OSPEDALI/ATTIVITA` COME CAMBIANO LE MALATTIE INFETTIVE

OSPEDALI/ATTIVITA’
COME CAMBIANO LE MALATTIE INFETTIVE
In aumento le infezioni opportunistiche nei malati più fragili mentre resta in
agguato l’infezione da Hiv
Il primo pregiudizio da sfatare, quando si parla di malattie infettive, è quello della
contagiosità. A entrare nella moderna palazzina che alle spalle del Maggiore ospita la
struttura per patologie infettive la mente corre subito al rischio di venir contagiati e
alla Maddalena, lo storico ospedale che sino alla fine degli anni ‘90 accoglieva i
malati bisognosi d’isolamento lontano dal centro cittadino in cameroni dove a
separare malato e visitatore vi era uno spesso e quasi ermetico vetro. Ma la realtà
oggi è ben diversa. I progressi scientifici e i mutamenti demografici si sono infatti
alleati a produrre una sorta di rivoluzione che ha modificato in modo radicale il volto
delle malattie infettive e di conseguenza il modo di prendersene cura.
“Rispetto al passato – spiega Roberto Luzzati, direttore della struttura Malattie
infettive – le malattie contagiose che richiedono il ricovero in condizioni
d’isolamento sono oggi molto poche. Tra queste possiamo ricordare le meningiti
dovute a meningococco, la tubercolosi polmonare o le epatiti virali”. Il grosso del
lavoro si concentra piuttosto sulle patologie da agenti microbici opportunisti, batteri o
virus in particolare, che attaccano persone più fragili per età o condizioni di salute.
MICROBI OPPORTUNISTI “Le migliorate condizioni di vita e le crescenti
conquiste mediche e farmacologiche – dice Luzzati – hanno favorito un incremento
progressivo della popolazione anziana e dei soggetti immunodepressi perché affetti
da una o più malattie croniche o trattati con farmaci immunosoppressivi. Negli ultimi
trent’anni sono dunque aumentati i casi d’infezioni opportunistiche, che s’insediano
grazie alle ridotte capacità di difesa dell’organismo e che non hanno caratteristiche di
contagiosità”. La casistica delle infezioni opportunistiche è molto ampia e spazia
dalle infezioni polmonari a quelle della cute e del sottocute, alle infezioni delle ossa
(un caso tipico è il piede ‘infetto’ del soggetto diabetico) o della colonna vertebrale.
L’assenza di contagio non vuol dire che si tratti di patologie da sottovalutare,
tutt’altro. Significa invece che la persona spesso non deve essere ricoverata. Ma può
essere curata negli ambulatori e nel day hospital della struttura in collaborazione con
specialisti di altre strutture ospedaliere come ad esempio la Chirurgia plastica o la
Clinica dermatologica ospitata al primo piano del medesimo edificio.
FEBBRI E PATOLOGIE Alla struttura Malattie Infettive affluiscono anche le
cosiddette patologie d’importazione: le infezioni dell’immigrato e quelle del
viaggiatore internazionale, la parassitosi intestinali e la febbre malarica o di altra
origine tropicale. E qui fanno capo, spesso su invio dei medici di famiglia, anche le
febbri d’origine sconosciuta di cui, per trovare la cura, si deve prima comprendere la
causa.
Il lavoro degli infettivologi non si esaurisce però tra le mura della sede ma li vede
impegnati in numerose consulenze ai reparti ospedalieri sul fronte delle terapie
antibiotiche. “Nel corso degli anni – spiega Roberto Luzzatti – in parallelo alla
costante diffusione di antibiotici spesso usati in modo troppo estensivo virus e batteri
hanno sviluppato elevate capacità di resistenza agli antibiotici stessi. Per mettere a
punto una terapia efficace, nelle patologie più complesse il farmaco viene dunque
scelto insieme allo specialista d’infettivologia”. E in tema di antibiotici la
collaborazione si sviluppa anche sul versante dell’analisi e del monitoraggio. Due
volte l’anno si analizzano infatti tutti i casi di resistenza agli antibiotici registrati negli
ospedali e si verifica quali resistenze sono in aumento e quali in calo confrontando
poi i dati con gli altri operatori così da orientare al meglio le cure ai malati.
IL VIRUS HIV e l’Aids E’ il capitolo d’attività forse più noto all’opinione pubblica,
che registra anch’esso un andamento molto diverso dal passato. Oggi la struttura
Malattie infettive segue oltre 160 persone sieropositive, in prevalenza dell’area
triestino isontina . La loro qualità di vita e le stesse prospettive di sopravvivenza sono
favorevolmente mutate in modo radicale grazie alle terapie antiretrovirali tanto che la
cura avviene oggi prevalentemente negli ambulatori. I ricoveri per Hiv e Aids sono
infatti appena il 10 per cento dei ricoveri complessivi della struttura (in tutto circa
500 l’anno a fronte di quasi 1500 prestazioni ambulatoriali). Insomma, la sindrome
Aids può essere ormai considerata una malattia cronica curabile, anche se non
guaribile anziché la “peste del secolo” come venne definita negli anni ’80. Ma
proprio questa nuova valenza ha avuto l’effetto perverso di ridurre le precauzioni nei
confronti delle infezioni a trasmissione sessuale. “Da alcuni anni – dice il professor
Luzzati – assistiamo a una riduzione generale della soglia d’attenzione rispetto il
virus Hiv. Si pensa a torto che il problema dell’Aids sia risolto e non ci si preoccupa
di premunirsi rispetto il contagio”.
LE PRECAUZIONI Il risultato è che mentre i gruppi tradizionalmente considerati a
rischio, le persone tossicodipendenti e gli omosessuali, hanno preso coscienza del
rischio e imparato a tutelarsi, il virus oggi si propaga soprattutto tra gli eterosessuali
tramite rapporti sessuali non protetti. E con le medesime modalità si diffondono in
modo preoccupante altre malattie a trasmissione sessuale, tra cui la sifilide, che segna
una vera escalation, e l’epatite B. Gli infettivologi lanciano dunque un serio appello
alla prevenzione. Per cautelarsi, ricordano, si deve sempre tenere alta la guardia
rispetto i rapporti occasionali: evitandoli o usando il condom e ricordando di eseguire
con una certa periodicità il test che è anonimo e gratuito. Scongiurando così
l’eventualità di scoprire, come accaduto ad alcune persone, di ritrovarsi in Aids ormai
conclamato magari alla soglia dei 70 anni.