Per un contributo della Diocesi di Fermo al IV Convegno Nazionale di Verona 2006 Documento base Verona 2006 evento di speranza Ci auguriamo tutti che Verona 2006 non sia tanto un convegno sulla speranza, quanto un evento di speranza, capace di generare e comunicare impegno e speranza per tutti . Così vorremmo viverlo anche nella nostra Diocesi, perché porti frutto, se possibile, a partire da ogni parrocchia. E’ previsto anche un documento di sintesi a livello regionale a Giugno, e questi fogli hanno anche lo scopo di contribuirvi. Le idee qui raccolte verranno sottoposte alle varie realtà diocesane. Abbiamo fatto alcune scelte: essenzialità, sintesi, sguardo franco alla realtà e fisso su Cristo Risorto, speranza del mondo. La Chiesa di Fermo “Grandi cose ha fatto il Signore per noi!”. Non possiamo non partire dai doni di fede, speranza e carità che hanno vivificato per secoli la nostra Chiesa locale. La forza prorompente del Vangelo genera ancora futuro in ogni cristiano di questa terra. I recenti Piani Pastorali per la Famiglia e i Giovani hanno ripercorso la storia più recente, evidenziando la continua capacità di proposta evangelizzatrice in contesti culturali e storici diversi. La nostra è ancora una “Chiesa di popolo”, vicina alla gente, specie nelle tappe cruciali della vita; ha prodotto e continua a generare “eccellenze” e personalità rilevanti anche sullo scenario nazionale; ha notevoli risorse culturali e di elaborazione pratica. Anche le numerose aggregazioni laicali fiorite in Diocesi negli ultimi anni rappresentano una ricchezza, perché propongono un cammino che tende ad una fede adulta e pensata, offrendo alle persone un ventaglio di esperienze e contesti nei quali si realizza l’inafferrabile incontro personale con il Cristo: un evento di libero dono, questo, che tuttavia non “appartiene” né al gruppo né alla sua “spiritualità”. Vi è tuttavia in molti cristiani, e talvolta anche nel “piccolo gregge” più assiduo nella vita ecclesiale, un diffuso sentimento di “tristezza” e “stanchezza” (che i medici chiamerebbero “depressione”), che nasce da una sensazione di paura di seguire Cristo fino in fondo. Come i discepoli di Emmaus, si cammina con lo sguardo basso, oppressi dalla gravità degli avvenimenti. Molti operatori pastorali si sentono (e sono probabilmente) sovraccarichi e stressati. La comunità ecclesiale non sembra comunque sfuggire ai “virus” alienanti del secolo (come potrebbe?): estraniamento, perdita del senso, timore degli individui di essere schiacciati dal mondo e dalla sua frenesia e conseguente rifugio in una “dimensione insulare” del sè. Lo stesso tessuto ecclesiale appare parcellizzato in tante forme mutanti di appartenenza, talvolta così diverse tra loro da essere perfino contraddittorie. Esse a volte corrono il 1 rischio di chiudersi nella frenesia dell’attivismo autoreferenziale che assorbe ogni energia, in linguaggi “separanti” o nelle illusorie sicurezze e gratificazioni di gruppo. Soffre oggi la nostra ecclesia: vediamo parrocchie che si svuotano di adolescenti e giovani terminato il ciclo dell’iniziazione cristiana, sacerdoti sempre più “in ritirata”, anche tra i più giovani, in compagnia di consigli pastorali poco significativi per le loro comunità, un po’ burocratici e frustranti, la vita comunitaria che si risolve spesso in “dispensario” distratto dei sacramenti e dei riti. La Diocesi, anche per la vastità del suo territorio, fatica a proporsi e ad essere riconosciuta come “centro” propulsore e momento di sintesi e coordinamento di parrocchie e aggregazioni. Ci sembra anche che la nostra Chiesa faccia fatica a “chiamare” nuovi e più numerosi operai alla vigna del Signore. I timori, le chiusure, l’affanno dei sacerdoti e dei laici più impegnati innalzano siepi verso i fratelli, con i molti fratelli che forse aspettano una mano tesa che li trascini nella corsa liberante verso Gesù Risorto, come l’agile Giovanni davanti all’affannato Pietro la Domenica di Pasqua. Bisogna tornare a dire a molti, con le parole ed il cuore, “ho bisogno di te” e non lasciarsi scoraggiare dai no. La secolarizzazione, il primato acritico della tecnica, l’identificazione della felicità con l’”utilità”, le difficoltà di coesione di una società sempre più multiculturale, la debolezza e la confusione delle agenzie educative, sono problemi da interpretare anche con l’aiuto delle scienze umane, senza tuttavia dimenticare una lettura ulteriore che riconduce alla lotta incessante contro il peccato e al cammino misterioso del Regno nella storia. Essere “Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo” Ci sembra che in questo tempo essere testimoni di Gesù Cristo, speranza del mondo, significhi riconoscere l’importanza, nella vita cristiana, della continua tensione alla dimensione universale della vita della Chiesa, a partire dalla piccola parrocchia. Una Chiesa-Sacramento capace di tendere a tutti le sue braccia, parlare tutte le lingue come gli Apostoli, convertirsi continuamente attraverso il dialogo con il mondo, il servizio e la preghiera. Extra ecclesiam nulla salus. Sicuramente abbiamo un faro nella nebbia: il Concilio. Occorre ritrovarne l’ispirazione e la spinta: la Chiesa è segno e strumento dell’intima unione con Dio e insieme dell’unità del genere umano. Le due dimensioni sono inseparabili, come i due assi della croce. Occorre fugare i dubbi e i “riflussi” a riguardo: sia verso il mondo che verso Dio non siamo andati “troppo oltre”, piuttosto “non abbastanza”. Una prima strada che proponiamo è quella della “compagnia”, che significa accogliere le domande dell’uomo, di noi stessi e dei nostri fratelli, che sempre più manifestano fame di vita e di senso. Si tratta di entrare in un rapporto il più possibile diretto e immediato con: i giovani, i più fragili, con la loro curiosità (anche trasgressiva), la loro ricerca di una personalità (anche violenta o narcisistica), di un equilibrio affettivo (anche se confuso e disordinato), di un’identità sociale nel lavoro sempre più precario; con gli adulti smarriti perché fuori dal gioco della competizione, o fiaccati dal fallimento della loro famiglia, soli nel loro condominio o quartiere o semplicemente 2 disgustati dalle crescenti volgarità, piattezza, falsità evidenti del mondo fasullo della comunicazione di massa e dei comportamenti e atteggiamenti che esso induce; con i politici e gli amministratori che soffrono in un sistema dove il consenso sembra dipendere sempre più da atteggiamenti demagogici e clientelari: un sistema che spesso mortifica la loro intelligenza oltre che i cittadini; con i malati, con gli esclusi, con gli immigrati. In queste relazioni riconosciamo il volto di Cristo crocifisso, amiamo e accettiamo ogni miseria umana testimoniando la certezza della Resurrezione. La compagnia è in primo luogo impegno dei laici cristiani. Nasce fuori dalla sagrestie, negli ambienti dove siamo “pari” col nostro fratello, anche non credente. Si può reinventare la comunità cristiana e il suo modo di operare intorno all’idea di compagnia. Su questo possiamo lavorare, ascoltano e proponendo – o meglio raccontando - modelli nuovi e nuove esperienze. La compagnia rende possibile la purificazione delle domande, aiuta cioè a comprendere la radice dei problemi, a capire che l’alienazione e l’insoddisfazione nascono dai nostri limiti e dall’incapacità di accettarli, così come dalla fatica di amare e sperare. La compagnia richiede condivisione e capacità di calarsi nei contesti, accogliendo le urgenze del fratello. E’ la via dell’inculturazione della fede, della mediazione culturale e del comune percepiresentire-interpretare. A questo proposito il linguaggio che usiamo è il nostro "biglietto da visita". “Ecclesialese” e gerghi specialistici sono spesso motivo di separazione, così come il giudizio preconcetto e le domande "imbarazzanti". Nel nostro parlare abituiamoci ad usare le categorie della vita, così come la verità e l'ironia, che non significa sarcasmo, ma un modo leggero e penetrante di entrare nella storia delle persone senza invaderla. L'ironia non è il carisma degli spiritosi o dei simpatici, ma lo sguardo che permette di far emergere nell'altro un punto di incontro. Nell'incontro difficile con la Samaritana Gesù non pone domande, non dà consigli, ma aiuta la donna a riguardare la sua vita. a porsi i giusti interrogativi e a decidersi per la fede. Non confidiamo troppo nei tradizionali argomenti della filosofia scolastica. E’ importante oggi uno sforzo ermeneutico che aiuti la Chiesa ad interpretare in modo più efficace simboli, atteggiamenti, situazioni che hanno valenze differenziate in diversi contesti e prospettive culturali e sociali. Proponiamoci uno stile nuovo di lavorare insieme. Creiamo comunione fra laici e clero, fra aggregazioni laicali e parrocchie, fra parrocchie tra loro, perché come tra i primi discepoli chi più ha, più può condividere. In una prospettiva pastorale si tratta anche di mettere in opera “terre di mezzo”, occasioni di confronto e dialogo, “piste di fraternità” dove nei più vari contesti il dialogo cresca e possa diventare progetto. La progettualità delle terre di mezzo appartiene ai singoli contesti, ma la Diocesi può e deve supportarla, con adeguati sostegni formativi e materiali, 3 non esclusi gli spazi fisici e le infrastrutture di comunicazione. Occorre attrezzarsi con lo studio rispettoso, l’analisi attenta, astenendosi dai giudizi frettolosi e supponenti. Con Mons. Orlandoni, ci sembra infine che “comunichi speranza una comunità che vive la comunione e al suo interno realizza non solo collaborazione, ma anche corresponsabilità. Una comunità dove il parroco scommette sul laicato, sa dialogare e misurarsi con le responsabilità e ministerialità che competono ai laici e dove i laici da parte loro prendono coscienza che è finito il tempo di stare in difesa. Crea speranza una comunità che scruta i segni dei tempi e si misura con il territorio, con le sue aspettative e con i segnali positivi che Dio semina nel territorio medesimo. La via che abbiamo indicato non può prescindere quindi da uno sforzo straordinario di rifondazione dell’organizzazione delle comunità ecclesiali perché non può fare a meno, nello spirito del Concilio, dell’impegno e del carisma proprio dei laici cristiani. E’ una sfida non rinviabile per la Chiesa, perché il diffuso modello clerical-paternalistico di gestione delle parrocchie e delle Chiese locali è destinato alla consunzione. E’ urgente che la nostra Chiesa locale lanci con decisione un progetto graduale ma fermo di inserimento di figure laiche mature (ne sono state formate a centinaia negli ultimi decenni) in posizioni di responsabilità chiave, fino a prevederne anche il sostegno economico, se necessario. Occorre fare dei consigli pastorali organismi democratici di reale programmazione e decisione, dotati degli strumenti culturali ed organizzativi adeguati. Il clero potrà così utilmente focalizzare il proprio ministero sulle funzioni di indirizzo, sostegno e vigilanza dell’azione pastorale, salvaguardia dei contenuti essenziali della fede e guida liturgica. Le comunità così potranno iniziare a percepire questo cambiamento e cessare di identificarsi esclusivamente con il parroco. Diverremo così veri testimoni . Ma quanto dobbiamo imparare! Di quanta creatività abbiamo bisogno! E soprattutto abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti e dello Spirito Santo che ci guidi e ci illumini in ogni scelta. Fermo, 27 Marzo 2006 I delegati diocesani al Convegno di Verona Don Luigi Marchionni Padre Luigi Ruani Feliciana Capretta Brunella Ciocci Graziella Mercuri Massimiliano Colombi Luca Romanelli 4