PARCO FLUVIALE
RIOLO TERME
acid
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muf
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frogs
24-27 AGOSTO 2016
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VENTITREESIMA EDIZIONE
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2016
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FROGSTOCK
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n
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anne
moreno
frogs uno
frogs
anno ventunesimo
(ventitreesimo di Frogstock)
a cura di
CLIPS RAG & ROCK
CENTRO GIOVANI
Via Gramsci, 13
48025 Riolo Terme (RA)
www.frogstock.it - [email protected]
redazione e public relations
Iacopo Battilani
Aris Collina
Luca Cavallari
Mattia Grandi
Beatrice Laurita
Maria Chiara Leoni
Cristiano Malavolti
Claudio Malvezzi
Davide Marani
Myriam Massicci
Michael Mengozzi
Maria Giovanna Mingotti
Alfonso Nicolardi
Marco Paiano
Matteo Pasini
Paride Ridolfi
Filippo Sangiorgi
Nicola Sangiorgi
Lorenzo Santandrea
Luca Soldano
Flavio Tagliaferri
Mattia Tampieri
Melania Tigrini
Mirco Tigrini
Iarvi Timoncini
Sara Venturini
Aurora Visani
Marco Zama
illustrazione in copertina
ANDREA RIVOLA
grafica e impaginazione
Paride Ridolfi
distribuzione
gratuita
LIFE IN TECHNICOLOR
In 23 anni sono state scattate decine di migliaia
di foto a Frogstock, ma questa a mio avviso testimonia al meglio lo spirito della manifestazione. La tenda simbolo d’avventura e precarietà,
le maglie stese come segno di appartenenza
e sudore, la corda inclinata a sorregger le vele
di un fantasioso vascello pirata, pirata come
la rana che ci rappresenta. Era il 1994, prima
edizione, noi carichi a balestra a confidare nelle nostre maglie da diecimila lire per pagare i
costi della manifestazione. Ci abbiamo creduto
e ci crediamo ancora regalando e regalandoci,
da oltre due decenni, esperienze delle quali conserveremo caramente ogni ricordo. Nei
quattro giorni della manifestazione si condensa tutta la nostra determinazione, soprattutto
quella dei tanti “girini” ora divenuti ranocchi
a pieno titolo: un’avventura alla ricerca di un
tesoro che altro non é che la nostra stessa
vita. Una vita della quale vogliamo esplorare suoni e colori, ma soprattutto emozioni da
condividere insieme. A proposito di colori, notato qualcosa di nuovo nel ventunesimo Frogs?
Paride Ridolfi
P.S. Anche quest’anno alzeremo un po’ il volume per
essere certi che tu ci senta da lassù.
frogs due
frogs tre
DUEMILASEDICI
PARCO FLUVIALE
PROGRAMMA
INGRESSO
GRATUITO
SPEED STROKE
www.frogstock.it
RIOLO TERME
Stand Gastronomico
“Traditional Fast Food”
Grapperia “Kill the Coffee”
Cocktails e after show al
Joker Disco Bar
Red Bull lounge
Area Bimbi by Zerocento
Rock Camp Gratuito
Artigianato Locale
Alcool test by Ser.T Faenza
MERCOLEDI’ 24 AGOSTO
ANNE BONNY
WAITING FOR TITOR
APERTURA ORE 19:00 - AFTER SHOW @ JOKER BY DJ BACCO
GIOVEDI’ 25 AGOSTO
COFFEESHOWER
ACID MUFFIN
IL TEATRO DEGLI ORRORI
APERTURA ORE 19:00 - AFTER SHOW @ JOKER BY DJ MASSIMO VOLTI - DJ IACOPO BATTILANI
VENERDI’ 26 AGOSTO
DEREK ISDEAD
ROYAL BRAVADA
TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI
APERTURA ORE 19:00 - AFTER SHOW @ JOKER BY DJ PICCIO - DJ MALVA
CLIPS RAG & ROCK
CENTRO GIOVANI
SABATO 27 AGOSTO
CELEB CAR CRASH
ERICA MOU
I MINISTRI
APERTURA ORE 19:00 - AFTER SHOW @ JOKER BY DJ MASSIMO VOLTI - DJ IACOPO BATTILANI
frogs quattro
C’è sempre qualcosa di cui essere grati. Non essere così pessimista se ogni tanto le cose non
vanno come vorresti. Sii sempre riconoscente per gli affetti e le persone che già hai vicino a
te. Un cuore grato ti rende felice.
(Buddha)
Impariamo a dire “Grazie”, a Dio, agli altri. Lo insegniamo ai bambini ma poi lo dimentichiamo!
(Papa Francesco)
Dimenticate le ingiurie, non dimenticare mai le gentilezze.
(Confucio)
Abbiamo scomodato nomi importanti per i nostri ringraziamenti edizione 2016, anno ventitreesimo di Frogstock: che le nostre parole di gratitudine arrivino alle vostre orecchie, nelle vostre
case, dentro il vostro cuore! Grazie, grazie alle istituzioni, alle associazioni, ai commercianti riolesi e non. Grazie ai volontari, ai ragazzi della CLIPS RAG & ROCK, alla Pro Loco di Riolo Terme,
all’Avis, Aido, Arci, Ippoverde. Grazie ai ragazzi dei Winter Bikers, all’Associazione Alpini, alla
Protezione Civile.
Grazie a tutti!
frogs cinque
un doveroso grazie
frogs sei
Una cornice storica, una cucina artigianale,
prodotti del territorio appassionatamente ricercati.
950 vini - 150 birre - 70 distillati
Piazza Mazzanti, 2 - Riolo Terme (RA)
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Fax. 0546.74384
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E ho realizzato quanto il mondo
ne sia pieno, di idioti.
L’insensata crudeltà degli idioti.
L’insensata ignoranza degli idioti.
L’insensata esistenza degli idioti.
Vuoti, inutili, dannosi, pericolosi,
idioti.
“Volete vivere male
Volete vivere troppo.”
Ma fino a quando conosceremo
i nomi di tutti i personaggi delle
serie tv senza sapere chi fosse
Peppino Impastato, fino a quando
dipingersi le unghie sarà più appassionante che leggere un libro,
fino a quando continueremo a
nascondere la testa sotto la sabbia, costruendo tra noi e il mondo
muri di menzogne e suoni che ci
impediscano di udire il fragore
delle bombe e le urla di terrore,
fino a quando saremo tutti così
dannatamente codardi e idioti,
potremmo noi forse considerarci
meno idioti?
“Tifosi della fine
Rovina del buonsenso
Gramigna dei balconi
Squali da cortile.”
Idioti che per ignoranza e per
paura credete che la soluzione
sia costruire muri.
Idioti che volete pensare che gli
ospedali di Emergency siano stati colpiti per sbaglio. Che credete
davvero che le missioni di pace
servano in effetti a portare la
pace. Che credete davvero che la
pace si possa creare con le armi.
Poveri stupidi idioti.
Volevo avere l’illusione di far parte di una generazione che lotta,
che crede in qualcosa e si batte
per ciò in cui crede.
Me l’avete distrutta, idioti.
Volevo continuare a credere nella politica e nelle istituzioni. Ma
cosa è rimasto di quella meravigliosa creatura che era la democrazia? Non è che una marionetta manovrata da idioti.
Volevo vivere con la certezza che
avrei lasciato ai miei successori
un mondo più verde ed equo.
IDIOTI
frogsfrogs sette
C’è stato un giorno in cui ho capito che la musica serve anche e
soprattutto per attizzare le braci
di odio e rancore represso che
brillano dentro ciascuno di noi.
Quel giorno stavo ascoltando
“Idioti” dei Ministri.
“Ci trascinate giù con voi”
No, non ci trascinerete giù con
voi.
E’ forse questo il più grande errore che facciamo e che ci rende tutti, alla fine dei conti, idioti:
procrastiniamo,
rimandiamo,
rimettiamo ai posteri i cambiamenti più drastici, le decisioni
più scottanti, senza renderci
conto che il momento giusto per
lottare e mettersi in gioco è ora.
E’ facile cullarsi nella convinzione che siamo circondati da idioti
e che i cambiamenti debbano
venire dall’alto, autoconvincendoci che le nostre piccole azioni
non contino niente.
Lasciamo agli idioti le certezze
che sia tutto inutile.
Io credo ancora nel coraggio del
singolo, che diventa forza nel
gruppo e che, grazie al gruppo,
diventa valanga e cambiamento.
Beatrice Laurita
frogs otto
l’onda torna sempre
rivoluzione permanente
Non sarà il resoconto di un
naufragio. Perché anche le
battute d’arresto, le cadute,
sono impermanenti e hanno
una funzione compositiva nel
disegno del tutto. Come l’attimo fuggente e senza fine in cui
l’andirivieni dell’onda si immobilizza. C’è un arresto. Una
sospensione. Un tempo morto.
L’arresto é cerniera connettiva
di tutto il movimento, del Tutto
in movimento. C’é sempre un
impercettibile indugio tra l’andare e il tornare. Tra lo sporgersi e il ritirarsi. Tra l’aprirsi e
il chiudersi. Tra scorrere verso
l’esterno o ripiegare verso l’interno. Nell’attimo del passaggio, quando la rotta si inverte,
si accede ad una dimensione
altra. Il tempo in questa zona
franca non è più una convenzione che struttura e misura
l’Infinito: si percepisce di essere in un luogo indefinito, illimitato. Emerge il sentimento
sferico che accompagna ogni
evento naturale. Il mio nuovo
sguardo si posa e rilegge tutta
la storia...
L’onda è stazionaria. Un nodo
irrisolto nel cuore. Non ci sono
risposte. Tutto è indecifrabile.
C’è silenzio... Ma non é il silenzio di un ritiro, di un’assenza, di un vuoto. È il silenzio di
un qualcosa che è rimasto in
sospeso. Emozione irrisolta,
trattenuta, soffocata. Ingom-
brante, ossessiva, presenza
incorporea. Questo silenzio è
un attentato mentale al fluire
innocente della vita. Non ci
sono risposte. Vivo da tempo
questa tormentosa sospensione. Dunque vivo l’emergenza
stazionaria dell’onda che si
ferma. Poi vivo la dispersione
totale dell’onda che si smarrisce nella sabbia. Dissolvo la
curva del mio slancio. Muoio.
Sì, l’esistenza oscilla perpetuamente. Non è comodo né
rassicurante vivere nei suoi
mobili confini ma è lì che si
gioca la partita, quella più
esaltante. L’onda non si sofferma sulle nostre misere elucubrazioni. Ciò che non abbia-
mo compreso, non l’abbiamo
compreso. Punto. Ciò che non
è stato integrato, non è stato
integrato. Punto. Essa fa il suo
lavoro. Imperturbabilmente
assidua. Incessante... Sono
qui, sul margine indefinito di
una zona franca. Non ancora
tornata a fondermi nel grande
mare. Non più dissolta e desolata, nella sabbia, come un
secco relitto. Vorrei prendere il
largo e liberarmi una volta per
tutte... ma c’è ancora qualcosa
che mi trattiene. O qualcuno.
Meglio dire l’ombra di qualcuno. La tua ombra. Prima o poi
i conti tornano. Dico questo
come se fosse una scoperta
recente, una primizia. Perché
quando attraversi il Caos nessuna certezza rimane salda,
anche le grandi leggi generali
si sovvertono. Nulla regge alla
tempesta che si abbatte. Nulla
resta in piedi: tutto torna alla
terra scura e fertile. Il bene
non resiste al male. La luce
precipita nelle tenebre. L’amore non sopravvive alla crudeltà. Le onde vanno e vengono.
Cos’è mio? Cos’è tuo? Perchè
dovrei perdere ciò che non
voglio perdere, se questo è
essenziale e prezioso per il
mio esistere? Come trattenere
qualcosa di così effimero che
non appartiene a nessuno, né
a te, né a me? L’onda dell’esistenza, anche se sembra riti-
rarsi e scomparire, ha lasciato
una traccia del suo passaggio.
È quella traccia che fa la differenza. Io l’ho assorbita, mi
sono fatta attraversare. L’ho
accolta, nutrita e generata con
il mio sangue e la mia linfa. È
diventata la mia carne e le mie
ossa. Essa vive in me. Ha preso corpo, consistenza materica. Il gesto che ti offro è parte
di un tutto che mi appartiene e
scorre verso di te come un’onda coraggiosa che si è appena
distaccata dal mare. Oscillo
all’esterno, verso di te, per inseguire un sogno. Poi di nuovo
scorro verso il mio centro, mi
raccolgo. Non esisti più. Forse non sei mai esistito. Amo,
come fa l’onda, il pericolo di
perdermi. Amo il mio nemico
perché non gli riconosco il potere di distruggermi. Lo amo
prima della catastrofe. Credevo di essere così arrendevole e
cedevole da essere indistruttibile... come l’onda. E poi ero
certa che la bellezza potesse
fermare il nemico. La bellezza
del cuore intendo. Anzi, la potenziale bellezza del tuo cuore
riflesso nel mio e attivata. Che
idiozia. Che sbaglio tremendo. Tutte queste isole puerili
spazzate via dalla tempesta.
La mia nave è affondata con il
suo prezioso carico di sogni...
È la sete di avventura che fa
fremere ogni piccola onda. È
frogs nove
... prima o poi
l’esaltante sete di libertà del
volo che la spinge a sfidare la
forza di coesione dell’acqua.
Come si fa a considerare questo slancio felice un suicidio?
Come si fa a non includere il
rischio e il pericolo di perdersi
e autoannullarsi nell’andirivieni dell’esistenza? Come si fa a
non vivere? Come si fa a non
essere una piccola intrepida
onda? Sono tornata... Grande
Mare!
Bentornata... Piccola Onda!
Racconto dedicato a mia figlia,
alle mie sorelle lontane e alle
mie amiche vicine.
Myriam M.
frogs dieci
Caroli Giovanni
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Sedar CNA Servizi
psichedelico: proprio in quel tempo, in quel
luogo, dove sembrava che un battito d’ali di
farfalla potesse causare un terremoto, dove la
sensibilità dell’essere era al di sopra di tutto.
Presero forma una miriade di gruppi, tra cui
i Jefferson Airplane che, dopo essere venuti
alla ribalta commerciale con una voce senza
tempo come quella di Grace Slick e il brano
“Somedody to love”, ma il Gruppo con la lettera maiuscola, la formazione più funambolica, i veri apostoli lisergici a mio avviso furono
Jerry Garcia e il suo gruppo, i Grateful Dead.
“Il morto riconoscente “, questa la traduzione del nome, nato da una leggenda dove un
viandante trova per la sua strada un cadavere
non sepolto e, provvedendo alla sua inumazione per pietà, sarà poi ripagato dall’anima
del morto stesso …. Che sia forse per questo
che nonostante provengano dal genere folk/
bluegrass hanno ricevuto il dono del loro stile
smontando e rimontando i vari generi allora
conosciuti, ricomponendoli in un suono unico?!! Se ascolti le infinite scale ascendenti e
discendenti del suo chitarrista Jerry Garcia e
chiudi gli occhi, sembrano un vortice, quasi
che il toccare le corde della chitarra sia un
continuo di una sinapsi intrecciata con uno
scambio neurotico degenerato. Fuori da ogni
schema di marketing, esistono pochi album
registrati in studio: loro vivevano di concerti
dove, essendo particolarmente dotati, suonavano liberi improvvisando come la migliore
scuola jazz. Ogni musicista aveva il suo percorso ma nonostante ciò gli strumenti dialogavano gli uni con gli altri e le parole raccontavano sogni, visioni. Sono riusciti a mettere
in musica gli stati alterati della mente con
gli stati alterati della società: i loro concerti
erano dei veri e propri viaggi espressamente
soli insieme agli altri, liberi nel proprio individualismo di stare insieme ponendo come fine
della libertà artistica la non invasione dello
spazio di un altro. Il brano a cui sono più affezionato è “Dark Star”, brano live della durata
di 23 minuti .. il buco nero.. la stella oscura
dove la sua immensa luce ti porta al buio perché l’accecante mette in linea gli opposti, le
chitarre di Garcia sono un sali e scendi: una
quintessenza della psiche umana tradotta in
musica.
Luca Soldano
frogs undici
“Meglio dormire libero in un letto scomodo
che dormire prigioniero in un letto comodo”
così scriveva Jack Kerouac nel suo capolavoro letterario “On the Road” manifesto della
beat generation. Stati Uniti, seconda metà
degli anni ‘60, piena guerra in Vietnam, movimenti pacifisti, esperimenti lisergici del dottor
Hoffman, clima californiano, mare-caldo-sole e, come citato sopra, poeti e scritti della
beat generation come Ginsberg, Burroughs.
Furono questi gli ingredienti alchemici nel distretto di Haight-Ashbury (San Francisco) che
portarono alla nascita del movimento hippie,
alla Summer of Love. Ammetto che è uno dei
movimenti a cui sono più legato, anzi è un
faro della mia esistenza perché c’era l’esaltazione di una delle condizioni più importanti
dell’essere umano: la libertà che si poteva
avere, aveva come limite l’inizio della libertà
di un altro individuo. In questo periodo si promulgava l’amore per il prossimo, la fratellanza e i loro messaggi erano di rispetto, amore
e concordia. Ma volendo parlare di musica (e
non uscire fuori dal seminato), questo periodo storico diede alla luce l’acid-rock o rock
POWER
OF
FLOWER
frogs dodici
Mangiare è uno dei quattro scopi della vita… quali siano gli altri tre, nessuno l’ha mai saputo.
(Proverbio cinese)
Ecco cosa potrete trovare dalle ore 19.00 allo stand gastronomico di Frogstock:
TORTELLI BURRO E SALVIA E AL RAGÙ
GRAMIGNA PANNA E SALSICCIA
PIADINA FARCITA
TIPICA FICATTOLA FARCITA
SALSICCIA E PATATE
I NOSTRI FRITTI: RANE, POLLO E PATATINE
BIRRE FORST: KRONEN - SIXTUS - WEIHENSTEPHAN HEFE
E NON FINISCE QUI !
Nell’area concerti, potrete trovare lo spazio bimbi gestito dalla Cooperativa
Sociale Zerocento e un campeggio gratuito gestito dalla Protezione Civile per chi
preferisce fare un riposino prima di guidare. Vivi Frogstock responsabilmente!
frogs tredici
Frog’s gourmet
frogs quattordici
COME
Oggi è quel giorno in cui tutto mi aiuta a
buttare giù il mio nuovo articolo per il Frogs 2016. Quasi come un appuntamento
calendarizzato da tempo –ti ricordi vero
che mi hai promesso di non mancare?!mi fermo e metto ordine alla galassia
dei pensieri che riempiono la mia mente.
Non è facile farlo perché, non posso nasconderlo, tutti i giorni c’è chi – meglio o
peggio di me, questo sta a voi deciderlo –
esterna ciò che pensa con un cinguettio,
un post o un nuovo contributo sul proprio
blog mentre io, quasi ne fossi dipendente,
sfrutto quest’unica occasione mediatica
per regalarmi un piccolo attimo di celebrità (e di condivisione come dite voi gggiovani). Partiamo da una frase che mi ha
colpito: la vita non ci appartiene, ci attraversa* e per questa strana ragione parlare di qualcosa di proprio, della propria
opinione, della propria vita assume un
significato tutto nuovo. Parlare di me, dei
miei sogni, dei miei obiettivi, dei miei rimpianti, delle cattive decisioni sa di strano
perché se credo davvero che la vita non
mi appartenga, significa che non ho nulla
se non un’effimera idea di possesso e di
potere decisionale su quella che è la mia
permanenza qui sul Pianeta Terra. Non
mi addentro su altri piani, personali e di
significato ben più ampio e non consoni
ad una fanzine di un festival musicale,
però pensiamoci un attimo, discutiamone
insieme. Qual è il significato che attribuiamo alla parola “vita”? Che cosa mi fa
dire che sto vivendo la mia vita? E come
la vorrei questa vita? Che cosa faccio per
dare senso alla mia vita? Ecco, è partita la
costellazione “senso profondo delle cose
– senso filosofico – dare un senso – etimologia”. STOP. Fermati. Non voglio approfondire questo, vorrei semplicemente
prendermi qualche cosa da bere e discutere con altri, anche sotto al bar, anche
nei tavoli dello stand di Frogstock, questa cosa della vita e del fatto che non mi
appartiene, ma che mi attraversa. Quasi
fossi un albero in mezzo ad un campo e
un fulmine decide di scaricare tutta la sua
potenza elettrica partendo dalla mia cima,
attraversando tutto il mio fogliame, i rami,
il tronco ed infine le radici per esaurirsi
nel terreno. Che poi, per dirla tutta, a me
piacerebbe essere una quercia secolare perciò farebbe anche troppo in fretta
questa folgore ad attraversarmi (sarei una
quercia bassa, doh!) perciò no, così non
può andare. Devo trovare un’altra immagine esplicativa. Forse quel “ci attraversa”
cerca di condensare insieme le diverse
esperienze che accumuliamo nella nostra
esistenza e che ci fanno sentire vivi ma
proprio perché fatti di finitudine, restano
attaccate alla nostra pelle il tempo necessario ad esaurirsi. L’ansia prima dell’ultimo esame all’università a un passo dalla
tesi (che poi diventa il primo colloquio di
lavoro, la prima volta che parli davanti ad
un pubblico: tutte ansie ma ognuna con
il suo perché). L’attesa di una chiamata
via Skype proveniente dall’altra parte del
mondo dalla tua metà di mela che si trasforma in un sorriso non appena riuscite
a collegarvi (il concetto di metà è sì di
Platone e si trova nel suo Simposio, ma
vi consiglio la reinterpretazione artistica
contenuta in “Tre uomini e una gamba”.
Più divertente, vero?). La gioia di stringere per la prima volta tra le braccia mio
nipote Ariele (c’è ancora adesso ma ogni
volta è nuova, diversa da quella originale). Ci sarebbero altri mille e più esempi,
ma tutti mi porterebbero a dar fondamento al concetto precedente con un nuovo
occhi. Non ho mai pensato di guardare
nel cuore della gente, la guardavo solo in
faccia.”** Scout si riferiva a qualcosa di
lontano nel tempo, alla segregazione razziale, alle discriminazioni ma poi però, se
ci penso bene e collego le sue riflessioni
a quelle contenute in Viva cantata dagli
Zen Circus sul palco di Frogstock 2014,
ecco che “e gli altri siamo noi, e gli altri
siamo tutti. E proprio questo mi spaventa,
siamo diventati brutti”***, non sembra poi
così lontano nel tempo. STOP. È partita di
nuovo un’altra costellazione, quella dei
muri, del diverso, della speranza che c’è
da qualche parte una mano che ne afferra
un’altra, e c’è da qualche parte una vita
che ne salva un’altra****. Mannaggia, mi
rendo conto che una sola frase, piccola
banale breve semplice, come la vita non
ci appartiene, ci attraversa, diventa così
frogs quindici
LA VITA
aspetto che non avevo preso in considerazione: queste esperienze restano attaccate alla mia pelle fino a quando non si
esauriscono non perché perdono senso
ma si trasformano in altro. Ecco che il
concetto di “attraversamento” assume
un colore nuovo, più cool, meno original
più X-Pro II (per dirla con Instagram). Allora questa idea di non appartenenza ma
di attraversamento mi piace già un po’ di
più, perché non perdo ciò che ho vissuto,
ne faccio tesoro dandogli una sfumatura
più viva. Solo che ora mi assale un dubbio: e se questa sfumatura che gli do è
viziata da altro? Da qualcosa di negativo? Come faccio a capire che non sono
diventata cieca? Come faccio a capirlo?
Mi sembra di essere Scout, il personaggio
di Harper Lee, quando dice “Cieca, ecco
quello che sono. Non ho mai aperto gli
tutto di un tratto una riflessione pesante
e difficile da arginare, in continua metamorfosi come la vita stessa: e pensare
che la paragonavo ad un “Ciao, come
stai?”, senza rendermi conto del potere
deflagratore nascosto dietro e dentro le
parole! Meglio fermarsi, coccolarsi delle
certezze e di ciò che facciamo usando il
nostro cuore. Penso subito a Frogstock:
noi lo facciamo con il cuore ma non per
questo appartiene ai suoi volontari o alle
persone che vengono a cantare, mangiare, ballare, divertirsi. Frogstock, come la
vita, ci attraversa e, se saprete mettere le
giuste lenti ai vostri occhi o insegnare alla
vostra pelle a riconoscere le emozioni,
vedrete che si attaccherà a voi e non ne
potrete più fare a meno. Vi aspetto!
* Niccolò Ammaniti, Anna, Einaudi, 2015
** Harper Lee, Va’, metti una sentinella, Feltrinelli, 2015
*** The Zen Circus, Viva, da Canzoni contro natura, La Tempesta Dischi, 2014
**** Nicolò Carnesi, La rotazione, da Ho una galassia nell’armadio, Malintenti Dischi, 2014
Melania Tigrini
frogs sedici
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Via Pisacane, 71 - IMOLA
Tel. 0542.23945
Era il 1791 quando Olympe de Gouse
rivendicò il suo diritto di voto e la piena uguaglianza fra donne e uomini. Le
donne come lei, pur partecipando alla
Rivoluzione Francese, erano escluse da
ogni diritto. Olympe sosteneva che “se la
donna ha il diritto di salire su patibolo,
deve avere altresì il diritto di salire alle
più alte cariche”. Il secondo diritto non
lo ottenne ma fece esperienza del primo
e ben presto fu ghigliottinata “perché si
era dimenticata le virtù che convengono
al suo sesso e per essersi immischiata
nelle cose della Repubblica”. Negli anni
in tante, come le suffragiste europee ed
italiane e le numerose intellettuali femministe, hanno condotto lunghe battaglie e hanno continuato a lottare sulla
scia di Olympe. Così, in Italia, la mattina
del 2 giugno di 70 anni fa (e prima alle
amministrative del 10 marzo dello stesso anno) le donne, uscendo di casa per
recarsi ai seggi e compiendo una rapida
deviazione rispetto al tragitto giornaliero
che le conduceva al mercato, alla chiesa, alla scuola dei figli, uscirono anche
dall’unica dimensione di mogli e madri
imposta dal regime fascista e da tanti
secoli di storia e, in fila, fianco a fianco
con gli uomini, diventarono cittadine ed
espressero la loro opinione con il voto.
Portavano l’abito bello delle occasioni
importanti e nel cuore l’energia e la gioia di una guerra appena conclusa grazie
anche al loro contributo alla Resistenza e
alla vita civile. Quel giorno, al referendum
fra Monarchia e Repubblica, l’affluenza
fu superiore all’89%. Forse oggi, in un
periodo di disaffezione dalla politica,
dovremmo tornare a votare con la loro
stessa emozione, con il tremore di Clelia
Manello, maestra e staffetta partigiana
modenese che racconta: “la mia prima
esperienza in fatto di voto fu un’emozione incredibile: mi tremavano le mani,
le gambe, le braccia, non sapevo come
reggere mio figlio, avevo timore di sbagliare, di sporcare la scheda, di rendere
nullo il mio primo, importantissimo, utilissimo voto”; o di Anna Banti, scrittrice:
“Quanto al ‘46 e quel che di importante
per me ci ho sentito, dove mai ravvisarlo
se non in quel 2 giugno che, nella cabina
di votazione, avevo il cuore in gola, avevo paura di sbagliarmi fra il segno della repubblica e quello della monarchia?
Era un giorno bellissimo [...]. Quando i
presentimenti neri mi opprimono penso
a quel giorno e spero.”Dal 2 giugno ‘46,
giorno nel quale furono elette anche 21
donne all’Assemblea Costituente (insieme a 535 uomini), a oggi sono stati fatti
tanti passi avanti, ma abbiamo dovuto
aspettare il 1981 perché fossero abrogati il cosiddetto “matrimonio riparatore” e
il “delitto passionale” e il 1996 perché lo
stupro diventasse reato contro la persona e non contro la morale. Se oggi abbiamo leggi che stabiliscono una piena
uguaglianza fra donne e uomini resta
però molto da fare sul piano culturale e
nelle relazioni in famiglia. Ricordo inoltre la tragedia dei femminicidi: sono 55
quelli compiuti nei primi cinque mesi
del 2016. Circa una volta ogni 3 giorni
una donna viene uccisa dal proprio marito, dal proprio fidanzato o ex che non
riesce a accettare i suoi “no”, a riconoscerla come soggetto suo pari e non di
suo possesso. Nel nostro piccolo paese
si potrebbero fare molte cose che non
risolverebbero di certo il problema del
femminicidio, al quale servono percorsi
educativi sia familiari che sociali molto
integri e rivolti al rispetto e alla libertà
della persona, però possono contribuire a un cambio di mentalità favorevole
a tutte e a tutti. Ad esempio ho un piccola proposta. Se ho fatto bene i conti a
Riolo su 91 vie, parchi, piazze dedicate
a persone solo 5 sono intitolate a donne (esattamente via Giovanna Alvisi, via
Suor Lucia Noiret, via Rosa Tacconi, piazzetta Caterina Sforza e parco Francesca
Tosi). Ma le donne che hanno contribuito
alla storia del nostro Paese sono molte
di più e sono presenti in tutti gli ambiti
del sapere, come Rita Levi-Montalcini
(premio Nobel per la Medicina), Margherita Hack (astrofisica), Grazia Deledda
(premio Nobel per la Letteratura), Maria
Montessori (scienziata e pedagogista),
Nilde Iotti (politica), Artemisia Gentileschi (pittrice), Elena Lucrezia Cornaro
(prima donna laureata al mondo!)...ecc...
Perchè non riconoscere la loro importanza fra le strade del nostro bel paesino?
Penso che questo potrebbe essere utile
sia per mostrare modelli positivi e tostissimi di donne con le quali identificarsi,
sia per il riconoscimento collettivo del
valore delle donne, per la considerazione del femminile e per creare maggiore uguaglianza, perché in fondo, come
disse William Shakespeare, riprendendo
il racconto biblico della Creazione, “la
donna uscì dalla costola dell’uomo, non
dai piedi per essere calpestata, non dalla
testa per essere superiore ma dal lato,
per essergli pari”, fianco a fianco.
Maria Giovanna Mingotti
frogs diciassette
UNA VIA PER LE DONNE
frogs diciotto
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In Italia, ogni anno, ci sono centinaia di concerti: cantanti, band
italiane e di tutto il mondo che si esibiscono da nord a sud in
ogni periodo dell’anno. Palazzetti, teatri, piazze, stadi o locali:
volendo si potrebbe andare ad un concerto diverso al giorno.
Purtroppo, però, la musica costa cara, soprattutto se si considerano band che hanno fatto la storia o da mainstream. Per
risparmiare si possono scegliere band emergenti, ma se si sommano tutti i concerti ai quali si può assistere in un anno la cifra
non è di certo indifferente. Se poi si considerano le esibizioni
all’estero, allora il budget necessario per prendervi parte inizia
davvero a lievitare: aereo, treno, autostrada, hotel e soggiorno.
Come fare perciò per continuare ad alimentare la musica sen-
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za fare un mutuo? Noi di Frogstock Festival sappiamo quanto
sia importante e, passatecelo, obbligatorio poter partecipare
almeno ad un concerto all’anno. Fin dalle primissime edizioni
abbiamo scelto la formula dell’ingresso ad offerta libera perché
crediamo che chi, come noi, ama la musica avrà il buon cuore
di lasciare un’offerta all’ingresso e garantire così l’edizione successiva senza biglietto. Basta davvero poco: l’euro di un caffè,
i due euro del carrello della spesa, i 50 cent che vi girano nella
borsa. Ogni offerta è per noi importante: partecipa anche tu al
successo di Frogstock Festival!
LO STAFF
frogs diciannove
LIBERI DI OFFRIRE
frogs venti
DUEMILASEDICI
ANNE BONNY
Gli Anne Bonny nascono a Imola nel marzo del 2013: Caterina Conti (voce e chitarra); Arianna Albertazzi (batteria) Francesco Ottaviano (basso) e Fabio Mazzini (chitarra), proponendo inediti a metà tra Alternative Rock, Grunge e Stoner cominciando
ad esplorare sonorità nuove ispirandosi a band come Audioslave, Queen Of The Stone Age, Incubus e Motorpsycho. Nell’Aprile 2014 vincono il Ca’Vaina Video Contest
realizzando il primo videoclip della canzone Beauty Lies Within e a Luglio il Ganesh
Music Contest che gli permette di suonare all’Indigest Festival. A fine luglio 2014 gli
Anne Bonny partono per un minitour in Germania. Nel 2014 registrano un EP di 5
pezzi chiamato “Anne Bonny”.
WAITING FOR TITOR
Rock, sintetizzatori, orchestrazioni, sound emozionale. Questa è la proposta dei Waiting for Titor, band che riunisce membri di Feaenza e Manchester e che si ispira ad
artisti internazionali come NIN, Depeche Mode, Sigur Ross e Massive Attack. Nato
dalle ceneri degli allora Convergence con l’aggiunta di nuovi elementi, il gruppo ha
all’attivo un singolo: una personale reinterpretazione elettrorock della canzone dei
Massive Attack ‘’Teardop’’, presente su tutte le piattaforme e store digitali online.
La band sta attualmente lavorando sul disco di esordio che verrà presentato questo
autunno. Signore e signori ecco a voi Alex, Massimiliano, Michele e Vincenzo: buon
ascolto e rock on with Waiting for Titor!
SPEED STROKE
Gli Speed Stroke sono una Rock n Roll band italiana, nata nel 2010, con all’attivo
non solo album di gran valore, ma anche collaborazioni internazionali: ne hanno
fatta di strada dal loro primo debutto e sembrano non aver intenzione di fermarsi
qui. 4 anni di tour in lungo e in largo per tutto lo stivale e non solo, almeno 200
concerti dove hanno avuto la possibilità di esibirsi con artisti come Shameless/
Tuff, Labyrinth, Sister, Tigertailz, Kissin’ Dinamite, Pino Scotto, Confess, Living Dead
Lights, Hardcore Superstar e i grandiosi STEEL PANTHER. Nel Marzo del 2016 esce
per Bagana Records il loro nuovo album “Fury” che potete ascoltare sul palco di
Frogstock. Mani al cielo e rock’n’roll!
INGRESSO GRATUITO - APERTURA ORE 19:00 - AFTER SHOW @ JOKER BY DJ JOKER BY DJ BACCO
frogs ventuno
mercoledì 24 agosto
frogs ventidue
Cartongesso e Resine Decorative
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DUEMILASEDICI
COFFEESHOWER
I Coffeeshower sono una punk rock band nata a L’Aquila nel ‘99 dall’incontro di Pier, Eddie
e Fausto. Il loro debutto autoprodotto “A Product For The Youth Development” del 2001 dura
pochi mesi, ma nel 2004 l’etichetta Nh-N Records pubblica uno split-cd intitolato “Split by
Side” e inizia la collaborazione con i “Dependent” e i “Belvedere”. Dopo l’abbandono di Eddie
i Coffeeshower tornano nel 2006 con pezzi dal suono più maturo e pubblicano il nuovo singolo “Black Tie”. Nel 2013 esce il nuovo album compilation “The Glory Years”che celebra i loro
15 anni di carriera e tanti concerti in Italia e in Europa. A novembre 2015 esce per Ammonia
Records il nuovo album intitolato “Houses”, prodotto da Daniele Brian (produttore rock).
ACID MUFFIN
Il progetto “Acid Muffin” nasce nell’ottobre del 2010 da Marco Pasqualucci, (batterista), Andrea Latini (cantante e chitarrista) e, più tardi da Davide Villa e Matteo Bassi (bassisti) per
favorire una crescita musicale della band. Inizialmente in duo acustico gli “Acid Muffin”
riscuotono successo sin dai primi live, proponendo un rock sperimentale e melodico, influenzato dalle sonorità alternative/grunge degli anni ‘90. Dopo l’entrata dei due nuovi componenti
il gruppo comincia a generare un suono pulito e potente capace di esprimere musicalmente
tutte quelle sfumature necessarie a rendere unico il genere proposto.
IL TEATRO DEGLI ORRORI
Nessun titolo, per il nuovo album de Il Teatro degli Orrori, a sottolineare il nuovo
corso intrapreso dal gruppo con la nuova line-up. Dodici canzoni. Dodici nuovi
capitoli di un romanzo degli orrori che racconta un paese allo sfacelo: un affresco
grottesco e disperato, il nuovo disco de Il Teatro degli Orrori che non fa sconti
a nessuno. Emarginazioni ed esclusioni sociali, prigioni reali e metaforiche, il
disagio psichico, l’alienazione del lavoro e il consumismo compulsivo, il dramma
dei profughi in fuga dalle guerre. Sono alcuni dei temi emersi in queste nuove
canzoni, affrontati con disarmante ironia e sarcasmo o struggente disincanto. Innumerevoli le citazioni letterarie, disseminate come trappole allegoriche in tutto
il disco: il Teatro degli Orrori calcherà il palco del Frogstock Festival giovedì 25
agosto con ingresso ad offerta libera.
INGRESSO GRATUITO - APERTURA ORE 19:00 - AFTER SHOW @ JOKER BY DJ MASSIMO VOLTI / DJ IACOPO BATTILANI
frogs ventitre
giovedì 25 agosto
frogs ventiquattro
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Si organizzano Buffet,
eventi su prenotazione
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Aperto tutti i giorni dalle 05:30 alle 23:00
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DUEMILASEDICI
DEREK ISDEAD
I Derek IsDead nascono nel Maggio del 2015 sul divano della cantante Elisabetta, dove insieme a
Simona e Luca danno il via alle prime prove acustiche. Spostando il progetto in una sala prove vera e
propria si aggiunge al gruppo anche Gianfilippo, andando a completare l’attuale formazione: Elisabetta
Freguglia (voce e chitarra), Simona Galassi (basso), Luca Zedda (batteria), Gianfilippo Ghirelli (chitarra e
voce). Da prima improntati su un genere stile garage rock, nel dicembre del 2015 decidono di prendersi una pausa dai concerti per spostare il genere musicale del gruppo verso il pop punk stile californiano, genere che si addice di più alle influenze musicali dei componenti della band. Con all’attivo un EP
di 5 brani, tornano sulle scene nel Maggio del 2016 partendo dal palco del Vidia Rock Club di Cesena.
ROYAL BRAVADA
La band nasce a Monza nel 2012 e pubblica un primo ep influenzato dalla musica indie rock degli anni
2000: da allora i fan sono cresciuti e seguono la band concerto dopo concerto. Nel 2014 nasce “ROYAL
BRAVADA”, primo album omonimo che vuole scrivere la soundtrack di una generazione con la faccia
pulita e che non ha paura di guardare ai giganti del rock n roll. La band nel 2016 promette molte novità,
tra cui la pubblicazione di nuovi videoclip, nuovi singoli e un nuovo EP dal titolo “WAR” che spazia verso
nuove sonorità dilaganti dal brit-indie allo stoner rock. L’album è uscito a fine maggio 2016 in puro stile
RB: spettacolare, energico, genuino e tutto da ballare.
TRE ALLEGRI
RAGAZZI MORTI
I Tre Allegri Ragazzi Morti portano, con il loro ultimo lavoro in studio, un mix di contaminazioni musicali e collaborazioni a cui nessuno avrebbe mai pensato. Un album, “Inumani”,
che continua il filo conduttore dei TARM: è un bel disco, suonato bene, scritto ancor meglio, con delle belle canzoni e pieno di contenuti sempre più attuali. Quindi cosa c’è in più
rispetto ai lavori precedenti? Semplice, c’è che anche questa volta, ancora una dannata
volta, Davide Toffolo e compagnia bella hanno sfornato un disco che fa cantare, ballare,
emozionare, amare e pensare dalla prima all’ultima canzone. Godetevi questa band dalla
prima all’ultima traccia, con o senza maschera, venerdì 26 agosto ad ingresso gratuito.
INGRESSO GRATUITO - APERTURA ORE 19:00 - AFTER SHOW @ JOKER BY DJ MASSIMO VOLTI / DJ IACOPO BATTILANI
frogs venticinque
venerdì 26 agosto
frogs ventisei
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DUEMILASEDICI
CELEB CAR CRASH
I Celeb Car Crash sono una Rock Band. Alla fine del 2012 Nicola (Lena’s beadream,Klogr), Carlo Alberto (Lena’s beadream), Michelangelo (Convergence,Violet Gibson,Waiting
For Titor) e Simone (Octave,Opposite Sides) si uniscono nel progetto musicale Celeb
Car Crash. Il loro primo disco “AMBUSH!” ha raccolto consensi da parte del pubblico
e degli addetti al lavoro. Nel 2014 vincono il “Red Bull Tourbus Chiavi in mano” fra
oltre 1700 band provenienti da tutta Italia, ciò gli permetterà di registrare un singolo
a Londra e di condividere il palco con i Lacuna Coil. Attualmente la band promuove
l’ultimo singolo “Let me in” che anticipa l’album “People are the best show” che uscirà
a settembre 2016.
ERICA MOU
Erica Mou, nome d’arte di Erica Musci (classe 1990), è una delle più interessanti cantautrici italiane. A 17 anni comincia a proporre le proprie composizioni ai maggiori concorsi di canzone d’autore italiani, facendo incetta di premi. Nel 2011 pubblica l’album
“E’” prodotto dall’islandese Valgeir Sigurdsson per l’etichetta Sugar di Caterina Caselli.
Il disco contiene anche la cover di “Don’t stop”, colonna sonora dello spot istituzionale
Eni. Nel 2012 partecipa al Festival di Sanremo nella sezione giovani e vince il premio
della critica Mia Martini e il Premio Sala Stampa Radio Tv con “Nella vasca da bagno
del tempo” che le vale anche il Premio Lunezia per il miglior testo. A soli 26 anni la
musicista pugliese ha già all’attivo un’intensissima attività live, numerose le collaborazioni e un nuovo album da farci conoscere. Buona musica Erica!
I MINISTRI
“I soldi sono finiti” usciva nel novembre 2006: dopo 10 anni il gruppo composto da
Federico Dragogna, Davide Auteliano e Michele Esposito fa ancora parlare di sè, del
suo rock urlato e dei loro live energici. I tre ragazzi, ambasciatori della scena indie
italiana dentro e fuori il nostro paese, hanno calcato il palco del Frogstock Festival nel
lontano 2013 e già allora avevano fatto capire quanto sarebbero diventati “grandi”. I
Ministri si esibiranno sabato 27 agosto dopo la loro partecipazione allo Sziget Festival
di Budapest, presentando il loro ultimo lavoro in studio: “Cultura generale”, un album
che ha macinato un tour invernale sold out in buona parte dello stivale confermandoli
protagonisti indiscussi della musica indipendente italiana.
INGRESSO GRATUITO - APERTURA ORE 19:00 - AFTER SHOW @ JOKER BY DJ MASSIMO VOLTI / DJ IACOPO BATTILANI
frogs ventisette
sabato 27 agosto
frogs ventotto
un altro punto di vista e, perché no, noi ragazze sappiamo trasmettere la passione
in modo diverso e questo alza di molto la
qualità del nostro lavorare tutti insieme.”
Guardo Aurora mentre mi risponde in questo caldo pomeriggio e penso a quando era
piccola, alle estati al crem, ai saggi di musica: parte in automatico la domanda seguente. M: “Da più di metà della tua vita sei
una nostra allieva presso la scuola di musica della Clips Rag & Rock. E per la prossima metà che hai in mente di fare?” A:” Nei
miei progetti c’è un futuro da ricercatrice
biologa o da cardiochirurgo: il cuore mi
affascina tantissimo e sarà anche l’argomento della mia tesina”. Wow penso, che
grandi progetti ha nella testa e nel cuore
la nostra piccola Auri: da Presidente tutto ciò mi emoziona ma penso anche che
presto -forse- dovremmo fare a meno di
questa piccola peste. M: ”Ti ricorderai di
tutti noi? Del fluviale? Della polvere? Delle
mie sgridate perché giri scalza a fine serata?” A: “Certo che mi ricorderò di voi,
metterò sempre il Frogs e i volantini nella
mia sala d’attesa. Per quanto riguarda il
girare scalza.. beh, continuerò lo stesso a
farlo in attesa delle tue sgridate!”. Chiudo
con una domanda, una riflessione che giro
anche a voi lettori: ad ognuno il dono di rispondere con sincerità a se stesso. M:” Fra
20 anni t’immagini che..” A:” Immagino,
anzi spero che la società sia cresciuta,
che sia colorata, che abbia la volontà di
capire il diverso piuttosto che cercare di
cambiarlo. Credo che la musica lavori di
già a questo cambiamento perché è un
veicolo di messaggi, un ponte al posto
dei muri: ecco cosa m’immagino”. Grazie
Auri, grazie davvero.
La Presidente
ventinove
L’appuntamento si fa sempre più interessante e, data la febbrile attesa, non vado
oltre: vi presento la personaggissima 2016.
Avete capito bene, in Clips siamo in odor
di parità, quote rosa, quelle vere, quelle
che sanno spostare un fusto (sia che sia
una birra o un bel ragazzo) senza farselo
dire due volte! :) Intanto toglietevi dalla
testa smalti, mascara e borse alla moda:
Aurora è una Donna con la D maiuscola e
non ha bisogno di questi suppellettili per
affascinarvi. Partiamo dalla prima domanda: “Hai una vaga idea delle motivazioni/
ragioni che ti hanno portato ad essere la
prescelta dell’intervistone Vips della Clips
2016?” A:”Se devo essere sincera, NO!
Ipotizzo possa essere legato al fatto che
ho vinto il premio come “The Queen of
Joker” ma non credo basti questo per
entrare nella hall of fame.” (NdA: Ogni
anno diamo un premio a chi si è distinto
durante l’edizione del Festival: il “The King
of Joker” è un premio ambitissimo, quasi
come condividere il palco con i mostri sacri
del rock. Dallo scorso anno è stato istituito
il premio anche per la Queen). Proseguo su
questo filone perché noi in associazione ci
crediamo davvero alla bellezza dell’essere
donne: ”Un personaggissimo donna. La prima Queen. Senti il peso di questo premio?”
A: “Sento che sta cambiando qualcosa e
che, finalmente, in associazione ci sono
delle ragazze/donne che vivono e animano la sede del centro giovani. Essere
chiamata a rappresentarle mi fa molto
piacere”. M:”Oltre ad essere una giovane
donna che si sta diplomando, sei anche
una delle nostre volontarie. Si parla tanto
di quote rosa: pensi che la Clips ne avesse
bisogno?” A:“Beh, sicuramente un occhio
femminile aiuta i ragazzi ad avere anche
frogs
VipS della Clips
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“In alcune sere d’estate vengo alla Rocca di Riolo, dove sono accadute cose che hanno profondamente segnato tante vicende della
mia tumultuosa esistenza. Tra queste mura rivivo gli intrighi, le battaglie, gli affetti, gli amori… e mi rivedo sovrana e savia donna di
stato; poi spietata donna d’arme; poi madre premurosa e amante
appassionata; e infine alchimista e cultrice di estetica e di scienza… Sapevo colpire, e amare… con le parole, e con la spada… e
con altri miei sortilegi… Spesso mi domando come io sia stata
tutto questo insieme, tra un assedio e l’altro, dieci figli, tre mariti e
mille intrighi da sbrogliare. Negli anni della fanciullezza, all’ago e
al fuso preferii nettamente i cavalli e la caccia; come già mia nonna
Bianca Maria Visconti-Sforza, che fu una vera guerriera! E come
lei fieramente combattei tutta la vita, in guerra e in politica! Contro
Papi e Signori! Contro il Duca Valentino Cesare Borgia e i guelfi del
Cagnaccio! E persino contro la Serenissima di Venezia! Affinché le
Romagne rimanessero autonome e delle sue genti. E lottai così
tenacemente che tutti avean tema di me. E non fui strega, ma assetata di conoscenza e di giustizia! A volte ho desiderato un’altra
vita, più serena; da dedicare alla famiglia e allo studio delle scienze,
della farmacopea, dell’alchimia, della magia e delle arti di bellezza… Di notte, nel segreto della mia solitudine e della prigionia, ho
studiato rimedi per mille faccende… di stato, di salute, d’amore e
di bellezza, come: a far la faccia bella e colorita; a far nascere peli
e capelli; a far capelli biondi come oro; a far venire li capelli rizzi; a
guarir li denti putrefatti e marci; a guarir li vermi de li putti; a guarir
la sciatica; a profumar la casa al tempo di peste; del non pigliar la
peste cosa certa… a far dormire solamente con lo odorare…
e per li nemici che vuoi far sofrire anzi di morire… li
veleni a termine. E voi, donne! Se
volete… vi svelerò qualche mia ricetta segreta… ... me ne sarete
grate, ne sono certa. In fondo mi dovreste già riconoscenza, almeno
per la ceretta a strappo! Perché, non lo sapete? Ne fui l’inventrice, e
la prima cavia, naturalmente. Ma ascoltate… a far cadere li peli che
mai più torneranno piglia polvere di botte, farina de lupini, alume
de rocco arso et falle bollire en acqua. Come bolle tolle dal fuoco,
colale per feltro et lassa reposare en vaso otto giorni. Poi bagna una
spogna in detta acqua et bagna più volte el loco dove voj pelare, et
tutti li peli cascheranno che mai più rinasceranno.”
Caterina Riario Sforza
Se volete incontrare Caterina spesso
potete trovarla tra le mura della Rocca…
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frogs trentuno
LA ROCCA DI CATERINA
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In quei tempi, a Carnevale, si era soliti andare
alle Cupole, storica balera che aveva attraversato i mitici anni sessanta, i favolosi anni
settanta, i mai troppo dimenticati anni ottanta e i correnti anni novanta senza mai venire abbandonata dai suoi più affezionati frequentatori. Col risultato che potevi incontrarci
praticamente di tutto, dall’extracomunitario
emancipato e cacciatore di passera italiana,
simbolo dei nostri tempi, al vecchio ballerino
di liscio vitellone di felliniana memoria, simbolo dei tempi andati. E’ sempre stato bello
sfumarsi nella folla, toccare qualche bel culo
o anche qualche brutto culo, dare una bella
manganellata con la mia mazza di plastica
sulle capocce di tutti quei perfetti sconosciuti.
In quella determinata sera di Carnevale avevo
preso appuntamento con il mio fidato scudiero Bigio e con Deborah, la mia prima vera
fiamma dei tempi dell’adolescenza, per andare alle Cupole, ma prima, rito incontrovertibile,
ci saremmo fatti due o tre cicchetti al bar Mimosa. Il tema della serata: suore e frati, cioè
io e Bigio vestiti da fraticelli e Deborah da
suora maiala. Non posso non descrivervi i nostri indumenti, ne rimarreste delusi. Cominciamo da me, come sempre…: modello numero 1) Cali. Stupendo frate francescano,
corpulento e rubicondo, con saio in juta grezza di un molto religioso color marrone spento,
cintura di corda ben stretta col nodo da una
parte per fare risaltare bene la prominente
pancia frutto di bagordi conventizi, cappuccio
ben calato sulla faccia ricoperta da barba incolta e nerissima così da ottenere l’effetto
satiro corruttore di educande, dulcis in fundo
splendidi sandalacci in pelle spessa e dura a
calzare i miei piedi rigorosamente nudi (era
febbraio…), per inciso sotto il saio non indossavo nulla all’infuori di un paio di boxer, ma
così l’immedesimazione era perfetta! Modello
numero 2) Bigio. Triste e severo frate domenicano in saio di juta grezza scura a fasciare
la sua magra ed emaciata figura facilmente
accostabile a quella di quei pii religiosi che si
martoriavano la schiena, con punizioni corporali atroci. Si suppone infatti che quella sera si
sia messo corone di spine sotto le ascelle e
fra le cosce e lo scroto, così da sembrare ancora più sofferente del solito ed immedesimarsi di più nella parte. Cappuccio scuro che
copriva, fortunatamente il più possibile, il suo
viso amichevolmente asimmetrico con quel
naso al naturale storto all’inverosimile non
ancora operato come da lì a pochi anni, i suoi
occhietti spinti fuori da una forza misteriosa
interna al suo cranio e i suoi dentini sporgenti
da coniglietto spaurito. Un vero Adone! Modello numero 3) Deborah. Beh, lei merita un
discorso a parte. Vestita da suora viziosa, saio
dallo spacco vertiginoso su quelle belle gambe tornite e fasciate da auto reggenti di seta,
scarpe rosse con tacco dal vertiginoso spillo
su cui avrei sbavato ben volentieri, rossetto e
trucco puttanescamente spinti, un incrocio
stupendo tra una devota religiosa e una disinibita prostituta. Il sacro e il profano in un’unica persona. Adoro queste contrapposizioni
vizio e virtù, mi arrapano, e lei quella sera mi
arrapava alla grande. Chissà, forse dopo, nel
marasma della discoteca, ci sarebbe scappata la canonica e tanto agognata toccatina di
culo e cosce. Già mi leccavo le labbra! Arrivo
per primo al bar e, come sempre, mi beo delle
facce disgustate dei vecchietti che mi guardano entrare trionfante e ghignante agghindato in francescana maniera. Incrostati da
sempre sulle loro sedie come cozze sul loro
immobile e nero scoglio. Le mie orecchie vengono deliziate dai loro commenti intrisi di riprovazione nei miei confronti, zeppi di avvelenati rimproveri, ammalati di convenzioni
antiche come loro, sorpassati da tutti in una
gara che non vinceranno mai. “Ma cum’l’e’
mess?” “L’è propi semo!” “Un s’vergogna
gnanc un po’?” “Ma i so’ i ni dis gnint?”. Ah,
che bello! Corroboranti parole che fortificano
un animo già temprato ad ogni intemperia e
miseria umana. Teatralmente aspetto sulla
porta del bar: voglio che mi vedano tutti. Che
si voltino tutti. Che parlottino tra loro. Voglio
essere al centro dei loro discorsi. Per un momento al centro delle loro miserevoli vite. A
passi decisi e calmi, conscio del mio ruolo,
fiero nel mio andare, vivo come non mai, mi
dirigo al bancone. Ciaccolano ben bene i miei
sandalacci. Che ci si svegli, che si senta, che
ci si interroghi. Con voce ferma, decisa, chiara
e cristallina, trillante e armoniosa ordino:
“Oste della malora (che era il mio amichevole
frogs trentatre
A piedi nudi, dentro sandalacci di cuoio vecchio e crepato col fondo di legno spesso
e pesante, me ne vado ramingo e solitario
ciaccolando rumorosamente su quest’asfalto
umido e sporco. Gli unici miei compagni di
viaggio sono una nebbia costante e invadente
che campeggia tronfia e vittoriosa dentro e
fuori al mio cranio alcolicamente devastato e
quelle simpatiche monellacce dispensatrici di
gioie terrene note a tutti col nome di puttane
e trans.“EHI, chico, donde vas asì conciado?
Ven aquì, yo te curo !” mi apostrofa con voce
virile un bel viados di un metro e novanta.“No grazie. Devo andare” ciancico io.“Yo tengo
lo che tu cercas....” mi sottintende malizioso/a.“Eh, lo so. Il problema è che lo tengo anch’io... Desculpame, carinha. Devo andare.”
Ma andar dove? Dove stavo andando così
malmesso? Cosa era successo? E soprattutto
perchè sono vestito da frate francescano, con
solo i boxer da mare sotto ‘sto saiaccio ruvido
come cartavetrata, sandalacci ai piedi nudi e
freddo cane tutto intorno? Un clacson tromba
nelle mie orecchie, un finestrino si abbassa e
un verace e samaritano “Vaffanculo, imbecille!” suona come sveglia. Mi si dipana un poco
la nebbia. Comincio a ricordare... Sdraiato,
bianco dappertutto, fuga. No, prima. Buttafuori, sangue, carabinieri. No, prima. Maschere,
coriandoli, stelle filanti. No, prima. Bar, amici,
alcol a fiumi. Da qui va bene....
Il frate
frogs trentaquattro
modo di rivolgermi a Gina, la barista di quel
tempo). Servimi da bere!” Lei mi guarda bovinamente. Umetta le labbra con fare sconcissimo e grettissimo al solo pensiero dei dobloni
che di lì a poco avrei versato nei suoi forzieri
sempre avidi di vil denaro e si appresta a servirmi il solito caffettino con consequenziale
bicchierino di Caffè Borghetti. Mi sparo deciso
l’espresso. Che la caffeina compia il suo lavoro e mi tenga ben sveglio! Ne avrò oltremodo
bisogno… Che bello tenere in mano il bicchierino di Caffè Borghetti, perdersi nelle mille screpolature e cicatrici delle sue pareti vitree, provocate dai mille e mille lavaggi
nell’antidiluviana lavastoviglie del bar. Mi
sembra di tenere in mano un bicchiere fatto di
tela di ragno. Mi piace. Il cubetto di ghiaccio
tintinna allegramente sul vetro del bicchiere.
Rumore mai molesto e anzi sempre benvenuto, visto che i vecchi mitili aggrappati alle loro
sedie lo trovano disgustoso, fastidioso, infantile. Li turba, li sveglia, li rende coscienti del
loro non-stato. E ciò li confonde, li sparpaglia,
fa crollare le loro certezze. Dividi et impera!
Prendo il bicchiere e ciabatto quatto quatto
fino alla sedia presieduta da uno di questi
simpatici vecchietti, quello che dormicchia
sempre, quello che sonnecchia placido pensando e ripensando ai giorni in cui mieteva il
grano, in estate. La giovinezza sulla pelle, il
sudore sulle spalle bronzee, la forza e il vigore
allo stato puro. E si vede che sta sognando.
Ah, che giornate! Ah, la gioventù! Ah, che bello essere ancora là anche solo col pensiero! E
si copre gli occhi dai raggi corroboranti di
questo caldo sole del passato e scorge una
dolce e cara fanciulla che gli si avvicina, dalle
chiare e laide intenzioni. Porca troia, qualcosa
gli si risveglia! Incredibile, son 20 anni che
nulla gli si muove là sotto! E’ un miracolo! Il
più bel sogno della sua vita! “Non voglio svegliarmi mai più!” Sogna di dire nel sogno. E la
ragazza ormai giunta fino a lui, gli porge le
braccia, apre la sua splendida bocca colma di
promesse di miele e gli dice:”TIN TIN TIN TIN
TIN TIN TIN TIN” “Eh???????” Si stupisce il
vecchietto. Ancora:”TIN TIN TIIIIN TIIIIN TIIIIN
TIIIINN” Maccheccazz….” Si sveglia e vede
me che gli faccio tintinnare selvaggiamente il
cubetto che è dentro il mio bicchiere attaccato al suo orecchio che è armato di cornetto
acustico lasciato malauguratamente acceso
al massimo. “Sveglia! Svegliaaaa!! Vat a cà a
durmì!” E si trova davanti questo bel fraticello
di 90 chili col suo sorriso più mefistofelico.
Vedete: la gioia non bisogna andarsela a cercare tanto lontano. A volte ti aspetta lei all’angolo, ti salta in braccio, ti bacia il collo. A volte
è seduta placidamente in una comoda poltroncina da bar pronta solo ad essere staccata dal ramo dell’albero della felicità. Ma basta
con questi sollazzi di poco conto: è ora di darsi all’alcool. Attacco furiosamente la bottiglia
del Caffè Borghetti, ormai non ha scampo.
Cerca riparo dietro alle grappe: “Un altro,
Gina!”, si mimetizza fra gli ammazzacaffè:
“Fammene un altro, oste!”, dietro i liquori importati: “Caffè Borghetti, subito!”. Ad un certo
punto, ormai conscia della sua inevitabile
sconfitta, si allea subdolamente con Gina circuendola con chissà quali vane promesse.
L’oste allora mi propone mellifluamente ogni
tipo di bevanda liquorosa, whisky forti e decisi, rum esotici e misteriosi, vodke ghiacciate
provenienti dalle fredde e desolate lande siberiane. Non mi faccio corrompere, sono integerrimo. Quando si dice un uomo tutto di un
pezzo…“Non mi tediare, donnucola, con le
tue proposte oltremodo indecenti. Servimi,
senza indugio, un altro bicchiere di Caffè Borghetti, che la sete avanza e l’arsura è tanta!”
Al decimo cicchetto, mi raggiungono i miei
due compagni della serata: suor Maiala e fra’
Tristone. Al passaggio di Bigio i vecchietti del
bar, ma solo i più devoti, si fanno rispettosamente il segno della croce, recitano il rosario,
si flagellano le scarne schiene con le gazzette
ormai stralette della giornata. Bigio incute timore reverenziale, lui è veramente un severissimo domenicano pronto a punirti per un
nonnulla, si è immedesimato alla perfezione.
Si capisce che ci sono cascati tutti quando
anche i più irriducibili vecchietti comunisti del
bar affrontano il severo frate a braccia incrociate sul petto, nella chiara posizione di sfida
anticlericale così cara qua in Romagna. Ma
per fortuna, subito dopo il mio altero amico,
ecco entrare la mia suorona maialona. Al suo
passaggio le dentiere traballano, i commenti
si sprecano, gli animi si scaldano. Frusciano
le vesti fasciate strette attorno al suo corpo
pieno di carne e di vita. Mi stampa due bei
bacioni umidi sulle mie guance irsute, cinguettando maliziosa che stasera si vuole proprio divertire. Ti divertirai, cara mia, ti divertirai... Bigio e Deborah cominciano a bere. Si
danno alle vodkine, i fighetti. “Una vodka alla
liquirizia, per piacere” il cupo Bigio. “Una vodka alla pesca, per favore” la languida Deborah. “Un Caffè Borghetti, schiava!” tuono io.
Un cicchetto tira l’altro e così, ridendo e
scherzando, mi trangugio 14 caffettini Borghetti. Traballo, son scosso, mi appanno. I
miei due compagni si son fermati molto più
prudentemente a 4 o 5. Chi si ferma è perduto
per sempre. “Un altro. Oste della malora.” farfuglio con molta meno energia. “Mi spiace,
Cali. E’ finita la bottiglia. Non ne ho un altra in
magazzino. Se vuoi, posso darti un whiskettino, una vodkina, un rumettino?” sibila come
un rettile al mio orecchio stanco di tanta mediocrità. “Forse in un altro momento mi avresti potuto allettare con le tue sconce offerte
estere, ma ora come ora, la mia ugola riarsa
abbisogna solo di un italico buon Caffè Borghetti!”. E così dicendo, estraggo lesto da una
delle tasche del mio saio una di quelle deliziose bottigliette nere di Caffè Borghetti, fac-simili delle loro sorelle più grandi. Svito con
calma il tappino rosso che racchiude il delizioso elisir e teatralmente alzo la bottiglietta a
simulare un brindisi con la stupita barista che
assiste impotente alla mia bevuta corroborante. “Peccato, cara Gina. Avrei potuto darti ancora molti soldini, ma attingerò dalla mia
scorta personale di momenti inebrianti. Adios,
maldida!” Spagnoleggio io. Paonazza mi
guarda, ma non può nulla. L’ho abbattuta. Mi
lancia un’ultima maledizione “Ci saranno altre
occasioni...”. “Sì, ma io vincerò sempre, sappilo. E’ questione di genetica.” Et voilà. Touchè. Si parte.
L’auto di Bigio è tetra come lui. Spartana nelle
sue finiture, non si dà spazio e nessun oggetto
che potrebbe renderla più frivola, che so: un
arbre magique, un pupazzetto, una radio alla
moda. Nulla, nisba, nicht. Bigio non si abbassa a queste umanità fastidiose. Lui viaggia
su altre onde. In auto bevo ancora e ancora e
ancora. Non mi fermo più. Ho le tasche piene
di quelle simpatiche bottigliette. Il mondo sta
sfumando, finalmente un po’ di pace. Arrivia-
mano sinistra con del vetro cadendo per terra
malamente in discoteca. Ravvisata la ferita,
prontamente è stata chiamata un’ambulanza per trasportare il soggetto al Pronto Soccorso.” “Porcaccia troia zozza!” il commento
principesco della mia ex fiamma. “Me lo sentivo. I presagi erano funesti. Andiamo!” disse
il mio grande piccolo amico preso dal sacro
fuoco del salvataggio. Parcheggiata la funesto-mobile, i miei due amici arrivano trafelati
all’accettazione del Pronto Soccorso. “Avete
per caso ricoverato da poco un nostro amico. Di cognome fa Malavolti.” burocratizza il
Bigio. L’infermiera di turno, passato il primo
momento di stupore alla vista dei due strani
religiosi, scartabella i registri, visiona pagine
di computer e scuote il capoccione incuffiettato. “No, nessun Malavolti ricoverato.” “Controlli meglio.” pignoleggia il Bigio (sotto sotto
mi ama...). Infastidita da tanta petulanza, l’infermiera fa finta di riscartabellare i registri e
di rivisionare il monitor del pc. “No, nessun
Malavolti ricoverato. Come avevo già detto...”
stronzeggia la virago. Proprio mentre il Bigio
sta per scagliare la sua più nefasta maledizione che neanche le piaghe dell’antico Egitto, passa di lì un allegro barelliere che visti
gli abiti dei due sbotta. “Il vostro amico era
anche lui vestito da frate? Grosso e ubriaco
come una pidria?” I due religiosi annuiscono
speranzosi: “Sì sì, è proprio lui!” all’unisono.
“Beh,” riprende il simpatico barelliere “l’abbiamo caricato a Castel Bolognese chiamati
dai carabinieri, era ferito ad una mano, ma
nulla di serio. Se ne stava buono buono sulla barella dell’ambulanza. In effetti sembrava
svenuto e stordito dall’alcool. Parcheggiamo
davanti al Pronto Soccorso, scendiamo e appena apriamo i portelloni di dietro, ‘sto cretino
balza fuori e corre via a gambe levate tenendo
alzati i lembi del suo saio. Non l’abbiamo più
visto.” I miei due amici ci rimangono di stucco. “E’ veramente un coglione!” interloquisce
amabilmente Deborah (comincio a pensare
che la cara ragazza scarseggi a vocabolario...). “Un risvolto inaspettato... Mmmmhhh...
Fatemi pensare....” Perry Masoneggia Bigio.
“Il suo cervello annegato nel Caffè Borghetti
sicuramente gli starà dicendo di tornare alle
Cupole, ultimo recapito da lui riconosciuto validamente accettabile. Quindi ritengo, basan-
doci sui preziosi indizi datici dal qui presente
barelliere, che rifacendo la strada all’indietro,
cioè dirigendoci sulla Via Emilia verso le Cupole, intercetteremo il fuggiasco e riusciremo
a condurlo in salvo. Grazie, buon uomo. Ci è
stato oltremodo utile.” sermoneggia Bigio alla
Sean Connery nel “Nome della rosa”. “Ma
cavatevi dai maroni!” romagnoleggia il barelliere. Risaliti lesti sulla funesto-mobile, ripercorrono la strada all’inverso nella speranza di
ritrovarmi vivo e vegeto, anche solo svenuto
in qualche fosso. All’altezza del rivenditore di
auto “Moreno Motor Company” sono obbligati a rallentare, causa la fila di auto davanti
a loro. Automobilisti fuori dai finestrini che
inveiscono e strombazzano furiosi verso un
figuro scuro che ondeggia pericolosamente
in mezzo alla strada, occupando una corsia e
mezza. “Non ci sono dubbi: l’abbiamo trovato.” sentenzia Bigio. “E’ veramente un coglione!” monotamente riafferma la cara suorina
(sì, indubbiamente è scarsa di vocabolario,
ma in fondo chi se ne frega: ha due gambe sì,
e un culo sì). Quando riescono a raggiungermi, accostano e mi fanno entrare a forza nel
carro funebre di Bigio. Finalmente la pace si
impossessa di me e appoggio la testa sulle
gambe di Deborah. Prima di assopirmi cerco
di toccare qualcosa, che so una coscia, una
natica, ma nulla. Lei mi schiaffeggia la mano
audace e mi dice rassegnata “Sei veramente
un coglione!” e daje!
Anche stasera non si tromba. Un classico senza tempo nella mia vita solitaria. Forse l’amicizia è un valido sostituto, ma non ne sono
così sicuro. La cosa di cui sono arcisicuro è
che sono sempre stato circondato da amici
sinceri che ci sono sempre stati nel momento del bisogno e che non hanno mai voluto
nulla in cambio, per quanto io possa essere
sempre stato disgustoso, pesante, pedante,
antipatico, scontroso, prepotente e sempre,
ma proprio sempre alcolicamente devastato.
Ite, missa est.
Amen.
Cali
frogs trentacinque
mo alle Cupole, architettura psichedelica anni
‘60. Mi piace. Ci mettiamo ovinamente in fila
aspettando di ritirare il tagliando di ingresso.
Bigio e Deborah mi sorreggono a malapena,
che cari. Io ne approfitto per allungare una
mano discola nella scollatura di Deborah e
per mettere un dito nell’orecchio di Bigio. Deborah ridacchiando mi sculaccia una mano,
Bigio mi scomunica con uno sguardo accigliato. Ritirato il cartaceo visto di ingresso,
varchiamo le soglie di questo moderno inferno godereccio. Musica anonima mi squassa
il poco cervello rimasto, odori incredibili mi
devastano le nari impreparate a tanta lordura
olfattiva. Sporco, sudore, profumo dozzinale,
urina, feci e vomito. Tutto si amalgama per
creare un odore di umanità che se io non
fossi ubriaco non riuscirei mai a sopportare.
Subito confluiamo nella corrente di gente che
si muove senza scopo tutto intorno alla discoteca. Sembra il purgatorio in una bella descrizione dantesca. Anime nel limbo che sempre
portano un fardello su per una montagna.
Senza scopo. Senza meta. Chi trasporta faticosamente la propria timidezza, chi i propri
complessi fisici, chi la propria incapacità nei
rapporti umani. Chi tutte queste cose... Perdo
di vista i miei due compari, ormai tutto gira
vorticosamente, traballo pericolosamente,
cado pesantemente. Una scheggia di dolore
selvaggio parte dalla mano sinistra e mi trafigge la testa. Blackout, cervello spento, forse
per sempre. Da qui in poi parlano Deborah e
Bigio e scusate la loro pochezza di spirito e
di linguaggio, ma in fondo in una comitiva ne
basta uno dalla lingua sciolta... Una buona
mezz’ora dopo i fatti sopra citati, i miei due
compagni di coriandoli e stelle filanti si stanno interrogando sulla mia scomparsa: “Ma
dove cazzo si è messo?” signorineggia Suor
Maiala. “Non lo so, ma non mi piace...” profetizza fra’ Tristone. Cominciano ad interrogare
tutti i compaesani che riescono ad individuare sotto tutte quelle maschere camuffanti e,
come un puzzle da diecimila, ricostruiscono
certosinamente i fatti accadutimi. Così si ritrovano a parlare con i carabinieri piantonati
fuori dalla discoteca che informano i due religiosi che un “soggetto alterato dall’alcool
è stato consegnato loro da due buttafuori. Il
soggetto infatti si era probabilmente ferito la
frogs trentasei
il BOTTEGHINO
di Anna Lisa Menichetti
LOTTO
RICARICHE TELEFONICHE
Tel. 0546.70460
Ho sempre avuto un debole per le rubriche: volendo, potrei aprirne una al giorno.
Ma chi ha un debole per le rubriche è
come chi ha un debole per le donne: difficilmente è fedele. La mia infedeltà è così
grande che cambierei una rubrica al giorno, motivo per cui, dopo alcune brusche
separazioni, ho deciso di non tenerne più.
Ma ecco che il Frogstock mi chiede un
contributo e allora mi dico: è l’occasione buona per aprire “Second coming”, la
mia rubrica annuale. Il titolo è un omaggio al secondo e ahinoi ultimo album degli Stone Roses, e sta a indicare che gli
album di cui vi parlerò meriterebbero di
essere riscoperti e rivalutati dal pubblico
e dalla critica. Ogni anno vi proporrò un
album che è passato inosservato in Italia
o è stato dimenticato, del quale decorre
il decimo, ventesimo, trentesimo, ecc.
anniversario. Iniziamo tornando indietro
di 30 anni con “Boomtown” del duo David + David. Uscito nel 1986, ha riscosso
un discreto successo negli Stati Uniti: un
paio di singoli ai piedi della top ten e un
disco d’oro per i due David; poi il nulla.
Ma facciamo un passo indietro. Innanzitutto i due David sono David Baerwald e
David Ricketts. Si incontrano in un pub di
Los Angeles nel 1984: entrambi polistrumentisti, diventano prima amici, poi collaboratori. Scrivono insieme “Boomtown”
e, al termine del tour promozionale durato un anno, si definiscono “an explosive
musical collaboration”. Peccato che poco
dopo la collaborazione esploda sul serio:
il duo si scioglie senza rivelare il perché.
Bearwald intraprende una discreta carriera solista – il suo primo album vede
alla chitarra addirittura Joni Mitchell – ma
senza mai bissare il successo di “Boomtown”; Ricketts lascia al mondo un pugno di collaborazioni di prestigio e niente
più. Torniamo a “Boomtown”. Siamo di
fronte a un album clamoroso: 9 canzoni,
40 minuti di un’intensità e una solidità
impressionanti per degli esordienti. Il loro
cantautorato è un mix fra il Bruce Springsteen di “Born in Usa”, per via di certe
sonorità e soprattutto per l’affondo sociale dei testi, e gli U2 degli anni ‘80: c’è
più di un’affinità fra la voce di Bearwald e
quella di Bono. Tuttavia, ascoltando “Boomtown” non avrete mai l’impressione
di un lavoro “ispirato a” o “debitore di”,
tant’è la maturità artistica e l’originalità
della ricetta musicale dei David. Punto
forte dell’album sono i testi, affilati come
raramente accade. Affondano nell’ipocrisia dell’America (River’s gonna rise), nel
lato oscuro delle persone (Welcome to
the boomtown), nel fallimento dei sogni e
delle speranze della gioventù (Swallowed
by the cracks), portando l’ascoltatore in
viaggio fra le macerie dell’umanità. La
voce di Bearwald è pulita, ma capace di
inorgoglirsi e struggersi a dovere durante
ogni discesa nei bassifondi. Le musiche,
al contrario dei testi, sono spesso ariose:
danno l’idea di una certa leggerezza. Una
leggerezza che, forse, richiama la superficialità con cui i personaggi cantati nelle
liriche buttano al vento la loro vita.Questo paradosso è più evidente nelle tracce
di maggior successo: i brani di apertura
Welcome to the boomtown, Swallowed
by the cracks e Ain’t so easy, e il capolavoro che chiude l’album, Heroes. In
mezzo troviamo la struggente Rivers
gonna rise, che invoca una inevitabile,
catastrofica apocalisse (notevole la chiusura strumentale) e All alone in the big
city, che è semplicemente solitudine in
musica. Due ballate capaci di restituire
la disperazione e la violenza (la prima),
la malinconia e l’isolamento (la seconda)
con un’intensità fisica da far male. Chiusura con nota di merito su Heroes, l’unico
brano scritto interamente da Baerwald. Il
titolo richiama il celeberrimo brano di un
terzo David: Bowie, e il confronto è non
solo istintivo, ma richiesto. Alla bellissima utopia del Duca Bianco, Bearwald
contrappone uno scenario apocalittico e
brutale: vanno in scena gli sconfitti, corpi
insepolti e avariati, sognatori morti e così
via. Il ritmo trascinante di Bowie qui diventa una ballata, e il “we can be heroes”
diventa un passivo: “let just be heroes”.
Insomma, nove anni dopo, i David + David calcano le orme di Bowie ribaltando
il sogno in un’implorazione, riuscendo
nel miracolo di incidere un brano che –
lo dico? Ok, lo dico – può stare lassù,
nell’olimpo delle canzoni perfette, al pari
degli eroi di David Bowie.
Martino Savorani
@martinosavorani
www.martinosavorani.it
frogs trentasette
Second coming: David + David
Boomtown (1986)
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Per quanto riguarda il (non) consiglio cinematografico di quest’anno ho deciso di esagerare proponendovi Miss Cast Away, un’inammissibile commedia diretta da Bryan Michael
Stoller che metterà in serio pericolo la vostra
stabilità mentale. Ma andiamo con ordine. Ci
troviamo in quello stesso 2004 in cui è cominciato Lost, uno degli show televisivi più
amati degli ultimi 20 anni, incentrato sulle
avventure di un gruppo di sopravvissuti a un
disastro aereo su un’isola misteriosa e molto
pericolosa. Per un incredibile scherzo del destino, nel medesimo anno Stoller ha dato vita
a un film basato su un soggetto molto simile,
che però a differenza del suo contemporaneo
può essere inserito nella storia della narrazione audiovisiva solo per la sua bruttezza, che
lo ha fatto entrare nella classifica dei peggiori film di sempre sul popolare sito IMDb con
un’importante (e generosa) media voto del
2,4 (su 10). Ma perché tanto accanimento? La
trama può sicuramente farvi capire qualcosa
in più. A seguito di uno schianto aereo animato realizzato con un Commodore 64, un gruppo di partecipanti a un concorso di bellezza
finisce su un’isola apparentemente deserta,
ma che in realtà riserva diverse sorprese. A
questo punto è necessario fare un inciso per
supplicarvi di credere alle parole che state
per leggere. Quello che vi sto per raccontare
è realmente contenuto nel film, non è il delirio di un pazzo in preda alle allucinazioni. O
almeno credo. In poche parole, l’isola sulla
quale atterrano i due copiloti e un reggimento
di decine di sgallettate (tutte caratterizzate
da un QI pari a quello di un oleandro) ospita
nientepopodimeno che l’Arca di Noè. Ma non
è tutto: il guardiano della mitologica imbarcazione è un maiale preistorico realizzato in
maniera ancora peggiore del disastro aereo e
chiamato giustamente Jurassic Pork. Per non
farci mancare niente, l’isola è minacciata anche dagli uomini-scimmia de Il pianeta delle
scimmie, che tengono in ostaggio il buon Noè,
e da una bomba atomica che sta per essere
sganciata da un sottomarino chiamato Yellow Submarine e guidato dal Sgt. Pepper (!?).
Niente paura però, perché ad aiutare i nostri
eroi c’è l’Agente MJ, ovvero Michael Jackson
in persona, che è stato assegnato alla missione direttamente dal Vaticano (rappresentato
da Papa Wojtyla) e appare attraverso un ologramma proiettato dal droide siciliano C1-Picciotto, clone dell’R2-D2 di Star Wars. Ho detto
molto, ma non ho assolutamente detto tutto.
In mezzo a tutto quello che vi ho appena riferito assisterete impotenti a estenuanti e
sconcertanti gag, improbabili inseguimenti
su uno sfondo posticcio con cui gli attori non
interagiscono minimamente e inutili scene
di pochi secondi incollate nel film alla meno
peggio. Avrete inoltre modo di subire un’infinita successione di assurde apparizioni e imbarazzanti citazioni dei più disparati film, che
sfociano apertamente nella parodia più demenziale. Oltre a quanto vi ho già riportato, fra
frogsfrogs quarantatre
froggie’s ugliest movies
gli altri vengono citati in modo assolutamente
ingiustificabile Forrest Gump, Austin Powers, I
predatori dell’arca perduta, Lo squalo, Matrix,
Il miglio verde, Il sesto senso e (già dal titolo)
Cast Away. Non manca inoltre un’incredibile
parodia di Titanic, con la presenza del Re Elvis
Presley, che ovviamente non poteva mancare
in questa grande fagiolata cinematografica,
insieme ad altri personaggi casuali come
Groucho Marx, Marilyn Monroe e George W.
Bush. Verso il finale del film si ha la netta
sensazione che potrebbe comparire qualsiasi persona o cosa, per esempio una banana
parlante, Zio Tibia o Mirko dei Bee Hive, senza intaccare minimamente il filo (non) logico
della storia. Miss Cast Away è anche l’ultima
apparizione cinematografica di Michael Jackson, che per via della sua amicizia con il
regista ha concesso l’utilizzo di alcune sue
canzoni e si è prestato a questa pagliacciata
con delle riprese girate direttamente nel suo
quartier generale di Neverland, purtroppo per
lui senza quella celebre mascherina che gli
avrebbe evitato di coprirsi di ridicolo. Parlando di porcate come questa, spesso si dice che
possono essere apprezzate solo dagli amici o
dai parenti del regista e del resto del cast. Non
è questo il caso, perché alla fine dei titoli di
coda possiamo vedere un breve video in cui la
madre del regista ammette candidamente di
non aver gradito Miss Cast Away, chiudendo
idealmente il cerchio di questa atrocità cinematografica.
Marco Paiano
frogs quarantaquattro
Via Rinfosco, 108 - 48014 Castelbolognese (RA) - Tel. 0546.55515 Fax. 0546.656193
At The Drive-In - Pattern Against User (Relationship of Command, 2000)
Il mixtape si apre con questa fantastica canzone di puro Rock’n Roll, diretto ed
incontaminato: il bellissimo disco presentato da questo grande gruppo è una
sorpresa graditissima che arriva in contemporanea con il nuovo millennio. I Texani in questione sono ufficialmente gli eredi del più grezzo Hardcore Americano:
prendono spunto un po’ da Iggy Pop (che tra l’altro fa una piccola apparizione
nel disco) e un po’ dai Rage Against the Machine, riuscendo ad emergere ed a
farsi conoscere al grande pubblico.
Turbonegro - All My Friends Are Dead (Party Animals, 2005)
Dalla Norvegia con furore arrivano i Turbonegro, un gruppo che dà vita ad un
nuovo genere mai sentito prima, il “death punk”, riportando alla ribalta il punk
vero e proprio a metà degli anni 2000, colorandolo ed arricchendolo con tanta
buona e sana ironia. Anche loro sono coerenti e credibili: qui si suona sul serio
anche se il look che adottano può far credere il contrario. Amatissimi dal pubblico, sfornano questo bellissimo disco che contiene una canzone da super pogo.
Pennywise - Bro Hymn (Pennywise, 1991)
Di gran lunga la canzone più gloriosa del quartetto californiano, un must che
persiste da 25 anni, il coro magistrale che accompagna tutta la canzone è davvero da antologia. Assieme agli amici Bad Religion, hanno contribuito a rendere
grande la seconda invasione dell’Hardcore Punk californiano, grazie ai loro
brani veloci, ai testi politicizzati e alle cover di canzoni anni ’50, trasformate
in chiave Punk Rock.
by Malva
Descendents - Hope (Milo Goes To Collage, 1982)
Loro sono i fondatori dell’Hardcore melodico, fonte di ispirazione di gruppi a seguire come Bad Religion, Pennywise, No Use For A Name e via dicendo (l’elenco
è veramente lunghissimo) i quali rispolvereranno e renderanno grande questo
genere una decina di anni più avanti. Il brano “Hope” è veramente di pregevole
fattura: recita parole contro qualsiasi tipo di ingiustizia, raccontata dai panni di
un ragazzo fragile e sensibile che esprime tutto il suo sconforto esistenziale.
The Stooges - No Fun (The Stooges, 1969)
Scegliere una canzone da questo disco è stata dura: alla fine su tutte ha prevalso “No Fun”, accompagnata da riff ripetitivi ed ossessivi, tenuti a tempo da
battiti di mani anziché dalla batteria. Iggy canta tutto il suo dolore e racconta
della solitudine, uno spaccato sullo stato d’animo della generazione del movimento Hippy di fine anni ’60. Verso il finale le chitarre si fanno ancora più
acide ed ossessive, l’iguana incalza con urla brutali ed il suo “well, come on!”
diverrà leggenda.
Offspring - The kids aren’t alright (Americana, 1998)
Contenuta all’interno del loro album più ruffiano, un album furbo, un album
che strizza l’occhio al grande pubblico grazie a canzoni come “Pretty Fly (for a
White Guy)” e “ Why Don’t You Get a Job?” le quali riscuoteranno grandissimo
successo, grazie anche a due videoclip molto commerciali. Ma “The kids aren’t
Alright” non è così, è sempre molto orecchiabile ma ha un testo molto profondo
che narra la storia di Dexter (il cantante) il quale ritorna a far visita nel suo
quartiere che gli ha dato i natali e lì le cose vanno piuttosto male.
David Bowie - Five Years
(The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars, 1972)
Canzone che apre le danze all’album capolavoro assoluto del duca bianco Mr.
David Bowie. Sin dal primo secondo percepiamo che disco grandioso abbiamo
tra le mani: la batteria scandisce il tempo con un ritmo particolare ed abbastanza blando ma molto deciso, per poi crescere ed impennarsi, fino arrivare
all’esplosione vocale di un determinatissimo David Bowie. Ci manchi Ziggy,
cavolo se ci manchi.
Chris Kenner - I Like It Like That (I Like It Like That, 1961)
Chris Kenner ha piazzato solo due singoli nella sua breve carriera, ma questo
in particolare è davvero eccezionale: nel 1961, grazie a questa perla, vende un
milione di copie. Questa canzone ha un’anima e la si può sentire; oltre alla voce
profonda di Christopher Kenner di New Orleans, è accompagnata da una base
Blues e primordiale Rock n’Roll: una delle canzoni più belle di tutti i primi ’60.
Placebo - Every You Every Me (Without You I’m Nothing, 1998)
Canzone estratta dall’album migliore di questo gruppo capitanato dall’emblematico cantante e chitarrista Brian Molko; una canzone che parla di sesso in
modo ambiguo, perverso, che cattura da subito l’attenzione del grande pubblico
grazie alla voce magnetica del leader appunto ma grazie anche alle linee di
chitarra e batteria in chiave pop con qualche accenno di Rock n’ Roll.
Arctic Monkeys - R U mine (AM, 2013)
Riff mostruosi accompagnano questa canzone godereccia, puro Rock n’Roll,
formata da Stop & Go mozzafiato che ti tengono sulle spine. Erano diversi anni
(parliamo del 2013) che non veniva incisa una canzone così: dal mio punto
di vista una sorpresa graditissima, anche se sapevo che qualcosa di grande
sarebbe arrivato da questa super band. Josh Homme è in cabina di regia per la
registrazione di questo disco e si sente eccome. Bravissimi Artic Monkeys, uno
degli ultimi gruppi Rock ad essere davvero produttivi ed efficaci.
Metallica - For Whom the Bell Tolls (Ride the Lightning, 1984)
Questa è dedicata a te, sono convinto che ti faccia sempre piacere
riascoltarla. Ricordo molto bene che una sera di tanti anni fa, dopo
una serata passata al Frogstock, a tarda ora, quando al fluviale
eravamo rimasti solo noi dello staff, dopo che il sudore, la polvere
e la stanchezza si erano pienamente impossessati di noi, mi facesti
un cenno rivolto alla consolle dicendomi: “Oh dai metti l’ultima”, il
primo cd che trovai fu proprio questo e senza esitare andai direttamente alla traccia numero 3. Difficile dimenticare qui momenti.
The Doors - Peace frog (Morrison Hotel, 1970)
Morrison Hotel non verrà di certo ricordato come l’album migliore dei Doors ma
al suo interno troviamo la leggendaria “Roadhouse Blues” che echeggerà in
molti locali per i prossimi 30 anni a venire, anche se io preferisco di gran lunga
“Peace Frog”: una sorta di Blues Rock leggero e piacevole che non annoia mai,
una delle ultime gemme lasciate in eredità da Re lucertola.
frogs quarantacinque
mixTape
frogs quarantasei
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un impianto fotovoltaico di
un megawatt di potenza
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ARIETE
Saturno, ma che t’ha fatto quest’anno ‘sto povero Ariete?
Famiglia, casa, affetti… non è un periodo coi fiocchi. La
forma fisica sarà comunque l’arma che aiuterà l’Ariete a
superare gli ostacoli. La pazienza servirà un tot da settembre in poi quando l’altro pallone gonfiato di Giove ci
si metterà a seminare zizzania. Grande Rospo suggerisce:
darci dentro che l’eros, almeno quello, funziona.
TORO
Corna affilate e via al galoppo, raramente gli astri tifano
così animatamente ai bordi della pista. Lavoro, denaro,
amore, sfrecciano al fianco dei torelli e delle torelle per
buona parte dell’anno. Correre dritti alla meta è fondamentale perché da settembre qualche astro, annoiato da
tanto vincere facile, farà le valigie e porterà via qualche
strumento di successo, soprattutto nella sfera lavorativa.
BILANCIA
A dispetto del nome, gli anfibi bilanciati penderanno per
tutto il 2016 verso influssi astrali positivi. Si veleggia senza
nubi all’orizzonte. Un anno di ferie dalla sfortuna, da assaporare con serenità. Lavoro e traguardi professionali bussano ed entrano nella vostra vita senza far troppo rumore.
Qualche traballamento sentimentale e problemini di salute
disturbano lo stato di relax. Grande Rospo consiglia: nulla.
SCORPIONE
Ai cari anfibi dello scorpione il Grande Rospo consiglia fin
da subito l’acquisto di una capiente agenda sulla quale
prender nota di tutto il lavoro da fare. Lo zodiaco aiuterà gli
scorpioncelli e le scorpioncelle per buona parte dell’anno,
ma non bisogna fermarsi. Situazioni affettive un po’ complicate e sfera lavorativa che, anche se con qualche breve
periodo di nervosismo, darà grandi soddisfazioni.
GEMELLI
Cari rospetti gemellati, c’è voluto tutto il 2015 per rimettere ordine tra le vostre cose. Quest’anno agite con calma
completando i progetti in corso senza affannarvi troppo in
nuove avventure. Più sicuri e tranquilli riuscirete finalmente a rilassarvi un pò. Turbolenze amorose vi sganceranno
da relazioni leggere verso orizzonti più impegnativi. Ottobre propizio per le gemelline con voglia di maternità.
SAGITTARIO
Nel 2016 pianeti ed astri vari si interesseranno abbastanza
di striscio alle vicende dei sagittari. Più che un oroscopo il
Grande Rospo dovrebbe scrivere una biografia con eventi
caratterizzati da scelte personali più che dalle stelle. Dallo
zodiaco traspare solo qualche problema con una persona
anziana che necessiterà di aiuto. Situazione lavorativa stabile con soddisfazioni e occasioni di crescita.
CANCRO
Altolà! Mettersi in riga è d’obbligo per i rospacci chelati: non è più tempo per confidare sulla fortuna. Finanze,
forma fisica, relazioni sono un continuo di alti e bassi da
gestire con cautela. Da settembre a dicembre il Grande
Rospo consiglia di sigillare il portafoglio. Nessuna sciagura
in vista, ma è necessario abbandonare la facile spavalderia
a favore di rigore e moderazione.
CAPRICORNO
Capricornetti anfibiati la volta celeste regala nel 2016 influssi positivi nella sfera professionale. Un trittico di pianeti
vi proteggerà da inimicizie e gelosie rivali lasciando aperta
la strada a successi e investimenti. Qualche nuvola nella
parte centrale dell’anno può compromettere i rapporti con
soci e collaboratori, ma passerà. Per soddisfare anche il
cuoricino bisognerà attendere fine anno.
LEONE
Un 2016 senza infamia e senza lode per voi leoncini. Lo
zodiaco gioca di sponda senza interferire troppo nella vostra quotidianeità che dovrete gestire con oculatezza. Solo
verso fine anno gli astri decideranno di intervenire dandovi
una mano con la sfera sentimentale e uno sgambetto in
campo lavorativo. Il Grande Rospo consiglia: forza e coraggio, fisico e salute non mancheranno.
ACQUARIO
I pianeti disoccupati con il capricorno daranno una mano ai
cari acquari per un anno carico di emozioni del cuore. C’è
spazio per tutti: relazioni consolidate, amori fugaci, amanti vari, un periodo di fuoco. Lavoro e finanze galleggiano,
ma in mari a volte tempestosi. C’è spazio per muoversi ed
osare con imprese vicine e lontane. Grande Rospo consiglia: serve attività fisica contro la pigrizia. Siete avvisati.
VERGINE
Cari ranocchietti vergini quest’anno vi spetta un ruolo di
arbitro nel bel mezzo di un’animata partita tra gli astri. E’
un continuo passaggio di palla tra i pianeti che vi amano
e quelli dispensatori di sfiga. Un continuo su e giù nel lavoro, nella vita affettiva, nella salute, con alti e bassi che
vi lasceranno confusi e frastornati. Dall’autunno fine della
partita e un meritato periodo di calma.
PESCI
Sott’acqua i pesci sono al sicuro, l’importante è evitare
correnti forti. Un pianetuccio ci dice all’orecchio che per i
single si potrebbe presentare l’occasione per un ritorno di
fiamma inaspettato. Stabilità in campo professionale, ma
attenti ai nemici tra colleghi e collaboratori. Qualche periodo delicato per la salute con propensione a raffreddori di
vario genere. Grande Rospo consiglia: scorta di kleenex.
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