10 Ottobre 2003 CHIRURGIA GENERALE Assitenti di Gaspari La malattia da reflusso gastroesofageo non è un argomento semplicissimo. Il reflusso gastroesofageo che ieri vi ho spiegato nell’eziopatogenesi del cancro dell’esofago è frequente, colpisce il 40% delle donne in età matura. Questo non significa che sia un reflusso patologico. Quando c’è il reflusso? Gli ultimi due cm dell’esofago sono all’interno dell’addome; c’è poi la presenza dell’angolo di His formato dalla parete dell’esofago e dal fondo gastrico. Quindi per la presenza di questo angolo e per la pressione positiva che esiste nella cavità addominale che ha un effetto di compressione, oltre alla presenza di muscoli circolari alla fine dell’esofago, tutto questo fa sì che il succo gastrico rimanga nello stomaco e non risalga nell’esofago. Sapete che nel tratto toracico vige una pressione negativa e quindi se l’ultimo tratto dell’esofago venisse a trovarsi in torace ci sarebbe a venir meno questo effetto della pressione positiva e si potrebbe creare un reflusso di succo gastrico nell’esofago. Se questo succede non è detto che la mucosa esofagea si irriti; dipende dalla quantità e dalla qualità del reflusso. Se la mucosa si irrita, a lungo andare si ha l’esofagite e poi potremmo avere l’esofago di Barrett. In queste condizioni qual è la cosa che possiamo fare per trattare un reflusso patologico, cioè quando il paziente ci dice di avere la cosiddetta pirosi retrosternale (ovvero ha dolore dietro lo sterno o sente il succo risalire in bocca)? Il trattamento standard medico è con gli inibitori della pompa protonica (PPI). I procinetici si sono a lungo studiati e si direbbe che non c’è evidenza che servano a qualcosa sebbene continuino ad essere somministrati. Il razionale alla base del loro utilizzo è che agiscono sulla muscolatura dello stomaco velocizzandone lo svuotamento, per cui dovrebbe favorire l’eliminazione del succo gastrico, però si è visto in alcuni studi che di fatto non c’è differenza tra chi li usa e chi no. Oltre ai PPI si possono dare i protettori di mucosa, cioè della roba che, ingerita, si stratifica sulla mucosa e fa come effetto barriera. Quindi mentre gli altri farmaci agiscono sullo stomaco, questi agiscono sull’esofago. In natura una di queste sostanze è la liquirizia. Il farmaco che comunemente si usa si chiama Gaviston. Il paziente lo beve 2, 3, 4 volte al giorno e dà un effetto benefico immediato, però ovviamente non produce nessun cambiamento nella malattia. Non tutti i pazienti rispondono a terapia medica ed è a questi pazienti che si riserva il trattamento chirurgico. Il chirurgo cerca di ristabilire una valvola a livello della giunzione gastroesofagea. Praticamente ritiriamo giù l’esofago che è un po’ risalito in torace, poi utilizzando una valva di stomaco della porzione del fondo gastrico la giriamo come una cravattina attorno all’esofago. Questa qui si chiama plastica secondo Nissen a 360° oppure ce n’è un’altra secondo Toupet a 180°, in senso anteriore o posteriore. Questi sono gli interventi che sono eseguiti comodamente in laparoscopia, con buona compliance del paziente. Le indicazioni alla chirurgia sono quindi 3: I non responders al trattamento medico Pazienti giovani che hanno scarsa compliance per la terapia medica (ad esempio non hanno voglia di prendere pasticche per tutta la vita, visto che è una patologia che rimane). Pazienti che tendono a progredire troppo rapidamente da un’esofagite ad esofago di Barrett, nonostante la terapia medica. L’unico momento in cui questa patologia scompare è quando compare in gravidanza a causa della pressione intraaddominale che può spingere l’esofago in torace e si allarga un po’ lo iato. L’esofago quando scende in addome passa attraverso i cosiddetti pilastri del diaframma. Se si allargano, noi poi dovremo richiuderli dietro. Prima di fare un intervento del genere, dobbiamo assicurarci di alcune cose. Innanzitutto, dobbiamo essere sicuri che l’esofago abbia una buona motilità, perché se facciamo un intervento ad un paziente che dice di avere un reflusso senza studiarlo ed il paziente ha invece un reflusso acalasico, quindi con un esofago “a coda di topo” o comunque con una disnfuzione della motilità esofagea, con quest’intervento non solo non otteniamo il risultato ma peggioreremo i sintomi, perché il transito del bolo attraverso la giunzione gastroesofagea sarà ulteriormente impedito. Quindi come si studia prima un paziente? Lo abbiamo detto ieri, endoscopia e pHmetria non sono sbagliati ma non sono gli esami diagostici più corretti. L’esame paradigmatico è la manometria perché ci dirà le pressioni dei vari livelli dell’esofago e ci dirà se la contrazione dell’onda peristaltica è adeguata o no. Sapremo così se c’è disfunzione della valvola o della motilità dell’esofago. Oltre alla manometria, dobbiamo eseguire il pasto di Bario perché ci dirà se c’è quella condizione che nel 50% dei casi si associa al reflusso gastroesofageo, cioè se c’è un’ernia iatale (chiamata da scivolamento), ovvero lo sfiancamento seguito dalla migrazione della giunzione gastroesofagea nel torace. Qual è l’altra ernia gastroesofagea in torace che dà gli stessi sintomi? È l’ernia da rotolamento in cui è il fondo dello stomaco risale in torace ed è quella che più spesso può strozzarsi. I sintomi sono simili. Quindi, ricapitolando, si procede con l’endoscopia per valutare se ci sono lesioni di mucosa o se il dolore proviene da una malattia diversa (ad esempio un tumore); si effettua poi il pasto baritato per vedere la presenza dell’ernia iatale e la manometria. La pHmetria non è scorretta ma è superflua, perché l’anamnesi, con la manometria e la radiologia convenzionale sono sufficienti a porre diagnosi. Visto che è un esame non proprio ben tollerato, si potrebbe evitare. Quali sono le disfunzioni che possiamo trovare con la manometria? Una è l’acalasia, la quale se è presente da un po’ di tempo impedisce al paziente di avere una vita normale perché il paziente vomita, quindi non si possono alimentare correttamente, vanno incontro a polmonite ab ingestis ad hanno 33 volte in più la possibilità di sviluppare un cancro dell’esofago. Ad uno con acalasia possiamo eseguire una miotomia secondo Heller ed è il gold standard, cioè tagliamo le fibre longitudinali e circolari dell’esofago per un tratto piuttosto lungo, circa 6-7 cm sull’esofago, e di circa 2 cm sullo stomaco ed otteniamo un passaggio adeguato nell’esofago. Alla miotomia va sempre associata una plastica antireflusso perché praticamente con la miotomia andiamo a creare una condizione favorente lo svilupparsi di un reflusso gastroesofageo. Oltre alla miotomia, ci sono due alternative: l’iniezione di tossina botulinica a livello dello sfintere, dura qualche settimana e si deve ripetere periodicamente; la seconda è la dilatazione pneumatica che può essere fatta sia dagli endoscopisti che dai radiologi interventisti, offre ottimi risultati soprattutto nei pazienti anziani dove lo sfintere, una volta rotto, tenderebbe a non ricostituirsi. Anche questa procedura tende ad essere ripetuta. La prima volta si dilata di circa 20cc d’acqua, poi si fa a 30cc per arrivare ad un massimo di 40cc. Questa procedura ha un’incidenza di perforazione dell’esofago del 20%, per cui molto più alta della chirurgia che sarà più invasiva ma ha una percentuale di complicanze del 4%. Quindi le cose vanno bilanciate a seconda del paziente. Inoltre il paziente nel quale la dilatazione pneumatica fallisce, andrà necessariamente incontro alla chirurgia ma sarà più difficile, con un aumento della percentuale di complicanze fino al 10%. Passiamo agli spasmi esofagei. È una patologia rara che si manifesta come un’acalasia, ma il sintomo principale è il dolore. Si manifesta con ingestione di pasti freddi. L’aspetto dell’esofago è a cavaturacciolo, Diverticoli dell’esofago: compaiono sostanzialmente in due punti. Uno nel tratto cervicale dell’esofago ed è il cosiddetto diverticolo di Zenker. È un diverticolo da pulsione, cioè la pressione intraesofagea con la presenza di una ipertrofia o ipertono del muscolo cricofaringeo tende ad aumentare al passaggio del bolo e determina un piccolo diverticolo all’altezza del collo. È piuttosto fastidioso, la diagnosi è semplice ma vanno escluse altre patologie. Il sintomo principale è il reflusso che non è composto di succhi gastrici ma di materiale scarsamente digerito, perché il bolo non scende nello stomaco ma rimane parzialmente digerito dalla saliva nel diverticolo. Quando si ripresenta in bocca, o anche se stagna lì, è maleodorante e quindi avremo alitosi. Per cui il paziente avrà alitosi, sensazione di sapori cattivi in bocca e rigurgita. Viene spesso interpretato come reflusso perché il reflusso gastroesofageo è più diffuso. Il diverticolo si vede bene non con l’endoscopia perché puà sfuggire, bensì con l’esofagogramma e va fatto con il bario e non con le sostanze idrosolubili perché queste scendono giù troppo velocemente. Se il diverticolo è presente e sintomatico si può trattare chirurgicamente in due modi: o si fa un’incisione al collo, si seziona il diverticolo con una suturatrice meccanica e si seziona il muscolo cricofaringeo, intervento semplice con ottima compliance e basse complicanze, riservato soprattutto a diverticoli di grandi dimensioni; oppure il secondo intervento che si fa da qualche anno è riservato a diverticoli più piccoli, è simile a quello di prima solo che si effettua dall’interno, cioè si entra con l’endoscopio e la suturatrice meccanica, per cui non si toglie il diverticolo ma si fa in modo che la tasca non sia più ballonzolante e quindi il bolo scivoli in basso e non ristagni dentro. La dimensione del diverticolo quindi ci indicherà il tipo di intervento da effettuare. Claudio C.