 2011