Fattori della produzione. 10 Impresa e imprenditore: unità di apprendimento SP b pp ci aziowe a ro f ondis PROFILO ECONOMICO E GIURIDICO 1 i fattori della produzione L’impresa e la trasformazione L’impresa è un soggetto economico che trasforma input in output. Gli input sono costituiti dai fattori della produzione, mentre l’output può essere sia un bene sia un servizio. lavoro capitale terra capacità imprenditoriale INPUT Impresa bene o servizio trasformazione OUTPUT 2 L’impresa sotto il profilo economico La convenienza di un investimento Le imprese si trovano continuamente di fronte a questo problema: conviene acquistare nuovi macchinari per aumentare la produzione del bene già realizzato, oppure è più conveniente iniziare a produrre un nuovo tipo di bene, acquistando i macchinari necessari per tale nuova produzione? Il problema in esame riguarda perciò l’opportunità o meno di fare nuovi investimenti, cioè utilizzare una certa somma di denaro per La trasformazione viene intesa normalmente in senso fisico: si pensi, per esempio, alla trasformazione della farina in pane. La trasformazione in senso economico può essere però anche in relazione al tempo o allo spazio. La trasformazione nel tempo si ha quando i beni sono sottoposti a un trattamento che permette un loro consumo differito nel tempo (pensiamo, per esempio, alla liofilizzazione, oppure alla surgelazione dei prodotti agricoli). La trasformazione nello spazio si ha invece quando i beni vengono trasferiti da una zona a un’altra più vicina al luogo di consumo (si pensi, per esempio, alla distribuzione commerciale dei prodotti agricoli attraverso negozi che vendono direttamente ai consumatori nei pressi delle loro abitazioni). acquistare nuovi mezzi di produzione. A tal fine l’impresa deve effettuare un complesso tipo di calcolo. Per comprendere tale calcolo dobbiamo tenere presente che l’impresa, per effettuare la produzione, deve anticipare la quantità di denaro necessaria ad acquistare il capitale fisso, cioè le attrezzature e i macchinari. Se invece che impiegarlo, depositasse lo stesso denaro in banca, guadagnerebbe gli interessi, per esempio 5 euro ogni 100 euro (saggio di interesse al 5%). Possiamo allora capire che se l’attività di impresa, a seguito dell’investimento, renderebbe un 1 10 Fattori della produzione. Impresa e imprenditore: profilo economico e giuridico profitto inferiore a ciò che la banca avrebbe pagato come interesse, l’impresa farebbe meglio a non iniziare tale attività. Questo significa che l’investimento non sarebbe conveniente. Ma come effettuare il confronto? L’attività imprenditoriale che va bene rende un profitto; quest’ultimo è una somma di denaro assoluta espressa in euro e non è quindi immediatamente confrontabile con l’interesse, rapportato a un anno e a 100 euro di capitale. Per effettuare il calcolo occorre considerare quanto rendono 100 euro spese per acquistare il capitale fisso. Se si divide il valore del profitto per il capitale anticipato si ottiene una percentuale che, immaginiamo, sia del 10%. Le due percentuali sono adesso immediatamente confrontabili tra loro. Dal confronto di questi valori ipotetici, emerge che l’impresa ha convenienza a effettuare l’investimento perché il saggio di profitto che si attende di ottenere (10 %) è superiore al saggio d’interesse (5%). Anche se l’impresa non avesse il denaro per acquistare il capitale fisso, sarebbe comunque conveniente 3 L’impresa sotto il profilo giuridico Impresa, azienda, ditta Il codice civile distingue l’impresa dall’azienda, concetti, questi, che nel linguaggio comune sono utilizzati come sinonimi. A quale scopo viene effettuata tale distinzione? Per comprenderne le ragioni dobbiamo tenere presente che la parola impresa, nella lingua italiana, ha diverse accezioni tra cui quella di una serie di azioni complesse e di difficile realizzazione, caratterizzate perciò da incertezza, cioè dall’esito incerto. Si afferma così, per esempio, che “Mi sono buttato nell’impresa” per indicare, appunto, che ho intrapreso qualcosa di difficile che spero di riuscire a portare a termine. Il codice civile utilizza la parola impresa, perciò, in questa accezione, cioè come un’attività. Tale attività è per definizione rischiosa: chi la effettua, l’imprenditore, deve sostenere dei costi sicuri (acquisto dei macchinari, affitto dei locali, acquisto delle materie prime, pagamento dei lavoratori dipendenti ecc.) che spera di coprire, almeno, con i ricavi di vendita; ma tali ricavi dipendono da due variabili ambedue incerte: il prezzo di una unità di prodotto 2 effettuare l’attività economica, procurandosi il capitale necessario attraverso un prestito. Per ottenere in prestito il denaro necessario per acquistare il capitale fisso, infatti, paga il 5%, mentre ottiene un profitto superiore (10%) che remunera lo sforzo di compiere l’attività di organizzazione dei fattori della produzione. Da questo esempio è possibile desumere una regola generale relativa ai criteri che gli imprenditori seguono per decidere se effettuare un certo investimento oppure se evitarlo. Essi calcolano quale potrà essere il saggio di profitto che potranno ottenere attraverso un certo investimento: se tale saggio risulterà almeno uguale al saggio di interesse, l’investimento sarà considerato conveniente. Investimento 1 Investimento 2 saggio di interesse 5% saggio di profitto atteso 4% saggio di profitto atteso 10% NO Sì e la quantità venduta. La sua è quindi sempre in qualche modo una scommessa: se le cose vanno bene potrà ottenere un certo profitto; in caso contrario, subirà una perdita. Non c’è dubbio, perciò che la sua sia un’impresa, nel senso di un’attività dall’esito incerto. L’azienda è invece definita dall’art. 2555 del codice civile come “Il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore”. Essa interessa all’ordinamento per la sua circolazione giuridica da un soggetto all’altro. Da questo punto di vista, l’azienda è nient’altro che un insieme di beni la cui proprietà viene trasferita come se si trattasse di un bene unico. I beni hanno in comune, infatti, la loro utilizzazione da parte dell’imprenditore per l’esercizio di un’attività economica. È del tutto logico, quindi, che in questa prospettiva il codice distingua l’azienda dall’impresa. Quest’ultima non viene trasferita e, pertanto, non ha senso accomunare i due concetti sotto un unico termine. La ditta, cioè il nome con il quale l’imprenditore opera nel mercato, invece, viene presa in esame dal codice per tutelare i consumatori i quali fanno affidamento sul nome per effettuare i loro acquisti. I consumatori, infatti, riconoscono beni perché essi appaiono come 10 Fattori della produzione. Impresa e imprenditore: profilo economico e giuridico prodotti da una certa azienda che opera sul mercato con un certo nome. La ditta, in altre parole, segnala ai consumatori che dietro un prodotto c’è una certa azienda e se, in passato, essi hanno apprezzato quel prodotto, attraverso la ditta possono “ritrovare” il prodotto. Classificazioni delle società Il nostro ordinamento distingue le società utilizzando due diversi criteri di differenziazione. Da un primo punto di vista, le società vengono distinte in commerciali e in non commerciali. Da un altro punto di vista, invece, le società sono distinte in società di persone e società di capitali. Società commerciali e non commerciali Questa distinzione ricorda molto da vicino quella già incontrata a proposito delle attività economiche esercitate dagli imprenditori. Come si ricorderà, le attività economiche imprenditoriali sono distinte dal codice civile in attività commerciali e attività agricole. La distinzione operata riguardo alle società, però, non riguarda le attività esercitate ma la forma della società. Si faccia attenzione alla differenza tra l’attività esercitata e la forma della società. Queste due nozioni, infatti, non sempre coincidono. Infatti, l’art.2249 distingue in questo modo le società: ››società non commerciali. È tale solo la società semplice e può esercitare solo un’attività economica non commerciale; ››società commerciali. Sono tali la società in nome collettivo (s.n.c.), la società in accomandita semplice (s.a.s.), la società per azioni (s.p.a.), la società in accomandita per azioni (s.a.a.) e la società a responsabilità limitata (s.r.l.). Queste società possono svolgere sia attività commerciale sia attività non commerciale . Società di persone e di capitali Questa distinzione riguarda in primo luogo il tipo di responsabilità che hanno i soci. Le società di persone sono dotate di autonomia patrimoniale imperfetta mentre le società di capitali hanno personalità giuridica e, pertanto, sono dotate di autonomia patrimoniale perfetta. Questo significa che, per i debiti contratti dalla società, nelle società di persone risponde la società con il suo patrimonio ma se questo non basta anche i singoli soci. Il creditore della società, in altre parole, se il patrimonio sociale non è sufficiente, può farsi pagare da un singolo socio con il suo patrimonio persona- le. Non così nelle società di capitali nelle quali per i debiti della società risponde soltanto la società con il suo patrimonio. Facciamo un esempio. Matteo vende alla società Alfa una partita di merce per un valore di 100.000 euro. Matteo consegna subito la merce ma si mette d’accordo con i rappresentati della società che il pagamento avverrà dopo 120 giorni. Purtroppo, passati i 120 giorni, la società non è più in grado di pagare il debito poiché gli affari sono andati molto male e sono state accumulate notevoli perdite nel frattempo. Matteo, a questo punto, si accorge che si tratta di una società a responsabilità limitata, ossia una società di capitali, e che quindi non ha la possibilità di richiedere al socio più ricco di pagare con i propri soldi. Giacché la società è rimasta con un patrimonio di soli 30.000 euro, Matteo deve accontentasi di questa cifra e rinunciare ad avere gli altri 70.000 euro, sebbene i singoli soci abbiano a casa loro beni di elevato valore e disponibilità di denaro ben più grande di ciò che sarebbe necessario per chiudere la questione. Sono società di persone la società semplice, la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice; sono società di capitali la società per azioni, la società in accomandita per azioni e la società a responsabilità limitata. Sul piano della responsabilità si deve osservare che nelle società in accomandita i soci sono distinti in due gruppi, a seconda che abbiano responsabilità patrimoniale limitata al capitale conferito oppure illimitata: i primi sono detti accomandanti, i secondi accomandatari. Un altro elemento di differenza tra le società di persone e quelle di capitali riguarda il potere di amministrazione della società. Da questo punto di vista, le società di persone attribuiscono a tutti i soci il potere di amministrazione mentre nelle società di capitali il socio non è in quanto tale amministratore. Questo comporta che la gestione della società, ovvero l’esercizio dell’attività imprenditoriale vera e propria, nelle società di capitali può essere esercitata anche da non soci e, tra i soci, solo da alcuni. Un ulteriore elemento di differenza consiste nella trasferibilità della quota di partecipazione alla società. Nelle società di persone la propria quota non può essere trasferita ad altre persone se non c’è il consenso degli altri soci. Nelle società di capitali, al contrario, il trasferimento è possibile anche senza il consenso degli altri soci. La scelta del tipo di società Da quanto detto nel paragrafo precedente emerge che ogni tipo di società costituisce una risposta a esigenze diverse. Le società di persone, in linea di massima, sono società fondate sulla fiducia reciproca 3 10 Fattori della produzione. Impresa e imprenditore: profilo economico e giuridico tra i soci mentre un tale rapporto non è fondamentale nelle società di capitali. Nelle società di persone, infatti, ogni socio, in quanto tale, è amministratore, ha cioè il diritto di gestire la società e questo, se non c’è un forte rapporto di fiducia tra i soci, può essere fonte di accesi contrasti anche perché, di fronte ad una gestione inefficiente, le perdite sono subite da tutti per effetto della responsabilità patrimoniale illimitata. Al contrario, le società di capitali hanno il privilegio della responsabilità patrimoniale limitata ma sono in genere assoggettate a procedure formali che comportano costi e tempo. Le decisioni della società per azioni, ad esempio, devono essere prese in assemblee convocate in modi espressamente disciplinati dal legislatore che comportano spese e dispendio di tempo. L’impresa sociale Di recente, il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento un ulteriore soggetto nell’area del no profit, le cosiddette imprese sociali, cioè imprese che svolgono attività economica organizzata ed esercitata professionalmente al fine della produzione di beni e servizi; attività, questa, che non sia diretta (solo) alla realizzazione di un utile privato, cioè, a favore dell’imprenditore, ma anche e soprattutto al perseguimento di scopi socialmente rilevanti, quali il perseguimento di attività culturali, benefiche o comunque dirette alla tutela di soggetti svantaggiati. Si tratta, dunque, di attività che possono essere espletate anche a fini solidaristici, cui può o meno accompagnarsi il perseguimento di un profitto. L’impresa sociale, vale a dire il modello imprenditoriale introdotto dal d.lgs. 155/2006, è stato individuato dal legislatore italiano per offrire al “terzo settore” uno strumento operativo economico volto a perseguire fini di utilità sociale. Di seguito, le norme principali contenute nel decreto. ARTICOLO 1 (NOZIONE) 1. Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4. 2. Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche 4 indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi non acquisiscono la qualifica di impresa sociale. 3. Agli enti ecclesiastici e agli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese si applicano le norme di cui al presente decreto limitatamente allo svolgimento delle attività elencate all’articolo 2, a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di scrittura privata autenticata, che recepisca le norme del presente decreto. (omissis…) ARTICOLO 2 (UTILITà SOCIALE) 1. Si considerano beni e servizi di utilità sociale quelli prodotti o scambiati nei seguenti settori: a) assistenza sociale, ai sensi della legge 8 novembre 2000, n. 328, recante legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; b) assistenza sanitaria, […]; c) assistenza socio-sanitaria, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 14 febbraio 2001,[…] d) educazione, istruzione e formazione,[…] e) tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, […] f) valorizzazione del patrimonio culturale,[…] g) turismo sociale,[…] h) formazione universitaria e post-universitaria; i) ricerca ed erogazione di servizi culturali; l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo; m) servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al settanta per cento da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale. 2. Indipendentemente dall’esercizio della attività di impresa nei settori di cui al comma 1, possono acquisire la qualifica di impresa sociale le organizzazioni che esercitano attività di impresa, al fine dell’inserimento lavorativo di soggetti che siano: a) lavoratori svantaggiati […]; b) lavoratori disabili[…]. 3. Per attività principale ai sensi dell’articolo 1, comma 1, si intende quella per la quale i relativi ricavi sono superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale. […] 4. I lavoratori di cui al comma 2 devono essere in misura non inferiore al trenta per cento dei lavoratori impiegati a qualunque titolo nell’impresa; la relativa situazione deve essere attestata ai sensi della normativa vigente. 5. Per gli enti di cui all’articolo 1, comma 3, le disposizioni di cui ai commi 3 e 4 si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui al presente articolo.