come uscire dalla spirale del silenzio

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"Fronte comune per le vittime di usura e di estorsione"
Convegno tenutosi il 12 aprile 2016 presso la Sala Auditorium, viale Aldo Moro, 18,
Regione Emilia Romagna
"Le vittime della criminalità: come uscire dalla spirale del silenzio"
sintesi dell'intervento del Prof. Augusto Balloni1
1. Una breve premessa
Desidero ringraziare il dottor Antonino Di Geronimo per avermi invitato al convegno e per aver
posto nel titolo del medesimo in primo piano il ruolo e l'importanza delle vittime.
Questo evento mi dà la possibilità di rappresentare la Società Italiana di Vittimologia che svolge
un'attività che ritengo intensa e rilevante per quanto riguarda il ruolo della vittimologia. Negli ultimi
decenni in Italia è possibile cogliere, sia nel dibattito scientifico che in quello politico- istituzionale,
l'eco di un cambiamento che ha interessato la concezione della vittima di reato e l'attenzione nei
confronti dei processi di vittimizzazione. In questo convegno si delineano infatti due importanti
situazioni di grave vittimizzazione, l'usura e l'estorsione, e si dibattono le modalità per facilitare
l'applicazione dell'articolo 20 della Legge 44/1999 che prevede la sospensione degli adempimenti
amministrativi, fiscali e contributivi, attraverso un confronto con esperti e rappresentanti delle
istituzioni pubbliche e private. L'ospitalità fornita dalla Regione Emilia-Romagna contribuisce a dar
valore a questo significativo incontro.
2. Vittime e difesa sociale
L'accostamento "vittime e crimine" è un binomio facilmente comprensibile ed oltremodo
giustificato dal fatto che le vittime giocano un ruolo significativo nella individuazione del crimine, e
quindi si collegano al concetto di "difesa sociale", intesa come concezione generale del "sistema
anticriminale" che tende a proteggere la società dalle azioni delittuose, realizzando questa
protezione attraverso un complesso di provvedimenti e di regole extrapenali. Ed è su queste regole e
provvedimenti che cercherò di attirare l'attenzione affinché si tenti di evitare, con sempre maggiore
intensità e frequenza, il rischio della vittimizzazione, cioè il rischio di diventare vittime di un
crimine, di un'azione deviante ed anche di un'ingiustizia. Preciso fin d'ora che le vittime, pur
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Presidente della Società Italiana di Vittimologia (www.vittimologia.it) e dell'Università Popolare "Enrico Ferri"
(www.upef.eu) già professore ordinario di Criminologia all'Università di Bologna.
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concorrendo alla prevenzione e alla repressione del crimine, sono spesso abbandonate a se stesse
quando diventano tali, o vengono abbandonati i parenti delle medesime, bisognosi di sostegno, di
assistenza e soprattutto di solidarietà. La vittima poi gioca un ruolo nell'individuazione del crimine,
perché essa è la prima persona ad avere contatti con le forze di polizia, e con l'autorità giudiziaria,
per cui è lecito sostenere che le vittime concorrono, oltre che a rendere noto un crimine, a rendere
efficiente e stimolante l'attività delle forze di polizia. E' quindi evidente che il ruolo della vittima si
realizza tra i crimini, i loro autori,
i tutori dell'ordine e i rappresentanti dell'ordinamento
giudiziario. In questa dinamica psicosociale, ampia e complessa, noi siamo spettatori e a volte
vittime dirette, ma, da qualunque prospettiva ci mettiamo, siamo sempre vittime, perché il costo e i
danni del crimine gravano su tutta la collettività: le forze di polizia sono parte delle spese dello
Stato, così come l'organizzazione della giustizia e il sistema penitenziario.
Le grandi truffe, collegate alla corruzione, che incidono sulla finanza pubblica, sono appunto quelle
situazioni che ci rendono perlopiù vittime inconsapevoli e che a noi cittadini-gente-popolo vengono
comunicate con eufemistiche espressioni, quali "questione morale" o "malgoverno" o "inettitudine"
nel tutelare e governare la cosa pubblica, cioè la "nostra cosa", non nel senso mafioso del termine.
In una tal prospettiva si può e si deve fare riferimento alle vittime del potere mafioso, che
velocemente qui si definisce come potere che si regge sulla violenza istituzionalizzata a norma e
che, avendo una sovrapponibile similitudine con la faida, è un potere che si fonda sull'arretratezza e
che si rende purtroppo efficiente perché si concreta sullo strapotere di pochi e sulla dipendenza di
molti, trovando favorevoli condizioni in aspetti causali di tipo economico, politico e sociale.
In questa ottica si collocano le vittime della delinquenza organizzata che usa anche lo strumento
della corruzione, le vittime di quella forma di estorsione criminale definita racket o pizzo che si
sviluppa attraverso ben note strategie di minaccia ed intimidazione e le vittime dell'usura, che si
collegano al bisogno di denaro di persone in difficoltà economica per procacciarsi un forte
guadagno illecito. Questo riferimento è evidentemente legato al convegno di oggi, anche se la
condizione di vittima si ritrova in moltissime situazioni che vanno dal terrorismo alla violenza
politica, alla tratta e al commercio delle persone e in tutte quelle situazioni in cui un individuo
subisce un danno ad opera di un altro o di altri. Perciò per diventare vittima occorre soffrire un
danno, patirne le conseguenze, rendersene conto, cercare e ottenere il riconoscimento e la
validazione di altri e poi l'aiuto della società.
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3. Ritardato sviluppo della vittimologia
Tuttavia, la vittima dei reati, soprattutto in Italia, è rimasta a lungo estranea ad ogni interesse da
parte dell'opinione pubblica, da parte della dottrina criminologica e della ricerca empirica,
l'attenzione essendosi concentrata quasi esclusivamente sull'autore del reato.
Molte spiegazioni potrebbero essere fornite per questa negligenza nei confronti della vittima. Ci si
può, ad esempio, collegare al fatto che agli inizi del secolo scorso, molti criminologi, legati al
"positivismo", ritenevano che il comportamento deviante fosse determinato da impulsi biologici o
da costrizioni sociali che sfuggivano al controllo dell'individuo stesso: in una tal prospettiva è
evidente che il criminale può venire considerato una vittima. In altri termini, la nozione di criminale
come vittima implica la sua relativa mancanza di responsabilità per il reato commesso e tende,
inoltre, a focalizzare l'attenzione sui bisogni del reo piuttosto che su quelli della vittima.
Attualmente però questo orientamento tende a mutare, perché, quando si parla di reato, si parte da
un presupposto incontestato: il reato è interazione, il delitto è uno scontro all'interno di un rapporto
di tensione personale tra un reo ed una vittima. La nozione di vittima comunque è un concetto
tipicamente criminologico che sconfina verso significati estranei alle tematiche più propriamente
giuridiche. La vittima, come è noto, non ha rilievo giuridico autonomo, se non nella misura in cui
sia prevista la sua partecipazione al processo. Inoltre nella legislazione italiana il termine vittima
veniva impiegato solo nell'articolo 498 comma 4-ter c.p.p. con riferimento all'esame del minore
vittima del reato ovvero del maggiorenne infermo di mente, ponendo in tal modo in risalto la sua
qualità di soggetto debole, bisognoso di assistenza e di protezione. E' però la facoltà di intervenire
come parte civile, situazione che accomuna la maggior parte degli ordinamenti europei continentali,
che la rende sicuramente determinante.
La vittima, sia nella sua dimensione individuale che come soggetto collettivo, sembra di fatto venire
alla ribalta in maniera, per così dire, aggiuntiva rispetto al ruolo assunto nella dinamica dei fatti.
Inoltre, la vittima, con le sue emozioni e tensioni, può divenire frequentemente un soggetto
privilegiato "di spettacolo": si possono a questo punto ricordare le domande incalzanti poste dai
cronisti ai congiunti di una persona uccisa, oppure quelle rivolte al sequestrato appena liberato,
oppure la situazione di una persone che è stata fraudolentemente privata di tutti i suoi beni. A ciò si
affiancano anche i vari tentativi delle persone offese che minacciano di farsi giustizia da sé, in
questi casi la reazione alla percezione dell'offesa subita si configura in due aspetti: dell'azione
"giusta", in quanto giustificata, e dell'azione che "fa giustizia", sostituendosi ad una presunta inerzia
delle forze che istituzionalmente dovrebbero tutelare gli individui di fronte a violenze, soprusi ed
ingiustizie. Tutto ciò non giova alla vittima.
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La dimensione individuale si intreccia poi con quella collettiva espressa con le varie forme di
organizzazione delle vittime. Si tratta di persone portate alla ribalta dalla cronaca da eventi
drammatici, donne e uomini che hanno saputo trasformare il loro dolore in una possibilità concreta
per far valere ragioni e diritti che riguardano tutti. E' questa una forma preziosa di mobilitazione
collettiva, interna alla società civile che oltrepassa gli schieramenti politici ed ideologici: le vittime
e i loro familiari rivendicano diritti, impongono - in quanto cittadini e non come istituzioni - eventi
drammatici all'attenzione collettiva, così come si può constatare nei casi di racket, di sfruttamento e
di usura. In ogni caso, in un individuo che ha vissuto il ruolo di vittima, sottoposto ad una grave e
prolungata frustrazione, possono nascere sentimenti di fallimento personale, di ansia, di depressione
e anche modalità reattive che possono sfociare in situazioni paranoicali.
4. Una nuova tutela per le vittime: prospettive future
Gradualmente la vittima è diventata destinataria di interventi istituzionali ad hoc e tra questi si
possono ricordare istituti eterogenei quali il fondo di garanzia per le vittime della strada (artt. 19 e
24 legge 24 dicembre 1969, n. 990), gli interventi risarcitori a carico dello Stato in favore delle
vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (legge 20 ottobre 1990, n. 302), l'istituzione
del fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive (racket) (legge 18 febbraio 1992, n. 172),
l'incentivazione di prospettive di riconciliazione del reo con la vittima (art. 28 comma 2 legge
processuale minorile), la possibilità di accesso della parte offesa non abbiente al gratuito patrocinio
(art. 1 legge 30 luglio 1990, n. 217).
Nell'ambito del nostro convegno, si inserisce appunto la legge 44/1999 e le successive modifiche
che riguardano le "disposizioni concernenti il fondo di solidarietà per le vittime di richieste
estorsive e dell'usura".
Con il 2016, si verifica un'importante svolta così che è necessario segnalare che l'Italia "si dota di
nuovi strumenti a tutela della persona offesa dal reato, conformandosi alle sollecitazioni provenienti
a livello europeo"2. Infatti il Decreto legislativo, 15/12/2015 n° 212, G.U. 05/01/2016 di attuazione
della direttiva 2012/29/UE "integra e ristruttura in modo ampio e organico il quadro delle garanzie
già predisposte dal legislatore, compiendo un passo in avanti verso il riconoscimento di uno status
di vittima (e di vittima vulnerabile) e verso il perfezionamento delle forme di protezione ad esse
assicurate, all'interno e all'esterno del processo penale. [...] Un primo adeguamento dell'ordinamento
interno è stato reso necessario dalla stessa definizione di 'vittima di reato' adottata in ambito
europeo. Infatti, la nozione europea include sia la persona che abbia direttamente subito un danno
dal compimento di un reato sia - in caso di decesso di questa a causa dell'illecito - i suoi familiari,
2
http://www.altalex.com/documents/news/2016/01/11/vittime-di-reato
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fra i quali si annoverano anche le persone con essa conviventi in situazioni affettive stabili e
continue. L'ampliamento del concetto di 'nucleo familiare' sostenuto in ambito sovranazionale, ha
determinato una modifica in tal senso del codice di rito, legittimando - anche da questa prospettiva la dignità delle unioni sentimentali non formalizzate"3.
Nel citato decreto legislativo è anche puntualmente messa in evidenza l'importanza di definire l'età
della persona offesa dal reato ed è altresì posta in rilievo la necessità che vengano trasmesse alla
vittima le informazioni riguardanti la modalità di presentazione degli atti di denuncia o querela e la
facoltà di ricevere comunicazioni relative allo stato del procedimento. Inoltre, nei procedimenti di
delitti commessi contro la persona, sono immediatamente comunicati alla persona offesa, che ne
faccia richiesta, con l'ausilio della polizia giudiziaria, i provvedimenti di scarcerazione e di
cessazione della misura di sicurezza detentiva, dell'evasione dell'imputato e dell'internato. Vengono
poi poste in rilievo, a livello di comunicazione, le condizioni di particolare vulnerabilità della
persona offesa a cui deve essere fornita la possibilità di comprendere quanto le succede attraverso
un interprete. Infine si precisa che, quando la persona offesa versa in condizioni di particolare
vulnerabilità, l'esame della vittima deve essere effettuato con modalità protette. In particolare, alla
vittima viene data la facoltà di avvalersi della consulenza legale, del patrocinio a spese dello Stato,
del rimborso delle spese sostenute, della possibilità di richiedere il risarcimento e di tutta una serie
di informazioni riguardanti il corso delle indagini e del processo.
L'entrata in vigore di questo decreto legislativo è senz'altro un'importante svolta a livello
vittimologico e offre concrete possibilità perché le vittime della criminalità possano uscire dal
silenzio ed acquisiscano quei diritti che le salvaguardino per quanto riguarda i danni subiti.
Allora, con realismo creativo, occorre creare adeguate condizioni per l'assistenza e per il sostegno
alle vittime in parallelo a quei centri sociali istituiti per l'aiuto agli autori di reato: per le vittime
occorre fornire tutti gli strumenti per il riadattamento al proprio ambiente di vita così come per gli
autori di reato occorre offrire tutte quelle strutture idonee a favorire il loro reinserimento nella
società.
5. Osservazioni conclusive
L'attenzione accordata alle vittime può far pensare che si voglia capovolgere il senso dell'attività
tradizionale della criminologia, ricordo però che se verrà il tempo in cui un autore di reato avrà
preso coscienza concreta dell'effettivo danno recato alla sua vittima o alla collettività intesa come
vittima, allora si potrà inserire nella cultura della legalità anche l'autentico risarcimento di una
vittima come testimonianza di espiazione della pena.
3
Ibidem.
5
Una Giustizia che prende effettivamente in considerazione la situazione in cui si trova la vittima,
favorisce quel confronto sociale che si fonda appunto su un bilancio di diritti e di doveri, e che parte
da un'analisi di fattori che determinano la sicurezza individuale e sociale.
Sarebbe molto significativo se nel futuro, con riferimento al trattamento delle vittime, queste non
dovessero mai ripetere, riprendendo Pascal, "e così, non essendosi potuto fare in modo che quel che
è giusto fosse forte, si è fatto in modo che quel che è forte fosse giusto"4 dove il "forte", nel caso
della tutela e del trattamento delle vittime, è rappresentato dal disinteresse che certamente non è da
ritenersi "giusto" ma, al contrario, profondamente iniquo. Perciò diventa sempre più importante la
preparazione degli operatori sociali, per i quali deve essere fondamentale quella consapevolezza per
cui la legalità assume l'elevato significato di funzione mediatrice tra le aspirazioni degli individui e
il giudizio della società, che non si può profanare con la violenza, con il crimine e con l'abbandono
delle vittime e di tutti coloro che hanno bisogno di aiuto.
Pertanto, da parte della Società Italiana di Vittimologia, costituita 25 anni fa (1991), che da 10 anni
si avvale come suo organo ufficiale della "Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza"
(www.vittimologia.it/rivista) fondata nel 2006, ritengo infine che ci si debba prodigare per dare
spazio ad iniziative di formazione e di studio, soprattutto a quelle che trovano nel concetto di
“cittadinanza responsabile” il filo conduttore per collegare studi, convegni e ricerche. Infatti, è
proprio dall'incontro di queste due nozioni, “cittadinanza” e “responsabilità”, che possono scaturire
riflessioni sulle politiche contemporanee che dovrebbero ispirare - e dentro le quali potrebbero
trovare una significativa collocazione - le pratiche sociali e giudiziarie, rispetto alle quali le
tematiche criminologiche e vittimologiche costituiscono un aspetto irrinunciabile.
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Pascal B., Pensieri, Einaudi, Torino, 4a ed., 1980, pp. 136-137.
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