LA GRAN BRETAGNA E LA RESISTENZA EUROPEA (*) Sebbene

LA GRAN BRETAGNA E LA RESISTENZA EUROPEA (*)
« Ho sempre avuto orrore di fomentare la rivoluzione
m un paese per uno scopo politico. Ho sempre detto :
se insorgono per loro conto, bene; ma non incitateli
a farlo. E ’ una responsabilità spaventosa ».
Il Duca di Wellington
Sebbene la condotta di una guerra sovversiva da parte degli
Inglesi non sia stata oggetto di decisione ufficiale del Governo fino
all’estate del 1940, negli anni immediatamente precedenti lo scoppio della seconda guerra mondiale ci fu una serie di movimenti,
non coordinati, intrapresi, in particolare, da singoli membri delle
tre Forze Armate britanniche, allo scopo di esaminare le possibilità
di un’azione del genere nel caso di un conflitto europeo. Anche se
questi primi tentativi di studiare il problema furono poi superati
dalle esperienze storiche degli anni di guerra, tuttavia vale la pena
di esaminarli, non fosse che per mettere in evidenza quale fu, nelle
sue linee essenziali, il modo col quale quegli ambienti considera­
rono la questione. L’idea, nel suo complesso, di una guerriglia
contro un nemico continentale non è mai stata, su un piano storico,
oggetto di esame da parte dei Comandi ufficiali delle Forze Britanni­
che. Le improvvisazioni fantasiose del colonnello Lawrence nel
Deserto Arabico durante la prima guerra mondiale non portarono
ad uno studio approfondito dei problemi inerenti all’arruolamento
di forze irregolari contro una potenza nemica nel suo proprio terri­
torio. Il fatto stesso che le attività di Lawrence condussero ineso­
rabilmente ad una penosa confusione nell’assestamento post-bellico
del Medio Oriente probabilmente suonò ammonimento e funzionò
come insegnamento' negativo.
Per tradizione, gli Inglesi si sono sempre accostati ai problemi
della guerra in termini empirici, escludendo implicitamente di ri­
cavare principi politici dalla condotta immediata delle ostilità; e le
conseguenze delle campagne di Lawrence nel Deserto — a prescin­
dere dalle inevitabili discussioni sulla loro portata puramente mili(*) Testo integrale della relazione presentata al Congresso internazionale di Storia
della Resistenza Europea (Milano, marzo 1961).
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Prof. Deakin
tare — procurarono, se mai, alla mentalità militare tradizionale
prove valide a tutto sfavore di una rivoluzione di questo genere
inquadrata in una concezione strategica. Quella di Lawrence diventò esclusivamente una leggenda letteraria ed eroica, senza ripercussioni nel futuro sulla condotta delle operazioni militari.
La ribellione di Dublino del 1916 ed i conseguenti moti in
Irlanda hanno forse, alla loro volta, fornito altre lezioni storiche a
proposito della tecnica della repressione con il ricorso alla tattica
dei ribelli; ma i problemi dell’occupazione violenta di un territorio
britannico produssero inevitabilmente, date le condizioni, come nel
caso della guerra dei Boeri, un profondo complesso psicologico di
colpa nei circoli politici, complesso che sembrò escludere il problema
tecnico dello studio, da parte dei Comandi, della guerra irregolare
con riferimento a quei due episodi storici. Si potrebbe quasi dire
che, da parte degli storici, ci fu a questo proposito una deliberata
reticenza circa i rapporti fra politica e guerra.
Durante gli anni 1914-1918, a parte l’epica lawrenciana, si
potrebbe dire a buon diritto che in nessuna occasione gli Inglesi pre­
sero in considerazione piani di sovvertimento o di sabotaggio sul
continente europeo, sia sul territorio dell’Impero germanico che
nelle regioni occupate dagli eserciti tedesco o austro-ungarico. Solo
in una direzione ci si occupò di minare le posizioni nemiche altri­
menti che con le concezioni militari ortodosse, e ciò avvenne nel
campo della propaganda riguardante gli scopi di guerra delle po­
tenze in conflitto. Queste attività, che furono concentrate a Crewe
House, segnano un punto di partenza originale e discusso in questo
campo piuttosto ristretto.
Parlando in generale, fu sulle basi di questa esperienza limitata
e periferica che, verso la fine del decennio 1930-1940, un certo nu­
mero di ufficiali regolari e relativamente subalterni, impiegati a
Londra presso i Ministeri delle tre Forze Armate, rivolsero la loro
attenzione sulle possibilità di azione in quella che, da un punto di
vista ufficiale, costituiva la sfera non accettata delle attività sovver­
sive irregolari contro un nemico, in caso di guerra futura. Il primo
passo fu di creare, in seno al Ministero della Guerra, durante l’aprile
1938, una sezione dedicata allo studio delle possibilità di sabotaggio
nella Germania di Hitler, nell’eventualità di uno scoppio di ostilità,
e allo sviluppo della propaganda nei paesi nemici, sulle basi, in linea
generale, dell’esperienza fatta alla Crewe House durante il primo
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
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conflitto mondiale. Non ci sono prove che sia stata prestata atten­
zione particolare all’esperienza di Lawrence nel Deserto, mentre,
per quanto riguarda l’Irlanda, è forse significativo il fatto che il pri­
mo tentativo di relazione scritta sulla tattica della guerriglia fu
intitolato: « Lo sviluppo della combinazione della guerriglia con la
tattica deiriRA »; e questa relazione fu fatta circolare nel 1939
come documento segreto. L’accresciuto pericolo di uno scoppio delle
ostilità in Europa dopo Monaco indusse a prendere in considera­
zione, ad un simile livello, un coordinamento fra la Gran Bretagna
e quegli alleati eventuali che essa avrebbe potuto trovare sul conti­
nente nel conflitto incombente con la Germania nazista.
Nei mesi che precedettero l’aggressione tedesca alla Polonia del
settembre 1939, fu compiuta una serie di sforzi, modesti ma corag­
giosi, per stabilire comunicazioni in Polonia, Cecoslovacchia e
Francia nell’eventualità di una guerra, presumendo pessimistica­
mente ma realisticamente che, in caso di una lotta di maggiori pro­
porzioni, quelle nazioni sarebbero state travolte. Ai primi di giugno
del 1939 si tennero discussioni sul sabotaggio dei mezzi di comuni­
cazione con i servizi francesi e vennero costituiti in Francia piccoli
depositi di armi e di equipaggiamenti. La stessa sezione speciale
del Ministero della Guerra stabilì, al medesimo scopo, quella che
diventò poi nota come la Missione Militare n. 1 in Polonia. Qual­
siasi altro progetto fu concentrato esclusivamente sulle possibilità,
in sé nuove per la mentalità ufficiale britannica, di sabotare i rifor­
nimenti vitali per lo sforzo bellico tedesco. In primo luogo questi
piani si occuparono particolarmente del minerale di ferro svedese,
del petrolio rumeno e dei mezzi di navigazione sul Danubio. Queste
prime attività, ardite ma in certo qual modo dilettantesche, trove­
ranno il loro posto in un resoconto definitivo delle operazioni di
questo tipo durante i primi mesi della « strana guerra ». Ad ogni
modo esse furono progettate come operazioni puramente tecniche,
senza alcuna riposta intenzione politica. I tentativi di mantenere
qualche comunicazione-radio con la Polonia e con la Cecoslovacchia,
come pure quelli di effettuare sabotaggi in Scandinavia e nei Balcani
si rivelarono infruttuosi; sarebbe però errato sottovalutare il valore
storico di quell’esperienza e degli insegnamenti che se ne ricavarono.
Comunque, al tempo dell’attacco tedesco alla Francia, nell’estate
del 1940, questi primi sforzi erano già stati annullati senza che
lasciassero alcuna traccia visibile: ben presto1, dopo Dunquerque,
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Prof. Deakin
emerse la triste realtà che gli Inglesi avevano perduto ogni contatto
col continente europeo.
Nei giorni immediatamente seguenti il collasso della Francia,
per la prima volta, a livello governativo, furono prese in considera­
zione e discusse le possibilità di ristabilire i contatti interrotti con
l’Europa occupata, in appoggio al nostro sforzo bellico- contro la
Germania; precisamente in quel momento ha inizio la storia del ten­
tativo britannico di organizzare una resistenza in Europa. Nel
maggib 1940 Sir Winston Churchill era diventato Primo Ministro e
Ministro della Difesa, e in questa sua seconda veste egli fu direttamente responsabile di tutti gli aspetti della condotta della guerra.
Dietro sue istruzioni fu costituito un comitato allo scopo di « coordi­
nare tutte le azioni di sovvertimento e sabotaggio contro il nemico
d’oltremare ». Il rapporto steso su queste istruzioni fu opera di Ne­
ville Chamberlain. A livello del Gabinetto fu deciso di creare uno
speciale comitato allo scopo di studiare e svolgere queste attività.
Il 16 luglio 1940 il compito di attuare questa missione fu affidato
al leader socialista Hugh Dalton, allora a capo del Ministero
della Guerra Economica, di -recente formazione, che già si occupava
di studiare l’intero problema della lotta fra la Gran Bretagna e la
Germania in vista del controllo sui materiali bellici di vitale im­
portanza strategica. Come ebbe a dire Sir Winston Churchill a
Dalton, il suo dicastero era destinato ed essere il « Ministero della
Guerra ’’ungentlemanly” », il cui compito era, sempre nelle parole
di Churchill, di « mettere in fiamme l’Europa ».
Un’organizzazione segreta chiamata S p e c ia l O p era tio n s E x e ­
c u tiv e (SOE) diventò una sezione clandestina del Ministero della
Guerra Economica, tenuta però a rendere conto del suo operato, in
definitiva e direttamente, ai Capi di Stato Maggiore.
Dalton intraprese con tenace entusiasmo questo genere di atti­
vità sino a quel momento pressoché inesplorato. In una relazione
diretta, nell’ottobre 1940, al Gabinetto di Guerra, con il titolo di
« La Quarta Arma », egli diede una definizione provvisoria del
ruolo di questa nuova branca che aveva subito assorbito la originaria
sezione speciale del Ministero della Guerra, creata nel 1938 e com­
prendente allora un nucleo bene addestrato di 50 ufficiali, sezione
alla quale spetta il merito- di aver svolto un’attività, per così dire,
pionieristica, per nulla trascurabile.
« I Tedeschi hanno dimostrato che in guerra si possono otte­
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
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nere dei successi in larga misura con il ’’sovvertimento” , e con questo
termine io intendo riferirmi non solo alla propaganda, ma anche alle
attività sovversive nel senso più ampio... Il ” sovvertimento ” , io
penso, è un elemento essenziale in ogni azione offensiva su larga
scala, p e r co n tra (i) esso è di poco o nessun valore quando la strategia
fondamentale è difensiva... Se vogliamo vincere la guerra dovremo,
a questo o quello stadio del conflitto, passare all’offensiva sul continente. E’ probabile che i piani delle forze combattenti riceveranno
un appoggio materiale molto considerevole se fin d ’ ora l’azione di
” sovvertimento ” sarà pianificata su scala molto diffusa ».
La storia dei futuri rapporti clandestini inglesi in Europa, nel
senso operativo, coincide con quella dell’organizzazione SOE.
Talvolta, e forse troppo spesso-, si dimentica di che vastità sia stato
il suo compito e, date le circostanze, nel 1940, quanto grande la
povertà delle sue risorse e, pur ferma restando la dedizione entu­
siastica dei suoi funzionari, come totale fosse la mancanza di espe­
rienze precedenti sulle quali regolarsi. Inoltre i mezzi di comunica­
zione di cui disponeva la Gran Bretagna nella guerra contro la
Germania, erano già sfruttati al limite massimo del rischio, per cui,
a quei tempi, ben poco o nullo era l’equipaggiamento del quale si
poteva disporre per nuove avventure, per modeste che fossero nei
loro scopi. Proprio in questa situazione di profonda crisi militare
Londra diventò non solo l’unica capitale di una potenza belligerante
in lotta da sola contro la Germania nazista e l’Italia fascista, ma
anche il rifugio di quei sovrani e governi in esilio che, sul conti­
nente, si erano sottratti alla cattura da parte dei Tedeschi. La
natura e la composizione di questi gruppi in esilio non solo influen­
zarono, inevitabilmente e logicamente, i punti di vista britannici
nei confronti di un incoraggiamento alla resistenza nell’Europa oc­
cupata, ma anche introdussero nella strategia sovversiva, almeno
in un primo tempo, un elemento politico, tradizionalmente estraneo
e sgradito alle concezioni belliche inglesi. La presenza arbitraria e
fortuita di quei governi in esilio allora su suolo britannico determinò
convenzioni precise ed ufficiali nonché obblighi morali con i sovrani
ed i governi rifugiati.
Le istanze politiche che questa situazione venne a creare fu­
rono implicitamente rimandate per ragioni sia di tendenza fondamentale che pratiche : nel primo caso, perchè gli Inglesi, d’abitudine,
(1) Sic nel testo (N. d. T .).
Prof. Deakin
avevano sempre evitato le interferenze politiche nella condotta della
guerra, e nel secondo caso, perchè doveva passare un ben lungo e
logorante tempo prima che si potesse sensatamente considerare in
termini strategici la prospettiva di una liberazione dell’Europa.
Fra l’estate del 1940 e l’anno seguente il Gabinetto inglese
dovette sviluppare, sia pure in termini provvisori, i suoi rapporti con
i sovrani e con i capi politici fuggiti dalla Norvegia, dall’Olanda,
dalla Jugoslavia e dalla Grecia e riconoscere come « Governi in
esilio « i Polacchi, i Cecoslovacchi, i Lussemburghesi ed i Belgi e,
significativo, forse fra tutti, lo stato provvisorio del generale de
Gaulle e dei Francesi Liberi. I problemi originanti da questa complessa situazione erano destinati a costituire una limitazione paraliz­
zante alle future attività del SOE nei paesi interessati.
Fu inoltre logico' ed inevitabile che, quando derivassero conse­
guenze politiche dalle attività sovversive destinate a svilupparsi sotto
gli auspici britannici in questi paesi, esse dovessero rientrare nelle
competenze del Foreign Office; e col progredire della guerra le diffe­
renze di punti di vista fra quest’ultimo e il SOE vennero ad assume­
re una parte sempre più importante nel quadro di questa particolare
situazione. Il generale clima storico' non era sconosciuto: la Gran
Bretagna non era solamente l’unica potenza ancora in lotta con la
Germania nazista — e quindi, a dirla in breve, ogni resistenza a
Hitler in Europa dipendeva dalla sopravvivenza dell’Inghilterra
come potenza combattente — ma essa era anche rifugio ed aiuto
delle forze che governavano in Europa nel 1939 con le quali la
Gran Bretagna aveva preso impegni formali di ristabilirle nei loro
paesi al momento, per quanto ancora al di là di ogni previsione,
della vittoria finale. Perciò i suoi obblighi a lunga scadenza erano
quelli di una restaurazione legittimistica piuttosto che di una rivo­
luzione politica. In quei primi tempi era difficile, o addirittura
impossibile, prevedere che in alcuni, se non in molti casi, quegli
elementi e gruppi che avevano trovato asilo in Gran Bretagna, o
per il loro passato politico o in conseguenza dell’occupazione tede­
sca, erano destinati a perdere, sia pure in misura diversa, l’obbe­
dienza e l’appoggio dei loro popoli. Ma poche di queste compli­
cazioni erano prevedibili negli oscuri giorni del 1940-41, quando
l’interesse e la preoccupazione erano concentrati, giustamente ed
esclusivamente, sulla sopravvivenza dell’Inghilterra.
In origine l’intento evidente del SOE fu di organizzare con
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
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assoluta priorità il sabotaggio dello sforzo bellico tedesco e, solo in
seconda istanza, di incoraggiare manifestazioni sovversive nell’Eu­
ropa occupata, con la quale, del resto, erano perduti tutti i contatti.
Nei primi giorni il SOE iniziò le sue attività con personale in via
di addestramento — agenti, operatori-radio — tratto non solo dalle
Forze Armate, ma anche dalle rappresentanze delle forze alleate in
esilio su suolo britannico, in particolare polacchi e francesi. A questi
uomini, che furono i precursori entusiasti della liberazione, sarebbe
stato superfluo precisare che il loro primo compito, stabilendo co­
municazioni nell’Europa occupata e raccogliendo informazioni sui
movimenti nemici, era di indebolire lo sforzo bellico tedesco, con
esclusione, almeno temporaneamente, di qualsiasi preoccupazione o
considerazione di natura politica. In quei primi tempi della guerra
le Isole Britanniche erano non solo l’ultima difesa del mondo libero
ma anche la base futura per la liberazione dell’Europa; e un’opera
simile non poteva nemmeno essere iniziata senza la creazione, nel
territorio occupato dal nemico, di una complessa e vasta rete anzi­
tutto di informazioni militari. Le complicazioni politiche che do­
vevano seguire ed accompagnare l’estendersi di tali attività risul­
tarono evidenti solo quando le prime missioni britanniche ed alleate
del SOE vennero, dopo molti sforzi ardimentosi e molte frustra­
zioni e delusioni, in contatto con i gruppi della Resistenza che an­
davano prendendo forma spontaneamente nelle tenebre inesplora­
bili dell’Europa occupata dall’Asse.
Le prime due operazioni fortunate del SOE furono condotte
agli inizi del 1941: un gruppo fu paracadutato in Polonia ed un
secondo nella Francia settentrionale per sabotare un aeroporto te­
desco. Condizione e limitazione fondamentale in questo primo sta­
dio delle attività del SOE era che il contatto col continente poteva
essere stabilito solo a mezzo di sottomarino o di aereo. Talvolta si
dimentica che le restrizioni o la mancanza di equipaggiamento a
disposizione dello Stato Maggiore britannico erano tali che, fra il
1940 e il 1941, il SOE ebbe permanentemente ai suoi ordini due
soli bombardieri Liberator riattati. Tutti i sottomarini disponibili
erano costantemente in azione nella battaglia-chiave per i convogli
nell’Atlantico e nel Mediterraneo (per tacere della minaccia giap­
ponese nell’Oceano Indiano); quanto all’aviazione inglese, stava
combattendo una disperata battaglia difensiva per la sua stessa so­
pravvivenza. Quando si tenga presente questa realtà tirannica, di­
IO
Prof. Deakin
venta ozioso criticare la portata delle Operazioni Speciali durante
questo periodo.
In verità fino ai primi giorni del 1941 l’unico punto di con'
tatto fisico fra gli eserciti inglesi ed il nemico fu sul fronte libico,
nell’Africa settentrionale; ma, con lo sbarco alleato in Grecia ed
il colpo di stato di Belgrado, dell’aprile 1941, la breve ripresa di
contatto sul continente europeo accrebbe le possibilità di azione.
I due paesi erano stati teatro di attività sovversive appena abboZ'
zate e piuttosto sperimentali da parte prima della sezione speciale
del Ministero della Guerra e poi del SOE, inizialmente in vista del
sabotaggio contro la navigazione danubiana e nei porti di Salonicco
e del Pireo, attraverso i quali affluivano i rifornimenti vitali agli
eserciti dell’Asse nell’Africa settentrionale. E inoltre agenti del
SOE svolsero una parte nei preparativi confusi della cospirazione
contro il Governo jugoslavo, che verso la fine di marzo del 1941
stava per firmare il Patto dell’Asse. Questo fu in un certo senso il
primo esperimento p o litico , in verità isolato, della nuova organiz­
zazione. In Grecia l’attenzione era concentrata sullo smantellamento, ad esempio, dei porti e delle difese di Salonicco nel 1941,
e sul tentativo, poi fallito, di bloccare il Canale di Corinto.
Con la definitiva occupazione tedesca dei Balcani, antecedente
all’attacco' su larga scala contro l’Unione Sovietica, la cortina cadde
di nuovo sull’Europa sud-orientale. Ma questa volta furono man­
tenuti almeno i rudimentali elementi di un contatto e in ambedue i
casi si intravvide per la prima volta, nei suoi tratti generali, uno
stato di confusione politica. Questa apparve evidente anzitutto nel
caso della Grecia. Contatti-radio più o meno regolari erano stati
stabiliti fin dalla fine del 1941 fra Atene ed il Cairo con un’unica
apparecchiatura; e così si ebbero rapporti sul movimento delle navi
nel Pireo e resoconti sui sabotaggi. Il re di Grecia, insieme con
alcuni uomini politici monarchici, era stato evacuato al Cairo;
i primi segni di dissenso fra questo gruppo ed elementi interni
della Grecia occupata apparvero anche troppo evidenti fin dal prin­
cipio. La confusione non si limitò solo alla parte greca; le respon­
sabilità coincidenti dei rappresentanti locali del Ministero degli
Esteri, del Quartier Generale britannico del Cairo e del SOE com­
plicarono ancor di più il quadro. Invano furono fatti dei tentativi
per affrontare il problema con direttive scritte, fra le quali la co­
municazione originale del SOE dice che era « compito di questa
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
il
organizzazione svolgere ogni azione possibile per danneggiare i
Tedeschi e gli Italiani in Grecia incitandovi la resistenza ». Questa
comunicazione fu rimaneggiata ai primi del 1942 in modo da suonate come segue: « E’ interesse del SOE promuovere l’unità ab
l’interno della Grecia allo scopo di resistere alle forze occupanti e
stimolare la ribellione. La Grecia come sarà a guerra finita non ci
riguarda ». Le intenzioni definitive furono poi espresse nel senso
che l’interessamento delle autorità militari britanniche doveva essere diretto particolarmente a qualsiasi attività clandestina si svi­
luppasse sul territorio ellenico.
In Jugoslavia il quadro si presentava, per il momento, più
semplice. Agenti del SOE erano stati in contatto con elementi con­
trari alla collaborazione con i Tedeschi al tempo del colpo di stato
dell’aprile 1941, ed era logico, su un piano storico, attendersi che la
resistenza sarebbe venuta dagli elementi serbo-monarchici, come del
resto sembrava garantire l’esperienza della Prima Guerra Mondiale,
durante la quale si era offerto l’esempio noto ed incoraggiante di un
governo serbo in esilio con in più il nucleo di un esercito quasi
intatto dopo la spaventosa ritirata attraverso l’Albania, alla fine del
1914. C’era dunque qualche tenue speranza che la resistenza jugo­
slava avrebbe finito col seguire nelle sue linee generali quel prece­
dente storico-; in realtà pare che alcuni progetti del SOE abbiano
implicitamente contemplato, anche se non espresso categoricamente,
la prospettiva che il corso della guerra portasse ad uno sbarco alleato
in grandi forze nei Balcani, come era accaduto nella Grecia setten­
trionale e in Macedonia durante la Prima Guerra Mondiale.
Alla fine del 1941 una missione inglese era stata sbarcata da
un sottomarino sulle coste della Dalmazia e messa in contatto con un
colonnello serbo che operava sulle montagne della Serbia insieme ad
un gruppo composto di ufficiali e sottufficiali dell’esercito regolare,
sfuggiti all’internamento tedesco. Questa sembrò dover essere la
linea ideale della resistenza jugoslava, passibile, e tradizionalmente
e storicamente, di utili svolgimenti. Sulla base di messaggi-radio
di questo personaggio la leggenda eroica del colonnello Mihailovic
fu deliberatamente e, a quanto sembrò allora, legittimamente cor­
roborata e sostenuta dal SOE, e Mihailovic venne descritto come
il primo capo della resistenza apparso sul continente europeo. Allo
scopo furono sfruttati i servizi della BBC. Fra la fine del 1941 e
l’inizio del 1942 un accidente sfortunato, uno dei molti degli anni
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Pro/. Deakin
di guerra, portò all’interruzione delle comunicazioni'radio con la
missione britannica sbarcata nel paese, e Tunica apparecchiatura
rimasta in funzione fu quella azionata dallo stesso Mihailovic.
L’esperimento di sbancare alcune altre missioni britanniche « eieche », cioè non precedute dalla dovuta preparazione, finì con un
fallimento, e, così, di fatto, andò perduto ogni contatto anche con
la Jugoslavia.
L’attacco tedesco alla Russia modificò tutta la situazione nei
confronti della guerra clandestina in Europa e, sebbene in un primo
tempo ciò non risultasse evidente a chi organizzava operazioni se'
grete dalla Gran Bretagna, la comparsa dell’Unione Sovietica come
belligerante di primo piano trasformò inevitabilmente l’intero qua'
dro della situazione. I Russi avevano di queste operazioni una
concezione coerente e del tutto opposta a quella britannica. La
guerra irregolare costituiva un elemento fondamentale della teoria
sovietica della guerra. Come ebbe a dire Stalin nel suo primo ordine
del giorno: « La lotta contro la Germania non deve essere consi'
derata alla stregua di una comune guerra. Essa non è solamente un
conflitto fra due eserciti... Per impegnare il nemico, bande di parti'
giani e sabotatori devono operare clandestinamente dovunque,
facendo saltare ponti, distruggendo strade, telefoni, telegrafi e incendiando depositi e foreste. Nei territori occupati bisogna rendere
la vita impossibile al nemico, metterlo nella condizione di non poter
resistere... Coloro che lo aiutano saranno puniti e messi a morte.
Sabotaggio a tutte le organizzazioni nemiche! »
Entro poche ore dall’attacco germanico il Comintern inviò a
tutti i partiti comunisti d’Europa istruzioni telegrafiche di innalzare
la bandiera della rivolta contro le forze fasciste d’occupazione. Già,
del resto, nel 1928, in una risoluzione del Cominform, era stato
precisato essere dovere di ogni partito comunista « trasformare una
guerra imperialistica in una guerra del proletariato contro la bor'
ghesia », e anche accorrere in aiuto dell’Unione Sovietica, nel caso
essa venisse attaccata. E in quel frangente, per esempio, istruzioni
in questo senso raggiunsero il Partito Comunista Jugoslavo il giorno
stesso delTaggressione tedesca, e in un successivo messaggio, di dieci
giorni dopo, esso fu invitato « ad organizzare bande armate senza
perdere un minuto e a scatenare la guerra partigiana alle spalle del
nemico ». Ben poche erano le probabilità pratiche di poter stabilire
un contatto fisico fra 1 Russi e questi gruppi partigiani dell’Europa
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
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occupata, salvo che nelle zone della stessa Unione Sovietica che
caddero sotto il controllo germanico nei mesi successivi. E, in effetti,
durante tutto il corso* della guerra i Russi fecero solo dei piccoli
tentativi di creare un’organizzazione del genere. Però sulla scena
europea fu, per cosi dire, proiettata una nuova immagine di guerra*:
la lotta contro l’occupante fascista fu nello stesso tempo una lotta
per la* conquista del potere politico. La guerra partigiana contro i
Tedeschi e gli Italiani doveva essere solo il primo stadio di una
guerra civile internazionale. A mano a mano che, secondo linee
diverse, nasceva in tutta l’Europa, più o meno spontaneamente, un
movimento di resistenza, non diretto e non controllato in realtà
né da Londra né da Mosca — divenute ormai le due opposte ca­
pitali simboliche della* Resistenza europea — un elemento di lotta
civile investì a poco a poco il quadro intero del conflitto. L’atteg­
giamento* degli Inglesi di fronte a questi sviluppi non è difficile da
definire. In generale le attività del SOE erano strettamente dirette
dagli Stati Maggiori britannici; però in tutti i casi in cui insorgevano
complicazioni politiche come risultato del tentativo di mettere in
atto direttive militari, la linea di condotta finì con l’essere control­
lata, in ultima analisi, dal Foreign Office. Mai il SOE fu un’orga­
nizzazione indipendente che conduceva la propria guerra, anche se
in alcuni casi si potè forse creare, ma solo temporaneamente, un’im­
pressione del genere.
Perciò il corso delle operazioni del SOE in Europa è stretta­
mente legato allo sviluppo della* strategia britannica e, dopo l’entrata
in guerra degli Stati Uniti d’America, nel dicembre 1941, della
strategia militare anglo-americana. Il breve spazio di questa memo­
ria non consente di fare il dovuto posto allo svolgimento di queste
operazioni, regione per regione; tuttavia il quadro nel suo insieme
presenta una sua intima coerenza. La forma e la natura dell’aiuto
britannico alla Resistenza europea variò fondamentalmente da paese
a paese, in dipendenza, anzitutto, dei fattori geografici e strategici.
Le considerazioni politiche, fin quasi forse agli ultimi mesi di
guerra, costituirono, durante tutto il corso delle ostilità, un fattore
di* secondaria importanza.
Un riassunto di queste operazioni del SOE si può dividere
storicamente in tre parti: la prima, della quale ho trattato troppo
sommariamente, comprende il periodo che va dallo scoppio del
conflitto, nel settembre 1939, all’attacco tedesco alla Russia, del
i4
Prof. Deakin
giugno 1941. La seconda è connessa con la lotta combattuta per
riconquistare l’iniziativa strategica su tutti i fronti della guerra, il
che avvenne, da parte di tutti e tre gli alleati, dopo El Alamein,
gli sbarchi nell’Africa settentrionale e Stalingrado. Il terzo periodo,
che giunge fino al giugno 1944, è dominato dallo sforzo di tutti e
tre gli Alleati per distruggere la macchina bellica dei Tedeschi e
degli Italiani, facendo convergere attacchi sempre più massicci sul
continente europeo. E infine l’ultima fase è contrassegnata in tutta
l’Europa dai problemi creati dalla liberazione dei singoli paesi, l’uno
dopo l’altro, dall’occupazione nemica.
Il compito del SOE in Europa, dalla fine del 1942 all’autunno
1943, fu interamente condizionato dai piani strategici, al massimo
livello, degli Stati Maggiori britannico ed americano. Era logico che
la maggior attenzione venisse concentrata sull’Europa occidentale,
a preparazione di un eventuale intervento massiccio degli Alleati in
quelle regioni.
La Francia suggerì sin dagli inizi considerazioni di diretto in­
teresse strategico: il suo territorio metropolitano era aperto alla
penetrazione di gruppi di agenti, francesi ed inglesi, per via mare
e per via aria. Subito, dal principio, si dovettero progettare opera­
zioni in questo campo, perchè ogni contatto era venuto meno nel­
l’estate 1940; d’altra parte la situazione giuridica particolare del
Governo di Vichy, fino al novembre 1942, faceva pensare che a sud
della linea di demarcazione, il territorio francese fosse, in un certo
senso, anche politicamente accessibile. Durante i primi due anni di
guerra furono aperti molteplici canali di comunicazione tra la Fran­
cia e la Gran Bretagna: di qui, come conseguenza naturale, confu­
sione di autorità e mancanza di un controllo coordinato. Il SOE non
esercitava nessun monopolio su queste azioni, anzi, le sue attività
nella zona non-occupata, fino agli sbarchi « Torcia », si limitarono
all’azione preparatoria, ad opera dei suoi agenti, per creare un’orga­
nizzazione a più lunga scadenza. Durante tutto questo periodo
furono seguite le istruzioni generali emanate nell’agosto 1940.
« Fino a nuove disposizioni in senso contrario il Governo di Sua
Maestà considera sfavorevolmente qualsiasi atto di aggressione da
parte di sudditi o truppe inglesi contro persone o obbiettivi della
Francia non-occupata ».
Non è questa la sede adatta per discutere particolareggiata­
mente il meccanismo vitale dei collegamenti fra i Francesi Liberi
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
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e il SOE ed i contrasti agrodolci che si verificarono fra le due orga­
nizzazioni. Durante i primi quattro anni (1941-1944) le attività di
questi due corpi si svolsero in compartimenti stagni. Da parte bri­
tannica furono reclutati, sia tra francesi che tra inglesi, agenti da
impiegare in colpi di mano, radio-operatori, agenti del servizio se­
greto, le cui attività erano direttamente subordinate alla Sezione
Francese del SOE di Londra. Questi uomini e queste donne furono
piuttosto legati all’Inghilterra che alla Francia Libera. Il tentativo
di creare una sezione gollista del SOE fallì sin dagli inizi, e così
pure l’idea di de Gaulle di formare un movimento di Resistenza
distinto e completamente sotto la sua autorità e il suo controllo
non riuscì a concretarsi, ed il generale si decise ad appoggiarsi sugli
eventuali capi nazionali della Resistenza in territorio francese, con i
quali egli sperava e contava di cooperare al momento opportuno.
Il suo atteggiamento fondamentale, ostinatamente ma in verità
patriotticamente conservato, fu quello di evitare, nei limiti del pos­
sibile, la supervisione inglese sui suoi legami con la Francia occupata.
Talvolta delusioni amare da ambo le parti rischiarono di condurre
quasi ad una rottura di rapporti, soprattutto nei mesi precedenti la
preparazione degli sbarchi nell’Africa settentrionale. Infatti, da una
parte lo Stato Maggiore inglese impose il ruolo coordinatore del SOE
nei confronti di tutte le attività del genere, e dall’altra parte il
successo* dell’Operazione « Torcia » accentuò moltissimo l’impor­
tanza militare della Resistenza in Francia, grazie alle speranze ormai
concrete di una vittoriosa invasione della Francia e dell’Europa
occidentale da parte degli Alleati. A complicare il quadro, la fusione
dei piani anglo-americani in vista di un’operazione di così grande
importanza, portò all’estensione all’Europa delle competenze del­
l’Ufficio Americano dei Servizi Strategici, estensione che pose così
fine al controllo esclusivo del SOE nel teatro occidentale della
guerra.
Il ruolo britannico in questa situazione fu soprattutto tecnico;
senza aviazione, senza i piccoli navigli della Marina, senza armi e
depositi di rifornimenti non si poteva stabilire nessun collegamento
tra Gran Bretagna e Francia, La tattica del SOE fu di reclutare
singoli agenti per precisi compiti di informazione e di sabotaggio e
per evitare, nei limiti del possibile, le tendenze centralizzatrici e
dei gruppi della Resistenza, che cominciavano ora a comparire sul
suolo francese, e del Comando dei Francesi Liberi con sede a Lon­
i6
Prof. Deakin
dra. Forse però ci si rese conto troppo lentamente che paracadutare
armi e rifornimenti a missioni o gruppi di individui operanti nel
territorio occupato non era solo un’operazione contro il nemico ma
anche un mezzo perchè queste missioni o gruppi acquistassero in
primo luogo un controllo regionale e territoriale e quindi, in defini'
tiva, un’autorità politica su intere zone del paese. Le armi fornite
dal SOE dovevano inevitabilmente modificare l’equilibrio delle
forze politiche in seno a qualunque movimento della Resistenza.
Come dice un rapporto dalla Francia occupata, in riferimento a
queste bande di resistenti che andavano prendendo corpo: « Esse
mirano a che gli Inglesi le riconoscano come organizzazioni dotate
di autorità: i fondi e i materiali che esse ricevono dall’Inghilterra
stabiliscono la loro superiorità rispetto ad organizzazioni più piccole,
che quindi presto sarebbero in grado di assorbire, acquistando alla
fine potenza sufficiente per ignorare le direttive di Londra che non
rispondono ai loro desideri ».
L’estendersi crescente di tutta una rete di missioni e gruppi
operanti in Francia e l’arrivo dei delegati delle organizzazioni mili'
tari e politiche francesi di svariatissima e complessa origine e colore,
inevitabilmente diedero un aspetto del tutto nuovo alla Resistenza,
attribuendole in questo paese, più che in qualsiasi altro, forme particolarmente complicate. Sulle intenzioni del SOE non possono
sussistere seri dubbi: esso mirava a creare una « quarta arma » di
guerra sul territorio francese contro i Tedeschi, ausiliaria delle ini'
minenti massicce operazioni militari. Fu fatto anche un tentativo
deliberato, se non del' tutto fortunato, di ignorare le conseguenze
politiche connesse con lo sviluppo delle organizzazioni della Resistenza sul territorio francese e di mantenere invece il controllo diretto, per le immediate necessità operative, sulla rete sempre più
vasta dei servizi d’informazione e di sovvertimento1. Ma questo fu
un riconoscimento del fatto che, qualunque fosse la complessità
politica della Resistenza francese, destinata ormai a venire alla luce
attraverso i contatti sempre più stretti e frequenti e quali che fossero
le conseguenze di questa situazione dopo la guerra, non era più
possibile dubitare del valore militare delle forze della Francia LL
bera all’interno e dell’importanza del ruolo che, convenientemente
rifornite, esse potevano svolgere nella definitiva liberazione del
paese. La decisione di sviluppare con tutti i mezzi tecnici l’aiuto
militare a queste formazioni segnò di per sé un distacco dalla tattica
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
17
concordata delle operazioni del SOE e diventò poi una parte ben
definita della politica alleata verso la Francia nel periodo precedente
10 sbarco in Normandia.
E’ difficile riassumere efficacemente in cosi breve spazio la no­
tevole portata di questo aiuto per tutta la durata della guerra. Il
primo radio-messaggio, ricevuto dalla Francia occupata da un apparecchio SOE, risaliva al maggio 1941. Non si potranno mai abba­
stanza sottolineare la dedizione e l’entusiasmo di cui diedero prova
le prime missioni paracadutate o sbarcate nel territorio francese o
11 loro coraggio ed esempio nei primi mesi d’isolamento, quando la
iniziativa bellica era interamente nelle mani dei Tedeschi. Verso la
fine del 1941, ad esempio, tutta l’ofganizzazione del SOE nella zona
occupata cadde nelle reti della polizia di Vichy e della Gestapo, e
solo nel febbraio 1942 si riprese a fare qualche progresso.
Le proporzioni dell’attività nell’autunno 1942 sono rivelatrici:
nella zona occupata c’erano solo 6 organizzatori, 1 corriere, 2 ope­
ratori-radio e nessun deposito di armi e munizioni; nella zona non
occupata c’erano 25 organizzatori, 19 agenti locali, 6 operatoriradio e pochi modesti depositi di rifornimenti. Nel 1944 circa 600
agenti inglesi e francesi furono paracadutati in Francia, senza con­
tare quelli che, via terra o via mare, raggiunsero alcuni punti della
costa o arrivarono attraverso la Spagna.
Per quanto1 modeste possano sembrare queste cifre, la sola pre­
senza di agenti alleati agì come stimolo sul morale dei primi gruppi
di resistenti, e non è facile esagerare l’influenza che le informazioni
giunte attraverso quegli apparecchi isolati W^T ebbero, in tutta
l’Europa, sul compimento delle azioni di bombardamento delle forze
aeree inglesi e americane contro le vie di comunicazione dell’Asse.
Ai primi del 1944 tutta la concezione era mutata. Le Forze
Francesi dell’Interno erano un esercito clandestino che bisognava
rifornire, per quanto lo consentivano le limitazioni tecniche dell’a­
viazione, come una forza ausiliaria dell’attacco ai Tedeschi al mo­
mento dell’invasione dell’Europa occidentale. In Francia, nel Belgio
e in Olanda il SOE aveva ormai raggiunto, al suo livello, iniziativa
tecnica nel sabotaggio, ed il suo ruolo era diventato quello di una
autorità militare ausiliaria in rapporto con l’esercito dell’interno. La
risposta da parte della Resistenza francese è fra i fatti epici della
guerra. Tutta l’organizzazione fu messa all’erta la notte del 5-6
giugno 1944 in tutto il Belgio e la Francia. Delle 1055 distruzioni
i8
Prof. Deakin
ferroviarie progettate, 960 furono condotte a termine felicemente.
In agosto, nella sola Francia, ebbero luogo ben 2900 attacchi a linee
ferroviarie. Le Forze Francesi deH’Interno erano salite a più di
100.000 uomini armati. Il 25 giugno 76 fortezze volanti americane
con rifornimenti di armi e munizioni furono distolte dai loro normali
compiti per appoggiare queste operazioni, e altre 400 ne vennero
adibite il 14 luglio. Come dice un rapporto del Supremo Comando
Alleato: « L’azione dei gruppi della Resistenza a sud della Loira
diede come risultato un ritardo medio di 48 ore (e in alcuni casi
molto superiore) nel movimento dei rinforzi diretti in Normandia.
Il nemico dovette affrontare un’altra battaglia dietro le sue linee ».
Un’attività consimile seguì nel Belgio, in Olanda, in Norvegia, in
Danimarca. Alla fine della guerra il generale Eisenhower scrisse al
maggior'generale Sir Colin Gubbins, comandante operativo del
SOE:
« Anche se non è ancora stata raggiunta una definitiva valuta« zione dell’importanza operativa delle azioni della Resistenza, io
« ritengo che la disorganizzazione delle comunicazioni ferroviarie
« nemiche, il bersagliamento dei movimenti tedeschi su strada e la
« continua, crescente pressione esercitata sull’economia bellica ger« manica e sui servizi di sicurezza interna in tutta l’Europa occu« pata, ad opera delle forze organizzate della Resistenza, hanno
<( svolto una parte considerevolissima nella nostra completa e finale
« vittoria ».
Il successo degli sbarchi nell’Africa settentrionale aveva con­
dotto, nei confronti della Francia, ad una notevole rivalutazione
dei metodi e della tattica del SOE, destinati, questa e quelli, ad
estendersi e a modificarsi in rapporto con la pianificazione strategica
della guerra in Europa nel suo complesso. Similmente l’invasione
alleata della Sicilia nel luglio del 1943 segnò un altro passo nello
stesso processo. Si presentò al SOE la possibilità di estendere le sue
attività in Italia e nei Balcani. Il Comando del Cairo, stabilito nel
1940, si era trasportato a Bari, nell’Italia meridionale, sulla fine del
1943. Il raggio operativo dell’aviazione alleata nell’Europa occupata
— fattore decisivo in ogni progetto' riguardante la guerra irrego­
lare — si era ora ristretto, creando così nuove possibilità di attività
e rendendo agevole una rivalutazione delle passate esperienze. Come
nell’Europa occidentale, la scala delle possibili attività del SOE co­
me arma ausiliaria in relazione agli scopi strategici alleati, subì dei
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
19
mutamenti significativi. Tutto il problema delle operazioni del SOE
nei Balcani, nell’Europa centrale e nell’Italia settentrionale, dovette
alla fine essere considerato storicamente alla luce della strategia degli Stati Maggiori britannico ed americano nei confronti di queste
regioni. Lo scopo e anzi la natura delle operazioni del SOE in questi
teatri dipese dalla direzione della spinta principale alleata che dal
teatro mediterraneo si spostò contro la fortezza europea controllata
dall’Asse.
Dal punto di vista inglese lo sviluppo della resistenza locale
in Grecia e in Jugoslavia, in rapporto diretto con l’importanza per
l’Asse delle comunicazioni ferroviarie attraverso l’Europa sud-onentale ed il Pireo, che costituiva non solo l’unica via di rifornimento
per gli eserciti dell'Asse ma anche la via dei rifornimenti essenziali,
ad esempio, del petrolio e del grano rumeno e della bauxite jugoslava, vitale per l’industria aeronautica del Reich, si svolgeva ormai
in un senso avverso alia Germania. In Grecia, per esempio, il primo
gruppo di paracadutisti inglesi fu lanciato nell’ottobre 1942 per
preparare il sabotaggio della linea ferroviaria principale che tra­
sportava l’8o% dei rifornimenti a Rommel. Questa operazione segna
il primo intervento diretto da parte delle missioni militari in Gre­
cia dopo la ritirata seguita alla campagna ellenica del 1941. Altre
spedizioni seguirono con il compito preciso di raccogliere informa­
zioni sulla composizione dei gruppi della Resistenza greca, sui quali
si era appuntata l’attenzione degli Alleati per la prima volta alla
fine dell’estate del 1942. Altre missioni guidate da inglesi furono
paracadutate più tardi, e venne così stabilita una rete di comunica­
zioni in tutta la Grecia continentale.
La brevità dello spazio non ci consente di occuparci come si
dovrebbe delle complicazioni politiche del teatro greco; comunque
l’esperienza generale dei comandi britannici interessati fu quasi
unanime nel giudicare che le bande dell’EAM, guidate da comuni­
sti, operavano anzitutto con l’intenzione di impadronirsi del potere
politico al momento che i Tedeschi si fossero ritirati verso il nord,
ed erano riluttanti ad assumere compiti militari nell’immediato
periodo dell’occupazione nemica. Un ulteriore fattore di confusione
era costituito dal fatto che, nella maggioranza dei casi, i gruppi o
le bande che non erano comunisti, erano però antimonarchici (in li­
nea generale, almeno fatta eccezione per pochi elementi isolati della
città), ed ogni tentativo' del SOE di mettere in atto la precisa tattica
20
Prof. Deakin
di incoraggiare la Resistenza con lo scopo esclusivo ed immediato di
sabotare e di attaccare gli obbiettivi militari, fu profondamente e
disperatamente complicato dalla dura realtà che le missioni britanniche si venivano a trovare di fronte subito ad un’incipiente guerra
civile; di conseguenza qualsiasi aiuto militare sotto forma di armi e
rifornimenti avrebbe, nello stesso tempo, alterato decisamente e di­
rettamente, l’equilibrio politico delle forze al momento della libe­
razione.
In assenza di un’autorità centrale in territorio greco le deci­
sioni, che venivano prese sul momento dalle Missioni inglesi,
a v e v a n o p e r scopo di promuovere l’azione sovversiva, per principio,
solo direttamente dietro comando e controllo britannico. Nella
primavera del 1943, di queste missioni alle dipendenze dirette del
Cairo ve ne erano dieci. Fu fatto un tentativo di organizzare delle
Bande Nazionali, accompagnate, ciascuna, da un ufficiale inglese di
collegamento e controllate da un ufficiale superiore inglese residente
in Grecia, ma in definitiva sotto il controllo del Cairo. La Grecia
montagnosa fu divisa in aree di guerriglia fra queste missioni, ma
il progetto falli anzitutto per l’estesa e aspra opposizione dell’EAM
comunista, che, nella primavera del 1943, non tollerava rivali sul
campo. E così la situazione costrinse alla fine a tagliare tutti i ri­
fornimenti ai comunisti greci. Dunque le speranze di conferire alle
Missioni inglesi l’ulteriore compito di usare della loro influenza per
promuovere l’unità politica fra le fazioni in lotta sul suolo greco
fallirono sin dall’inizio. Le difficoltà risultanti dalle operazioni con­
dotte in queste condizioni risultano chiare, in modo eloquente e
caratteristico, in una direttiva del Ministero degli Esteri del mar­
zo 1943:
« Data l’importanza operativa annessa alle attività sovversive
in Grecia, è chiaro che il SOE, anziché rifiutarsi di avere a che fare
con un determinato gruppo, semplicemente per la ragione che i suoi
sentimenti sono contrari al Re ed al Governo, è tenuto a far inten­
dere a questi gruppi, anche se antimonarchici, il fatto* che il Re ed il
Governo godono del pieno appoggio* del Governo di Sua Maestà.
Insomma non si deve trascurare nulla che possa aiutare e promuo­
vere l’unità fra i gruppi resistenti di Grecia e fra essi ed il Re ed il
Governo ».
Come in Grecia, così furono fatti dei passi, nello stesso tempo,
cioè nell’autunno del 1942, per sviluppare ulteriormente i tenui
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
21
legami, sotto forma di Missioni britanniche, con la Resistenza jugo­
slava. Questi rapporti però si limitarono alla Serbia e alle bande
sotto il controllo di Mihailovic, che era anche Ministro della Guerra,
sulla carta, del Regio Governo Jugoslavo in esilio a Londra.
Come già ho detto più sopra, ai primi del 1942 erano stati
perduti i contatti-radio con il paese, fatta eccezione per un’unica
apparecchiatura azionata da Mihailovic. Alla fine dell’anno una
Missione militare, composta da ufficiali superiori, fu mandata al
quartier generale del colonnello con l’incarico di fare un accurato
rapporto sulla consistenza della organizzazione di Mihailovic in vista
del sabotaggio delle principali vie di comunicazione e in generale
suU’importanza dei Cetnici come forza di resistenza contro i Tede­
schi. Mihailovic, di fronte all’espansione crescente del nemico in­
terno, i partigiani del Partito Comunista Jugoslavo, e, in particolare
nelle regioni fuori dalla Serbia, alle conseguenze delle selvagge rap­
presaglie fatte dai Tedeschi e dalle truppe satelliti contro la popo­
lazione civile in caso di sabotaggio, fermamente convinto che gli
Alleati sarebbero alla fine sbarcati nei Balcani, rifiutò categorica­
mente di intraprendere azioni di rilievo- sino alla fine della guerra.
Il suo atteggiamento, se pure originante da punti di vista assolutamente opposti, -ricorda nelle manifestazioni quello dei comunisti
greci. Per Mihailovic era preponderante il fatto politico; ai suoi
occhi la posta in gioco era l’equilibrio politico futuro della Jugoslavia
a ostilità cessate.
Fu in misura considerevole sulla base dei rapporti delle Mis­
sioni militari britanniche in Serbia, rivelatori di questo stato di
cose, che fu presa dall’Alto Comando del Cairo la decisione di
esplorare le possibilità di un contatto con i partigiani jugoslavi. Era
stato preparato uno studio particolareggiato sulla dislocazione degli
eserciti tedesco ed italiano in Jugoslavia e da esso risultò chiaro che
i principali concentramenti si trovavano in aree estranee al controllo
di Mihailovic. Presumibilmente le disposizioni prese dall’Asse erano
in rapporto con la minaccia interna alle loro linee di comunicazione
da altra parte. Naturalmente si dovrebbe anche sottolineare che in
alcuni casi importanti l’ordine di battaglia dell’Asse in Jugoslavia si
dimostrò direttamente legato all’ostinata convinzione di Hitler che
l’attacco definitivo alla fortezza europea da parte degli Alleati
sarebbe venuto attraverso i Balcani.
Un altro fattore della decisione, presa dall’Alto Comando del
22
Prof. Deakin
Cairo, di autorizzare il SOE a mettersi in contatto coi comandanti
partigiani jugoslavi fu l’intenzione dei militari in generale di tenere
impegnato il maggior numero possibile di divisioni dell’Asse nei
Balcani col minimo sforzo da parte alleata, in vista delle grandi
operazioni imminenti nell’Europa occidentale. Questo obbiettivo
giocò una parte decisiva nella risoluzione di prendere contatti con
Tito. Questi legami furono stabiliti da una serie di gruppi di azione
inglesi nel maggio 1943, uno dei quali comandato dalla persona
stessa che qui parla; tre mesi dopo una Missione di ufficiali superiori
al comando del brigadiere Maclean fu inviata al quartier generale
di Tito. L’atteggiamento del SOE di fronte agli avvenimenti che
seguirono in Jugoslavia fu essenzialmente motivato da considera­
zioni di interesse immediato e contingente. A differenza dell’EAM,
in Grecia, i partigiani jugoslavi si erano trasformati in una forza
combattente efficace e avevano dimostrato una capacità di azione
partigiana su larga scala, contro le divisioni tedesche ed italiane di
stanza in Jugoslavia, superiore a qualsiasi altra che si fosse verificata
in quel tempo in altro paese dell’Europa occupata. La decisione di
andare avanti per questa strada e dare il massimo appoggio a Tito
fu una decisione essenzialmente inglese; gli Americani vi aderirono
solo dopo interminabili discussioni. Come in Grecia, e in realtà
ovunque, il fattore politico emerse subito, e tuttavia l’atteggiamento
britannico fondamentale rimase sempre quello, di appoggiare cioè
qu'alsiasi gruppo fosse in grado di lottare con i Tedeschi, a prescin­
dere da considerazioni di natura politica e preoccupandosi il meno
possibile delle ripercussioni post-belliche del fatto. Strettamente le­
gato a questo atteggiamento inglese verso Tito era anche l’aspetto
strategico della guerra in senso lato. Una volta che era stato deciso
che non ci sarebbe stato sbarco alleato in forze nei Balcani, i compiti
pratici del sovvertimento potevano, in un certo senso, essere tenuti
distinti dai fattori politici connessi.
Stava diventando sempre più chiaro il fatto che l’equilibrio
del potere nei paesi dell’Europa liberata, a guerra finita, sarebbe
stato condizionato dalle posizioni finali occupate sulla carta geogra­
fica rispettivamente dagli eserciti anglo-americani e sovietico. La
questione della futura struttura politica dell’Europa orientale, cen­
trale e sud-orientale sarebbe dipesa in ultima analisi dalle decisioni
diplomatiche prese alla sommità fra i tre grandi Alleati, e problemi
come quelli del futuro della Grecia, della Jugoslavia e della Polonia
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
23
da una parte, e dei satelliti del nemico, la Rumenia, la Bulgaria e
l’Ungheria dall’altra, sarebbero stati definiti al tavolo di una confe­
renza e non dalle azioni del SOE o di qualsiasi altra organizzazione
del genere.
Nei confronti di Tito gli Inglesi conclusero che l’aiuto del
SOE era giustificato da motivi militari, tenuto presente il generale
sforzo bellico. E, sebbene sia probabile, se non certo, che le forze
partigiane jugoslave non avrebbero vinto solo la battaglia contro i
Tedeschi, ma anche la lotta per il potere, a guerra finita, senza aiuti
estranei, decisivo fu il fattore tempo, che consigliava di affrettare
la conclusione del conflitto, fattore che, comunque, in ogni caso,
secondo il mio parere — che è quello di un testimone oculare di
questi avvenimenti — era tale da giustificare l’aiuto dato ai parti­
giani jugoslavi.
A differenza che in Grecia le Missioni inglesi presso Tito fu­
rono essenzialmente di collegamento. Sul piano operativo i parti­
giani agirono come forza assolutamente indipendente e, a parte le
direttive generali date a Tito nei confronti del sabotaggio delle
comunicazioni e delle installazioni, il controllo tattico di tutte le
operazioni restò al Maresciallo e al suo Stato Maggiore. Dagli ultimi
mesi del 1943 al maggio 1944 i rifornimenti inglesi ed americani
alle forze tifine raggiunsero 62.458 tonnellate per via mare e 13.695
per via aerea.
Conferì un aspetto particolare alla guerra in Jugoslavia la con­
dizione in cui vennero a trovarsi i feriti, fatalmente condannati,
quando cadevano in mano tedesca, con conseguente effetto psico­
logico di questa efferatezza. Come unico esempio nella storia della
guerra irregolare nell’Europa occupata ricorderemo che gli Inglesi
e gli Americani, durante il corso dei combattimenti, evacuarono
dalla Jugoslavia piu di' 14.000 feriti.
E’ materia molto discutibile — e solleverebbe lunghe contro­
versie qualsiasi affermazione categorica in un senso 0 nell’altro —
la questione di ciò che sarebbe accaduto nel territorio jugoslavo, se
gli Inglesi si fossero astenuti da qualsiasi contatto con le forze parti­
giane e avessero negato loro qualsiasi aiuto. Una discussione del
genere non è strettamente pertinente a questa mia memoria; però
io vorrei precisare, sia pure lasciandolo oggetto di futuro dibattito,
sostenuto però da irrefutabili prove storiche, il fatto che l’aiuto bri­
tannico a Tito ebbe, in modo imprevisto e imprevedibile, una parte
24
Prof. Deakin
decisiva nel convincere i Russi che l’intera operazione fosse stata
deliberatamente voluta dalla Gran Bretagna in considerazione di
ulteriori motivi politici, e cooperò quindi a creare, da parte sovietica,
un’atmosfera di sospetto nei confronti della lealtà assoluta del movimento partigiano jugoslavo alla causa del ComuniSmo internazio­
nale, e a determinare quindi, nel 1948, la rottura fra Jugoslavia e
U.R.S.S.
La creazione di una base principale del SOE nell’Europa meri­
dionale, a Bari, rese possibile di estendere le operazioni cominciate
due anni prima nella Polonia occupata. Queste operazioni avevano
assunto, in un primo periodo, un aspetto particolare; cioè, la eva­
cuazione delle truppe polacche dalla Francia nel 1940 e, più tardi,
il loro impiego a fianco degli Inglesi, nel Medio Oriente, in Africa
e in Italia, nonché la simbolica presenza di un Governo in esilio a
Londra, fecero si che i Polacchi, con i Francesi Liberi, rappresentas­
sero i due gruppi più forti combattenti con la Gran Bretagna. In
questo senso la Polonia rimase in guerra con l’Asse, e la lotta delle
sue forze regolari le diede un prestigio particolare agli occhi dell’In­
ghilterra. Le operazioni del SOE in Polonia, che erano cominciate
con una missione isolata nel 1941, furono guidate direttamente dai
Polacchi stessi. Fu per essi motivo di orgoglio poter organizzare le
loro spedizioni indipendentemente da un minuto controllo britan­
nico. Queste missioni furono perfino trasportate in Polonia per via
aerea da apparecchi pilotati da Polacchi. Io stesso ebbi la emozio­
nante esperienza di vedere una di queste missioni partire da un
aeroporto segreto d’Inghilterra su due bombardieri Blenheim,
dipinti in nero e pilotati da giovani Polacchi, le cui probabilità di
ritornare sani e salvi dall’Europa orientale sorvolando la Germania
del nord erano molto scarse. La lunghezza del volo di ritorno ren­
deva pressoché sicura l’intercettazione da parte di aerei tedeschi da
combattimento.
Fino agli ultimissimi giorni della guerra nessuna missione bri­
tannica del genere scese sul territorio polacco, e le operazioni tecni­
camente organizzate dal SOE dalla Gran Bretagna alla Polonia,
furono condotte esclusivamente da Polacchi di Londra, i quali
agivano come una forza indipendente.
In realtà il volume e l’estensione di queste attività non furono
grandi. Nell’aprile 1942 furono compiute solo nove spedizioni
fortunate, cui presero parte 48 uomini. Durante le 24 spedizioni
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
25
del settembre 1943, partite ormai da basi italiane, andarono perduti
6 apparecchi. La base del SOE polacco era stata posta in Italia nel
dicembre del 1943, e circa 20 operazioni in Polonia furono tentate
nei primi tre mesi del 1944; due sole di esse ebbero successo. Poli­
ticamente, la Polonia doveva diventare, ancora una volta nella sua
storia, il banco di prova delle relazioni fra Est e Ovest e della
buona fede fra Russi da una parte e Alleati occidentali dall’altra.
Proprio come la Francia, e poi l’Italia, erano situate lungo la
principale linea strategica di accesso degli Alleati occidentali nel
loro definitivo massiccio attacco al continente europeo, così la
Polonia stava sul cammino diretto dell’avanzata sovietica nella
Germania e nell’Europa orientale, con tutte le relative inevitabili
conseguenze politiche. E’ impossibile, e comunque sarebbe ingiusto,
sottovalutare il particolare senso di lealtà degli Inglesi verso i loro
alleati polacchi, per i quali del resto la Gran Bretagna era entrata
ufficialmente nel conflitto, nel settembre 1939. E non si dovrebbe
nemmeno dimenticare il ruolo essenziale che ebbero, nei confronti
dello sforzo bellico tedesco, gli agenti polacchi che raccolsero in­
formazioni nel territorio occupato.
Le discussioni sullo svolgimento delle future operazioni del
SOE in Polonia riguardarono essenzialmente le possibilità tecniche
di assicurare la liberazione del territorio polacco dall’ovest, ope­
rando il congiungimento di forze polacche aviotrasportate con
l’esercito polacco clandestino. In realtà l’esperimento, che si era
dimostrato possibile in Francia, di creare e rifornire eserciti clan­
destini nell’Europa occupata, fu decisamente scartato nei confronti
della Polonia — e anche della Cecoslovacchia — causa la scarsa
disponibilità dei mezzi aerei necessari, che non potevano essere
distolti dai compiti offensivi di bombardare su vasta scala gli
obbiettivi tedeschi. Il progetto polacco per una simile operazione
giunse allo Stato Maggiore inglese nell’ottobre 1942, ma fu ferma­
mente 'respinto per le ragioni su esposte. Perciò l’unica speranza
rimasta ai Polacchi alleati della Gran Bretagna fu di preparare,
seguendo una tradizione familiare alla storia polacca, una solleva­
zione nazionale sostenuta solo dalle risorse umane del paese stesso.
I tentativi di cooperazione fra l’esercito clandestino dei Polacchi di
Londra e gli elementi locali raccolti e addestrati sul suolo della
madrepatria, incontrarono una solida ed aspra resistenza da parte
sovietica. In realtà, nel 1944, i Russi stavano svolgendo già in Po-
2Ó
Prof. Deakin
Ionia la guerra parmigiana indipendentemente dai Polacchi di qual­
siasi tendenza politica fossero.
Gli eventi mossero verso la nota tragedia della insurrezione di
Varsavia, che non può essere oggetto di adeguata trattazione in
questa sede e che forse, allo stato presente delle informazioni, non
può essere ancora discussa a fondo. Un solo fatto, e fondamentale,
risulta chiaro, cioè che le istruzioni al generale Bor Komorowski di
sollevare l’esercito polacco in una rivolta nazionale allo scopo' di
cacciare i Tedeschi dalla capitale furono disposte senza averne in­
formato le autorità inglesi, e una volta che la insurrezione ebbe
luogo, vani sforzi furono fatti da Britannici e da Americani per
persuadere i Russi affinchè ci permettessero almeno di recare quel­
l’aiuto che si poteva per via aerea; il rifiuto sovietico di discutere
questi aiuti segnò l’inizio del profondo malinteso fra i tre Alleati.
L’invasione alleata dell’Italia nell’autunno 1943 creò il primo
fronte terrestre anglo-americano nell’Europa occupata e aprì la
possibilità di formare gruppi di resistenza dietro le linee tedesche
nel nord del paese. Operazioni dirette dal SOE cominciarono solo
in settembre, ed il mese seguente vide in azione le prime sei mis­
sioni. Nel settembre 1944 il numero era salito a 37 gruppi inglesi
e 17 italiani operanti a nord della Linea Gotica.
Il teatro italiano era destinato a presentare ben presto un
insieme ancora diverso di circostanze particolari. Come la Francia,
il territorio italiano rappresentava, nel cuore dell’Europa occupata,
una via strategica maestra lungo la quale gli Anglo-Americani
dovevano muoversi. Comunque, fino al settembre 1943 la Gran
Bretagna era stata in guerra con l’Italia fascista e poi col Governo
Badoglio. La capitolazione italiana consolidò in termini politici
l’occupazione militare da parte delle forze alleate della Sicilia e del
tallone della penisola e diede origine ad una frontiera politicomilitare in movimento sulla penisola stessa, creando, nello stesso
tempo, le possibilità di espletare operazioni sovversive a nord della
linea del fronte, attività che però dovevano articolarsi strettamente
e localmente, con i futuri piani del generale Alexander nei con­
fronti della campagna italiana nel suo complesso.
Mai gli Inglesi intesero creare un esercito italiano clandestino
nell’Italia settentrionale ora occupata dai Tedeschi e sciagurata­
mente amministrata dalla repubblica satellite fondata agli ordini
di Mussolini sul Lago di Garda. Gli eserciti inglese ed americano
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
27
operavano ora su vasta scala in un paese col quale precedentemente
erano stati in guerra e che ora era per metà in mano di un re e di
un governo che si era arreso e che costituiva l’inevitabile nucleo di
una restaurazione, mentre l’altra metà era tuttora territorio nemico,
in senso stretto.
L’intenzione fondamentale degli Alleati nel cercare di appoggiare e di sfruttare per la causa comune l’esplodere spontaneo della
Resistenza partigiana nell’Italia settentrionale dopo il settembre
1943, era di irreggimentare queste energie e farne una forza ausiliaria dell’avanzata anglo-americana verso il nord sino alle frontiere
tedesche. Come altrove nell’Europa occupata, i partigiani furono
considerati anzitutto come elementi utili, se operanti in piccoli
gruppi, a raccogliere informazioni sul nemico e a sabotare le co­
municazioni e i depositi di materiale. In ogni tempo queste attività
furono considerate sotto il diretto controllo militare britannico. La
confusione di propositi fra i capi partigiani italiani e il Comando
inglese, da una parte, e l’intrusione di istanze politiche scaturite
dalla rivolta contro vent’anni di dominio fascista dall’altra, furono
forse più acuti in questo teatro di guerra che in tutti gli altri di
Europa.
Le operazioni tecniche del SOE potevano essere e furono
condotte come in tutte le altre regioni; ma il rapido estendersi delle
bande partigiane, specialmente nelle zone appenniniche ed alpine,
diede vita di fatto ad un esercito clandestino come quello che aveva
preso forma in Francia, dove era stato considerato, più che ausi­
liario, sostitutivo di un vero e proprio consistente aiuto militare
alleato. In termini generali si potrebbe dire a buon diritto che la
mancanza di comprensione che insorse di tanto in tanto fra i capi
della Resistenza italiana ed i Comandi anglo-americani derivò dal
fatto che i primi consideravano loro principale scopo la creazione
di un Esercito di Liberazione e, pur senza preoccuparsi del colore
politico dei vari raggruppamenti in esso compresi, vedevano come
eminentemente politico il compito che questo esercito avrebbe svolto
alla fine della guerra, a liberazione avvenuta, mentre gli Alleati,
come del resto dappertutto nel continente europeo, avevano una vi­
sione del tutto diversa ed esclusivamente militare della funzione
che gli italiani avrebbero avuto nelle ultime tappe della guerra.
I termini della resa italiana, sebbene strettamente militari nel
contenuto, furono un implicito riconoscimento di aiuto a re Vitto­
28
Prof. Deakin
rio Emanuele III e ad un Governo monarchico in Italia. Al contrario,
per dirla in breve, gli elementi che guidavano la Resistenza italiana
nei territori occupati del nord erano ostili alla restaurazione monar­
chica nel paese. Il compito di evitare un definitivo urto fra questi
due mondi in Italia non rientrava affatto negli scopi delle operazioni
del SOE, le cui direttive, come in ogni altro caso in Europa, veniva­
no in definitiva decise dagli Stati Maggiori inglese ed americano. In
generale il Comando Alleato in Italia si aspettava dai partigiani
italiani che si limitassero il più possibile ai compiti seguenti: inter­
rompere le comunicazioni tedesche, proteggere e salvare i porti
principali e le industrie dell’Italia settentrionale, essenziali alla
ricostruzione del paese, e, solo nelle ultime fasi, azioni militari delle
bande partigiane contro le forze germaniche in ritirata, nonché la
difesa della legge e deH’ordine nelle aree non raggiungibili dalle
truppe alleate. In pratica, le missioni inglesi e americane operanti
nel territorio italiano occupato si trovarono brutalmente di fronte
a quella che era in realtà una guerra civile tra fascisti e partigiani,
nonché alla spontanea apparizione, da parte partigiana, di un eser­
cito clandestino, non richiesto e non desiderato dalle direttive
alleate.
La valutazione dell’importanza militare di queste bande partigiane fu, e forse è tuttora, argomento di discussione. Il proclama
del generale Alexander, che invitava questi gruppi a sciogliersi
nell’inverno 1944, evidenzia i limiti entro i quali gli Inglesi conten­
nero rigidamente la loro concezione del ruolo più utile della Resi­
stenza italiana nei combattimenti in Italia e la mancata valutazione,
da parte loro, della situazione partigiana. Del pari, l’amaro risen­
timento suscitato da quel proclama illustra la fiducia che i coman­
danti italiani riponevano1 nella validità della loro macchina bellica.
A mano a mano1 che si avvicinava l’ora della liberazione le ragioni
essenzialmente politiche interferirono sempre più nella scena già
confusa, nei confronti non solo del futuro assestamento politico,
già inevitabilmente alterato, come del resto altrove in Europa, dalla
distribuzione di armi e di munizioni a vari gruppi resistenti nel nord
d’Italia, ma anche dei problemi delle future frontiere sulle Alpi
occidentali e settentrionali rispetto alle richieste francesi, nell’Alto
Adige e sul confine d’oriente, ancora oscuramente definito, fra i
partigiani jugoslavi in avanzata e le unità italiane fasciste e non
fasciste.
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
29
Nonostante tutti questi problemi il contributo della Resisten­
za italiana al generale sforzo bellico fu di notevole rilievo e nei
ruoli predisposti fin dall’inizio con ostinazione dallo Stato Maggiore
del generale Alexander e infine, negli ultimi stadi, quando fu dato
l’ordine dell’insurrezione generale. Vennero salvati dalla distru­
zione i porti, particolarmente quelli di Genova e Venezia, le instal­
lazioni industriali del nord d’Italia e le centrali elettriche alpine;
inoltre, negli ultimi giorni di combattimento, le forze partigiane
scrissero pagine di ardimento nella lotta decisiva contro la Germania.
La Norvegia, come la Danimarca, rimase al di fuori dell’area
dell’ultimo decisivo attacco anglo-americano. La sua importanza
per lo sforzo bellico alleato consistette soprattutto nel sabotaggio
economico e nella tecnica dei « commandos » adibiti a colpi di
mano; più tardi si svilupparono Operazioni Combinate e, con un
procedimento tutto diverso di attacco, si agì soprattutto contro
la navigazione tedesca e i posti-radio, dando infine luogo all’epica
operazione in Norvegia contro rimpianto di produzione dell’acqua
pesante, che i Tedeschi intendevano usare nei processi legati ai
loro programmi atomici.
Nel quadro delle relazioni fra il SOE e la Resistenza « ester­
na » norvegese, condotta dal re e dal Governo in esilio a Londra
ed il Fronte interno, la situazione offrì durante tutta la guerra un
esempio unico di mancanza di attriti e di confusione negli obbiettivi.
E ciò fu dovuto soprattutto all’assenza di conflitti politici nella
Norvegia prebellica ed ai rapporti stretti ed armoniosi intercorrenti
fra i Norvegesi di Londra e quelli della madrepatria.
Durante tutto il tempo delle sue esperienze i rapporti del SOE
con la Resistenza europea a Londra e nei territori delia madrepatria
furono un riflesso involontario delle tradizioni politiche diverse e
contrastanti che si presentarono in ogni singolo caso.
I Paesi Bassi crearono, alla loro volta, uno speciale problema
tecnico alle attività sovversive. L’assenza di zone collinose di rifugio
ed il concentramento di città industriali in pianura resero i compiti
di sicurezza della Germania molto più semplici che in Francia ed
in Italia, per tacere dei Balcani. Inoltre, sia il Belgio che l’Olanda
si trovavano sulla via dei bombardamenti della Ruhr, e l’aviazione
tedesca, fortemente organizzata, e le sue difese contraeree accreb­
bero la difficoltà di paracadutare missioni in questi due paesi. Ma,
come la Francia, i Paesi Bassi erano anche sulla strada dell’even-
3°
Pro], Deakin
tuale invasione alleata dell’Europa, e per questo simili furono le
linee di strutturazione dei rapporti fra il SOE e le organizzazioni
« interne » della Resistenza.
C o n c l u s i o n e - Gli scopi ultimi che il SOE britannico cercò
di raggiungere « mettendo a fuoco l’Europa », per usare le parole
di Sir Winston Churchill nel 1940, variarono e nel metodo e nella
progettazione e nell’attuazione a seconda delle necessità della stra­
tegia- alleata, che condizionò fin dagli inizi l’attività dell’intera
organizzazione.
Questi scopi furono essenzialmente duplici e concepiti nei due
stadi dell’organizzazione e dell’equipaggiamento:
a) di un sabotaggio e di un servizio d’informazioni sistematici;
b) di eserciti clandestini nell’Europa occupata.
Questi fini in parte risultarono incompatibili, a mano a mano
che lo sviluppo del primo punto attirava l’attenzione sul progetta^
mento' del secondo. I definitivi successi del SOE spesso si verifica'
rono interamente a proposito del punto a) ed i suoi insuccessi in
quello b). La concezione inglese della guerra irregolare, basata su
un insieme crescente di prove pratiche, a mano a mano che la guerra
si sviluppava, fu essenzialmente quella- di creare una Quinta
Colonna non-politica sul continente europeo, di una Resistenza
« interna » controllata, dove possibile, da una Resistenza « ester­
na », rappresentata dagli elementi in esilio a Londra. I compiti
della Resistenza « interna » dovevano di preferenza essere limitati
al sabotaggio ed alla raccolta di informazioni e ristretti a piccoli
gruppi piuttosto che a numerose bande, e ciò per ragioni di sicu­
rezza più che di politica. Gli Inglesi erano per tradizione sospettosi
delle « Grandi Compagnie », e solo in un senso molto particolare
svilupparono in Francia un’organizzazione militare, quella delle FFI.
Il secondo stadio degli eserciti clandestini, destinato a funzio­
nare alla vigilia della liberazione, fu preso in considerazione agli
inizi del 1941 e riguardò essenzialmente la Polonia e la Cecoslo­
vacchia. Il piano originale avrebbe richiesto la disponibilità di
8000 apparecchi, a prescindere dall’appoggio aereo al momento
dell’attacco finale. Il concomitante piano di sabotaggio avre'bbe
implicato l’impiego del 15% delle esistenti forze da bombardamento
da distogliere dal loro compito centrale di attaccare dal cielo la
La Gran Bretagna e la Resistenza Europea
31
Germania, e gli eserciti clandestini ne avrebbero richiesto un altro
40%. Un progetto di queste proporzioni fu respinto all’inizio dagli
Stati Maggiori inglesi, e la creazione, in vista di operazioni belliche,
di eserciti clandestini nell’Est, creazione sulla quale soprattutto i
Polacchi riponevano le loro maggiori speranze, fu abbandonata sin
dai primi del 1941.
Le limitazioni del SOE furono perciò imposte in primo luogo
dalla mancanza di mezzi. Spesso non ci si rende abbastanza conto
che nell’autunno del 1941 il SOE ebbe a sua disposizione 8 bom­
bardieri Whitley e 5 Halifax per tutte le sue missioni da basi
inglesi, e, fino al 1943, 2 vecchi Whitley nel teatro mediterraneo.
Così pure non si dovrebbe dimenticare che nello stesso autunno del
1941 il Comando Bombardieri dell’Aviazione britannica in Inghil­
terra disponeva in tutto di soli 90 apparecchi pesanti.
Alla fine della guerra le forze in uomini del SOE assommavano
a meno di una divisione con l’equivalente di quattro squadre aeree
a sua esclusiva disposizione.
Con questi mezzi e per cinque anni il SOE fu il principale
strumento dell’azione britannica in Europa.
Pro f. D
e a k in
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