18 settembre—17 dicembre SIAE - Classici di Oggi ex novo musica 2015 xii. edizione SIAE - Classici di Oggi Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee Conservatorio Benedetto Marcello Teatrino di Palazzo Grassi Ateneo Veneto con il sostegno di SIAE Pro Helvetia Fondazione svizzera per la cultura Fondazione Teatro La Fenice Palazzetto Bru Zane Centre de musique romantique française con la collaborazione di Archivio Luigi Nono Ateneo Veneto CIRS Centro Internazionale per la Ricerca Strumentale Città di Venezia Conservatorio di Musica Benedetto Marcello di Venezia Conservatorio di Musica Cesare Pollini di Padova CSC Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova Edizioni Suvini Zerboni, Milano Fondazione Giorgio Cini Casa Ricordi, Milano Les Harpes Camac Palazzo Grassi - Punta della Dogana SaMPL - Sound and Music Processing Lab Rai Radio 3 Studio Tapiro ex novo ensemble ringrazia Elisabetta Bocchese Agnese Bonini Claudio Ambrosini Leopoldo Armellini Florence Alibert Gabriele Bonomo Gianmario Borio Massimo Cacciari Sandro Cappelletto Cristiano Chiarot Laura Coppola Matteo Costa Rodolfo Delmonte Alexandre Dratwicki Rosa Giglio Marco Mazzolini Letizia Michielon Mario Messinis Gianluigi Pescolderung Veniero Rizzardi Franco Rossi Nuria Schönberg Nono Progetto grafico Studio Tapiro Agosto 2015 Infopoint Ex Novo Ensemble Presidente Claudio Ambrosini Cannaregio 3095 30121 Venezia Tel./Fax (+39) 041 5240550 Mobile (+39) 334 6561327 Mobile (+39) 334 6561328 [email protected] www.exnovoensemble.it Ingressi Interi 20 euro Residenti a Venezia 10 euro Studenti, soci CinemaPiù e soci Tci 5 euro Le manifestazioni del 24 settembre e del 14 dicembre sono ad ingresso libero Biglietteria Vela: punti vendita e orari Presso le sedi dei concerti un’ora prima dell’inizio degli spettacoli Teatro La Fenice tutti i giorni dalle 10.00 alle 17.00 Call Center Hello Venezia (+39) 041 2424 acquisto biglietti dalle 09.00 alle 18.00 Piazzale Roma tutti i giorni dalle 8.30 alle 18.30 Tronchetto tutti i giorni dalle 8.30 alle 18.00 Lido S.M. Elisabetta tutti i giorni dalle 8.30 alle 18.30 Mestre, via Verdi 14D dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 18.30 sabato dalle 08.30 alle 13.30 Dolo, via Mazzini 108 dal lunedì al sabato dalle 8.30 alle 18.30 Sottomarina, piazzale Europa 2/C tutti i giorni dalle 8.30 alle 18.30 Biglietteria on line www.teatrolafenice.it Canale di vendita internet percorsi verticali Le 14 commissioni e prime esecuzioni assolute Claudio Ambrosini (1948) Soliloquy versione per ottetto vocale [15] Raphaèle Biston (1975) Figure & Profile (2015) per ensemble [12] Azio Corghi (1937) Alzarsi in volo (2015) per soprano, voce recitante e ensemble [14] Xavier Dayer Notturno II (2015), per flauto, clarinetto e trio d’archi [1] Stefano Gervasoni (1962) Luce ignota della sera (2015) per pianoforte e live electronics [10] Philippe Hersant (1948) Usher (2015) per arpa e quartetto d’archi [13] Fabio Nieder (1957) 27 Haidenburger Vogellaute (2011/5) Isoformen per ottavino ed elettronica [3] Marcello Panni (1940) Luoghi dell’Apocalisse (2015) per clarinetto e quartetto d’archi [7] Filippo Perocco (1972) Detrito in Acquagranda, Detrito in Acquatorbida (2014/15) per ensemble [8] Elena Firsova (1950) Dalla Luce alla Luce op. 154 (2015) per bayan e quintetto d’archi [10] Vittorio Montalti (1984) Abandoned Places (2015) per ensemble e elettronica [12] Simone Movio (1978) Incanto XI (2015) per ensemble [12] Luca Richelli (1963) Echi di dolore (2015) per ensemble e live electronics [12] Corrado Rojac (1968) Nella notte III (2015) per trio con pianoforte [12] Tematica di approfondimento: Il suono francese, tra l’antico e il moderno Raphaèle Biston (1975) Figure & Profile (2015) per ensemble [12] André Caplet (1878-1925) Conte fantastique (1919) per arpa e quartetto d’archi [13] Jean Cras (1879-1932) Quintetto (1928) per flauto, trio d’archi e arpa [13] Xavier Dayer Notturno II (2012/15), per flauto, clarinetto e trio d’archi [1] Louise Farrenc (1804-1875) Trio in si minore (1857) per flauto, violoncello e pianoforte [6] Gabriel Fauré (1845-1924) Trio op. 120 (1923), per clarinetto, violoncello e pianoforte [6] Gérard Grisey (1946-1998) Stèle (1995) per due percussionisti [9] Philippe Hersant (1948) Usher (2015) per arpa e quartetto d’archi [13] Heinz Holliger (1939) Biaute … estrange (2001-2009), trascrizioni da Machaut per tre viole [1] Michael Jarrell (1958)Prisme (2001) per violino [1] Frank Martin (1890-1974) Quartetto (1966/67), per archi [1] Gabriel Pierné (1863-1937) Sonata da Camera op. 48 (1926) per flauto, violoncello e pianoforte [6] Maurice Ravel (1875-1937) Quartetto (1903) per archi [13] Charles-Marie Widor (1844-1937) Suite op. 34 (1877) per flauto e pianoforte [6] Le 14 commissioni e prime esecuzioni assolute Michael Jarrell Prisme (2001) per violino [1] Heinz Holliger Biaute … estrange (2001-2009), quattro trascrizioni da Machaut per tre viole [1] Doina Rotaru Epistrophe (2009) per flauto [3] Percorso sulla Musica della Grande Guerra André Caplet (1878-1925) Conte fantastique (1919) per arpa e quartetto d’archi [13] Azio Corghi (1937) Alzarsi in volo (2015) per soprano, voce recitante, e ensemble [14] Marcello Panni (1940) Luoghi dell’Apocalisse (2015) per clarinetto e quartetto d’archi [7] Max Reger (1873-1916) Quintetto op. 146 in la maggiore (1916) per clarinetto e quartetto d’archi [7] Igor Stravinskij (1882-1971) Suite da L’Histoire du Soldat (1918), per clarinetto, violino e pianoforte [14] Kurt Weill (1900-1950) Quartetto in si minore (1918) [7] I numeri tra parentesi quadre riferiscono alla manifestazione nella quale è inserita l’esecuzione dell’opera. Molte cose stanno accadendo nel mondo della musica contemporanea, ci sono sviluppi, trasformazioni, riaffioramenti. Dopo le eccezionali scuole del secondo dopoguerra basate anche su dettati numerici – sia nella forma strutturale, che aleatoria o minimalista – stanno ora dando frutti interessanti tendenze ispirate da altri pensieri, come quello armonicospettrale o quello elettronico. E sono perfino riemerse con forza correnti qualche decennio fa superciliosamente disdegnate, come la musique concrète, di derivazione futurista, oggi molto diffusa nella versione detta “musica concreta strumentale”, ora ironica, ora furente. Di tutto questo e altro Ex Novo Musica cerca di proseguire la testimonianza, tra sbiancanti marosi (finanziari) e altrettanto sfiancanti fasi di calma piatta, quella così ben descritta da Coleridge nell’appassionante Rime of the Ancient Mariner. E, come in quel poema, a navigare si corrono dei rischi mortali, soprattutto nei mari nostrani, in cui si possono incontrare particolari specie di squali e le famose meduse ministeriali, capaci di annichilire chiunque. Ma il viaggio caparbiamente continua, come sempre grazie alla determinazione della “ciurma” e dei rematori ospiti; grazie ai pennoni rinforzati dalle istituzioni più attente e sensibili – come il Comune, la Fenice, Palazzo Grassi-Punta della Dogana, Pro Helvetia, Palazzetto Bru Zane – alle quali si è ora aggiunta la SIAE, da quest’anno prezioso partner del nostro progetto. Ma soprattutto grazie al “vento” degli appassionati e del nostro pubblico, che ci auguriamo ci sospinga col consueto calore. Il barometro segna: Nuovo, tendente al Bello. E allora forza, alziamo le vele! Claudio Ambrosini Presidente dell’Ex Novo Ensemble «La melodia racconta la storia intima della volontà divenuta cosciente di se stessa, la vita intima, le aspirazioni, le tristezze, le gioie, il flusso e il riflusso del cuore umano. La melodia è una deviazione che si distacca dal tono fondamentale e attraverso mille fantastici sentieri sfocia in una dissonanza dolorosa per trovare infine la tonica esprimente la soddisfazione e l’acquietamento della volontà; ma a questo punto non si può più proseguire, mentre il voler sostenere la nota fondamentale troppo a lungo creerebbe una monotonia fastidiosa e insignificante, espressione della noia.» (Arthur Schopenhauer) Per raccontare la storia della XII stagione di Ex Novo Musica, ci siamo rivolti a Schopenhauer e alla sua capacità di entrare nel cuore del “far musica”. La rassegna propone stimoli numerosi ed eterogenei tanto da apparire a prima vista divaganti rispetto alle ragioni per le quali è stata creata: quelle cioè di far apprezzare la letteratura musicale degli ultimi due secoli privilegiando il principio di massima apertura alle sue molteplici espressioni. Come afferma Schopenhauer, si è sentita la necessità di non «sostenere la nota fondamentale troppo a lungo» anche in ragione del fatto che, per molti ascoltatori, le opere più recenti costituiscono una «dissonanza dolorosa» rispetto al loro “vissuto musicale”, per lo più orientato alla letteratura del periodo classico-romantico. La rassegna si pone dunque il compito di ampliare le esperienze di ascolto «attraverso mille fantastici sentieri». Ma una critica a tal modo di procedere appare subito evidente: se si accetta che il “rientro” nei repertori musicali usualmente apprezzati coincida con «la soddisfazione e l’acquietamento della volontà», ci si espone a postulare la “fisiologica” supremazia di quel linguaggio musicale che ha realizzato la sua estrema fase di sviluppo nel tardo-ottocento - al di là di tutte le “deviazioni”. Si tratta invece di “mutare lentamente” quel «tono fondamentale» che costituisce per molti appassionati di musica lo stato di «soddisfazione e acquietamento della volontà» e, adottando questa metodologia, impegnarci tutti - musicisti e ascoltatori - ad avviare un processo virtuoso che superi quel rifiuto, a tratti “viscerale”, che tutti abbiamo in qualche occasione avvertito nell’incontro con il “nuovo”. Le vivaci discussioni che si sono intrecciate nelle sale da concerto, dal dopoguerra a non molti anni orsono, avevano come leitmotiv la superiorità ineguagliabile della musica scritta nel XIX secolo - e di poche sue propaggini nel XX - sulla musica di tutte le altre epoche storiche. Discussioni che facevano da contraltare alle appassionate argomentazioni delle numerose “avanguardie” che si sono proposte alla ribalta in quegli anni e le cui opere abbiamo sempre presentato con piacere nelle stagioni Ex Novo Musica. Come Nietzsche aveva acutamente pronosticato: «ogni vera musica, ogni musica originale è un canto del cigno. – Forse anche la nostra ultima musica, sebbene sia dominatrice e assetata di dominazione, ha ormai dinanzi a sé solo un breve tratto di strada» (in Nietzsche contra Wagner). La sua infatuazione per Wagner (seppur tanto prolifica in termini filosofici) gli aveva in seguito rivelato che l’eterno insaziabile contrasto tra le primarie istanze espressive del fatto musicale – l’ apollineo e il dionisiaco – trova nell’atto creativo una sintesi unica e irripetibile, un “punto di equilibrio” che mai spezza la tendenza evolutiva, emblema di una creatività illimitata. «Si è mai notato che la musica rende libero lo spirito? Mette le ali al pensiero? E che si diventa tanto più filosofi quanto più si diventa musicisti? – Il grigio cielo dell’astrazione come solcato dai lampi; abbastanza vivida la luce per tutta la filigrana delle cose; i grandi problemi stanno per essere afferrati; il mondo è come scrutato dall’alto di un monte.» (in Il caso Wagner). Insomma la musica, riferendosi «simbolicamente al contrasto e al dolore primordiali nel cuore dell’Uno primigenio» decreta la «sua completa illimitatezza, non ha bisogno di immagine e di concetti, ma solamente li tollera accanto a sé». (in La nascita della Tragedia, capitolo V). Tutto questo per far rientrare almeno in parte in una sala da concerto «le fluttuazioni della volontà, la lotta dei motivi, il trabocco dilagante delle passioni», sensazioni che tutti noi sperimentiamo ma che la musica fa divenire visibili in modo «per così dire tangibile ai sensi» in quanto consente all’animo di «immergersi nei più delicati misteri delle emozioni inconsce». Non ci si fermerebbe certo mai di sfruttare la favolosa potenza immaginifica della prosa di Nietzsche ma dobbiamo senz’altro concludere. Come ogni anno, per favorire la lettura del cartellone di Ex Novo Musica 2015 si sono contestualizzati dei Percorsi Verticali, che sono allo stesso tempo a monte e a valle delle concezioni delle singole serate, superano e integrano le letture dei concerti: li troverete - per gli amanti delle strutture “ordinate” - tra le prime pagine di questo catalogo. Possono essere goduti come meglio si crede, anche - date le premesse di questo scritto - completamente elusi. Una quindicina di opere in prima esecuzione assoluta rappresentano anche quest’anno uno sforzo notevole di slancio verso il nuovo: per rinnovare «l’incantesimo dionisiaco-musicale», per evocare «scintille d’immagini». Salutiamo con sincera gratitudine il prestigioso riconoscimento tributato quest’anno al Festival dalla SIAE (Società Italiana Autori ed Editori) che ha incluso Ex Novo Musica nel progetto di sostegno denominato SIAE Classici di Oggi. Un particolare segno di stima il Festival desidera esprimere alla Fondazione Teatro La Fenice - che da dodici anni ospita gran parte della Stagione concertistica - e al suo Sovrintendente Cristiano Chiarot; alla Fondazione Pro Helvetia, a Palazzo Grassi - Punta della Dogana, al Centre de musique romantique française del Palazzetto Bru Zane. «Un testo implica una pluralità di testi. Le grandi opere sono sempre costituite da un gran numero di altri testi, non sempre identificabili nella superficie: fonti, citazioni e ascendenze più o meno nascoste che sono state assimilate, non sempre volontariamente e consapevolmente, dall’autore stesso.» (Luciano Berio, Lezioni americane, VI) Aldo Orvieto 1 venerdì 18 settembre ore 20.00 Teatrino di Palazzo Grassi Focus svizzera contemporanea musiche di Xavier Dayer, Heinz Holliger, Michael Jarrell, Frank Martin con il sostegno di Pro Helvetia, Fondazione Svizzera per la Cultura Ex Novo Ensemble in collaborazione con Palazzo Grassi - Punta della Dogana 2 giovedì 24 settembre ore 19.00 Fondazione Giorgio Cini Sala degli Arazzi Massimo Cacciari e Luigi Nono colloquio tra Gianmario Borio, Mario Messinis, Veniero Rizzardi, Nuria Schönberg Nono, Alvise Vidolin ore 20.00 Risonanze erranti SIAE Classici di Oggi musiche di Fabio Nieder e Luigi Nono Katarzyna Otczik contralto Daniele Ruggieri flauto e ottavino Daniele Spano tuba Art Percussion Ensemble Marco Angius direttore Alvise Vidolin regia del suono Luca Richelli live electronics in collaborazione con Archivio Luigi Nono, Fondazione Giorgio Cini, SaMPL - Sound and Music Processing Lab, CSC - Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova con il sostegno di SIAE 3 domenica 27 settembre ore 20.00 mercoledì 7 ottobre ore 20.00 domenica 11 ottobre ore 20.00 6 sabato 17 ottobre ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Galante e virtuoso Bruckner/Mahler Colori francesi Itinerari musicali della Grande Guerra SIAE Classici di Oggi musiche di Anton Bruckner musiche di Carl Philipp Emanuel Bach, Ivan Fedele, Georg Friedrich Haendel, Antonio Locatelli, Doina Rotaru, Salvatore Sciarrino Manila Santini e Aldo Orvieto pianoforte a quattro mani musiche di Louis Farrenc, Gabriel Fauré, Gabriel Pierné, Charles-Marie Widor musiche di Marcello Panni, Max Reger, Kurt Weill Ex Novo Ensemble Ex Novo Ensemble in collaborazione con Palazzo Grassi - Punta della Dogana con il sostegno di Palazzetto Bru Zane - Centre de musique romantique française Mario Caroli flauto e ottavino Daniele Ruggieri flauto Carlo Teodoro violoncello Elisabetta Bocchese clavicembalo Teatrino di Palazzo Grassi con il sostegno di SIAE sabato 24 ottobre ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Vie d’acqua SIAE Classici di Oggi Musiche di George Crumb, Hanns Eisler, Filippo Perocco, Salvatore Sciarrino Ex Novo Ensemble con il sostegno di SIAE 8 sabato 31 ottobre ore 18.00 Conservatorio Benedetto Marcello Gesti elettronici musiche di Gérard Grisey, Karlheinz Stockhausen, Iannis Xenakis Art Percussion Ensemble Alvise Vidolin regia sonora Luca Richelli e Massimo Pastore concezione progettuale e direzione musicale in collaborazione con SaMPL - Sound and Music Processing Lab, CSC - Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova 9 domenica 15 novembre ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Dalla luce alla luce musiche di Edison Denisov, Elena Firsova, Sofia Gubaidulina, Simone Movio Germano Scurti bayan Ex Novo Ensemble 10 sabato 21 novembre ore 20.00 Teatrino di Palazzo Grassi Verso il nuovo mondo musiche di Samuel Coolerifge-Taylor e Antonin Dvorák Ex Novo Ensemble in collaborazione con Palazzo Grassi - Punta della Dogana 11 sabato 28 novembre ore 18.00 Conservatorio Benedetto Marcello Visioni elettroacustiche 12 martedì 1 dicembre ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee La masque de la mort rouge SIAE Classici di Oggi musiche di Claudio Ambrosini, Raphaèle Biston, Stefano Gervasoni, Vittorio Montalti, Luca Richelli, Corrado Rojac musiche di André Caplet, Jean Cras, Philippe Hersant, Maurice Ravel con il sostegno di Palazzetto Bru Zane - Centre de musique romantique française Alvise Vidolin regia sonora Ex Novo Ensemble Ex Novo Ensemble in collaborazione con SaMPL - Sound and Music Processing Lab, CSC - Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova con il sostegno di SIAE 13 domenica 6 dicembre ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Alzarsi in volo SIAE Classici di Oggi musiche di Azio Corzi e Igor Stravinskij Valentina Caladonato soprano Sandro Cappelletto drammaturgia e voce recitante Ex Novo Ensemble con il sostegno di SIAE 14 lunedì 14 dicembre ore 20.00 Ateneo Veneto Soliloquy SIAE Classici di Oggi musiche di Claudio Ambrosini, Luciano Berio, Sigismondo d’India, Claudio Monteverdi Zero Vocal Ensemble in collaborazione con Ateneo Veneto con il sostegno di SIAE 15 giovedì 17 dicembre ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Fortissimo nel mio cuore! SIAE Classici di Oggi musiche di Luigi Nono, Franz Schubert Monica Bacelli mezzosoprano Sandro Cappelletto voce narrante Aldo Orvieto pianoforte Alvise Vidolin regia sonora in collaborazione con Archivio Luigi Nono con il sostegno di SIAE Alcuni concerti di Ex Novo Musica 2015 sono registrati e trasmessi in differita da RAI Radio 3 I testi e la redazione del catalogo sono a cura di Aldo Orvieto con il sostegno di Pro Helvetia, Fondazione Svizzera per la Cultura In collaborazione con Palazzo Grassi - Punta della Dogana Ex Novo Ensemble Daniele Ruggieri flauto Davide Teodoro clarinetto Carlo Lazari violino (*) Annamaria Pellegrino violino Mario Paladin viola Carlo Teodoro violoncello con la partecipazione di Simone Siviero viola Lucia Zazzaro viola focus svizzera contemporanea venerdì 18 settembre 2015 ore 20.00 Teatrino di Palazzo Grassi Frank Martin (1890-1974) Quartetto (1966/67) per archi, Lento – Prestissimo – Larghetto – Allegretto leggero Commissione Fondazione Pro Helvetia per il 100° anniversario della Tonhalle di Zurigo Michael Jarrell (1958) Prisme (2013/14) per violino (*) prima esecuzione italiana Heinz Holliger (1939) Ballade IV “Biaute qui toutes autres pere”, Ballade XXVI, Triple Hoquet (basato su Hoquetus David) da Biaute … estrange (2014) trascrizioni da Machaut per tre viole prima esecuzione italiana Xavier Dayer (1972) Notturno II (2012/15) per flauto, clarinetto, violino, viola e violoncello prima esecuzione assoluta Frank Martin Quartetto. Che dire di un’opera che non si rifà a nulla che non sia di essenza propriamente musicale, di un’opera di musica pura? Difficilmente si possono trattare cose diverse da questioni tecniche, come l’analisi della sua forma, o l’impiego che si è scelto per gli strumenti. Gli elementi essenziali si trovano già nel programma: si tratta di un’opera in quattro movimenti: Lento, Prestissimo, Larghetto e Allegretto leggiero. Di questi quattro movimenti solo il terzo affida uno spazio veramente preponderante al primo violino; negli altri, mi sono proposto di trattare gli strumenti come quattro solisti di eguale importanza. Il primo movimento, Lento, propone una costruzione molto particolare: il primo elemento è una lunga frase, puramente melodica, affidata alla viola; un secondo elemento, più leggero, è affidato al secondo violino, accompagnato “in pizzicato” dal violoncello; in seguito la prima frase viene ripresa interamente dal primo violino e dalla viola “in doppia ottava”, ma sovrapposta al disegno leggero degli altri due strumenti. Il medesimo procedimento si ripete con un’altra melodia, prima esposta dal violoncello, poi ripresa dal primo violino; una nuova frase leggera interviene, che si sovrapporrà a sua volta a questa seconda idea melodica. Infine, la prima melodia riprenderà forza nei quattro strumenti e guiderà alla conclusione. Il secondo movimento è uno scherzo di carattere sostanzialmente violento, dove gli strumenti si scambiano dei passaggi rapidi, spesso a una sola voce, talvolta a due voci; la parte centrale è costituita da una melodia capricciosa del primo violino che viene accompagnata da una formula ritmica assai complessa e costantemente indipendente dall’andamento di questa melodia. Il terzo movimento è in forma di Lied, dove il primo violino mantiene, pressoché costantemente, il posto d’onore, sia per la lunga melodia introduttiva, sia per gli arabeschi che le rispondono nella parte centrale. Il finale è il solo brano di questo quartetto in cui la composizione è stata in qualche modo dettata da una immagine extramusicale. Avevo sognato, una notte, durante un soggiorno a Graz, di vedere delle figure semi-umane danzare sollevate nell’aria e sapevo, nel mio sogno, che questa danza aerea, sarebbe dovuta figurare nel finale del mio quartetto. A torto o a ragione, mi sono lasciato guidare da questo sogno e ho tentato di conferirgli una sorta di traduzione musicale. Che vi sia riuscito o no, ne è risultato che, su un ritmo di 6/8 assai saltellante e frequentemente rotto, tutte le figure melodiche salgono senza posa o rimango sospese nell’acuto, salvo nel momento della conclusione. Questo quartetto è stato scritto per festeggiare i 100 anni di esistenza della Tohnhalle-Gesellschaft Zürich ed è dedicato a questa istituzione in omaggio al magnifico lavoro che questa Società ha compiuto in un secolo a favore della cultura musicale nel nostro paese. [Frank Martin] Michael Jarrell Prisme. Questo lavoro per violino solo è tratto da … prisme/incidences … (1998) per violino e orchestra. Operando al contrario di Berio nei suoi Chemins, Michael Jarrell riprende in questo caso la parte solistica di un’opera concertante “isolandola”, spogliandola dei dialoghi sonori che intrecciava con l’orchestra. Il violino deve dunque “completarsi” da sé medesimo facendo riferimento solo alla propria sostanza sonora. L’ascoltatore è immediatamente attratto dalle evidenti mutazioni del contesto musicale che disegnano la struttura dell’opera: cambiamenti di parametri legati alle altezze (il compositore sfrutta la polarità di alcune note-cardine, come la nota re all’inizio del brano), al grado di velocità ed al virtuosismo. Una sequenza di episodi più o meno lunghi si profila dunque all’ascolto senza però frammentare il discorso musicale con evidenti tagli formali. Il progetto è piuttosto quello di riferirsi al “prisma” in relazione alla sua definizione secondaria: “vedere (o sentire) attraverso un prisma”, cioè percepire una realtà deformata ottenuta attraverso sottili modificazioni delle componenti del suono. Michael Jarrell domina perfettamente i colori, le dinamiche, i registri, le prassi strumentali (particolarmente raffinate dal punto di vista armonico) e giunge a creare, attraverso l’uso di tecniche nuove assai espressive, una prospettiva immaginaria dove lo strumento si apre a tutti i percorsi possibili. Heinz Holliger Ballade IV “Biaute qui toutes autres pere”, Ballade XXVI, Triple Hoquet. Nel 2001 in occasione del Festival “Viola-Viola” della Westdeutscher Rundfunk (WDR) composi le mie due prime trascrizioni per tre viole da opere di Machaut, per così dire come contrapposizione alle trascrizioni recentemente scoperte, realizzate dal giovane Luigi Nono su opere di Okeghem. Durante gli otto anni seguenti, ha visto la nascita un intero ciclo. Il confronto con l’arte di un grande musicista e poeta del XIV secolo mi ha aperto numerose vie nuove per il mio lavoro di compositore. Questo ciclo può essere interpretato con o senza i movimenti originali di Machaut o anche unicamente come un trio per tre viole. La Ballata IV “Biaute qui to- utes autres pere” del 2001 è una trascrizione fedele alle note dell’originale in armonici naturali. La Ballata XXVI, anche questa del 2001, esprime il testo originale con suoni normali e armonici. Il “suono originale” trapassa i suoni armonici, “non pesanti”, suonati simultaneamente. Nel Triple Hoquet (tratto dall’ Hoquetus David) del 2002 le unità motiviche sono quasi “atomizzate” dalla struttura isoritmica originale interamente rispettata. Si forma così un “vortice di particolari” che ricorda Célan. [Heinz Holliger] Xavier Dayer Notturno II. In questo brano il trio d’archi e il clarinetto disegnano una melodia continua, la cui scrittura presenta un complesso intreccio timbrico che viene realizzato attraverso una distribuzione costantemente cangiante della linea del canto tra le parti strumentali. Quando questa melodia si interrompe il flauto presenta un solo dal carattere rapsodico costruito con elementi ritmicamente nuovi, che man mano si sovrappongono ai materiali proposti dagli altri strumenti dell’ensemble, senza alcuna sincronizzazione. Nella seconda parte dell’opera flauto e clarinetto si scambiano i ruoli. La scrittura impiega intervalli consonanti (terze maggiori, quinte giuste, etc.) che devono però essere intonati a distanza di quarti di tono dalla base dell’intonazione temperata. Il pezzo intende stabilire, attraverso il complesso di queste tecniche, un arco espressivo continuo abitato da una forma di tensione sorda e interiore. [Xavier Dayer] SIAE Classici di Oggi in collaborazione con Archivio Luigi Nono, Fondazione Giorgio Cini, SaMPL e CSC con il sostegno di SIAE Katarzyna Otczik contralto Daniele Ruggieri flauto e ottavino Daniele Spano tuba Art Percussion Ensemble Arrigo Axia, Mattia Basi, Francesco Biolcati, Marco Buffetti, Paolo Lus, Riccardo Nicolin Marco Angius direttore Alvise Vidolin regia del suono Luca Richelli live electronics risonanze erranti giovedì 24 settembre 2015 ore 20.00 Fondazione Giorgio Cini Sala degli Arazzi ore 19.00 Massimo Cacciari e Luigi Nono: una tratto della storia della Musica del Secondo Novecento colloquio tra Gianmario Borio, Mario Messinis, Veniero Rizzardi, Nuria Schönberg Nono, Alvise Vidolin ore 20.00 concerto Fabio Nieder (1957) 27 Haidenburger Vogellaute (2011/5) Isoformen per ottavino ed elettronica Voci elaborate su fixed media eseguite dal Thümmel Ensemble del Conservatorio “C. Pollini” di Padova diretto da Marina Malavasi prima esecuzione assoluta Luigi Nono (1924-1990) Risonanze erranti. Liederzyklus a Massimo Cacciari, per mezzosoprano, flauto, tuba, sei percussionisti e live electronics (testi di Ingeborg Bachmann e Herman Melville) (1986) Con gli allievi del Corso SMUG (SaMPL per la Musica Giovanile) 2015: Davide Gagliardi, Alessandro Laraspata, Marco Matteo Markidis, Valerio Montecchio, Daniele Pozzi, Giovanni Salice Un sentito ringraziamento alla Fondazione Giorgio Cini per la gentile ospitalità e collaborazione Luigi Nono Risonanze erranti. Liederzyklus a Massimo Cacciari. Risonanze erranti, composta nel 1986 ebbe la sua prima esecuzione nel marzo dello stesso anno a Colonia a cui seguirono altre due esecuzioni, Torino 1986 e Parigi 1987, prima di arrivare alla versione definitiva. Questo lavoro si configura come la prima tappa di un ciclo di Lieder che doveva svilupparsi in parallelo ai post-prae ludi ( il n. 1 “per Donau” e il n. 3 “BAAB-ARR”), composizioni ideate “prima” di Prometeo. Tragedia dell’ascolto (1984-85), ma realizzate “dopo” e strettamente legate al virtuosismo dei suoi solisti-collaboratori. Il lavoro è dedicato a Massimo Cacciari che ha curato i testi di Prometeo e di molti altri lavori di questo periodo, oltre ad aver condiviso con Nono lo sviluppo di una nuova fase creativa a cavallo degli anni ’80 del secolo scorso. In Risonanze erranti, Nono utilizza frammenti di testi di Herman Melville, soprattutto dai battle – pieces and aspects of the war (1866) e di Ingeborg Bachmann (Keine Delikatessen, 1963) con echi musicali del passato tratti da Guillaume de Machaut (Lay de plour), Josquin Desprez (Adieu mes amours) e Johannes Ockeghem (Malheur me bat). Alterna forti contrasti dinamici nelle percussioni con colpi secchi dei bongos e dei crotali che diventano carezze sonore quando i percussionisti sfiorano con le mani la superficie rugosa delle campane di pastori sardi, la pelle dei tamburi, i dischi di metallo dei crotali. Queste sonorità subliminali vengono ulteriormente moltiplicate e proiettate nello spazio acustico attraverso l’elettronica, con un banco di 8 echi elettronici caratterizzati da una precisa struttura ritmica asimmetrica nella sua ripetizione iterata: nelle parole di Nono, «suoni erranti nello spazio vero strumento componente sempre più in attesa». In maniera analoga la voce si interpola con il flauto/ottavino e la tuba, confondendosi a vicenda, esplodendo in sforzatissimi a cinque ƒ per sparire nel silenzio sonoro dei pianissimi a sei p, alternando gesti esasperati a rassegnati abbandoni in cui la parola adieu, da Desprez, si allontana nello spazio come fosse lanciata verso l’infinito. [Alvise Vidolin] Fabio Nieder 27 Haidenburger Vogellaute (2011/5) Isoformen per ottavino ed elettronica. La nuova versione è un’installazione sonora e visiva per uccelli in voliera, richiami di uccelli preregistrati, ottavinista, 3 ottavini preregistrati, coro d’uomini invisibile, accordeon o organo o synthesizer e regia del suono. L’ottavinista in gabbia o voliera suona assieme ai veri uccelli anch’essi nella stessa voliera. Lei o lui ottavinista/donna/uomo/uccello è in gabbia prigioniera/o ma libera/o di suonare i 27 richiami nell’ordine che desidera al momento, sempre il più veloce possibile. Il suo “doppio”, i tre ottavini preregistrati, sono invece espressione di una rigorosa struttura contrappuntistica che utilizza gli stessi richiami che l’ottavinista suona dal vivo con libertà improvvisativa. Lo strato preregistrato mostra come i singoli richiami siano in realtà inseriti in un sistema di imitazioni e influenze reciproche. Così come capita nel mondo degli uccelli e degli esseri umani, questi richiami sono il risultato di influenze da parte di altri individui dovute a mutazioni di paesaggi armonici e intervallari. I 27 richiami di Haidenburg sono suddivisi in: 8 richiami d’allarme, 3 richiami d’attacco, 2 richiami sessuali, 2 richiami di disturbo, 6 richiami di fuga, 2 canti dell’uccello del paradiso, 2 richiami di difesa del territorio e 2 richiami del nido. Gli uccelli veri invece hanno il loro “doppio” nei richiami di veri uccelli preregistrati, uccelli che ovviamente non si vedono. Infine tutta questa volta celeste appena descritta, questo cielo pieno di voli inaspettati e di stormi di contrappunti, ha il suo doppio nel suono oscuro, più lento e più piano possibile di un coro maschile invisibile a tre parti sostenuto da un accordeon o organo o synthesizer che risuona sotto i piedi degli ascoltatori. È questo come un respiro lento e misterioso della terra. Come l’onda lenta di una scossa tellurica. Il materiale armonico e intervallare del coro maschile è lo stesso che da vita ai richiami degli uccelli ma qui irriconoscibile tale è la diversità di esecuzione. I due mondi non si toccano mai. Essi sono spazializzati da uno “split” che separa il cielo dalla terra, la luce dall’oscurità, la velocità dalla lentezza, il forte dal pianissimo. Sia gli stormi di contrappunti dei tre ottavini preregistrati che i respiri del coro d’uomini invisibile e anch’essi preregistrati vengono distribuiti liberamente nello spazio dal regista del suono che qui ha una importante funzione creativa/ compositiva. Questo lavoro di pre-produzione è stato realizzato dal laboratorio SaMPL del Conservatorio di Padova come pure la spazializzazione elettronica del suono dei due mondi la quale segue questo principio creativo che di volta in volta, a seconda di spazi diversi, deve poter riprodurre la filosofia di questo universo sonoro. [Fabio Nieder] SIAE Classici di Oggi con il sostegno di SIAE Mario Caroli flauto e ottavino Daniele Ruggieri flauto Carlo Teodoro violoncello Elisabetta Bocchese clavicembalo galante e virtuoso domenica 27 settembre 2015 ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Ivan Fedele (1869-1949) Donax (1992) per flauto solo Georg Frederich Händel (1685-1759) Trio Sonata in mi minore HWV 395 per due flauti e basso continuo Largo – Allegro – Largo – Allegro Salvatore Sciarrino (1947) Morte tamburo (1999) per flauto solo Pietro Antonio Locatelli (1695-1764) Trio Sonata op 5 n° 1 in sol maggiore per due flauti e basso continuo Andante – Largo – Allegro – Vivace Doina Rotaru (1951) Epistrophe (2009) per flauto solo prima esecuzione italiana Carl Philip Emanuel Bach (1714-1788) Trio Sonata in re minore WQ 145 per due flauti e basso continuo Allegretto – Largo – Allegro Ivan Fedele Donax, Sebbene il titolo riprenda il termine greco che designava il flauto di Pan, Ivan Fedele elabora in Donax una sorta di viaggio attraverso le diverse connotazioni culturali del flauto nelle varie epoche storiche risalendo infine all’archetipo del flauto a canne. La grande complessità strumentale formale e linguistica si traduce in svariati modi di suonare lo strumento attraverso tecniche strumentali diverse. Sebbene la scrittura sfoggi grandi abilità nel concepire raffinati effetti timbrici, tali effetti risultano sempre intimamente legati alla struttura formale del pezzo. Donax è diviso in quattro parti: all’inizio appare una sorta di dialogo tra più flauti che utilizzano i suoni “eolici” (suoni con soffio), i “pizzicati” (slap con la lingua), i “tongue ram” (un genere di slap ad imboccatura chiusa), suoni aspirati, glissandi con le labbra e trilli “timbrici” cioè tra note della medesima altezza, ma con colori diversi. La seconda parte utilizza i “tongue ram” in opposizione ai “jet whistle”, grandi esplosioni di soffi (ad imboccatura chiusa); nel movimento lento intervengono frequentemente “whistletones”, prodotti ad imboccatura chiusa, con la lingua posta in maniera idonea a far fischiare il flauto (tecnica difficile e sfruttata molto raramente). Il terzo movimento è una sorta di moto perpetuo basato all’inizio sullo staccato tradizionale, che progressivamente lascia il posto a dei cluster di armonici, ai quali sono associati dei piccoli elementi, una specie di ombra dei cluster, formati da una nota “decorata” da un trillo microtonale, che annunciano l’inizio dell’ultima parte del brano. Tale sezione evoca il ritorno al flauto primordiale, il flauto di canne, mediante diversi tipi di vibrato o “smorzato” (con le labbra o con il diaframma), alcuni bicordi, degli slap che fanno pensare al suono dei bongo, come anche dei trilli e delle oscillazioni microtonali che si ottengono attraverso una leggera rotazione dell’imboccatura. La parte finale utilizza questi elementi in maniera sempre più dolce, per lasciare l’ascoltatore con l’immagine di un flauto sognante e interrogativo. Georg Frederich Händel Trio Sonata in mi minore HWV 395. Si è soliti attribuire alla musica strumentale di Händel meno rilievo rispetto alla produzione vocale sottovalutandone la straordinaria potenza espressiva. Il suo repertorio strumentale era in gran parte destinato a cerimonie occasionali (è il caso della Water Music e della Musica per i Fuochi d’Artificio Reali) o aveva la funzione di essere integrato nel contesto di opere di più vaste proporzioni: è questo il caso dei concerti per organo, dei Grandi Concerti op. 6 e dei Concerti a due cori. Le composizioni cameristiche di Händel appartengono per gran parte alle due principali forme in uso nel periodo: le sonate solistiche e le Trio Sonate per due strumenti melodici e basso continuo. Per le Trio Sonate Händel normalmente utilizza la forma della Sonata da Chiesa nell’abituale alternanza di movimenti lento-veloce-lento-veloce. Anche la Trio Sonata in mi minore che ascolteremo questa sera segue questa strutturazione. Il primo movimento è delineato da un armonioso incedere di scale e arpeggi dall’andamento semplice e privi di turbamenti armonici nel basso; nel secondo tempo, un Allegro fugato, il basso partecipa invece a pieno titolo al trattamento del materiale tematico. Dopo l’esposizione del tema da parte del primo flauto accompagnato dal controsoggetto affidato al basso è interessante notare l’inusuale accorgimento - ripetuto più volte nello svolgimento di questo movimento - di far tacere il basso, affidando il controsoggetto al primo flauto mentre il secondo espone il tema alla dominante: questa improvvisa e inattesa assenza della linea del basso subito dopo l’inizio del movimento genera un effetto timbrico particolare e sorprendente. Il terzo tempo, un Largo in sol maggiore, impiega una cantabilità vocale spiegata, con l’apparizione suggestiva della tonica minore in prossimità della conclusione. L’Allegro finale coniuga il carattere leggero di danza ternaria con tratti ritmicamente più impetuosi caratteristici della scrittura di Händel. La maggior leggerezza di scrittura viene realizzata affidando al basso il ruolo di semplice sostegno armonico (a parte un breve episodio imitativo) e adottando una condotta delle parti al tempo stesso essenziale e virtuosistica: riducendo l’uso delle imitazioni e privilegiando spesso disegni per terze. Salvatore Sciarrino Morte tamburo. Negli appunti di Cantare con silenzio, l’irrompere dello strumento solista doveva formare due intermezzi. Il primo è divenuto L’orologio di Bergson; il secondo era contrassegnato come Danza della Morte-tamburo. Prima di ogni commento meglio leggere i testi che alla musica hanno fatto da culla. Così si apre Cantare con silenzio: Sapere chiaro produce certezza / e la certezza un’ombra / d’ignoranza. Tu / accanto a ciò che comprendi / impara ciò che non comprendi / nutri la solitudine / sì, parti: esci / all’incrocio dei venti / non sai quale a te tocca / scopri l’altro che genera in te. A questo punto si collocava originaria- mente L’orologio di Bergson. Attaccava poi il seguente canto: Bergson prendeva il bicchiere / girando con un cucchiaino / diceva all’uditorio: / dobbiamo aspettare che lo zucchero si sciolga. Bisogna sapere che, durante le sue lezioni, Bergson faceva in modo che tutti i presenti provassero la soggettività del tempo. Un esperimento di autosufficiente evidenza: data una quantità di zucchero in una data quantità di acqua a determinate condizioni fisiche, occorre un certo preciso tempo affinché lo zucchero si sciolga. Ma ad ognuno questo tempo sembrerà diverso, a chi breve, a chi interminabile. Sarebbe spontaneo immaginare che Bergson non portasse orologio. Invece la sua conoscenza del tempo si basava su un’esatta valutazione. L’orologio di Bergson batte colpi violenti, in apparenza sempre uguali. Invece il tempo impercettibilmente si flette. Dove smette di pulsare, continuiamo a percepirlo. In mezzo ai colpi passano sciami di eventi sonori eterogenei, nella stessa direzione del tempo o in direzione contraria. Questo pezzo sfrutta in modo inaudito le articolazioni più elementari che ci siano, suoni distanziati e ripetuti, usandoli come stacchi di immagini sonore periodiche e intermittenti. Ne deriva un’esperienza singolare di tipo cinetico. Entrano in gioco: persistenza, direzionalità dell’immagine, e soprattutto la discontinuità di spazio e tempo da cui la pluralità dimensionale scaturisce. Quantità di cose e sabbia trascinano a loro volta / cose e sabbia che fanno barriera. D’un tratto / il fiume smette di scorrere / perché prima scorreva. Stupefatti dinanzi all’arrestarsi della vita, restiamo assordati dal tamburo del silenzio. E il nostro cuore a danzare, solo da vivi infatti possiamo contemplare la morte. In Cantare con silenzio questa esplosione si voltava in gioia, richiamando le voci a narrare ancora una volta la nascita dell’universo. Estrapolata dal ciclo vocale, ora la danza si avviluppa in un contrasto di suoni violenti e suoni lontani, come tra luce e ombre con il sole a picco. Ardo di sete e muoio. / Ma bevi alla fonte perenne / a destra del cipresso... Spesso mi sono chiesto perché un cipresso bianco. Viene sempre menzionato dalla tradizione orfico-pitagorica, quasi a contrassegno dell’aldilà. Da qualche tempo, confusamente ho compreso: le strade antiche erano sterrate, il passaggio di uomini e bestie imbiancava gli alberi di polvere. Nel regno dei più il traffico era notevolmente il più intenso che si potesse pensare. Ho dedicato L’orologio di Bergson e Morte tamburo a Mario Caroli, per cui entrambi i lavori sono stati concepiti. [Salvatore Sciarrino] Pietro Antonio Locatelli Trio Sonata op 5 n° 1 in sol maggiore. Locatelli nacque a Bergamo nel 1695. A quattordici anni era già violinista presso la cattedrale della sua città e l’anno dopo si recò a Roma per studiare con Corelli: di fatto non studiò con il maestro ma con un membro del prestigioso circolo di virtuosi del violino della sua scuola. A Roma, dove soggiornò fino al 1723, intraprese una brillante carriera concertistica. Nel 1725 era Mantova, al servizio del Landgravio Filippo di Hesse-Darmstadt; nel 1727-28 lo ritroviamo in Germania, dove incontra il famoso violinista francese Jean-Marie Leclair. Nel 1729 Locatelli si stabilì ad Amsterdam, anche in funzione di collaborare con i locali editori, che potevano garantire una vasta circolazione internazionale alla sua musica. Viveva con un certo agio in una grande casa, dove custodiva una importante collezione di opere d’arte e strumenti musicali, e una vasta biblioteca ricca di libri antichi, spesso presenti anche in molteplici copie: particolare che fa pensare svolgesse un’attività di collezionismo e commercio d’arte. I mercoledì sera organizzava concerti nella propria casa per un circolo di ricchi amatori e studenti. Usando le sue stesse parole si rifiutava di «suonare ovunque» e desiderava esibirsi «solo per i gentiluomini». Le sue esecuzioni erano famose e sono state descritte da scrittori come Diderot e Charles Burney. Le Sonate op 5 si inseriscono a pieno titolo nella tradizione italiana cercando al contempo di assecondare il gusto del suo nobile circolo di estimatori. Nella successione dei tempi della Sonata op V nº 1 non è possibile individuare, in base al principio dell’alternanza lento-veloce, una programmatica regolarità: prevale il gusto per una dilettevole varietà. Il primo tempo, un andante dal carattere tranquillo con ampio sviluppo ornamentale (come frequentemente accade in Locatelli) è scritto nell’usuale forma di primo tempo di sonata di gusto tipicamente italiano con alternanze improvvise fra maggiore e minore verso la fine del movimento. Il secondo tempo, su un ritmo di Siciliana, denominato curiosamente Largo-Andante ha un carattere spiccatamente melodico. Locatelli si abbandona qui ad una cantabilità intensa che, grazie alla pregevole fattura della melodia, riesce ad adattarsi magnificamente al timbro e alla caratteristica sinuosità di fraseggio dei flauti. Il terzo movimento è un Allegro nella consueta scrittura virtuosistica ricca di sincopi, abbellimenti rapidi e ritmici e volatine: i due flauti si alternano nell’esporre il materiale tematico iniziale per poi intrecciarsi in un dialogo serrato. Caratteristici dello stile di Locatelli le brusche modulazioni al minore risolte poi con repentini ritorni in maggiore. L’ultimo tempo è una spensierata danza ternaria, una sorta di Minuetto inframezzato da un Trio centrale in minore, espressivo e a tratti ombroso, che valorizza il trascinante e gioioso il ritorno del tema iniziale di danza. Doina Rotaru Epistrophe. É un breve pezzo per flauto, ispirato dalla musica tradizionale rumena di ascendenza bizantina. Nella musica bizantina il termine “epistrofe” viene ripetuto alla fine di ogni frase. Alcuni specifici elementi melodici e ritmici sono usati in questo pezzo, per rendere il sapore e lo spirito di questa musica, senza fare però uso di citazioni. Anche se poche cellule melodiche sono estensivamente ripetute in questo lavoro, le ripetizioni non sono mai identiche, e i motivi e le frasi non sono mai esattamente uguali. Una ripetizione che eviti la simmetria è molto importante in questo tipo di musica monodica. La semplicità e l’austerità del materiale modale diatonico - il modo dorico di Re - è compensata da cambiamenti di registro e colore del flauto. Tre distinti livelli, si alternano durante il pezzo, tre differenti sonorità del flauto nei tre diversi registri dello strumento: •Una quinta giusta che si ripete ossessivamente, simbolo della luce, suonata negli armonici, che nelle sue undici apparizioni è sempre mutevole (con variazioni di registro, ritmo, o numero di note). •Nel registro basso il flautista suona e canta allo stesso tempo, come una “voce del prete”, con diverse modalità: quinte, doppie e triple ottave parallele, oppure bordoni tenuti dal flauto mentre la melodia viene cantata con la voce. •Il livello dell’ “orante”, fra i due livelli precedenti, si presenta con suono ordinario, senza o con poco vibrato, con le indicazioni “dolce, semplice”, “dolcissimo” o “suoni neutri”. [Dorina Rotaru] Carl Philip Emanuel Bach Trio Sonata in re minore WQ 145. Carl Philip Emanuel Bach, secondo dei figli sopravvissuti di Bach, servì dal 1740 al 1767 alla corte del Re di Prussia Federico il Grande come clavicembalista. Federico II assunse al suo servizio Carl Philip Emanuel Bach nel 1738 e, dopo la sua incoronazione nel 1740, lo nominò clavicembalista principale della sua corte. Nonostante Federico ne ammirasse la bravura come clavicembalista, era debolmente affascinato alla sua attività di compositore: ciò spiega la relativa esiguità di opere per flauto scritte da Carl Philip Emanuel Bach nel corso del suo lungo servizio alla corte di Federico. Come afferma nel 1772 il celebre giornalista e viaggiatore Charles Burney, entusiasta ammiratore della sua musica, «il gusto musicale di Federico era quello di quaranta anni fa»: ciò spiega perché Carl Philip Emanuel Bach non avesse ricevuto alla corte di Potsdam la considerazione che senz’altro meritava, e perché il compito di scrivere musica per le occasioni importanti fosse preferibilmente affidato a figure di minor rilievo come Carl Heinrich Graun (1704-1759) e Johann Joachim Quantz, maestro di flauto di Federico e unico musicista autorizzato a muovergli osservazioni e critiche. Sia numericamente che nella storia di questo genere di composizione la Sonata in Trio è predominante nella produzione cameristica di Carl Philip Emanuel Bach. Il termine Trio come sappiamo si riferisce al numero delle parti obbligate – e non al numero degli esecutori. Dunque appartengono a questo genere sia opere per uno strumento e clavicembalo obbligato che opere scritte nella forma più tradizionale con due strumenti e basso. Molte Sonate in Trio ci sono pervenute in entrambe le versioni. Nella produzione di Carl Philip Emanuel Bach sono presenti forme di Sonate in Trio di impronta contrappuntistica nelle quali il basso è coinvolto a pieno titolo nello svolgimento del materiale tematico e lavori in stile italiano dai tratti meno polifonici come appunto la Trio Sonata in re minore Wq 145 che ascolteremo questa sera, nella quale il basso riveste un ruolo di semplice fondamento armonico. Questa sonata fu composta nel 1731 e successivamente revisionata nel 1740. Quest’ultima versione, originalmente concepita per flauto violino e basso continuo veniva suonata dal Re con il violinista di corte Franz Benda e Bach stesso al clavicembalo. Spesso la parte di violino veniva sostenuta da Johann Joachim Quantz, maestro di flauto di Federico: da qui la tradizione di eseguire questo brano per due flauti e basso continuo come nel concerto di questa sera. La Trio Sonata in re minore ha una stretta relazione con una sonata nella stessa tonalità per violino e cembalo obbligato in passato attribuita a Johann Sebastian Bach (BWV 1036 nel catalogo di Schmieder). La Sonata BWV 1036 è nel complesso meno elaborata e manifesta uno stile più antico rispetto alla Sonata WQ 145: la spiegazione più probabile sembra essere che la Sonata BWV 1036 sia stata composta nel 1731 da Carl Philip Emanuel probabilmente con l’aiuto del padre mentre la Sonata WQ 145 ne sia la versione definitiva del 1740. Manila Santini e Aldo Orvieto pianoforte a quattro mani bruckner | mahler mercoledì 7 ottobre 2015 ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Anton Bruckner (1824-1896) Sinfonia n. 3 in Re minore (WAB 103), trascrizione per pianoforte a quattro mani di Gustav Mahler (1877) Moderato, con moto Bewegt quasi Andante Ziemlich Schnell Allegro (Nicht schnell) All’illustrissimo Signor Richard Wagner, all’ineguagliabile, famosissimo e sublime Maestro dell’arte poetica e musicale in profondissima riverenza. Con queste parole Anton Bruckner (1824-1896), in segno di assoluta riverenza, dedicò a Richard Wagner la sua Terza Sinfonia. É arcinota la debacle della sua prima esecuzione che ebbe luogo il 16 dicembre 1877 al Musikverein di Vienna diretta da Bruckner stesso non trovandosi alcun altro che volesse assumersi tale impegno. Pubblico e critici musicali si accomiatarono anzitempo così come fecero gli orchestrali dei Wiener Philharmoniker non appena terminata l’esecuzione lasciando il desolato Bruckner agli applausi di un manipolo di sostenitori. Ciò nonostante, Theodor Rättig (1841-1912), lungimirante neo editore musicale, presente al concerto, ne rimase favorevolmente colpito tanto poi da commentare: “mi convinsi di essere in presenza di uno dei più potenti eroi musicali di tutti i tempi, e spiriti di quella natura hanno il destino di camminare su una strada di spine. Questa mia convinzione si rafforzò sempre più durante l’ascolto”. Al termine dell’esecuzione un Bruckner, fortemente deluso ed amareggiato, fu avvicinato da Rättig il quale, dichiarandogli la propria ammirazione, lo convinse alla propria volontà di pubblicare la sinfonia sia in partitura orchestrale che in riduzione per pianoforte a quattro mani. Gustav Mahler (1860-1911) e Rudolf Krzyzanowski (1859-1911), ferventi discepoli ed amici di Anton Bruckner, al tempo docente al Conservatorio di Vienna, entrambi presenti al concerto si presero l’incarico di produrne la trascrizione pianistica poi edita a Vienna nel gennaio del 1880 da Bussjäger & Rättig. L’edizione avvenne a firma del solo Mahler in quanto pare che Krzyzanowski non abbia poi di fatto mai partecipato alla stesura del lavoro. La trascrizione piacque moltissimo ad Anton Bruckner che ne dimostrò la gratitudine a Mahler facendogli dono del manoscritto della seconda stesura della sinfonia ultimata il 28 aprile 1877. Dopo parecchie traversie, tra cui anche il passaggio nelle mani di Alma Maria SchindlerMahler-Gropius-Werfel, il documento entrò finalmente in possesso del Governo austriaco nel 1948 a seguito di aggiudicazione all’asta. Bruckner e Wagner sono state personalità di assoluto riferimento per Mahler: la proposta, peraltro assai rara, di questa trascrizione di un Mahler poco meno che ventenne, acquista dunque un rilevante valore storico, culturale e artistico. [Enrico Baraldi] colori francesi domenica 11 ottobre 2015 ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Louise Farrenc (1804-1875) Trio op. 45 (1857) per flauto, violoncello e pianoforte Allegro deciso / Più moderato ed espressivo – Andante – Scherzo – Finale (Presto) Charles-Marie Widor (1844-1937) Suite op. 34 (1877) per flauto e pianoforte Moderato – Scherzo (Allegro vivace) – Romance (Andantino) – Finale (Vivace) Gabriel Pierné (1863-1937) Sonata da Camera op. 48 (1926) per flauto, violoncello e pianoforte Prélude – Sarabande – Finale Gabriel Fauré (1845-1924) Trio op. 120 (1923), versione originale per clarinetto, violoncello e pianoforte Allegro ma non troppo – Andantino – Allegro vivo con il sostegno di Palazzetto Bru Zane Centre de musique romantique française Ex Novo Ensemble Daniele Ruggieri flauti Davide Teodoro clarinetti Carlo Teodoro violoncello Aldo Orvieto pianoforteonora Louise Farrenc Trio op. 45. Louis Dumond, nata nel 1804 in una famiglia parigina di scultori e pittori che appartenevano all’antica “colonia” degli artisti della Sorbona (una congregazione di artisti che lavoravano al servizio dei reali di Francia) fu una delle poche ragazze del suo tempo ad aver potuto ricevere una buona educazione musicale come allieva di Anton Reicha fin dall’età di quindici anni. Nel 1821 sposò Aristide Farrenc, flautista ed editore, imponendosi all’attenzione del mondo musicale come pianista, insegnante e compositrice. Stimolata dalla sua passione per la musica antica raccolse e pubblicò insieme al marito una ricca antologia di opere per clavicembalo e pianoforte al tempo sconosciute. Tale immane lavoro di ricognizione storica del repertorio antico è testimoniato dai volumi che gli editori Farrenc e Leduc pubblicarono tra il 1861 e il 1875: Trésor des Pianistes. Nel 1842 fu la prima donna ad ottenere un posto di insegnante al Conservatorio di Parigi anche se con un salario più basso di quello riconosciuto ai suoi colleghi maschi; mantenne con successo questo ruolo di prestigio fino alla morte, nel 1875. Smise di comporre nel 1859 in seguito all’immenso dolore provocatole dalla prematura morte della figlia Victorine, fin da giovanissima prodigiosa pianista e prima esecutrice di quasi tutte le sue opere. Il Trio op. 45, dedicato al flautista Louis Dorus (maestro di Paul Taffanel il quale fu a sua volta maestro di Philippe Gaubert) è l’ultima sua opera da camera e rivela una forte personalità nel temperare la predilezione per la solidità formale del primo Romanticismo tedesco - con una particolare ammirazione per Schubert - con il gusto, la leggerezza e la raffinatezza timbrica francese. Charles-Marie Widor Suite op. 34. Charles-Marie Widor, nato a Lione nel 1844 da un famiglia italo-ungherese di antica tradizione organara, è apprezzato per la sua grande produzione di lavori per organo; tra questi uno almeno, la Toccata che conclude la V Sinfonia, è universalmente noto per siglare i riti del matrimonio e della Pasqua con la sua esplosione di gioia. Widor fu organista alla chiesa di Saint-Sulpice a Parigi dal 1870 al 1934, collaborò con Albert Schweitzer alla edizione di riferimento delle opere per organo di Bach e fu professore d’organo e di composizione al Conservatorio di Parigi ove ebbe per collega il flautista Paul Taffanel, dedicatario della Suite op. 34. Composta nel 1898, ma tratta dalla musica di scena Le Conte d’avril di Augustin Léon Dorchain andata in scena nel 1885 al teatro Odéon di Parigi, la Suite è di fatto costruita secondo il modello sonatistico in quattro movimenti ben contrastati ed efficacemente caratterizzati da pregnanti gesti romantici. Nel primo movimento domina infatti una materia ribollente di lirico ardore, nel veloce scherzo una scenica reiterazione del gesto di apertura (un salto ascendente di ottava). Il movimento lento è pervaso da atmosfere sognanti e improvvisi sbalzi d’umore, irruenti e passionali mentre il Finale rappresenta un galoppo fiero e virtuoso, ma dai tratti appena tormentati. Per il suo tempo, il piano armonico della Suite può definirsi conservatore, con modulazioni condotte sapientemente ma senza sfruttare le tecniche di deformazione e rottura tipiche del linguaggio tardo romantico fin-de-siècle. Gabriel Pierné Sonata da Camera op. 48. Gabriel Pierné, uno dei musicisti più noti e stimati del suo tempo, succedette nel 1910 al fondatore Édouard Colonne, alla guida dell’ Association artistique des Concerts Colonne, una delle compagini orchestrali più antiche e famose di Parigi (presso la quale operò fino al 1932). Tra le sue molte prime esecuzioni l’assidua collaborazione con Diaghilev per i Ballets Russe e la première della Sacre du printemps di Stravinskij. Proprio in relazione alla sua profonda conoscenza delle diverse anime della musica francese fin de siècle si avverte nella sua scrittura un desiderio di sintesi e una tendenza alla sperimentazione di diversi linguaggi. La Sonata da camera op. 48, lavoro della piena maturità, rappresenta un momento di svolta nella parabola artistica dell’autore con la precisa volontà di rinunciare alla densità di scrittura alleggerendo il discorso musicale: concisione e ricerca di purezza formale ed espressiva che aderisce all’emergente imporsi del neoclassicismo. Alla partitura viene infatti premesso l’esordio di Menalca nella Quinta Egloga delle Bucoliche di Virgilio: «Perché, o Mopso, incontrandoci qui, entrambi abili tu a soffiare leggere canne, io a cantare versi, non ci sediamo tra questi olmi misti a nocciuoli?» Dedicata alla memoria del flautista Louis Fleury, fu commissionata dalla mecenate americana Elizabeth Sprague Coolidge, e creata il 16 ottobre 1927 da Marcel Moyse, Hans Kindler e dall’autore al pianoforte. Sia l’organico strumentale - nel quale forse flauto e violoncello simboleggiano i pastori di Virgilio - che la trama sonora trasparente e preziosamente cesellata richiamano alla memoria la Sonata per flauto, viola e arpa di Debussy. Anche se la scrittura è solidamente classica, con largo uso del contrappunto, i riferimenti stilistici sono molteplici: dagli accenni politonali del primo movimento al colore neobarocco della Sarabanda, alla country dance citata nella parte centrale della veloce Giga finale. Gabriel Fauré Trio op. 120. La pianista Yvonne Lefébur aveva undici anni quando suonò la prima volta davanti a Fauré e fu una delle ultime persone a rendergli visita pochi giorni prima della sua morte Tra le opere che ella suonò in questa occasione le parti di pianoforte della Seconda Sonata per violoncello e il Trio in re minore op. 120: « il suo aspetto mi impressionò fortemente ai tempi della mia infanzia per la sua bellezza espressiva, il suo sguardo cupo, ardente e dolce; lo ritrovai così fragile, ansioso, distrutto dalla sofferenza senza dubbio morale oltre che fisica, straziante rivelazione della vecchiaia per un essere ancora incosciente delle gioie della giovinezza». Malgrado questa testimonianza drammatica, il Trio op. 120 è permeato da una limpida serenità. Fu presentato in pubblico la prima volta in un concerto d’onore alla Société National de Musique il giorno del 78. compleanno di Fauré, il 12 maggio, ma l’autore era troppo sofferente per potervi assistere. Assisterà però all’esecuzione del trio il 21 giugno seguente alla École Normal de Musique da parte del celebre trio di Alfred Cortot, Jacques Tibaud e Pablo Casals. L’opera fu concepita durante un periodo di riposo a Annecy-leVieux nel settembre del 1922 dove fu composto il celebre Andantino che diverrà poi il fulcro emozionale dell’opera: una melodia infinita ove i tre strumenti si scambiano incessantemente i ruoli sostenuti da un’evoluzione armonica di estrema raffinatezza. L’opera, concepita per clarinetto e violoncello e pianoforte, fu portata a termine a Parigi nel marzo del 1923 e pubblicata, probabilmente per sole ragioni pratiche, senza alcuna menzione allo strumento a fiato. La scrittura intimamente fusa delle parti degli archi nei movimenti estremi può far pensare ad un cambio di destinazione strumentale dell’opera al tempo della ripresa del lavoro a Parigi molti mesi dopo la composizione dell’Andantino. La questione rimane irrisolta dal punto di vista dell’indagine musicologica ma l’ascolto della versione con clarinetto rimane di notevole interesse per meditare sull’idea timbrica che Fauré poteva aver concepito per quest’opera. Altro elemento enigmatico risulta la citazione, nelle prime misure del finale, Allegro vivo - uno scherzo impetuoso, virtuoso e brillante - dei Pagliacci di Leoncavallo, un’opera che Fauré non amava: si è dunque propensi a ritenere la citazione non cosciente. Non meno affascinante degli altri movimenti è l’Allegro ma non troppo che apre il Trio all’insegna di una toccante essenzialità melodica acquerellata da una armonia fluida e spoglia. con il sostegno di Palazzo Grassi - Punta della Dogana Ex Novo Ensemble Davide Teodoro clarinetto Carlo Lazari violino Annamaria Pellegrino violino Mario Paladin viola Carlo Teodoro violoncello itinerari musicali della grande guerra sabato 17 ottobre 2015 ore 20.00 Teatrino di Palazzo Grassi Kurt Weill (1900-1950) Quartetto in si minore (1918) per due violini, viola e violoncello Mässig – Allegro ma non troppo (in heimlich erzählendem Ton) – Langsam und innig – Durchaus lustig und wild, aber nicht zu schnell Marcello Panni (1940) Luoghi dell’Apocalisse (2015) per clarinetto e quartetto d’archi La Visione di Patmos – La Caduta di Babilonia – La Gerusalemme celeste Commissione Ex Novo Musica 2015 prima esecuzione assoluta Max Reger (1873-1916) Quintetto op. 146 in la maggiore (1916) per clarinetto e quartetto d’archi Moderato ed amabile – Vivace – Largo – Poco allegretto Kurt Weill Quartetto in si minore. Kurt Weill compose pochissime opere da camera, la maggior parte tra il 1918 e il 1923: due quartetti per archi (il Quartetto in si minore senza numero d’opera e il Quartetto op. 8), una Sonata per violoncello e pianoforte, il ciclo di liriche Frauentanz op. 10 (per voce e cinque strumenti), il Klopslied per voce e due ottavini e fagotto (quest’ultimo datato 1925). Questi testi riflettono l’evoluzione del giovane Weil durante il suo periodo studi alla Königlich Akademische Hochschule für Musik di Berlino sotto la guida di Engelbert Humperdinck (1918-1919), il suo breve incarico come direttore d’orchestra a Lüdenscheid (1919-20) e gli studi nella classe di Ferruccio Busoni, iniziati nel 1921. Dal Quartetto per archi in si minore (1918-1919), completato sotto la guida di Humperdinck, alla Sonata per violoncello e pianoforte (1919-1920), lo stile di Weill già subisce una trasformazione. Il Quartetto mostra un chiaro orientamento verso modelli classici; è caratterizzato da un linguaggio tardoromantico che si indirizza alla lezione di Richard Strauss, Hans Pfitzner e Max Reger (evidente nella fuga assai ampia dell’ultimo movimento). Nella Sonata per violoncello e pianoforte il suo vocabolario armonico, già ampio e non convenzionale, muovendosi da solide basi tardoromantiche, subisce l’influenza di Debussy. Una chiara linea di demarcazione separa queste prime due opere di musica da camera dai due successivi contributi, il Quartetto per archi op. 8 e il ciclo di canzoni Frauentanz op. 10: l’insegnamento di Ferruccio Busoni e la sua visione di una “nuova classicità”, avevano esercitato su di lui un considerevole fascino. Appare però sorprendente che, già in questo primo quartetto, Weill avesse presente la lezione di Schoenberg (il trattato di armonia è del 1911) che postula la scala cromatica alla base della tonalità – principio che ovviamente conduce all’intercambiabilità tra tonalità sullo stesso grado della scala. Tale propensione ad una struttura armonica con alternanza continua di tonalità maggiori e minori sarà, come sappiamo, uno dei perni fondamentali dell’estetica di Busoni. Weill già nel 1918 percepisce dunque l’ambivalenza tra tonalità maggiori e minori non in una dialettica di opposti ma come stati d’animo che si compenetrano: il passaggio dall’uno all’altro avviene nella sua musica impercettibilmente e senza sforzo, quasi riflesso della vita interiore, spesso ricca di cambiamenti repentini e impercettibili di umore e fonte inesauribile di sentimenti sempre nuovi e contrastanti. Marcello Panni Luoghi dell’Apocalisse. Ho scritto l’oratorio Apokàlypsis nel 2009 per la piazza del Duomo di Spoleto. Un’esperienza eccezionale, un viaggio attraverso il libro più misterioso e simbolico del Nuovo Testamento con la guida eccelsa del cardinale Gianfranco Ravasi. Da quel viaggio ho ora estratto tre luoghi e la loro musica: - la visione iniziale di Giovanni, con la processione delle apparizioni dei 4 Viventi, (Leone, Vitello, Uomo, Aquila) i 24 Anziani, il coro degli Angeli, il Cristo sul trono, e infine l’Agnello: «Giunse e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono. E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi […]»; - la fine di Babilonia, cioè del mondo del corpo, corrotto e corruttibile: «È caduta, è caduta Babilonia la grande, ed è diventata covo di dèmoni, rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni uccello impuro e rifugio di ogni bestia impura e orrenda: perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con essa e i mercanti della terra si sono arricchiti del suo lusso sfrenato […]»; - la discesa della Gerusalemme Celeste e il trionfo della luce sul buio, dello spirito sul corpo: «L’angelo mi trasportò in spirito su un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino...». [Marcello Panni] Max Reger Quintetto op. 146. Il Quintetto con clarinetto, ultima opera di Reger, la cui prima esecuzione avvenne cinque giorni prima della sua morte - il 6 novembre 1916 a Stoccarda - può considerarsi il testamento musicale del suo autore. In cattive condizioni di salute e cosciente della durata relativamente breve della propria vita, Reger compose, con febbrile impeto, più di centocinquanta partiture prima di morire a soli 43 anni. Il suo stile si pone in opposizione alle grandi architetture post-romantiche di Mahler e Strauss: pur abilissimo nello sviluppo dei materiali tematici, Reger guarda piuttosto al classicismo viennese e a Bach, utilizzando un procedere contrappuntistico severo e un linguaggio armonico personale assai avanzato e a tratti fortemente sperimentale. Come buon numero delle partiture di grandi compositori che videro la luce negli ultimi mesi di vita, anche questo quintetto è avvolto da un’aureola di mistero, una sorta di crepuscolare “chiamata all’aldilà”. Eloquenti appaiono i rapporti dell’opera di Reger con il Quintetto op. 115 che Brahms scrisse due anni prima della morte. Il musicologo tedesco Roland Häfner ha segnalato che in tutti i movimenti del quintetto di Reger ritroviamo due motivi di quattro note che costituiscono una sorta di “motivi paralleli” a quelli presenti nel quintetto di Brahms. Reger usa questi elementi tematici in modo evidente ma anche, con sottile maestria, nel contesto degli sviluppi cromatici: si tratterebbe dunque, secondo Häfner, di un omaggio secreto a Brahms. Venticinque anni separano le due opere, in un’epoca ricca di sviluppi musicali, anni di evoluzione del linguaggio ben visibili nel lavoro di Reger. Come Brahms, anche Reger aveva una predilezione per il clarinetto. Lo strumento è trattato con una sobrietà che cancella tutti quegli attributi di virtuosismo e di pomposità propri della scrittura anteriore; si fonde efficacemente nel colore degli archi, tratteggiando un ambiente sonoro in “pianissimo” tra l’amabile, il pietoso e il piangente e animando il discorso musicale con fremiti di profonda e a tratti tragica pulsione narrativa. SIAE Classici di Oggi con il sostegno di SIAE Ex Novo Ensemble Daniele Ruggieri flauto Davide Teodoro clarinetto Carlo Lazari violino e viola Carlo Teodoro violoncello Aldo Orvieto pianoforte vie d’acqua sabato 24 ottobre 2015 ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee George Crumb (1929) Vox Balenae (1971) per flauto, violoncello e pianoforte amplificati Vocalise - Sea Theme – Archeozoic – Proterozoic – Paleozoic – Mesozoic – Cenozoic – Sea Nocturne Filippo Perocco (1972) Detrito in Acquagranda (*), Detrito in Acquapietra, Detrito in Acquatorbida (*) (2014/15) per flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte, risuonatori e suoni in lontananza (*) Commissione Ex Novo Musica 2015 prima esecuzione assoluta Salvatore Sciarrino (1949) Perduto in una città d’acque (1991) per pianoforte Hanns Eisler (1898-1962) Vierzehn Arten, den Regen zu beschreiben, Op. 70 (1941) per flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello e pianoforte (dedicato ad Arnold Schoenberg per il suo 70° compleanno) George Crumb Vox Balenae. È stato composto nel 1971 per la New York Camerata ed è stato ispirato da una registrazione del canto delle megattere che ascoltai nel 1969. Ciascuno dei tre musicisti deve indossare una mascherina nera per tutta la durata della performance. Le maschere hanno la funzione di evitare che si instauri un rapporto di proiezione umana tra l’esecutore e i suoni da lui emessi, e il performer simboleggia le potenti e impersonali forze della natura, di una natura “disumanizzata”. La forma di Vox balenae è semplicemente tripartita: consiste in un prologo, in una serie di variazioni intitolate alle ere geologiche e da un epilogo. Il Vocalizzo di apertura (in partitura: “selvaggiamente fantastico, grottesco”) è una sorta di cadenza per il flautista, che deve simultaneamente suonare il suo strumento e cantare dentro di esso. La combinazione di suoni strumentali e vocali produce un timbro surreale ed inquietante, non lontano dai suoni del canto delle megattere. La conclusione della cadenza è annunciata dalla parodia delle misure di apertura di Also sprach Zarathustra di Strauss. Il Tema del mare (in partitura: “solenne, con maestosa calma”) è presentato dal violoncello (in armonici), accompagnato da accordi scuri e fatali prodotti ponendo in vibrazione le corde del pianoforte. La sequenza delle variazioni comincia con le ossessionanti grida dei gabbiani marini dell’ Archeozoico (in partitura: “senza tempo, incipiente”) e gradualmente, crescendo di intensità, raggiunge il suo climax nel Cenozoico (in partitura: “drammatico, con senso del destino”). L’apparire dell’uomo nel Cenozoico è simbolicamente marcato da una parziale riproposizione del riferimento a Zarathstra. Il Notturno del mare (in partitura: “sereno, puro, trasfigurato”) è una elaborazione del Tema del mare: Il brano è scritto nelle tonalità limitrofe al si maggiore ed emergono i suoni scintillanti dei crotali (suonati alternativamente dal violoncellista e dal flautista). Nel comporre il Notturno del mare cercavo di evocare “il ritmo ampio della natura” e un senso di sospensione del tempo. Il gesto che conclude l’opera è una serie di ripetizioni di una figura di dieci note che si estingue gradualmente. Per l’esecuzione in concerto l’ultima figura è da suonarsi “in pantomima”, quasi un diminuendo oltre la soglia dell’udibile. [George Crumb] Filippo Perocco Detrito in Acquagranda, Detrito in Acquapietra, Detrito in Acquatorbida. I nuovi lavori di questa sera, Detrito in Acquagranda e Detrito in Acquatorbida, si aggiungono a Detrito in Acquapietra un brano scritto per l’Ex Novo Ensemble nel 2014. Fanno parte del Catalogo di detriti, macerie e rovine, un’ampia raccolta di vari brani realizzati dal 2003 ad oggi per insiemi diversi. Prendendo a prestito la tecnica del grattage, raccolgo lo scarto di materiale “altro” per la realizzazione di queste ed altre miniature. [Filippo Perocco] Salvatore Sciarrino (1949) Perduto in una città d’acque (1991) per pianoforte. Perduto in una città d’acque ha impresso «il sorriso taciturno di Nono», il parlare «attraverso il torpore della sua malattia». Non un semplice «viaggio veneziano» e neppure un omaggio a Luigi Nono morente, ma piuttosto il «dilatato gocciare dei suoni», il «rivolgersi della memoria, della percezione su di sé, mentre ci perdiamo, allorché riconosciamo e non riconosciamo». Il cercare «la varietà inesauribile delle esperienze», il «gettar via» ogni maschera, questo il cuore dell’affetto di Sciarrino per Luigi Nono, «maestro e fratello adolescente». Perduto in una città d’acque, è dedicato ad Alvise Vidolin «con l’entusiasmo di una amicizia che mette radici». (Le citazioni sono tratte da Salvatore Sciarrino, Carte da suono, Palermo/Roma, 2001, Edizioni CIDIM) Hanns Eisler Vierzehn Arten, den Regen zu beschreiben, Op. 70. Il quintetto Vierzehn Arten den Regen zu beschreiben (Quattordici modi di descrivere la pioggia) nasce come musica per film e, contemporaneamente, come hommage di Eisler al suo maestro, Arnold Schoenberg. Nel 1928 il regista Joris Ivens aveva realizzato un documentario muto (Regen) sulle diverse ambientazioni prima, durante e dopo la pioggia ad Amsterdam, per il quale Lou Lichtfeld aveva composto una prima colonna sonora. Eisler compose un nuovo brano che, tramite una nuova tecnica, potesse sottolineare la complessità e la sperimentalità del film di Ivens. La tecnica in questione è quella dodecafonica, mutuata da Arnold Schoenberg: partendo da una serie di dodici note si costruiscono le melodie e le armonie, utilizzando i suoni nella serie originale, il suo inverso, il retrogrado, l’inverso del retrogrado ecc. Non sono sufficienti tuttavia logica e rispetto delle regole matematiche per creare musica, tanto più che Eisler riesce, in quest’apparente costrizione compositiva, a realizzare atmosfere che spaziano dal più semplice naturalismo, in perfetta simbiosi con le immagini filmiche, a tratti di estremo contrasto con quanto propone l’opera di Ivens. Il pezzo consiste in quattordici brevi brani che si susseguono in un alternarsi sapiente di caratteri e suggestioni. Non solo l’organico è quello utilizzato nel Pierrot lunaire di Schoenberg, ma anche la serie musicale è dedotta dal nome del compositore (A, D, eS, C, H, E, B, G). La composizione fu iniziata nell’estate del 1941 e conclusa il 18 novembre dello stesso anno a New York. La prima ebbe luogo il 13 settembre di tre anni dopo, in occasione del settantesimo compleanno del maestro e ispiratore di Eisler. Anni dopo il compositore, durante un colloquio con il dottor Hans Bunge, confessò che il titolo del brano potrebbe essere anche «Vierzehn Arten, mit Ansand traurig zu sein» (Quattordici modi per essere tristi con decenza), poiché in molte lingue la pioggia è un simbolo della tristezza, e quindi egli, con la sua composizione, aveva descritto un’ «anatomia della tristezza - o un’anatomia della malinconia». Il suo interlocutore gli rispose: «Anche questo fa parte dell’arte. Non voglio dire che sia il tema centrale del XX secolo… ma anche questo può accadere in un’opera d’arte». in collaborazione con SaMPL Sound and Music Processing Lab e CSC Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova Art Percussion Ensemble Ambra Ceroni Agostinelli (3), Mattia Basi (2), Marco Buffetti (4), Benedetta Colasanto (3), Pietro Cantamessa (2), Simone Gargenti (2), Carlo Tosato (1)(4) percussionisti Sebastiano Aleo, Gabriele Barzano, Raul Masu microfonisti Alvise Vidolin regia sonora Luca Richelli e Massimo Pastore concezione progettuale e direzione musicale gesti elettronici sabato 31 ottobre 2015 ore 18.00 Conservatorio Benedetto Marcello Sala concerti Iannis Xenakis (1922-2001) Rebonds (1987/88) per un percussionista (1) Diamorphoses (1958) per nastro magnetico Okho (1989) per tre djembés (2) Gérard Grisey (1946-1998) Stèle (1995) per due percussionisti (3) Karlheinz Stockhausen (1928-2007) Mikrophonie I (1964), per tam-tam, due microfoni, due filtri con potenziometri (6 esecutori) (4) Iannis Xenakis Rebonds. È stato scritto per Sylvio Gualda e ha debuttato nel luglio 1988 a Villa Medici a Roma. Meno utopistico di Psappha, il precedente lavoro di Xenakis per sole percussioni, costituisce anch’esso uno studio su regolarità/irregolarità, impulso, pattern e forma. Anche Rebonds richiede una tavolozza limitata di strumenti, in questo caso sette tamburi e cinque templeblocks. Come Pleiades assume una forma in più movimenti, in questo caso due invece di quattro: l’ordine di esecuzione dei movimenti è libero. Le due sezioni richiedono uno strumentario leggermente diverso: la prima utilizza solo pelli, mentre la seconda introduce i cinque temple-block. Rebonds fa parte di un gruppo di opere (Pléiades, Idmen B) nelle quali viene affermata una maggior regolarità ritmica. La parte A evolve da una scrittura musicale irregolare, verso una sorta di movimento perpetuo. La parte B, è ancora caratterizzata da un movimento di bongo regolare che viene questa volta interrotto dalla grancassa con accenti spostati, mentre i cinque temple-block si inseriscono più volte nel discorso musicale irrompendo in un tempo più rapido. A parte rare eccezioni, le nuance sono sempre nel fff. La scrittura che Xenakis privilegia per le percussioni non sfrutta mai risonanze, ma limita la sua funzione estetica all’impatto dell’attacco percussivo. Se cerchiamo riferimenti per questa sua concezione musicale, li troviamo debolmente nelle nostre civiltà musicali ma vivi nelle musiche extra-europee ove possiamo senz’altro riscontare le radici della violenza, quasi primitiva, della sua musica. Anche Rebonds, forse in forma meno maniacale rispetto a Psappha, indaga l’energia primaria della pulsazione e la capacità delle percussioni di produrre - mediante sottili variazioni ritmiche dei materiali che si stratificano sulla pulsazione continua - uno stato di straniamento vicino all’ipnosi. Iannis Xenakis Diamorphoses. A questo brano Xenakis lavora principalmente nel 1957 nello storico studio di musica concreta del GRM di Parigi diretto da Pierre Schaeffer, di cui utilizza le principali tecniche realizzative partendo da un ricco catalogo di suoni registrati, molti dei quali ancora riconoscibili nell’ascolto dell’opera. Pur contenendo esclusivamente materiali sonori di pura natura acustica, questo lavoro di Xenakis si discosta dalla concezione teoricoformale di Schaeffer e del suo gruppo di ricerca, cercando nuovi paradigmi compositivi, non più basati sulla logica “linguistica” del tema, contro-tema, frase, ecc. bensì applicando concetti innovativi come la fusione dei suoni piuttosto che la loro combinazione, la relazione continuo-discontinuo, il rapporto timbro-rumore, l’uso strutturale del glissando, accelerazioni e arresti, la percezione logaritmica della densità, l’esplorazione dell’intero campo frequenziale d’ascolto e l’applicazione di processi stocastici. Da un punto di vista formale il pezzo si evolve in un’unica campata di 6’50’’ con una logica di evoluzione continua, anche se al suo interno si possono individuare tre zone segnate dai punti 2’48’’ e 4’13’’. L’intera forma, quindi, non è concepita come il risultato di una combinazione, ma piuttosto come una trasmutazione qualitativa, grazie alla quale, pur partendo da materiali concreti elementari, Xenakis fa emergere morfologie di suono ben più complesse ed elaborate della loro semplice somma. Iannis Xenakis Okho. Il lavoro è stato scritto nel 1989 per il trio Le Cercle e commissionato dal Festival d’Automne. Considerando lo strumentario assai ricco normalmente richiesto da Xenakis per le sue opere con percussioni sorprende che Xenakis limiti il suo organico a soli tre djembés africani: forse inintenzionale, tale scelta è stata letta come una presa di posizione trasversale contro il colonialismo. Il fascino di questi tamburi, meravigliosamente ricchi e risonanti, è senz’altro notevole. Gli djembés sono in grado di produrre una vasta gamma di suoni in relazione al luogo ove la mano colpisce la pelle e al tipo di attacco percussivo. Okho è strutturato in quattro sezioni principali ognuna delle quali si distingue per tipo di materiali e tempo; la prima e l’ultima sezione contengono materiali contrastanti cosicché in realtà il brano propone sei entità compositive diverse. Il lavoro sfrutta la timbrica e le caratteristiche tecniche dei djembes e al tempo stesso si concentra sugli interessi di Xenakis in merito a costruzione di pattern, uso della pulsazione regolare , dialettica tra regolarità e irregolarità. Nell’uso dei pattern il compositore sfrutta processi di variazione e “ritardo” di alcune linee ritmiche su altre. Anche in Okho, come avviene nel caso dei drammatici lunghi silenzi presenti in Psappha, vi sono moduli che “tagliano” la continuità ritmica con zone timbriche costituite da rulli con le unghie delle dita, attacchi a intermittenza, sospensioni del tempo, introduzione di ritmi diversi e di elementi poliritmici. Particolarmente affascinante - nella seconda sezione - un passaggio con glissandi, scritti in forma dialogante tra gli esecutori, i quali evidenziano il carattere idiomatico, quasi “parlante”, dei suoni degli djembés. L’effetto si ottiene facendo scorrere una mano sulla pelle del tamburo mentre con l’altra mano si colpisce la pelle. I numerosi, bruschi, scarti di velocità della pulsazione inseriscono elementi di vitalismo nel continuum regolare del tempo. La sezione finale elabora la dialettica regolarità-irregolarità indagata nelle precedenti tre parti del brano: materiale contrastante creato da brevi figure regolari in terzine, pulsazioni che vanno gradualmente fuori fase (ogni esecutore acquisisce un tempo indipendente), poliritmi, e suddivisioni improvvisamente più veloci creano una texture dal carattere furioso. L’impulso sincronizzato ritorna verso la fine del brano e, nelle battute finali, sfocia in una drammatica conclusione. Gérard Grisey Stèle (1995). Come riuscire a far emergere il mito della durata, un flusso la cui organizzazione cellulare obbedisce a leggi imperscrutabili? Come disegnare, in forma arcaica, con convinzione e rimanendo in ascolto del silenzio una pulsazione ritmica dapprima indistinguibile, poi infine martellata? Componendo mi è apparsa un’immagine: quella degli archeologi che hanno scoperto una stèle e la puliscono fino a mettere in luce una iscrizione funeraria. [Gerard Grisey] Karlheinz Stockhausen Mikrophonie I. Il brano fu eseguito la prima volta a Bruxelles nel 1964 e stabilì subito un nuovo paradigma per la musica elettronica. Il microfono che fino ad allora era sempre stato usato come mezzo passivo di documentazione acustica - considerato come una sorta di orecchio “oggettivo” nella registrazione ad alta fedeltà - diventa in questa composizione uno strumento attivo, che va “suonato” seguendo una partitura al pari degli altri strumenti. I suoni che il microfono deve captare sono le molteplici eccitazioni che il percussionista effettua sulla superficie di un enorme tamtam, utilizzando varie tipologie di materiali, anche del tutto estranei allo strumentario dei battenti percussivi. E il microfonista deve suonare a quattro mani con il percussionista stesso, avvicinandosi ai punti di emissione per creare primi piani sonori al pari di uno zoom ottico, oppure esplorando la superficie vibrante del tamtam, alla ricerca delle innumerevoli varianti timbriche delle sue risonanze. I suoni così captati vengono ulteriormente trasformati da un terzo esecutore elettronico che agisce su un filtro dinamico, tramite il quale può selezionare una fetta di suono più o meno ampia e collocata nel registro prescritto in partitura. Il nucleo esecutivo di base è quindi composto da tre esecutori: un percussionista “eccitatore”, un microfonista “captatore” e un elettronico “selezionatore” al filtro passa banda dinamico. Ci sono due gruppi di tre esecutori così costituiti che principalmente si alternano nell’esecuzione delle 33 strutture musicali che costituiscono la partitura di Microphonie I, ma accade anche che in alcune strutture suonino tutti insieme. La forma del pezzo mantiene la logica della momente form, ideata in quegli anni dall’autore, che in questo caso si manifesta attraverso la curiosa identificazione del momento con il nome evocativo del suono stesso che lo caratterizza. Con questa composizione Stockhausen amplia il suo percorso di ricerca nel campo della musica elettronica aprendo il campo al Live Electronics e raggiungendo anche con il mezzo elettronico quella libertà e gestualità esecutiva tanto difficile da esprimere nel lavoro in studio con il nastro magnetico negli anni precedenti. [Alvise Vidolin] Ex Novo Ensemble Daniele Ruggieri flauto Davide Teodoro clarinetto Carlo Lazari violino Annamaria Pellegrino violino Francesco Lovato violino e viola Mario Paladin viola Carlo Teodoro violoncello Edison Denisov Widmung. Il brano (in italiano “dedica”) è stato scritto nel 1991 per il Nash Ensemble utilizza nel breve spazio di tempo in cui si dipana, tutti gli artifizi compositivi che sintetizzano la cifra del grande maestro russo. Il lavoro inizia infatti con un liberissimo fugato, quasi indecifrabile all’ascolto, a causa della presenza di figurazioni ritmiche affidate a gruppi irrazionali, (grandi quintine composte, terzine etc.) e, per di più, condotto mediante una scrittura intervallare che indaga sapientemente il campo microtonale. Attraverso una transizione che tende a chiarificare il materiale domenica 15 novembre 2015 ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee dalla luce alla luce Germano Scurti bayan Sofia Gubaidulina Silenzio. È stato scritto nel 1991 ed è dedicato a Elsbeth Moser. L’originalità dei nuovi suoni che Sofia Gubaidulina ha pensato per il bayan nell’ambito simbolico-religioso della propria musica si fondono con grande originalità e raffinatezza a quelli del violino e del violoncello, strumenti di antica tradizione accademica. “Silenzio” è inteso come terreno fertile di generazione e crescita dei suoni a partire dalla spiritualità interna ai singoli suoni che gli strumenti “lanciano” nell’ambiente, luogo “sacro” in grado di farli risuonare. Afferma la Gubaidulina: «la maggior parte del lavoro va suonata pianissimo, non ha l’intenzione di esprimere il silenzio o di creare una tale impressione. Il silenzio è il fondamento dal quale cresce ogni in cosa.» Una tecnica di scrittura che regola lo sfasamento dei suoni tra uno strumento e l’altro crea nell’ambiente una sorta di “risonanza infinita”. Come racconta la compositrice stessa: «le stesse relazioni ritmiche appaiono in modi diversi in ciascuna delle cinque miniature talvolta nascoste, talvolta espresse nelle proporzioni tra i valori delle note». L’autrice ha confessato all’amico Friedrich Lips - fisarmonicista storico della tradizione sovietica e grande innovatore delle tecniche dello strumento - indicando il bayan: «Sa perché mi piace tanto questo mostro? Perché respira.» Infatti al culmine del quinto movimento di Silenzio gli strumenti ad arco cedono la loro potenza espressiva al bayan, il quale si esprime con un respiro, tranquillo ma movimentato, scritto su un ritmo derivato dalla sequenza di Fibonacci (1, 2, 3, 5, 8, 13, etc.). Sembrano quasi “variazioni su un ritmo”: è a questo punto che si sveglia il “mostro” con la sua cadenza. Le proporzioni numeriche - impossibili da decodificare all’ascolto - ci trasmettono però il senso della presenza di una “regola” liturgica che sottrae l’invenzione alla soggettività autoreferenziale per consegnarla all’umanità come oggetto di comune integrità spirituale. Sofia Gubaidulina (1931) Silenzio (1991/2010) per violino, violoncello e bayan Edison Denisov (1929-1996) Widmung (1991) per flauto, clarinetto e quartetto d’archi Simone Movio (1978) Incanto XI (2015) per flauto, clarinetto, violino e violoncello prima esecuzione assoluta Elena Firsova (1950) Dalla Luce alla Luce op. 154 (2015) per bayan, due violini, due viole e violoncello Commissione Ex Novo Musica 2015 prima esecuzione assoluta presentato - uniformando il ritmo e riportando la struttura intervallare da micro-tonale a tonale - il libero fugato dell’esordio, senza soluzione di continuità, si trasforma in un vero e proprio canone rigoroso, ma così ravvicinato tra le sei parti, da dar quasi la sensazione di una riverberazione interna ad una sola linea: come un gatto che insegue la propria coda, non si riconosce più “chi è l’eco di chi”. A questo punto una semplice frase del clarinetto conduce ad un “agitato” omoritmico che a poco a poco si fa “più tranquillo” e ci riporta a ritroso nel regno delle armonie micro-tonali dell’inizio che si cristallizzano infine in un lungo pedale armonico degli archi, sopra il quale, flauto e clarinetto mimano, in un fioco baluginio, un ultimo simulacro di fuga, sempre più breve però, sempre più intermittente, sino all’unica ultima nota del flauto che, come un punto posto a fine di frase, conclude il lavoro. Elena Firsova (1950) Dalla Luce alla Luce op. 154. Si tratta di una composizione in un movimento, una specie di breve concerto da camera per accordion e quintetto d’archi (due violini, due viole e violoncello). In questo pezzo si può seguire il percorso della Vita di una persona dal principio alla fine. La composizione è stata scritta in questo 2015 per il magnifico bayanista Germano Scurti e l’Ex Novo Ensemble, ispirata dalla fantastica esecuzione del mio pezzo Crucifiction fatta lo scorso anno da Germano Scurti ed è a lui dedicata. [Elena Firsova] Il titolo del brano Dalla Luce alla luce, crea un immediato court-circuit con una delle ultime opere di Edison Denisov Des ténèbres à la lumière, edito dall’editore francese Leduc nel 1995, l’unico brano che il compositore russo dedicò all’accordion. Una certa relazione tra le due opere non è solo motivata dal dichiarato affetto intellettuale che Elena Firsova ha sempre riservato a Denisov ma anche dall’uso di una complessa struttura di campi armonici attraverso la quale i due autori conquistano, ciascuno seguendo la propria sensibilità, una nuova gestualità espressiva atta a spezzare il gelo del rigore formale posto a fondamento del fatto compositivo. Senza alcuna concessione - né tanto meno nostalgica reverenza - ai linguaggi del passato l’apparizione della luce appare meraviglioso dono per una generazione di musicisti che ha vissuto con passione gli anni bui dell’avanguardia, i suoi prolifici rigorismi e le sue critiche schematizzazioni. Simone Movio Incanto XI “Ecco la magia primordiale che regge tuttora la nostra plastica e ritmica, fin dalle origini. E finalmente qui ne rinasce un primo ricordo, che si chiama noi stessi.” La luce del tempo di Arturo Onofri (1885-1928) Assai difficile comunicare qualcosa sul lavoro del comporre, ma lo si potrebbe sentire come il tessere la tunica dell’imago contemplata nella dimensione dell’incanto. [Simone Movio] in collaborazione con Palazzo Grassi – Punta della Dogana Ex Novo Ensemble Davide Teodoro clarinetto Carlo Lazari violino Annamaria Pellegrino violino Mario Paladin viola Carlo Teodoro violoncello verso il “nuovo mondo” sabato 21 novembre 2015 ore 20.00 Teatrino di Palazzo Grassi Antonin Dvorák (1841-1904) Quartetto in fa maggiore op. 96 “Americano” (1893) per due violini, viola e violoncello Allegro ma non troppo – Lento – Molto vivace - Finale (Vivace ma non troppo) Samuel Coleridge-Taylor (1875-1912) Quintetto op. 10 in fa diesis minore (1895) per clarinetto, due violini, viola e violoncello Allegro moderato – Larghetto affettuoso – Allegro leggero – Allegro agitato Antonin Dvorák Quartetto in fa maggiore op. 96 “Americano”. Alla fine della sua prima stagione come direttore del Conservatorio Nazionale di New York Dvorák trascorse l’estate del 1893 presso la colonica ceca di Spillville, nel nord-est dello Iowa con la sua famiglia e i compatrioti cechi. In quest’atmosfera serena vedono la luce dapprima il Quartetto in fa maggiore op. 96 “Americano” e subito dopo il Quintetto per archi in mi bemolle op. 97 “Indiano”. Per l’abbozzo del Quartetto op. 96, Dvorák impiegò tre soli giorni dall’otto al dieci giugno 1893; due giorni più tardi iniziò a preparare la partitura, completata il 23 giugno. Il quartetto Kneisel ne diede la prima esecuzione a Boston, del gennaio del 1894. Come in tutta la produzione americana di Dvorák l’andamento melodico ricorda elementi del folklore ma non si incontrano mai vere e proprie citazioni di spiritulas negri o di “canti delle piantagioni”. Il trattamento sincopato dei temi del primo movimento evidenzia un forte legame tra l’incedere ritmico dei canti negri e le danze del folklore slovacco. E’ un contemplare tranquillo e curioso di un paese straniero - ma accogliente - di cui si apprezzano le comuni radici di amore per la natura, la campagna, i modi di vita contadini. Dvorák è sensibile alla grazia melanconica della grande prateria (nel movimento lento), e al fascino esotico della natura. Nello Scherzo appare infatti, in modo inusuale e repentino, un’idea melodica secondaria tratta dal canto rapido e incessante di un “uccello dannato”, un uccello rosso incontrato dall’autore durante una passeggiata nelle foreste di Spillville. Alcuni studiosi, sulla base di registrazioni di canti delle varie specie di uccelli d’America, hanno individuato effettivamente una specie che canta cinque brevi frammenti melodici (non quattro, come nel tema di Dvorák), discendenti per terze, con cadenza estremamente rapida e notevole potenza vocale. Il Rondò finale, essenzialmente omofonico, prende parte alle gioie domenicali dei villaggi. Si può forse immaginare l’episodio centrale, un corale, come una improvvisazione di Dvorák per la messa, sul piccolo organo della chiesa di St. Wenceslas nella chiesa di Spillville. Come in altre opere del suo primo soggiorno americano, un ruolo importante è riservato all’uso della scala pentatonica. Nel primo movimento, una certa somiglianza con l’incipit del Quartetto in mi minore “From my Life” di Smetana (con la melodia affidata alla viola, i violini in tremolando, e il violoncello che tiene la nota pedale) evidenzia quei sentimenti di nostalgia e tenerezza con cui l’autore guarda alla sua patria, espressi frequentemente, e con profonda emozione, in tutte le opere del periodo trascorso in America. Samuel Coleridge-Taylor Quintetto op. 10. Opera giovanile di Samuel Coleridge-Taylor, compositore e direttore d’orchestra afro-britannico, il Quintetto op. 10 è un lavoro sorprendentemente maturo per un ventenne. Raccoglie la sfida di Charles Stanford, suo maestro al Royal College of Music di Londra, il quale sosteneva provocatoriamente che nessuno, dopo Brahms, sarebbe stato in grado di scrivere un quintetto con clarinetto! Figlio di un medico africano e di una donna inglese, Coleridge-Taylor ebbe grande notorietà soprattutto grazie a tre tournée americane (1904-1910) che lo resero celebre come “African Mahler” o “Black Mahler”. Come compositore subì profondamente l’influsso del folklore africano, che successivamente integrò e elaborò attraverso lo studio della musica dei neri e degli indiani d’America. Seguendo l’esempio dei grandi compositori romantici (Brahms, Grieg, Dvorák) egli innestò la musica folk negra e gli spirituals americani, in forma riconoscibile, ma mai letterale, nel tessuto formale della tradizione musicale europea. Il suo oratorio Song of Hiawatha, su testo del poeta e educatore americano Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882) per soli, coro e orchestra, ispirato alla leggenda indiana del pellerossa Hiawatha, divenne una tra le opere musicali più popolari in Inghilterra nei primi anni del secolo. Tale composizione lega biograficamente CooleridgeTaylor ad Antonin Dvorák, il quale a sua volta tentò di portare a termine il progetto di scrivere un’opera americana basata sulla medesima leggenda: progetto che non giunse oltre la fase degli abbozzi preliminari e che sfociò successivamente nella popolarissima Sinfonia op. 95 “Dal nuovo mondo”. Il Quintetto op. 10 merita senz’altro di andare ad arricchire il repertorio per questa formazione, si fa apprezzare per la sua solida architettura e la sua profonda sensibilità: presenta due movimenti finali basati su materiale popolare che palesano inequivocabilmente l’ammirazione del suo autore per la lezione di Dvorák. SIAE Classici di Oggi in collaborazione con SaMPL Sound and Music Processing Lab e CSC Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova con il sostegno di SIAE Ex Novo Ensemble Daniele Ruggieri flauti Davide Teodoro clarinetti Carlo Lazari violino Mario Paladin viola Carlo Teodoro violoncello Aldo Orvieto pianoforte Alvise Vidolin regia sonora e live electronics visioni elettroacustiche sabato 28 novembre 2015 ore 18.00 Conservatorio Benedetto Marcello Sala Concerti Raphaèle Biston (1975) Figure & Profile (2015) versione per flauti, clarinetti, violoncello e pianoforte Luca Richelli (1963) Echi di dolore (2015) per flauto in sol, clarinetto basso, violino, violoncello pianoforte e live electronics Claudio Ambrosini (1948) Una forma, chiusa (1981) per flauto, violino e viola Stefano Gervasoni (1962) Luce ignota della sera (da Robert Schumann, op. 85 n.12) (2015) per pianoforte e live electronics Corrado Rojac (1968) Nella notte III (2012) su frammenti di versi di Srecko Kosovel, per violino, violoncello e pianoforte Mosso fluidamente – Mosso – Mosso fluidamente – Mosso prima esecuzione assoluta Vittorio Montalti (1984) Abandoned Places (2015) per flauto basso, clarinetto basso, violino, violoncello, pianoforte e elettronica I brani di Raphaèle Biston, Luca Richelli, Stefano Gervasoni e Vittorio Montalti sono Commissioni Ex Novo Musica 2015, in prima esecuzione assoluta Raphaèle Biston Figure & Profile. Da trame sonore formate da un groviglio di linee oscillanti emergono alcune figure ritmiche o melodiche il cui sviluppo è ugualmente determinato da un principio di oscillazione. Risonanze, mélange di timbri e di colori armonici cangianti danno al tutto un carattere dolce, sinuoso, leggermente incerto. Una seconda parte evoca un piccolo meccanismo danzante, ed è in contrasto con la precedente sia per il registro (grave) che per i timbri utilizzati (qui colorati di rumore). Anche in questa seconda sezione, la musica si fonda su un principio di ripetizione, che a volte concentra l’attenzione su una cellula praticamente immobile mentre altre, al contrario, sottopone il materiale a incessanti mutazioni, rinnovandolo perpetuamente. Un breve ritorno dell’esposizione iniziale trascina il flauto e il clarinetto fino ai limiti del loro registro acuto. Scritto inizialmente per flauto, clarinetto, cymbalum e violoncello, Figure et Profil, nella sua prima versione, era legato al timbro e alla risonanza particolare del cymbalum. Questa nuova versione, abbastanza diversa dalla prima, tenta di ritrovare quell’atmosfera utilizzando il pianoforte in modo spesso non convenzionale, facendo molto uso di armonici, pizzicati, bacchette etc. Questo strumento ha un ruolo centrale nel pezzo: sia marcatamente solistico che nell’insieme con gli altri tre strumenti; anche per la funzione di “collante” che la sua tessitura assicura fra il registro acuto del flauto e del clarinetto e il registro grave del violoncello. [Raphaèle Biston] Luca Richelli Echi di dolore. Si tratta di una composizione di origine autobiografica che traspone in musica l’esperienza del dolore fisico, e in modo particolare, il cambiamento della percezione dello scorrere del tempo. La musica non può che esistere nel tempo, che non è il tempo assoluto, ma è il tempo relativo che ognuno di noi percepisce in modo differente. Il dolore altera progressivamente la nostra percezione temporale fino al limite della stasi totale in cui il tempo stesso sembra non esistere più. Il live electronics gioca proprio il ruolo di “alteratore” della percezione del tempo attraverso il “congelamento” dell’evoluzione del suono strumentale. Da un punto di vista strutturale, la composizione si sviluppa proprio dall’equilibrio, o meglio, dallo squilibrio tra le due componenti – acustica ed elettronica. [Luca Richelli] Claudio Ambrosini Una forma, chiusa. Ricordo con affetto Una forma, chiusa, uno dei primi lavori scritti per l’Ex Novo Ensemble che, dopo un periodo iniziale con altri musicisti, si stava configurando nella formazione rimasta pressoché invariata fino ad oggi. La spinta a scrivere, e di getto, fu il bando del Concorso di Belveglio del 1981, una competizione per flauto protagonista, inserito in organici da camera diversi, creata da Marlaena Kessick. Tema di quell’anno: flauto e archi. Un’altra caratteristica del concorso - non solo innovativa, ma encomiabile - era che ciascuno dei compositori finalisti doveva portare con sé i propri esecutori. Ci sembrò un’occasione magnifica. Inviai il brano, che passò le selezioni ed entrò in finale. Ci preparammo e partimmo per Asti, non senza una certa apprensione. Gli altri giovani compositori selezionati, diventati poi tutti noti: Francesconi, Solbiati, Tesei, Testoni. In giuria: Niccolò Castiglioni, Azio Corghi, Goffredo Petrassi. L’apprensione aumentava… Finì con il primo premio non assegnato e il secondo attribuito a pari merito a Solbiati e al sottoscritto. Non era una défaillance, vista la qualità dei competitors e il livello della giuria. E fu una tappa importante per la maturazione di tutti noi, “fuori casa” e sottoposti a un esame non da poco. Per quanto mi riguarda, inserendo nel titolo la parola “chiusa”, intendevo prendere posizione contro l’estetica dell’opera aperta, all’epoca in auge. Nella successione di momenti d’insieme e solistici, la parte del flauto è in rilievo e presenta molte delle nuove tecniche che allora stavo trovando, e altrettanto fanno i due archi. Alcuni elementi di linguaggio sono già tipici (le indicazioni delle varie sezioni vanno da “Con energia, teso” a “Più aggressivo”, a “Aggressivo e progressivamente più violento”) e alternano fasi in cui l’energia si manifesta come tensione materica ad altri in cui ricompare quasi aerea, sottile, nascosta in un gioco di sfumature timbriche, spesso microintervallari. Una forma, chiusa è dedicato ad Andrea Amendola e Carlo Lazari. [Claudio Ambrosini] Stefano Gervasoni (1962) Luce ignota della sera. È il mio secondo omaggio alla visionarietà della musica di Schumann. Come nel 1995, quando composi descdesesasf, per trio d’archi e (versione 2014) elettronica, associai il nome di Schumann a quello del poeta Paul Celan, ho ora voluto legare al nome dell’artista renano quello del compositore Luigi Nono, cui devo la mia iniziazione compositiva. Nel caso del trio, gli interpreti dovevano interrompere la musica e dire sommessamente una poesia di Celan; nel caso di questo brano viene integrato alla scrittura schumanniana un frammento di un mio precedente omaggio a Nono, Prédicatif (2014, dal III quaderno della raccolta Prés). Luce ignota della sera è dunque una rielaborazione originale che assume il testo integrale dell’ultimo brano dei Zwölf Vierhändige Klavierstücke für kleine und große Kinder, op. 85 n. 12, per pianoforte a quattro mani, Abendlied. Mentre il pianista esegue dal vivo letteralmente la parte di accompagnamento dell’ Abendlied schumanniano il live electronics (realizzato da Alvise Vidolin) si assume il ruolo di “agente trasfiguratore” della parte del canto facendo risuonare tramite trasduttori che inviano il segnale direttamente nella cassa armonica del pianoforte - la melodia normalmente eseguita dall’altro interprete del “quattro mani” schumanniano: melodia - quasi innere Stimme - che è stata preregistrata e trattata e a cui viene anteposta una suite accordale tratta dal mio Prédicatif. Tale preludio viene poi ripreso alla fine del brano, un semitono sotto e leggermente modificato, e costituisce una vera e propria coda nella quale la polarità di re del frammento in omaggio a Nono si congiunge alla tonalità di re bemolle di Abendlied. L’intervallo di semitono è per l’appunto l’escursione che deve compiere l’elettronica, durante i tre minuti e trenta di questo brano, per duplicare il pianoforte reale shiftandone gradualmente le frequenze: durante questo percorso, il suono diretto e il suono progressivamente sempre più calante - diffuso, come per la melodia, all’interno della cassa di risonanza dello strumento - interagiscono: si creano battimenti, le altezze fluttuano sempre più, il pianoforte si fa stonato, sfuocato, spettrale. E in questo ambiente, come in un’altra dimensione che si fa largo in quella crepuscolare, risuonano nostalgicamente e utopicamente, altri frammenti, ricombinantesi casualmente, tratti dall’ultimo dei miei Prés (raccolta significativamente ispirata al mondo infantile) dal titolo Pré de près. Frammenti che l’elettronica lancia nello spazio vicino e lontano, come detriti sonori che si uniscono e si confondono, in un mondo sentito microscopicamente e oltrepassante idealmente la realtà fisica: un sogno infinitamente attivo che proietta la forza creatrice degli artisti visionari a cui intende rendere omaggio. [Stefano Gervasoni] Corrado Rojac Nella notte III. Il brano è stato ispirato dalla lettura di alcune poesie di Srecko Kosovel. Mi piace pensare che Kosovel avrebbe apprezzato un accostamento della sua poesia a qualche gruppo cameristico simile al trio con pianoforte. La mia interpretazione della sonorità di tale organico si discosta ben poco dalla tradizione con un uso convenzionale degli strumenti. Ho volutamente evitato i timbri e gli effetti tipici della musica più recente e mi sono limitato a qualche indicazione di “suono armonico” o “sul ponticello”: il suono del mio trio sarebbe stato probabilmente il suono che avrebbe potuto sentire Kosovel ai suoi tempi – se avesse frequentato i concerti della Seconda Scuola di Vienna. La novità è aver affidato agli stessi strumentisti la recitazione di frammenti dei versi che hanno ispirato il mio lavoro. La forma consta di quattro frammenti musicali, di cui però il primo e il terzo costituiscono due brevissimi prologhi che introducono al secondo e al quarto: tali brani rappresentano, con i loro interventi vocali, il cuore della composizione, mentre i due prologhi, di natura esclusivamente strumentale, introducono al clima onirico che pervade l’intera opera. [Corrado Rojac] Vittorio Montalti Abandoned Places. È un brano commissionato dall’Ex Novo Ensemble per cinque strumenti e elettronica. Si tratta della descrizione di una serie di luoghi disabitati. Diverse immagini scorrono davanti ai nostri occhi: posti abbandonati in cui tutto sembra immobile, movimenti minimi come di parassiti o gesti evidenti che raccontano le storie che un tempo hanno abitato questi spazi. In questo brano il silenzio del presente si unisce alle eco del passato. [Vittorio Montalti] con il sostegno di Palazzetto Bru Zane Centre de musique romantique française Ex Novo Ensemble Daniele Ruggieri flauto Carlo Lazari violino Annamaria Pellegrino violino Mario Paladin viola Carlo Teodoro violoncello Nicoletta Sanzin arpa le masque de la mort rouge martedì 1 dicembre 2015 ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Maurice Ravel (1875-1937) Quartetto (1903) per archi Allegro moderato – Assez vif – Très lent – Vif et agité Philippe Hersant (1948) Usher (2015) per arpa e quartetto d’archi Commissione di Jakez François, direttore di Les Harpes Camac prima esecuzione assoluta Jean Cras (1879-1932) Quintetto (1928) per flauto, violino, viola, violoncello e arpa Assez animé – Animé – Assez lent – Très animé André Caplet (1878-1925) Conte fantastique (1919) da La Masque de la Mort rouge di Edgard Allan Poe per arpa e quartetto d’archi Maurice Ravel Quartetto. “Al mio caro maestro Fauré”. Queste le parole di Ravel a dedica del Quartetto in fa, scritto nel 1902/3, leggermente rivisto in occasione della seconda pubblicazione nel 1910. Ravel aveva forse voluto parzialmente accogliere il giudizio severo di Fauré riguardo l’ultimo movimento: «tronco, poco equilibrato, in sostanza, mal riuscito». Sono del resto ben note le vicende del rifiuto del mondo accademico e in particolare dell’entourage del Conservatorio parigino per la sua arte. Pur essendo già un affermato compositore - scrisse infatti Pavane pour une infante défunte nel 1899 e Jeux d’eau nel 1901 - Ravel concorse addirittura tre volte al Prix de Rome: la prima venne escluso nelle prove preliminari (fuga a quattro voci), nelle altre due le sue cantate Myrrha (1901) e Alcyone (1902) vennero ritenute mediocri e indegne del premio. Il Quartetto di Ravel fu composto a distanza di circa dieci anni da quello di Debussy, il quale ritenne di essere stato in qualche modo plagiato dal suo più giovane collega tanto che la vicenda incrinò per un certo periodo i rapporti amichevoli tra i due musicisti. Anni più tardi Debussy ebbe però ad affermare che del quartetto raveliano non si doveva cambiare neppure una nota. Una certa influenza del quartetto di Debussy su quello di Ravel è comunque innegabile se si pensa al secondo movimento (Assez vif) svolto prevalentemente dagli archi in pizzicato e modellato chiaramente su quello del Quartetto di Debussy; anche se rispetto a quest’ultimo, Ravel impiega un doppio ritmo (6/8 e 3/4) con una accentuazione che spesso insiste sui tempi deboli. La scrittura di Ravel si fa sperimentale e prende gradualmente le distanze dalle forme della tradizione. Scrive l’autore: «esso risponde ad una volontà costruttiva realizzata senza dubbio in maniera imperfetta, ma che si presenta molto più lucida rispetto alle mie precedenti composizioni». L’opera manifesta una forte bivalenza tra due tendenze antagoniste: quella che propende per una densa scrittura contrappuntistica - che richiama a Franck e, secondo i canoni classici, si riteneva più consona allo stile quartettistico - e lo stile Debussy, più libero, fresco e audace. Un’analisi del quartetto raveliano risulta peraltro non solo impossibile ma anche inutile. Il musicista francese fa piazza pulita delle forche caudine della forma della sonata citando ben nove diversi spunti tematici che vengono variamente utilizzati in tutti i movimenti. Philippe Hersant Usher. Nel 1908, Claude Debussy progettò di scrivere un opera lirica ispirandosi ad un racconto di Edgar Alan Poe, La Caduta della casa Usher. Ne scrisse la prima scena e parte della seconda. Purtroppo, la partitura rimase incompiuta. Lo stesso anno André Caplet, amico di Debussy, scrisse la sua Légende per arpa e orchestra, che decise più tardi di rielaborare per arpa e quartetto d’archi, con il titolo Conte fantastique ispirato ad un altro famoso racconto di Poe, Le Masque de la Mort rouge. Mi è sembrato interessante dare un pendant a questo pezzo di Caplet, adoperando lo stesso organico strumentale. Usher si presenta come un preludio al racconto di Poe. E’ interamente elaborato su alcuni motivi tratti dagli schizzi lasciati da Debussy per la sua opera incompiuta. [Philippe Hersant] Jean Cras Quintetto (1928). Jean Cras consacrò la sua vita alla musica e al mare. Fece una folgorante carriera militare fino ad essere nominato nel 1932 contrammiraglio e maggiore generale del porto di Brest, sua città natale. Una brillante intuizione lo condusse a sperimentare una procedura, ancor oggi utilizzata in marina e in aeronautica, conosciuta come “regola Cras” che permette di navigare creandosi dei riferimenti in rapporto alle stelle. Cras fece imbarcare il suo pianoforte su tutte le navi sulle quali navigò: nel 1928, a bordo del Provence compose il Quintetto per flauto, archi e arpa su richiesta del Quintette Instrumental de Paris. Capolavoro del repertorio cameristico francese l’opera presenta una sapiente concisione nel fondere modalità, pentatonalismo e riflessi della musica orientale tessendo trame polifoniche terse ed essenziali e facendo sfoggio di un lirismo dall’impalpabile charme. La sua concezione formale procede guidata da un istinto sicuro che privilegia le forme classiche (Allegro di Sonata, Lied, Scherzo) per ripensarle in modo originale. Nel Quintetto le frontiere tra esposizione, sviluppo e riesposizione sono sempre smussate e le idee tematiche si apparentano le une alle altre: sono cioè concepite per creare una forte unità estetica e timbrica piuttosto che - secondo i canoni scolastici - per delineare una dialettica di caratteri contrapposti. Pur opera di musica pura il brano lascia trasparire il suo gusto per il far musica “all’aria aperta”, con nuance crepuscolari e sogni di quell’Arcadia panteista tanto cara all’universo dei Simbolisti. André Caplet Conte fantastique. «Voi siete l’angelo delle correzioni, l’Avvocato generale dell’oblio» scrive Debussy a Caplet nel 1909 manifestandogli al sua incondizionata stima come revisore, trascrittore, direttore d’orchestra e orchestratore. I due divennero fraternamente amici e entrambi furono affascinati dai racconti di Edgard Allan Poe (1809-1849): «quest’uomo, anche se in modo postumo, esercita su di me una tirannia angosciante», scrisse Debussy a Caplet. Debussy lavorò ad intermittenza dal 1890 alla morte a due opere - La chute de la maison Usher e Le diable dans le Beffroi, entrambe rimaste incompiute - tratte dalla celebre traduzione di Baudelaire (1857) dei racconti di Poe. Caplet per parte sua, basa la sua Légende - riorchestrata nel 1923 con il titolo Le Conte fantastique - sul racconto La Masque de la mort rouge. É la storia di un principe che isola in un castello un folto gruppo di nobili amici per salvarli da un’epidemia devastante che, nella città vicina, produce morti continue (evidente dunque l’analogia con l’esordio del Decameron di Boccaccio). La malattia viene chiamata “Mort Rouge” perché fa scoppiare i vasi sanguigni e invade di sangue tutto il corpo, provocando una morte immediata. In una atmosfera carica di terrore e di angoscia il giovane principe organizza per i suoi ospiti un ballo mascherato: ogni volta che un vecchio orologio rintocca le ore con sinistra ritualità, i danzatori sembrano paralizzarsi; poi la festa riprende, ma con minor brio, come perturbata dal ricordo dei rintocchi. Poco a poco l’atmosfera si elettrizza, la musica si anima, le coppie danzano febbrilmente: a mezzanotte, all’ultimo rintocco dell’orologio, appare furtivamente nell’ombra un personaggio avvolto in un sudario. Un terrore mortale si impadronisce degli invitati: la “Mort Rouge” - che indossa la misteriosa maschera - fa cadere tutti gli ospiti inondandoli nel loro stesso sangue. Caplet ha messo in musica questo testo affascinante non aderendo alla tradizionale concezione della “musica a programma” ma piuttosto descrivendo l’atmosfera grave e il terrore che a poco a poco paralizza la società gioiosa delle danze e dei balli. La parte dell’arpa è incredibilmente colorata e virtuosa, gli accordi risuonano come campane, al momento dell’apparizione della morte sono prescritti dei colpi battuti sulla cassa di risonanza dello strumento. Con una fervida immaginazione sonora che prefigura gli sviluppi futuri della storia della musica, egli impiega effetti al tempo innovativi sugli strumenti ad arco (legno grattato, pizzicati in armonico, effetti al ponticello nel registro acuto, etc.) e sonorità più vicine alla Scuola di Vienna che all’Impressionismo francese, di straordinaria potenza, sovente ai limiti estremi della tonalità. SIAE Classici di Oggi con il sostegno di SIAE Valentina Caladonato soprano Sandro Cappelletto drammaturgia e voce recitante Ex Novo Ensemble Daniele Ruggieri flauto Davide Teodoro clarinetto Carlo Lazari violino Carlo Teodoro violoncello Aldo Orvieto pianoforte alzarsi in volo domenica 6 dicembre 2014 ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Igor Stravinskij (1882-1971) L’histoire du Soldat, Suite dal balletto (1918), versione dell’Autore per clarinetto, violino e pianoforte Marche du Soldat – Le Violon du Soldat – Petit Concert – Tango/ Valse/Rag – La Danse du Diable Azio Corghi (1937) Alzarsi in volo (2015) per soprano, voce recitante, flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte Letture di Sandro Cappelletto tratte da Il grande balipedio (1969) di Carlo Della Corte Commissione Ex Novo Musica 2015 prima esecuzione assoluta Igor Stravinskij (1882-1971) L’histoire du Soldat, Suite dal balletto. Sopherl! Sopherl! Sterbe nicht! Bleibe am Leben für unsere Kinder! (Sofia, Sofia, non morire! Resta in vita per i nostri figli!). Queste le ultime parole dell’arciduca Francesco Ferdinando, dopo essere stato colpito dalla Browning FN, calibro 7,65 di Gavrilo Princip; due spari, il primo destinato alla moglie Sophie, il secondo all’erede al trono degli Asburgo. Era il 28 giugno 1914. Se l’autista dell’arciduca non avesse sbagliato strada, non fosse stato costretto a fermarsi, a ingranare la retromarcia e a procedere molto lentamente, il ventiquattrenne attentatore serbo avrebbe avuto tutto quell’agio per prendere la mira e uccidere? La Prima Guerra Mondiale sarebbe iniziata? Appena scoppia, Igor Stravinskij lascia Parigi e si trasferisce con la famiglia nella neutrale Svizzera. A Losanna il 28 settembre 1918 - quando il conflitto sta per finire - debutta L’histoire du soldat. Il soldato, che sa suonare il violino, ha quindici giorni di licenza e vuole tornare al suo villaggio per abbracciare mamma e fidanzata. Travestito da vecchio signore che va a zonzo per la campagna con il retino per acchiappare farfalle, gli appare il diavolo che, naturalmente, vuole la sua anima, cioè il violino, e gli propone di barattarlo con un libro magico, capace di dare tutte le risposte. «Per quanto tempo?», chiede il soldato. «Soltanto tre giorni», risponde il diavolo. Diventeranno tre anni, succederanno molte cose, ma l’ultimo numero della partitura non lascia dubbi: Marcia trionfale del diavolo. Ricorrendo agli elementi narrativi della favola, Stravinskij esorcizza l’orrore della guerra, sembra rimuoverlo, eppure, nella vittoria finale del diavolo e nella dannazione del soldato che perde tutto, obbliga a ricordarlo. Tre anni? Ne sono passati altri cento e diavoli e soldati continuano a fare il proprio mestiere. Ode alla gioia: «Abbracciatevi, moltitudini! / Questo bacio al mondo intero! / Fratelli, sopra la volta stellata / deve certo abitare un padre amorevole». [Sandro Cappelletto] Azio Corghi Alzarsi in volo. Come “accompagnare musicalmente” le letture di Sandro Cappelletto tratte da Il grande balipedio di Carlo della Corte? Siamo di fronte a un testo che racconta gli orribili eventi della prima guerra mondiale attraverso il vissuto del protagonista: il colto e disincantato “tenente Germano Bandiera”. Nome e cognome ironicamente parlanti, tre termini che nelle letture vengono (altrettanto ironicamente) scomposti e ricomposti nei vari rapporti che il personaggio ha con i suoi interlocutori. La “collocazione infernale” degli avvenimenti influisce sul linguaggio musicale adottato: a un ossessivo andamento atonale, cupo, lacerato da gesti violenti di derivazione “scuola viennese”, si contrappone la componente a-eroica, manifestazione dell’insensatezza del tutto, provocatoriamente “tonale” della canzone italiana d’epoca. Dal “ricordo cantato” di una promessa d’amore - con l’incerta speranza del “se torno ti sposo” si procede verso il rifugio affettivo creato dalla citazione di Anna Achmatova: “Tutti quelli che veramente amavi, vivi per te resteranno”. Infine la “catarsi” dell’immedesimazione del protagonista con un passero capitato nel mezzo di un attacco nemico: un evento nel quale Germano Bandiera entra annullando se stesso, per vedere finalmente il mondo, così come lo vedono e lo sentono quelle creaturine vive che non percepiscono i movimenti convulsi imposti alla storia. Allora, invece di stare là, come cavia, in un campo di tiro al bersaglio in cui si sperimentano modi di morire, si cerca una via di fuga dal lerciume della trincea: ci si alza in volo. A Carlo Seyta, mio nonno, morto nella guerra 1915-18 Azio Corghi Guidizzolo, luglio 2015 soliloquy lunedì 14 dicembre 2015 ore 20.00 Ateneo Veneto SIAE Classici di Oggi in collaborazione con Ateneo Veneto con il sostegno di SIAE Zero Vocal Ensemble Eva Macaggi e Ai Nagasue soprani Elisa Bonazzi e Matilde Lazzaroni contralti Michele Foresi e Fabio Gentili tenori Giacomo Serra e Paolo Marchini bassi Claudio Monteverdi (1567-1643) Dal Quarto libro de’ Madrigali a cinque voci, Venezia 1603: Sfogava con le stelle Dal Primo libro de’ Madrigali a cinque voci, Venezia 1587: Baci soavi e cari Da Madrigali guerrieri et amorosi, Venezia 1638: Ecco mormorar l’onde Claudio Ambrosini (1948) Soliloquy (testo di Sylvia Plath, 2003/15), nuova versione per doppio quartetto vocale Commissione Ex Novo Musica prima esecuzione assoluta Sigismondo d’India (1582-1629) Dal Terzo Libro de’ madrigali a cinque voci, Venezia 1615: Dispietata pietade Dovrò dunque morire Canzone di lontananza Luciano Berio (1925-2003) Cries of London (1974-76) per ottetto vocale Nell’operare una scelta di testi dell’ultimo madrigalismo italiano per questo progetto concertistico la preferenza è caduta su due tra i più grandi autori tardo cinquecenteschi, il cremonese Claudio Monteverdi e il siciliano Sigismondo D’India, legati da un orientamento estetico comune che mira a dare il massimo valore semantico al tessuto verbale del testo poetico: l’orientamento è chiaro, indirizzato verso autori contemporanei come Tasso, Guarini, Marino e Rinuccini i quali, figli dell’umanesimo e del petrarchismo, arricchiscono le loro narrazioni tramite metafore, iperboli ed antitesi, artifici che acquistano grande efficacia drammaturgica in una sapiente veste musicale. D’India conobbe Monteverdi presso la corte dei Gonzaga a Mantova e da lui apprese l’uso di un cromatismo espressivo e di dissonanze volte a valorizzare il senso drammatico dei testi. Risulta opportuno sottolineare come i due autori apprezzino un uso promiscuo di polifonia e monodia accompagnata. L’arte del canto solista era del resto uno dei punti di forza di Sigismondo, lui stesso stimato cantore presso molte corti italiane e noto per le sue opere a voce sola e basso continuo - come il suo contemporaneo Giulio Caccini, al quale sicuramente avrà pensato componendo il madrigale Dovrò dunque morire che Caccini musicò nelle sue Nuove musiche del 1601. Un uso della polifonia più dinamico, e l’alternanza di sezioni “a voci sole”, mette in luce l’espressività della parola e obbliga l’ascoltatore ad indagare i rapporti dialettici che si instaurano tra le voci. Risultano di fatto evidenti già dal primo libro dei madrigali di Monteverdi, con il madrigale Ecco mormorar l’onde, le anticipazioni dello stile declamato e del recitativo, in cui le voci, in perfetto stile imitativo, giocano tra loro contendendosi ciascuna un proprio spazio declamatorio nel quale il testo viene messo in risalto per poi andare di nuovo a confondersi nel tessuto polifonico con l’ingresso delle voci successive. L’audacia espressiva spinge addirittura Monteverdi, in Sfogava con le stelle, a prescrivere un solo accordo per il primo settenario lasciando liberi gli esecutori di scegliere i valori meglio corrispondenti agli accenti della recitazione, applicando così il concetto di “sprezzatura” al madrigale polifonico e dando di fatto ai cantanti una libertà che quasi più si addice a degli attori di teatro. Opportuno infine rilevare l’aderenza di Sigismondo allo stile ricco di ritardi e dissonanze non preparate che caratterizza la produzione di Gesualdo; anche in Sigismondo d’India tali tecniche, tanto care al principe di Venosa, supportano con efficacia quei componimenti poetici che si fondano su stati d’animo contrapposti, come ad esempio l’antitesi amore/dolore. In Dispietata pietate, madrigale posto da Sigismondo al primo posto del suo Terzo libro abbiamo un perfetto esempio di questo stile compositivo. [Giacomo Serra] Claudio Ambrosini Soliloquy. Soliloquy of the Solipsist, scritta nel 1956, è una delle poesie centrali di Sylvia Plath, poetessa americana suicidatasi qualche tempo dopo, a soli trentun’anni. La sua realizzazione musicale cerca di rendere alcuni aspetti della personalità dell’autrice e insieme di riproporre la struttura del testo originale, articolato in quattro strofe, ciascuna aperta dalla parola “io”. Quattro interpreti femminili, attorniate da altrettante “ombre” maschili, fungono da alterego della poetessa ed effettuano, cantando, dei movimenti del capo che indirizzano la voce verso punti diversi della sala, producendo una sorta di spazializzazione naturale del suono, che si sposta da sinistra a destra o viceversa. Un “raggio sonoro” si diparte così da ciascun interprete e crea dei tracciati astratti nell’aria. Il canto - ora aperto, ora interiorizzato, a bocca chiusa - crea alternanze di pieno e vuoto, rendendo più complessa la percezione della prospettiva. Le cantanti - quasi facce di uno stesso prisma - sottolineano gestualmente l’idea di “colloquio con sé”, passandosi la voce l’un l’altra, come il testimone di una staffetta in un gioco di specchi. In origine commissionato per festeggiare virtualmente il compleanno di Peggy Guggenheim, Soliloquy è stato eseguito per la prima volta il 26 agosto 2003 sulla sua tomba, nel giardino del Guggenheim Museum di Venezia. [Claudio Ambrosini] Luciano Berio Cries of London. Il brano prevede l’organico di due soprani, due contralti, due tenori, due bassi ed è la rielaborazione di una composizione omonima a sei voci (due contralti, un tenore, due baritoni e un basso) che ho scritto nel 1974 per i King’s Singers. In questa nuova versione i Cries of London sono diventati un breve ciclo di sette pezzi vocali di carattere popolare, dove un pezzo semplice si alterna in modo regolare a un pezzo musicalmente più complesso. Il primo e il terzo «Cry» hanno lo stesso testo. Il quinto «Cry» è l’esatta ripetizione del primo. Il settimo pezzo, «Cry of Cries», è un commento ai «Cries» precedenti: pur usando le stesse melodie e gli stessi caratteri armonici, musicalmente se ne allontana e li ricorda a distanza... Nell’insieme questo breve ciclo può anche essere ascoltato come un esercizio di caratterizzazione e di drammaturgia musicale. Il testo è essenzialmente una libera scelta delle famose frasi dei venditori nelle strade della vecchia Londra. [Luciano Berio] Claudio Monteverdi Sfogava con le stelle, Baci soavi e cari, Ecco mormorar l’onde Sfogava con le stelle Ottavio Rinuccini (1562-1621) Baci soavi e cari Giovanni Battista Guarini (1538-1612) Sfogava con le stelle Un’infermo d’Amore sotto notturno ciel il suo dolore, e dicea fisso in loro: O imagini belle del’idol mio ch’adoro si com’a me mostrate, mentre cosi splendete, la sua rara beltate cosi mostrast’a lei i vivi ardori miei la fareste col vostr’aureo sembiante pietosa si come me fat’amante. Baci soavi e cari, cibi della mia vita c’hor m’inviolate hor mi rendete il core, per voi convien ch’impari come un’alma rapita non sente il duol di mort’e pur si more. Quant’ha di dolce amore, perché sempr’io vi baci, O dolcissime rose, in voi tutto ripose. Et s’io potessi ai vostri dolci baci la mia vita finire o che dolce morire! Ecco mormorar l’onde Torquato Tasso (1544-1595) Ecco mormorar l’onde e tremolar le fronde a l’aura mattutina e gl’arborscelli. E sovra i verdi rami i vaghi augelli cantar soavemente e rider l’oriente ecco già l’alba appare e si specchia nel mare e rasserena il cielo e le campagne imperla il dolce gelo e gl’alti monti indora. O bella e vagh’aurora l’aura è tua messagiera, e tu de l’aura ch’ogn’arso cor ristaura. Claudio Ambrosini Soliloquy Sigismondo d’India Dispietata pietade, Dovrò dunque morire, Canzone di lontananza Soliloquy Of The Solipsist (Sylvia Plath) Soliloquio del Solipsista Traduzione di Rodolfo Delmonte Dispietata pietate Torquato Tasso (1544-1595) Dovrò dunque morire Ottavio Rinuccini (1562-1621) I? I walk alone; The midnight street Spins itself from under my feet; When my eyes shut These dreaming houses all snuff out; Through a whim of mine Over gables the moon’s celestial onion Hangs high. Io? Io cammino sola; la strada a mezzanotte sotto i miei piedi ruota; se chiudo gli occhi tutte svaniscono nel sogno queste case; per un capriccio mio sullo spiovente è appesa alta della luna la cipolla celeste. Dovrò dunque morire, a che di nuovo io miri voi, bramata cagion de miei martiri? Mio perduto tesoro, non poter dirvi, pria ch’io mora: “Io Moro”? O miseria inaudita, non poter dir a voi: “Moro, mia vita”. I Make houses shrink And trees diminish By going far; my look’s leash Dangles the puppet-people Who, unaware how they dwindle, Laugh, kiss, get drunk, Nor guess that if I choose to blink They die. Io le case posso rimpicciolire gli alberi diminuire andando lontano; ciondolano al guinzaglio del mio sguardo persone-burattino ignare mentre si riducono, che ridono, baciano, si ubriacano. Né loro immaginano che muoiono se decido di strizzar l’occhio. Dispietata pietate fu la tua veramente, o Dafne, allora che ritenesti il dardo: però che’l mio morire più amaro sarà quanto più tardo. Ed or perché m’avvolgi per sì diverse strade e per sì vari ragionamenti invano? Di che temi? Temi ch’io non m’uccida? Temi del mio bene. Deh, lasciami morire in tante pene. I When in good humor, Give grass its green Blazon sky blue, and endow the sun With gold; Yet, in my wintriest moods, I hold Absolute power To boycott any color and forbid any flower To be Io se son di buon umore do’ il verde all’erba sfoggio un cielo blu, e fornisco il sole di oro; però nei miei più gelidi momenti, ho io l’assoluto potere di sabotare ogni colore d’impedire ad ogni fiore d’esistere. I Know you appear Vivid at my side, Denying you sprang out of my head, Claiming you feel Love fiery enough to prove flesh real, Though it’s quite clear All you beauty, all your wit, is a gift, my dear, From me. Io so che tu sembri vivido al mio fianco, stai negando di essere sbucato fuor dalla mia testa, hai la pretesa di sentir amore tanto focoso da inverar la carne, benché sia abbastanza chiaro che la tua bellezza, l’acume è tutt’un dono, caro mio, da me. È partito il mio bene Giambattista Marino (1569-1625) È partito il mio bene, ho perduto il mio core. Ohimè qual vita in vita or mi sostiene? Lasso! Com’è rimaso fosco il sol, negro il cielo! Il dì giunto è all’occaso, amor fatto è di gelo. Duro partir che m’hai l’alma partita, chi ti chiamò partire dovea con più ragion dirti morire. O Dio! quel dolce addio, che piangendo mi disse, a cui piangendo addio risposi anch’io, deh, come da la spoglia l’anima non divise? O come per gran doglia la vita non uccise? Alma e vita non ho, poiché perdendo il mio dolce conforto, addio dirgli ho potuto e non son morto. Luciano Berio Cries of London I - IV - V These are the cries of London town some go up street, some go down. II Where are ye fair maids that have need of our trades? I sell you a rare confection. Will you have your face spread either with white or red? My drugs are no dregs for I love the white of eggs made in rare confection. Will ye buy any fair complexion? III Garlic, good garlic the best of all the cries. It is the physic ‘gainst all the maladies. It is my chiefest wealth, good garlic for the cry. And if you lose your health my garlic then come buy, my garlic come to buy. VI Money, penny come to me I sell old clothes. For one penny, for two pennies old clothes to sell. If I had as much money as I could tell I never would cry old clothes to sell. VII Come (buy some old cry to me) Come Grida di Londra (traduzione di Rodolfo Delmonte) some go up street some go down I sell old clothes and if you lose your health my garlic then come buy Cry (some go up go own) Money (to me) Penny (come buy me old cries) Come buy some go up street some go down old clothes to sell garlic good garlic my garlic then come buy if I had as much money as I could tell I never would cry old clothes to sell some go up street some go down Down these are the cries of London town Some (some go) I - IV - V Ecco qui le grida di Londra centro chi la strada sale, chi discende. II Dove siete mie belle donzelle che anelate i nostri affari? Vendiam confezioni rare. Di bianco o di rosso volete il viso impomatato? Le mie ciprie non son scarti perché amo il bianco d’uovo in confezione rara. Vorrai acquistarne per carnagioni chiare? III Aglio, buon aglio di tutte le grida il meglio. E’ la cura contro ogni malanno. E’ il mio benesser principale, buon aglio per far gridare. E se perdi la salute il mio aglio devi comprare, il mio aglio vieni a comprar. VI Danaro, soldo vieni da me io vendo abiti usati. Per un soldo, per due soldi abiti consunti da vendere. Se avessi tanto danaro quanto non si sa mai griderei vecchi abiti da vendere. VII Vieni (compra delle grida vecchie da me) Vieni chi la strada sale chi discende io vendo abiti logori e se dovessi perder la salute allora il mio aglio vieni a comprar Grida (chi va su va giù) Danaro (a me) Soldi (vieni compra mi vecchie grida) Vieni a comprare chi la strada sale chi discende vecchi abiti da vender aglio buon aglio allora il mio aglio vieni a comprar se avessi tanto danaro da non dire mai griderei vecchi abiti da vendere chi la strada sale chi discende giù ecco qui le grida di Londra centro Chi (chi va…) SIAE Classici di Oggi in collaborazione con Archivio Luigi Nono con il sostegno di SIAE Monica Bacelli mezzosoprano Sandro Cappelletto voce narrante Aldo Orvieto pianoforte Alvise Vidolin regia sonora fortissimo nel mio cuore! giovedì 17 dicembre 2015 ore 20.00 Gran Teatro la Fenice Sale Apollinee Franz Schubert (1797-1828) Andantino dalla Sonata in la maggiore D959 (settembre 1828) Luigi Nono (1924-1990) ... sofferte onde serene ... (1976) per pianoforte e nastro magnetico Franz Schubert (1797-1827) da Winterreise D 911 (1827/8, su testi di Wilhelm Müller) Gute Nacht – Die greise Kopf – Der Wegweiser – Die Nebensonne – Der Leiermann Luigi Nono (1924-1990) La fabbrica illuminata (1964) per voce femminile e nastro magnetico Franz Schubert (1797-1827) da Schwanengesang D957 (1828, su testi di Heinrich Heine) Am Meer – Der Doppelgänger Nell’ “aggredire” - quasi sfacciatamente - il dramma del vivere e nel combattere ostinatamente per i proprî ideali, Luigi Nono è stato un artista che ha saputo esprimere un messaggio limpido, fermo e a tratti intransigente. Ma in Luigi Nono vi è anche l’uomo dell’estrema dolcezza, delle parole di Cesare Pavese che concludono La fabbrica illuminata: «passeranno i mattini / passeranno le angosce / Non sarà così sempre / Ritroverai qualcosa»(1964). Estrema dolcezza, un aspetto non pubblico, per questo forse meno indagato, ma non meno pregnante per giungere al cuore del suo messaggio artistico: «La trasgressione. […] Ciò che spinge verso altri spazi, altri cieli, altri sentimenti umani, all’interno e all’esterno, senza dicotomia» (Luigi Nono,1983). E dunque, con la sua musica, quella di Franz Schubert, un musicista che non ha scadenze, non ha vincoli, non deve rendere conto ad alcuno se non a se stesso delle scelte espressive che compie, anche le più radicali; un musicista che si avventura con lucidità lungo il crinale dell’individualità inviolabile: «voglia di mondi più belli / riempire gli spazî oscuri / d’un immenso sogno d’amore» (Franz Schubert, 1823). É Schubert a dare voce per la prima volta alle ansie, ai desideri, alle solitudini e alle perdute dolcezze che prova un essere umano quando si sente estraneo, straniero al mondo che lo ospita. É questo il percorso del Viaggio d’inverno, il ciclo di Lieder che Luigi Nono amava sopra tutti. Ci sono molti, profondi motivi, di musica e di affetti, per fare incontrare i due creatori in un concerto loro dedicato. Franz Schubert Lieder da Winterreise D911 e Schwanengesang D957 Gute Nacht Fremd bin ich eingezogen, Fremd zieh’ich wieder aus. Der Mai war mir gewogen Mit manchem Blumenstrauß. Das Mädchen sprach von Liebe, Die Mutter gar von Eh’, Nun ist die Welt so trübe, Der Weg gehüllt in Schnee. Buona notte Come un estraneo sono comparso, come un estraneo me ne vado. Maggio mi è stato benevolo, con qualche mazzo fiorito. La fanciulla parlava d’amore, la madre addirittura di matrimonio; ed ora il mondo è tanto triste, la strada è sepolta nella neve. Ich kann zu meiner Reisen Nicht wählen mit der Zeit, Muß selbst den Weg mir weisen In dieser Dunkelheit. Es zieht ein Mondenschatten Als mein Gefahrte mit, Und auf den weißen Matten Such’ich des Wildes Tritt. Per questo viaggio non m’è dato di scegliere il tempo, da me devo trovare la via in quest’oscurità. Mi accompagna l’ombra della luna, e sulla bianca terra cerco la traccia di bestie selvagge. Was soll ich länger weilen, Daß man mich trieb hinaus? Laß irre Hunde heulen Vor ihres Herren Haus; Die Liebe liebt das WandernGott hat sie so gemachtVon einem zu dem andern. Fein Liebchen, gute Nacht! Che cosa mi trattiene, da quando mi hanno cacciato? Guaite, cani randagi, davanti alla casa del padrone! L’amore ama girovagare – così l’ha fatto Dio – dall’uno all’altro. Amore mio, buona notte! Will dich im Traum nicht stören, Wär schad’ um deine Ruh’, Sollst meinen Tritt nicht hörenSacht, sacht die Türe zu! Schreib’ im Vorübergehen Ans Tor dir: Gute Nacht, Damit du mögest sehen, An dich hab’ ich gedacht. Non ti turberò nel sonno, voglio la tua pace; camminerò in punta di piedi, pian piano chiuderò la porta! Passando ti scriverò sull’uscio: buona notte. Così avrai la prova che io t’ho pensato. Der greise Kopf Der Reif hatt’ einen weißen Schein Mir übers Haar gestreuet; Da glaubt’ ich schon ein Greis zu sein Und hab’ mich sehr gefreuet. La testa canuta La brina m’ha steso un velo bianco sul capo; e già mi credevo un vecchio e me ne rallegravo. Doch bald ist er hinweggetaut, Hab’ wieder schwarze Haare, Daß mir’s vor meiner Jugend graut – Wie weit noch bis zur Bahre! Ma presto essa s’è sciolta; ora ho di nuovo i capelli neri, e detesto la mia giovinezza. Ancora tanto lontana dalla bara! Vom Abendrot zum Morgenlicht Ward mancher Kopf zum Greise. Wer glaubt’s? und meiner ward es nicht Auf dieser ganzen Reise! Qualche testa è incanutita da sera a mattino. E la mia (chi lo crederebbe) non lo è in tutto questo viaggio! Der Wegweiser Was vermeid’ ich denn die Wege, Wo die ander’n Wand’rer gehn, Suche mir versteckte Stege Durch verschneite Felsenhöh’n? Il segnale stradale Perché evito i sentieri battuti dagli altri viandanti, e cerco passaggi nascosti attraverso rupi innevate? Habe ja doch nichts begangen, Daß ich Menschen sollte scheu’n, Welch ein törichtes Verlangen Treibt mich in die Wiistenei’n? Non ho commesso nulla, perché io debba evitare l’uomo; quale assurda brama mi spinge nei luoghi deserti? Weiser stehen auf den Straßen, Weisen auf die Städte zu. Und ich wand’re sonder Maßen Ohne Ruh’ und suche Ruh’. Lungo le vie si levano segnali guidano attraverso la città; ed io mi dirigo altrove senza pace, ma cerco pace. Einen Weiser seh’ ich stehen Unverrückt vor meinem Blick; Eine Straße muß ich gehen, Die noch keiner ging zurück. Qui vedo un segnale, fisso davanti a me; devo prendere la via, da cui mai nessuno è ritornato. Die Nebensonnen Drei Sonnen sah ich am Himmel steh’n, Hab’ lang und fest sie angeseh’n; Und sie auch standen da so stier, Als wollten sie nicht weg von mir. Altri soli Tre astri ho visto in cielo, intensamente li ho osservati; eran così immobili, pareva non volessero allontanarsi da me. Ach, meine Sonnen seid ihr nicht! Schaut ander’n doch ins Angesicht! Ja, neulich hatt’ ich auch wohl drei; Nun sind hinab die besten zwei. Ahimè, non siete voi i miei soli! Rivolgetevi a qualcun altro! Già, un attimo fa ne avevo tre; i due migliori sono tramontati. Ging nur die dritt’ erst hinterdrein! Im Dunkel wird mir wohler sein. Andasse via anche il terzo! Al buio starò meglio. Der Leiermann Drüben hinterm Dorfe steht ein Leiermann Und mit starren Fingern dreht er, was er kann. Barfuß auf dem Eise wankt er hin und her Und sein kleiner Teller bleibt ihm immer leer. L’uomo dell’organetto Al limitare del paese c’è un uomo con l’organetto; con le dita indurite gira la manovella. Scalzo, sul ghiaccio vacilla qua e là, il piattello resta sempre vuoto. Keiner mag ihn hören, keiner sieht ihn an, Und die Hunde knurren um den alten Mann. Und er läßt es gehen alles, wie es will, Dreht und seine Leier steht ihm nimmer still. Nessuno l’ascolta, nessuno lo vede, e ringhiano i cani intorno al vecchio. Indifferente a tutto lui gira, gira, l’organetto mai non tace. Wunderlicher Alter, soll ich mit dir geh’n? Willst zu meinen Liedern deine Leier dreh’n? Vecchio misterioso, e se venissi con te? Accompagneresti i miei canti col tuo organetto? Der Doppelgänger Still ist die Nacht, es ruhen die Gassen, In diesem Hause wohnte mein Schatz; Sie hat schon längst die Stadt verlassen, Doch steht noch das Haus auf demselben Platz. Da steht auch ein Mensch und starrt in die Höhe, Und ringt die Hände vor Schmerzensgewalt; Mir graust es, wenn ich sein Antlitz sehe – Der Mond zeigt mir meine eigne Gestalt. Du Doppelgänger, du bleicher Geselle! Was äffst du nach mein Liebesleid, Das mich gequält auf dieser Stelle So manche Nacht, in alter Zeit? Am Meer Das Meer erglänzte weit hinaus Im letzten Abendscheine; Wir saßen am einsamen Fischerhaus Wir saßen stumm und alleine. Der Nebel stieg, das Wasser schwoll, Die Möwe flog hin und wieder; Aus deinen Augen, liebevoll, Fielen die Tränen nieder. Ich sah sie fallen auf deine Hand Und bin aufs Knie gesunken; Ich hab von deiner weißen Hand Die Tränen fortgetrunken. Seit jener Stunde verzehrt sich mein Leib, Die Seele stribt vor Sehnen; Mich hat das unglückselge Weib Vergiftet mit ihren Tränen. Il sosia La notte è tranquilla, i vicoli riposano, in questa casa abitava la mia amata; già da tempo ha lasciato la città, però la casa sta ancora sulla stessa piazza. Vi è anche un uomo che guarda fisso in alto, e si torce le mani per il grande dolore; inorridisco nel vedere il suo volto – la luna mi mostra il mio proprio sembiante. Sosia, tu pallido compagno! Perché scimmiotti il mio patir d’amore, che mi tormentò in questo luogo per tante notti in tempi passati? Al mare Il mare brillava a distanza nell’ultima luce della sera; sedevamo presso la solitaria casa del pescatore, sedevamo silenziosi e soli. La nebbia saliva, l’acqua si gonfiava, di quando in quando il gabbiano volava; dai tuoi occhi pieni d’amore scorrevano le lacrime. Le vidi scendere sulla tua mano e sono caduto in ginocchio; dalla tua mano bianca ho bevuto le tue lacrime. Da quel momento il mio corpo si consuma, l’anima muore di desiderio; quella sventurata donna mi ha avvelenato con le sue lacrime. Luigi Nono La fabbrica illuminata Fonti 1. Operai dell’ltalsider di Genova e contratti sindacali (elaborati da Giuliano Scabia); 2. Giuliano Scabia (sviluppo del secondo frammento della seconda scena di Un diario italiano intitolato Sogno incubo. 5 donne); 3. Cesare Pavese (frammento tratto da Due poesie a T) In grassetto le parti pronunciate dalla voce solista. 1. fabbrica dei morti la chiamavano esposizione operaia a ustioni a esalazioni nocive a gran masse di acciaio fuso esposizione operaia a elevatissima temperature su otto ore solo due ne intasca l’operaio esposizione operaia a materiali proiettati relazioni umane per accelerare i tempi esposizione operaia a cadute a luci abbaglianti a corrente ad alta tensione quanti MINUTI-UOMO per morire? 2. e non si fermano MANI di aggredire ININTERROTTI che vuota le ore al CORPO nuda afferrano quadranti, visi: e non si fermano guardano GUARDANO occhi fissi: occhi mani sera giro del letto tutte le mie notti ma aridi orgasmi TUTTA la città dai morti VIVI noi continuamente PROTESTE la folla cresce parla del MORTO la cabina detta TOMBA tagliano i tempi fabbrica come lager UCCISI (Giuliano Scabia) 3. passeranno i mattini passeranno le angosce non sarà così sempre ritroverai qualcosa (Cesare Pavese) Biografie dei Compositori Commissioni e Prime esecuzioni assolute per Ex Novo Musica 2015 Claudio Ambrosini compositore veneziano. Nel 1985 è stato il primo musicista non francese ad essere insignito del Prix de Rome e a soggiornare a Villa Medici, nel 1986 ha rappresentato l’Italia alla Tribuna dei Compositori dell’Unesco, nel 2006 ha ricevuto il riconoscimento dell’Association Beaumarchais, nel 2007 ha vinto il Leone d’Oro della Biennale di Venezia, nel 2008 il Music Theatre Now Prize, nel 2010 il Premio Abbiati, nel 2015 il premio Play it! Ha composto lavori vocali, strumentali, elettronici, opere liriche, radiofoniche, oratori e balletti, caratterizzati dagli esiti di una ricerca strumentale e stilistica personali. Ha ripetutamente ricevuto commissioni da importanti Istituzioni, tra cui la RAI, La Biennale, la WDR, Grame. Dal 1979 dirige l’Ex Novo Ensemble e dal 1983 il CIRS, che ha entrambi fondato a Venezia. Tra i suoi lavori ricordiamo la pentalogia operistica: Big Bang Circus (2001), Il canto della pelle - Sex Unlimited (2005), Il killer di parole (2009), Apocalypsis cum figuris (2012), Il giudizio universale (1996); l’oratorio Passione secondo Marco (2000), l’opera-balletto Le cahier perdu de Casanova (1998), il balletto Pandora Librante (1999) su testi di Calvino; la cantata Proverbs of Hell, su testi di William Blake; il Lied ohne Worte (2004), su testi di Schiller e dei bambini di Terezin; i concerti Tocar (per pianoforte e orchestra, 2006) e Plurimo (per due pianoforti e orchestra, 2007). Raphaèle Biston è nata a Lione nel 1975. Ha studiato flauto a Lione e a Ginevra e poi composizione al Conservatorio Superiore di Lione. Come flautista pratica abitualmente l’improvvisazione con l’ensemble Le Détrapi e il collettivo Si Noir que Bleu. I suoi ultimi pezzi riflettono il desiderio di lavorare in direzioni diverse (scrittura strumentale, utilizzo di informatica musicale sia in tempo reale che differito) ma sempre dando all’elaborazione del timbro un posto centrale, per metterne in risalto il potenziale poetico ed espressivo, fra rumore e colore, suono e silenzio, alla ricerca di una musica che si propone di risultare rigorosa e sostenuta, ma anche di lasciare all’ascoltatore lo spazio per vagabondare. In questi ultimi anni ha ricevuto commissioni dallo Stato Francese, Radio France, l’Académie Opus XXI, dal GRAME (Lyon), CIRM (Nice), GMEM (Marseille), dal quale è stata anche invitata come compositrice residente e dal Gran Teatro La Fenice di Venezia. Le sue opere sono eseguite in diversi Festival e concerti di musica contemporanea come Musiques en Scène, Lione, Agora, Parigi, EAR Unit Series, Los Angeles, Musica, Strasburgo, MANCA, Nizza, Les Musiques, Marsiglia, Forum, Mosca, Double Double, Stoccolma, Rondò, Milano, la Biennale, Venezia, da ensembles come 2e2m, l’Ensemble Orchestral Contemporain, l’Instant Donné, l’Ensemble Modern, Multilatérale, Ear Unit, Les Temps Modernes, Ex Novo, Divertimento Ensemble. Azio Corghi compositore, musicologo e didatta. Fino al 1950 ripartisce i suoi studi tra la pittura e la musica. Al Conservatorio di Torino studia pianoforte con Mario Zanfi e Storia della Musica con Massimo Mila. Dal 1962 frequenta il Conservatorio di Milano dove ha come maestri Bruno Bettinelli e Antonino Votto. Titolare della cattedra di perfezionamento in composizione presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (1995-2007) ha svolto una assidua attività di insegnamento (Accademia Chigiana, Accademia Filarmonica di Bologna e all’Accademia Perosi di Biella). Ha curato, come musicologo, numerose revisioni di opere del passato, tra cui L’Italiana in Algeri di Gioacchino Rossini e lavori di Antonio Vivaldi. Nel 1994 è stato nominato Accademico di Santa Cecilia. Corghi ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali per il suo lavori, tra cui il premio del concorso “Ricordi-RAI” nel 1966, il premio S.I.A.E. per la Lirica nel 1992, il premio “Bindo Missiroli” della città di Bergamo nel 1998. Nel catalogo delle sue opere, rappresentate ed eseguite nei più importanti teatri e sale da concerto internazionali, figurano lavori destinati al teatro musicale, al balletto, all’orchestra sinfonica e a gruppi vocali e strumentali. Per i testi delle sue composizioni si è spesso giovato della collaborazione di José Saramago. Tra le sue opere recenti De paz e de guerra (Commissione Accademia di Santa Cecilia), ¿Pia? (Commissione Accademia Chigiana), Il dissoluto assolto (San Carlos di Lisbona e Teatro alla Scala di Milano). Nel 2007, in occasione del 25° anniversario della fondazione della Filarmonica della Scala, l’orchestra gli ha commissionato Poema Sinfonico. Xavier Dayer è nato a Ginevra nel 1972 ove ha studiato composizione con Eric Gaudibert; si è in seguito perfezionato a Parigi con Tristan Murail e Brian Ferneyhough. Ha vinto numerosi premi di composizione, tra cui quello della fondazione Bürgi-Willert, e il premio FEMS della fondazione Sandoz. Gli sono state commissionate numerose composizioni dal Grand-Théâtre di Ginevra, dall’Opera National de Paris, dall’IRCAM, dall’Orchestra della Suisse Romande, dall’SWR - Vokalensemble Stuttgart, dall’Ensemble Contrechamps, dall’En- semble Collegium Novum di Zurigo, e da numerosi altri Ensemble e solisti. Nel 2004 e nel 2007, il Festival d’Automne a Parigi gli dedica numerosi concerti-ritratti. Nel maggio del 2005 ha luogo la prima esecuzione assoluta della sua opera Mémoires d’une jeune fille triste al Grand Théâtre di Ginevra. L’Atelier Lyrique dell’Opéra National de Paris cura la prima esecuzione dell’opera Les Aveugles (2007) e l’ Ensemble Intercontemporain la prima esecuzione di Delights per otto voci, ensemble, e live electronics (2007). Dal 2004, insegna composizione presso la Haute école des arts de Berne (HKB/HEAB) e vi dirige il Master in teoria e composizione dal 2009. Nel 2008 ha vinto il Prix de Rome e nel 2011 è diventato presidente della SUISA (Cooperativa degli autori ed editori di musica). Il suo catalogo conta cinque opere: Le Marin (1999), Mémoires d’une jeune fille triste (2005), Les Aveugles (2006), Babel - after the war (2013) e Les contes de la lune vague après la pluie (2015). La sua musica è pubblicata dalle edizioni Papillon e BIM. Elena Firsova figlia di un famoso fisico atomico ha iniziato a comporre all’età di undici anni. Dal 1970 al 1975 ha studiato al Conservatorio di Mosca con Alexander Pirumov e Yuri Kholopov. Ha stabilito contatti di cruciale importanza con Edison Denisov e Philip Herschowitz. Nell’agosto del 1972 ha sposato il compositore Dmitri Smirnov, con il quale ha avuto due figli, Philip e Alissa; risiede dal 1991 con la famiglia in Inghilterra. Ha scritto più di cento composizioni nei più diversi generi e la sua musica è stata eseguita ripetutamente in tutto il mondo. La prima esecuzione del suo più importante lavoro, Augury per coro e grande orchestra sinfonica (commissionata da BBC Proms) è stata eseguita presso la Royal Albert Hall a Londra nel 1992. La prima di un altro importante lavoro, Requiem su versi di Akhmatova ha avuto luogo a Berlino nel 2003. Le più importanti recenti prime esecuzioni sono state dei pezzi orchestrali The garden of dreams, commissionato dal Concertgebouw di Amsterdam, e Beyond the 7 Seals commissionato dall’Orchestra Sinfonica di Tolosa. In questo momento sta lavorando al doppio concerto per violino e violoncello commissionatole dalla DSO di Berlino. La sua musica è edita da Boosey & Hawkes, Hans Sikorski e Meladina Press, St Albans. Stefano Gervasoni ha iniziato a studiare composizione nel 1980 grazie al consiglio di Luigi Nono: questo incontro, così come quelli con Ferneyhough, Eötvös e Lachenmann, sono stati decisivi per la sua carriera. Dopo aver studiato presso il Conservatorio di Milano ha completato la sua formazione in Ungheria con György Ligeti nel 1990; ha seguito il Corso di Composizione e di Musica informatica dell’Ircam nel 1992. E’ stato pensionnaire a Villa Medici nel 1995-1996. Ha ricevuto commissioni dalla WDR, dalla SWR, dall’OSNR, dal Festival d’Automne, da Radio France, dall’IRCAM, dai Festival Archipel, Maerzmusik, Ars Musica, dal Festival Musica di Strasburgo, dal Ministero della Cultura francese, dalla Suntory Hall di Tokyo, dagli Ensemble: Intercontemporain, Modern, Contrechamps. Il suo catalogo è stato pubblicato da Ricordi (1987-1999) e da Suvini Zerboni dopo il 2000. Coronato di numerosi premi, tra cui il recente Premio della Critica Musicale “Franco Abbiati” (2010), il suo lavoro gli ha consentito di essere borsista della Fondation des Treilles a Parigi (1994) e del DAAD a Berlino (2006) e compositore in residence al Domaine de Kerguéhennec (2008-2010). È stato anche invitato come professore ai Darmstadt Ferienkurse, ai corsi della Fondazione Royaumont . (Parigi), della Toho University di Tokyo, del Festival International di Campos do Jordão in Brasile, del Conservatorio di Shangai, della Columbia University (New York) e della Harvard University (Boston). Dal 2006 Stefano Gervasoni è professore titolare di composizione al Conservatorio Nazionale Superiore di Musica e di Danza di Parigi. Philippe Hersant è nato a Roma nel 1948. Ha compiuto gli studi musicali a Parigi presso il Conservatorio Nazionale Superiore di Musica, in particolare nella classe di composizione di André Jolivet, prima di essere borsista nella Casa de Velázquez a Madrid e in seguito a Roma a Villa Medici. Senza cercare mai di fare scuola, è stato uno dei primi della sua generazione a collocarsi di nuovo nell’ambito tonale e modale, evitando tuttavia qualsiasi inclinazione neoclassica. Autore di un catalogo che conta più di un centinaio di lavori, Philippe Hersant ha ricevuto commissioni da illustri istituzioni: il Ministero della Cultura francese, Radio France, l’Opera di Parigi, l’Opera di Lipsia, l’Orchestra Nazionale di Lione e la Cattedrale di Notre-Dame di Parigi che nel 2013, per gli 850 anni dalla posa della prima pietra, gli ha commissionato i Vêpres de la Vierge. Inoltre il mondo musicale gli ha conferito numerosi riconoscimenti: Grand Prix musical de la Ville de Paris (1990), Grand prix SACEM per la musica sinfonica (1998), Grand prix della Fondation Simone et Cino del Duca (2001), e due Victoires de la Musique (2005 e 2010). Vittorio Montalti (1984) si è diplomato in pianoforte con Aldo Tramma al Conservatorio S. Cecilia di Roma e in composizione con Alessandro Solbiati al conservatorio G. Verdi di Milano. Si è poi perfezio- nato all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, sotto la guida di Ivan Fedele ed ha studiato musica elettronica presso l’ IRCAM-Centre Pompidou di Parigi. Nel 2010, nell’ambito de La Biennale di Venezia-54. Festival Internazionale di Musica Contemporanea, gli è stato conferito il Leone d’Argento per la Creatività. La sua musica è stata commissionata ed eseguita in festival e stagioni concertistiche quali New York Philharmonic, IRCAM-Centre Pompidou, La Biennale di Venezia, Gran Teatro La Fenice, Teatro dell’Opera di Roma, Orchestra della Toscana, Accademia Filarmonica Romana, Divertimento Ensemble, Bergamo Musica Festival, Ex Novo Ensemble/ SaMPL, Festival Pontino, Fondazione Culturale San Fedele. È stato inoltre compositore in residenza presso l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi e l’Accademia Americana di Roma. La sua musica è edita dalle edizioni Suvini Zerboni di Milano. Simone Movio. Fondamentali per la sua formazione sono stati e sono gli incontri con Beat Furrer. Dopo gli studi con Renato Miani al Conservatorio di Udine ha frequentato il Cursus 1 in composizione ed informatica musicale presso l’ IRCAM di Parigi. Simone Movio ha ricevuto il “Komponisten-Förderpreise 2014” della Ernst von Siemens Musikstiftung ed è risultato vincitore di numerosi concorsi di composizione fra cui: “Wiener Konzerthauses Composition Contest” (Vienna, Austria), “Franz Schubert and Modern Music 2011” (Graz, Austria), “IVME International Composition Contest 2011” (Anversa, Belgio), “Gianni Bergamo Classic Music Award 2007” (Lugano, Svizzera). Ha tenuto seminari in diversi istituti fra cui: Creama Hanyang University di Seoul (Corea del Sud), Universität für Musik und Darstellende Kunst di Graz, Università Nazionale della Musica di Bucarest, Conservatori di Firenze ed Udine. Artisti ed ensembles come Beat Furrer, Clement Power, Klangforum Wien, Szymanowski Quartet, Ensemble Recherche, SIGMA Project hanno interpretato le sue opere in significative istituzioni quali Wiener Konzerthaus, IRCAM di Parigi, Tage für neue Musik Zürich, Festival GAMO Firenze. L’etichetta viennese col-legno ha pubblicato il suo primo Cd monografico: “Tuniche”. Fabio Nieder compositore, pianista, direttore d’orchestra dalla doppia nazionalità italiana e tedesca; ha studiato composizione, pianoforte e musica da camera a Trieste rispettivamente con Giulio Viozzi, Roberto Repini, Dario De Rosa e Libero Lana, perfezionandosi poi con Witold Lutoslawski, Klaus Huber e Yannis Xenakis. In qualità di assistente al pianoforte ha collaborato stabilmente con Elisabeth Schwarzkopf, Alfredo Kraus, Petre Munteanu, Barbara Hannigan e molti altri. Fabio Nieder insegna composizione presso i conservatori di Amsterdam e di Trieste e in diverse accademie tra cui il Mozarteum di Salisburgo e la Harvard University di Boston. Ha inoltre tenuto corsi di perfezionamento per “Acanthes” a Metz e al “Bartók Seminar and Festival” in Ungheria. Compone brani per importanti ensemble e orchestre, tra cui Klangforum Wien, Ensemble Recherche, Nieuw Ensemble, Atlas Ensemble, Ives Ensemble, ÖENM, Orchestra Nazionale della RAI (Italia), WDR, SWR, SR (Germania). Alcuni dei più importanti interpreti della sua musica sono Heinrich Schiff, il Neue Vocalsolisten Stuttgart, Barbara Hannigan, Teodoro Anzellotti, Eduard Brunner, Ed Spanjaard, Emilio Pomarico, Myung-Whun Chung. Le sue opere sono presenti nei principali festival e istituzioni musicali, tra cui Berliner Festwochen, Wien Modern, Holland Festival, Huddersfield Festival (UK), La Biennale di Venezia, Milano Musica, Festival Présences (Parigi), Berliner Philharmonie, Tonhalle Zürich, Wiener Konzerthaus, Concertgebouw Amsterdam, Teatro La Scala. Marcello Panni compositore e direttore d’orchestra romano, dalla fine degli anni ’70 è ospite regolare delle principali istituzioni musicali italiane e dei più importanti teatri lirici internazionali, quali l’Opéra di Parigi, il Metropolitan di New York, il Bolshoi di Mosca, la Staatsoper di Vienna, la Deutsche Oper, il Covent Garden, il Liceu di Barcelona. Oltre alle più note opere di repertorio, Panni ha diretto la prima esecuzione assoluta di Neither di Morton Feldman all’Opera di Roma (1976), di Cristallo di Rocca di Silvano Bussotti alla Scala di Milano (1983), di Civil Wars di Philip Glass all’Opera di Roma (1984) e di Patto di Sangue di Matteo d’Amico al Maggio Musicale Fiorentino (2009). Il suo catalogo comprende diverse opere liriche: Hanjo per il Maggio Musicale Fiorentino (1994); Il Giudizio di Paride, per l’Opera di Bonn (1996), The Banquet (Talking about Love), per l’Opera di Brema (1998), Garibaldi en Sicile per il Teatro San Carlo di Napoli (2005) e molte opere sacre: Missa Brevis (Cattedrale di Nizza, 2000) Laudate Dominum (Duomo di Milano, 2004) Apokàlypsis (Festival di Spoleto, 2009). Nel 2014 la sua cantata Le vesti della Notte su poesie di Omar Khayyam è stata eseguita all’Accademia di Santa Cecilia. È stato direttore artistico e principale dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, dell’Opera di Bonn, dell’Opera e dell’Orchestra Filarmonica di Nizza della Orchestra Sinfonica Tito Schipa di Lecce. Nei periodi 1999-2004 e 2007-2009 ha assunto la direzione artistica dell’Accademia Filarmonica Romana. Nel 2003 è stato nominato Accademico di Santa Cecilia. Filippo Perocco. Sue opere sono state commissionate da Biennale Musica Venezia, Eclat, Siemens Foundation, La Fenice, Villa Romana, Milano Musica, Mata, Tilt Brass, Sentieri Selvaggi, Taschenopern Salzsburg, Incontri Asolani, Teatro Olimpico Vicenza, ExNovo, Finestre sul ‘900, Divertimento, Ixion, Kaida, Brighton Festival, Vokalensemble Neue Musik, Astra, Brinkhall Concert, ECHO. I suoi lavori sono stati eseguiti in rassegne internazionali (Gaudeamus, Manca, Aspekte, Time of Music, Acanthes, Warsaw Autumn, Musica Strasbourg, Nuova Consonanza, Contemporanea Udine, Theatre Dunois, Cantiere di Montepulciano, BEAMS, Zèppelin, Axes, De IJsbreker, Logos Foundation, Tufts New Music, C. N. de la Música México, New London Wind, Boston Festival, Review of Belgrade) da vari interpreti (Holland Symphonia, Dresdner Sinfonikern, Young Janácek Orchestra, Sinfonia Varsovia, Orchestre National de Lorraine, Orchestra d’Archi Italiana, ORT, Orchestra Mitteleuropa, Modern Art Ensemble, Dresden Sinfonietta, Virtuosi Italiani, Coro in Canto, Aleph, Argento, Knights, Accroche Note, Algoritmo). E’ stato Composer in residence all’American Academy Rome e visiting composer alla Boston University, Tufts University, Brandeis University (Fulbright Grant), New York University. Come direttore ha collaborato con: Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, Neue Vocalsolisten, Europa Chor Akademie, Ex Novo Ensemble, United Instruments of Lucilin, Mannheimer Schlagwerk, Argento, ACME, Ecce. E’ cofondatore e direttore artistico dell’ensemble L’arsenale. Luca Richelli compositore e sound designer. Docente di Composizione Musicale Elettroacustica – Conservatorio “G. Verdi” Como - Informatica Musicale – Conservatorio “F.A. Bomporti” Trento, coordinatore del SaMPL (Sound and Music Processing Lab) – Conservatorio “C. Pollini” Padova. Ha tenuto corsi di Sound Design presso l’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano) e di Computer Music presso la Staatliche Hochschule für Musik und Darstellende Kunst di Stoccarda. Svolge attività concertistica nell’ambito del live-electronics in numerose rassegne - Sound Music Computing, Biennale di Venezia, EMUfest, Festival Spaziomusica, e altre ancora. Corrado Rojac è nato a Trieste nel 1968 e si è diplomato in Composizione nel 2005, presso il Conservatorio Verdi di Milano, sotto la guida di Alessandro Solbiati. Svolge intensa attività compositiva; alcuni suoi brani sono stati commissionati da importanti istituzioni musicali, quali l’Accademia Filarmonica di Bologna e il Divertimento ensemble di Milano, ed eseguiti in importanti Festival internazionali, tra i quali Nuova Consonanza (Roma), Trieste Prima (Trieste), Adesso musica (Milano), L’art pour l’Art (Berna) e World Music Days 2015 (Lubiana). Pubblica per Bérben (Ancona), Sconfinarte (Milano) e EDSS (Lubiana). Sebbene sia stato anche violoncellista e pianista, Corrado Rojac si è sempre dedicato alla fisarmonica da concerto, il suo primo strumento, che ha contribuito a far emergere nel panorama della musica contemporanea colta. Corrado Rojac si è inoltre laureato in Storia della musica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste; la sua tesi di laurea sul Metodo per armonica a mantice di Giuseppe Greggiati ha aperto alla fisarmonica una prospettiva storico-filologica sinora sconosciuta. Doina Rotaru è nata a Bucarest e ha studiato presso il Conservatorio della sua città dal 1970 al 1975 con Tiberiu Olah. In seguito ha proseguito gli studi ad Amsterdam con Theo Lovendie. Nel 1991 è diventata professore presso l’Università Nazionale Musicale di Bucarest, ed è stata invitata diverse volte come professore ospite a Darmstadt e presso il Composers Workshop del Gaudeamus di Amsterdam. La sua musica è stata commissionata ed eseguita da prestigiosi enti internazionali in Europa, Asia e nelle Americhe. È membro dell’Unione dei Compositori Rumeni, e ha vinto per sette volte il premio di questa istituzione, oltre al Premio della Accademia Rumena delle Arti e delle Scienze, che ha ottenuto nel 1986, e al primo premio nel concorso di Composizione GEDOK di Mannheim, che ha ottenuto nel 1996 per Sinfonia II. Ha pubblicato nel 1986 con Liviu Comes un articolo sulla tecnica contrappuntistica di J.S. Bach e Giovanni Luigi da Palestrina nella rivista Editura Muzicala. Biografie degli interpreti Ex Novo Ensemble nato a Venezia nel 1979 dalla collaborazione tra un gruppo di musicisti ed il compositore Claudio Ambrosini, l’Ex Novo Ensemble rappresenta ormai una realtà di riferimento nel panorama internazionale della musica nuova. La continuità del lavoro comune, la coerenza artistica e professionale hanno consentito al gruppo di acquisire una cifra interpretativa che gli è stata riconosciuta dal pubblico e dalla critica dei principali festival e rassegne europei. L’impegno portato nell’approfondimento del linguaggio musicale contemporaneo è in seguito divenuto punto di partenza per la rilettura del repertorio classico e particolarmente di alcune pagine affascinanti, destinate ad organici rari e tuttora poco note. Da mettere in rilievo le molte prime esecuzioni assolute di lavori scritti e dedicati all’Ex Novo Ensemble (sarebbe davvero impossibile citarli tutti, ci limitiamo alle collaborazioni con Claudio Ambrosini, Sylvano Bussotti, Aldo Clementi, Azio Corghi, Luis De Pablo, Alvin Lucier, Giacomo Manzoni, Fabio Nieder, Salvatore Sciarrino) presentati al pubblico anche attraverso la registrazione di produzioni e concerti per le maggiori radio europee. Significativo il contributo alla diffusione della musica da camera del Novecento storico italiano testimoniato da più di venti dischi frutto della prolungata collaborazione con gli editori: Albany records, ARTS, ASV Records, Black Box, Stradivarius, Dynamic, Ricordi, Naxos. Dal 2013 cura per il Teatro La Fenice la Maratona Contemporanea, manifestazione che ogni anno propone in una sola giornata 42 brevi composizioni in prima esecuzione assoluta. Marco Angius direttore di riferimento per il repertorio moderno e contemporaneo, è direttore principale dell’Ensemble Giorgio Bernasconi presso l’Accademia del Teatro alla Scala. Dal 2006 è regolarmente invitato dall’OSNR di Torino, e come direttore ospite presso il Teatro Comunale di Bologna per la produzione musicale contemporanea (Jakob Lenz di Rihm, Don Perlimplin di Maderna, Il suono giallo di Solbiati). Ha diretto l’Ensemble Intercontemporain (Agorà 2012), Tokyo Philharmonic, Maggio Musicale Fiorentino, Teatro La Fenice, Philarmonique de Nancy, Teatro Petruzzelli, Orchestra della Toscana, Orchestra di Padova e del Veneto, la Verdi di Milano, I Pomeriggi Musicali, Orchestra della Svizzera Italiana, Orchestre de Chambre de Lausanne. Ha ottenuto il Premio del Disco Amadeus per l’incisione di Mixtim di Ivan Fedele (Stradivarius, 2007) ed è stato ripetutamente invitato da Biennale di Venezia, MiTo, Milano Musica, Warsaw Autumn, Ars Musica di Bruxelles, Biennale Zagreb, deSingel di Anversa, Traiettorie, Società del Quartetto di Milano, Romaeuropa Festival, Royal College of Music, Accademia Musicale Chigiana. Nella ricca produzione discografica spiccano le molte opere di Salvatore Sciarrino (incise per gli editori Stradivarius e Euroarts), Ivan Fedele (Mosaîque), Giorgio Battistelli (L’Imbalsamatore), Michele dall’Ongaro (Checkpoint), Nicola Sani (In red), Martino Traversa (Manhattan bridge). Marco Angius è anche autore di numerosi saggi e scritti tra cui Del suono estremo (Aracne, 2014) e Come avvicinare il silenzio (Rai Eri, 2007). Art Percussion Ensemble. É stato fondato ed è diretto da Massimo Pastore. Ha svolto una brillante attività concertistica iniziata a Padova assieme al Nuovo Gruppo Italiano di Percussioni. Il gruppo ha partecipato all’attività del Festival Internazionale di musica da camera di Portogruaro, alle Vacanze Musicali di Sappada e alle Giornate della Percussione di Bolzano con il solista di fama internazionale Ney Rosauro. Nel marzo 2012 ha suonato con Makoto Nakura in uno speciale concerto dedicato all’anniversario della tragedia di Fukushima. Nel 2006 è stato invitato dagli Amici della Musica di Padova ad eseguire Les Noces di Igor Stravinskij. Nell’aprile 2008 è stato inviatato a Copenhagen all’Accademia Reale di Danimarca e ha presentato alcune prime esecuzioni di noti compositori italiani; dal 2012 al 2014 ha partecipato al progetto europeo ASTAPER (Cracovia) in collaborazione con i gruppi di percussione di Cracovia, Valencia e Friburgo eseguendo in concerto le più importanti opere moderne e contemporanee per percussione. Nel 2011 è uscito il CD doppio Light & Dark in cui viene presentata una raccolta delle migliori registrazioni effettuate tra il 2004 e il 2010. L’ensemble opera un costante rinnovamento del suo organico e del proprio repertorio proponendo ogni anno nuovi progetti: tra questi il progetto SMUG (SaMPL per la MUsica Giovanile) promosso dalla Regione Veneto e dedicato alla formazione musicale giovanile. Monica Bacelli diplomatasi con Maria Vittoria Romano e Donato Martorella presso il Conservatorio di Pescara, vince il Concorso Belli di Spoleto che la porta a debuttare al Teatro Sperimentale come Cherubino nelle Nozze di Figaro e Dorabella in Così fan tutte. Da allora ha cantato nei principali teatri italiani e internazionali (Scala, Staatsoper di Vienna, Covent Garden, San Francisco Opera) e presso le principali istituzioni concertistiche (Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Philharmonie di Berli- no, Concertgebouw di Amsterdam), collaborando con direttori quali Abbado, Chailly, Chung, Mehta, Muti, Ozawa, Pappano e Rattle. Vincitrice del premio Abbiati, il suo ampio repertorio comprende ruoli mozartiani (Marnante, Cherubino, Donna Elvira, Dorabella, Sesto) e rossiniani, ma si estende dall’opera barocca (la trilogia monteverdiana, La Calisto di Cavalli, Tamerlano, Alcina e Giulio Cesare di Händel) all’opera francese dell’Otto e Novecento (Les contes d’Hoffmann, Werther, Don Quichotte, L’enfant et les sortilèges). Riconosciuta interprete del teatro musicale contemporaneo, le sono state affidate numerose prime esecuzioni, tra cui il monologo lirico Le bel indifférent di Marco Tutino e il ruolo eponimo in Antigone di Ivan Fedele. Luciano Berio ha scritto per lei i ruoli di Marina in Outis (Scala 1996) e di Orvid in Cronaca del luogo, e il brano Altra voce (Festival di Salisburgo 1999). Di Berio ha inoltre interpretato i Folksongs con la Filarmonica della Scala, con l’Ensemble Intercontemporain, con i Berliner Philharmoniker e ai Proms di Londra. Tra i suoi impegni operistici recenti Isolier nel Comte Ory a Ginevra, la prima assoluta del Re Orso di Marco Stroppa all’Opéra-Comique di Parigi, Mélisande in Pelléas et Mélisande a Bruxelles, Donna Elvira in Don Giovanni a Sao Paulo, Sesto nella Clemenza di Tito a Venezia e Ottavia nell’Incoronazione di Poppea all’Opera di Parigi. Elisabetta Bocchese diplomatasi nel 1987 in pianoforte con il massimo dei voti al Conservatorio di Venezia, dove ha studiato anche musica liturgica prepolifonica e conseguito la maturità artistico-musicale, ha studiato alla Musikhochschule di Vienna e, sempre nella stessa città, seguito i corsi per Korrepetitor al Conservatorio. Ha continuato gli studi pianistici con Sergio Fiorentino e Piernarciso Masi, e quelli cameristici con Franco Rossi e Dario De Rosa. Interessata da sempre al repertorio liederistico ha seguito per numerosi anni i corsi di Paul von Schilhawsky a Parigi e Salisburgo. Si è diplomata alla Scuola ARS ET LABOR con Christa Bützberger e Marina Rossi, completando la propria formazione anche con studi di basso continuo e contrappunto. Come pianista e fondatrice dell’“Accademia Musicale di San Giorgio” ha, tra le altre cose, partecipato all’esecuzione e incisione dal vivo dell’integrale della musica da camera di Brahms per il “Teatro La Fenice” di Venezia. Vincitrice di concorsi nazionali ed internazionali di pianoforte e musica da camera (Concorso di Musica da Camera di Caltanissetta, premio per la migliore interpretazione di un brano schubertiano al Concorso Franz Schubert di Tagliolo Monferrato), alla sua attività concertistica come solista, con orchestra e camerista (Mi.To, Bolognafestival, Società Veneziana di Concerti...) abbina, alternando il pianoforte al clavicembalo, un’appassionata attività di accompagnatrice, ruolo che ricopre anche al Conservatorio di Venezia. Valentina Coladonato nata a Chieti, laureata in lingue e letterature straniere a Pescara e diplomata in canto col massimo dei voti e la lode, si forma e perfeziona con Donato Martorella, Claudio Desderi, Edith Wiens, Paride Venturi, Renata Scotto, Regina Resnik. Vincitrice di concorsi internazionali e premi di critica, pubblico e giuria, ha cantato i ruoli principali in opere di Mozart, Alessandro Scarlatti, Verdi, Spontini, Jommelli, Vivaldi, Bellini, Cavalli, Monteverdi; inoltre ha cantato diverse composizioni in prima esecuzione assoluta: in particolare Ivan Fedele scrive per la sua voce. Ospite del Teatro alla Scala di Milano, Opéra National de Paris, Salzburger Festspiele, Musikverein di Vienna, Concertgebow Amsterdam, De Singel di Antwerpen, Festival delle Fiandre, Filarmonica di S.Pietroburgo, Southbank Centre di Londra, Frick Collection di New York, Philarmonie Köln, Festival George Enescu di Bucarest, Ravenna Festival, Festival Pergolesi Spontini, Radio WDR, RAI di Torino, MiTo, Sala Sinopoli di Roma e presso altri enti europei, americani e asiatici; ha collaborato con registi Maurizio Scaparro, Colin Graham, Cesare Lievi, Francesco Micheli, Pierpaolo Pacini, Alessio Pizzech, Matelda Cappelletti. E’ stata diretta da Riccardo Muti, David Robertson, Lior Shambadal, Peter Eötvos, John Axelrod, Michel Tabachnik, Peter Rundel, Alessandro Pinzauti, Marcello Panni, Claudio Scimone, Claudio Desderi, Ottavio Dantone, Corrado Rovaris. Sandro Cappelletto veneziano, scrittore e storico della musica. Laureato in Filosofia, ha studiato armonia e composizione con Robert Mann. Tra le sue principali pubblicazioni, la prima biografia di Carlo Broschi Farinelli (La voce perduta, EDT, 1995), un’analisi della Turandot di Puccini (Gremese, 1988), un saggio su Gaetano Guadagni (NRMI, 1993), un’inchiesta politica sugli enti lirici italiani (Farò grande questo teatro!, EDT 1996). Esce nel 2006 Mozart – La notte delle Dissonanze (EDT), libro dedicato al misterioso Adagio introduttivo del Quartetto K 465. Per la Storia del teatro moderno e contemporaneo (Einaudi, 2001) ha scritto il saggio Inventare la scena: regia e teatro d’opera. Nel 2002, con Pietro Bria, dà alle stampe Wagner o la musica degli affetti (Franco Angeli), raccolta di riflessioni e interviste di Giuseppe Sinopoli, di cui nel 2006 cura Il mio Wagner – il racconto della Tetralogia (Marsilio). Nel 2008 la Fondazione Perosi di Biella pubblica L’angelo del Tempo, volume dedicato al Quartetto per la fine del Tempo. Autore di programmi radiofonici e televisivi per la Rai (La scena invisibile, Momus, un film televisivo su Maurizio Pollini), ha scritto numerosi testi teatrali: Quel delizioso orrore, Solo per archi, L’avida sete. I suoi libretti per il teatro musicale sono nati dalla collaborazione con significativi compositori, tra i quali Claudio Ambrosini (Big Bang Circus, Biennale di Venezia 2002) e Luca Lombardi (Il re nudo, Opera di Roma 2009) e dalla intensa collaborazione con Matteo D’Amico. Nel 2013 scrive, per i Cameristi della Scala e Gabriele Lavia, Che Verdi viva! Su invito di Giuseppe Sinopoli ha diretto il settore drammaturgia e didattica del Teatro dell’Opera di Roma. Dal 2001 è membro della commissione artistica della Scuola di Musica di Fiesole, nel 2005 assume la responsabilità del Festival Giuseppe Sinopoli di Taormina. Accademico dell’Accademia Filarmonica Romana, ne è stato direttore artistico dal 2009 al 2013. Scrive per il quotidiano La Stampa. Mario Caroli è stato allievo di Annamaria Morini e di Manuela Wiesler. A 22 anni vince lo storico premio internazionale Kranichstein, in occasione dei Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt. Artista dotato di una fortissima personalità, a più riprese sottolineata dalla critica che nei suoi riguardi non ha esitato a parlare di “fenomeno”. Regolarmente presente alla Philarmonie di Berlino, al Concertgebouw di Amsterdam, al Parco della Musica di Roma, al Konzerthaus di Vienna, alla Cité de la Musique di Parigi e Strasburgo, al Festival di Salisburgo, alla Royal Festival Hall di Londra, alla Suntory Hall di Tokyo o ancora al Lincoln Center di New York, è stato solista con grandi orchestre con la Philarmonia di Londra, l’Orchestre Philharmonique de Radio France, l’Orchestra nazionale della Rai, l’Orchestra Filarmonica di Tokyo, l’Orchestra Nazionale del Belgio, l’Orchestra Nazionale d’Islanda, le Orchestre delle Radio Tedesche SWR, WDR, Bayerische Rundfunk, le Orchestre dei Teatri d’Opera di Stoccarda, Rouen, Verona, Cagliari, Bari, i Neue Vocalsolisten, Les Percussions de Strasbourg. I più grandi compositori di oggi hanno scritto per lui splendide pagine solistiche. Vanta una discografia di circa 40 titoli, lodati dalla critica di tutto il mondo. Pedagogo tra i più ricercati, tiene masterclass nelle grandi istituzioni musicali europee, americane e giapponesi, ed insegna all’Accademia Superiore di Musica di Strasburgo, ed alla Musikhochschule di Friburgo. Cosmopolita e poliglotta, Mario è anche laureato, summa cum laude, in Filosofia (tesi su “L’Anticristo” di Nietzsche). Carlo Lazari veneziano, si diploma in violino col massimo dei voti al Conservatorio di Venezia sotto la guida di Renato Zanettovich, continuando in seguito lo studio all’Accademia Stauffer di Cremona con Salvatore Accardo ed alla Scuola di Musica di Fiesole con Stefan Gheorghiu; ha inoltre preso parte a masterclass tenute da Franco Gulli ed Henryk Szering presso l’Accademia Chigiana di Siena e Nathan Milstein al Muraltengut di Zurigo. Premiato dalle giurie di molte rassegne violinistiche nazionali ha ottenuto il 2°premio (1° non assegnato) al IX° Concorso Internazionale di violino “A.Curci”. Suona stabilmente dal 1981 con l’ Ex Novo Ensemble di Venezia con il quale ha effettuato numerose tournée ed incisioni discografiche per Dynamic, Ricordi, Stradivarius, AS Disc e Giulia Records. Sul versan- te filologico, come violinista barocco è impegnato con “L’Arte dell’Arco” nella registrazione integrale dei concerti per violino di Tartini per Dynamic. E’ membro de “I Solisti Filarmonici Italiani” con il quale incide per la Denon ed effettua tourneé in tutto il mondo. Katarzyna Otczik si laurea nel 2009 in canto lirico presso l’Università “F. Chopin” a Varsavia, nella classe di Anna Radziejewska effettuando anche un periodo di studio al Conservatorio Santa Cecilia di Roma e partecipa a masterclass di canto tra cui quelle condotte da Teresa Berganza, Sara Mingardo e Renata Scotto. È stata vincitrice della edizione 2011 del Concorso Comunità Europea per Giovani Cantanti Lirici del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto e ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il 3° posto nella categoria “Il Canto nel XX e XXI secolo” del Premio “Valentino Bucchi” (2010). Nel 2008 ha debuttato nel ruolo di Bianca nell’opera di Benjamin Britten The Rape of Lucretia presso l’Opera Baltica di Danzica e in Italia nel Rigoletto di Verdi nel ruolo di Maddalena al Teatro Romano di Gubbio nello spettacolo organizzato dall’Accademia Lirica Internazionale. Numerosi i ruoli interpretati successivamente tra cui Coscienza/Assistente di Coscienza nella prima mondiale dello spettacolo Opera Migrante, con musiche di Andrea Cera e Luca Gregoretti ed il libretto di Mario Perrotta. Ha cantato in diversi festival tra i quali Warsaw Autumn, Baltic Sea (Stoccolma e Riga), Segni Barocchi (Foligno) e il Festival internazionale di Roma per la lirica da camera “Sulle Ali del Canto”. Oltre al repertorio lirico, Katarzyna Otczyk si esibisce spesso in concerti di musica sacra e da camera. Aldo Orvieto dopo gli studi al Conservatorio di Venezia incontra Aldo Ciccolini, al quale deve molto della sua formazione musicale. Ha inciso più di sessanta dischi dedicati ad Autori dell’età classica e del Novecento per le case italiane Dynamic, Stradivarius, Ricordi, Nuova Fonit Cetra; per ASV e Black Box Music, Cpo, Hommage, Mode Records, Naxos, riscuotendo unanime consenso della critica. Ha registrato produzioni e concerti per le tutte le principali radio europee tra cui: BBC, RAI, Radio France, le principali Radio tedesche (WDR, SDR, SR), le Radio svizzere (RTSI, DRS), la Radio Belga (RTBF), la Radio Svedese. Ha suonato come solista con molte orchestre tra cui le Orchestre RAI, l’OSNR, l’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia, del Teatro Comunale di Bologna, dell’Arena di Verona, dell’ORT di Firenze, l’Ensemble 2e2m di Parigi, Accroche Note di Strasburgo, e in formazioni da camera con prestigiosi complessi di fama internazionale. Ha svolto intensa attività concertistica e discografica con i violinisti Luigi Alberto Bianchi, Felix Ayo, e Dora Bratchkova con i violoncellisti Arturo Bonucci e Luigi Piovano, con i pianisti John Tilbury e Marco Rapetti, con le cantanti Sara Mingardo, Monica Bacelli, Gemma Bertagnolli e Luisa Castellani. Importanti prime esecuzioni e dediche di lavori da parte di Salvatore Sciarrino, Claudio Ambrosini, Sylvano Bussotti, Stefano Gervasoni, Aldo Clementi, Fabio Nieder, Luis De Pablo, Ivan Vandor e lusinghieri consensi da alcuni dei più grandi compositori del nostro tempo tra cui Luigi Nono, e Mauricio Kagel. Massimo Pastore percussionista, diplomato con il massimo dei voti, si è perfezionato in Danimarca con Gert Mortensen e Einar Nielsen e, tra gli altri, con David Searcy, timpanista del Teatro La Scala di Milano. Dal 1985 svolge un’intensa attività concertistica con formazioni di musica da camera e orchestre lirico sinfoniche, suonando repertori che spaziano dalla musica antica e barocca alle prime esecuzioni assolute di musica contemporanea. E’ stato fondatore del Nuovo Gruppo Italiano di Percussioni collaborando con Laslo Heltay, Thomas Dausgaard, Antonio Ballista, Sergio Balestracci, Giovanni Bonato, Mario Brunello, Gert Mortensen, Ennio Morricone e Vladimir Mendelssohn. É direttore dell’Art Percussion Ensemble col quale svolge un’intensa attività concertistica specie a favore della divulgazione della musica tra i giovani e col quale nel 2011 ha inciso il CD Light & Dark. E’ stato docente ai Corsi Internazionali di perfezionamento per percussioni di Portogruaro, Sappada, Spilimbergo e Udine; ha tenuto inoltre masterclass e corsi di percussione alle accademie di Salonicco, Copenhagen, Cracovia, Valencia e Brno. Tra il 2012 e 2014 è stato docente e direttore artistico del progetto europeo ASTAPER di Cracovia rivolto a studenti di percussione. Ha collaborato con artisti di fama internazionale suonando tra gli altri con Marta Argerich, Raymond Gujot, Milva, Gert Mortensen, Astor Piazzolla, Ney Rosauro. Nel 2010 è uscito il suo CD Alone Together. Dal 1993 è docente di strumenti a percussione al Conservatorio di Padova. Daniele Ruggieri flautista, ha compiuto gli studi con il massimo dei voti a Venezia con Guido Novello e a Ginevra, I° Prix de Virtuosité nella classe di Maxence Larrieu. Nella sua formazione è stato importante l’incontro con Claudio Ambrosini, che avrebbe in seguito portato alla fondazione dell’Ex Novo Ensemble di Venezia. La sua attività concertistica lo ha portato a prender parte ai principali Festival internazionali; di particolare rilievo il debutto in Giappone presso il Denki Bunka Kaikan di Nagoya accompagnato dalla Aichi Central Symphony Orchestra e la prima esecuzione assoluta della versione per flauto e orchestra di Adagio di Salvatore Sciarrino, accompagnato dall’Orchestra del Teatro La Fenice. Ha inciso per Albany Records, ASV Records, Black Box, Brilliant Classics, Dynamic, Denon, Rai Trade, Resonance, Ricordi, Stradivarius, Tactus, privilegiando i principali compositori del Novecento Italiano: Busoni, Respighi, Malipiero, Casella, Rota, Castelnuovo Tedesco e Maderna, non tralasciando però la musica del secolo precedente con Rolla, Rossini e Donizetti. Ha inoltre registrato concerti e produzioni per BBC, RAI, Radio France, Westdeutscher Rundfunk (WDR), Radio Belga (RBFT), Radio della Svizzera Tedesca (DRS), Radio Svedese. Ha tenuto lectures, concerti e masterclasses per diverse prestigiose istituzioni accademiche fra cui Boston University, Rowan University, Haverford College (U.S.A), Hochschule für Musik di Mainz (Germania), Conservatorio Superior de Murcia (Spagna). Manila Santini si diploma col massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio di Pescara perfezionandosi con Roberto Cappello, Aquiles Delle Vigne, Alfredo Speranza, Piernarciso Masi e Roberto Szidon, frequentando la Sommerakademie del Mozarteum di Salisburgo e la Hogeschool voor Muziek en dans di Rotterdam presso la quale ottiene il Master Degree con il massimo dei voti. È vincitrice di premi in numerosi concorsi pianistici nazionali ed internazionali tra i quali il Frèdèric Chopin di Roma, il Città di Trani, il prestigioso “Encouragement award”, premio del pubblico al Sydney International Piano Competition of Australia (2004). Si è esibita in sali prestigiose quali la Salle Gothique dello Stadhuis di Bruxelles, la Wiener Saal del Mozarteum di Salisburgo, Musik und Tanzfakultat der Hochschule für Musik di Bratislava, la Konzertsaal des Joseph Haydn Konservatoriums ad Eisenstadt, la Juriaanse saal al De Doelen di Rotterdam (Festival Gergiev 2003) e dell’ Operadagen (2005), al Teatro Regio di Parma nell’ambito del Festival Verdi 2010 e 2012. Ha collaborato, nell’ambito della XXI edizione del Ravenna Festival, con l’Hamburg Ballet per la prima italiana di Waslav, Hommage aux Ballets Russe. La passione per la musica da camera l’ha portata a collaborare con artisti quali Emmanuele Baldini, Francesco Manara, Simonide Braconi, Fabrizio Meloni, Alessandro Serra, Mario Marzi e Federico Mondelci. Nel 2014 ha inciso per la casa discografica KNS classical Chopin Portrait, disco dedicato alla musica per pianoforte di Frédéric Chopin. Germano Scurti è attualmente considerato uno dei migliori interpreti del repertorio moderno e contemporaneo. Si è dedicato allo studio dei nuovi linguaggi musicali del bayan russo contemporaneo attraverso una ricerca costante e in collaborazione con importanti compositori, tra cui Jonathan Harvey, Marc Monnet, Ivan Fedele, Azio Corghi, Alessandro Solbiati, Luca Mosca, Alessandro Sbordoni, Nicola Sani, Francesco Antonioni, Raoul De Smet, Bruno Strobl. Suoi concerti sono stati ospitati da: “Printemps des Arts” (Montecarlo), , “Duophonie” (Parigi), Neue Musik Konzerthaus (Klagenfurt), Stockholm New Music, Festival Scelsi, Teatro Nazionale di Marsiglia, Concerten Zonder Subsidie (Anversa), Festival De RodePomp (Gent), Teatro La Fenice, Accademia Filarmonica Romana, Nuova Consonanza, Rai Nuova Musica, Pomeriggi Musicali di Milano, Biennale Musica di Venezia, Festival Play It! di Firenze. Ha eseguito e inciso con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI “Sirius” per bayan e orchestra composto per lui da Alessandro Sbordoni. Significativa la sua partecipazione alla Biennale Musica 2012 in cui ha presentato Fachwerk di Sofia Gubaidulina per bayan e orchestra d’archi. Ha inciso per Rivoalto, Stradivarius, Rai Trade, Aliamusica records. E’ laureato in Sociologia ed è Dottore di Ricerca in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi La Sapienza di Roma. Ha insegnato sociologia dell’arte all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Attualmente insegna al Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce. Daniele Spano diplomato col massimo dei voti al Conservatorio di Udine sotto la guida di Ercole Laffranchini ,tuba del teatro Verdi di Trieste. Approfondisce i suoi studi, periodicamente con Mario Barsotti, tuba del Maggio Fiorentino, i celebri solisti Alessandro Fossi e James Gourlay; con Rex Martin, professore di tuba alla Northwestern music University negli USA e Gene Pokorny tuba della Chicago Symphony Orchestra. È risultato idoneo a diverse audizioni tra cui quella per l’Orchestra Sinfonica di Savona, per l’Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari. Ha collaborato con la Royal Symphony Orchestra. Collabora con l’Orchestra Filarmonia di Udine, l’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, l’Orchestra del Teatro lirico di Cagliari, l’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia, l’Orchestra San Marco di Pordenone, l’Orchestra sinfonica di Savona, l’Orchestra sinfonica del Friuli Venezia Giulia e con prestigiosi gruppi di musica da camera. Si è esibito anche da solista in vari teatri tra cui il Teatro la Fenice di Venezia. Ha partecipato all’incisione dell’ultimo album del sassofonista jazz Francesco Cafiso. E’ membro stabile del quintetto d’ottoni Sounday Brass. rius) É titolare della classe di Musica da Camera e docente di violoncello nel Biennio Specialistico ad indirizzo interpretativo presso il Conservatorio di Udine. Carlo Teodoro si è diplomato con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio di Venezia con Adriano Vendramelli, e presso le Hochschule di Stoccarda e di Mannheim con Michael Flaksman conseguendo il Konzertexamen (Aufbaustudium II); ha seguito Masterclass di Rocco Filippini, Natalia Gutman e Daniel Schafran. Per la Musica da Camera si è diplomato al corso di alto perfezionamento del Trio di Trieste presso la Scuola Superiore del Collegio del Mondo Unito di Duino. Tra i fondatori dell’Ex Novo Ensemble, ha collaborato con I Solisti Veneti, le Orchestre della Radio Svizzera Italiana, del Teatro La Fenice di Venezia, l’Orchestra di Padova e del Veneto. Svolge un’intensa attività concertistica esibendosi nell’ambito di prestigiosi Festival in tutto il mondo tra i quali: Festival di Salisburgo, Großer Musikvereinsaal di Vienna, Opera di Montecarlo, Seoul Arts Center, Avery Fisher Hall (Lincoln Center di New York), Sala Concerti Conservatorio di Mosca, Dresdner Musikfestespiele, Teatro Colon di Buenos Aires, Tokyo Opera City Takemitsu Memorial, Sapporo Concert Hall Kjtara, Osaka Izumi Hall. Gli sono state dedicate composizioni da Claudio Ambrosini, Luca Mosca, Marino Baratello, Ivan Vandor. Ha registrato brani in prima assoluta per le principali radio europee e numerosi CD per: Dynamic, Giulia, Arts, ASV Ricordi, Rivo Alto, AS disc, Stradivarius, Edipan, Velut-Luna, Denon, Naxos, Ricordi; tra le ultime produzioni la Sequenza XIV di Luciano Berio (CD Black Box) Checkpoint di Michele dall’Ongaro (CD Stradiva- Davide Teodoro clarinettista. Diploma a Venezia con Giovanni Bacchi. Perfezionamento per la musica da camera con il Trio di Trieste. Premiato nei concorsi internazionali di musica da camera di Trapani, Caltanissetta, Stresa. É attualmente docente di clarinetto al Conservatorio di Udine. Ha collaborato con prestigiosi direttori quali: Diego Masson e Ed Spanjaard. Ha registrato numerosi lavori per le principali radio europee (Lachenmann: Dal niente, Radio Belga RTBF; Bettinelli: Studio da concerto, Radio3 RAI; Donatoni: Spice BBC, etc.), e inciso importanti composizioni come la Fantasia per clarinetto e pianoforte di Rossini (CD Arts), lo Studio per clarinetto solo di Donizetti (CD Giulia), il Solo Dramatique e la Suite per clarinetto e pianoforte di Busoni (CD Dynamic), la Sequenza IX e il Lied di Berio (CD black box). Altre importanti produzioni sono state infine incise per Ricordi, Stradivarius, ASV Records, Albany Records, Edipan, ASdisc, Velut Luna. É uno dei fondatori dell’Ex Novo Ensemble, gruppo cameristico con il quale dal 1979 svolge un’intensa attività concertistica nei principali Festival europei. Recentemente ha tenuto un’importante masterclass presso il Conservatorio centrale cinese di Pechino. Alvise Vidolin regista del suono, musicista informatico, interprete di Live Electronics, nasce a Padova nel 1949 dove compie studi scientifici e musicali. Ha curato la realizzazione elettronica e la regia del suono di molte opere musicali collaboran- do con i principali compositori della scena contemporanea, curandone l’esecuzione in festival e teatri internazionali. Collabora dal 1974 con il Centro di Sonologia Computazionale (CSC) dell’Università di Padova partecipando alla sua fondazione, svolgendo attività didattica e di ricerca nel campo della musica informatica ed è tuttora membro del direttivo, pubblicando diversi lavori di carattere scientifico. Co-fondatore della Associazione di Informatica Musicale Italiana (AIMI) ne ha assunto la presidenza nel triennio 1988-1990. Dal 1977 ha collaborato in varie occasioni con la Biennale di Venezia soprattutto in veste di responsabile del Laboratorio permanente per l’Informatica Musicale della Biennale (LIMB). Dal 1975 al 2009 è stato titolare della cattedra di Musica Elettronica presso il Conservatorio “B. Marcello” di Venezia e docente della stessa materia all’Accademia Internazionale della Musica delle Scuole Civiche di Milano dal 1993 al 2012. E’ inoltre membro del comitato scientifico dell’Archivio Luigi Nono, Socio dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti. Zero Vocal Ensemble nasce dalla collaborazione fra alcuni giovani musicisti di Zerocrediti, laboratorio interdisciplinare e progetto formativo del Conservatorio di Bologna (creato da Francesco La Licata e Maurizio Pisati) che dal 2011 ha realizzato progetti nei quali ampio spazio ha avuto una libera reinterpretazione della letteratura musicale attraverso le più svariate forme espressive dei linguaggi contemporanei. Proprio a partire da questa esperienza e sotto la preziosa spinta di Monica Bacelli è quindi nato Zero Vocal Ensemble una compagine vocale che intende proporre un meticoloso lavoro di ricerca interiore sulla riproposizione della lette- ratura antica e contemporanea in rapporto alla potenza drammaturgica della parola cantata. Il gruppo opera difatti una profonda ricerca sulla voce, e su una nuova vocalità che esprima gli affetti con mezzi espressivi più vicini alla sensibilità odierna. La voce diventa quindi parlata/intonata, cantata/ sussurrata, e le parole sono scolpite nel suono. L’idea non è dunque di proporre prassi esecutive filologiche ma di restituire la vera anima, di raccontare “di nuovo”, o far ascoltare con orecchie nuove l’immenso patrimonio vocale che ci ha consegnato la storia. La registrazione dei concerti della rassegna Ex Novo Musica 2015 è affidata all’Ing. Matteo Costa, docente del Corso sperimentale di Tecnico di Sala di Registrazione presso il Conservatorio “Cesare Pollini” di Padova, e agli studenti del suo corso. Il Festival Ex Novo Musica è onorato di poter contribuire a realizzare questa prestigiosa esperienza didattica ed è grato a Matteo Costa per l’entusiasmo e la generosa dedizione che ha profuso nella sua organizzazione. ex novo musica 2015 xii. edizione SIAE - Classici di Oggi Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee Conservatorio Benedetto Marcello Teatrino di Palazzo Grassi Ateneo Veneto con il sostegno di SIAE Pro Helvetia Fondazione svizzera per la cultura Fondazione Teatro La Fenice Palazzetto Bru Zane Centre de musique romantique française con la collaborazione di Ateneo Veneto CIRS - Centro Internazionale per la Ricerca Strumentale Città di Venezia Conservatorio di Musica Benedetto Marcello di Venezia Conservatorio di Musica Cesare Pollini di Padova CSC - Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova SaMPL - Sound and Music Processing Lab Edizioni Suvini Zerboni, Milano Fondazione Giorgio Cini Casa Ricordi, Milano Les Harpes Camac Palazzo Grassi - Punta della Dogana Rai Radio 3 Studio Tapiro