Madri e figlie, generazioni a confronto: ma la struttura teatrale delude al cinema di Paolo Mereghetti Il Corriere della Sera Cristina Comencini, autrice e regista a teatro di «Due partite» e Enzo Monteleone che ha portato al cinema la piéce teatrale di successo. Il regista ha diretto per il grande schermo «El Alamein» e in tv «Il capo dei capi» Il successo a teatro - due anni di repliche in giro per l' Italia - ha fatto arrivare Due partite anche al cinema, affidato però non alla sua autrice e regista teatrale Cristina Comencini ma a Enzo Monteleone, già sceneggiatore (per Salvatores, Mazzacurati, Piccioni e D' Alatri, tra gli altri) e ora soprattutto regista (El Alamein al cinema, Il tunnel della libertà e Il capo dei capi alla tivù). Il film mantiene non solo la struttura drammaturgica del testo teatrale (pubblicato da Feltrinelli), ma ne segue anche piuttosto scrupolosamente il dialogo, concedendosi una sola, rilevante novità: lo sdoppiamento del cast. Pièce e film, infatti, raccontano l' incontro per la consueta partita di canasta settimanale di quattro amiche e, una trentina di anni dopo, il ritrovarsi dopo un fatto luttuoso, delle loro rispettive figlie. A teatro madri e figlie erano interpretate dalle medesime attrici: Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi e Valeria Milillo. Sullo schermo le madri sono affidate ancora alla Buy, alla Ferrari e alla Massironi, a cui si aggiunge Paola Cortellesi, mentre la Milillo passa nei ranghi delle figlie, accanto a Carolina Crescentini, Claudia Pandolfi e Alba Rohrwacher. Qualche irrilevante comparsata maschile appare solo nella scena di raccordo tra il passato e il presente, quella che si svolge in un cimitero. Ambientato, diversamente dalla messa in scena teatrale, nello stesso appartamento, che la scenografa Paola Comencini ha saputo vivificare con un lavoro ben più approfondito del semplice «arredamento d' epoca» (decisamente notevole il lavoro sui quadri alle pareti, davvero insolito per il cinema italiano), il film è tutto centrato sui dialoghi delle otto protagoniste, grazie ai quali la Comencini cerca di affrontare alcuni degli aspetti che girano intorno al tema dell' emancipazione femminile. È certamente la qualità migliore del film ma anche, in qualche modo, il suo tallone d' Achille. Borghesi decisamente agiate, ognuna con un carattere o una faccia specifica della identità femminile benestante pre-Boom - l' acida repressa (Buy), la remissiva cuorcontenta (Massironi), la fredda disillusa (Cortellesi), la romantica incinta (Ferrari) - le quattro madri funzionano più sulla carta (e a teatro) che sullo schermo. Il difetto maggiore è una certa ostentata programmaticità che finisce per trasformarle da personaggi in tipi (fin troppo) caratteristici. Il testo della Comencini sa spesso cogliere nel segno, quello di una insoddisfazione generazionale e caratteriale non scontata, dove si mescolano fragilità psicologiche e condizionamenti sociali, intuizioni proto-femministe e (probabilmente) ricordi autobiografici, ma una certa «meccanicità» drammaturgica funzionale al palcoscenico finisce per stonare sullo schermo. Soprattutto quando la battuta o la gag (come le quasi doglie della Ferrari) arrivano sempre esattamente quando te lo aspetti, secondo una regola che a teatro può far scoppiare l' applauso della platea ma al cinema sa troppo di prevedibile. Per questo convince di più l' incontro tra le figlie, che Monteleone filma con maggior libertà e invenzione, abbandonando quelle carrellate circolari della prima parte che invece di movimentare la scena finiscono per dar l' impressione di «imprigionare» ancora di più le madri nei loro ruoli. Il tema della pièce ruota intorno all' eterna insoddisfazione delle donne per il loro ruolo, prigioniere di schemi borghesi da cui non vogliono (oltre che non possono) ribellarsi negli anni Sessanta e che ritrovano poco o niente cambiati anche qualche decennio dopo, quando l' indipendenza economica o la realizzazione personale non sembrano aver fatto raggiungere alle figlie quegli ideali di felicità che le madri sognavano. L' idea della messa in scena è quella di lasciare gli uomini fuori dal quadro ma di «interrogarli» silenziosamente per i loro comportamenti, ieri senza colpevolizzarli più di tanto (anche le madri malmaritate finiscono per accettare quel ruolo di cui si sentono in buona parte coresponsabili) e oggi chiamandoli in causa direttamente, chiedendo loro ragione delle proprie azioni, ma sempre senza nascondere le proprie responsabilità. Peccato che alla fine la sensazione sia più quella dell' esercizio d' intelligenza che d' introspezione, dove la prova d' attrice vince su quella di regia e l' atteggiamento che si chiede al pubblico sia quello di ammirare il funzionamento di un meccanismo ben oliato piuttosto che quello di immedesimarsi o di appassionarsi per qualcuna delle otto vite raccontate. Da Il Corriere della Sera, 6 marzo 2009 Mogli o madri? Soprattutto donne di Fabio Ferzetti Il Messaggero Quattro donne giocano a carte negli anni 60 scambiandosi sogni, confidenze, ricordi, stoccate. La casa è borghese, abiti, acconciature e canzoni sono così rigorosamente d'epoca che fanno un po' museo del modernariato, tutto è tipico, anzi archetipico. Normale: Due partite era una pièce di Cristina Comencini, ora è un film di Enzo Monteleone, ma il passaggio di testimone (e di sesso) non aggiunge granché. Il film si accontenta di illustrare la commedia come le attrici si accontentano di recitare i dialoghi, spesso brillanti, anche molto bene, ma senza uscire dal bon ton. Tailleur e amarezze, giri di perle e prese di coscienza. Si può rinunciare alla carriera per la famiglia, all'amore per la comodità, al piacere per il decoro? Difficile: sono donne troppo educate, troppo legate alle madri per liberarsi (belle le tirate della Cortellesi sull'amore-paura per sua madre e sulla "barbarie" del parto), e saranno le loro figlie a patirne, trent'anni dopo, nell'epilogo abbastanza sfocato. Il concetto è chiaro, forse troppo. Due partite cerca certezze, non dubbi. Un'utile ricapitolazione (Italian Graffiti?) visto quanto sono tornate indietro le donne (il mondo). Sarebbe bello però che a quei corpi e a quelle vite si chiedesse anche altro. E che l'ottimismo finale di quegli otto sguardi in macchina non sembrasse solo un atto di volontà. Da Il Messaggero, 6 marzo 2009 Due partite - la recensione Capita a volte che un’emozione vissuta sul palcoscenico possa essere tradotta con successo sul grande schermo. Il dubbio ne è un esempio recente. Sul fronte italiano il testo di Cristina Comencini intitolato Due partite, grande successo a teatro per la regia della stessa autrice, mantiene intatta la forza del contenuto ma la trasposizione cinematografica non è altrettanto coinvolgente. Due partite è l’universo femminile di otto donne. Nulla a che vedere con 8 donne e un mistero del francese François Ozon. Nel primo atto quattro di loro si confidano giocando a carte in un pomeriggio del 1966 mettendo sul piatto frustrazioni, delusioni e disincanto. E reciproco conforto. Il secondo atto vede in scena le altre quattro, figlie delle precedenti, che in un pomeriggio del 1996 si ritrovano nello stesso appartamento di allora alle prese con le stesse amarezze che la vita infligge impietosamente infischiandosene di qualunque scarto generazionale. L’approccio è meno drammatico di quanto possa sembrare. Le otto attrici (quattro con doppio ruolo nella versione teatrale) hanno numerose occasioni per approfittare dei dialoghi brillanti e sostenuti. Ferrari, Buy, Massironi e Cortellesi sono le madri calate nell’atmosfera retrò e negli abiti a fiori degli anni 60. Le prime tre si dimostrano a proprio agio, forti dell’interpretazione a teatro di quegli stessi ruoli, ma è Paola Cortellesi ad emergere grazie anche al personaggio più accattivante, più cinico e privo di sogni. Rohwacher, Crescentini, Pandolfi e Milillo, quest'ultima la quarta interprete del palcoscenico, sono le figlie che recitano nella parte più riuscita del film, la più incalzante perché adeguata ai tempi frenetici moderni. Alba Rohrwacher, a costo di ripeterlo ad ogni film che fa, riesce ad essere anche qui un passo avanti rispetto alle sue brave colleghe. Saggiamente la Comencini adatta il copione insieme ad Enzo Monteleone, ottimo sceneggiatore e regista, lasciandogli dirigere il film. Un occhio maschile, fino a quel momento assente, non poteva che completare l'opera. Eppure l'opera stessa al suo passaggio cinematografico si rivela molto, troppo claustrofobica. Se dal punto di vista attoriale le otto attrici convincono perché affiatate, e qui di un vero lavoro di squadra si tratta, la regia di Monteleone soffre suo malgrado. Si adatta ai diversi spazi temporali cercando nell'immagine e nei rumori quel realismo che il cinema pretende, ma subisce il fedele adattamento delle pagine teatrali senza riuscire a dare dinamismo al film. L'unico ambiente di svolgimento di Due partite e i temi di discussione prettamente femminili rischiano di annoiare prima del tempo. Antonio Bracco