LO STATO DI COSCIENZA NELLE NDE
GIOVANNI IANNUZZO
Relazione al 13° Congresso Internazionale di studi delle esperienze di confine, sul tema:
“Territori della coscienza: fenomenologia degli stati interiori fra scienza ed esperienza”
San Marino, 16-17 maggio 2009 1
RIASSUNTO
Lo stato di coscienza nelle NDE. L’autore affronta il problema della relazione fra stati di coscienza e
NDEs. Esamina l’argomento sia dal punto di vista psichiatrico e neuroscientifico, sia da quello
antropologico e culturale, passando in rassegna gli studi fondamentali sull’argomento. Tenta di
rispondere ad una domanda che rappresenta uno dei dogmi centrali degli studi sulle NDEs: queste
esperienze sono fenomeni patologici, l’espressione secondaria di uno stato di coscienza alterato o
costituiscono esse stesse uno stato di coscienza alterato? E qual è in ogni caso la loro rilevanza per la
comprensione della natura dell’uomo? L’autore esprime la convinzione che le NDEs siano uno stato di
coscienza alterato non patologico, - assimilabile alla “malattia sciamanica” descritta dagli antropologi
culturali - in grado di modificare i vissuti personali dei soggetti che hanno avuto questa esperienza, ma
anche di suggerire una visione del mondo al tempo stesso soggettiva e comunitaria alle persone in
cerca di personali risposte esistenziali.
ABSTRACT
NDE viewed from the inside. The author confronts the problem of the relationship between state of
consciousness and NDE. The argument is examined from both a psychiatric and neuro-scientific point
of view as well ad from and anthropological and cultural and presents the fundamental studies
involving this topic. In particular it tries to respond to the question which represents the main theme of
NDE: Are the experiences associated with NDE pathological in nature, secondary expression of an
altered state of consciousness or are they simply and altered state in themselves? Do they have any
relevance in understanding the nature of man? The author expresses his conviction that NDE is not a
pathological state of consciousness but similar to a “shaman” illness described in anthropology which
modifies the personal experience of the subjects who have had this experiences and at the same time
offers them a subjective vision of the world together with those who are searching for answers to
existential questions.
L’argomento delle Near-death Experiences è, credo, uno dei temi più “provocatori”
nell’ambito delle scienze mediche ed in particolare in quelle della mente e del
comportamento. Se inizialmente esso è stato interpretato come una prova indiretta
della sopravvivenza, innumerevoli ricerche successive hanno ragionevolmente
dimostrato che si tratta di un fenomeno molto complesso che, indipendentemente dalle
libere interpretazioni personali, ha aperto nuove prospettive per la comprensione di
numerosi aspetti del funzionamento della mente e delle funzioni del cervello umano.
1
Questa relazione è già stata pubblicata in: Atti – 13° Congresso Internazionale di studi delle esperienze di
confine sul tema “Territori della coscienza. Fenomenologia degli stati interiori fra scienza ed esperienza”, a
cura di Fulvia Cariglia. San Marino, 2009.
1
Le NDEs infatti sembrano dimostrare che il livello di complessità delle funzioni
neurobiologiche e delle esperienze psicologiche ed emozionali soggettive è ben più
articolato e fine di quanto sia stato spesso (e anche trionfalmente) sostenuto da certi
indirizzi riduzionistici delle neuroscienze.
Se questo è un dato di fatto, è pur vero che non esistono risposte definitive su
numerosi aspetti di queste esperienze e più in generale del “funzionamento” della
coscienza, di cosa essa sia o non sia12.
Uno dei quesiti scientifici fondamentali riguarda lo stato di coscienza nelle Near Death
Experiences. Il problema è stato affrontato ripetutamente, ormai da anni. Io vi
proporrò un mio personale punto di vista. Definiamo però anzitutto quello che è un
vero dogma centrale sulla natura delle NDEs, ovvero se si tratta di fenomeni che
riguardano soggettivamente qualcosa che avviene nella realtà dell’esperienza
individuale o se essi sono manifestazione di uno stato alterato di coscienza. Proverò ad
esemplificare questo concetto, comunque difficile. Le persone che hanno una NDE
vivono una esperienza vera o una esperienza che è il prodotto di una alterazione dello
stato di coscienza? O entrambe le cose? E’ ovvio che quando tentiamo di definire, in
campo scientifico (ed in particolare nelle neuroscienze), concetti come quelli di “vero”
o di “falso” ci imbattiamo una serie enorme di difficoltà concettuali e filosofiche. Cosa
è vero? E perché? In base a quali parametri? E’ meglio in tali casi attenersi ad un sano
empirismo e quindi all’esperienza, ma mentre questo è facile sul piano della realtà
fisica (al circo io vedo un elefante tutto dipinto di rosa che esiste davvero in stato di
coscienza vigile, oppure io “vedo”, dopo avere preso una dose di allucinogeni, un
elefante rosa che non esiste) è abbastanza più difficile sul piano dell’esperienza
psicologica soggettiva. Tenterò, allora, di spiegarmi con un esempio. Una persona si
innamora di un’altra senza che questa lo sappia. Sente un affetto, vive un sentimento
vero, vive desideri e fantasie. Racconta questa sua “esperienza” ad un amico: il
racconto della sua esperienza affettiva è ‘vero’, nel senso che quello stato d’animo,
con i suoi ricordi, le sue espressioni desideranti e le fantasie ad esso correlate sono
realmente presenti nel vissuto del nostro amico. E’ una esperienza che avviene nel
campo della coscienza normale. Invece, pensiamo ora ad una persona che assumendo
“sogna” [normalmente, o magari sotto l’effetto di sostanze, o per effetto di tecniche
2
particolari] di essere innamorato di una persona “ideale”. Nella realtà questa persona
non esiste, ma esiste l’esperienza del ricordo di questa persona, come se fosse un fatto
reale. La differenza è che nel primo caso l’esperienza è vera ed è filtrata dalla
coscienza vigile; nel secondo caso l’esperienza è puramente allucinatoria, non
afferisce alla sfera della realtà quotidiana, si colloca all’interno di uno stato alterato di
coscienza. Badiamo bene che entrambe le esperienze sono soggettivamente vere; il
problema è che lo schema di riferimento (la coscienza vigile, ordinaria o la coscienza
alterata) è diverso. Potremmo discutere a lunga sulla legittimità di collocare entrambe
le esperienze del nostro amico lungo un continuum che riguardi le differenti
manifestazioni degli stati di coscienza (anche qui: cosa è vero, cosa è falso, quando è
vero e quando è falso), ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano. Il problema è
che stati di coscienza differenti, cambiano la nostra definizione di un fenomeno - in
questo caso particolare il vissuto del nostro amico innamorato.
Il problema centrale di una discussione sullo stato di coscienza nelle NDEs è proprio
questo: l’esperienza di NDE è ‘vera’ o semplicemente un fatto allucinatorio, nel senso
di essere solo un prodotto di uno stato ‘altro’ di coscienza?
Bruce Greyson ha definito in un suo articolo, pubblicato sulla prestigiosa rivista
medica The Lancet questo
concetto con una
domanda,
una espressione
“immaginifica”: out of their bodies or out of their minds”, “fuori dai loro corpi o fuori
dalle loro menti?”3. Greyson si è soffermato sul concetto di dissociazione. La
dissociazione può essere definita come la separazione di pensieri, sensazioni ed
esperienze dal normale corso di coscienza e memoria. Non si tratta di un fenomeno
necessariamente patologico: si tratta di un continuum che va dal sogno, alle amnesie
psicogene sino alle personalità multiple. Janet che coniò il termine dissociazione vide
il fenomeno come un una discontinuità nella coscienza causata dalla stress ma talvolta
anche esperita da persone in buono stato di salute mentale. Altri due grandi psicologi,
come James e Prince, ipotizzarono invece che gli stati di dissociazione siano variabili
continue, presenti in ciascuno di noi quotidianamente. Oggi il DSM IV suggerisce
prudenza nella valutazione dei tratti dissociativi fra normali e patologici,
raccomandando di non considerare la dissociazione un fenomeno patologico
necessariamente legato a condizioni di stress o difficoltà.
3
Dal punto di vista psichiatrico la dissociazione è comunque uno stato di coscienza
alterato. Tali stati sono frequentemente associati a condizioni psicologiche gravemente
traumatiche – una NDE è sempre legata ad un trauma. Nel suo studio Greyson ha
confrontato due gruppi di soggetti, il primo composto da persone che, appunto dopo un
trauma, avevano avuto una NDE e quelli che, pur essendo stati in condizioni di
estremo pericolo di vita non avevano avuto NDEs. Testati con un questionario
specifico, il DES (Dissociative Experiences Scale)4 risultò che i soggetti che avevano
avuto una esperienza di NDE dopo un trauma ottenevano risultati significativamente
maggiori alla scala delle esperienze dissociative, dei soggetti che erano stati in punto
di morte ma senza avere avuto una NDE. Bisogna anche aggiungere, però che i
risultati significativi relativi alla presenza di tratti dissociativi nelle persone che
avevano avuto una NDE erano comunque più bassi dei pazienti psichiatrici con
disturbi di tipo dissociativo. Il dato più interessante ottenuto da Greyson è che il
pattern di dissociazione di soggetti protagonisti di una NDE corrispondeva a una
risposta dissociativa non patologica allo stress e non correlata a disordini psichiatrici.
Le conclusioni che trae Greyson sono che una NDE implica uno shifting di attenzione
dall’ambiente fisico (e quindi da uno stato di coscienza ordinario) a uno stato alterato
di coscienza nel quale sia la percezione, sia il funzionamento cognitivo gli stati
emozionali e il senso di realtà possono essere parzialmente o totalmente disconnessi
dal mainstream della coscienza ordinaria, pur non essendo un tipo patologico di
dissociazione; sembrano essere semmai una esperienza non patologica che implica la
dissociazione come risposta ad un intollerabile trauma. Suggerisce inoltre che dal
punto di vista psichiatrico le NDEs sono assimilabili, più estensivamente, altri stati
mistici o “trascendentali” di coscienza.
Un fatto particolarmente interessante è che, dal punto di vista psichiatrico, le NDEs
sono molto vicine, anche se in maniera stranissima, ad una entità nosografica che
viene definita “Disturbo Post-traumatico da Stress”.
Il disturbo post-traumatico da stress è una sindrome che appartiene ai disturbi d’ansia è
che è caratterizzata da una serie di reazioni comportamentali conseguenti
all’esposizione di un soggetto a gravi eventi traumatici, psicologici o fisici, che hanno
messo a repentaglio l’integrità fisica del soggetto (o di persone vicine) e che
4
comportano un obiettivo rischio per la sua stessa vita. Dopo tali eventi (gravi malattie,
incidenti, episodi di violenza, catastrofi naturali e via dicendo) il soggetto inizia a
manifestare una serie di sintomi, sia in tempo molto brevi (ed in quel caso di parla di
disturbo acuto da stress) sia in tempo più lungi ed in quel caso si parla di disturbo posttraumatico da stress.
Disturbo Post-traumatico da Stress ed NDEs hanno una
caratteristica comune, ovviamente: quella di essere conseguenti ad una situazione che
ha messo a repentaglio la vita del soggetto. E’ però curioso notare che i “sintomi”, per
così dire, non sono solo diversi ma addirittura opposti. Sembra addirittura esistere una
misteriosa specularità tra le due situazioni, come se fossero le due facce della stessa
medaglia.
Facciamo alcuni esempi. Nel Disturbo Post-traumatico da Stress (useremo da ora in
poi l’acronimo DPTS) vengono evitati in modo persistente gli stimoli associati con il
trauma; nell’NDE c’è, forte, il bisogno di rievocarli, sebbene talvolta tale rievocazione
possa essere accompagnata da una legittima preoccupazione di non essere creduti. Nel
DPTS il paziente tende ad evitare il ricordo dell’evento traumatico sino ad una
condizione di severa amnesia, nel caso delle NDE sembra esserci quasi una specie di
rafforzamento della memoria sino al ricordo dei più minuti dettagli. Nel DPTS subito
dopo l’evento traumatico si evidenzia una riduzione della reattività verso il mondo
esterno (cosiddetta “anestesia emozionale”); nel caso delle NDE sembra esserci al
contrario una vera attivazione emozionale verso il mondo esterno. Nel DPTS si ha un
senso di diminuzione di prospettive future, nel caso delle NDE, in genere emergono
nuove e potenti forme di progettualità e di relazionalità. E ancora: il paziente con
DPTS presenta aumento dell’ansia, dell’arousal; il soggetto che ha una NDE spesso
entra invece in uno stato di grande serenità, appare privo di conflittualità. Non ha
risposte di allarme, ma certezze e spesso sperimenta un aumento di serenità interiore.
Ancora più curioso il fatto che la persona con DPTS può vivere, sebbene raramente,
“stati dissociativi che durano da pochi secondi a diverse ore, o anche giorni, durante i
quali vengono rivissute parti dell'evento e la persona si comporta come se stesse
vivendo l'evento in quel momento”. Questo è ovviamente accompagnato da gravi stati
di disagio psicologico. Il contrario avviene nelle NDEs, dove rivivere l’evento è speso
fonte di ulteriore serenità e stabilità emotiva, anche se la persona viene esposta ad
5
eventi in qualche modo simili, magari anche emotivamente ed intellettualmente
condivisi da esperti o da persone che hanno avuto esperienze uguali o simili alla sua.
E’ davvero curioso il fatto che a fronte di eventi con caratteristiche strutturali uguali
(l’esposizione ad una condizione di rischio tale da mettere a repentaglio la propria
stessa vita) esistano due risposte: una che produce severo disagio, l’altra che ha
caratteristiche assolutamente speculari e opposte. Come se gli aspetti negativi del
DPTS si trasformassero, nel caso di una NDE in risposte emozionali positive, persino
di natura religiosa o spirituale.
Esistono molte altre caratteristiche psicologiche e comportamentali che sembrano
risposte assolutamente speculari fra DPTS e NDE di fronte ad un gravissimo evento
traumatico, dalle “memorie intrusive” a quelle autobiografiche, a quella che viene
chiamata “coscienza autonoetica” o al meccanismo dell’harm avoidance”, o alle
risorse “esecutive”5. Solo che queste caratteristiche hanno valenza totalmente diversa,
sono due vere polarità del tutto opposte. Credo che questo debba farci riflettere non
poco. Ci suggerisce fra l’altro l’importanza dello studio dei resoconti specifici, sia
nell’un caso sia nell’altro. C’è grande attenzione oggi, nel campo degli studi sugli stati
di coscienza, sui rapporti di prima mano, personali, di esperienze soggettive,
soprattutto alla ricerca di una soggettività che possa essere integrata nella visione
scientifica del mondo. Si pensi per esempio agli studi neurologici sulla meditazione,
laddove si tenta di fondere l’esperienza soggettiva con i metodi più importanti per
obiettivare i fenomeni rilevati. Bogen ritiene addirittura che la soggettività sia quello
che chiama un “crucial core” nella ricerca sugli stati di coscienza. E’ il metodo che
viene chiamato “first person”, il bisogno di resoconti obiettivi della soggettività. Stati
mentali e stati di coscienza sono ormai costrutti che fanno parte dell’ambito delle
neuroscienze. Indipendentemente dalla confusione che questi concetti creano, fra
dualismo psicofisico, riduzionismo biologico, la stessa confusione dei costrutti teorici
con gli eventi poi obiettivamente osservati, il problema è che bisogna partire dalle
osservazioni per delineare un costrutto scientifico. Credo che nel campo delle NDEs
siamo ancora molto lontani dall’aver raggiunto questo obiettivo.
Certo, molte caratteristiche delle NDEs sembrano quasi esperienze iniziatiche,
esoteriche, capaci di confluire in esperienze comuni in qualche modo illuminanti.
6
Alcuni studi dimostrano come esse possano non solo cambiare le vite dei pazienti, ma
anche le visioni personali e professionali degli infermieri e dei medici che li hanno
assistiti e quindi sono stati in qualche modo partecipi dell’esperienza. Secondo Morris
e Knafl6 questo tipo di esperienza può rappresentare il mezzo per acquisire una nuova
consapevolezza e uno strumento di esplorazione spirituale (senza ovviamente che
dimostri o non dimostri qualcosa) sia per i pazienti sia per il personale medico ed
assistenziale. In questi casi ci si trova di fronte ad una apparente incompatibilità fra la
cultura scientifica di medici e infermieri e le esperienze dirompenti dei pazienti, che
sono completamente al di fuori della cultura medica ed infermieristica. Da questo
confronto potrebbe nascere una cultura delle NDEs che sia comune sia ai soggetti che
la esperiscono, sia a chi li assiste. Green7, uno psicologo clinico, ha anche suggerito
che l’esperienza delle NDE sia molto simile a quella che è la cosiddetta “iniziazione
sciamanica”8. Una NDE, cioè, sarebbe in grado di trasformare persone di assoluta
razionalità e perfettamente “allineate” con la cultura del mondo occidentale moderno
in una sorta di “sciamani naturali”, pur continuando a vivere nella stessa cultura. Il
concetto di malattia sciamanica è centrale;
si tratta del fatto che una persona
assolutamente media, normale, in seguito a una gravissima malattia sviluppa una
consapevolezza diversa di se e del mondo, ed acquisisce misteriosi poteri taumaturgici
e soprattutto spirituali. Green suggerisce che, almeno in alcuni casi, è quello che
succede a chi ha avuto una profonda esperienza di NDE, laddove la coscienza sembra
avere avuto la possibilità di un ampliamento e di una apertura verso dimensioni
dell’essere che sono in buona misura ignote alla persona comune che non ha avuto
questa esperienza. D’altra parte, esperienze del tipo delle NDEs sono proprio tipiche
tradizionalmente del processo di iniziazione sciamanica. Non a caso viene proposto di
studiare parallelamente i resoconti di NDE e i “diari sciamanici” considerando il fatto
che poi possono essere utilizzati entrambi per superare comunque il giudizio di una
giuria empirica per un ampliamento della coscienza individuale e collettiva. Questo
argomento è stato molto indagato sul piano interculturale. Uno studio abbastanza
recente è quello di Belanti, Perera e Jagadheesan9, che hanno
rilevato che la
fenomenologia delle NDEs può differire fra le culture e hanno pertanto comparato le
varie descrizioni delle NDEs da una prospettiva fenomenologica e trovando che
7
esistono tratti comuni, ma anche differenze. Tale variabilità è probabilmente dovuta
verbalizzazione di questi eventi che inevitabilmente devono passare attraverso il filtro
del linguaggio, della cultura dell’istruzione e dell’educazione e alla loro influenza sul
nostro sistema di credenze, comunque all’interfacciamento fra tutti questi fattori in
ambito culturale (basti pensare al concetto di dissonanza culturale espresso da
Abramovitch nel 1988)10.
Sul problema della dimensione culturale delle NDEs – che potrebbe fortemente
implicare ovviamente una definizione di stato di coscienza socialmente accettato esiste
una importante discussione scientifica; autori come Holden e Christian11 hanno
evidenziato la scarso numero di studi compiuti, per esempio, in culture non
occidentali, indigene e comunque non appartenenti al nostro contesto culturale. Dello
stesso parere è Belanti e i suoi colleghi, che abbiamo già menzionato, che
suggeriscono proprio per lo studio di questa importante variabile uno studio attento dei
resoconti pubblicato nelle lingue originali, condotti da un team di specialisti nel
fenomeno e linguisti. Questo lavoro potrebbe produrre un corpus di materiale utile per
comprendere meglio l’ “inferfacciamento” fra sistemi di comprensione culturale e
fattori neurobiologici. D’altra parte autori di grande prestigio come Athappily,
Greyson e Stevenson12, hanno sostenuto che la prospettiva culturale è inadeguata a
spiegare da sola il fenomeno delle NDEs. E’ interessante notare che proprio questa
interazione fra cultura e neurobiologia sembra essere in grado di fare comprendere
meglio proprio il problema dello stato di coscienza nelle Near-death Experiences. Uno
stato di coscienza alterato infatti è influenzato da entrambi questi fattori: quelli
neurobiologici che producono lo stato stesso e quelli culturali che ne condizionano in
qualche modo l’espressività.
D’altra parte l’idea che le NDEs siano un prodotto di uno stato alterato di coscienza
(se non esse stesse uno stato alterato di coscienza) non è nuova. Wade13 per esempio
nel 1998 già suggeriva che esistano delle forti similitudini e una somiglianza fra i
resoconti – quindi la fenomenologia della coscienza - di persone che hanno avuto una
NDE e quelli di persone sottoposte alle terapie di tipo retrocognitivo o regressivo,
quelle terapie insomma che si fondano sullo studio e l’utilizzazione clinica della
8
fenomenologia della coscienza post-mortem, compresi i presunti resoconti di vite
passate.
Un altro studioso, Liester14, ha studiato le “comunicazioni interiori” ricevute da
soggetti protagonisti di una NDE rilevando come tale tipo di comunicazione sia molto
simile alle “voci” sentite da pazienti psichiatrici (sul modello delle allucinazioni
uditive), con la sostanziale differenza che, nel caso dei soggetti reduci da una NDE
queste “allucinazioni” hanno effetti fondamentalmente positivi laddove nei casi
psichiatrici gli effetti sono, al contrario, negativi. L’ipotesi forte è che i concetti con
entità non fisiche o esseri spirituali possa essere letta dal punto di vista psichiatrico più
o meno come il rapporto fra bambini e l’amico immaginario, prodotto di un tentativo
di difesa che tenta di ridurre la paura della morte e che Greyson e Stevenson hanno
paragonato ai fenomeni ipnogogici ed ipnopompici – stati alterati di coscienza non
patologici. Anche questi fenomeni sembrano avere effetti positivi sulla personalità dei
soggetti e sulle loro relazioni col mondo e con gli altri, senza avere peraltro le stesse
caratteristiche delle allucinazioni patologiche così come codificate dal DSM o studiate
in campo psichiatrico (come in una celebre rassegna di Siegel).
Esistono insomma forti indizi che le NDEs possano essere considerate manifestazioni
strutturali di uno stato alterato di coscienza, come nel caso, per esempio riportato nel
2001 da
Lundahl15 delle “rilevazioni profetiche”
(già identificate comunque da
Kenneth Ring nel 1982), laddove le NDEs sembrano dare ai soggetti che le
esperiscono una conoscenza del futuro del mondo; sono pertanto delle rivelazioni in
qualche modo comunitarie che non hanno affatto la caratteristica di una visione e sono
meno dettagliate. Esse comunque avvengono in un piccolo numero di casi ed
esclusivamente nel corso di NDEs molto “profonde”.
In tutta questa diatriba, dobbiamo ricordare che, comunque, il concetto di continuum
della coscienza, che passa attraverso condizioni molteplici, sottili, talora persino
impercettibili è una delle sfide maggiori delle neuroscienze contemporanee ed anche
della ricerca sulla NDEs. Lo stesso Moody, nel 1999, dieci anni fa, ha espresso
l’opinione che le NDEs non hanno nulla a che vedere con la sopravvivenza della
personalità alla morte del corpo. Sappiamo oggi che condizioni mediche come ipossia,
ischemia cerebrale, gravi stati di acidosi o anche certi agenti farmacologici (come la
9
ormai celeberrima
ketamina) possono essere implicate nella produzione di stati
dissociativi o stati alterati di coscienza. Questi stati possono prodursi in persone
gravemente ammalate, con decadimenti nelle funzioni cardiache o cerebrali, ma
nessun dato ci dimostra che queste condizioni siano sufficienti o necessarie in tutti i
casi. Le NDEs sembrano essere prodotto di uno stato di coscienza alterato, ma esiste il
ragionevole dubbio che possano esse stesse essere uno stato di coscienza – ed il
paragone inevitabile è proprio con la fenomenologia della malattia sciamanica.
Un autore americano (professore di Medicina Clinica all’Università di California a San
Francisco), G. Wettach16 ha suggerito alcuni anni fa un’ipotesi sconvolgente e cioè che
le NDEs possano addirittura essere stata la causa della nascita e dello sviluppo delle
religioni. Lo scenario disegnato da Wettach è decisamente suggestivo. In una società
preistorica, laddove la morte era un mistero assoluto, uno sciamano dichiara che una
persona è morta. Ma, mentre si preparano i funerali, questa persona “risuscita” e
comincia a raccontare di essere stato in un posto meraviglioso, di avere visto e sentito
cose straordinarie. I vecchi della tribù non sanno fornire spiegazioni di questa
resuscitazione. Allora, per non perdere il loro posto di privilegio all’interno della tribù,
si inventano l’idea di un Dio e di una vita oltre la vita, e affermano di essere gli unici
depositari di tali segreti e di tali spiegazioni, gli unici a sapere perché e come certe
cose avvengono e ad avere acquisito, grazie al loro potere, tali conoscenze,
fondamentali per il benessere di tutto il resto della tribù (nasce insomma una cultura
esoterica contrapposta ad una cultura essoterica). I bambini della tribù imparano il
messaggio e divenuti a loro volta vecchi e vicini ala morte arricchiscono queste
convinzioni con altre idee religiose, per dimostrare che gli anziani della tribù hanno
sempre ragione in qualche modo. Da allora ogni NDE, che, così arricchita, è divenuta
sempre più complessa e sofisticata, ha incentivato l’idea dell’esistenza di Dio e della
sopravvivenza alla morte. Le conclusioni di Wettach sono provocatorie quanto
affascinanti.
“... possiamo chiederci chi è venuto prima, Dio o la NDE? La religione è il prodotto di
una aberrazione mentale fisiologica e occasionale che necessitava di una spiegazione
sociale o i concetti religiosi acquisiti hanno prodotto la moderna near-death
experience? La near-death experience è un esempio di spiritualismo che ha influenzato
10
una astrazione, o di una astrazione che ha influenzato lo spiritualismo?”. Sono
domande difficili, potenti, che sfidano la nostra capacità di comprensione storica,
scientifica e culturale. Di fronte a questi argomenti così importanti nella speculazione
scientifica non si può non tenere conto anche degli aspetti individuali e soggettivi,
come in fondo sottolinea Wettach. Stabilire che (o se) la NDE è o non è uno stato di
coscienza non toglie nulla all’importanza che simili esperienze possono avere avuto
nella storia dell’uomo. In fondo, come suggerito da Paulson17 possono anche esistere
possibilità di integrazione fra fattori culturali, spirituali e fisici e pertanto la via di una
interpretazione integrata è non è preclusa. Io, però, mi pongo un altro problema. Mi
chiedo cosa implicherebbe il fatto che le NDEs siano fenomeni biologici, esperienze
filtrate dalla coscienza o stati alterati di coscienza, come lo possono essere i sogni o i
deliri di uno sciamano. In ogni caso, infatti, esse – qualsiasi cosa siano – continuano a
rispondere, così come hanno sempre risposto, a domande essenziali dell’uomo. Ma
non possiamo porre queste domande con il severo linguaggio della scienza. Conviene,
io credo, affidarci ad altri tipi di “pensiero” e di espressione. Abbiamo parlato di stati
di coscienza alterati, di allucinazioni. Credo che allora il migliore stimolo alla
riflessione possa venirci da alcuni versi di William Blake, sublime poeta visionario:
“Dimmi, deve dimorano i pensieri, dimenticati, finché non li chiami ad uscire?
Dimmi, dove dimorano le gioie del passato, dove gli antichi amori, e quando ancora si
rinnoveranno, e la notte dell’oblio sarà finita.
Che io possa attraversare tempi e spazi remoti, e portare conforto in un dolore
presente e in una notte di pena?
Dove vai, pensiero? Verso che terra remota alzi il volo?18
Domande inquietanti, quesiti sibillini … Forse le NDEs, che siano emerse o meno, in
qualche modo e in qualche tempo, dalle nebbie della coscienza ci possono aiutare a
trovare – come l’Oracolo a Delfi – un responso a tali quesiti e forse anche a suggerire
qualcosa a tutti coloro che cercano la stessa risposta.
11
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12