18 settembre—17 dicembre
SIAE - Classici di Oggi
ex novo musica 2015
xii. edizione
SIAE - Classici di Oggi
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee
Conservatorio Benedetto Marcello
Teatrino di Palazzo Grassi
Ateneo Veneto
con il sostegno di
SIAE
Pro Helvetia Fondazione
svizzera per la cultura
Fondazione Teatro La Fenice
Palazzetto Bru Zane
Centre de musique romantique française
con la collaborazione di
Archivio Luigi Nono
Ateneo Veneto
CIRS Centro Internazionale
per la Ricerca Strumentale
Città di Venezia
Conservatorio di Musica
Benedetto Marcello di Venezia
Conservatorio di Musica
Cesare Pollini di Padova
CSC Centro di Sonologia
Computazionale dell’Università di Padova
Edizioni Suvini Zerboni, Milano
Fondazione Giorgio Cini
Casa Ricordi, Milano
Les Harpes Camac
Palazzo Grassi - Punta della Dogana
SaMPL - Sound and Music Processing Lab
Rai Radio 3
Studio Tapiro
ex novo ensemble ringrazia
Elisabetta Bocchese
Agnese Bonini
Claudio Ambrosini
Leopoldo Armellini
Florence Alibert
Gabriele Bonomo
Gianmario Borio
Massimo Cacciari
Sandro Cappelletto
Cristiano Chiarot
Laura Coppola
Matteo Costa
Rodolfo Delmonte
Alexandre Dratwicki
Rosa Giglio
Marco Mazzolini
Letizia Michielon
Mario Messinis
Gianluigi Pescolderung
Veniero Rizzardi
Franco Rossi
Nuria Schönberg Nono
Progetto grafico
Studio Tapiro
Agosto 2015
Infopoint
Ex Novo Ensemble
Presidente Claudio Ambrosini
Cannaregio 3095
30121 Venezia
Tel./Fax (+39) 041 5240550
Mobile (+39) 334 6561327
Mobile (+39) 334 6561328
[email protected]
www.exnovoensemble.it
Ingressi
Interi 20 euro
Residenti a Venezia 10 euro
Studenti, soci CinemaPiù e soci Tci 5 euro
Le manifestazioni del 24 settembre e del
14 dicembre sono ad ingresso libero
Biglietteria Vela: punti vendita e orari
Presso le sedi dei concerti un’ora prima
dell’inizio degli spettacoli
Teatro La Fenice tutti i giorni
dalle 10.00 alle 17.00
Call Center Hello Venezia (+39) 041 2424
acquisto biglietti dalle 09.00 alle 18.00
Piazzale Roma tutti i giorni
dalle 8.30 alle 18.30
Tronchetto tutti i giorni
dalle 8.30 alle 18.00
Lido S.M. Elisabetta tutti i giorni
dalle 8.30 alle 18.30
Mestre, via Verdi 14D
dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 18.30
sabato dalle 08.30 alle 13.30
Dolo, via Mazzini 108
dal lunedì al sabato dalle 8.30 alle 18.30
Sottomarina, piazzale Europa 2/C
tutti i giorni dalle 8.30 alle 18.30
Biglietteria on line
www.teatrolafenice.it
Canale di vendita internet
percorsi verticali
Le 14 commissioni e prime esecuzioni assolute
Claudio Ambrosini (1948) Soliloquy versione
per ottetto vocale [15]
Raphaèle Biston (1975) Figure & Profile (2015)
per ensemble [12]
Azio Corghi (1937) Alzarsi in volo (2015) per soprano,
voce recitante e ensemble [14]
Xavier Dayer Notturno II (2015), per flauto, clarinetto
e trio d’archi [1]
Stefano Gervasoni (1962) Luce ignota della sera (2015)
per pianoforte e live electronics [10]
Philippe Hersant (1948) Usher (2015) per arpa
e quartetto d’archi [13]
Fabio Nieder (1957) 27 Haidenburger Vogellaute (2011/5)
Isoformen per ottavino ed elettronica [3]
Marcello Panni (1940) Luoghi dell’Apocalisse (2015)
per clarinetto e quartetto d’archi [7]
Filippo Perocco (1972) Detrito in Acquagranda, Detrito
in Acquatorbida (2014/15) per ensemble [8]
Elena Firsova (1950) Dalla Luce alla Luce op. 154 (2015)
per bayan e quintetto d’archi [10]
Vittorio Montalti (1984) Abandoned Places (2015)
per ensemble e elettronica [12]
Simone Movio (1978) Incanto XI (2015) per ensemble [12]
Luca Richelli (1963) Echi di dolore (2015) per ensemble e
live electronics [12]
Corrado Rojac (1968) Nella notte III (2015) per trio con
pianoforte [12]
Tematica di approfondimento: Il suono francese,
tra l’antico e il moderno
Raphaèle Biston (1975) Figure & Profile (2015)
per ensemble [12]
André Caplet (1878-1925) Conte fantastique (1919)
per arpa e quartetto d’archi [13]
Jean Cras (1879-1932) Quintetto (1928) per flauto,
trio d’archi e arpa [13]
Xavier Dayer Notturno II (2012/15), per flauto,
clarinetto e trio d’archi [1]
Louise Farrenc (1804-1875) Trio in si minore (1857)
per flauto, violoncello e pianoforte [6]
Gabriel Fauré (1845-1924) Trio op. 120 (1923), per
clarinetto, violoncello e pianoforte [6]
Gérard Grisey (1946-1998) Stèle (1995) per due
percussionisti [9]
Philippe Hersant (1948) Usher (2015) per arpa e
quartetto d’archi [13]
Heinz Holliger (1939) Biaute … estrange (2001-2009),
trascrizioni da Machaut per tre viole [1]
Michael Jarrell (1958)Prisme (2001) per violino [1]
Frank Martin (1890-1974) Quartetto (1966/67), per
archi [1]
Gabriel Pierné (1863-1937) Sonata da Camera op. 48
(1926) per flauto, violoncello e pianoforte [6]
Maurice Ravel (1875-1937) Quartetto (1903) per archi [13]
Charles-Marie Widor (1844-1937) Suite op. 34 (1877)
per flauto e pianoforte [6]
Le 14 commissioni e prime esecuzioni assolute
Michael Jarrell Prisme (2001) per violino [1]
Heinz Holliger Biaute … estrange (2001-2009),
quattro trascrizioni da Machaut per tre viole [1]
Doina Rotaru Epistrophe (2009) per flauto [3]
Percorso sulla Musica della Grande Guerra
André Caplet (1878-1925) Conte fantastique (1919)
per arpa e quartetto d’archi [13]
Azio Corghi (1937) Alzarsi in volo (2015) per soprano,
voce recitante, e ensemble [14]
Marcello Panni (1940) Luoghi dell’Apocalisse (2015)
per clarinetto e quartetto d’archi [7]
Max Reger (1873-1916) Quintetto op. 146 in la maggiore
(1916) per clarinetto e quartetto d’archi [7]
Igor Stravinskij (1882-1971) Suite da L’Histoire du Soldat
(1918), per clarinetto, violino e pianoforte [14]
Kurt Weill (1900-1950) Quartetto in si minore (1918) [7]
I numeri tra parentesi quadre riferiscono
alla manifestazione nella quale è inserita
l’esecuzione dell’opera.
Molte cose stanno accadendo nel mondo della musica contemporanea, ci sono sviluppi,
trasformazioni, riaffioramenti. Dopo le eccezionali scuole del secondo dopoguerra basate
anche su dettati numerici – sia nella forma strutturale, che aleatoria o minimalista – stanno
ora dando frutti interessanti tendenze ispirate da altri pensieri, come quello armonicospettrale o quello elettronico. E sono perfino riemerse con forza correnti qualche decennio
fa superciliosamente disdegnate, come la musique concrète, di derivazione futurista, oggi
molto diffusa nella versione detta “musica concreta strumentale”, ora ironica, ora furente.
Di tutto questo e altro Ex Novo Musica cerca di proseguire la testimonianza, tra sbiancanti
marosi (finanziari) e altrettanto sfiancanti fasi di calma piatta, quella così ben descritta
da Coleridge nell’appassionante Rime of the Ancient Mariner. E, come in quel poema,
a navigare si corrono dei rischi mortali, soprattutto nei mari nostrani, in cui si possono
incontrare particolari specie di squali e le famose meduse ministeriali, capaci di annichilire
chiunque.
Ma il viaggio caparbiamente continua, come sempre grazie alla determinazione della
“ciurma” e dei rematori ospiti; grazie ai pennoni rinforzati dalle istituzioni più attente e
sensibili – come il Comune, la Fenice, Palazzo Grassi-Punta della Dogana, Pro Helvetia,
Palazzetto Bru Zane – alle quali si è ora aggiunta la SIAE, da quest’anno prezioso partner
del nostro progetto. Ma soprattutto grazie al “vento” degli appassionati e del nostro
pubblico, che ci auguriamo ci sospinga col consueto calore. Il barometro segna: Nuovo,
tendente al Bello. E allora forza, alziamo le vele!
Claudio Ambrosini
Presidente dell’Ex Novo Ensemble
«La melodia racconta la storia intima della volontà divenuta cosciente di se stessa, la vita intima, le
aspirazioni, le tristezze, le gioie, il flusso e il riflusso del cuore umano. La melodia è una deviazione
che si distacca dal tono fondamentale e attraverso mille fantastici sentieri sfocia in una dissonanza
dolorosa per trovare infine la tonica esprimente la soddisfazione e l’acquietamento della volontà;
ma a questo punto non si può più proseguire, mentre il voler sostenere la nota fondamentale
troppo a lungo creerebbe una monotonia fastidiosa e insignificante, espressione della noia.»
(Arthur Schopenhauer)
Per raccontare la storia della XII stagione di Ex Novo Musica, ci siamo rivolti a Schopenhauer e
alla sua capacità di entrare nel cuore del “far musica”. La rassegna propone stimoli numerosi ed
eterogenei tanto da apparire a prima vista divaganti rispetto alle ragioni per le quali è stata creata:
quelle cioè di far apprezzare la letteratura musicale degli ultimi due secoli privilegiando il principio
di massima apertura alle sue molteplici espressioni. Come afferma Schopenhauer, si è sentita la
necessità di non «sostenere la nota fondamentale troppo a lungo» anche in ragione del fatto che,
per molti ascoltatori, le opere più recenti costituiscono una «dissonanza dolorosa» rispetto al loro
“vissuto musicale”, per lo più orientato alla letteratura del periodo classico-romantico. La rassegna
si pone dunque il compito di ampliare le esperienze di ascolto «attraverso mille fantastici sentieri».
Ma una critica a tal modo di procedere appare subito evidente: se si accetta che il “rientro” nei
repertori musicali usualmente apprezzati coincida con «la soddisfazione e l’acquietamento della
volontà», ci si espone a postulare la “fisiologica” supremazia di quel linguaggio musicale che ha
realizzato la sua estrema fase di sviluppo nel tardo-ottocento - al di là di tutte le “deviazioni”.
Si tratta invece di “mutare lentamente” quel «tono fondamentale» che costituisce per molti
appassionati di musica lo stato di «soddisfazione e acquietamento della volontà» e, adottando
questa metodologia, impegnarci tutti - musicisti e ascoltatori - ad avviare un processo virtuoso
che superi quel rifiuto, a tratti “viscerale”, che tutti abbiamo in qualche occasione avvertito
nell’incontro con il “nuovo”.
Le vivaci discussioni che si sono intrecciate nelle sale da concerto, dal dopoguerra a non molti anni
orsono, avevano come leitmotiv la superiorità ineguagliabile della musica scritta nel XIX secolo
- e di poche sue propaggini nel XX - sulla musica di tutte le altre epoche storiche. Discussioni
che facevano da contraltare alle appassionate argomentazioni delle numerose “avanguardie”
che si sono proposte alla ribalta in quegli anni e le cui opere abbiamo sempre presentato con
piacere nelle stagioni Ex Novo Musica. Come Nietzsche aveva acutamente pronosticato: «ogni
vera musica, ogni musica originale è un canto del cigno. – Forse anche la nostra ultima musica,
sebbene sia dominatrice e assetata di dominazione, ha ormai dinanzi a sé solo un breve tratto
di strada» (in Nietzsche contra Wagner). La sua infatuazione per Wagner (seppur tanto prolifica
in termini filosofici) gli aveva in seguito rivelato che l’eterno insaziabile contrasto tra le primarie
istanze espressive del fatto musicale – l’ apollineo e il dionisiaco – trova nell’atto creativo una
sintesi unica e irripetibile, un “punto di equilibrio” che mai spezza la tendenza evolutiva, emblema
di una creatività illimitata. «Si è mai notato che la musica rende libero lo spirito? Mette le ali
al pensiero? E che si diventa tanto più filosofi quanto più si diventa musicisti? – Il grigio cielo
dell’astrazione come solcato dai lampi; abbastanza vivida la luce per tutta la filigrana delle cose; i
grandi problemi stanno per essere afferrati; il mondo è come scrutato dall’alto di un monte.» (in Il
caso Wagner). Insomma la musica, riferendosi «simbolicamente al contrasto e al dolore primordiali
nel cuore dell’Uno primigenio» decreta la «sua completa illimitatezza, non ha bisogno di immagine
e di concetti, ma solamente li tollera accanto a sé». (in La nascita della Tragedia, capitolo V).
Tutto questo per far rientrare almeno in parte in una sala da concerto «le fluttuazioni della volontà,
la lotta dei motivi, il trabocco dilagante delle passioni», sensazioni che tutti noi sperimentiamo
ma che la musica fa divenire visibili in modo «per così dire tangibile ai sensi» in quanto consente
all’animo di «immergersi nei più delicati misteri delle emozioni inconsce».
Non ci si fermerebbe certo mai di sfruttare la favolosa potenza immaginifica della prosa di
Nietzsche ma dobbiamo senz’altro concludere. Come ogni anno, per favorire la lettura del
cartellone di Ex Novo Musica 2015 si sono contestualizzati dei Percorsi Verticali, che sono allo
stesso tempo a monte e a valle delle concezioni delle singole serate, superano e integrano le
letture dei concerti: li troverete - per gli amanti delle strutture “ordinate” - tra le prime pagine
di questo catalogo. Possono essere goduti come meglio si crede, anche - date le premesse di
questo scritto - completamente elusi. Una quindicina di opere in prima esecuzione assoluta
rappresentano anche quest’anno uno sforzo notevole di slancio verso il nuovo: per rinnovare
«l’incantesimo dionisiaco-musicale», per evocare «scintille d’immagini».
Salutiamo con sincera gratitudine il prestigioso riconoscimento tributato quest’anno al Festival
dalla SIAE (Società Italiana Autori ed Editori) che ha incluso Ex Novo Musica nel progetto di
sostegno denominato SIAE Classici di Oggi. Un particolare segno di stima il Festival desidera
esprimere alla Fondazione Teatro La Fenice - che da dodici anni ospita gran parte della Stagione
concertistica - e al suo Sovrintendente Cristiano Chiarot; alla Fondazione Pro Helvetia, a Palazzo
Grassi - Punta della Dogana, al Centre de musique romantique française del Palazzetto Bru Zane.
«Un testo implica una pluralità di testi. Le grandi opere sono sempre costituite da un gran numero
di altri testi, non sempre identificabili nella superficie: fonti, citazioni e ascendenze più o meno
nascoste che sono state assimilate, non sempre volontariamente e consapevolmente, dall’autore
stesso.» (Luciano Berio, Lezioni americane, VI)
Aldo Orvieto
1
venerdì 18 settembre ore 20.00
Teatrino di Palazzo Grassi
Focus svizzera
contemporanea
musiche di Xavier Dayer,
Heinz Holliger, Michael Jarrell,
Frank Martin
con il sostegno di Pro Helvetia,
Fondazione Svizzera per la Cultura
Ex Novo Ensemble
in collaborazione con
Palazzo Grassi - Punta della Dogana
2
giovedì 24 settembre ore 19.00
Fondazione Giorgio Cini
Sala degli Arazzi
Massimo Cacciari
e Luigi Nono
colloquio tra Gianmario Borio,
Mario Messinis, Veniero Rizzardi,
Nuria Schönberg Nono,
Alvise Vidolin
ore 20.00
Risonanze erranti
SIAE Classici di Oggi
musiche di Fabio Nieder
e Luigi Nono
Katarzyna Otczik contralto
Daniele Ruggieri flauto e ottavino
Daniele Spano tuba
Art Percussion Ensemble
Marco Angius direttore
Alvise Vidolin regia del suono
Luca Richelli live electronics
in collaborazione con
Archivio Luigi Nono,
Fondazione Giorgio Cini,
SaMPL - Sound and Music
Processing Lab, CSC - Centro
di Sonologia Computazionale
dell’Università di Padova
con il sostegno di
SIAE
3
domenica 27 settembre ore 20.00
mercoledì 7 ottobre ore 20.00
domenica 11 ottobre ore 20.00
6
sabato 17 ottobre ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Galante e virtuoso
Bruckner/Mahler
Colori francesi
Itinerari musicali della
Grande Guerra
SIAE Classici di Oggi
musiche di Anton Bruckner
musiche di Carl Philipp Emanuel
Bach, Ivan Fedele, Georg Friedrich
Haendel, Antonio Locatelli,
Doina Rotaru, Salvatore Sciarrino
Manila Santini e Aldo Orvieto
pianoforte a quattro mani
musiche di Louis Farrenc,
Gabriel Fauré, Gabriel Pierné,
Charles-Marie Widor
musiche di Marcello Panni,
Max Reger, Kurt Weill
Ex Novo Ensemble
Ex Novo Ensemble
in collaborazione con
Palazzo Grassi - Punta della Dogana
con il sostegno di
Palazzetto Bru Zane - Centre de
musique romantique française
Mario Caroli flauto e ottavino
Daniele Ruggieri flauto
Carlo Teodoro violoncello
Elisabetta Bocchese clavicembalo
Teatrino di Palazzo Grassi
con il sostegno di
SIAE
sabato 24 ottobre ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Vie d’acqua
SIAE Classici di Oggi
Musiche di George Crumb,
Hanns Eisler, Filippo Perocco,
Salvatore Sciarrino
Ex Novo Ensemble
con il sostegno di
SIAE
8
sabato 31 ottobre ore 18.00
Conservatorio Benedetto Marcello
Gesti elettronici
musiche di Gérard Grisey,
Karlheinz Stockhausen,
Iannis Xenakis
Art Percussion Ensemble
Alvise Vidolin regia sonora
Luca Richelli e Massimo Pastore
concezione progettuale e direzione
musicale
in collaborazione con
SaMPL - Sound and Music
Processing Lab, CSC - Centro
di Sonologia Computazionale
dell’Università di Padova
9
domenica 15 novembre ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Dalla luce alla luce
musiche di Edison Denisov,
Elena Firsova, Sofia Gubaidulina,
Simone Movio
Germano Scurti bayan
Ex Novo Ensemble
10
sabato 21 novembre ore 20.00
Teatrino di Palazzo Grassi
Verso il nuovo mondo
musiche di Samuel
Coolerifge-Taylor
e Antonin Dvorák
Ex Novo Ensemble
in collaborazione con
Palazzo Grassi - Punta della Dogana
11
sabato 28 novembre ore 18.00
Conservatorio Benedetto Marcello
Visioni elettroacustiche
12
martedì 1 dicembre ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
La masque de
la mort rouge
SIAE Classici di Oggi
musiche di Claudio Ambrosini,
Raphaèle Biston, Stefano
Gervasoni, Vittorio Montalti,
Luca Richelli, Corrado Rojac
musiche di André Caplet,
Jean Cras, Philippe Hersant,
Maurice Ravel
con il sostegno di
Palazzetto Bru Zane - Centre de
musique romantique française
Alvise Vidolin regia sonora
Ex Novo Ensemble
Ex Novo Ensemble
in collaborazione con
SaMPL - Sound and Music
Processing Lab, CSC - Centro
di Sonologia Computazionale
dell’Università di Padova
con il sostegno di
SIAE
13
domenica 6 dicembre ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Alzarsi in volo
SIAE Classici di Oggi
musiche di Azio Corzi
e Igor Stravinskij
Valentina Caladonato soprano
Sandro Cappelletto
drammaturgia e voce recitante
Ex Novo Ensemble
con il sostegno di
SIAE
14
lunedì 14 dicembre ore 20.00
Ateneo Veneto
Soliloquy
SIAE Classici di Oggi
musiche di Claudio Ambrosini,
Luciano Berio, Sigismondo
d’India, Claudio Monteverdi
Zero Vocal Ensemble
in collaborazione con
Ateneo Veneto
con il sostegno di
SIAE
15
giovedì 17 dicembre ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Fortissimo
nel mio cuore!
SIAE Classici di Oggi
musiche di Luigi Nono,
Franz Schubert
Monica Bacelli mezzosoprano
Sandro Cappelletto voce
narrante
Aldo Orvieto pianoforte
Alvise Vidolin regia sonora
in collaborazione con
Archivio Luigi Nono
con il sostegno di
SIAE
Alcuni concerti di Ex Novo Musica
2015 sono registrati e trasmessi in
differita da RAI Radio 3
I testi e la redazione del
catalogo sono a cura di
Aldo Orvieto
con il sostegno di
Pro Helvetia, Fondazione
Svizzera per la Cultura
In collaborazione con
Palazzo Grassi - Punta
della Dogana
Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino (*)
Annamaria Pellegrino violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
con la partecipazione di
Simone Siviero viola
Lucia Zazzaro viola
focus svizzera contemporanea
venerdì 18 settembre 2015
ore 20.00
Teatrino di Palazzo Grassi
Frank Martin (1890-1974)
Quartetto (1966/67) per archi,
Lento – Prestissimo – Larghetto
– Allegretto leggero
Commissione Fondazione Pro
Helvetia per il 100° anniversario
della Tonhalle di Zurigo
Michael Jarrell (1958)
Prisme (2013/14) per violino (*)
prima esecuzione italiana
Heinz Holliger (1939)
Ballade IV “Biaute qui toutes autres
pere”, Ballade XXVI, Triple Hoquet
(basato su Hoquetus David) da
Biaute … estrange (2014) trascrizioni
da Machaut per tre viole
prima esecuzione italiana
Xavier Dayer (1972)
Notturno II (2012/15) per flauto,
clarinetto, violino, viola e violoncello
prima esecuzione assoluta
Frank Martin Quartetto. Che dire di un’opera che non si rifà a nulla che non sia di
essenza propriamente musicale, di un’opera di musica pura? Difficilmente si possono trattare cose diverse da questioni tecniche, come l’analisi
della sua forma, o l’impiego che si è scelto per gli strumenti. Gli elementi
essenziali si trovano già nel programma: si tratta di un’opera in quattro
movimenti: Lento, Prestissimo, Larghetto e Allegretto leggiero. Di questi
quattro movimenti solo il terzo affida uno spazio veramente preponderante al primo violino; negli altri, mi sono proposto di trattare gli strumenti
come quattro solisti di eguale importanza. Il primo movimento, Lento,
propone una costruzione molto particolare: il primo elemento è una lunga
frase, puramente melodica, affidata alla viola; un secondo elemento, più
leggero, è affidato al secondo violino, accompagnato “in pizzicato” dal
violoncello; in seguito la prima frase viene ripresa interamente dal primo
violino e dalla viola “in doppia ottava”, ma sovrapposta al disegno leggero
degli altri due strumenti. Il medesimo procedimento si ripete con un’altra
melodia, prima esposta dal violoncello, poi ripresa dal primo violino; una
nuova frase leggera interviene, che si sovrapporrà a sua volta a questa seconda idea melodica. Infine, la prima melodia riprenderà forza nei quattro
strumenti e guiderà alla conclusione. Il secondo movimento è uno scherzo
di carattere sostanzialmente violento, dove gli strumenti si scambiano dei
passaggi rapidi, spesso a una sola voce, talvolta a due voci; la parte centrale è costituita da una melodia capricciosa del primo violino che viene
accompagnata da una formula ritmica assai complessa e costantemente
indipendente dall’andamento di questa melodia. Il terzo movimento è in
forma di Lied, dove il primo violino mantiene, pressoché costantemente, il
posto d’onore, sia per la lunga melodia introduttiva, sia per gli arabeschi
che le rispondono nella parte centrale. Il finale è il solo brano di questo
quartetto in cui la composizione è stata in qualche modo dettata da una
immagine extramusicale. Avevo sognato, una notte, durante un soggiorno
a Graz, di vedere delle figure semi-umane danzare sollevate nell’aria e sapevo, nel mio sogno, che questa danza aerea, sarebbe dovuta figurare nel
finale del mio quartetto. A torto o a ragione, mi sono lasciato guidare da
questo sogno e ho tentato di conferirgli una sorta di traduzione musicale.
Che vi sia riuscito o no, ne è risultato che, su un ritmo di 6/8 assai saltellante e frequentemente rotto, tutte le figure melodiche salgono senza
posa o rimango sospese nell’acuto, salvo nel momento della conclusione.
Questo quartetto è stato scritto per festeggiare i 100 anni di esistenza
della Tohnhalle-Gesellschaft Zürich ed è dedicato a questa istituzione in
omaggio al magnifico lavoro che questa Società ha compiuto in un secolo
a favore della cultura musicale nel nostro paese. [Frank Martin]
Michael Jarrell Prisme. Questo lavoro per violino solo è tratto da … prisme/incidences … (1998) per violino e orchestra. Operando al contrario di Berio nei
suoi Chemins, Michael Jarrell riprende in questo caso la parte solistica di
un’opera concertante “isolandola”, spogliandola dei dialoghi sonori che
intrecciava con l’orchestra. Il violino deve dunque “completarsi” da sé medesimo facendo riferimento solo alla propria sostanza sonora. L’ascoltatore è immediatamente attratto dalle evidenti mutazioni del contesto musicale che disegnano la struttura dell’opera: cambiamenti di parametri legati
alle altezze (il compositore sfrutta la polarità di alcune note-cardine, come
la nota re all’inizio del brano), al grado di velocità ed al virtuosismo. Una
sequenza di episodi più o meno lunghi si profila dunque all’ascolto senza
però frammentare il discorso musicale con evidenti tagli formali. Il progetto è piuttosto quello di riferirsi al “prisma” in relazione alla sua definizione
secondaria: “vedere (o sentire) attraverso un prisma”, cioè percepire una
realtà deformata ottenuta attraverso sottili modificazioni delle componenti del suono. Michael Jarrell domina perfettamente i colori, le dinamiche, i registri, le prassi strumentali (particolarmente raffinate dal punto di
vista armonico) e giunge a creare, attraverso l’uso di tecniche nuove assai
espressive, una prospettiva immaginaria dove lo strumento si apre a tutti
i percorsi possibili.
Heinz Holliger Ballade IV “Biaute qui toutes autres pere”, Ballade XXVI, Triple Hoquet.
Nel 2001 in occasione del Festival “Viola-Viola” della Westdeutscher
Rundfunk (WDR) composi le mie due prime trascrizioni per tre viole da
opere di Machaut, per così dire come contrapposizione alle trascrizioni recentemente scoperte, realizzate dal giovane Luigi Nono su opere di Okeghem. Durante gli otto anni seguenti, ha visto la nascita un intero ciclo. Il
confronto con l’arte di un grande musicista e poeta del XIV secolo mi ha
aperto numerose vie nuove per il mio lavoro di compositore. Questo ciclo
può essere interpretato con o senza i movimenti originali di Machaut o
anche unicamente come un trio per tre viole. La Ballata IV “Biaute qui to-
utes autres pere” del 2001 è una trascrizione fedele alle note dell’originale
in armonici naturali. La Ballata XXVI, anche questa del 2001, esprime il
testo originale con suoni normali e armonici. Il “suono originale” trapassa
i suoni armonici, “non pesanti”, suonati simultaneamente. Nel Triple Hoquet (tratto dall’ Hoquetus David) del 2002 le unità motiviche sono quasi
“atomizzate” dalla struttura isoritmica originale interamente rispettata. Si
forma così un “vortice di particolari” che ricorda Célan. [Heinz Holliger]
Xavier Dayer Notturno II. In questo brano il trio d’archi e il clarinetto disegnano una
melodia continua, la cui scrittura presenta un complesso intreccio timbrico
che viene realizzato attraverso una distribuzione costantemente cangiante della linea del canto tra le parti strumentali. Quando questa melodia si
interrompe il flauto presenta un solo dal carattere rapsodico costruito con
elementi ritmicamente nuovi, che man mano si sovrappongono ai materiali proposti dagli altri strumenti dell’ensemble, senza alcuna sincronizzazione. Nella seconda parte dell’opera flauto e clarinetto si scambiano
i ruoli. La scrittura impiega intervalli consonanti (terze maggiori, quinte
giuste, etc.) che devono però essere intonati a distanza di quarti di tono
dalla base dell’intonazione temperata. Il pezzo intende stabilire, attraverso il complesso di queste tecniche, un arco espressivo continuo abitato da
una forma di tensione sorda e interiore. [Xavier Dayer]
SIAE Classici di Oggi
in collaborazione con
Archivio Luigi Nono, Fondazione
Giorgio Cini, SaMPL e CSC
con il sostegno di
SIAE
Katarzyna Otczik contralto
Daniele Ruggieri flauto e ottavino
Daniele Spano tuba
Art Percussion Ensemble
Arrigo Axia, Mattia Basi, Francesco
Biolcati, Marco Buffetti, Paolo Lus,
Riccardo Nicolin
Marco Angius direttore
Alvise Vidolin regia del suono
Luca Richelli live electronics
risonanze erranti
giovedì 24 settembre 2015
ore 20.00
Fondazione Giorgio Cini
Sala degli Arazzi
ore 19.00 Massimo Cacciari e Luigi
Nono: una tratto della storia della
Musica del Secondo Novecento
colloquio tra Gianmario Borio,
Mario Messinis, Veniero Rizzardi,
Nuria Schönberg Nono, Alvise Vidolin
ore 20.00 concerto
Fabio Nieder (1957)
27 Haidenburger Vogellaute (2011/5)
Isoformen per ottavino ed elettronica
Voci elaborate su fixed media
eseguite dal Thümmel Ensemble del
Conservatorio “C. Pollini” di Padova
diretto da Marina Malavasi
prima esecuzione assoluta
Luigi Nono (1924-1990)
Risonanze erranti. Liederzyklus a
Massimo Cacciari, per mezzosoprano,
flauto, tuba, sei percussionisti e
live electronics (testi di Ingeborg
Bachmann e Herman Melville) (1986)
Con gli allievi del Corso SMUG
(SaMPL per la Musica Giovanile) 2015:
Davide Gagliardi, Alessandro Laraspata,
Marco Matteo Markidis, Valerio
Montecchio, Daniele Pozzi,
Giovanni Salice
Un sentito ringraziamento alla
Fondazione Giorgio Cini per la
gentile ospitalità e collaborazione
Luigi Nono Risonanze erranti. Liederzyklus a Massimo Cacciari. Risonanze erranti, composta nel 1986 ebbe la sua prima esecuzione nel marzo dello stesso anno
a Colonia a cui seguirono altre due esecuzioni, Torino 1986 e Parigi 1987,
prima di arrivare alla versione definitiva. Questo lavoro si configura come
la prima tappa di un ciclo di Lieder che doveva svilupparsi in parallelo ai
post-prae ludi ( il n. 1 “per Donau” e il n. 3 “BAAB-ARR”), composizioni
ideate “prima” di Prometeo. Tragedia dell’ascolto (1984-85), ma realizzate
“dopo” e strettamente legate al virtuosismo dei suoi solisti-collaboratori.
Il lavoro è dedicato a Massimo Cacciari che ha curato i testi di Prometeo
e di molti altri lavori di questo periodo, oltre ad aver condiviso con Nono
lo sviluppo di una nuova fase creativa a cavallo degli anni ’80 del secolo
scorso. In Risonanze erranti, Nono utilizza frammenti di testi di Herman
Melville, soprattutto dai battle – pieces and aspects of the war (1866) e
di Ingeborg Bachmann (Keine Delikatessen, 1963) con echi musicali del
passato tratti da Guillaume de Machaut (Lay de plour), Josquin Desprez
(Adieu mes amours) e Johannes Ockeghem (Malheur me bat). Alterna
forti contrasti dinamici nelle percussioni con colpi secchi dei bongos e
dei crotali che diventano carezze sonore quando i percussionisti sfiorano
con le mani la superficie rugosa delle campane di pastori sardi, la pelle dei
tamburi, i dischi di metallo dei crotali. Queste sonorità subliminali vengono ulteriormente moltiplicate e proiettate nello spazio acustico attraverso
l’elettronica, con un banco di 8 echi elettronici caratterizzati da una precisa struttura ritmica asimmetrica nella sua ripetizione iterata: nelle parole
di Nono, «suoni erranti nello spazio vero strumento componente sempre
più in attesa». In maniera analoga la voce si interpola con il flauto/ottavino e la tuba, confondendosi a vicenda, esplodendo in sforzatissimi a cinque ƒ per sparire nel silenzio sonoro dei pianissimi a sei p, alternando gesti
esasperati a rassegnati abbandoni in cui la parola adieu, da Desprez, si
allontana nello spazio come fosse lanciata verso l’infinito. [Alvise Vidolin]
Fabio Nieder 27 Haidenburger Vogellaute (2011/5) Isoformen per ottavino ed elettronica.
La nuova versione è un’installazione sonora e visiva per uccelli in voliera,
richiami di uccelli preregistrati, ottavinista, 3 ottavini preregistrati, coro
d’uomini invisibile, accordeon o organo o synthesizer e regia del suono.
L’ottavinista in gabbia o voliera suona assieme ai veri uccelli anch’essi
nella stessa voliera. Lei o lui ottavinista/donna/uomo/uccello è in gabbia
prigioniera/o ma libera/o di suonare i 27 richiami nell’ordine che desidera
al momento, sempre il più veloce possibile. Il suo “doppio”, i tre ottavini
preregistrati, sono invece espressione di una rigorosa struttura contrappuntistica che utilizza gli stessi richiami che l’ottavinista suona dal vivo
con libertà improvvisativa. Lo strato preregistrato mostra come i singoli
richiami siano in realtà inseriti in un sistema di imitazioni e influenze reciproche. Così come capita nel mondo degli uccelli e degli esseri umani, questi richiami sono il risultato di influenze da parte di altri individui
dovute a mutazioni di paesaggi armonici e intervallari. I 27 richiami di
Haidenburg sono suddivisi in: 8 richiami d’allarme, 3 richiami d’attacco, 2
richiami sessuali, 2 richiami di disturbo, 6 richiami di fuga, 2 canti dell’uccello del paradiso, 2 richiami di difesa del territorio e 2 richiami del nido.
Gli uccelli veri invece hanno il loro “doppio” nei richiami di veri uccelli
preregistrati, uccelli che ovviamente non si vedono. Infine tutta questa
volta celeste appena descritta, questo cielo pieno di voli inaspettati e di
stormi di contrappunti, ha il suo doppio nel suono oscuro, più lento e più
piano possibile di un coro maschile invisibile a tre parti sostenuto da un
accordeon o organo o synthesizer che risuona sotto i piedi degli ascoltatori. È questo come un respiro lento e misterioso della terra. Come l’onda
lenta di una scossa tellurica. Il materiale armonico e intervallare del coro
maschile è lo stesso che da vita ai richiami degli uccelli ma qui irriconoscibile tale è la diversità di esecuzione. I due mondi non si toccano mai.
Essi sono spazializzati da uno “split” che separa il cielo dalla terra, la luce
dall’oscurità, la velocità dalla lentezza, il forte dal pianissimo. Sia gli stormi
di contrappunti dei tre ottavini preregistrati che i respiri del coro d’uomini invisibile e anch’essi preregistrati vengono distribuiti liberamente nello
spazio dal regista del suono che qui ha una importante funzione creativa/
compositiva. Questo lavoro di pre-produzione è stato realizzato dal laboratorio SaMPL del Conservatorio di Padova come pure la spazializzazione
elettronica del suono dei due mondi la quale segue questo principio creativo che di volta in volta, a seconda di spazi diversi, deve poter riprodurre
la filosofia di questo universo sonoro. [Fabio Nieder]
SIAE Classici di Oggi
con il sostegno di
SIAE
Mario Caroli flauto e ottavino
Daniele Ruggieri flauto
Carlo Teodoro violoncello
Elisabetta Bocchese clavicembalo
galante e virtuoso
domenica 27 settembre 2015
ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Ivan Fedele (1869-1949)
Donax (1992) per flauto solo
Georg Frederich Händel (1685-1759)
Trio Sonata in mi minore HWV 395 per
due flauti e basso continuo
Largo – Allegro – Largo – Allegro
Salvatore Sciarrino (1947)
Morte tamburo (1999) per flauto solo
Pietro Antonio Locatelli (1695-1764)
Trio Sonata op 5 n° 1 in sol maggiore
per due flauti e basso continuo
Andante – Largo – Allegro – Vivace
Doina Rotaru (1951)
Epistrophe (2009) per flauto solo
prima esecuzione italiana
Carl Philip Emanuel Bach (1714-1788)
Trio Sonata in re minore WQ 145 per
due flauti e basso continuo
Allegretto – Largo – Allegro
Ivan Fedele Donax, Sebbene il titolo riprenda il termine greco che designava il flauto
di Pan, Ivan Fedele elabora in Donax una sorta di viaggio attraverso le
diverse connotazioni culturali del flauto nelle varie epoche storiche risalendo infine all’archetipo del flauto a canne. La grande complessità
strumentale formale e linguistica si traduce in svariati modi di suonare lo
strumento attraverso tecniche strumentali diverse. Sebbene la scrittura
sfoggi grandi abilità nel concepire raffinati effetti timbrici, tali effetti risultano sempre intimamente legati alla struttura formale del pezzo. Donax è
diviso in quattro parti: all’inizio appare una sorta di dialogo tra più flauti
che utilizzano i suoni “eolici” (suoni con soffio), i “pizzicati” (slap con la
lingua), i “tongue ram” (un genere di slap ad imboccatura chiusa), suoni
aspirati, glissandi con le labbra e trilli “timbrici” cioè tra note della medesima altezza, ma con colori diversi. La seconda parte utilizza i “tongue ram”
in opposizione ai “jet whistle”, grandi esplosioni di soffi (ad imboccatura
chiusa); nel movimento lento intervengono frequentemente “whistletones”, prodotti ad imboccatura chiusa, con la lingua posta in maniera idonea a far fischiare il flauto (tecnica difficile e sfruttata molto raramente).
Il terzo movimento è una sorta di moto perpetuo basato all’inizio sullo
staccato tradizionale, che progressivamente lascia il posto a dei cluster di
armonici, ai quali sono associati dei piccoli elementi, una specie di ombra dei cluster, formati da una nota “decorata” da un trillo microtonale,
che annunciano l’inizio dell’ultima parte del brano. Tale sezione evoca il
ritorno al flauto primordiale, il flauto di canne, mediante diversi tipi di vibrato o “smorzato” (con le labbra o con il diaframma), alcuni bicordi, degli
slap che fanno pensare al suono dei bongo, come anche dei trilli e delle
oscillazioni microtonali che si ottengono attraverso una leggera rotazione dell’imboccatura. La parte finale utilizza questi elementi in maniera
sempre più dolce, per lasciare l’ascoltatore con l’immagine di un flauto
sognante e interrogativo.
Georg Frederich Händel Trio Sonata in mi minore HWV 395. Si è soliti attribuire alla
musica strumentale di Händel meno rilievo rispetto alla produzione vocale sottovalutandone la straordinaria potenza espressiva. Il suo repertorio
strumentale era in gran parte destinato a cerimonie occasionali (è il caso
della Water Music e della Musica per i Fuochi d’Artificio Reali) o aveva la
funzione di essere integrato nel contesto di opere di più vaste proporzioni:
è questo il caso dei concerti per organo, dei Grandi Concerti op. 6 e dei
Concerti a due cori. Le composizioni cameristiche di Händel appartengono
per gran parte alle due principali forme in uso nel periodo: le sonate solistiche e le Trio Sonate per due strumenti melodici e basso continuo. Per le
Trio Sonate Händel normalmente utilizza la forma della Sonata da Chiesa
nell’abituale alternanza di movimenti lento-veloce-lento-veloce. Anche
la Trio Sonata in mi minore che ascolteremo questa sera segue questa
strutturazione. Il primo movimento è delineato da un armonioso incedere
di scale e arpeggi dall’andamento semplice e privi di turbamenti armonici
nel basso; nel secondo tempo, un Allegro fugato, il basso partecipa invece
a pieno titolo al trattamento del materiale tematico. Dopo l’esposizione
del tema da parte del primo flauto accompagnato dal controsoggetto affidato al basso è interessante notare l’inusuale accorgimento - ripetuto
più volte nello svolgimento di questo movimento - di far tacere il basso,
affidando il controsoggetto al primo flauto mentre il secondo espone il
tema alla dominante: questa improvvisa e inattesa assenza della linea del
basso subito dopo l’inizio del movimento genera un effetto timbrico particolare e sorprendente. Il terzo tempo, un Largo in sol maggiore, impiega
una cantabilità vocale spiegata, con l’apparizione suggestiva della tonica
minore in prossimità della conclusione. L’Allegro finale coniuga il carattere
leggero di danza ternaria con tratti ritmicamente più impetuosi caratteristici della scrittura di Händel. La maggior leggerezza di scrittura viene
realizzata affidando al basso il ruolo di semplice sostegno armonico (a
parte un breve episodio imitativo) e adottando una condotta delle parti al
tempo stesso essenziale e virtuosistica: riducendo l’uso delle imitazioni e
privilegiando spesso disegni per terze.
Salvatore Sciarrino Morte tamburo. Negli appunti di Cantare con silenzio, l’irrompere
dello strumento solista doveva formare due intermezzi. Il primo è divenuto L’orologio di Bergson; il secondo era contrassegnato come Danza
della Morte-tamburo. Prima di ogni commento meglio leggere i testi che
alla musica hanno fatto da culla. Così si apre Cantare con silenzio: Sapere chiaro produce certezza / e la certezza un’ombra / d’ignoranza. Tu /
accanto a ciò che comprendi / impara ciò che non comprendi / nutri la
solitudine / sì, parti: esci / all’incrocio dei venti / non sai quale a te tocca
/ scopri l’altro che genera in te. A questo punto si collocava originaria-
mente L’orologio di Bergson. Attaccava poi il seguente canto: Bergson
prendeva il bicchiere / girando con un cucchiaino / diceva all’uditorio: /
dobbiamo aspettare che lo zucchero si sciolga. Bisogna sapere che, durante le sue lezioni, Bergson faceva in modo che tutti i presenti provassero
la soggettività del tempo. Un esperimento di autosufficiente evidenza:
data una quantità di zucchero in una data quantità di acqua a determinate
condizioni fisiche, occorre un certo preciso tempo affinché lo zucchero si
sciolga. Ma ad ognuno questo tempo sembrerà diverso, a chi breve, a chi
interminabile. Sarebbe spontaneo immaginare che Bergson non portasse
orologio. Invece la sua conoscenza del tempo si basava su un’esatta valutazione. L’orologio di Bergson batte colpi violenti, in apparenza sempre
uguali. Invece il tempo impercettibilmente si flette. Dove smette di pulsare, continuiamo a percepirlo. In mezzo ai colpi passano sciami di eventi
sonori eterogenei, nella stessa direzione del tempo o in direzione contraria. Questo pezzo sfrutta in modo inaudito le articolazioni più elementari
che ci siano, suoni distanziati e ripetuti, usandoli come stacchi di immagini
sonore periodiche e intermittenti. Ne deriva un’esperienza singolare di
tipo cinetico. Entrano in gioco: persistenza, direzionalità dell’immagine,
e soprattutto la discontinuità di spazio e tempo da cui la pluralità dimensionale scaturisce. Quantità di cose e sabbia trascinano a loro volta / cose
e sabbia che fanno barriera. D’un tratto / il fiume smette di scorrere /
perché prima scorreva. Stupefatti dinanzi all’arrestarsi della vita, restiamo
assordati dal tamburo del silenzio. E il nostro cuore a danzare, solo da
vivi infatti possiamo contemplare la morte. In Cantare con silenzio questa
esplosione si voltava in gioia, richiamando le voci a narrare ancora una
volta la nascita dell’universo. Estrapolata dal ciclo vocale, ora la danza si
avviluppa in un contrasto di suoni violenti e suoni lontani, come tra luce e
ombre con il sole a picco. Ardo di sete e muoio. / Ma bevi alla fonte perenne / a destra del cipresso... Spesso mi sono chiesto perché un cipresso
bianco. Viene sempre menzionato dalla tradizione orfico-pitagorica, quasi
a contrassegno dell’aldilà. Da qualche tempo, confusamente ho compreso: le strade antiche erano sterrate, il passaggio di uomini e bestie imbiancava gli alberi di polvere. Nel regno dei più il traffico era notevolmente il
più intenso che si potesse pensare. Ho dedicato L’orologio di Bergson e
Morte tamburo a Mario Caroli, per cui entrambi i lavori sono stati concepiti. [Salvatore Sciarrino]
Pietro Antonio Locatelli Trio Sonata op 5 n° 1 in sol maggiore. Locatelli nacque a Bergamo nel 1695. A quattordici anni era già violinista presso la cattedrale della
sua città e l’anno dopo si recò a Roma per studiare con Corelli: di fatto non
studiò con il maestro ma con un membro del prestigioso circolo di virtuosi
del violino della sua scuola. A Roma, dove soggiornò fino al 1723, intraprese una brillante carriera concertistica. Nel 1725 era Mantova, al servizio
del Landgravio Filippo di Hesse-Darmstadt; nel 1727-28 lo ritroviamo in
Germania, dove incontra il famoso violinista francese Jean-Marie Leclair.
Nel 1729 Locatelli si stabilì ad Amsterdam, anche in funzione di collaborare con i locali editori, che potevano garantire una vasta circolazione
internazionale alla sua musica. Viveva con un certo agio in una grande
casa, dove custodiva una importante collezione di opere d’arte e strumenti musicali, e una vasta biblioteca ricca di libri antichi, spesso presenti
anche in molteplici copie: particolare che fa pensare svolgesse un’attività
di collezionismo e commercio d’arte. I mercoledì sera organizzava concerti
nella propria casa per un circolo di ricchi amatori e studenti. Usando le sue
stesse parole si rifiutava di «suonare ovunque» e desiderava esibirsi «solo
per i gentiluomini». Le sue esecuzioni erano famose e sono state descritte
da scrittori come Diderot e Charles Burney. Le Sonate op 5 si inseriscono a
pieno titolo nella tradizione italiana cercando al contempo di assecondare
il gusto del suo nobile circolo di estimatori. Nella successione dei tempi
della Sonata op V nº 1 non è possibile individuare, in base al principio
dell’alternanza lento-veloce, una programmatica regolarità: prevale il gusto per una dilettevole varietà. Il primo tempo, un andante dal carattere
tranquillo con ampio sviluppo ornamentale (come frequentemente accade
in Locatelli) è scritto nell’usuale forma di primo tempo di sonata di gusto tipicamente italiano con alternanze improvvise fra maggiore e minore
verso la fine del movimento. Il secondo tempo, su un ritmo di Siciliana,
denominato curiosamente Largo-Andante ha un carattere spiccatamente
melodico. Locatelli si abbandona qui ad una cantabilità intensa che, grazie
alla pregevole fattura della melodia, riesce ad adattarsi magnificamente al
timbro e alla caratteristica sinuosità di fraseggio dei flauti. Il terzo movimento è un Allegro nella consueta scrittura virtuosistica ricca di sincopi,
abbellimenti rapidi e ritmici e volatine: i due flauti si alternano nell’esporre
il materiale tematico iniziale per poi intrecciarsi in un dialogo serrato. Caratteristici dello stile di Locatelli le brusche modulazioni al minore risolte
poi con repentini ritorni in maggiore. L’ultimo tempo è una spensierata
danza ternaria, una sorta di Minuetto inframezzato da un Trio centrale in
minore, espressivo e a tratti ombroso, che valorizza il trascinante e gioioso
il ritorno del tema iniziale di danza.
Doina Rotaru Epistrophe. É un breve pezzo per flauto, ispirato dalla musica tradizionale
rumena di ascendenza bizantina. Nella musica bizantina il termine “epistrofe” viene ripetuto alla fine di ogni frase. Alcuni specifici elementi melodici e ritmici sono usati in questo pezzo, per rendere il sapore e lo spirito
di questa musica, senza fare però uso di citazioni. Anche se poche cellule
melodiche sono estensivamente ripetute in questo lavoro, le ripetizioni
non sono mai identiche, e i motivi e le frasi non sono mai esattamente
uguali. Una ripetizione che eviti la simmetria è molto importante in questo
tipo di musica monodica. La semplicità e l’austerità del materiale modale
diatonico - il modo dorico di Re - è compensata da cambiamenti di registro e colore del flauto. Tre distinti livelli, si alternano durante il pezzo, tre
differenti sonorità del flauto nei tre diversi registri dello strumento:
•Una quinta giusta che si ripete ossessivamente, simbolo della luce, suonata negli armonici, che nelle sue undici apparizioni è sempre mutevole
(con variazioni di registro, ritmo, o numero di note).
•Nel registro basso il flautista suona e canta allo stesso tempo, come una
“voce del prete”, con diverse modalità: quinte, doppie e triple ottave parallele, oppure bordoni tenuti dal flauto mentre la melodia viene cantata
con la voce.
•Il livello dell’ “orante”, fra i due livelli precedenti, si presenta con suono
ordinario, senza o con poco vibrato, con le indicazioni “dolce, semplice”,
“dolcissimo” o “suoni neutri”. [Dorina Rotaru]
Carl Philip Emanuel Bach Trio Sonata in re minore WQ 145. Carl Philip Emanuel Bach,
secondo dei figli sopravvissuti di Bach, servì dal 1740 al 1767 alla corte del
Re di Prussia Federico il Grande come clavicembalista. Federico II assunse
al suo servizio Carl Philip Emanuel Bach nel 1738 e, dopo la sua incoronazione nel 1740, lo nominò clavicembalista principale della sua corte.
Nonostante Federico ne ammirasse la bravura come clavicembalista, era
debolmente affascinato alla sua attività di compositore: ciò spiega la relativa esiguità di opere per flauto scritte da Carl Philip Emanuel Bach nel
corso del suo lungo servizio alla corte di Federico. Come afferma nel 1772
il celebre giornalista e viaggiatore Charles Burney, entusiasta ammiratore
della sua musica, «il gusto musicale di Federico era quello di quaranta anni
fa»: ciò spiega perché Carl Philip Emanuel Bach non avesse ricevuto alla
corte di Potsdam la considerazione che senz’altro meritava, e perché il
compito di scrivere musica per le occasioni importanti fosse preferibilmente affidato a figure di minor rilievo come Carl Heinrich Graun (1704-1759)
e Johann Joachim Quantz, maestro di flauto di Federico e unico musicista
autorizzato a muovergli osservazioni e critiche. Sia numericamente che
nella storia di questo genere di composizione la Sonata in Trio è predominante nella produzione cameristica di Carl Philip Emanuel Bach. Il termine
Trio come sappiamo si riferisce al numero delle parti obbligate – e non al
numero degli esecutori. Dunque appartengono a questo genere sia opere
per uno strumento e clavicembalo obbligato che opere scritte nella forma più tradizionale con due strumenti e basso. Molte Sonate in Trio ci
sono pervenute in entrambe le versioni. Nella produzione di Carl Philip
Emanuel Bach sono presenti forme di Sonate in Trio di impronta contrappuntistica nelle quali il basso è coinvolto a pieno titolo nello svolgimento
del materiale tematico e lavori in stile italiano dai tratti meno polifonici
come appunto la Trio Sonata in re minore Wq 145 che ascolteremo questa
sera, nella quale il basso riveste un ruolo di semplice fondamento armonico. Questa sonata fu composta nel 1731 e successivamente revisionata nel
1740. Quest’ultima versione, originalmente concepita per flauto violino e
basso continuo veniva suonata dal Re con il violinista di corte Franz Benda
e Bach stesso al clavicembalo. Spesso la parte di violino veniva sostenuta
da Johann Joachim Quantz, maestro di flauto di Federico: da qui la tradizione di eseguire questo brano per due flauti e basso continuo come nel
concerto di questa sera. La Trio Sonata in re minore ha una stretta relazione con una sonata nella stessa tonalità per violino e cembalo obbligato
in passato attribuita a Johann Sebastian Bach (BWV 1036 nel catalogo di
Schmieder). La Sonata BWV 1036 è nel complesso meno elaborata e manifesta uno stile più antico rispetto alla Sonata WQ 145: la spiegazione più
probabile sembra essere che la Sonata BWV 1036 sia stata composta nel
1731 da Carl Philip Emanuel probabilmente con l’aiuto del padre mentre la
Sonata WQ 145 ne sia la versione definitiva del 1740.
Manila Santini
e Aldo Orvieto
pianoforte a quattro mani
bruckner | mahler
mercoledì 7 ottobre 2015
ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Anton Bruckner (1824-1896)
Sinfonia n. 3 in Re minore (WAB 103),
trascrizione per pianoforte a quattro
mani di Gustav Mahler (1877)
Moderato, con moto
Bewegt quasi Andante
Ziemlich Schnell
Allegro (Nicht schnell)
All’illustrissimo Signor Richard Wagner, all’ineguagliabile, famosissimo e sublime
Maestro dell’arte poetica e musicale in profondissima riverenza.
Con queste parole Anton Bruckner (1824-1896), in segno di assoluta
riverenza, dedicò a Richard Wagner la sua Terza Sinfonia. É arcinota la
debacle della sua prima esecuzione che ebbe luogo il 16 dicembre 1877
al Musikverein di Vienna diretta da Bruckner stesso non trovandosi alcun
altro che volesse assumersi tale impegno. Pubblico e critici musicali si
accomiatarono anzitempo così come fecero gli orchestrali dei Wiener
Philharmoniker non appena terminata l’esecuzione lasciando il desolato
Bruckner agli applausi di un manipolo di sostenitori. Ciò nonostante,
Theodor Rättig (1841-1912), lungimirante neo editore musicale, presente
al concerto, ne rimase favorevolmente colpito tanto poi da commentare:
“mi convinsi di essere in presenza di uno dei più potenti eroi musicali di
tutti i tempi, e spiriti di quella natura hanno il destino di camminare su una
strada di spine. Questa mia convinzione si rafforzò sempre più durante
l’ascolto”. Al termine dell’esecuzione un Bruckner, fortemente deluso ed
amareggiato, fu avvicinato da Rättig il quale, dichiarandogli la propria
ammirazione, lo convinse alla propria volontà di pubblicare la sinfonia sia
in partitura orchestrale che in riduzione per pianoforte a quattro mani.
Gustav Mahler (1860-1911) e Rudolf Krzyzanowski (1859-1911), ferventi
discepoli ed amici di Anton Bruckner, al tempo docente al Conservatorio
di Vienna, entrambi presenti al concerto si presero l’incarico di produrne
la trascrizione pianistica poi edita a Vienna nel gennaio del 1880 da
Bussjäger & Rättig. L’edizione avvenne a firma del solo Mahler in quanto
pare che Krzyzanowski non abbia poi di fatto mai partecipato alla stesura
del lavoro. La trascrizione piacque moltissimo ad Anton Bruckner che ne
dimostrò la gratitudine a Mahler facendogli dono del manoscritto della
seconda stesura della sinfonia ultimata il 28 aprile 1877. Dopo parecchie
traversie, tra cui anche il passaggio nelle mani di Alma Maria SchindlerMahler-Gropius-Werfel, il documento entrò finalmente in possesso del
Governo austriaco nel 1948 a seguito di aggiudicazione all’asta. Bruckner
e Wagner sono state personalità di assoluto riferimento per Mahler: la
proposta, peraltro assai rara, di questa trascrizione di un Mahler poco
meno che ventenne, acquista dunque un rilevante valore storico, culturale
e artistico. [Enrico Baraldi]
colori francesi
domenica 11 ottobre 2015
ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Louise Farrenc (1804-1875)
Trio op. 45 (1857) per flauto,
violoncello e pianoforte
Allegro deciso / Più moderato ed
espressivo – Andante – Scherzo
– Finale (Presto)
Charles-Marie Widor (1844-1937)
Suite op. 34 (1877) per
flauto e pianoforte
Moderato – Scherzo (Allegro
vivace) – Romance (Andantino)
– Finale (Vivace)
Gabriel Pierné (1863-1937)
Sonata da Camera op. 48 (1926)
per flauto, violoncello e pianoforte
Prélude – Sarabande – Finale
Gabriel Fauré (1845-1924)
Trio op. 120 (1923), versione
originale per clarinetto,
violoncello e pianoforte
Allegro ma non troppo
– Andantino – Allegro vivo
con il sostegno di
Palazzetto Bru Zane
Centre de musique
romantique française
Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauti
Davide Teodoro clarinetti
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforteonora
Louise Farrenc Trio op. 45. Louis Dumond, nata nel 1804 in una famiglia parigina di scultori e pittori che appartenevano all’antica “colonia” degli artisti della Sorbona (una congregazione di artisti che lavoravano al servizio dei reali di
Francia) fu una delle poche ragazze del suo tempo ad aver potuto ricevere
una buona educazione musicale come allieva di Anton Reicha fin dall’età
di quindici anni. Nel 1821 sposò Aristide Farrenc, flautista ed editore, imponendosi all’attenzione del mondo musicale come pianista, insegnante e
compositrice. Stimolata dalla sua passione per la musica antica raccolse e
pubblicò insieme al marito una ricca antologia di opere per clavicembalo e
pianoforte al tempo sconosciute. Tale immane lavoro di ricognizione storica del repertorio antico è testimoniato dai volumi che gli editori Farrenc e
Leduc pubblicarono tra il 1861 e il 1875: Trésor des Pianistes. Nel 1842 fu la
prima donna ad ottenere un posto di insegnante al Conservatorio di Parigi
anche se con un salario più basso di quello riconosciuto ai suoi colleghi maschi; mantenne con successo questo ruolo di prestigio fino alla morte, nel
1875. Smise di comporre nel 1859 in seguito all’immenso dolore provocatole
dalla prematura morte della figlia Victorine, fin da giovanissima prodigiosa
pianista e prima esecutrice di quasi tutte le sue opere. Il Trio op. 45, dedicato al flautista Louis Dorus (maestro di Paul Taffanel il quale fu a sua volta
maestro di Philippe Gaubert) è l’ultima sua opera da camera e rivela una
forte personalità nel temperare la predilezione per la solidità formale del
primo Romanticismo tedesco - con una particolare ammirazione per Schubert - con il gusto, la leggerezza e la raffinatezza timbrica francese.
Charles-Marie Widor Suite op. 34. Charles-Marie Widor, nato a Lione nel 1844 da un famiglia italo-ungherese di antica tradizione organara, è apprezzato per la sua
grande produzione di lavori per organo; tra questi uno almeno, la Toccata
che conclude la V Sinfonia, è universalmente noto per siglare i riti del matrimonio e della Pasqua con la sua esplosione di gioia. Widor fu organista
alla chiesa di Saint-Sulpice a Parigi dal 1870 al 1934, collaborò con Albert
Schweitzer alla edizione di riferimento delle opere per organo di Bach e fu
professore d’organo e di composizione al Conservatorio di Parigi ove ebbe
per collega il flautista Paul Taffanel, dedicatario della Suite op. 34. Composta nel 1898, ma tratta dalla musica di scena Le Conte d’avril di Augustin
Léon Dorchain andata in scena nel 1885 al teatro Odéon di Parigi, la Suite è
di fatto costruita secondo il modello sonatistico in quattro movimenti ben
contrastati ed efficacemente caratterizzati da pregnanti gesti romantici.
Nel primo movimento domina infatti una materia ribollente di lirico ardore, nel veloce scherzo una scenica reiterazione del gesto di apertura (un
salto ascendente di ottava). Il movimento lento è pervaso da atmosfere
sognanti e improvvisi sbalzi d’umore, irruenti e passionali mentre il Finale
rappresenta un galoppo fiero e virtuoso, ma dai tratti appena tormentati.
Per il suo tempo, il piano armonico della Suite può definirsi conservatore,
con modulazioni condotte sapientemente ma senza sfruttare le tecniche di
deformazione e rottura tipiche del linguaggio tardo romantico fin-de-siècle.
Gabriel Pierné Sonata da Camera op. 48. Gabriel Pierné, uno dei musicisti più noti e stimati del suo tempo, succedette nel 1910 al fondatore Édouard Colonne, alla
guida dell’ Association artistique des Concerts Colonne, una delle compagini
orchestrali più antiche e famose di Parigi (presso la quale operò fino al 1932).
Tra le sue molte prime esecuzioni l’assidua collaborazione con Diaghilev per
i Ballets Russe e la première della Sacre du printemps di Stravinskij. Proprio
in relazione alla sua profonda conoscenza delle diverse anime della musica
francese fin de siècle si avverte nella sua scrittura un desiderio di sintesi e
una tendenza alla sperimentazione di diversi linguaggi. La Sonata da camera op. 48, lavoro della piena maturità, rappresenta un momento di svolta
nella parabola artistica dell’autore con la precisa volontà di rinunciare alla
densità di scrittura alleggerendo il discorso musicale: concisione e ricerca di
purezza formale ed espressiva che aderisce all’emergente imporsi del neoclassicismo. Alla partitura viene infatti premesso l’esordio di Menalca nella
Quinta Egloga delle Bucoliche di Virgilio: «Perché, o Mopso, incontrandoci
qui, entrambi abili tu a soffiare leggere canne, io a cantare versi, non ci sediamo tra questi olmi misti a nocciuoli?» Dedicata alla memoria del flautista
Louis Fleury, fu commissionata dalla mecenate americana Elizabeth Sprague Coolidge, e creata il 16 ottobre 1927 da Marcel Moyse, Hans Kindler e
dall’autore al pianoforte. Sia l’organico strumentale - nel quale forse flauto
e violoncello simboleggiano i pastori di Virgilio - che la trama sonora trasparente e preziosamente cesellata richiamano alla memoria la Sonata per
flauto, viola e arpa di Debussy. Anche se la scrittura è solidamente classica,
con largo uso del contrappunto, i riferimenti stilistici sono molteplici: dagli
accenni politonali del primo movimento al colore neobarocco della Sarabanda, alla country dance citata nella parte centrale della veloce Giga finale.
Gabriel Fauré Trio op. 120. La pianista Yvonne Lefébur aveva undici anni quando suonò la
prima volta davanti a Fauré e fu una delle ultime persone a rendergli visita
pochi giorni prima della sua morte Tra le opere che ella suonò in questa
occasione le parti di pianoforte della Seconda Sonata per violoncello e
il Trio in re minore op. 120: « il suo aspetto mi impressionò fortemente ai
tempi della mia infanzia per la sua bellezza espressiva, il suo sguardo cupo,
ardente e dolce; lo ritrovai così fragile, ansioso, distrutto dalla sofferenza
senza dubbio morale oltre che fisica, straziante rivelazione della vecchiaia
per un essere ancora incosciente delle gioie della giovinezza». Malgrado
questa testimonianza drammatica, il Trio op. 120 è permeato da una limpida
serenità. Fu presentato in pubblico la prima volta in un concerto d’onore
alla Société National de Musique il giorno del 78. compleanno di Fauré, il
12 maggio, ma l’autore era troppo sofferente per potervi assistere. Assisterà però all’esecuzione del trio il 21 giugno seguente alla École Normal de
Musique da parte del celebre trio di Alfred Cortot, Jacques Tibaud e Pablo
Casals. L’opera fu concepita durante un periodo di riposo a Annecy-leVieux nel settembre del 1922 dove fu composto il celebre Andantino che
diverrà poi il fulcro emozionale dell’opera: una melodia infinita ove i tre
strumenti si scambiano incessantemente i ruoli sostenuti da un’evoluzione armonica di estrema raffinatezza. L’opera, concepita per clarinetto e
violoncello e pianoforte, fu portata a termine a Parigi nel marzo del 1923
e pubblicata, probabilmente per sole ragioni pratiche, senza alcuna menzione allo strumento a fiato. La scrittura intimamente fusa delle parti degli
archi nei movimenti estremi può far pensare ad un cambio di destinazione
strumentale dell’opera al tempo della ripresa del lavoro a Parigi molti mesi
dopo la composizione dell’Andantino. La questione rimane irrisolta dal
punto di vista dell’indagine musicologica ma l’ascolto della versione con
clarinetto rimane di notevole interesse per meditare sull’idea timbrica che
Fauré poteva aver concepito per quest’opera. Altro elemento enigmatico
risulta la citazione, nelle prime misure del finale, Allegro vivo - uno scherzo
impetuoso, virtuoso e brillante - dei Pagliacci di Leoncavallo, un’opera che
Fauré non amava: si è dunque propensi a ritenere la citazione non cosciente. Non meno affascinante degli altri movimenti è l’Allegro ma non troppo
che apre il Trio all’insegna di una toccante essenzialità melodica acquerellata da una armonia fluida e spoglia.
con il sostegno di
Palazzo Grassi - Punta
della Dogana
Ex Novo Ensemble
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Annamaria Pellegrino violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
itinerari musicali
della grande guerra
sabato 17 ottobre 2015
ore 20.00
Teatrino di Palazzo Grassi
Kurt Weill (1900-1950)
Quartetto in si minore (1918) per
due violini, viola e violoncello
Mässig – Allegro ma non troppo
(in heimlich erzählendem Ton)
– Langsam und innig – Durchaus
lustig und wild, aber nicht zu schnell
Marcello Panni (1940)
Luoghi dell’Apocalisse (2015)
per clarinetto e quartetto d’archi
La Visione di Patmos – La Caduta
di Babilonia – La Gerusalemme
celeste
Commissione Ex Novo Musica 2015
prima esecuzione assoluta
Max Reger (1873-1916)
Quintetto op. 146 in la
maggiore (1916) per clarinetto
e quartetto d’archi
Moderato ed amabile – Vivace
– Largo – Poco allegretto
Kurt Weill Quartetto in si minore. Kurt Weill compose pochissime opere da camera, la
maggior parte tra il 1918 e il 1923: due quartetti per archi (il Quartetto
in si minore senza numero d’opera e il Quartetto op. 8), una Sonata per
violoncello e pianoforte, il ciclo di liriche Frauentanz op. 10 (per voce e
cinque strumenti), il Klopslied per voce e due ottavini e fagotto (quest’ultimo datato 1925). Questi testi riflettono l’evoluzione del giovane Weil
durante il suo periodo studi alla Königlich Akademische Hochschule für
Musik di Berlino sotto la guida di Engelbert Humperdinck (1918-1919), il
suo breve incarico come direttore d’orchestra a Lüdenscheid (1919-20) e
gli studi nella classe di Ferruccio Busoni, iniziati nel 1921. Dal Quartetto per
archi in si minore (1918-1919), completato sotto la guida di Humperdinck,
alla Sonata per violoncello e pianoforte (1919-1920), lo stile di Weill già
subisce una trasformazione. Il Quartetto mostra un chiaro orientamento
verso modelli classici; è caratterizzato da un linguaggio tardoromantico
che si indirizza alla lezione di Richard Strauss, Hans Pfitzner e Max Reger
(evidente nella fuga assai ampia dell’ultimo movimento). Nella Sonata
per violoncello e pianoforte il suo vocabolario armonico, già ampio e non
convenzionale, muovendosi da solide basi tardoromantiche, subisce l’influenza di Debussy. Una chiara linea di demarcazione separa queste prime
due opere di musica da camera dai due successivi contributi, il Quartetto
per archi op. 8 e il ciclo di canzoni Frauentanz op. 10: l’insegnamento di
Ferruccio Busoni e la sua visione di una “nuova classicità”, avevano esercitato su di lui un considerevole fascino. Appare però sorprendente che, già
in questo primo quartetto, Weill avesse presente la lezione di Schoenberg
(il trattato di armonia è del 1911) che postula la scala cromatica alla base
della tonalità – principio che ovviamente conduce all’intercambiabilità tra
tonalità sullo stesso grado della scala. Tale propensione ad una struttura
armonica con alternanza continua di tonalità maggiori e minori sarà, come
sappiamo, uno dei perni fondamentali dell’estetica di Busoni. Weill già nel
1918 percepisce dunque l’ambivalenza tra tonalità maggiori e minori non
in una dialettica di opposti ma come stati d’animo che si compenetrano:
il passaggio dall’uno all’altro avviene nella sua musica impercettibilmente
e senza sforzo, quasi riflesso della vita interiore, spesso ricca di cambiamenti repentini e impercettibili di umore e fonte inesauribile di sentimenti
sempre nuovi e contrastanti.
Marcello Panni Luoghi dell’Apocalisse. Ho scritto l’oratorio Apokàlypsis nel 2009 per
la piazza del Duomo di Spoleto. Un’esperienza eccezionale, un viaggio
attraverso il libro più misterioso e simbolico del Nuovo Testamento con
la guida eccelsa del cardinale Gianfranco Ravasi. Da quel viaggio ho ora
estratto tre luoghi e la loro musica:
- la visione iniziale di Giovanni, con la processione delle apparizioni dei 4
Viventi, (Leone, Vitello, Uomo, Aquila) i 24 Anziani, il coro degli Angeli, il
Cristo sul trono, e infine l’Agnello: «Giunse e prese il libro dalla destra di
Colui che sedeva sul trono. E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi
e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei
santi […]»;
- la fine di Babilonia, cioè del mondo del corpo, corrotto e corruttibile:
«È caduta, è caduta Babilonia la grande, ed è diventata covo di dèmoni,
rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni uccello impuro e rifugio di
ogni bestia impura e orrenda: perché tutte le nazioni hanno bevuto del
vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con
essa e i mercanti della terra si sono arricchiti del suo lusso sfrenato […]»;
- la discesa della Gerusalemme Celeste e il trionfo della luce sul buio, dello
spirito sul corpo: «L’angelo mi trasportò in spirito su un monte grande e
alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da
Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di
una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino...». [Marcello
Panni]
Max Reger Quintetto op. 146. Il Quintetto con clarinetto, ultima opera di Reger, la cui
prima esecuzione avvenne cinque giorni prima della sua morte - il 6 novembre 1916 a Stoccarda - può considerarsi il testamento musicale del suo
autore. In cattive condizioni di salute e cosciente della durata relativamente breve della propria vita, Reger compose, con febbrile impeto, più
di centocinquanta partiture prima di morire a soli 43 anni. Il suo stile si
pone in opposizione alle grandi architetture post-romantiche di Mahler e
Strauss: pur abilissimo nello sviluppo dei materiali tematici, Reger guarda
piuttosto al classicismo viennese e a Bach, utilizzando un procedere contrappuntistico severo e un linguaggio armonico personale assai avanzato
e a tratti fortemente sperimentale. Come buon numero delle partiture di
grandi compositori che videro la luce negli ultimi mesi di vita, anche questo quintetto è avvolto da un’aureola di mistero, una sorta di crepuscolare
“chiamata all’aldilà”. Eloquenti appaiono i rapporti dell’opera di Reger
con il Quintetto op. 115 che Brahms scrisse due anni prima della morte. Il
musicologo tedesco Roland Häfner ha segnalato che in tutti i movimenti
del quintetto di Reger ritroviamo due motivi di quattro note che costituiscono una sorta di “motivi paralleli” a quelli presenti nel quintetto di
Brahms. Reger usa questi elementi tematici in modo evidente ma anche,
con sottile maestria, nel contesto degli sviluppi cromatici: si tratterebbe
dunque, secondo Häfner, di un omaggio secreto a Brahms. Venticinque
anni separano le due opere, in un’epoca ricca di sviluppi musicali, anni di
evoluzione del linguaggio ben visibili nel lavoro di Reger. Come Brahms,
anche Reger aveva una predilezione per il clarinetto. Lo strumento è trattato con una sobrietà che cancella tutti quegli attributi di virtuosismo e
di pomposità propri della scrittura anteriore; si fonde efficacemente nel
colore degli archi, tratteggiando un ambiente sonoro in “pianissimo” tra
l’amabile, il pietoso e il piangente e animando il discorso musicale con
fremiti di profonda e a tratti tragica pulsione narrativa.
SIAE Classici di Oggi
con il sostegno di
SIAE
Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino e viola
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte
vie d’acqua
sabato 24 ottobre 2015
ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
George Crumb (1929)
Vox Balenae (1971) per flauto,
violoncello e pianoforte amplificati
Vocalise - Sea Theme – Archeozoic
– Proterozoic – Paleozoic – Mesozoic
– Cenozoic – Sea Nocturne
Filippo Perocco (1972)
Detrito in Acquagranda (*),
Detrito in Acquapietra, Detrito
in Acquatorbida (*) (2014/15)
per flauto, clarinetto, violino,
violoncello e pianoforte,
risuonatori e suoni in lontananza
(*) Commissione Ex Novo Musica 2015
prima esecuzione assoluta
Salvatore Sciarrino (1949)
Perduto in una città d’acque (1991)
per pianoforte
Hanns Eisler (1898-1962)
Vierzehn Arten, den Regen zu
beschreiben, Op. 70 (1941) per
flauto, clarinetto, violino, viola,
violoncello e pianoforte
(dedicato ad Arnold Schoenberg
per il suo 70° compleanno)
George Crumb Vox Balenae. È stato composto nel 1971 per la New York Camerata ed è
stato ispirato da una registrazione del canto delle megattere che ascoltai
nel 1969. Ciascuno dei tre musicisti deve indossare una mascherina nera
per tutta la durata della performance. Le maschere hanno la funzione di
evitare che si instauri un rapporto di proiezione umana tra l’esecutore e
i suoni da lui emessi, e il performer simboleggia le potenti e impersonali
forze della natura, di una natura “disumanizzata”. La forma di Vox balenae
è semplicemente tripartita: consiste in un prologo, in una serie di variazioni
intitolate alle ere geologiche e da un epilogo. Il Vocalizzo di apertura (in
partitura: “selvaggiamente fantastico, grottesco”) è una sorta di cadenza
per il flautista, che deve simultaneamente suonare il suo strumento e
cantare dentro di esso. La combinazione di suoni strumentali e vocali
produce un timbro surreale ed inquietante, non lontano dai suoni del
canto delle megattere. La conclusione della cadenza è annunciata dalla
parodia delle misure di apertura di Also sprach Zarathustra di Strauss. Il
Tema del mare (in partitura: “solenne, con maestosa calma”) è presentato
dal violoncello (in armonici), accompagnato da accordi scuri e fatali
prodotti ponendo in vibrazione le corde del pianoforte. La sequenza delle
variazioni comincia con le ossessionanti grida dei gabbiani marini dell’
Archeozoico (in partitura: “senza tempo, incipiente”) e gradualmente,
crescendo di intensità, raggiunge il suo climax nel Cenozoico (in partitura:
“drammatico, con senso del destino”). L’apparire dell’uomo nel Cenozoico
è simbolicamente marcato da una parziale riproposizione del riferimento a
Zarathstra. Il Notturno del mare (in partitura: “sereno, puro, trasfigurato”)
è una elaborazione del Tema del mare: Il brano è scritto nelle tonalità
limitrofe al si maggiore ed emergono i suoni scintillanti dei crotali (suonati
alternativamente dal violoncellista e dal flautista). Nel comporre il
Notturno del mare cercavo di evocare “il ritmo ampio della natura” e un
senso di sospensione del tempo. Il gesto che conclude l’opera è una serie
di ripetizioni di una figura di dieci note che si estingue gradualmente.
Per l’esecuzione in concerto l’ultima figura è da suonarsi “in pantomima”,
quasi un diminuendo oltre la soglia dell’udibile. [George Crumb]
Filippo Perocco Detrito in Acquagranda, Detrito in Acquapietra, Detrito in Acquatorbida.
I nuovi lavori di questa sera, Detrito in Acquagranda e Detrito in
Acquatorbida, si aggiungono a Detrito in Acquapietra un brano scritto per
l’Ex Novo Ensemble nel 2014. Fanno parte del Catalogo di detriti, macerie
e rovine, un’ampia raccolta di vari brani realizzati dal 2003 ad oggi per
insiemi diversi. Prendendo a prestito la tecnica del grattage, raccolgo lo
scarto di materiale “altro” per la realizzazione di queste ed altre miniature.
[Filippo Perocco]
Salvatore Sciarrino (1949) Perduto in una città d’acque (1991) per pianoforte. Perduto
in una città d’acque ha impresso «il sorriso taciturno di Nono», il parlare
«attraverso il torpore della sua malattia». Non un semplice «viaggio
veneziano» e neppure un omaggio a Luigi Nono morente, ma piuttosto il
«dilatato gocciare dei suoni», il «rivolgersi della memoria, della percezione
su di sé, mentre ci perdiamo, allorché riconosciamo e non riconosciamo».
Il cercare «la varietà inesauribile delle esperienze», il «gettar via» ogni
maschera, questo il cuore dell’affetto di Sciarrino per Luigi Nono, «maestro
e fratello adolescente». Perduto in una città d’acque, è dedicato ad Alvise
Vidolin «con l’entusiasmo di una amicizia che mette radici». (Le citazioni
sono tratte da Salvatore Sciarrino, Carte da suono, Palermo/Roma, 2001,
Edizioni CIDIM)
Hanns Eisler Vierzehn Arten, den Regen zu beschreiben, Op. 70. Il quintetto Vierzehn
Arten den Regen zu beschreiben (Quattordici modi di descrivere la
pioggia) nasce come musica per film e, contemporaneamente, come
hommage di Eisler al suo maestro, Arnold Schoenberg. Nel 1928 il regista
Joris Ivens aveva realizzato un documentario muto (Regen) sulle diverse
ambientazioni prima, durante e dopo la pioggia ad Amsterdam, per il quale
Lou Lichtfeld aveva composto una prima colonna sonora. Eisler compose
un nuovo brano che, tramite una nuova tecnica, potesse sottolineare la
complessità e la sperimentalità del film di Ivens. La tecnica in questione
è quella dodecafonica, mutuata da Arnold Schoenberg: partendo da una
serie di dodici note si costruiscono le melodie e le armonie, utilizzando
i suoni nella serie originale, il suo inverso, il retrogrado, l’inverso del
retrogrado ecc. Non sono sufficienti tuttavia logica e rispetto delle
regole matematiche per creare musica, tanto più che Eisler riesce, in
quest’apparente costrizione compositiva, a realizzare atmosfere che
spaziano dal più semplice naturalismo, in perfetta simbiosi con le immagini
filmiche, a tratti di estremo contrasto con quanto propone l’opera di
Ivens. Il pezzo consiste in quattordici brevi brani che si susseguono in
un alternarsi sapiente di caratteri e suggestioni. Non solo l’organico è
quello utilizzato nel Pierrot lunaire di Schoenberg, ma anche la serie
musicale è dedotta dal nome del compositore (A, D, eS, C, H, E, B, G).
La composizione fu iniziata nell’estate del 1941 e conclusa il 18 novembre
dello stesso anno a New York. La prima ebbe luogo il 13 settembre di
tre anni dopo, in occasione del settantesimo compleanno del maestro e
ispiratore di Eisler. Anni dopo il compositore, durante un colloquio con
il dottor Hans Bunge, confessò che il titolo del brano potrebbe essere
anche «Vierzehn Arten, mit Ansand traurig zu sein» (Quattordici modi per
essere tristi con decenza), poiché in molte lingue la pioggia è un simbolo
della tristezza, e quindi egli, con la sua composizione, aveva descritto
un’ «anatomia della tristezza - o un’anatomia della malinconia». Il suo
interlocutore gli rispose: «Anche questo fa parte dell’arte. Non voglio dire
che sia il tema centrale del XX secolo… ma anche questo può accadere
in un’opera d’arte».
in collaborazione con
SaMPL Sound and Music
Processing Lab e CSC Centro
di Sonologia Computazionale
dell’Università di Padova
Art Percussion Ensemble
Ambra Ceroni Agostinelli (3),
Mattia Basi (2), Marco Buffetti (4),
Benedetta Colasanto (3), Pietro
Cantamessa (2), Simone Gargenti (2),
Carlo Tosato (1)(4) percussionisti
Sebastiano Aleo, Gabriele Barzano,
Raul Masu microfonisti
Alvise Vidolin regia sonora
Luca Richelli e Massimo Pastore
concezione progettuale e direzione
musicale
gesti elettronici
sabato 31 ottobre 2015
ore 18.00
Conservatorio Benedetto Marcello
Sala concerti
Iannis Xenakis (1922-2001)
Rebonds (1987/88)
per un percussionista (1)
Diamorphoses (1958)
per nastro magnetico
Okho (1989) per tre djembés (2)
Gérard Grisey (1946-1998)
Stèle (1995) per due percussionisti (3)
Karlheinz Stockhausen (1928-2007)
Mikrophonie I (1964), per tam-tam,
due microfoni, due filtri con
potenziometri (6 esecutori) (4)
Iannis Xenakis Rebonds. È stato scritto per Sylvio Gualda e ha debuttato nel luglio 1988 a
Villa Medici a Roma. Meno utopistico di Psappha, il precedente lavoro di
Xenakis per sole percussioni, costituisce anch’esso uno studio su regolarità/irregolarità, impulso, pattern e forma. Anche Rebonds richiede una tavolozza limitata di strumenti, in questo caso sette tamburi e cinque templeblocks. Come Pleiades assume una forma in più movimenti, in questo caso
due invece di quattro: l’ordine di esecuzione dei movimenti è libero. Le due
sezioni richiedono uno strumentario leggermente diverso: la prima utilizza
solo pelli, mentre la seconda introduce i cinque temple-block. Rebonds fa
parte di un gruppo di opere (Pléiades, Idmen B) nelle quali viene affermata
una maggior regolarità ritmica. La parte A evolve da una scrittura musicale
irregolare, verso una sorta di movimento perpetuo. La parte B, è ancora caratterizzata da un movimento di bongo regolare che viene questa volta interrotto dalla grancassa con accenti spostati, mentre i cinque temple-block
si inseriscono più volte nel discorso musicale irrompendo in un tempo più
rapido. A parte rare eccezioni, le nuance sono sempre nel fff. La scrittura
che Xenakis privilegia per le percussioni non sfrutta mai risonanze, ma limita la sua funzione estetica all’impatto dell’attacco percussivo. Se cerchiamo
riferimenti per questa sua concezione musicale, li troviamo debolmente nelle nostre civiltà musicali ma vivi nelle musiche extra-europee ove possiamo
senz’altro riscontare le radici della violenza, quasi primitiva, della sua musica. Anche Rebonds, forse in forma meno maniacale rispetto a Psappha,
indaga l’energia primaria della pulsazione e la capacità delle percussioni di
produrre - mediante sottili variazioni ritmiche dei materiali che si stratificano sulla pulsazione continua - uno stato di straniamento vicino all’ipnosi.
Iannis Xenakis Diamorphoses. A questo brano Xenakis lavora principalmente nel 1957 nello
storico studio di musica concreta del GRM di Parigi diretto da Pierre Schaeffer, di cui utilizza le principali tecniche realizzative partendo da un ricco
catalogo di suoni registrati, molti dei quali ancora riconoscibili nell’ascolto
dell’opera. Pur contenendo esclusivamente materiali sonori di pura natura acustica, questo lavoro di Xenakis si discosta dalla concezione teoricoformale di Schaeffer e del suo gruppo di ricerca, cercando nuovi paradigmi
compositivi, non più basati sulla logica “linguistica” del tema, contro-tema,
frase, ecc. bensì applicando concetti innovativi come la fusione dei suoni piuttosto che la loro combinazione, la relazione continuo-discontinuo,
il rapporto timbro-rumore, l’uso strutturale del glissando, accelerazioni e
arresti, la percezione logaritmica della densità, l’esplorazione dell’intero
campo frequenziale d’ascolto e l’applicazione di processi stocastici. Da un
punto di vista formale il pezzo si evolve in un’unica campata di 6’50’’ con
una logica di evoluzione continua, anche se al suo interno si possono individuare tre zone segnate dai punti 2’48’’ e 4’13’’. L’intera forma, quindi,
non è concepita come il risultato di una combinazione, ma piuttosto come
una trasmutazione qualitativa, grazie alla quale, pur partendo da materiali
concreti elementari, Xenakis fa emergere morfologie di suono ben più complesse ed elaborate della loro semplice somma.
Iannis Xenakis Okho. Il lavoro è stato scritto nel 1989 per il trio Le Cercle e commissionato
dal Festival d’Automne. Considerando lo strumentario assai ricco normalmente richiesto da Xenakis per le sue opere con percussioni sorprende che
Xenakis limiti il suo organico a soli tre djembés africani: forse inintenzionale,
tale scelta è stata letta come una presa di posizione trasversale contro il colonialismo. Il fascino di questi tamburi, meravigliosamente ricchi e risonanti,
è senz’altro notevole. Gli djembés sono in grado di produrre una vasta gamma di suoni in relazione al luogo ove la mano colpisce la pelle e al tipo di
attacco percussivo. Okho è strutturato in quattro sezioni principali ognuna
delle quali si distingue per tipo di materiali e tempo; la prima e l’ultima sezione contengono materiali contrastanti cosicché in realtà il brano propone
sei entità compositive diverse. Il lavoro sfrutta la timbrica e le caratteristiche
tecniche dei djembes e al tempo stesso si concentra sugli interessi di Xenakis in merito a costruzione di pattern, uso della pulsazione regolare , dialettica tra regolarità e irregolarità. Nell’uso dei pattern il compositore sfrutta
processi di variazione e “ritardo” di alcune linee ritmiche su altre. Anche
in Okho, come avviene nel caso dei drammatici lunghi silenzi presenti in
Psappha, vi sono moduli che “tagliano” la continuità ritmica con zone timbriche costituite da rulli con le unghie delle dita, attacchi a intermittenza,
sospensioni del tempo, introduzione di ritmi diversi e di elementi poliritmici.
Particolarmente affascinante - nella seconda sezione - un passaggio con
glissandi, scritti in forma dialogante tra gli esecutori, i quali evidenziano
il carattere idiomatico, quasi “parlante”, dei suoni degli djembés. L’effetto si ottiene facendo scorrere una mano sulla pelle del tamburo mentre
con l’altra mano si colpisce la pelle. I numerosi, bruschi, scarti di velocità
della pulsazione inseriscono elementi di vitalismo nel continuum regolare
del tempo. La sezione finale elabora la dialettica regolarità-irregolarità indagata nelle precedenti tre parti del brano: materiale contrastante creato
da brevi figure regolari in terzine, pulsazioni che vanno gradualmente fuori
fase (ogni esecutore acquisisce un tempo indipendente), poliritmi, e suddivisioni improvvisamente più veloci creano una texture dal carattere furioso.
L’impulso sincronizzato ritorna verso la fine del brano e, nelle battute finali,
sfocia in una drammatica conclusione.
Gérard Grisey Stèle (1995). Come riuscire a far emergere il mito della durata, un flusso la cui
organizzazione cellulare obbedisce a leggi imperscrutabili? Come disegnare,
in forma arcaica, con convinzione e rimanendo in ascolto del silenzio una
pulsazione ritmica dapprima indistinguibile, poi infine martellata? Componendo mi è apparsa un’immagine: quella degli archeologi che hanno scoperto una stèle e la puliscono fino a mettere in luce una iscrizione funeraria.
[Gerard Grisey]
Karlheinz Stockhausen Mikrophonie I. Il brano fu eseguito la prima volta a Bruxelles nel
1964 e stabilì subito un nuovo paradigma per la musica elettronica. Il microfono che fino ad allora era sempre stato usato come mezzo passivo di documentazione acustica - considerato come una sorta di orecchio “oggettivo”
nella registrazione ad alta fedeltà - diventa in questa composizione uno
strumento attivo, che va “suonato” seguendo una partitura al pari degli altri
strumenti. I suoni che il microfono deve captare sono le molteplici eccitazioni che il percussionista effettua sulla superficie di un enorme tamtam, utilizzando varie tipologie di materiali, anche del tutto estranei allo strumentario
dei battenti percussivi. E il microfonista deve suonare a quattro mani con
il percussionista stesso, avvicinandosi ai punti di emissione per creare primi piani sonori al pari di uno zoom ottico, oppure esplorando la superficie
vibrante del tamtam, alla ricerca delle innumerevoli varianti timbriche delle
sue risonanze. I suoni così captati vengono ulteriormente trasformati da
un terzo esecutore elettronico che agisce su un filtro dinamico, tramite il
quale può selezionare una fetta di suono più o meno ampia e collocata nel
registro prescritto in partitura. Il nucleo esecutivo di base è quindi composto
da tre esecutori: un percussionista “eccitatore”, un microfonista “captatore” e un elettronico “selezionatore” al filtro passa banda dinamico. Ci sono
due gruppi di tre esecutori così costituiti che principalmente si alternano
nell’esecuzione delle 33 strutture musicali che costituiscono la partitura di
Microphonie I, ma accade anche che in alcune strutture suonino tutti insieme. La forma del pezzo mantiene la logica della momente form, ideata in
quegli anni dall’autore, che in questo caso si manifesta attraverso la curiosa
identificazione del momento con il nome evocativo del suono stesso che lo
caratterizza. Con questa composizione Stockhausen amplia il suo percorso di ricerca nel campo della musica elettronica aprendo il campo al Live
Electronics e raggiungendo anche con il mezzo elettronico quella libertà e
gestualità esecutiva tanto difficile da esprimere nel lavoro in studio con il
nastro magnetico negli anni precedenti. [Alvise Vidolin]
Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Annamaria Pellegrino violino
Francesco Lovato violino e viola
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
Edison Denisov Widmung. Il brano (in italiano “dedica”) è stato scritto nel 1991 per il Nash
Ensemble utilizza nel breve spazio di tempo in cui si dipana, tutti gli artifizi
compositivi che sintetizzano la cifra del grande maestro russo. Il lavoro
inizia infatti con un liberissimo fugato, quasi indecifrabile all’ascolto, a
causa della presenza di figurazioni ritmiche affidate a gruppi irrazionali,
(grandi quintine composte, terzine etc.) e, per di più, condotto mediante
una scrittura intervallare che indaga sapientemente il campo microtonale. Attraverso una transizione che tende a chiarificare il materiale
domenica 15 novembre 2015
ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
dalla luce alla luce
Germano Scurti bayan
Sofia Gubaidulina Silenzio. È stato scritto nel 1991 ed è dedicato a Elsbeth Moser.
L’originalità dei nuovi suoni che Sofia Gubaidulina ha pensato per il bayan
nell’ambito simbolico-religioso della propria musica si fondono con grande
originalità e raffinatezza a quelli del violino e del violoncello, strumenti
di antica tradizione accademica. “Silenzio” è inteso come terreno fertile
di generazione e crescita dei suoni a partire dalla spiritualità interna ai
singoli suoni che gli strumenti “lanciano” nell’ambiente, luogo “sacro”
in grado di farli risuonare. Afferma la Gubaidulina: «la maggior parte del
lavoro va suonata pianissimo, non ha l’intenzione di esprimere il silenzio o
di creare una tale impressione. Il silenzio è il fondamento dal quale cresce
ogni in cosa.» Una tecnica di scrittura che regola lo sfasamento dei suoni
tra uno strumento e l’altro crea nell’ambiente una sorta di “risonanza
infinita”. Come racconta la compositrice stessa: «le stesse relazioni
ritmiche appaiono in modi diversi in ciascuna delle cinque miniature talvolta nascoste, talvolta espresse nelle proporzioni tra i valori delle
note». L’autrice ha confessato all’amico Friedrich Lips - fisarmonicista
storico della tradizione sovietica e grande innovatore delle tecniche dello
strumento - indicando il bayan: «Sa perché mi piace tanto questo mostro?
Perché respira.» Infatti al culmine del quinto movimento di Silenzio gli
strumenti ad arco cedono la loro potenza espressiva al bayan, il quale si
esprime con un respiro, tranquillo ma movimentato, scritto su un ritmo
derivato dalla sequenza di Fibonacci (1, 2, 3, 5, 8, 13, etc.). Sembrano quasi
“variazioni su un ritmo”: è a questo punto che si sveglia il “mostro” con
la sua cadenza. Le proporzioni numeriche - impossibili da decodificare
all’ascolto - ci trasmettono però il senso della presenza di una “regola”
liturgica che sottrae l’invenzione alla soggettività autoreferenziale per
consegnarla all’umanità come oggetto di comune integrità spirituale.
Sofia Gubaidulina (1931)
Silenzio (1991/2010) per violino,
violoncello e bayan
Edison Denisov (1929-1996)
Widmung (1991) per flauto,
clarinetto e quartetto d’archi
Simone Movio (1978)
Incanto XI (2015) per flauto,
clarinetto, violino e violoncello
prima esecuzione assoluta
Elena Firsova (1950)
Dalla Luce alla Luce op. 154 (2015)
per bayan, due violini, due viole
e violoncello
Commissione Ex Novo Musica 2015
prima esecuzione assoluta
presentato - uniformando il ritmo e riportando la struttura intervallare
da micro-tonale a tonale - il libero fugato dell’esordio, senza soluzione
di continuità, si trasforma in un vero e proprio canone rigoroso, ma così
ravvicinato tra le sei parti, da dar quasi la sensazione di una riverberazione
interna ad una sola linea: come un gatto che insegue la propria coda, non
si riconosce più “chi è l’eco di chi”. A questo punto una semplice frase del
clarinetto conduce ad un “agitato” omoritmico che a poco a poco si fa
“più tranquillo” e ci riporta a ritroso nel regno delle armonie micro-tonali
dell’inizio che si cristallizzano infine in un lungo pedale armonico degli
archi, sopra il quale, flauto e clarinetto mimano, in un fioco baluginio, un
ultimo simulacro di fuga, sempre più breve però, sempre più intermittente,
sino all’unica ultima nota del flauto che, come un punto posto a fine di
frase, conclude il lavoro.
Elena Firsova (1950) Dalla Luce alla Luce op. 154. Si tratta di una composizione in un
movimento, una specie di breve concerto da camera per accordion e
quintetto d’archi (due violini, due viole e violoncello). In questo pezzo
si può seguire il percorso della Vita di una persona dal principio alla fine.
La composizione è stata scritta in questo 2015 per il magnifico bayanista
Germano Scurti e l’Ex Novo Ensemble, ispirata dalla fantastica esecuzione
del mio pezzo Crucifiction fatta lo scorso anno da Germano Scurti ed è a
lui dedicata. [Elena Firsova]
Il titolo del brano Dalla Luce alla luce, crea un immediato court-circuit
con una delle ultime opere di Edison Denisov Des ténèbres à la lumière,
edito dall’editore francese Leduc nel 1995, l’unico brano che il compositore
russo dedicò all’accordion. Una certa relazione tra le due opere non è solo
motivata dal dichiarato affetto intellettuale che Elena Firsova ha sempre
riservato a Denisov ma anche dall’uso di una complessa struttura di campi
armonici attraverso la quale i due autori conquistano, ciascuno seguendo
la propria sensibilità, una nuova gestualità espressiva atta a spezzare
il gelo del rigore formale posto a fondamento del fatto compositivo.
Senza alcuna concessione - né tanto meno nostalgica reverenza - ai
linguaggi del passato l’apparizione della luce appare meraviglioso dono
per una generazione di musicisti che ha vissuto con passione gli anni bui
dell’avanguardia, i suoi prolifici rigorismi e le sue critiche schematizzazioni.
Simone Movio Incanto XI
“Ecco la magia primordiale
che regge tuttora la nostra plastica e
ritmica, fin dalle origini.
E finalmente qui ne rinasce un primo
ricordo, che si chiama noi stessi.”
La luce del tempo di Arturo Onofri (1885-1928)
Assai difficile comunicare qualcosa sul lavoro del comporre, ma lo si
potrebbe sentire come il tessere la tunica dell’imago contemplata nella
dimensione dell’incanto. [Simone Movio]
in collaborazione con
Palazzo Grassi – Punta
della Dogana
Ex Novo Ensemble
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Annamaria Pellegrino violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
verso il “nuovo mondo”
sabato 21 novembre 2015
ore 20.00
Teatrino di Palazzo Grassi
Antonin Dvorák (1841-1904)
Quartetto in fa maggiore op. 96
“Americano” (1893) per due violini,
viola e violoncello
Allegro ma non troppo – Lento
– Molto vivace - Finale (Vivace
ma non troppo)
Samuel Coleridge-Taylor (1875-1912)
Quintetto op. 10 in fa diesis minore
(1895) per clarinetto, due violini,
viola e violoncello
Allegro moderato – Larghetto
affettuoso – Allegro leggero
– Allegro agitato
Antonin Dvorák Quartetto in fa maggiore op. 96 “Americano”. Alla fine della sua prima
stagione come direttore del Conservatorio Nazionale di New York Dvorák
trascorse l’estate del 1893 presso la colonica ceca di Spillville, nel nord-est
dello Iowa con la sua famiglia e i compatrioti cechi. In quest’atmosfera
serena vedono la luce dapprima il Quartetto in fa maggiore op. 96
“Americano” e subito dopo il Quintetto per archi in mi bemolle op. 97
“Indiano”. Per l’abbozzo del Quartetto op. 96, Dvorák impiegò tre soli
giorni dall’otto al dieci giugno 1893; due giorni più tardi iniziò a preparare
la partitura, completata il 23 giugno. Il quartetto Kneisel ne diede la prima
esecuzione a Boston, del gennaio del 1894. Come in tutta la produzione
americana di Dvorák l’andamento melodico ricorda elementi del folklore
ma non si incontrano mai vere e proprie citazioni di spiritulas negri o di
“canti delle piantagioni”. Il trattamento sincopato dei temi del primo
movimento evidenzia un forte legame tra l’incedere ritmico dei canti negri
e le danze del folklore slovacco. E’ un contemplare tranquillo e curioso
di un paese straniero - ma accogliente - di cui si apprezzano le comuni
radici di amore per la natura, la campagna, i modi di vita contadini.
Dvorák è sensibile alla grazia melanconica della grande prateria (nel
movimento lento), e al fascino esotico della natura. Nello Scherzo appare
infatti, in modo inusuale e repentino, un’idea melodica secondaria tratta
dal canto rapido e incessante di un “uccello dannato”, un uccello rosso
incontrato dall’autore durante una passeggiata nelle foreste di Spillville.
Alcuni studiosi, sulla base di registrazioni di canti delle varie specie di
uccelli d’America, hanno individuato effettivamente una specie che
canta cinque brevi frammenti melodici (non quattro, come nel tema
di Dvorák), discendenti per terze, con cadenza estremamente rapida e
notevole potenza vocale. Il Rondò finale, essenzialmente omofonico,
prende parte alle gioie domenicali dei villaggi. Si può forse immaginare
l’episodio centrale, un corale, come una improvvisazione di Dvorák per
la messa, sul piccolo organo della chiesa di St. Wenceslas nella chiesa
di Spillville. Come in altre opere del suo primo soggiorno americano, un
ruolo importante è riservato all’uso della scala pentatonica. Nel primo
movimento, una certa somiglianza con l’incipit del Quartetto in mi minore
“From my Life” di Smetana (con la melodia affidata alla viola, i violini
in tremolando, e il violoncello che tiene la nota pedale) evidenzia quei
sentimenti di nostalgia e tenerezza con cui l’autore guarda alla sua patria,
espressi frequentemente, e con profonda emozione, in tutte le opere del
periodo trascorso in America.
Samuel Coleridge-Taylor Quintetto op. 10. Opera giovanile di Samuel Coleridge-Taylor,
compositore e direttore d’orchestra afro-britannico, il Quintetto op. 10 è
un lavoro sorprendentemente maturo per un ventenne. Raccoglie la sfida
di Charles Stanford, suo maestro al Royal College of Music di Londra, il
quale sosteneva provocatoriamente che nessuno, dopo Brahms, sarebbe
stato in grado di scrivere un quintetto con clarinetto! Figlio di un medico
africano e di una donna inglese, Coleridge-Taylor ebbe grande notorietà
soprattutto grazie a tre tournée americane (1904-1910) che lo resero
celebre come “African Mahler” o “Black Mahler”. Come compositore
subì profondamente l’influsso del folklore africano, che successivamente
integrò e elaborò attraverso lo studio della musica dei neri e degli indiani
d’America. Seguendo l’esempio dei grandi compositori romantici (Brahms,
Grieg, Dvorák) egli innestò la musica folk negra e gli spirituals americani, in
forma riconoscibile, ma mai letterale, nel tessuto formale della tradizione
musicale europea. Il suo oratorio Song of Hiawatha, su testo del poeta e
educatore americano Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882) per soli,
coro e orchestra, ispirato alla leggenda indiana del pellerossa Hiawatha,
divenne una tra le opere musicali più popolari in Inghilterra nei primi
anni del secolo. Tale composizione lega biograficamente CooleridgeTaylor ad Antonin Dvorák, il quale a sua volta tentò di portare a termine il
progetto di scrivere un’opera americana basata sulla medesima leggenda:
progetto che non giunse oltre la fase degli abbozzi preliminari e che sfociò
successivamente nella popolarissima Sinfonia op. 95 “Dal nuovo mondo”.
Il Quintetto op. 10 merita senz’altro di andare ad arricchire il repertorio
per questa formazione, si fa apprezzare per la sua solida architettura e la
sua profonda sensibilità: presenta due movimenti finali basati su materiale
popolare che palesano inequivocabilmente l’ammirazione del suo autore
per la lezione di Dvorák.
SIAE Classici di Oggi
in collaborazione con
SaMPL Sound and Music
Processing Lab e CSC Centro
di Sonologia Computazionale
dell’Università di Padova
con il sostegno di
SIAE
Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauti
Davide Teodoro clarinetti
Carlo Lazari violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte
Alvise Vidolin
regia sonora e live electronics
visioni elettroacustiche
sabato 28 novembre 2015
ore 18.00
Conservatorio Benedetto Marcello
Sala Concerti
Raphaèle Biston (1975)
Figure & Profile (2015) versione
per flauti, clarinetti, violoncello
e pianoforte
Luca Richelli (1963)
Echi di dolore (2015) per flauto in sol,
clarinetto basso, violino, violoncello
pianoforte e live electronics
Claudio Ambrosini (1948)
Una forma, chiusa (1981) per flauto,
violino e viola
Stefano Gervasoni (1962)
Luce ignota della sera (da Robert
Schumann, op. 85 n.12) (2015) per
pianoforte e live electronics
Corrado Rojac (1968)
Nella notte III (2012) su frammenti di
versi di Srecko Kosovel, per violino,
violoncello e pianoforte
Mosso fluidamente – Mosso
– Mosso fluidamente – Mosso
prima esecuzione assoluta
Vittorio Montalti (1984)
Abandoned Places (2015) per flauto
basso, clarinetto basso, violino,
violoncello, pianoforte e elettronica
I brani di Raphaèle Biston, Luca Richelli,
Stefano Gervasoni e Vittorio Montalti
sono Commissioni Ex Novo Musica
2015, in prima esecuzione assoluta
Raphaèle Biston Figure & Profile. Da trame sonore formate da un groviglio di linee
oscillanti emergono alcune figure ritmiche o melodiche il cui sviluppo
è ugualmente determinato da un principio di oscillazione. Risonanze,
mélange di timbri e di colori armonici cangianti danno al tutto un carattere
dolce, sinuoso, leggermente incerto. Una seconda parte evoca un piccolo
meccanismo danzante, ed è in contrasto con la precedente sia per il
registro (grave) che per i timbri utilizzati (qui colorati di rumore). Anche in
questa seconda sezione, la musica si fonda su un principio di ripetizione,
che a volte concentra l’attenzione su una cellula praticamente immobile
mentre altre, al contrario, sottopone il materiale a incessanti mutazioni,
rinnovandolo perpetuamente. Un breve ritorno dell’esposizione iniziale
trascina il flauto e il clarinetto fino ai limiti del loro registro acuto. Scritto
inizialmente per flauto, clarinetto, cymbalum e violoncello, Figure et Profil,
nella sua prima versione, era legato al timbro e alla risonanza particolare
del cymbalum. Questa nuova versione, abbastanza diversa dalla prima,
tenta di ritrovare quell’atmosfera utilizzando il pianoforte in modo spesso
non convenzionale, facendo molto uso di armonici, pizzicati, bacchette
etc. Questo strumento ha un ruolo centrale nel pezzo: sia marcatamente
solistico che nell’insieme con gli altri tre strumenti; anche per la funzione
di “collante” che la sua tessitura assicura fra il registro acuto del flauto e
del clarinetto e il registro grave del violoncello. [Raphaèle Biston]
Luca Richelli Echi di dolore. Si tratta di una composizione di origine autobiografica che
traspone in musica l’esperienza del dolore fisico, e in modo particolare, il
cambiamento della percezione dello scorrere del tempo. La musica non
può che esistere nel tempo, che non è il tempo assoluto, ma è il tempo
relativo che ognuno di noi percepisce in modo differente. Il dolore altera
progressivamente la nostra percezione temporale fino al limite della stasi
totale in cui il tempo stesso sembra non esistere più. Il live electronics
gioca proprio il ruolo di “alteratore” della percezione del tempo attraverso
il “congelamento” dell’evoluzione del suono strumentale. Da un punto
di vista strutturale, la composizione si sviluppa proprio dall’equilibrio, o
meglio, dallo squilibrio tra le due componenti – acustica ed elettronica.
[Luca Richelli]
Claudio Ambrosini Una forma, chiusa. Ricordo con affetto Una forma, chiusa, uno
dei primi lavori scritti per l’Ex Novo Ensemble che, dopo un periodo
iniziale con altri musicisti, si stava configurando nella formazione rimasta
pressoché invariata fino ad oggi. La spinta a scrivere, e di getto, fu il
bando del Concorso di Belveglio del 1981, una competizione per flauto
protagonista, inserito in organici da camera diversi, creata da Marlaena
Kessick. Tema di quell’anno: flauto e archi. Un’altra caratteristica del
concorso - non solo innovativa, ma encomiabile - era che ciascuno dei
compositori finalisti doveva portare con sé i propri esecutori. Ci sembrò
un’occasione magnifica. Inviai il brano, che passò le selezioni ed entrò
in finale. Ci preparammo e partimmo per Asti, non senza una certa
apprensione. Gli altri giovani compositori selezionati, diventati poi tutti
noti: Francesconi, Solbiati, Tesei, Testoni. In giuria: Niccolò Castiglioni,
Azio Corghi, Goffredo Petrassi. L’apprensione aumentava…
Finì con il primo premio non assegnato e il secondo attribuito a pari
merito a Solbiati e al sottoscritto. Non era una défaillance, vista la qualità
dei competitors e il livello della giuria. E fu una tappa importante per la
maturazione di tutti noi, “fuori casa” e sottoposti a un esame non da poco.
Per quanto mi riguarda, inserendo nel titolo la parola “chiusa”, intendevo
prendere posizione contro l’estetica dell’opera aperta, all’epoca in auge.
Nella successione di momenti d’insieme e solistici, la parte del flauto è in
rilievo e presenta molte delle nuove tecniche che allora stavo trovando,
e altrettanto fanno i due archi. Alcuni elementi di linguaggio sono già
tipici (le indicazioni delle varie sezioni vanno da “Con energia, teso” a
“Più aggressivo”, a “Aggressivo e progressivamente più violento”) e
alternano fasi in cui l’energia si manifesta come tensione materica ad altri
in cui ricompare quasi aerea, sottile, nascosta in un gioco di sfumature
timbriche, spesso microintervallari. Una forma, chiusa è dedicato ad
Andrea Amendola e Carlo Lazari. [Claudio Ambrosini]
Stefano Gervasoni (1962) Luce ignota della sera. È il mio secondo omaggio alla
visionarietà della musica di Schumann. Come nel 1995, quando composi
descdesesasf, per trio d’archi e (versione 2014) elettronica, associai il
nome di Schumann a quello del poeta Paul Celan, ho ora voluto legare
al nome dell’artista renano quello del compositore Luigi Nono, cui devo
la mia iniziazione compositiva. Nel caso del trio, gli interpreti dovevano
interrompere la musica e dire sommessamente una poesia di Celan; nel
caso di questo brano viene integrato alla scrittura schumanniana un
frammento di un mio precedente omaggio a Nono, Prédicatif (2014, dal
III quaderno della raccolta Prés). Luce ignota della sera è dunque una
rielaborazione originale che assume il testo integrale dell’ultimo brano dei
Zwölf Vierhändige Klavierstücke für kleine und große Kinder, op. 85 n.
12, per pianoforte a quattro mani, Abendlied. Mentre il pianista esegue
dal vivo letteralmente la parte di accompagnamento dell’ Abendlied
schumanniano il live electronics (realizzato da Alvise Vidolin) si assume il
ruolo di “agente trasfiguratore” della parte del canto facendo risuonare tramite trasduttori che inviano il segnale direttamente nella cassa armonica
del pianoforte - la melodia normalmente eseguita dall’altro interprete del
“quattro mani” schumanniano: melodia - quasi innere Stimme - che è
stata preregistrata e trattata e a cui viene anteposta una suite accordale
tratta dal mio Prédicatif. Tale preludio viene poi ripreso alla fine del brano,
un semitono sotto e leggermente modificato, e costituisce una vera e
propria coda nella quale la polarità di re del frammento in omaggio a
Nono si congiunge alla tonalità di re bemolle di Abendlied. L’intervallo
di semitono è per l’appunto l’escursione che deve compiere l’elettronica,
durante i tre minuti e trenta di questo brano, per duplicare il pianoforte
reale shiftandone gradualmente le frequenze: durante questo percorso, il
suono diretto e il suono progressivamente sempre più calante - diffuso,
come per la melodia, all’interno della cassa di risonanza dello strumento
- interagiscono: si creano battimenti, le altezze fluttuano sempre più, il
pianoforte si fa stonato, sfuocato, spettrale. E in questo ambiente, come
in un’altra dimensione che si fa largo in quella crepuscolare, risuonano
nostalgicamente e utopicamente, altri frammenti, ricombinantesi
casualmente, tratti dall’ultimo dei miei Prés (raccolta significativamente
ispirata al mondo infantile) dal titolo Pré de près. Frammenti che
l’elettronica lancia nello spazio vicino e lontano, come detriti sonori che
si uniscono e si confondono, in un mondo sentito microscopicamente e
oltrepassante idealmente la realtà fisica: un sogno infinitamente attivo
che proietta la forza creatrice degli artisti visionari a cui intende rendere
omaggio. [Stefano Gervasoni]
Corrado Rojac Nella notte III. Il brano è stato ispirato dalla lettura di alcune poesie di
Srecko Kosovel. Mi piace pensare che Kosovel avrebbe apprezzato un
accostamento della sua poesia a qualche gruppo cameristico simile al
trio con pianoforte. La mia interpretazione della sonorità di tale organico
si discosta ben poco dalla tradizione con un uso convenzionale degli
strumenti. Ho volutamente evitato i timbri e gli effetti tipici della musica
più recente e mi sono limitato a qualche indicazione di “suono armonico” o
“sul ponticello”: il suono del mio trio sarebbe stato probabilmente il suono
che avrebbe potuto sentire Kosovel ai suoi tempi – se avesse frequentato
i concerti della Seconda Scuola di Vienna. La novità è aver affidato agli
stessi strumentisti la recitazione di frammenti dei versi che hanno ispirato
il mio lavoro. La forma consta di quattro frammenti musicali, di cui però il
primo e il terzo costituiscono due brevissimi prologhi che introducono al
secondo e al quarto: tali brani rappresentano, con i loro interventi vocali, il
cuore della composizione, mentre i due prologhi, di natura esclusivamente
strumentale, introducono al clima onirico che pervade l’intera opera.
[Corrado Rojac]
Vittorio Montalti Abandoned Places. È un brano commissionato dall’Ex Novo Ensemble
per cinque strumenti e elettronica. Si tratta della descrizione di una serie
di luoghi disabitati. Diverse immagini scorrono davanti ai nostri occhi:
posti abbandonati in cui tutto sembra immobile, movimenti minimi come
di parassiti o gesti evidenti che raccontano le storie che un tempo hanno
abitato questi spazi. In questo brano il silenzio del presente si unisce alle
eco del passato. [Vittorio Montalti]
con il sostegno di
Palazzetto Bru Zane
Centre de musique
romantique française
Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Carlo Lazari violino
Annamaria Pellegrino violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
Nicoletta Sanzin arpa
le masque de la mort rouge
martedì 1 dicembre 2015
ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Maurice Ravel (1875-1937)
Quartetto (1903) per archi
Allegro moderato – Assez
vif – Très lent – Vif et agité
Philippe Hersant (1948)
Usher (2015) per arpa e
quartetto d’archi
Commissione di Jakez François,
direttore di Les Harpes Camac
prima esecuzione assoluta
Jean Cras (1879-1932)
Quintetto (1928) per flauto,
violino, viola, violoncello e arpa
Assez animé – Animé – Assez
lent – Très animé
André Caplet (1878-1925)
Conte fantastique (1919) da
La Masque de la Mort rouge
di Edgard Allan Poe per arpa
e quartetto d’archi
Maurice Ravel Quartetto. “Al mio caro maestro Fauré”. Queste le parole di Ravel a
dedica del Quartetto in fa, scritto nel 1902/3, leggermente rivisto in
occasione della seconda pubblicazione nel 1910. Ravel aveva forse voluto
parzialmente accogliere il giudizio severo di Fauré riguardo l’ultimo
movimento: «tronco, poco equilibrato, in sostanza, mal riuscito». Sono del
resto ben note le vicende del rifiuto del mondo accademico e in particolare
dell’entourage del Conservatorio parigino per la sua arte.
Pur essendo già un affermato compositore - scrisse infatti Pavane pour
une infante défunte nel 1899 e Jeux d’eau nel 1901 - Ravel concorse
addirittura tre volte al Prix de Rome: la prima venne escluso nelle prove
preliminari (fuga a quattro voci), nelle altre due le sue cantate Myrrha
(1901) e Alcyone (1902) vennero ritenute mediocri e indegne del premio.
Il Quartetto di Ravel fu composto a distanza di circa dieci anni da quello
di Debussy, il quale ritenne di essere stato in qualche modo plagiato dal
suo più giovane collega tanto che la vicenda incrinò per un certo periodo
i rapporti amichevoli tra i due musicisti. Anni più tardi Debussy ebbe però
ad affermare che del quartetto raveliano non si doveva cambiare neppure
una nota. Una certa influenza del quartetto di Debussy su quello di Ravel
è comunque innegabile se si pensa al secondo movimento (Assez vif)
svolto prevalentemente dagli archi in pizzicato e modellato chiaramente
su quello del Quartetto di Debussy; anche se rispetto a quest’ultimo,
Ravel impiega un doppio ritmo (6/8 e 3/4) con una accentuazione che
spesso insiste sui tempi deboli. La scrittura di Ravel si fa sperimentale
e prende gradualmente le distanze dalle forme della tradizione. Scrive
l’autore: «esso risponde ad una volontà costruttiva realizzata senza dubbio
in maniera imperfetta, ma che si presenta molto più lucida rispetto alle
mie precedenti composizioni». L’opera manifesta una forte bivalenza tra
due tendenze antagoniste: quella che propende per una densa scrittura
contrappuntistica - che richiama a Franck e, secondo i canoni classici,
si riteneva più consona allo stile quartettistico - e lo stile Debussy, più
libero, fresco e audace. Un’analisi del quartetto raveliano risulta peraltro
non solo impossibile ma anche inutile. Il musicista francese fa piazza pulita
delle forche caudine della forma della sonata citando ben nove diversi
spunti tematici che vengono variamente utilizzati in tutti i movimenti.
Philippe Hersant Usher. Nel 1908, Claude Debussy progettò di scrivere un opera lirica
ispirandosi ad un racconto di Edgar Alan Poe, La Caduta della casa Usher.
Ne scrisse la prima scena e parte della seconda. Purtroppo, la partitura
rimase incompiuta. Lo stesso anno André Caplet, amico di Debussy, scrisse
la sua Légende per arpa e orchestra, che decise più tardi di rielaborare
per arpa e quartetto d’archi, con il titolo Conte fantastique ispirato ad un
altro famoso racconto di Poe, Le Masque de la Mort rouge. Mi è sembrato
interessante dare un pendant a questo pezzo di Caplet, adoperando
lo stesso organico strumentale. Usher si presenta come un preludio al
racconto di Poe. E’ interamente elaborato su alcuni motivi tratti dagli
schizzi lasciati da Debussy per la sua opera incompiuta. [Philippe Hersant]
Jean Cras Quintetto (1928). Jean Cras consacrò la sua vita alla musica e al mare. Fece
una folgorante carriera militare fino ad essere nominato nel 1932
contrammiraglio e maggiore generale del porto di Brest, sua città natale.
Una brillante intuizione lo condusse a sperimentare una procedura, ancor
oggi utilizzata in marina e in aeronautica, conosciuta come “regola Cras”
che permette di navigare creandosi dei riferimenti in rapporto alle stelle.
Cras fece imbarcare il suo pianoforte su tutte le navi sulle quali navigò:
nel 1928, a bordo del Provence compose il Quintetto per flauto, archi
e arpa su richiesta del Quintette Instrumental de Paris. Capolavoro del
repertorio cameristico francese l’opera presenta una sapiente concisione
nel fondere modalità, pentatonalismo e riflessi della musica orientale
tessendo trame polifoniche terse ed essenziali e facendo sfoggio di
un lirismo dall’impalpabile charme. La sua concezione formale procede
guidata da un istinto sicuro che privilegia le forme classiche (Allegro di
Sonata, Lied, Scherzo) per ripensarle in modo originale. Nel Quintetto le
frontiere tra esposizione, sviluppo e riesposizione sono sempre smussate
e le idee tematiche si apparentano le une alle altre: sono cioè concepite
per creare una forte unità estetica e timbrica piuttosto che - secondo i
canoni scolastici - per delineare una dialettica di caratteri contrapposti.
Pur opera di musica pura il brano lascia trasparire il suo gusto per il far
musica “all’aria aperta”, con nuance crepuscolari e sogni di quell’Arcadia
panteista tanto cara all’universo dei Simbolisti.
André Caplet Conte fantastique. «Voi siete l’angelo delle correzioni, l’Avvocato generale
dell’oblio» scrive Debussy a Caplet nel 1909 manifestandogli al sua
incondizionata stima come revisore, trascrittore, direttore d’orchestra e
orchestratore. I due divennero fraternamente amici e entrambi furono
affascinati dai racconti di Edgard Allan Poe (1809-1849): «quest’uomo, anche
se in modo postumo, esercita su di me una tirannia angosciante», scrisse
Debussy a Caplet. Debussy lavorò ad intermittenza dal 1890 alla morte a due
opere - La chute de la maison Usher e Le diable dans le Beffroi, entrambe
rimaste incompiute - tratte dalla celebre traduzione di Baudelaire (1857) dei
racconti di Poe. Caplet per parte sua, basa la sua Légende - riorchestrata nel
1923 con il titolo Le Conte fantastique - sul racconto La Masque de la mort
rouge. É la storia di un principe che isola in un castello un folto gruppo di
nobili amici per salvarli da un’epidemia devastante che, nella città vicina,
produce morti continue (evidente dunque l’analogia con l’esordio del
Decameron di Boccaccio). La malattia viene chiamata “Mort Rouge” perché
fa scoppiare i vasi sanguigni e invade di sangue tutto il corpo, provocando
una morte immediata. In una atmosfera carica di terrore e di angoscia il
giovane principe organizza per i suoi ospiti un ballo mascherato: ogni volta
che un vecchio orologio rintocca le ore con sinistra ritualità, i danzatori
sembrano paralizzarsi; poi la festa riprende, ma con minor brio, come
perturbata dal ricordo dei rintocchi. Poco a poco l’atmosfera si elettrizza, la
musica si anima, le coppie danzano febbrilmente: a mezzanotte, all’ultimo
rintocco dell’orologio, appare furtivamente nell’ombra un personaggio
avvolto in un sudario. Un terrore mortale si impadronisce degli invitati:
la “Mort Rouge” - che indossa la misteriosa maschera - fa cadere tutti
gli ospiti inondandoli nel loro stesso sangue. Caplet ha messo in musica
questo testo affascinante non aderendo alla tradizionale concezione della
“musica a programma” ma piuttosto descrivendo l’atmosfera grave e il
terrore che a poco a poco paralizza la società gioiosa delle danze e dei
balli. La parte dell’arpa è incredibilmente colorata e virtuosa, gli accordi
risuonano come campane, al momento dell’apparizione della morte sono
prescritti dei colpi battuti sulla cassa di risonanza dello strumento. Con una
fervida immaginazione sonora che prefigura gli sviluppi futuri della storia
della musica, egli impiega effetti al tempo innovativi sugli strumenti ad arco
(legno grattato, pizzicati in armonico, effetti al ponticello nel registro acuto,
etc.) e sonorità più vicine alla Scuola di Vienna che all’Impressionismo
francese, di straordinaria potenza, sovente ai limiti estremi della tonalità.
SIAE Classici di Oggi
con il sostegno di
SIAE
Valentina Caladonato soprano
Sandro Cappelletto drammaturgia
e voce recitante
Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte
alzarsi in volo
domenica 6 dicembre 2014
ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Igor Stravinskij (1882-1971)
L’histoire du Soldat, Suite dal
balletto (1918), versione dell’Autore
per clarinetto, violino e pianoforte
Marche du Soldat – Le Violon du
Soldat – Petit Concert – Tango/
Valse/Rag – La Danse du Diable
Azio Corghi (1937)
Alzarsi in volo (2015) per soprano,
voce recitante, flauto, clarinetto,
violino, violoncello e pianoforte
Letture di Sandro Cappelletto
tratte da Il grande balipedio (1969)
di Carlo Della Corte
Commissione Ex Novo Musica 2015
prima esecuzione assoluta
Igor Stravinskij (1882-1971) L’histoire du Soldat, Suite dal balletto. Sopherl! Sopherl! Sterbe
nicht! Bleibe am Leben für unsere Kinder! (Sofia, Sofia, non morire! Resta
in vita per i nostri figli!). Queste le ultime parole dell’arciduca Francesco
Ferdinando, dopo essere stato colpito dalla Browning FN, calibro 7,65 di
Gavrilo Princip; due spari, il primo destinato alla moglie Sophie, il secondo
all’erede al trono degli Asburgo. Era il 28 giugno 1914. Se l’autista dell’arciduca
non avesse sbagliato strada, non fosse stato costretto a fermarsi, a ingranare
la retromarcia e a procedere molto lentamente, il ventiquattrenne attentatore
serbo avrebbe avuto tutto quell’agio per prendere la mira e uccidere? La
Prima Guerra Mondiale sarebbe iniziata? Appena scoppia, Igor Stravinskij
lascia Parigi e si trasferisce con la famiglia nella neutrale Svizzera. A Losanna
il 28 settembre 1918 - quando il conflitto sta per finire - debutta L’histoire du
soldat. Il soldato, che sa suonare il violino, ha quindici giorni di licenza e vuole
tornare al suo villaggio per abbracciare mamma e fidanzata. Travestito da
vecchio signore che va a zonzo per la campagna con il retino per acchiappare
farfalle, gli appare il diavolo che, naturalmente, vuole la sua anima, cioè il
violino, e gli propone di barattarlo con un libro magico, capace di dare tutte
le risposte. «Per quanto tempo?», chiede il soldato. «Soltanto tre giorni»,
risponde il diavolo. Diventeranno tre anni, succederanno molte cose, ma
l’ultimo numero della partitura non lascia dubbi: Marcia trionfale del diavolo.
Ricorrendo agli elementi narrativi della favola, Stravinskij esorcizza l’orrore
della guerra, sembra rimuoverlo, eppure, nella vittoria finale del diavolo e
nella dannazione del soldato che perde tutto, obbliga a ricordarlo. Tre anni?
Ne sono passati altri cento e diavoli e soldati continuano a fare il proprio
mestiere. Ode alla gioia: «Abbracciatevi, moltitudini! / Questo bacio al
mondo intero! / Fratelli, sopra la volta stellata / deve certo abitare un padre
amorevole». [Sandro Cappelletto]
Azio Corghi Alzarsi in volo. Come “accompagnare musicalmente” le letture di Sandro
Cappelletto tratte da Il grande balipedio di Carlo della Corte? Siamo di
fronte a un testo che racconta gli orribili eventi della prima guerra mondiale
attraverso il vissuto del protagonista: il colto e disincantato “tenente Germano
Bandiera”. Nome e cognome ironicamente parlanti, tre termini che nelle
letture vengono (altrettanto ironicamente) scomposti e ricomposti nei vari
rapporti che il personaggio ha con i suoi interlocutori. La “collocazione
infernale” degli avvenimenti influisce sul linguaggio musicale adottato: a un
ossessivo andamento atonale, cupo, lacerato da gesti violenti di derivazione
“scuola viennese”, si contrappone la componente a-eroica, manifestazione
dell’insensatezza del tutto, provocatoriamente “tonale” della canzone italiana
d’epoca. Dal “ricordo cantato” di una promessa d’amore - con l’incerta
speranza del “se torno ti sposo” si procede verso il rifugio affettivo creato
dalla citazione di Anna Achmatova:
“Tutti quelli che veramente amavi, vivi per te resteranno”.
Infine la “catarsi” dell’immedesimazione del protagonista con un passero
capitato nel mezzo di un attacco nemico: un evento nel quale Germano
Bandiera entra annullando se stesso, per vedere finalmente il mondo, così
come lo vedono e lo sentono quelle creaturine vive che non percepiscono i
movimenti convulsi imposti alla storia. Allora, invece di stare là, come cavia,
in un campo di tiro al bersaglio in cui si sperimentano modi di morire, si cerca
una via di fuga dal lerciume della trincea: ci si alza in volo.
A Carlo Seyta, mio nonno, morto nella guerra 1915-18
Azio Corghi Guidizzolo, luglio 2015
soliloquy
lunedì 14 dicembre 2015
ore 20.00
Ateneo Veneto
SIAE Classici di Oggi
in collaborazione con
Ateneo Veneto
con il sostegno di
SIAE
Zero Vocal Ensemble
Eva Macaggi
e Ai Nagasue soprani
Elisa Bonazzi
e Matilde Lazzaroni contralti
Michele Foresi
e Fabio Gentili tenori
Giacomo Serra
e Paolo Marchini bassi
Claudio Monteverdi (1567-1643)
Dal Quarto libro de’ Madrigali
a cinque voci, Venezia 1603:
Sfogava con le stelle
Dal Primo libro de’ Madrigali
a cinque voci, Venezia 1587:
Baci soavi e cari
Da Madrigali guerrieri
et amorosi, Venezia 1638:
Ecco mormorar l’onde
Claudio Ambrosini (1948)
Soliloquy (testo di Sylvia Plath,
2003/15), nuova versione
per doppio quartetto vocale
Commissione Ex Novo Musica
prima esecuzione assoluta
Sigismondo d’India (1582-1629)
Dal Terzo Libro de’ madrigali
a cinque voci, Venezia 1615:
Dispietata pietade
Dovrò dunque morire
Canzone di lontananza
Luciano Berio (1925-2003)
Cries of London (1974-76) per
ottetto vocale
Nell’operare una scelta di testi dell’ultimo madrigalismo italiano per
questo progetto concertistico la preferenza è caduta su due tra i più
grandi autori tardo cinquecenteschi, il cremonese Claudio Monteverdi e il
siciliano Sigismondo D’India, legati da un orientamento estetico comune
che mira a dare il massimo valore semantico al tessuto verbale del testo
poetico: l’orientamento è chiaro, indirizzato verso autori contemporanei
come Tasso, Guarini, Marino e Rinuccini i quali, figli dell’umanesimo e del
petrarchismo, arricchiscono le loro narrazioni tramite metafore, iperboli
ed antitesi, artifici che acquistano grande efficacia drammaturgica in una
sapiente veste musicale. D’India conobbe Monteverdi presso la corte dei
Gonzaga a Mantova e da lui apprese l’uso di un cromatismo espressivo
e di dissonanze volte a valorizzare il senso drammatico dei testi. Risulta
opportuno sottolineare come i due autori apprezzino un uso promiscuo di
polifonia e monodia accompagnata. L’arte del canto solista era del resto
uno dei punti di forza di Sigismondo, lui stesso stimato cantore presso
molte corti italiane e noto per le sue opere a voce sola e basso continuo
- come il suo contemporaneo Giulio Caccini, al quale sicuramente avrà
pensato componendo il madrigale Dovrò dunque morire che Caccini
musicò nelle sue Nuove musiche del 1601. Un uso della polifonia più
dinamico, e l’alternanza di sezioni “a voci sole”, mette in luce l’espressività
della parola e obbliga l’ascoltatore ad indagare i rapporti dialettici che
si instaurano tra le voci. Risultano di fatto evidenti già dal primo libro
dei madrigali di Monteverdi, con il madrigale Ecco mormorar l’onde,
le anticipazioni dello stile declamato e del recitativo, in cui le voci, in
perfetto stile imitativo, giocano tra loro contendendosi ciascuna un
proprio spazio declamatorio nel quale il testo viene messo in risalto per poi
andare di nuovo a confondersi nel tessuto polifonico con l’ingresso delle
voci successive. L’audacia espressiva spinge addirittura Monteverdi, in
Sfogava con le stelle, a prescrivere un solo accordo per il primo settenario
lasciando liberi gli esecutori di scegliere i valori meglio corrispondenti agli
accenti della recitazione, applicando così il concetto di “sprezzatura” al
madrigale polifonico e dando di fatto ai cantanti una libertà che quasi
più si addice a degli attori di teatro. Opportuno infine rilevare l’aderenza
di Sigismondo allo stile ricco di ritardi e dissonanze non preparate che
caratterizza la produzione di Gesualdo; anche in Sigismondo d’India tali
tecniche, tanto care al principe di Venosa, supportano con efficacia quei
componimenti poetici che si fondano su stati d’animo contrapposti, come
ad esempio l’antitesi amore/dolore. In Dispietata pietate, madrigale posto
da Sigismondo al primo posto del suo Terzo libro abbiamo un perfetto
esempio di questo stile compositivo. [Giacomo Serra]
Claudio Ambrosini Soliloquy. Soliloquy of the Solipsist, scritta nel 1956, è una delle poesie
centrali di Sylvia Plath, poetessa americana suicidatasi qualche tempo
dopo, a soli trentun’anni. La sua realizzazione musicale cerca di rendere
alcuni aspetti della personalità dell’autrice e insieme di riproporre la
struttura del testo originale, articolato in quattro strofe, ciascuna aperta
dalla parola “io”. Quattro interpreti femminili, attorniate da altrettante
“ombre” maschili, fungono da alterego della poetessa ed effettuano,
cantando, dei movimenti del capo che indirizzano la voce verso punti
diversi della sala, producendo una sorta di spazializzazione naturale
del suono, che si sposta da sinistra a destra o viceversa. Un “raggio
sonoro” si diparte così da ciascun interprete e crea dei tracciati astratti
nell’aria. Il canto - ora aperto, ora interiorizzato, a bocca chiusa - crea
alternanze di pieno e vuoto, rendendo più complessa la percezione della
prospettiva. Le cantanti - quasi facce di uno stesso prisma - sottolineano
gestualmente l’idea di “colloquio con sé”, passandosi la voce l’un l’altra,
come il testimone di una staffetta in un gioco di specchi. In origine
commissionato per festeggiare virtualmente il compleanno di Peggy
Guggenheim, Soliloquy è stato eseguito per la prima volta il 26 agosto
2003 sulla sua tomba, nel giardino del Guggenheim Museum di Venezia.
[Claudio Ambrosini]
Luciano Berio Cries of London. Il brano prevede l’organico di due soprani, due contralti,
due tenori, due bassi ed è la rielaborazione di una composizione omonima
a sei voci (due contralti, un tenore, due baritoni e un basso) che ho
scritto nel 1974 per i King’s Singers. In questa nuova versione i Cries of
London sono diventati un breve ciclo di sette pezzi vocali di carattere
popolare, dove un pezzo semplice si alterna in modo regolare a un pezzo
musicalmente più complesso. Il primo e il terzo «Cry» hanno lo stesso testo.
Il quinto «Cry» è l’esatta ripetizione del primo. Il settimo pezzo, «Cry of
Cries», è un commento ai «Cries» precedenti: pur usando le stesse melodie
e gli stessi caratteri armonici, musicalmente se ne allontana e li ricorda
a distanza... Nell’insieme questo breve ciclo può anche essere ascoltato
come un esercizio di caratterizzazione e di drammaturgia musicale. Il testo
è essenzialmente una libera scelta delle famose frasi dei venditori nelle
strade della vecchia Londra. [Luciano Berio]
Claudio Monteverdi Sfogava con le stelle, Baci soavi e cari, Ecco mormorar l’onde
Sfogava con le stelle
Ottavio Rinuccini (1562-1621)
Baci soavi e cari
Giovanni Battista Guarini (1538-1612)
Sfogava con le stelle
Un’infermo d’Amore
sotto notturno ciel il suo dolore,
e dicea fisso in loro:
O imagini belle del’idol mio ch’adoro
si com’a me mostrate,
mentre cosi splendete,
la sua rara beltate
cosi mostrast’a lei
i vivi ardori miei
la fareste col vostr’aureo sembiante
pietosa si come me fat’amante.
Baci soavi e cari,
cibi della mia vita
c’hor m’inviolate hor mi rendete il core,
per voi convien ch’impari
come un’alma rapita
non sente il duol di mort’e pur si more.
Quant’ha di dolce amore,
perché sempr’io vi baci,
O dolcissime rose,
in voi tutto ripose.
Et s’io potessi ai vostri dolci baci
la mia vita finire
o che dolce morire!
Ecco mormorar l’onde
Torquato Tasso (1544-1595)
Ecco mormorar l’onde
e tremolar le fronde
a l’aura mattutina e gl’arborscelli.
E sovra i verdi rami i vaghi augelli
cantar soavemente
e rider l’oriente
ecco già l’alba appare
e si specchia nel mare
e rasserena il cielo
e le campagne imperla il dolce gelo
e gl’alti monti indora.
O bella e vagh’aurora
l’aura è tua messagiera, e tu de l’aura
ch’ogn’arso cor ristaura.
Claudio Ambrosini Soliloquy
Sigismondo d’India Dispietata pietade, Dovrò dunque morire, Canzone di lontananza
Soliloquy Of The Solipsist
(Sylvia Plath)
Soliloquio del Solipsista
Traduzione di Rodolfo Delmonte
Dispietata pietate
Torquato Tasso (1544-1595)
Dovrò dunque morire
Ottavio Rinuccini (1562-1621)
I?
I walk alone;
The midnight street
Spins itself from under my feet;
When my eyes shut
These dreaming houses all snuff out;
Through a whim of mine
Over gables the moon’s celestial onion
Hangs high.
Io?
Io cammino sola;
la strada a mezzanotte
sotto i miei piedi ruota;
se chiudo gli occhi tutte
svaniscono nel sogno queste case;
per un capriccio mio
sullo spiovente è appesa alta della luna
la cipolla celeste.
Dovrò dunque morire,
a che di nuovo io miri
voi, bramata cagion de miei martiri?
Mio perduto tesoro,
non poter dirvi, pria ch’io mora: “Io Moro”?
O miseria inaudita,
non poter dir a voi: “Moro, mia vita”.
I
Make houses shrink
And trees diminish
By going far; my look’s leash
Dangles the puppet-people
Who, unaware how they dwindle,
Laugh, kiss, get drunk,
Nor guess that if I choose to blink
They die.
Io
le case posso rimpicciolire
gli alberi diminuire
andando lontano; ciondolano al guinzaglio
del mio sguardo persone-burattino
ignare mentre si riducono, che
ridono, baciano, si ubriacano.
Né loro immaginano che muoiono
se decido di strizzar l’occhio.
Dispietata pietate
fu la tua veramente, o Dafne, allora
che ritenesti il dardo:
però che’l mio morire
più amaro sarà quanto più tardo.
Ed or perché m’avvolgi
per sì diverse strade e per sì vari
ragionamenti invano? Di che temi?
Temi ch’io non m’uccida?
Temi del mio bene.
Deh, lasciami morire in tante pene.
I
When in good humor,
Give grass its green
Blazon sky blue, and endow the sun
With gold;
Yet, in my wintriest moods, I hold
Absolute power
To boycott any color and forbid any flower
To be
Io
se son di buon umore
do’ il verde all’erba
sfoggio un cielo blu, e fornisco il sole
di oro;
però nei miei più gelidi momenti, ho io
l’assoluto potere
di sabotare ogni colore d’impedire ad ogni fiore
d’esistere.
I
Know you appear
Vivid at my side,
Denying you sprang out of my head,
Claiming you feel
Love fiery enough to prove flesh real,
Though it’s quite clear
All you beauty, all your wit, is a gift, my dear,
From me.
Io
so che tu sembri
vivido al mio fianco,
stai negando di essere sbucato fuor dalla mia
testa,
hai la pretesa di sentir
amore tanto focoso da inverar la carne,
benché sia abbastanza chiaro
che la tua bellezza, l’acume è tutt’un dono,
caro mio,
da me.
È partito il mio bene
Giambattista Marino (1569-1625)
È partito il mio bene,
ho perduto il mio core. Ohimè qual vita
in vita or mi sostiene?
Lasso! Com’è rimaso
fosco il sol, negro il cielo!
Il dì giunto è all’occaso,
amor fatto è di gelo.
Duro partir che m’hai l’alma partita,
chi ti chiamò partire
dovea con più ragion dirti morire.
O Dio! quel dolce addio,
che piangendo mi disse, a cui piangendo
addio risposi anch’io,
deh, come da la spoglia
l’anima non divise?
O come per gran doglia
la vita non uccise?
Alma e vita non ho, poiché perdendo
il mio dolce conforto,
addio dirgli ho potuto e non son morto.
Luciano Berio Cries of London
I - IV - V
These are the cries of London town
some go up street, some go down.
II
Where are ye fair maids
that have need of our trades?
I sell you a rare confection.
Will you have your face spread
either with white or red?
My drugs are no dregs
for I love the white of eggs
made in rare confection.
Will ye buy any fair complexion?
III
Garlic, good garlic
the best of all the cries.
It is the physic
‘gainst all the maladies.
It is my chiefest wealth,
good garlic for the cry.
And if you lose your health
my garlic then come buy,
my garlic come to buy.
VI
Money, penny come to me
I sell old clothes.
For one penny, for two pennies
old clothes to sell.
If I had as much money
as I could tell
I never would cry
old clothes to sell.
VII
Come (buy
some
old
cry
to
me)
Come
Grida di Londra (traduzione di Rodolfo Delmonte)
some go up street some go down
I sell old clothes
and if you lose your health
my garlic then come buy
Cry (some
go
up
go
own)
Money (to me)
Penny (come
buy
me
old
cries)
Come buy
some go up street some go down
old clothes to sell
garlic good garlic
my garlic then come buy
if I had as much money as I could tell
I never would cry old clothes to sell
some go up street some go down
Down
these are the cries of London town
Some (some
go)
I - IV - V
Ecco qui le grida di Londra centro
chi la strada sale, chi discende.
II
Dove siete mie belle donzelle
che anelate i nostri affari?
Vendiam confezioni rare.
Di bianco o di rosso volete
il viso impomatato?
Le mie ciprie non son scarti
perché amo il bianco d’uovo
in confezione rara.
Vorrai acquistarne per carnagioni chiare?
III
Aglio, buon aglio
di tutte le grida il meglio.
E’ la cura
contro ogni malanno.
E’ il mio benesser principale,
buon aglio per far gridare.
E se perdi la salute
il mio aglio devi comprare,
il mio aglio vieni a comprar.
VI
Danaro, soldo vieni da me
io vendo abiti usati.
Per un soldo, per due soldi
abiti consunti da vendere.
Se avessi tanto danaro
quanto non si sa
mai griderei
vecchi abiti da vendere.
VII
Vieni (compra
delle
grida
vecchie
da
me)
Vieni
chi la strada sale chi discende
io vendo abiti logori
e se dovessi perder la salute
allora il mio aglio vieni a comprar
Grida (chi
va
su
va
giù)
Danaro (a me)
Soldi (vieni
compra
mi
vecchie
grida)
Vieni a comprare
chi la strada sale chi discende
vecchi abiti da vender
aglio buon aglio
allora il mio aglio vieni a comprar
se avessi tanto danaro da non dire
mai griderei vecchi abiti da vendere
chi la strada sale chi discende
giù
ecco qui le grida di Londra centro
Chi (chi
va…)
SIAE Classici di Oggi
in collaborazione con
Archivio Luigi Nono
con il sostegno di
SIAE
Monica Bacelli mezzosoprano
Sandro Cappelletto voce narrante
Aldo Orvieto pianoforte
Alvise Vidolin regia sonora
fortissimo nel mio cuore!
giovedì 17 dicembre 2015
ore 20.00
Gran Teatro la Fenice
Sale Apollinee
Franz Schubert (1797-1828)
Andantino dalla Sonata in la
maggiore D959 (settembre 1828)
Luigi Nono (1924-1990)
... sofferte onde serene ... (1976)
per pianoforte e nastro magnetico
Franz Schubert (1797-1827)
da Winterreise D 911 (1827/8,
su testi di Wilhelm Müller)
Gute Nacht – Die greise Kopf
– Der Wegweiser – Die Nebensonne
– Der Leiermann
Luigi Nono (1924-1990)
La fabbrica illuminata (1964) per
voce femminile e nastro magnetico
Franz Schubert (1797-1827)
da Schwanengesang D957
(1828, su testi di Heinrich Heine)
Am Meer – Der Doppelgänger
Nell’ “aggredire” - quasi sfacciatamente - il dramma del vivere e nel combattere
ostinatamente per i proprî ideali, Luigi Nono è stato un artista che ha saputo
esprimere un messaggio limpido, fermo e a tratti intransigente. Ma in Luigi
Nono vi è anche l’uomo dell’estrema dolcezza, delle parole di Cesare Pavese
che concludono La fabbrica illuminata: «passeranno i mattini / passeranno
le angosce / Non sarà così sempre / Ritroverai qualcosa»(1964). Estrema
dolcezza, un aspetto non pubblico, per questo forse meno indagato, ma
non meno pregnante per giungere al cuore del suo messaggio artistico: «La
trasgressione. […] Ciò che spinge verso altri spazi, altri cieli, altri sentimenti
umani, all’interno e all’esterno, senza dicotomia» (Luigi Nono,1983). E
dunque, con la sua musica, quella di Franz Schubert, un musicista che non
ha scadenze, non ha vincoli, non deve rendere conto ad alcuno se non a se
stesso delle scelte espressive che compie, anche le più radicali; un musicista
che si avventura con lucidità lungo il crinale dell’individualità inviolabile:
«voglia di mondi più belli / riempire gli spazî oscuri / d’un immenso sogno
d’amore» (Franz Schubert, 1823). É Schubert a dare voce per la prima volta alle
ansie, ai desideri, alle solitudini e alle perdute dolcezze che prova un essere
umano quando si sente estraneo, straniero al mondo che lo ospita. É questo il
percorso del Viaggio d’inverno, il ciclo di Lieder che Luigi Nono amava sopra
tutti. Ci sono molti, profondi motivi, di musica e di affetti, per fare incontrare
i due creatori in un concerto loro dedicato.
Franz Schubert Lieder da Winterreise D911 e Schwanengesang D957
Gute Nacht
Fremd bin ich eingezogen,
Fremd zieh’ich wieder aus.
Der Mai war mir gewogen
Mit manchem Blumenstrauß.
Das Mädchen sprach von Liebe,
Die Mutter gar von Eh’,
Nun ist die Welt so trübe,
Der Weg gehüllt in Schnee.
Buona notte
Come un estraneo sono comparso,
come un estraneo me ne vado.
Maggio mi è stato benevolo,
con qualche mazzo fiorito.
La fanciulla parlava d’amore,
la madre addirittura di matrimonio;
ed ora il mondo è tanto triste,
la strada è sepolta nella neve.
Ich kann zu meiner Reisen
Nicht wählen mit der Zeit,
Muß selbst den Weg mir weisen
In dieser Dunkelheit.
Es zieht ein Mondenschatten
Als mein Gefahrte mit,
Und auf den weißen Matten
Such’ich des Wildes Tritt.
Per questo viaggio non m’è dato
di scegliere il tempo,
da me devo trovare la via
in quest’oscurità.
Mi accompagna
l’ombra della luna,
e sulla bianca terra
cerco la traccia di bestie selvagge.
Was soll ich länger weilen,
Daß man mich trieb hinaus?
Laß irre Hunde heulen
Vor ihres Herren Haus;
Die Liebe liebt das WandernGott hat sie so gemachtVon einem zu dem andern.
Fein Liebchen, gute Nacht!
Che cosa mi trattiene,
da quando mi hanno cacciato?
Guaite, cani randagi,
davanti alla casa del padrone!
L’amore ama girovagare –
così l’ha fatto Dio –
dall’uno all’altro.
Amore mio, buona notte!
Will dich im Traum nicht stören,
Wär schad’ um deine Ruh’,
Sollst meinen Tritt nicht hörenSacht, sacht die Türe zu!
Schreib’ im Vorübergehen
Ans Tor dir: Gute Nacht,
Damit du mögest sehen,
An dich hab’ ich gedacht.
Non ti turberò nel sonno,
voglio la tua pace;
camminerò in punta di piedi,
pian piano chiuderò la porta!
Passando ti scriverò
sull’uscio: buona notte.
Così avrai la prova
che io t’ho pensato.
Der greise Kopf
Der Reif hatt’ einen weißen Schein
Mir übers Haar gestreuet;
Da glaubt’ ich schon ein Greis zu sein
Und hab’ mich sehr gefreuet.
La testa canuta
La brina m’ha steso
un velo bianco sul capo;
e già mi credevo un vecchio
e me ne rallegravo.
Doch bald ist er hinweggetaut,
Hab’ wieder schwarze Haare,
Daß mir’s vor meiner Jugend graut
– Wie weit noch bis zur Bahre!
Ma presto essa s’è sciolta;
ora ho di nuovo i capelli neri,
e detesto la mia giovinezza.
Ancora tanto lontana dalla bara!
Vom Abendrot zum Morgenlicht
Ward mancher Kopf zum Greise.
Wer glaubt’s? und meiner ward es nicht
Auf dieser ganzen Reise!
Qualche testa è incanutita
da sera a mattino.
E la mia (chi lo crederebbe) non lo è
in tutto questo viaggio!
Der Wegweiser
Was vermeid’ ich denn die Wege,
Wo die ander’n Wand’rer gehn,
Suche mir versteckte Stege
Durch verschneite Felsenhöh’n?
Il segnale stradale
Perché evito i sentieri
battuti dagli altri viandanti,
e cerco passaggi nascosti
attraverso rupi innevate?
Habe ja doch nichts begangen,
Daß ich Menschen sollte scheu’n, Welch ein törichtes Verlangen
Treibt mich in die Wiistenei’n?
Non ho commesso nulla,
perché io debba evitare l’uomo;
quale assurda brama
mi spinge nei luoghi deserti?
Weiser stehen auf den Straßen,
Weisen auf die Städte zu.
Und ich wand’re sonder Maßen
Ohne Ruh’ und suche Ruh’.
Lungo le vie si levano segnali
guidano attraverso la città;
ed io mi dirigo altrove
senza pace, ma cerco pace.
Einen Weiser seh’ ich stehen
Unverrückt vor meinem Blick;
Eine Straße muß ich gehen,
Die noch keiner ging zurück.
Qui vedo un segnale,
fisso davanti a me;
devo prendere la via,
da cui mai nessuno è ritornato.
Die Nebensonnen
Drei Sonnen sah ich am Himmel steh’n,
Hab’ lang und fest sie angeseh’n;
Und sie auch standen da so stier,
Als wollten sie nicht weg von mir.
Altri soli
Tre astri ho visto in cielo,
intensamente li ho osservati;
eran così immobili,
pareva non volessero allontanarsi da me.
Ach, meine Sonnen seid ihr nicht!
Schaut ander’n doch ins Angesicht!
Ja, neulich hatt’ ich auch wohl drei;
Nun sind hinab die besten zwei.
Ahimè, non siete voi i miei soli!
Rivolgetevi a qualcun altro!
Già, un attimo fa ne avevo tre;
i due migliori sono tramontati.
Ging nur die dritt’ erst hinterdrein!
Im Dunkel wird mir wohler sein.
Andasse via anche il terzo!
Al buio starò meglio.
Der Leiermann
Drüben hinterm Dorfe steht ein Leiermann
Und mit starren Fingern dreht er, was er
kann.
Barfuß auf dem Eise wankt er hin und her
Und sein kleiner Teller bleibt ihm immer leer.
L’uomo dell’organetto
Al limitare del paese c’è un uomo con
l’organetto;
con le dita indurite gira la manovella.
Scalzo, sul ghiaccio vacilla qua e là,
il piattello resta sempre vuoto.
Keiner mag ihn hören, keiner sieht ihn an,
Und die Hunde knurren um den alten Mann.
Und er läßt es gehen alles, wie es will,
Dreht und seine Leier steht ihm nimmer still.
Nessuno l’ascolta, nessuno lo vede,
e ringhiano i cani intorno al vecchio.
Indifferente a tutto lui gira, gira,
l’organetto mai non tace.
Wunderlicher Alter, soll ich mit dir geh’n?
Willst zu meinen Liedern deine Leier dreh’n?
Vecchio misterioso, e se venissi con te?
Accompagneresti i miei canti col tuo
organetto?
Der Doppelgänger
Still ist die Nacht, es ruhen die Gassen,
In diesem Hause wohnte mein Schatz;
Sie hat schon längst die Stadt verlassen,
Doch steht noch das Haus auf demselben
Platz.
Da steht auch ein Mensch und starrt in die
Höhe,
Und ringt die Hände vor Schmerzensgewalt;
Mir graust es, wenn ich sein Antlitz sehe –
Der Mond zeigt mir meine eigne Gestalt.
Du Doppelgänger, du bleicher Geselle!
Was äffst du nach mein Liebesleid,
Das mich gequält auf dieser Stelle
So manche Nacht, in alter Zeit?
Am Meer
Das Meer erglänzte weit hinaus
Im letzten Abendscheine;
Wir saßen am einsamen Fischerhaus
Wir saßen stumm und alleine.
Der Nebel stieg, das Wasser schwoll,
Die Möwe flog hin und wieder;
Aus deinen Augen, liebevoll,
Fielen die Tränen nieder.
Ich sah sie fallen auf deine Hand
Und bin aufs Knie gesunken;
Ich hab von deiner weißen Hand
Die Tränen fortgetrunken.
Seit jener Stunde verzehrt sich mein Leib,
Die Seele stribt vor Sehnen;
Mich hat das unglückselge Weib
Vergiftet mit ihren Tränen.
Il sosia
La notte è tranquilla, i vicoli riposano,
in questa casa abitava la mia amata;
già da tempo ha lasciato la città,
però la casa sta ancora sulla stessa piazza.
Vi è anche un uomo che guarda fisso in alto,
e si torce le mani per il grande dolore;
inorridisco nel vedere il suo volto –
la luna mi mostra il mio proprio sembiante.
Sosia, tu pallido compagno!
Perché scimmiotti il mio patir d’amore,
che mi tormentò in questo luogo
per tante notti in tempi passati?
Al mare
Il mare brillava a distanza
nell’ultima luce della sera;
sedevamo presso la solitaria casa del
pescatore,
sedevamo silenziosi e soli.
La nebbia saliva, l’acqua si gonfiava,
di quando in quando il gabbiano volava;
dai tuoi occhi pieni d’amore
scorrevano le lacrime.
Le vidi scendere sulla tua mano
e sono caduto in ginocchio;
dalla tua mano bianca
ho bevuto le tue lacrime.
Da quel momento il mio corpo si consuma,
l’anima muore di desiderio;
quella sventurata donna
mi ha avvelenato con le sue lacrime.
Luigi Nono La fabbrica illuminata Fonti
1. Operai dell’ltalsider di Genova e contratti sindacali (elaborati da Giuliano Scabia);
2. Giuliano Scabia (sviluppo del secondo frammento della seconda scena di
Un diario italiano intitolato Sogno incubo. 5 donne);
3. Cesare Pavese (frammento tratto da Due poesie a T)
In grassetto le parti pronunciate dalla voce solista.
1.
fabbrica dei morti la chiamavano
esposizione operaia
a ustioni
a esalazioni nocive
a gran masse di acciaio fuso
esposizione operaia
a elevatissima temperature
su otto ore solo due ne intasca l’operaio
esposizione operaia
a materiali proiettati
relazioni umane per accelerare i tempi
esposizione operaia
a cadute
a luci abbaglianti
a corrente ad alta tensione
quanti MINUTI-UOMO per morire?
2.
e non si fermano
MANI di aggredire
ININTERROTTI
che vuota le ore
al CORPO
nuda afferrano
quadranti, visi:
e non si fermano
guardano GUARDANO occhi fissi: occhi mani
sera
giro del letto
tutte le mie notti
ma aridi orgasmi
TUTTA la città
dai morti
VIVI
noi
continuamente
PROTESTE
la folla cresce parla del MORTO
la cabina detta TOMBA
tagliano i tempi
fabbrica come lager
UCCISI
(Giuliano Scabia)
3.
passeranno i mattini
passeranno le angosce
non sarà così sempre
ritroverai qualcosa
(Cesare Pavese)
Biografie dei Compositori
Commissioni e Prime esecuzioni assolute per
Ex Novo Musica 2015
Claudio Ambrosini compositore veneziano. Nel
1985 è stato il primo musicista non francese ad essere insignito del Prix de Rome e a soggiornare a
Villa Medici, nel 1986 ha rappresentato l’Italia alla
Tribuna dei Compositori dell’Unesco, nel 2006 ha
ricevuto il riconoscimento dell’Association Beaumarchais, nel 2007 ha vinto il Leone d’Oro della
Biennale di Venezia, nel 2008 il Music Theatre Now
Prize, nel 2010 il Premio Abbiati, nel 2015 il premio
Play it! Ha composto lavori vocali, strumentali, elettronici, opere liriche, radiofoniche, oratori e balletti,
caratterizzati dagli esiti di una ricerca strumentale
e stilistica personali. Ha ripetutamente ricevuto commissioni da importanti Istituzioni, tra cui la
RAI, La Biennale, la WDR, Grame. Dal 1979 dirige
l’Ex Novo Ensemble e dal 1983 il CIRS, che ha entrambi fondato a Venezia. Tra i suoi lavori ricordiamo
la pentalogia operistica: Big Bang Circus (2001), Il
canto della pelle - Sex Unlimited (2005), Il killer di
parole (2009), Apocalypsis cum figuris (2012), Il giudizio universale (1996); l’oratorio Passione secondo
Marco (2000), l’opera-balletto Le cahier perdu de
Casanova (1998), il balletto Pandora Librante (1999)
su testi di Calvino; la cantata Proverbs of Hell, su
testi di William Blake; il Lied ohne Worte (2004), su
testi di Schiller e dei bambini di Terezin; i concerti
Tocar (per pianoforte e orchestra, 2006) e Plurimo
(per due pianoforti e orchestra, 2007).
Raphaèle Biston è nata a Lione nel 1975. Ha studiato flauto a Lione e a Ginevra e poi composizione
al Conservatorio Superiore di Lione. Come flautista
pratica abitualmente l’improvvisazione con l’ensemble Le Détrapi e il collettivo Si Noir que Bleu. I suoi
ultimi pezzi riflettono il desiderio di lavorare in direzioni diverse (scrittura strumentale, utilizzo di informatica musicale sia in tempo reale che differito) ma
sempre dando all’elaborazione del timbro un posto
centrale, per metterne in risalto il potenziale poetico
ed espressivo, fra rumore e colore, suono e silenzio,
alla ricerca di una musica che si propone di risultare
rigorosa e sostenuta, ma anche di lasciare all’ascoltatore lo spazio per vagabondare. In questi ultimi
anni ha ricevuto commissioni dallo Stato Francese,
Radio France, l’Académie Opus XXI, dal GRAME
(Lyon), CIRM (Nice), GMEM (Marseille), dal quale
è stata anche invitata come compositrice residente
e dal Gran Teatro La Fenice di Venezia. Le sue opere
sono eseguite in diversi Festival e concerti di musica contemporanea come Musiques en Scène, Lione,
Agora, Parigi, EAR Unit Series, Los Angeles, Musica,
Strasburgo, MANCA, Nizza, Les Musiques, Marsiglia, Forum, Mosca, Double Double, Stoccolma,
Rondò, Milano, la Biennale, Venezia, da ensembles
come 2e2m, l’Ensemble Orchestral Contemporain,
l’Instant Donné, l’Ensemble Modern, Multilatérale,
Ear Unit, Les Temps Modernes, Ex Novo, Divertimento Ensemble.
Azio Corghi compositore, musicologo e didatta.
Fino al 1950 ripartisce i suoi studi tra la pittura e la
musica. Al Conservatorio di Torino studia pianoforte
con Mario Zanfi e Storia della Musica con Massimo
Mila. Dal 1962 frequenta il Conservatorio di Milano
dove ha come maestri Bruno Bettinelli e Antonino
Votto. Titolare della cattedra di perfezionamento in
composizione presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (1995-2007) ha svolto una assidua attività
di insegnamento (Accademia Chigiana, Accademia
Filarmonica di Bologna e all’Accademia Perosi di
Biella). Ha curato, come musicologo, numerose revisioni di opere del passato, tra cui L’Italiana in Algeri
di Gioacchino Rossini e lavori di Antonio Vivaldi. Nel
1994 è stato nominato Accademico di Santa Cecilia.
Corghi ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali per il suo lavori, tra cui il premio del concorso
“Ricordi-RAI” nel 1966, il premio S.I.A.E. per la Lirica nel 1992, il premio “Bindo Missiroli” della città
di Bergamo nel 1998. Nel catalogo delle sue opere,
rappresentate ed eseguite nei più importanti teatri e sale da concerto internazionali, figurano lavori
destinati al teatro musicale, al balletto, all’orchestra
sinfonica e a gruppi vocali e strumentali. Per i testi
delle sue composizioni si è spesso giovato della collaborazione di José Saramago. Tra le sue opere recenti De paz e de guerra (Commissione Accademia
di Santa Cecilia), ¿Pia? (Commissione Accademia
Chigiana), Il dissoluto assolto (San Carlos di Lisbona
e Teatro alla Scala di Milano). Nel 2007, in occasione
del 25° anniversario della fondazione della Filarmonica della Scala, l’orchestra gli ha commissionato
Poema Sinfonico.
Xavier Dayer è nato a Ginevra nel 1972 ove ha
studiato composizione con Eric Gaudibert; si è in
seguito perfezionato a Parigi con Tristan Murail
e Brian Ferneyhough. Ha vinto numerosi premi
di composizione, tra cui quello della fondazione
Bürgi-Willert, e il premio FEMS della fondazione
Sandoz. Gli sono state commissionate numerose
composizioni dal Grand-Théâtre di Ginevra, dall’Opera National de Paris, dall’IRCAM, dall’Orchestra
della Suisse Romande, dall’SWR - Vokalensemble
Stuttgart, dall’Ensemble Contrechamps, dall’En-
semble Collegium Novum di Zurigo, e da numerosi altri Ensemble e solisti. Nel 2004 e nel 2007, il
Festival d’Automne a Parigi gli dedica numerosi
concerti-ritratti. Nel maggio del 2005 ha luogo la
prima esecuzione assoluta della sua opera Mémoires
d’une jeune fille triste al Grand Théâtre di Ginevra.
L’Atelier Lyrique dell’Opéra National de Paris cura la
prima esecuzione dell’opera Les Aveugles (2007) e l’
Ensemble Intercontemporain la prima esecuzione di
Delights per otto voci, ensemble, e live electronics
(2007). Dal 2004, insegna composizione presso la
Haute école des arts de Berne (HKB/HEAB) e vi dirige il Master in teoria e composizione dal 2009. Nel
2008 ha vinto il Prix de Rome e nel 2011 è diventato
presidente della SUISA (Cooperativa degli autori ed
editori di musica). Il suo catalogo conta cinque opere: Le Marin (1999), Mémoires d’une jeune fille triste
(2005), Les Aveugles (2006), Babel - after the war
(2013) e Les contes de la lune vague après la pluie
(2015). La sua musica è pubblicata dalle edizioni Papillon e BIM.
Elena Firsova figlia di un famoso fisico atomico ha
iniziato a comporre all’età di undici anni. Dal 1970 al
1975 ha studiato al Conservatorio di Mosca con Alexander Pirumov e Yuri Kholopov. Ha stabilito contatti di cruciale importanza con Edison Denisov e
Philip Herschowitz. Nell’agosto del 1972 ha sposato
il compositore Dmitri Smirnov, con il quale ha avuto
due figli, Philip e Alissa; risiede dal 1991 con la famiglia in Inghilterra. Ha scritto più di cento composizioni nei più diversi generi e la sua musica è stata
eseguita ripetutamente in tutto il mondo. La prima
esecuzione del suo più importante lavoro, Augury
per coro e grande orchestra sinfonica (commissionata da BBC Proms) è stata eseguita presso la Royal
Albert Hall a Londra nel 1992. La prima di un altro
importante lavoro, Requiem su versi di Akhmatova
ha avuto luogo a Berlino nel 2003. Le più importanti
recenti prime esecuzioni sono state dei pezzi orchestrali The garden of dreams, commissionato dal
Concertgebouw di Amsterdam, e Beyond the 7 Seals
commissionato dall’Orchestra Sinfonica di Tolosa. In
questo momento sta lavorando al doppio concerto per violino e violoncello commissionatole dalla
DSO di Berlino. La sua musica è edita da Boosey &
Hawkes, Hans Sikorski e Meladina Press, St Albans.
Stefano Gervasoni ha iniziato a studiare composizione nel 1980 grazie al consiglio di Luigi Nono:
questo incontro, così come quelli con Ferneyhough,
Eötvös e Lachenmann, sono stati decisivi per la sua
carriera. Dopo aver studiato presso il Conservatorio
di Milano ha completato la sua formazione in Ungheria con György Ligeti nel 1990; ha seguito il Corso di Composizione e di Musica informatica dell’Ircam nel 1992. E’ stato pensionnaire a Villa Medici nel
1995-1996. Ha ricevuto commissioni dalla WDR, dalla
SWR, dall’OSNR, dal Festival d’Automne, da Radio
France, dall’IRCAM, dai Festival Archipel, Maerzmusik, Ars Musica, dal Festival Musica di Strasburgo,
dal Ministero della Cultura francese, dalla Suntory
Hall di Tokyo, dagli Ensemble: Intercontemporain,
Modern, Contrechamps. Il suo catalogo è stato pubblicato da Ricordi (1987-1999) e da Suvini Zerboni
dopo il 2000. Coronato di numerosi premi, tra cui il
recente Premio della Critica Musicale “Franco Abbiati” (2010), il suo lavoro gli ha consentito di essere
borsista della Fondation des Treilles a Parigi (1994)
e del DAAD a Berlino (2006) e compositore in residence al Domaine de Kerguéhennec (2008-2010). È
stato anche invitato come professore ai Darmstadt
Ferienkurse, ai corsi della Fondazione Royaumont
.
(Parigi),
della Toho University di Tokyo, del Festival
International di Campos do Jordão in Brasile, del
Conservatorio di Shangai, della Columbia University (New York) e della Harvard University (Boston).
Dal 2006 Stefano Gervasoni è professore titolare di
composizione al Conservatorio Nazionale Superiore
di Musica e di Danza di Parigi.
Philippe Hersant è nato a Roma nel 1948. Ha compiuto gli studi musicali a Parigi presso il Conservatorio Nazionale Superiore di Musica, in particolare
nella classe di composizione di André Jolivet, prima
di essere borsista nella Casa de Velázquez a Madrid
e in seguito a Roma a Villa Medici. Senza cercare
mai di fare scuola, è stato uno dei primi della sua
generazione a collocarsi di nuovo nell’ambito tonale
e modale, evitando tuttavia qualsiasi inclinazione
neoclassica. Autore di un catalogo che conta più di
un centinaio di lavori, Philippe Hersant ha ricevuto
commissioni da illustri istituzioni: il Ministero della
Cultura francese, Radio France, l’Opera di Parigi,
l’Opera di Lipsia, l’Orchestra Nazionale di Lione e la
Cattedrale di Notre-Dame di Parigi che nel 2013, per
gli 850 anni dalla posa della prima pietra, gli ha commissionato i Vêpres de la Vierge. Inoltre il mondo
musicale gli ha conferito numerosi riconoscimenti:
Grand Prix musical de la Ville de Paris (1990), Grand
prix SACEM per la musica sinfonica (1998), Grand
prix della Fondation Simone et Cino del Duca (2001),
e due Victoires de la Musique (2005 e 2010).
Vittorio Montalti (1984) si è diplomato in pianoforte con Aldo Tramma al Conservatorio S. Cecilia di
Roma e in composizione con Alessandro Solbiati al
conservatorio G. Verdi di Milano. Si è poi perfezio-
nato all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, sotto
la guida di Ivan Fedele ed ha studiato musica elettronica presso l’ IRCAM-Centre Pompidou di Parigi.
Nel 2010, nell’ambito de La Biennale di Venezia-54.
Festival Internazionale di Musica Contemporanea,
gli è stato conferito il Leone d’Argento per la Creatività. La sua musica è stata commissionata ed eseguita in festival e stagioni concertistiche quali New
York Philharmonic, IRCAM-Centre Pompidou, La
Biennale di Venezia, Gran Teatro La Fenice, Teatro
dell’Opera di Roma, Orchestra della Toscana, Accademia Filarmonica Romana, Divertimento Ensemble, Bergamo Musica Festival, Ex Novo Ensemble/
SaMPL, Festival Pontino, Fondazione Culturale San
Fedele. È stato inoltre compositore in residenza
presso l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi e l’Accademia Americana di Roma. La sua musica è edita
dalle edizioni Suvini Zerboni di Milano.
Simone Movio. Fondamentali per la sua formazione sono stati e sono gli incontri con Beat Furrer.
Dopo gli studi con Renato Miani al Conservatorio
di Udine ha frequentato il Cursus 1 in composizione
ed informatica musicale presso l’ IRCAM di Parigi.
Simone Movio ha ricevuto il “Komponisten-Förderpreise 2014” della Ernst von Siemens Musikstiftung
ed è risultato vincitore di numerosi concorsi di composizione fra cui: “Wiener Konzerthauses Composition Contest” (Vienna, Austria), “Franz Schubert
and Modern Music 2011” (Graz, Austria), “IVME
International Composition Contest 2011” (Anversa, Belgio), “Gianni Bergamo Classic Music Award
2007” (Lugano, Svizzera). Ha tenuto seminari in
diversi istituti fra cui: Creama Hanyang University
di Seoul (Corea del Sud), Universität für Musik und
Darstellende Kunst di Graz, Università Nazionale
della Musica di Bucarest, Conservatori di Firenze
ed Udine. Artisti ed ensembles come Beat Furrer,
Clement Power, Klangforum Wien, Szymanowski
Quartet, Ensemble Recherche, SIGMA Project hanno interpretato le sue opere in significative istituzioni quali Wiener Konzerthaus, IRCAM di Parigi,
Tage für neue Musik Zürich, Festival GAMO Firenze.
L’etichetta viennese col-legno ha pubblicato il suo
primo Cd monografico: “Tuniche”.
Fabio Nieder compositore, pianista, direttore d’orchestra dalla doppia nazionalità italiana e tedesca;
ha studiato composizione, pianoforte e musica da
camera a Trieste rispettivamente con Giulio Viozzi, Roberto Repini, Dario De Rosa e Libero Lana,
perfezionandosi poi con Witold Lutoslawski, Klaus
Huber e Yannis Xenakis. In qualità di assistente al
pianoforte ha collaborato stabilmente con Elisabeth
Schwarzkopf, Alfredo Kraus, Petre Munteanu, Barbara Hannigan e molti altri. Fabio Nieder insegna
composizione presso i conservatori di Amsterdam e
di Trieste e in diverse accademie tra cui il Mozarteum
di Salisburgo e la Harvard University di Boston. Ha
inoltre tenuto corsi di perfezionamento per “Acanthes” a Metz e al “Bartók Seminar and Festival” in
Ungheria. Compone brani per importanti ensemble
e orchestre, tra cui Klangforum Wien, Ensemble
Recherche, Nieuw Ensemble, Atlas Ensemble, Ives
Ensemble, ÖENM, Orchestra Nazionale della RAI
(Italia), WDR, SWR, SR (Germania). Alcuni dei più
importanti interpreti della sua musica sono Heinrich Schiff, il Neue Vocalsolisten Stuttgart, Barbara
Hannigan, Teodoro Anzellotti, Eduard Brunner, Ed
Spanjaard, Emilio Pomarico, Myung-Whun Chung.
Le sue opere sono presenti nei principali festival
e istituzioni musicali, tra cui Berliner Festwochen,
Wien Modern, Holland Festival, Huddersfield Festival (UK), La Biennale di Venezia, Milano Musica,
Festival Présences (Parigi), Berliner Philharmonie,
Tonhalle Zürich, Wiener Konzerthaus, Concertgebouw Amsterdam, Teatro La Scala.
Marcello Panni compositore e direttore d’orchestra romano, dalla fine degli anni ’70 è ospite regolare delle principali istituzioni musicali italiane e
dei più importanti teatri lirici internazionali, quali l’Opéra di Parigi, il Metropolitan di New York,
il Bolshoi di Mosca, la Staatsoper di Vienna, la
Deutsche Oper, il Covent Garden, il Liceu di Barcelona. Oltre alle più note opere di repertorio, Panni
ha diretto la prima esecuzione assoluta di Neither
di Morton Feldman all’Opera di Roma (1976), di
Cristallo di Rocca di Silvano Bussotti alla Scala di
Milano (1983), di Civil Wars di Philip Glass all’Opera di Roma (1984) e di Patto di Sangue di Matteo
d’Amico al Maggio Musicale Fiorentino (2009).
Il suo catalogo comprende diverse opere liriche:
Hanjo per il Maggio Musicale Fiorentino (1994);
Il Giudizio di Paride, per l’Opera di Bonn (1996),
The Banquet (Talking about Love), per l’Opera
di Brema (1998), Garibaldi en Sicile per il Teatro
San Carlo di Napoli (2005) e molte opere sacre:
Missa Brevis (Cattedrale di Nizza, 2000) Laudate
Dominum (Duomo di Milano, 2004) Apokàlypsis
(Festival di Spoleto, 2009). Nel 2014 la sua cantata
Le vesti della Notte su poesie di Omar Khayyam
è stata eseguita all’Accademia di Santa Cecilia. È
stato direttore artistico e principale dell’Orchestra
dei Pomeriggi Musicali di Milano, dell’Opera di
Bonn, dell’Opera e dell’Orchestra Filarmonica di
Nizza della Orchestra Sinfonica Tito Schipa di Lecce. Nei periodi 1999-2004 e 2007-2009 ha assunto
la direzione artistica dell’Accademia Filarmonica
Romana. Nel 2003 è stato nominato Accademico
di Santa Cecilia.
Filippo Perocco. Sue opere sono state commissionate da Biennale Musica Venezia, Eclat, Siemens
Foundation, La Fenice, Villa Romana, Milano Musica, Mata, Tilt Brass, Sentieri Selvaggi, Taschenopern Salzsburg, Incontri Asolani, Teatro Olimpico
Vicenza, ExNovo, Finestre sul ‘900, Divertimento,
Ixion, Kaida, Brighton Festival, Vokalensemble Neue
Musik, Astra, Brinkhall Concert, ECHO. I suoi lavori
sono stati eseguiti in rassegne internazionali (Gaudeamus, Manca, Aspekte, Time of Music, Acanthes,
Warsaw Autumn, Musica Strasbourg, Nuova Consonanza, Contemporanea Udine, Theatre Dunois, Cantiere di Montepulciano, BEAMS, Zèppelin, Axes, De
IJsbreker, Logos Foundation, Tufts New Music, C. N.
de la Música México, New London Wind, Boston Festival, Review of Belgrade) da vari interpreti (Holland
Symphonia, Dresdner Sinfonikern, Young Janácek
Orchestra, Sinfonia Varsovia, Orchestre National de
Lorraine, Orchestra d’Archi Italiana, ORT, Orchestra
Mitteleuropa, Modern Art Ensemble, Dresden Sinfonietta, Virtuosi Italiani, Coro in Canto, Aleph, Argento, Knights, Accroche Note, Algoritmo). E’ stato
Composer in residence all’American Academy Rome
e visiting composer alla Boston University, Tufts University, Brandeis University (Fulbright Grant), New
York University. Come direttore ha collaborato con:
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, Neue
Vocalsolisten, Europa Chor Akademie, Ex Novo Ensemble, United Instruments of Lucilin, Mannheimer
Schlagwerk, Argento, ACME, Ecce. E’ cofondatore e
direttore artistico dell’ensemble L’arsenale.
Luca Richelli compositore e sound designer. Docente di Composizione Musicale Elettroacustica
– Conservatorio “G. Verdi” Como - Informatica Musicale – Conservatorio “F.A. Bomporti” Trento, coordinatore del SaMPL (Sound and Music Processing
Lab) – Conservatorio “C. Pollini” Padova. Ha tenuto
corsi di Sound Design presso l’Accademia di Belle
Arti di Brera (Milano) e di Computer Music presso
la Staatliche Hochschule für Musik und Darstellende Kunst di Stoccarda. Svolge attività concertistica
nell’ambito del live-electronics in numerose rassegne - Sound Music Computing, Biennale di Venezia,
EMUfest, Festival Spaziomusica, e altre ancora.
Corrado Rojac è nato a Trieste nel 1968 e si è diplomato in Composizione nel 2005, presso il Conservatorio Verdi di Milano, sotto la guida di Alessandro
Solbiati. Svolge intensa attività compositiva; alcuni
suoi brani sono stati commissionati da importanti
istituzioni musicali, quali l’Accademia Filarmonica
di Bologna e il Divertimento ensemble di Milano,
ed eseguiti in importanti Festival internazionali, tra
i quali Nuova Consonanza (Roma), Trieste Prima
(Trieste), Adesso musica (Milano), L’art pour l’Art
(Berna) e World Music Days 2015 (Lubiana). Pubblica
per Bérben (Ancona), Sconfinarte (Milano) e EDSS
(Lubiana). Sebbene sia stato anche violoncellista e
pianista, Corrado Rojac si è sempre dedicato alla fisarmonica da concerto, il suo primo strumento, che
ha contribuito a far emergere nel panorama della
musica contemporanea colta. Corrado Rojac si è inoltre laureato in Storia della musica presso la facoltà
di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste; la sua
tesi di laurea sul Metodo per armonica a mantice di
Giuseppe Greggiati ha aperto alla fisarmonica una
prospettiva storico-filologica sinora sconosciuta.
Doina Rotaru è nata a Bucarest e ha studiato presso il Conservatorio della sua città dal 1970 al 1975 con
Tiberiu Olah. In seguito ha proseguito gli studi ad
Amsterdam con Theo Lovendie. Nel 1991 è diventata
professore presso l’Università Nazionale Musicale
di Bucarest, ed è stata invitata diverse volte come
professore ospite a Darmstadt e presso il Composers Workshop del Gaudeamus di Amsterdam. La
sua musica è stata commissionata ed eseguita da
prestigiosi enti internazionali in Europa, Asia e nelle Americhe. È membro dell’Unione dei Compositori Rumeni, e ha vinto per sette volte il premio di
questa istituzione, oltre al Premio della Accademia
Rumena delle Arti e delle Scienze, che ha ottenuto
nel 1986, e al primo premio nel concorso di Composizione GEDOK di Mannheim, che ha ottenuto nel
1996 per Sinfonia II. Ha pubblicato nel 1986 con Liviu
Comes un articolo sulla tecnica contrappuntistica di
J.S. Bach e Giovanni Luigi da Palestrina nella rivista
Editura Muzicala.
Biografie degli interpreti
Ex Novo Ensemble nato a Venezia nel 1979 dalla
collaborazione tra un gruppo di musicisti ed il compositore Claudio Ambrosini, l’Ex Novo Ensemble
rappresenta ormai una realtà di riferimento nel panorama internazionale della musica nuova. La continuità del lavoro comune, la coerenza artistica e professionale hanno consentito al gruppo di acquisire
una cifra interpretativa che gli è stata riconosciuta
dal pubblico e dalla critica dei principali festival e
rassegne europei. L’impegno portato nell’approfondimento del linguaggio musicale contemporaneo è
in seguito divenuto punto di partenza per la rilettura
del repertorio classico e particolarmente di alcune
pagine affascinanti, destinate ad organici rari e tuttora poco note. Da mettere in rilievo le molte prime
esecuzioni assolute di lavori scritti e dedicati all’Ex
Novo Ensemble (sarebbe davvero impossibile citarli
tutti, ci limitiamo alle collaborazioni con Claudio Ambrosini, Sylvano Bussotti, Aldo Clementi, Azio Corghi, Luis De Pablo, Alvin Lucier, Giacomo Manzoni,
Fabio Nieder, Salvatore Sciarrino) presentati al pubblico anche attraverso la registrazione di produzioni
e concerti per le maggiori radio europee. Significativo il contributo alla diffusione della musica da camera del Novecento storico italiano testimoniato da più
di venti dischi frutto della prolungata collaborazione
con gli editori: Albany records, ARTS, ASV Records,
Black Box, Stradivarius, Dynamic, Ricordi, Naxos. Dal
2013 cura per il Teatro La Fenice la Maratona Contemporanea, manifestazione che ogni anno propone
in una sola giornata 42 brevi composizioni in prima
esecuzione assoluta.
Marco Angius direttore di riferimento per il repertorio moderno e contemporaneo, è direttore principale
dell’Ensemble Giorgio Bernasconi presso l’Accademia
del Teatro alla Scala. Dal 2006 è regolarmente invitato dall’OSNR di Torino, e come direttore ospite presso il Teatro Comunale di Bologna per la produzione
musicale contemporanea (Jakob Lenz di Rihm, Don
Perlimplin di Maderna, Il suono giallo di Solbiati).
Ha diretto l’Ensemble Intercontemporain (Agorà
2012), Tokyo Philharmonic, Maggio Musicale Fiorentino, Teatro La Fenice, Philarmonique de Nancy, Teatro Petruzzelli, Orchestra della Toscana, Orchestra di
Padova e del Veneto, la Verdi di Milano, I Pomeriggi
Musicali, Orchestra della Svizzera Italiana, Orchestre
de Chambre de Lausanne. Ha ottenuto il Premio del
Disco Amadeus per l’incisione di Mixtim di Ivan Fedele (Stradivarius, 2007) ed è stato ripetutamente
invitato da Biennale di Venezia, MiTo, Milano Musica,
Warsaw Autumn, Ars Musica di Bruxelles, Biennale
Zagreb, deSingel di Anversa, Traiettorie, Società del
Quartetto di Milano, Romaeuropa Festival, Royal College of Music, Accademia Musicale Chigiana. Nella
ricca produzione discografica spiccano le molte opere
di Salvatore Sciarrino (incise per gli editori Stradivarius e Euroarts), Ivan Fedele (Mosaîque), Giorgio
Battistelli (L’Imbalsamatore), Michele dall’Ongaro
(Checkpoint), Nicola Sani (In red), Martino Traversa
(Manhattan bridge). Marco Angius è anche autore
di numerosi saggi e scritti tra cui Del suono estremo
(Aracne, 2014) e Come avvicinare il silenzio (Rai Eri,
2007).
Art Percussion Ensemble. É stato fondato ed è
diretto da Massimo Pastore. Ha svolto una brillante
attività concertistica iniziata a Padova assieme al
Nuovo Gruppo Italiano di Percussioni. Il gruppo ha
partecipato all’attività del Festival Internazionale di
musica da camera di Portogruaro, alle Vacanze Musicali di Sappada e alle Giornate della Percussione
di Bolzano con il solista di fama internazionale Ney
Rosauro. Nel marzo 2012 ha suonato con Makoto
Nakura in uno speciale concerto dedicato all’anniversario della tragedia di Fukushima. Nel 2006 è
stato invitato dagli Amici della Musica di Padova ad
eseguire Les Noces di Igor Stravinskij. Nell’aprile
2008 è stato inviatato a Copenhagen all’Accademia
Reale di Danimarca e ha presentato alcune prime
esecuzioni di noti compositori italiani; dal 2012 al
2014 ha partecipato al progetto europeo ASTAPER
(Cracovia) in collaborazione con i gruppi di percussione di Cracovia, Valencia e Friburgo eseguendo in
concerto le più importanti opere moderne e contemporanee per percussione. Nel 2011 è uscito il CD
doppio Light & Dark in cui viene presentata una
raccolta delle migliori registrazioni effettuate tra il
2004 e il 2010. L’ensemble opera un costante rinnovamento del suo organico e del proprio repertorio
proponendo ogni anno nuovi progetti: tra questi il
progetto SMUG (SaMPL per la MUsica Giovanile)
promosso dalla Regione Veneto e dedicato alla formazione musicale giovanile.
Monica Bacelli diplomatasi con Maria Vittoria Romano e Donato Martorella presso il Conservatorio
di Pescara, vince il Concorso Belli di Spoleto che
la porta a debuttare al Teatro Sperimentale come
Cherubino nelle Nozze di Figaro e Dorabella in Così
fan tutte. Da allora ha cantato nei principali teatri
italiani e internazionali (Scala, Staatsoper di Vienna, Covent Garden, San Francisco Opera) e presso
le principali istituzioni concertistiche (Accademia
Nazionale di Santa Cecilia, Philharmonie di Berli-
no, Concertgebouw di Amsterdam), collaborando
con direttori quali Abbado, Chailly, Chung, Mehta,
Muti, Ozawa, Pappano e Rattle. Vincitrice del premio Abbiati, il suo ampio repertorio comprende
ruoli mozartiani (Marnante, Cherubino, Donna Elvira, Dorabella, Sesto) e rossiniani, ma si estende
dall’opera barocca (la trilogia monteverdiana, La
Calisto di Cavalli, Tamerlano, Alcina e Giulio Cesare
di Händel) all’opera francese dell’Otto e Novecento
(Les contes d’Hoffmann, Werther, Don Quichotte,
L’enfant et les sortilèges). Riconosciuta interprete
del teatro musicale contemporaneo, le sono state
affidate numerose prime esecuzioni, tra cui il monologo lirico Le bel indifférent di Marco Tutino e il
ruolo eponimo in Antigone di Ivan Fedele. Luciano
Berio ha scritto per lei i ruoli di Marina in Outis (Scala 1996) e di Orvid in Cronaca del luogo, e il brano
Altra voce (Festival di Salisburgo 1999). Di Berio ha
inoltre interpretato i Folksongs con la Filarmonica
della Scala, con l’Ensemble Intercontemporain, con
i Berliner Philharmoniker e ai Proms di Londra. Tra i
suoi impegni operistici recenti Isolier nel Comte Ory
a Ginevra, la prima assoluta del Re Orso di Marco
Stroppa all’Opéra-Comique di Parigi, Mélisande in
Pelléas et Mélisande a Bruxelles, Donna Elvira in
Don Giovanni a Sao Paulo, Sesto nella Clemenza di
Tito a Venezia e Ottavia nell’Incoronazione di Poppea all’Opera di Parigi.
Elisabetta Bocchese diplomatasi nel 1987 in pianoforte con il massimo dei voti al Conservatorio di
Venezia, dove ha studiato anche musica liturgica
prepolifonica e conseguito la maturità artistico-musicale, ha studiato alla Musikhochschule di Vienna
e, sempre nella stessa città, seguito i corsi per Korrepetitor al Conservatorio. Ha continuato gli studi
pianistici con Sergio Fiorentino e Piernarciso Masi,
e quelli cameristici con Franco Rossi e Dario De
Rosa. Interessata da sempre al repertorio liederistico ha seguito per numerosi anni i corsi di Paul von
Schilhawsky a Parigi e Salisburgo. Si è diplomata
alla Scuola ARS ET LABOR con Christa Bützberger e
Marina Rossi, completando la propria formazione
anche con studi di basso continuo e contrappunto. Come pianista e fondatrice dell’“Accademia
Musicale di San Giorgio” ha, tra le altre cose, partecipato all’esecuzione e incisione dal vivo dell’integrale della musica da camera di Brahms per il
“Teatro La Fenice” di Venezia. Vincitrice di concorsi
nazionali ed internazionali di pianoforte e musica
da camera (Concorso di Musica da Camera di Caltanissetta, premio per la migliore interpretazione di
un brano schubertiano al Concorso Franz Schubert
di Tagliolo Monferrato), alla sua attività concertistica come solista, con orchestra e camerista (Mi.To,
Bolognafestival, Società Veneziana di Concerti...)
abbina, alternando il pianoforte al clavicembalo,
un’appassionata attività di accompagnatrice, ruolo
che ricopre anche al Conservatorio di Venezia.
Valentina Coladonato nata a Chieti, laureata in
lingue e letterature straniere a Pescara e diplomata
in canto col massimo dei voti e la lode, si forma e
perfeziona con Donato Martorella, Claudio Desderi,
Edith Wiens, Paride Venturi, Renata Scotto, Regina
Resnik. Vincitrice di concorsi internazionali e premi di critica, pubblico e giuria, ha cantato i ruoli
principali in opere di Mozart, Alessandro Scarlatti,
Verdi, Spontini, Jommelli, Vivaldi, Bellini, Cavalli,
Monteverdi; inoltre ha cantato diverse composizioni in prima esecuzione assoluta: in particolare Ivan
Fedele scrive per la sua voce. Ospite del Teatro alla
Scala di Milano, Opéra National de Paris, Salzburger
Festspiele, Musikverein di Vienna, Concertgebow
Amsterdam, De Singel di Antwerpen, Festival delle
Fiandre, Filarmonica di S.Pietroburgo, Southbank
Centre di Londra, Frick Collection di New York, Philarmonie Köln, Festival George Enescu di Bucarest,
Ravenna Festival, Festival Pergolesi Spontini, Radio
WDR, RAI di Torino, MiTo, Sala Sinopoli di Roma
e presso altri enti europei, americani e asiatici; ha
collaborato con registi Maurizio Scaparro, Colin
Graham, Cesare Lievi, Francesco Micheli, Pierpaolo Pacini, Alessio Pizzech, Matelda Cappelletti. E’
stata diretta da Riccardo Muti, David Robertson,
Lior Shambadal, Peter Eötvos, John Axelrod, Michel Tabachnik, Peter Rundel, Alessandro Pinzauti,
Marcello Panni, Claudio Scimone, Claudio Desderi,
Ottavio Dantone, Corrado Rovaris.
Sandro Cappelletto veneziano, scrittore e storico
della musica. Laureato in Filosofia, ha studiato armonia e composizione con Robert Mann. Tra le sue
principali pubblicazioni, la prima biografia di Carlo
Broschi Farinelli (La voce perduta, EDT, 1995), un’analisi della Turandot di Puccini (Gremese, 1988), un
saggio su Gaetano Guadagni (NRMI, 1993), un’inchiesta politica sugli enti lirici italiani (Farò grande
questo teatro!, EDT 1996). Esce nel 2006 Mozart
– La notte delle Dissonanze (EDT), libro dedicato
al misterioso Adagio introduttivo del Quartetto K
465. Per la Storia del teatro moderno e contemporaneo (Einaudi, 2001) ha scritto il saggio Inventare
la scena: regia e teatro d’opera. Nel 2002, con Pietro Bria, dà alle stampe Wagner o la musica degli
affetti (Franco Angeli), raccolta di riflessioni e interviste di Giuseppe Sinopoli, di cui nel 2006 cura Il
mio Wagner – il racconto della Tetralogia (Marsilio).
Nel 2008 la Fondazione Perosi di Biella pubblica
L’angelo del Tempo, volume dedicato al Quartetto per la fine del Tempo. Autore di programmi radiofonici e televisivi per la Rai (La scena invisibile,
Momus, un film televisivo su Maurizio Pollini), ha
scritto numerosi testi teatrali: Quel delizioso orrore, Solo per archi, L’avida sete. I suoi libretti per il
teatro musicale sono nati dalla collaborazione con
significativi compositori, tra i quali Claudio Ambrosini (Big Bang Circus, Biennale di Venezia 2002) e
Luca Lombardi (Il re nudo, Opera di Roma 2009) e
dalla intensa collaborazione con Matteo D’Amico.
Nel 2013 scrive, per i Cameristi della Scala e Gabriele Lavia, Che Verdi viva! Su invito di Giuseppe Sinopoli ha diretto il settore drammaturgia e
didattica del Teatro dell’Opera di Roma. Dal 2001
è membro della commissione artistica della Scuola
di Musica di Fiesole, nel 2005 assume la responsabilità del Festival Giuseppe Sinopoli di Taormina.
Accademico dell’Accademia Filarmonica Romana,
ne è stato direttore artistico dal 2009 al 2013. Scrive
per il quotidiano La Stampa.
Mario Caroli è stato allievo di Annamaria Morini e
di Manuela Wiesler. A 22 anni vince lo storico premio internazionale Kranichstein, in occasione dei
Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt. Artista
dotato di una fortissima personalità, a più riprese
sottolineata dalla critica che nei suoi riguardi non
ha esitato a parlare di “fenomeno”. Regolarmente presente alla Philarmonie di Berlino, al Concertgebouw di Amsterdam, al Parco della Musica
di Roma, al Konzerthaus di Vienna, alla Cité de la
Musique di Parigi e Strasburgo, al Festival di Salisburgo, alla Royal Festival Hall di Londra, alla Suntory Hall di Tokyo o ancora al Lincoln Center di New
York, è stato solista con grandi orchestre con la
Philarmonia di Londra, l’Orchestre Philharmonique
de Radio France, l’Orchestra nazionale della Rai,
l’Orchestra Filarmonica di Tokyo, l’Orchestra Nazionale del Belgio, l’Orchestra Nazionale d’Islanda,
le Orchestre delle Radio Tedesche SWR, WDR, Bayerische Rundfunk, le Orchestre dei Teatri d’Opera
di Stoccarda, Rouen, Verona, Cagliari, Bari, i Neue
Vocalsolisten, Les Percussions de Strasbourg. I più
grandi compositori di oggi hanno scritto per lui
splendide pagine solistiche. Vanta una discografia
di circa 40 titoli, lodati dalla critica di tutto il mondo. Pedagogo tra i più ricercati, tiene masterclass
nelle grandi istituzioni musicali europee, americane
e giapponesi, ed insegna all’Accademia Superiore
di Musica di Strasburgo, ed alla Musikhochschule
di Friburgo. Cosmopolita e poliglotta, Mario è anche laureato, summa cum laude, in Filosofia (tesi
su “L’Anticristo” di Nietzsche).
Carlo Lazari veneziano, si diploma in violino col
massimo dei voti al Conservatorio di Venezia sotto
la guida di Renato Zanettovich, continuando in seguito lo studio all’Accademia Stauffer di Cremona
con Salvatore Accardo ed alla Scuola di Musica di
Fiesole con Stefan Gheorghiu; ha inoltre preso parte a masterclass tenute da Franco Gulli ed Henryk
Szering presso l’Accademia Chigiana di Siena e Nathan Milstein al Muraltengut di Zurigo. Premiato
dalle giurie di molte rassegne violinistiche nazionali
ha ottenuto il 2°premio (1° non assegnato) al IX°
Concorso Internazionale di violino “A.Curci”. Suona
stabilmente dal 1981 con l’ Ex Novo Ensemble di Venezia con il quale ha effettuato numerose tournée
ed incisioni discografiche per Dynamic, Ricordi,
Stradivarius, AS Disc e Giulia Records. Sul versan-
te filologico, come violinista barocco è impegnato
con “L’Arte dell’Arco” nella registrazione integrale
dei concerti per violino di Tartini per Dynamic. E’
membro de “I Solisti Filarmonici Italiani” con il quale incide per la Denon ed effettua tourneé in tutto
il mondo.
Katarzyna Otczik si laurea nel 2009 in canto lirico presso l’Università “F. Chopin” a Varsavia, nella classe di Anna Radziejewska effettuando anche
un periodo di studio al Conservatorio Santa Cecilia
di Roma e partecipa a masterclass di canto tra cui
quelle condotte da Teresa Berganza, Sara Mingardo e Renata Scotto. È stata vincitrice della edizione
2011 del Concorso Comunità Europea per Giovani Cantanti Lirici del Teatro Lirico Sperimentale di
Spoleto e ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra
cui il 3° posto nella categoria “Il Canto nel XX e XXI
secolo” del Premio “Valentino Bucchi” (2010). Nel
2008 ha debuttato nel ruolo di Bianca nell’opera di
Benjamin Britten The Rape of Lucretia presso l’Opera Baltica di Danzica e in Italia nel Rigoletto di
Verdi nel ruolo di Maddalena al Teatro Romano di
Gubbio nello spettacolo organizzato dall’Accademia Lirica Internazionale. Numerosi i ruoli interpretati successivamente tra cui Coscienza/Assistente
di Coscienza nella prima mondiale dello spettacolo
Opera Migrante, con musiche di Andrea Cera e Luca
Gregoretti ed il libretto di Mario Perrotta. Ha cantato in diversi festival tra i quali Warsaw Autumn, Baltic Sea (Stoccolma e Riga), Segni Barocchi (Foligno)
e il Festival internazionale di Roma per la lirica da
camera “Sulle Ali del Canto”. Oltre al repertorio lirico, Katarzyna Otczyk si esibisce spesso in concerti
di musica sacra e da camera.
Aldo Orvieto dopo gli studi al Conservatorio di
Venezia incontra Aldo Ciccolini, al quale deve molto della sua formazione musicale. Ha inciso più di
sessanta dischi dedicati ad Autori dell’età classica e
del Novecento per le case italiane Dynamic, Stradivarius, Ricordi, Nuova Fonit Cetra; per ASV e Black
Box Music, Cpo, Hommage, Mode Records, Naxos,
riscuotendo unanime consenso della critica. Ha registrato produzioni e concerti per le tutte le principali radio europee tra cui: BBC, RAI, Radio France,
le principali Radio tedesche (WDR, SDR, SR), le Radio svizzere (RTSI, DRS), la Radio Belga (RTBF), la
Radio Svedese. Ha suonato come solista con molte
orchestre tra cui le Orchestre RAI, l’OSNR, l’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia, del Teatro Comunale di Bologna, dell’Arena di Verona, dell’ORT
di Firenze, l’Ensemble 2e2m di Parigi, Accroche
Note di Strasburgo, e in formazioni da camera con
prestigiosi complessi di fama internazionale. Ha
svolto intensa attività concertistica e discografica
con i violinisti Luigi Alberto Bianchi, Felix Ayo, e
Dora Bratchkova con i violoncellisti Arturo Bonucci
e Luigi Piovano, con i pianisti John Tilbury e Marco
Rapetti, con le cantanti Sara Mingardo, Monica Bacelli, Gemma Bertagnolli e Luisa Castellani. Importanti prime esecuzioni e dediche di lavori da parte
di Salvatore Sciarrino, Claudio Ambrosini, Sylvano
Bussotti, Stefano Gervasoni, Aldo Clementi, Fabio
Nieder, Luis De Pablo, Ivan Vandor e lusinghieri
consensi da alcuni dei più grandi compositori del
nostro tempo tra cui Luigi Nono, e Mauricio Kagel.
Massimo Pastore percussionista, diplomato con
il massimo dei voti, si è perfezionato in Danimarca con Gert Mortensen e Einar Nielsen e, tra gli
altri, con David Searcy, timpanista del Teatro La
Scala di Milano. Dal 1985 svolge un’intensa attività
concertistica con formazioni di musica da camera e
orchestre lirico sinfoniche, suonando repertori che
spaziano dalla musica antica e barocca alle prime
esecuzioni assolute di musica contemporanea. E’
stato fondatore del Nuovo Gruppo Italiano di Percussioni collaborando con Laslo Heltay, Thomas
Dausgaard, Antonio Ballista, Sergio Balestracci,
Giovanni Bonato, Mario Brunello, Gert Mortensen,
Ennio Morricone e Vladimir Mendelssohn. É direttore dell’Art Percussion Ensemble col quale svolge un’intensa attività concertistica specie a favore
della divulgazione della musica tra i giovani e col
quale nel 2011 ha inciso il CD Light & Dark. E’ stato
docente ai Corsi Internazionali di perfezionamento
per percussioni di Portogruaro, Sappada, Spilimbergo e Udine; ha tenuto inoltre masterclass e corsi
di percussione alle accademie di Salonicco, Copenhagen, Cracovia, Valencia e Brno. Tra il 2012 e 2014
è stato docente e direttore artistico del progetto
europeo ASTAPER di Cracovia rivolto a studenti di
percussione. Ha collaborato con artisti di fama internazionale suonando tra gli altri con Marta Argerich, Raymond Gujot, Milva, Gert Mortensen, Astor
Piazzolla, Ney Rosauro. Nel 2010 è uscito il suo CD
Alone Together. Dal 1993 è docente di strumenti a
percussione al Conservatorio di Padova.
Daniele Ruggieri flautista, ha compiuto gli studi
con il massimo dei voti a Venezia con Guido Novello e a Ginevra, I° Prix de Virtuosité nella classe
di Maxence Larrieu. Nella sua formazione è stato
importante l’incontro con Claudio Ambrosini, che
avrebbe in seguito portato alla fondazione dell’Ex
Novo Ensemble di Venezia. La sua attività concertistica lo ha portato a prender parte ai principali
Festival internazionali; di particolare rilievo il debutto in Giappone presso il Denki Bunka Kaikan
di Nagoya accompagnato dalla Aichi Central Symphony Orchestra e la prima esecuzione assoluta
della versione per flauto e orchestra di Adagio di
Salvatore Sciarrino, accompagnato dall’Orchestra
del Teatro La Fenice. Ha inciso per Albany Records,
ASV Records, Black Box, Brilliant Classics, Dynamic,
Denon, Rai Trade, Resonance, Ricordi, Stradivarius,
Tactus, privilegiando i principali compositori del
Novecento Italiano: Busoni, Respighi, Malipiero,
Casella, Rota, Castelnuovo Tedesco e Maderna, non
tralasciando però la musica del secolo precedente
con Rolla, Rossini e Donizetti. Ha inoltre registrato
concerti e produzioni per BBC, RAI, Radio France, Westdeutscher Rundfunk (WDR), Radio Belga
(RBFT), Radio della Svizzera Tedesca (DRS), Radio
Svedese. Ha tenuto lectures, concerti e masterclasses per diverse prestigiose istituzioni accademiche
fra cui Boston University, Rowan University, Haverford College (U.S.A), Hochschule für Musik di
Mainz (Germania), Conservatorio Superior de Murcia (Spagna).
Manila Santini si diploma col massimo dei voti e la
lode presso il Conservatorio di Pescara perfezionandosi con Roberto Cappello, Aquiles Delle Vigne,
Alfredo Speranza, Piernarciso Masi e Roberto Szidon, frequentando la Sommerakademie del Mozarteum di Salisburgo e la Hogeschool voor Muziek en
dans di Rotterdam presso la quale ottiene il Master
Degree con il massimo dei voti. È vincitrice di premi
in numerosi concorsi pianistici nazionali ed internazionali tra i quali il Frèdèric Chopin di Roma, il Città di Trani, il prestigioso “Encouragement award”,
premio del pubblico al Sydney International Piano
Competition of Australia (2004). Si è esibita in sali
prestigiose quali la Salle Gothique dello Stadhuis
di Bruxelles, la Wiener Saal del Mozarteum di Salisburgo, Musik und Tanzfakultat der Hochschule
für Musik di Bratislava, la Konzertsaal des Joseph
Haydn Konservatoriums ad Eisenstadt, la Juriaanse
saal al De Doelen di Rotterdam (Festival Gergiev
2003) e dell’ Operadagen (2005), al Teatro Regio
di Parma nell’ambito del Festival Verdi 2010 e 2012.
Ha collaborato, nell’ambito della XXI edizione del
Ravenna Festival, con l’Hamburg Ballet per la prima italiana di Waslav, Hommage aux Ballets Russe.
La passione per la musica da camera l’ha portata
a collaborare con artisti quali Emmanuele Baldini, Francesco Manara, Simonide Braconi, Fabrizio
Meloni, Alessandro Serra, Mario Marzi e Federico
Mondelci. Nel 2014 ha inciso per la casa discografica KNS classical Chopin Portrait, disco dedicato alla
musica per pianoforte di Frédéric Chopin.
Germano Scurti è attualmente considerato uno
dei migliori interpreti del repertorio moderno e
contemporaneo. Si è dedicato allo studio dei nuovi
linguaggi musicali del bayan russo contemporaneo
attraverso una ricerca costante e in collaborazione
con importanti compositori, tra cui Jonathan Harvey, Marc Monnet, Ivan Fedele, Azio Corghi, Alessandro Solbiati, Luca Mosca, Alessandro Sbordoni,
Nicola Sani, Francesco Antonioni, Raoul De Smet,
Bruno Strobl. Suoi concerti sono stati ospitati da:
“Printemps des Arts” (Montecarlo), , “Duophonie”
(Parigi), Neue Musik Konzerthaus (Klagenfurt),
Stockholm New Music, Festival Scelsi, Teatro Nazionale di Marsiglia, Concerten Zonder Subsidie
(Anversa), Festival De RodePomp (Gent), Teatro
La Fenice, Accademia Filarmonica Romana, Nuova
Consonanza, Rai Nuova Musica, Pomeriggi Musicali
di Milano, Biennale Musica di Venezia, Festival Play
It! di Firenze. Ha eseguito e inciso con l’Orchestra
Sinfonica Nazionale della RAI “Sirius” per bayan e
orchestra composto per lui da Alessandro Sbordoni. Significativa la sua partecipazione alla Biennale
Musica 2012 in cui ha presentato Fachwerk di Sofia
Gubaidulina per bayan e orchestra d’archi. Ha inciso per Rivoalto, Stradivarius, Rai Trade, Aliamusica
records. E’ laureato in Sociologia ed è Dottore di
Ricerca in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi La Sapienza di Roma. Ha insegnato sociologia dell’arte all’Accademia di Belle Arti
dell’Aquila. Attualmente insegna al Conservatorio
“Tito Schipa” di Lecce.
Daniele Spano diplomato col massimo dei voti
al Conservatorio di Udine sotto la guida di Ercole
Laffranchini ,tuba del teatro Verdi di Trieste. Approfondisce i suoi studi, periodicamente con Mario Barsotti, tuba del Maggio Fiorentino, i celebri
solisti Alessandro Fossi e James Gourlay; con Rex
Martin, professore di tuba alla Northwestern music University negli USA e Gene Pokorny tuba della
Chicago Symphony Orchestra. È risultato idoneo a
diverse audizioni tra cui quella per l’Orchestra Sinfonica di Savona, per l’Orchestra del Teatro Lirico
di Cagliari. Ha collaborato con la Royal Symphony
Orchestra. Collabora con l’Orchestra Filarmonia di
Udine, l’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, l’Orchestra del Teatro lirico di Cagliari, l’Orchestra del
Teatro La Fenice di Venezia, l’Orchestra San Marco di Pordenone, l’Orchestra sinfonica di Savona,
l’Orchestra sinfonica del Friuli Venezia Giulia e con
prestigiosi gruppi di musica da camera. Si è esibito anche da solista in vari teatri tra cui il Teatro
la Fenice di Venezia. Ha partecipato all’incisione
dell’ultimo album del sassofonista jazz Francesco
Cafiso. E’ membro stabile del quintetto d’ottoni
Sounday Brass.
rius) É titolare della classe di Musica da Camera
e docente di violoncello nel Biennio Specialistico
ad indirizzo interpretativo presso il Conservatorio
di Udine.
Carlo Teodoro si è diplomato con il massimo dei
voti e la lode presso il Conservatorio di Venezia
con Adriano Vendramelli, e presso le Hochschule
di Stoccarda e di Mannheim con Michael Flaksman
conseguendo il Konzertexamen (Aufbaustudium
II); ha seguito Masterclass di Rocco Filippini, Natalia Gutman e Daniel Schafran. Per la Musica da
Camera si è diplomato al corso di alto perfezionamento del Trio di Trieste presso la Scuola Superiore
del Collegio del Mondo Unito di Duino. Tra i fondatori dell’Ex Novo Ensemble, ha collaborato con I
Solisti Veneti, le Orchestre della Radio Svizzera Italiana, del Teatro La Fenice di Venezia, l’Orchestra
di Padova e del Veneto. Svolge un’intensa attività
concertistica esibendosi nell’ambito di prestigiosi
Festival in tutto il mondo tra i quali: Festival di Salisburgo, Großer Musikvereinsaal di Vienna, Opera di Montecarlo, Seoul Arts Center, Avery Fisher
Hall (Lincoln Center di New York), Sala Concerti
Conservatorio di Mosca, Dresdner Musikfestespiele, Teatro Colon di Buenos Aires, Tokyo Opera City
Takemitsu Memorial, Sapporo Concert Hall Kjtara,
Osaka Izumi Hall. Gli sono state dedicate composizioni da Claudio Ambrosini, Luca Mosca, Marino
Baratello, Ivan Vandor. Ha registrato brani in prima
assoluta per le principali radio europee e numerosi CD per: Dynamic, Giulia, Arts, ASV Ricordi, Rivo
Alto, AS disc, Stradivarius, Edipan, Velut-Luna,
Denon, Naxos, Ricordi; tra le ultime produzioni
la Sequenza XIV di Luciano Berio (CD Black Box)
Checkpoint di Michele dall’Ongaro (CD Stradiva-
Davide Teodoro clarinettista. Diploma a Venezia
con Giovanni Bacchi. Perfezionamento per la musica da camera con il Trio di Trieste. Premiato nei
concorsi internazionali di musica da camera di Trapani, Caltanissetta, Stresa. É attualmente docente
di clarinetto al Conservatorio di Udine. Ha collaborato con prestigiosi direttori quali: Diego Masson e
Ed Spanjaard. Ha registrato numerosi lavori per le
principali radio europee (Lachenmann: Dal niente,
Radio Belga RTBF; Bettinelli: Studio da concerto,
Radio3 RAI; Donatoni: Spice BBC, etc.), e inciso
importanti composizioni come la Fantasia per clarinetto e pianoforte di Rossini (CD Arts), lo Studio
per clarinetto solo di Donizetti (CD Giulia), il Solo
Dramatique e la Suite per clarinetto e pianoforte di
Busoni (CD Dynamic), la Sequenza IX e il Lied di
Berio (CD black box). Altre importanti produzioni
sono state infine incise per Ricordi, Stradivarius,
ASV Records, Albany Records, Edipan, ASdisc, Velut Luna. É uno dei fondatori dell’Ex Novo Ensemble, gruppo cameristico con il quale dal 1979 svolge
un’intensa attività concertistica nei principali Festival europei. Recentemente ha tenuto un’importante masterclass presso il Conservatorio centrale
cinese di Pechino.
Alvise Vidolin regista del suono, musicista informatico, interprete di Live Electronics, nasce a
Padova nel 1949 dove compie studi scientifici e
musicali. Ha curato la realizzazione elettronica e la
regia del suono di molte opere musicali collaboran-
do con i principali compositori della scena contemporanea, curandone l’esecuzione in festival e teatri
internazionali. Collabora dal 1974 con il Centro di
Sonologia Computazionale (CSC) dell’Università di Padova partecipando alla sua fondazione,
svolgendo attività didattica e di ricerca nel campo della musica informatica ed è tuttora membro
del direttivo, pubblicando diversi lavori di carattere
scientifico. Co-fondatore della Associazione di Informatica Musicale Italiana (AIMI) ne ha assunto
la presidenza nel triennio 1988-1990. Dal 1977 ha
collaborato in varie occasioni con la Biennale di
Venezia soprattutto in veste di responsabile del
Laboratorio permanente per l’Informatica Musicale della Biennale (LIMB). Dal 1975 al 2009 è stato
titolare della cattedra di Musica Elettronica presso
il Conservatorio “B. Marcello” di Venezia e docente
della stessa materia all’Accademia Internazionale
della Musica delle Scuole Civiche di Milano dal 1993
al 2012. E’ inoltre membro del comitato scientifico
dell’Archivio Luigi Nono, Socio dell’Istituto Veneto
di Scienze Lettere e Arti.
Zero Vocal Ensemble nasce dalla collaborazione
fra alcuni giovani musicisti di Zerocrediti, laboratorio interdisciplinare e progetto formativo del
Conservatorio di Bologna (creato da Francesco La
Licata e Maurizio Pisati) che dal 2011 ha realizzato
progetti nei quali ampio spazio ha avuto una libera
reinterpretazione della letteratura musicale attraverso le più svariate forme espressive dei linguaggi
contemporanei. Proprio a partire da questa esperienza e sotto la preziosa spinta di Monica Bacelli
è quindi nato Zero Vocal Ensemble una compagine
vocale che intende proporre un meticoloso lavoro
di ricerca interiore sulla riproposizione della lette-
ratura antica e contemporanea in rapporto alla potenza drammaturgica della parola cantata. Il gruppo opera difatti una profonda ricerca sulla voce, e
su una nuova vocalità che esprima gli affetti con
mezzi espressivi più vicini alla sensibilità odierna.
La voce diventa quindi parlata/intonata, cantata/
sussurrata, e le parole sono scolpite nel suono.
L’idea non è dunque di proporre prassi esecutive
filologiche ma di restituire la vera anima, di raccontare “di nuovo”, o far ascoltare con orecchie nuove
l’immenso patrimonio vocale che ci ha consegnato
la storia.
La registrazione dei concerti della rassegna Ex Novo Musica 2015 è affidata all’Ing.
Matteo Costa, docente del Corso sperimentale di Tecnico di Sala di Registrazione presso il
Conservatorio “Cesare Pollini” di Padova, e agli studenti del suo corso. Il Festival Ex Novo
Musica è onorato di poter contribuire a realizzare questa prestigiosa esperienza didattica
ed è grato a Matteo Costa per l’entusiasmo e la generosa dedizione che ha profuso nella
sua organizzazione.
ex novo musica 2015
xii. edizione
SIAE - Classici di Oggi
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee
Conservatorio Benedetto Marcello
Teatrino di Palazzo Grassi
Ateneo Veneto
con il sostegno di
SIAE
Pro Helvetia Fondazione
svizzera per la cultura
Fondazione Teatro La Fenice
Palazzetto Bru Zane
Centre de musique romantique française
con la collaborazione di
Ateneo Veneto
CIRS - Centro Internazionale
per la Ricerca Strumentale
Città di Venezia
Conservatorio di Musica
Benedetto Marcello di Venezia
Conservatorio di Musica
Cesare Pollini di Padova
CSC - Centro di Sonologia Computazionale
dell’Università di Padova
SaMPL - Sound and Music Processing Lab
Edizioni Suvini Zerboni, Milano
Fondazione Giorgio Cini
Casa Ricordi, Milano
Les Harpes Camac
Palazzo Grassi - Punta della Dogana
Rai Radio 3
Studio Tapiro