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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO – BICOCCA
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche
L’EVOLUZIONE DELL’AUTONOMIA E DELLA
RESPONSABILITA’ INFERMIERISTICA LA POSIZIONE GIURIDICO-AMMINISTRATIVA
DELL’INFERMIERE DIRIGENTE
Tesi di laurea magistrale di
Antonino Zagari
matricola 070522
Relatore: Prof.ssa Stefania Di Mauro
Correlatore: Prof. Stefano Citterio
Anno Accademico 2008 – 2009
1
PREMESSA……………………………………………………………………………………………………….4
1
L’EVOLUZIONE DELLA FORMAZIONE E DELL’AUTONOMIA PROFESSIONALE
DELL’INFERMIERE ........................................................................................................................................... 7
1.1
LA FORMAZIONE INFERMIERISTICA ....................................................................................................... 7
1.1.1
La formazione dalla scuola convitto alla laurea di primo livello .................................................... 7
1.1.2
La laurea specialistica in scienze infermieristiche e ostetriche..................................................... 12
1.1.3
La formazione post-base: i master universitari ............................................................................. 14
1.1.4
La formazione continua (E.C.M.) .................................................................................................. 16
1.2
L’ESERCIZIO PROFESSIONALE DELL’INFERMIERE E DEL DIRIGENTE INFERMIERISTICO ........................ 19
1.2.1
Le mansioni dell’infermiere in vigenza del D.P.R. 225/74 (mansionario) .................................... 20
1.2.2
Il Nuovo profilo professionale dell’infermiere D.M. 739/94 ........................................................ 57
1.2.3
I confini dell’autonomia (L. 42/99)................................................................................................ 72
1.2.4
Le funzioni dell’infermiere ............................................................................................................ 78
1.2.5
L’esercizio abusivo di professione medica .................................................................................... 90
1.2.6
L’esercizio professionale e le funzioni del dirigente infermieristico ............................................. 95
2
LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DELL’INFERMIERE ................................................ 101
2.1
2.2
2.3
2.3.1
2.3.2
2.3.3
2.4
2.4.1
2.4.2
2.5
2.5.1
2.6
2.6.1
2.7
L’ERRORE IN CAMPO SANITARIO ....................................................................................................... 101
INTRODUZIONE AL CONCETTO DI RESPONSABILITÀ........................................................................... 111
LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE IN AMBITO PENALE ................................................................. 115
Il principio dell’affidamento ........................................................................................................ 130
Il consenso ................................................................................................................................... 139
I principali reati dell’infermiere in ambito penale ...................................................................... 146
LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE IN AMBITO CIVILE ................................................................... 150
Responsabilità contrattuale ......................................................................................................... 155
Responsabilità extracontrattuale ................................................................................................. 157
LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA E DISCIPLINARE NEL PUBBLICO IMPIEGO ............................. 160
Responsabilità disciplinare nel pubblico impiego ....................................................................... 163
RESPONSABILITÀ DEONTOLOGICA DISCIPLINARE .............................................................................. 169
Sanzioni disciplinari da parte dei collegi .................................................................................... 170
PROFILI DI RESPONSABILITÀ E PERSONALE DI SUPPORTO .................................................................. 176
3
LA RESPONSABILITÀ E LA POSIZIONE GIURIDICO AMMINISTRATIVA
DELL’INFERMIERE DIRIGENTE ............................................................................................................... 186
3.1
3.2
3.2.1
3.3
3.3.1
3.4
3.4.1
3.4.2
3.4.3
LA QUALIFICA DIRIGENZIALE NEL PUBBLICO IMPIEGO ....................................................................... 186
LA RESPONSABILITÀ DIRIGENZIALE DEL DIRIGENTE INFERMIERISTICO .............................................. 188
L’oggetto della responsabilità del dirigente infermieristico ....................................................... 191
LA VALUTAZIONE DEL DIRIGENTE INFERMIERISTICO ......................................................................... 193
I soggetti e gli organismi deputati alla valutazione.................................................................... 194
LA POSIZIONE GIURIDICO AMMINISTRATIVA DEL DIRIGENTE INFERMIERISTICO ................................. 199
La normativa regionale sui servizi infermieristici ....................................................................... 200
La letteratura sull’inquadramento del dirigente infermieristico ................................................. 204
L’inquadramento contrattuale del dirigente infermieristico ....................................................... 206
4
CONCLUSIONI ....................................................................................................................................... 215
5
BIBLIOGRAFIA ..................................................................................................................................... 221
6
ALLEGATI .............................................................................................................................................. 225
ALLEGATO 1 – ART. 41 E 42 CCNL AREA DELLA DIRIGENZA RUOLI SANITARIO, PROFESSIONALE, TECNICO ED
AMMINISTRATIVO ........................................................................................................................................... 225
ALLEGATO 2- DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 14 MARZO 1974, N. 225 - MODIFICHE AL REGIO
DECRETO 2 MAGGIO 1940, N. 1310, SULLE MANSIONI DEGLI INFERMIERI PROFESSIONALI E INFERMIERI GENERICI.
........................................................................................................................................................................ 231
ALLEGATO 3 - DECRETO 14 SETTEMBRE 1994, N. 739 - REGOLAMENTO CONCERNENTE L’INDIVIDUAZIONE
DELLA FIGURA E DEL RELATIVO PROFILO PROFESSIONALE DELL’INFERMIERE ................................................. 238
2
ALLEGATO 4 LEGGE 26 FEBBRAIO 1999, N. 42. “DISPOSIZIONI IN MATERIA DI PROFESSIONI SANITARIE” ........ 241
ALLEGATO 5- LEGGE 10 AGOSTO 2000, N. 251 “DISCIPLINA DELLE PROFESSIONI SANITARIE INFERMIERISTICHE,
TECNICHE, DELLA RIABILITAZIONE, DELLA PREVENZIONE, NONCHÈ DELLA PROFESSIONE OSTETRICA” ........... 245
ALLEGATO 6- CODICE DEONTOLOGICO DELL’INFERMIERE TESTO APPROVATO DAL COMITATO CENTRALE NEL
1999 ................................................................................................................................................................ 250
ALLEGATO 6- D.P.C.M. 25 GENNAIO 2008 RECEPIMENTO DELL'ACCORDO 15 NOVEMBRE 2007, TRA IL
GOVERNO, LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO, CONCERNENTE LA DISCIPLINA PER
L'ACCESSO ALLA QUALIFICA UNICA DI DIRIGENTE DELLE PROFESSIONI SANITARIE INFERMIERISTICHE, TECNICHE,
DELLA RIABILITAZIONE, DELLA PREVENZIONE E DELLA PROFESSIONE DI OSTETRICA. - PUBBLICATO NELLA
GAZZ. UFF. 26 FEBBRAIO 2008, N. 48. ............................................................................................................. 257
3
PREMESSA
Non si può dire che l’ultimo decennio sia privo di cambiamenti per la professione
infermieristica e per coloro che all’interno di essa svolgono funzioni di direzione. In
un quadro generale sostanzialmente modificato basti pensare all’aziendalizzazione
delle strutture sanitarie, alla regionalizzazione del servizio sanitario nazionale,
all’accreditamento istituzionale, alle disposizioni in tema di qualità dei servizi e alle
novità introdotte con gli ultimi contratti della dirigenza. Questi cambiamenti densi di
novità, hanno comportato un processo di crescita culturale e professionale di
straordinario rilievo, caratterizzato (ancorché in modo non sempre lineare)
dall’abolizione del mansionario, dalla definizione del profilo, dal riordino
dell’esercizio professionale con l’istituzione della dirigenza infermieristica, dal
passaggio della formazione a livello universitario con l’introduzione della laurea di
primo livello e della laurea specialistica, dalla riclassificazione dei professionisti
sanitari definita con la legge 43/2006.
In particolare, la Legge n. 42/1999 abrogando sia il mansionario sia la tradizionale
distinzione tra professioni sanitarie principali ed ausiliarie, ha mutato la qualificazione
giuridica dei professionisti sanitari non medici, valorizzandone la responsabilità.
Con la legge 251/2000, si è ribadita l’espansione della dimensione della figura
dell’infermiere, laddove si dice che questa professione svolge, con autonomia
professionale, attività dirette alla prevenzione, alla cura e alla salvaguardia della salute
individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei
relativi profili professionali, nonché dagli specifici codici deontologici. Con questa
stessa legge il legislatore istituisce la dirigenza delle professioni sanitarie non mediche
in base all’art. 6 rubricato come “Definizione delle professioni e dei relativi livelli di
inquadramento” all’art. 7 rubricato come “Disposizioni transitorie”. Una siffatta
concezione dinamica delle funzioni è consona alla logica ed allo sviluppo culturale,
che ha portato all’attuale situazione di progressiva valorizzazione della professione
infermieristica, inserita in un contesto dove gli operatori sono chiamati a garantire
prestazioni sempre più complesse correlate, tra l’altro, con l’evoluzione rapidissima
4
delle tecnologie in ambito sanitario e con l’impulso in senso ultraspecialistico della
medicina.
Questo passaggio, in un certo senso imposto dall’accresciuto bagaglio di competenze
teoriche e pratiche delle nuove professioni sanitarie e dalle pressanti esigenze
organizzative di una realtà sanitaria in rapida evoluzione, potrebbe determinare,
tuttavia, una serie di problemi che nascono da un’affastellamento di norme e di regole
che possono apparire confuse, contraddittorie e vaghe non permettendo un
collocamento chiaro dell’autonomia, della responsabilità e della collocazione giuridico
amministrativa delle diverse figure appartenenti alla professione infermieristica. Si è
quindi di fronte al rischio che i professionisti sanitari dell’area infermieristica (e non
solo di questa) si sentano, per così dire, “confusi e senza ombrello di protezione” e
siano indotti o ad arroccarsi su posizioni molto rigide.
Chiaramente, la nuova situazione si presenta pressoché antitetica rispetto al passato,
quando l’interpretazione tradizionale della dottrina e della giurisprudenza considerava
vincolante, per l’esercizio professionale, solo il possesso del titolo e dell’abilitazione,
arrivando ad affermare che dovevano “considerarsi irrilevanti la perizia, la capacità e
l’abilità del soggetto”1; mentre oggi vediamo che le doti professionali e i principi
deontologici sono posti come criteri guida per l’esercizio professionale.
È di tutta evidenza l’importanza che, anche in questi termini, assume l’esatta
collocazione dell’autonomia professionale, della responsabilità infermieristica, nonché
l’esatta collocazione di coloro, che all’interno della professione, assumono un ruolo
dirigenziale.
È pertanto necessario che, con rigore e tempestività e sempre con maggiore
chiarezza, siano definiti dalla professione stessa i confini di tale autonomia e
responsabilità, che ancora non emergono con adeguata nitidezza dalla normativa
varata, al fine di evitare, come non infrequentemente accade, che gli stessi vengano
definiti dalla giurisprudenza, anziché dalla professione o dal legislatore.
Partendo da questa premessa lo stesso titolo della tesi richiama le domande a cui si
vuole rispondere con quest’elaborato, vale a dire: come si è modificata l’autonomia
5
dell’infermiere e quali sono i confini definiti dalle norme? Quali sono i risvolti
giuridici che questi cambiamenti hanno comportato nell’ambito della responsabilità
professionale? Quali sono le norme che regolamentano l’inquadramento e il ruolo del
dirigente infermieristico? Quali sono le norme che regolamentano i servizi
infermieristici a livello nazionale e regionale?
E’ utile precisare che l’ottica con cui si risponderà alle domande non è quella che
prende in considerazione gli aspetti manageriali o sociali, ma quella giuridico
amministrativa, facendo riferimento alle norme positive attualmente in vigore.
1
F. Bricola, V. Zagrebelscky “Diritto penale - parte speciale” seconda edizione UTET p. 386
6
1
L’EVOLUZIONE DELLA
DELL’INFERMIERE
FORMAZIONE E DELL’AUTONOMIA PROFESSIONALE
1.1 La formazione infermieristica
Nel termine generico di “formazione” si comprendono: l’istituzione scolastica,
l’addestramento, l’aggiornamento e l’educazione permanente o ricorrente. Le
conoscenze2 e la formazione, come per tutte le professioni, devono essere intese come
un sistema di supporto volto al miglioramento delle gestioni delle risorse umane.
La formazione professionale sta acquistando un ruolo strategico nei servizi pubblici,
in ragione del bisogno d’innovazione in servizi come la scuola, la sanità, i trasporti,
dove si richiederà di fornire servizi di crescente valore e complessità a costi sempre
decrescenti.
Di conseguenza il legislatore ha emanato delle norme che rispondono a queste
esigenze, innovando fortemente la formazione degli operatori in campo sanitario.
Anche la professione infermieristica ha intrapreso un percorso di valorizzazione e
responsabilizzazione, dai tempi in cui era una professione sanitaria ausiliaria ed era
vissuta come vocazione di donarsi agli altri sino ad arrivare ai giorni nostri dove
ritroviamo questa professione a livello universitario e con un riconoscimento sia
sociale che giuridico; situazione che è tale per cui la denominazione di professione
“sanitaria ausiliaria” del testo unico delle leggi sanitarie viene riformulata in
“professione sanitaria”3.
1.1.1 La formazione dalla scuola convitto alla laurea di primo livello
La professione infermieristica è stata suddivisa tradizionalmente in tre figure: oltre
all’infermiere, convivono ancora oggi altre due figure: l’assistente sanitario4 e la
Ciò che è necessario ad un professionista per prendere possesso intellettualmente e psicologicamente dell’attività sistematica della sua
professione Zanichelli N.- Vocabolario della lingua italiana, Decima Edizione, del 1980.
3
Legge 26 febbraio 1999, n. 42 art. 1 - 1. La denominazione “professione sanitaria ausiliaria” nel testo unico delle leggi sanitarie, approvato
con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, nonché in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla
denominazione “professione sanitaria”.
4
Figura professionale che oggi ha un percorso formativo e professionale distinto da quello dell’infermiere, il profilo professionale è stato
emanato con D.M. 17 Gennaio 1997 n. 69 2
7
vigilatrice d’infanzia5. Inoltre la formazione infermieristica ha conosciuto, per
tradizione, anche degli specifici corsi che oggi qualificheremmo di carattere
manageriale: ci si riferisce ai corsi per infermiere abilitato a funzioni direttive
(caposala) e dei corsi di carattere dirigenziale con varia denominazione, di durata
biennale, finalizzati a formare dirigenti e docenti infermieristici:DAI (dirigente
dell’assistenza infermieristica)6, IID (infermiere insegnante dirigente)7, DDSI
(dirigente e docente dell’assistenza infermieristica). I suddetti corsi sono stati
progressivamente disattivati e trasformati o in master di primo livello (coordinamento)
o in laurea specialistica8.
Iniziando con un excursus storico nell’analisi della normativa che regolamenta la
formazione infermieristica non possiamo che partire dalle scuole per Infermiere
Professionali che vennero istituite con R.D.L. 15 agosto 1925, n. 1832: «Facoltà della
istituzione di Scuole convitto professionali per infermiere e di Scuole specializzate di
medicina, pubblica igiene ed assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici». Tale
provvedimento fu il primo ad affrontare il problema della formazione professionale
infermieristica.
Con l’emanazione del R.D. 21 novembre 1929, n. 23309 si regolamentava il loro
funzionamento, stabilendo l’obiettivo che ogni Scuola Convitto doveva perseguire
come le stesse devono funzionare da un punto di vista didattico e amministrativo, i
criteri di ammissione alle Scuole delle aspiranti allieve, la disciplina interna delle
Scuole, le materie obbligatorie di insegnamento, le caratteristiche attinenti alle prove
d’esame e la facoltà di vigilanza governativa.
Sulla base di quanto previsto dal R.D. 2330 del 1929 alle scuole infermieristiche
potevano accedere solo le donne e vi era l’obbligo dell’internato. La durata del corso
era di due anni e il requisito di accesso era la scuola media inferiore. L’estensione al
Per questa figura professionale nell’anno accademico 2000/01 è stato attivato un solo corso presso l’Università di Siena e non c’è stata
nessuna domanda su 15 posti disponibili - Mastrillo A. Riv. Dir. Prof. Sanitarie, n. 1/2002 p.47.
5
Figura che sarà sostituita dall’Infermiere Pediatrico regolato da profilo professionale emanato con D.M. 17 Gennaio 1997 n. 70 6
D.P.R. n° 696 del 1969.
7
D.P.R. n° 878 del 1974.
8
L. 10 Agosto 2000, n. 251 - Art. 5. (Formazione universitaria) 2. Le università nelle quali è attivata la scuola diretta a fini speciali per
docenti e dirigenti di assistenza infermieristica sono autorizzate alla progressiva disattivazione della suddetta scuola contestualmente alla
attivazione dei corsi universitari di cui al comma 1.
9
Approvazione del regolamento per l’esecuzione del R.D.L. 15 agosto 1925, n. 1832, riguardante le scuole-convitto professionali per
infermiere e le scuole specializzate di medicina, pubblica igiene ed assistenza sociale.
8
personale maschile dell’esercizio della professione di infermiere venne operata 45 anni
più tardi con la L. 25 febbraio 1971, n. 124. La stessa legge dispose la trasformazione
delle scuole-convitto per infermiere in scuole per infermieri professionali, abolendo
l’obbligo dell’internato. Sempre questa norma apportò ulteriori innovazione dal punto
di vista dei criteri di ammissione, infatti dispose che a partire dall’inizio dell’anno
scolastico 1973/1974 il requisito di accesso venisse innalzato: era ora richiesto un
certificato attestante l’ammissione al terzo anno di scuola secondaria di secondo grado;
gli aspiranti all’ammissione delle scuole dovevano inoltre avere compiuto il
sedicesimo anno (il diciassettesimo entro il 31 dicembre).
Un momento fondamentale per la formazione infermieristica fu il 1974, anno in cui
l’Italia ratificò l’accordo di Strasburgo che stabilì, nell’ottica dell’integrazione e della
libera circolazione tra Paesi europei, gli standard minimi per la formazione degli
infermieri. Il recepimento avvenne con la L. 15 novembre 1973, n. 79510, questo
accordo oltre a uniformare la formazione degli infermieri italiani a quella europea
stabilì il riconoscimento del titolo di infermiere in tutti gli stati europei.
Successivamente venne emanato il D.P.R. 13 ottobre 1975, n. 867 “Modificazioni
all’ordinamento delle scuole per infermieri professionali e ai relativi programmi di
insegnamento” destinato a regolare la formazione infermieristica per circa trenta anni.
Lo stesso D.P.R. stabilì che a partire dal 1975 la formazione infermieristica avrebbe
avuto la durata di tre anni.
La formazione infermieristica ha avuto ancora una svolta importante con la Legge
19 novembre 1990, n° 341, “Riforma degli ordinamenti didattici universitari”, che
ridefinì i titoli rilasciati dalle Università secondo vari livelli: diploma universitario
(DU), diploma di laurea (DL), diploma di specializzazione (DS), dottorato di ricerca
(DR). Il Corso di Diploma per Infermiere aveva durata triennale, l’accesso avveniva
previa acquisizione del diploma degli istituti superiori secondari di durata
quinquennale.
10
Ratifica ed esecuzione dell’accordo europeo di Strasburgo sull’istruzione e formazione degli infermieri.
9
La legge 341/90, come si è detto, ha previsto l’ingresso della formazione
infermieristica a livello universitario senza regolare la conciliazione di questo tipo di
formazione con quella allora in corso (Formazione regionale).
Il definitivo passaggio della formazione infermieristica a livello universitario e la
progressiva soppressione della formazione regionale, è stato sancito in modo definitivo
con la riforma aziendalistica della sanità, introdotta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n.
50211 e successive modificazioni, in primis quelle operate con il D.Lgs. 7 dicembre
1993, n. 517 nel quale si stabilisce che: la formazione del personale sanitario
infermieristico, tecnico e della riabilitazione avviene in sede ospedaliera ovvero presso
altre strutture del Servizio sanitario nazionale e istituzioni private accreditate, (….) 12.
Comunque, fino al 1995, le Regioni hanno conservato la facoltà di istituire i corsi
per infermieri professionali, realizzando, così in quel periodo, un doppio canale
formativo regionale e universitario.
A partire dal 1998 la formazione infermieristica è divenuta solo universitaria, da
attuarsi con specifici protocolli di intesa da stipulare tra Regione e Università.
Il D.M. 3 novembre 1999, n. 509 “Regolamento recante norme concernenti
l’autonomia didattica degli atenei” ha ridisegnato la struttura della formazione
prevedendo due cicli universitari, una laurea di primo livello (DL) triennale, seguita da
una laurea specialistica di secondo livello (LS).
Con il Decreto interministeriale 2 aprile 2001, «Determinazione delle classi delle
lauree universitarie delle professioni sanitarie», si può affermare che ha inizio, a
distanza di nove anni, la fase di avvio del corso completo per la formazione
infermieristica in ambito universitario. Con lo stesso decreto è stata avviata la
trasformazione dei Diplomi Universitari in Laurea che si doveva realizzare entro 18
mesi.
Detta formazione è essenzialmente articolata su due livelli e nel decreto si elencano
la numerazione e la denominazione delle classi delle lauree universitarie delle
professioni sanitarie.
11
12
D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 Art. 6. Rapporti tra Servizio sanitario ed Università.
D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 art.7 lettera c.
10
Specializzazione
Laurea di primo livello
180 crediti
Master
secondo livello
60 crediti
Laurea specialistica
120 crediti
Master primo
livello
60 crediti
Dottorato
Tutte le professioni sanitarie sono raggruppate in distinte classi di laurea: classe di
laurea nelle professioni infermieristiche e ostetriche, della riabilitazione, delle
professioni tecniche e delle professioni della prevenzione.
Nuovo concetto introdotto con la riforma dei cicli universitari è quello dei crediti
formativi:
lo studente durante il suo percorso accademico acquisisce oltre alla votazione in
trentesimi (come da tradizione universitaria), anche i crediti. Ogni credito equivale a
25/30 ore di lavoro, che comporta nell’arco dell’anno accademico il conseguimento di
60 crediti formativi.
Per conseguire la laurea lo studente deve disporre di 180 crediti, che accumula non
solo congiuntamente ad esami che comportano una votazione, ma anche in seguito a
percorsi formativi “paralleli” (corsi elettivi) che prevedono una valutazione finale ma
senza votazione.
Qualora lo studente voglia conseguire la laurea specialistica, dovrà disporre di ulteriori
120 crediti, ed ancora, per conseguire il master dovrà conseguire di altri 60 crediti.
11
1.1.2 La laurea specialistica in scienze infermieristiche e ostetriche
La previsione di un corso di laurea specia1istica viene introdotta per la professione
infermieristica con la L. 10 agosto 2000, n. 25113.
Il corso di Laurea specialistica può essere attivato a condizione che l’università
abbia attivato un corso di laurea comprendente almeno un curriculum i cui crediti
formativi universitari siano integralmente riconosciuti14; in altri termini solo dove si è
già istituito un corso di laurea di I livello.
Gli ordinamenti didattici delle lauree specialistiche sono stati recepiti dal decreto
del Ministero dell’Università, della ricerca scientifica e tecnologica del 2 aprile 2001
“Determinazione delle classi delle lauree specialistiche universitarie delle professioni
sanitarie”. Rispetto alle lauree triennali qui compare la denominazione “scienze”.
Per accedere ai corsi di laurea specialistica bisogna essere in possesso del diploma
di laurea triennale abilitante all’esercizio di una delle professioni sanitarie, ricomprese
nella classe di laurea specialistica di interesse, o diploma universitario ovvero uno dei
titoli abilitanti all’esercizio di una delle professioni sanitarie di cui alla legge
n.42/199915.
Una volta stabilito il requisito per l’accesso, il MIUR con l’emanazione di appositi
decreti ha definito le modalità e contenuti della prova dì ammissione ai corsi di laurea
specialistica per le professioni sanitarie stabilendo le modalità di verifica della
adeguatezza della personale preparazione tenendo conto anche delle specifiche
esperienze professionali maturate, coerenti con l’obiettivo del corso di laurea
specialistica16.
L. 10 agosto 2000, n. 251 “Disciplina delle professioni infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione, nonché della
professione ostetrica” - Art. 5. (Formazione universitaria)
- 1. Il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con il Ministro della sanità, ai sensi e per gli effetti di cui
all’articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, individua con uno o più decreti i criteri per la disciplina degli ordinamenti
didattici di specifici corsi universitari ai quali possono accedere gli esercenti le professioni di cui agli articoli 1,2,3 e 4 della presente legge,
in possesso di diploma universitario o di titolo equipollente per legge.
- 2. Le università nelle quali è attivata la scuola diretta a fini speciali per docenti e dirigenti di assistenza infermieristica sono autorizzate alla
progressiva disattivazione della suddetta scuola contestualmente alla attivazione dei corsi universitari di cui al comma 1.
14
Decreto 3 novembre 1999, n. 509 «Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei», pubblicato nella G.U. n. 2
del 4 gennaio 2000, art. 9, comma 3, «Istituzione e attivazione dei corsi di studio: Una università può istituire un corso di laurea specialistica
a condizione di aver attivato un corso di laurea comprendente almeno un curriculum i cui crediti formativi universitari siano integralmente
riconosciuti per il corso di laurea specialistica, con l’ eccezione dei corsi di cui all’art. 6, comma 3. Sulla base di una specifica convenzione
tra gli atenei interessati, il corso di laurea può essere attivato presso un’altra università».
15
Vedi anche L. 08 Gennaio 2002 - art. 10 - I diplomi, conseguiti in base alla normativa precedente, dagli appartenenti alle professioni
sanitarie di cui alla legge 26 febbraio 1999 n. 42, e 10 Agosto 2000 n. 251, e i diplomi di assistente sociale sono validi ai fini dell’accesso ai
corsi di laurea specialistica, ai master e agli altri corsi di formazione post-base…
16
Sono stati aboliti i 5 anni di servizio richiesti dal decreto vedi chiarimento MIUR in Riv. Dir. Professioni sanitarie n. 2/03 pag. 111.
13
12
In merito ai requisiti di accesso, il Ministero ha previsto17 la possibilità di essere
ammessi ai corsi, indipendentemente dall'espletamento della prova di ammissione in
deroga alla programmazione nazionale dei posti, per i soggetti interessati che già
svolgono funzioni dirigenziali. Tale deroga è rivolta:
-
a coloro ai quali sia stato conferito un incarico ai sensi e per gli effetti
dell'articolo 7 della legge 10 agosto 2000, n. 251, commi 1 e 2, da almeno due anni
alla data del presente decreto;
-
a coloro che risultino in possesso del titolo rilasciato dalle Scuole dirette a fini
speciali per dirigenti e docenti dell'assistenza infermieristica ai sensi del D.P.R. n.
162 del 1982 e siano titolari, da almeno due anni alla data del presente decreto,
dell'incarico di direttore o di coordinatore dei corsi di laurea in infermieristica,
attribuito con atto formale di data certa;
-
a coloro che siano titolari, con atto formale e di data certa da almeno due anni
alla data del presente decreto, dell'incarico di direttore o di coordinatore di uno dei
corsi di laurea ricompresi nella laurea specialistica di interesse.
In questa delicata fase di avvio, gli ordinamenti e i regolamenti didattici predisposti;
le università che hanno attivato uno o più corsi di laurea specialistica delle
professioni sanitarie si sono ampiamente (e in alcuni casi rigidamente) riferiti, pur
nella legittima autonomia didattica che caratterizza per legge ciascun ateneo, alle
indicazioni contenute nel già citato decreto MIUR 2 aprile 2001 "Determinazione
delle classi delle lauree specialistiche universitarie delle professioni sanitarie" e ai
suoi allegati, che contengono, per ciascuna delle quattro classi, gli obiettivi formativi
qualificanti, gli ambiti e i settori scientifico-disciplinari obbligatori, le diverse
tipologie di attività didattiche, i crediti formativi universitari per il calcolo
dell'impegno didattico dello studente in ciascun’attività, le forme di realizzazione
delle prove finali.
17
Vedi ultimo decreto MIUR 12 aprile 2006, "Definizione modalità e contenuti della prova dì ammissione ai corsi di laurea specialistica per
le professioni sanitarie"
13
Per quanto riguarda la classe 1 (professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica), gli obiettivi formativi qualificanti contenuti nell'allegato 1 del
decreto.
In conclusione di questa panoramica legislativa riguardante la formazione
universitaria della professione infermieristica, è meritevole di citazione la legge 1
febbraio 2006 n.4318 che fin dal suo inizio valorizza la formazione universitaria di
base nonché le lauree specialistiche infatti la stessa prevede che il personale laureato
appartenente
alle
professioni
sanitarie
è
articolato
come
segue:
a) professionisti in possesso del diploma di laurea o del titolo universitario conseguito
anteriormente…;
b) professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello in management o
per le funzioni di coordinamento rilasciato dall'università…;
c) professionisti specialisti in possesso del master di primo livello per le funzioni
specialistiche rilasciato dall'università...;
d) professionisti dirigenti in possesso della laurea specialistica…
Ancora oggi però in molte università italiane non hanno attivato i corsi delle classi
delle lauree specialistiche universitarie delle professioni sanitarie
1.1.3 La formazione post-base: i master universitari
Secondo quanto disposto dal D.M. 509/99 e dalle successive modificazioni (in
particolare, il recente D.M. 270/2004 che ha introdotto la laurea magistrale), le
università italiane possono attivare, disciplinandoli nei propri regolamenti didattici di
ateneo, corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e
ricorrente, successivi al conseguimento della laurea o della laurea magistrale, alla
conclusione dei quali sono rilasciati i master universitari di primo e di secondo livello.
I corsi sono dunque ordinati e regolamentati nell'ambito della formazione post-base e
“Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al
Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali”
18
14
si rivolgono pertanto a professionisti già formati (e nella quasi totalità dei casi già
occupati).
Poiché rappresentano una tipologia di corso collocata nella formazione post-base, i
master universitari hanno la finalità di promuovere una specializzazione in un campo
specifico. In effetti, per quanto riguarda la professione infermieristica, si è molto
discusso in questi ultimi anni circa le possibili forme di specializzazione e, di conseguenza, in merito agli obiettivi e ai contenuti da includere nei percorsi di studio
finalizzati al rilascio del certificato di master. In particolare, i corsi per master rivolti
alle professioni sanitarie recentemente attivati dalle università italiane si sono
indirizzati in due aree fondamentali:
-
in primo luogo, la specializzazione clinica (area della sanità pubblica, area
materno-infantile, area della salute mentale e psichiatrica, area geriatrica, area
critica);
-
in secondo luogo, la competenza manageriale finalizzata all'esercizio delle funzioni di coordinamento. A tale proposito, la recente legge 1 febbraio 2006, n. 43,
recante "Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica,
riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per
l'istituzione dei relativi Ordini professionali", ha previsto una nuova articolazione
del personale laureato afferente alle professioni sanitarie, che riconosce: la
qualifica di professionista coordinatore, per coloro che risultano in possesso del
master universitario di primo livello in management per le funzioni di
coordinamento;
Specializzazione clinica e sviluppo di competenze manageriali non esauriscono
completamente il panorama dell'offerta didattica relativa ai corsi per master per le
professioni infermieristiche. Per esempio, alcune università hanno attivato corsi di
specializzazione in pedagogia sanitaria e tutorato clinico, specificamente indirizzati ai
professionisti che si occupano di didattica clinica e che hanno responsabilità dirette
nella gestione dei tirocini degli studenti dei corsi di laurea di primo livello o degli
allievi dei corsi di formazione per operatori sociosanitari o per altre figure di
15
supporto19. Nel rapporto elaborato dall'Osservatorio sulla formazione universitaria
della Federazione Ipasvi emerge che, dal 2002 al 2006, gli infermieri che si sono
iscritti ad un master di primo livello sono più di 5.000 con un totale di 170 corsi
attivati. Il fenomeno coinvolge soprattutto il Centro (il 59,6% degli iscritti), seguito
dal Nord con il 23,8%; in coda il Sud con un 16,7%20.
1.1.4 La formazione continua (E.C.M.)
Il dovere di formazione e di costante aggiornamento permane in capo al
professionista già in forza di puntuali previsioni dell’ordinamento giuridico. Per
formazione continua s’intende quindi un insieme d’esperienze sistematiche
d’apprendimento strutturate a partire da una base di precedenti conoscenze ed
esperienze. La formazione continua comprende l’aggiornamento professionale e la
formazione permanente21.
Si suole citare, a proposito di aggiornamento professionale, l’articolo 2236 c.c., che
riduce la responsabilità civile del sanitario alla sola colpa grave nei “casi di speciale
difficoltà” vale a dire quando vi sono problemi di nuova emersione che non sono stati
ancora sufficientemente studiati o sono oggetto di contrastanti trattamenti. È evidente
che ove esistano nuovi metodi e nuove conoscenze, che riducano la “speciale
difficoltà” “all’ordinaria pratica”, l’infermiere non può non conoscere tali evoluzioni
e invocare quindi i propri limiti personali, dovuti ad ignoranza delle novità e non più a
difficoltà oggettive, per chiedere che non venga sanzionata la sua colpa.
Questo dovere d’aggiornamento professionale può essere ricavato anche da altre
norme del Codice civile quali: l’obbligo d’esatta esecuzione della prestazione dovuta
ex art. 1218 c.c., la correttezza nell’adempimento ex art. 1176, la diligenza
professionale nell’adempimento ex art. 1175 c.c. o ancora la buona fede
nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c.
19
vedi sito http://www.guidamaster.it/ consultato il 29/12/2007
Martelletti E. Sanità e salute: master infermieristico per innovare e migliorare il sistema in Rivista L’infermiere federazione IPASVI n. 6
anno 2007 ; vedi anche Crotti E. La prima edizione Master in Infermieristica e Ostetricia legale e forense : 30 i diplomi assegnati in Io
infermiere Notiziario a cura del collegio IPASVI Milano-Lodi n. 3/2006 pag. 8
21
D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 art. 16 bis.
20
16
Partecipare ai programmi di formazione continua è un dovere per gli infermieri che
deriva anche dal codice deontologico la dove prevede che: “L’infermiere aggiorna le
proprie conoscenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica
sull’esperienza e la ricerca, al fine di migliorare la sua competenza. L’infermiere fonda
il proprio operato su conoscenze validate e aggiornate, così da garantire alla persona le
cure e l’assistenza più efficaci. L’infermiere partecipa alla formazione professionale,
promuove ed attiva la ricerca, cura la diffusione dei risultati, al fine di migliorare
l’assistenza infermieristica” 22.
L’accezione personalistica del dovere di aggiornamento professionale non può che
prevalere, con una marcata responsabilizzazione dell’iscritto all’Albo. Un simile rigore
è motivato da comprensibili esigenze di tutela della salute pubblica23.
Al di fuori del Codice civile e delle norme dettate dal codice deontologico, diverse
norme d’organizzazione del SSN ripropongono il dovere di aggiornarsi.
Il richiamo operato D.Lgs. 229/99, che modificando il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n.
502 ed introducendo l’art. 16 quater, ha previsto che “partecipare alle attività di
formazione continua costituisce requisito indispensabile per svolgere attività
professionale, in qualità di dipendente o libero professionista, per conto delle Aziende
ospedaliere, delle Università, delle Unità sanitarie locali e delle strutture sanitarie
private”.
Lo stesso articolo prevede che “i contratti collettivi nazionali di lavoro del
personale dipendente e convenzionato individuano speciali elementi di penalizzazione,
anche di natura economica, per il personale che nel triennio non ha conseguito il
minimo di crediti formativi stabilito dalla commissione nazionale24”. A tal proposito il
CCNL del comparto sanità parte normativa quadriennio 2002 - 2005 all’art. 20 punto
4 prevede che: “il dipendente che senza giustificato motivo non partecipi alla
formazione continua e non acquisisca i crediti previsti nel triennio, non potrà
partecipare per il triennio successivo alle selezioni interne a qualsiasi titolo previste.
Va notato che tale ultima norma si rivolge non più elettivamente alle amministrazioni
22
23
Art 3.1 codice deontologico dell’infermiere.
Calamandrei C. Commentario al nuovo codice deontologico dell’infermiere p. 140
17
sanitarie, come aveva ad esempio fatto il sopra citato D.Lgs. 29/93, ma anche agli
stessi professionisti, i quali sono chiamati ad attivarsi in ogni modo per aggiornare le
proprie competenze. Dal 1° gennaio 2002 la formazione continua prevista dagli art. 16
bis, ter, quater del D.Lgs. 502/92 è stata inserita in un programma strutturato del
Ministero della Salute ed è nota a tutti gli operatori sanitari come educazione continua
in medicina - E.C.M.; essa comprende l’insieme organizzato e controllato di tutte
quelle attività formative, sia teoriche sia pratiche, promosse dai diversi provider.
Il 1 agosto 2007 è stato siglato l'accordo Stato-Regioni concernente il Riordino del
sistema di Formazione continua in Medicina. Nell'accordo è riportato, tra l'altro, che
ogni operatore sanitario
deve acquisire
150 crediti formativi nel triennio 2008-
2010 secondo la seguente ripartizione: 50 crediti/anno (minimo 30 e massimo 70 per
anno) per un totale di 150 nel triennio 2008-2010. In particolare, dei 150 crediti
formativi del triennio 2008-2010, almeno 90 dovranno essere “nuovi” crediti, mentre
fino a 60 potranno derivare dal riconoscimento di crediti formativi acquisiti negli anni
della sperimentazione a partire dall'anno 2004 fino all'anno 2007. Come si è visto, i
problemi relativi alla formazione professionale oggi devono essere interpretati in un
quadro concettualmente più adeguato e coerente all’attuale situazione sanitaria, alla
flessibilità richiesta dal mondo del lavoro, alle necessità di crescita e di evoluzione
della comunità professionale coinvolta.
Un maggior livello di formazione e di consapevolezza raggiunta dai cittadini
rispetto ai temi riguardanti la salute, pongono come elemento centrale delle professioni
sanitarie la competenza. Prima la VRQ, poi la Evidence Based Nursing 25 hanno
cominciato a chiedere le prove di efficacia, smantellando quei riferimenti alla scienza
che erano solo un paravento per mascherare mancanza di razionale clinico, pregiudizi
di scuola o semplice pigrizia a uscire dalla routine. L’accordo con la scienza non si
può presumere, ma va dimostrato26.
24
Tale commissione è prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 art. 16 ter.
Linee guida o protocolli infermieristici basati su evidenze scientifiche e dimostrati mediante specifici percorsi di ricerca clinica (Evidence
Based Nursing) in questo senso la L. n. 229/99 (riordino della disciplina in materia sanitaria) all’art.1 pone a carico del S.S.N. le tipologie di
assistenza, i servizi e le prestazioni che presentano …..evidenze scientifiche di significativo beneficio, escludendo quelle che non soddisfano
il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza. Per un approfondimento anche Calamandrei C. Commentario al nuovo codice deontologico
dell’infermiere McGraw-Hill Prima edizione ottobre 1999 p. 152.
26
S. Spinsanti Scienza e coscienza come responsabilità morale in Riv. Toscana medica - Dicembre 2000 p. 17.
25
18
1.2 L’esercizio professionale dell’Infermiere e del dirigente Infermieristico
La professione infermieristica, in Italia, fino all’entrata in vigore della legge 26
febbraio 1999, n. 42, che ha comportato una ridefinizione del campo proprio delle
funzioni infermieristiche, ha sempre avuto un sistema d’abilitazione professionale
improntato sul sistema mansionariale, ossia una norma che conteneva un insieme di
mansioni amministrative e assistenziali di carattere rigido e dettagliato; ne conseguiva
che tutto ciò che non era specificamente compreso era da considerarsi di competenza
di altre professioni sanitarie. Pertanto, operare al di fuori di quanto consentito da
questo regolamento, poteva configurare la fattispecie di reato prevista dall’art. 348
c.p.27, esercizio abusivo di professione28. Come vedremo più avanti, anche altri
riferimenti normativi hanno integrato le mansioni degli infermieri professionali: di
queste, oggi, ne residuano alcune, ma è indubbio che il mansionario ne costituiva il
corpus principale. Anche fonti terziarie e segnatamente circolari, erano intervenute
nell’interpretazione delle norme mansionariali. Il profilo professionale recepito con il
D.M. 14 settembre 1994, n. 739 (che verrà commentato nel prossimo capitolo), pur
avendo innovato i criteri per l’esercizio professionale, indicando una cornice più
ampia, di competenza infermieristica, non ha modificato la norma che regolava le
mansioni degli infermieri; pertanto, fino all’entrata in vigore della legge 42/99 29 (che
ha comportato una ridefinizione del campo proprio delle funzioni infermieristiche), gli
infermieri hanno operato sulla base del mansionario. Si ritiene utile, prima di
procedere ad una analisi dettagliata del profilo professionale e delle altre norme che
regolamentano la professione infermieristica oggi, analizzare le norme che nel recente
passato regolavano l’esercizio professionale degli infermieri poiché tale analisi può
essere d’aiuto per definire e comprendere meglio il campo proprio di attività di oggi.
E’ per questo che la prima parte di questo capitolo sarà dedicata ad un approfondito
27
art. 348 c.p. Abusivo esercizio di una professione. Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale
abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a un milione (sono applicabili le
sanzioni sostitutive previste dagli artt. 53 e segg., L. 689/1981) vedi in proposito A. Farneti A. Gentilomo Elementi di medicina legale aspetti giuridici della professione infermieristica Collana di Scienze infermieristiche - Universo 1997 p. 107.
28
A. Farneti A. Gentilomo Elementi di medicina legale- aspetti giuridici della professione infermieristica op. cit. p. 107.
19
del vecchio mansionario (D.P.R. 14 marzo 1974, n.225) che per circa 20 anni hanno
regolamentato l’esercizio professionale degli infermieri.
1.2.1 Le mansioni dell’infermiere in vigenza del D.P.R. 225/74 (mansionario)
I mansionari che si sono succeduti nel tempo sono stati due. Il primo, risale al 1940
(REGIO DECRETO 2 maggio 1940, n.1310 “Determinazione delle mansioni delle
infermiere professionali e degli infermieri generici”)30 rimasto in vigore sino al 1974,
anno in cui venne emanato il D.P.R. 14 marzo 1974, n.225 “Modifiche al R.D. 2
maggio 1940. Numero 1310, sulle mansioni degli Infermieri professionali e Infermieri
generici”31. Le differenze tra i due mansionari non erano di per sé rilevanti; anche
perché il D.P.R. 225/74 è stato costruito sulla modifica del precedente mansionario.
Pertanto, l’impianto di base normativo è rimasto sostanzialmente quello del 1940,
anche se il D.P.R. 225/74 ha quanto meno stemperato i termini della dipendenza
dell’infermiere dal medico, almeno nei caratteri lessicali, ridisegnando un infermiere
più autonomo e non puramente esecutore di atti “ordinati” dal medico32.
Il mansionario di cui al D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225 si componeva di sei articoli,
di cui solo gli artt. 1 e 2 erano dedicati specificamente all’infermiere professionale,
mentre l’art. 3 definiva le mansioni della vigilatrice d’infanzia, l’art. 4 le mansioni
dell’infermiere specializzato in anestesia e rianimazione, l’art. 5 riguardava gli
assistenti sanitari, l’art. 6 le mansioni dell’infermiere generico (figura in esaurimento);
oggi solo quest’ultimo articolo è rimasto in vigore.
In questo capitolo ci occuperemo di una analisi degli artt. 1 e 2 che regolavano le
mansioni dell’infermiere professionale e dell’art. 4 che interessava la figura
dell’infermiere professionale specializzato in anestesia o rianimazione o in terapia
intensiva scomparsa come figura professionale negli anni 80, ma come ha statuito la
Suprema Corte questo articolo era “applicabile anche agli infermieri professionali che
L. 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” Art. 1. punto 2. Dalla data di entrata in vigore della presente
legge sono abrogati il regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1974 n. 225, ad eccezione delle
disposizioni previste dal titolo V (…).
30
Vedi allegato n. 1.
31
Vedi allegato n.2.
29
20
non sono specializzati in anestesia, ma sono destinati specificamente alle mansioni di
fatto degli specializzati in anestesia”33, estendendo così la disciplina di questo articolo
a tutti gli infermieri professionali che esercitavano la professione in sala operatoria e
nei reparti di rianimazione.
A scopo puramente espositivo si è preferito raggruppare le mansioni
infermieristiche previste dagli art. 1,2 e 4 del D.P.R. 225/74 in sei gruppi che sono:
 mansioni di carattere organizzativo e amministrativo dell’infermiere;
 mansioni che l’infermiere poteva compiere in completa autonomia o di
assistenza al medico;
 mansioni che l’infermiere poteva compiere dietro prescrizione medica;
 mansioni che l’infermiere poteva compiere dietro prescrizione e sotto controllo
medico;
 interventi d’urgenza dell’infermiere;
 mansioni dell’Infermiere in ambito domiciliare.
1.2.1.1 Mansioni di carattere organizzativo e amministrativo dell’infermiere
Le attribuzioni di carattere organizzativo ed amministrativo degli infermieri
professionali previste dal D.P.R. 225/74 erano le seguenti:
a) programmazione di propri piani di lavoro e di quelli del personale alle
proprie dipendenze, loro presentazione ai superiori e successiva attuazione;
b) annotazione sulle schede cliniche degli abituali rilievi di competenza
(temperatura, polso, respiro, pressione, secreti, escreti) e conservazione di
tutta la documentazione clinica sino al momento della consegna agli archivi
centrali; registrazione su apposito diario delle prescrizioni mediche, delle
consegne e delle osservazioni eseguite durante il servizio;
c) richiesta ordinaria e urgente di interventi medici e di altro personale a
seconda delle esigenze sanitarie, sociali e spirituali degli assistiti;
32
M cantarelli “ il modello delle prestazioni infermieristiche” op. cit. p. 22.
21
d) compilazione dei dati sul movimento degli assistiti e collaborazione alla
raccolta ed elaborazione di dati statistici relativi al servizio;
e) tenuta e compilazione dei registri e dei moduli di uso corrente;
f) registrazione del carico e scarico dei medicinali, dei disinfettanti, dei veleni
e degli stupefacenti; loro custodia e sorveglianza sulla distruzione.
g) custodia delle apparecchiature e delle dotazioni di reparto;
h) controllo della pulizia, ventilazione, illuminazione e riscaldamento di tutti i
locali del reparto;
i) sorveglianza sulle attività dei malati affinché le stesse si attuino secondo le
norme di convivenza prescritte dai regolamenti interni.
Gli infermieri professionali erano inoltre tenuti:
1)
a partecipare alle riunioni periodiche di gruppo ed alle ricerche sulle tecniche
e sui tempi dell’assistenza;
2)
a promuovere tutte le iniziative di competenza per soddisfare le esigenze
psicologiche del malato e per mantenere un clima di buone relazioni umane
con i pazienti e con le loro famiglie;
3)
ad eseguire ogni altro compito inerente alle loro funzioni.
L’infermiere professionale specializzato in anestesia o rianimazione o in terapia
intensiva provvedeva alla:
 raccolta, conservazione ed archiviazione delle schede di anestesia e delle
cartelle di rianimazione.
Come si evince, l’art. 1 definiva le mansioni di carattere organizzativo e
amministrativo
degli
infermieri,
prevedendo
che
questi
controllassero,
programmassero e sorvegliassero attività proprie o degli operatori alle proprie
dipendenze.
La norma all’art. 1 punto a) riconosceva agli infermieri l’attività di programmazione
dei propri piani di lavoro e di quelli del personale alle proprie dipendenze, anche se
doveva essere seguita dalla “loro presentazione ai superiori e successiva attuazione”.
33
Corte di Cassazione penale, sez. IV del 4.11.1983 in Cass. Pen. 1986, 283.
22
Si discuteva che cosa comportasse questa presentazione ai superiori, se cioè rivestisse
un carattere di subordinazione di efficacia oppure consistesse in un semplice dovere di
comunicazione. L’interpretazione letterale e anche quella logica facevano propendere
per questa seconda ipotesi34. Una conferma a tale interpretazione proveniva da un’altra
fonte normativa, e più precisamente l’art. 41 del D.P.R. 384/1990, il quale recependo il
contratto dei dipendenti delle USL per il periodo 1988-1990. Nell’istituire la figura
dell’operatore tecnico addetto all’assistenza (OTA) e dell’ausiliario specializzato
addetto ai servizi socio sanitari precisava infatti che tali figure operano sotto la diretta
responsabilità del Caposala, o in sua assenza dell’infermiere professionale
responsabile del turno di lavoro. In presenza di più infermieri professionali all’interno
del turno di lavoro la responsabilità è condivisa da tutti.
All’art. l punto b), era previsto che gli infermieri annotassero sulle schede cliniche
(cartella clinica) i cosiddetti parametri vitali. Ogni altra annotazione era preclusa,
anche se si riteneva lecita la compilazione del frontespizio della cartella, contenente le
cosiddette generalità. Allo stesso punto b) si prevedeva altresì che gli infermieri
conservassero tutta la documentazione clinica sino al momento della consegna agli
archivi centrali, ove presenti; non è dato sapere in quale momento questa consegna
dovesse avvenire, ma è certo che questo obbligo di conservazione permanesse per tutto
il periodo di degenza fino alla data di dimissione. È utile precisare che tale
incombenza ricade anche sul primario, in qualità di responsabile della cartella
clinica35. Lo stesso articolo, oltre ai compiti descritti in ordine alla cartella clinica,
stabiliva che l’infermiere professionale provvedesse alla «registrazione su apposito
diario delle prescrizioni mediche, delle consegne e delle osservazioni eseguite durante
il servizio».
1.2.1.1.1 La cartella infermieristica
Esiste un inevitabile legame tra lo sviluppo professionale, il modello organizzativo e il
modo di documentare il proprio lavoro. In questo contesto la cartella infermieristica ha
Benci L. “Aspetti giuridici della professione infermieristica” McGraw-Hill prima edizione p. 88.
D.P.R. 128 del 27/03/1969 art. 7 “Il primario … è responsabile della regolare compilazione delle cartelle cliniche, dei registri nosologici e
della loro conservazione, fino alla consegna dell’archivio centrale…. (questo DPR è stato abrogato dall’art. 4 del D.Lgs. 502/1992 e
successive integrazioni)
34
35
23
un valore importante sia in termini di crescita professionale sia in termini giuridici. In
passato si è posto il problema di definire quale fosse il valore legale dell’annotazione
sull’apposito diario delle consegne e delle osservazioni eseguite durante il servizio
dall’infermiere, concludendo, secondo alcuni autori36., che esse non rivestivano il
carattere di “atto pubblico fidefacente” (art. 2699 c.c.)
37
, in quanto rilievi non
provenienti da un pubblico ufficiale38 nell’esercizio di una speciale potestà
certificatrice. In altri termini, secondo questi autori, non sembrava possibile
riconoscere al diario infermieristico la stessa efficacia probatoria della cartella clinica,
in quanto non è un documento precostituito a garanzia della pubblica fede e soprattutto
non è redatto da un pubblico ufficiale autorizzato ad una speciale funzione
certificatrice, essendo l’infermiere professionale riconosciuto come incaricato di
pubblico servizio39.
Oggi si ritiene che la documentazione infermieristica, alla luce delle ridefinizioni
professionali e giuridiche avvenute in seno alla professione infermieristica, può essere
definita un atto pubblico, giacché fa parte integrante della cartella clinica che da
sempre è stata considerata da una parte della dottrina, anche in accordo con numerose
pronunce della Corte di cassazione, un atto pubblico di fede privilegiata40. Pertanto, al
diario infermieristico facente parte della cartella clinica può essere riconosciuta la
qualità di atto pubblico, posto in essere da incaricato di un pubblico servizio per uno
scopo inerente alle sue funzioni, ossia a documentare fatti inerenti l’attività da lui
svolta e la regolarità delle operazioni amministrative alle quali egli è addetto41.
M.M. Milano, E. Valleris, M. Iorio - “La cartella infermieristica - aspetti giuridici e deontologici” in Riv. Minerva Medico Legale 2/2001
p. 81. - -Magliona B., Iorio M.: La regolare compilazione della cartella clinica ospedaliera, Riv.Minerva Medico Legale, Volume 114-1994.
- -Cazzaniga A. Compendio di medicina legale e delle assicurazioni UTET undicesima edizione p. 23
37
Art. 2699, c.c. Atto pubblico - L’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale
autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato.
38
Nozione dei pubblico ufficiale Art. 357 codice penale- Agli effetti della legge penale sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una
pubblica funzione legislativa, giudiziaria e amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di
diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o
dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
39
Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio Art. 358 codice penale- Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un
pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata
nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello
svolgimento di semplici mansioni d'ordine e della prestazione di opera meramente materiale.
40
Barbieri G. e Pennini A Le responsabilità dell’infermiere Carocci, Roma , 2008 -- Rodriguez D., Professione ostetrica/o - Aspetti di
medicina legale e responsabilità, Eleda Edizioni, Milano, (2001) p. 111
“La Cassazione ha precisato che rientrano nella tutela dell’art. 476 C. p. anche gli atti meramente interni, cioè quegli atti formati dal
pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni al fine di documentare fatti inerenti all’attività da lui svolta ed alla regolarità delle azioni
amministrative alle quali egli è addetto” Cassazione penale sez. V, 25 settembre 1980, in Giur. it ; 1982, II,72 - Cass. Penale, sez. V, 6
ottobre 1977 in Giur. it. 1979, II,279.
36
24
Tale tesi è avvalorata anche dalla circostanza che le stesse strutture sanitarie o le
Regioni42 disciplinano le forme di documentazione dell’attività sanitaria, anche con
riferimento alla tenuta della cartella infermieristica43.
A tal proposito, là dove venga previsto in termini espressi l’obbligo di redazione
della cartella infermieristica, l’omesso rispetto delle relative prescrizioni potrà far
derivare a carico dell’infermiere professionale una responsabilità quanto meno a
livello disciplinare, per violazione dell’obbligo di diligente adempimento delle proprie
obbligazioni che è sancito già a livello civilistico dagli artt. 1218 c.c. (responsabilità
del debitore) e 1176 c.c. (diligenza nell’adempimento). Per ciò che riguarda le
modalità di compilazione delle cartelle, l’Autorità Garante per la Privacy, ha statuito
che se la cartella clinica è illeggibile, per la grafia di chi l’ha redatta, deve essere
trascritta in modo che le informazioni in essa contenute risultino chiare per il malato.
La leggibilità delle informazioni è la prima condizione per la loro piena comprensione.
Nel provvedimento l’Autorità ha sottolineato la specifica tutela che la legge sulla
privacy garantisce alle persone al momento dell’accesso ai propri dati personali,
rispetto al diverso diritto di accesso agli atti e documenti amministrativi disciplinato
dalla legge 241/1990. L’art. 13 della legge 675/199644 prevedeva, infatti, che i dati
personali devono estratti e comunicati all’interessato in forma intelligibile ed il
principio è ulteriormente specificato nel codice della privacy45, quando in riferimento
ad alcune modalità di riscontro al diritto di accesso, si afferma che la comprensione dei
42
Vedi ad es. Legge .Regionale. 14-12-2007 n. 34 Norme in materia di tenuta, informatizzazione e conservazione delle cartelle cliniche e
sui moduli di consenso informato. Pubblicata nel B.U. Veneto 18 dicembre 2007, n. 108- -- Manuale accreditamento attività sanitarie
Regione Marche approvato con DGR 31 luglio 2001 n. 1889 ( punto 5 – Area Degenza)- ---Manuale della cartella clinica della Regione
Lombardia – Direzione Generale Sanità 23 ottobre 2001 (Capitolo 2).- Calabria L.R. 19-03-2004, n. 11 Piano regionale per la salute
2004/2006. - Finanziamento del piano regionale per la salute e governo della spesa sanitaria Pubblicata nel B.U. Calabria 16 marzo 2004, n.
5, suppl. straord. 20 marzo 2004, n. 3. – Trentino Delib.G.P. 17-3-2003 n. 763 Approvazione dei requisiti minimi e ulteriori per
'autorizzazione e l'accreditamento delle strutture sanitarie ospedaliere e assimilabili. Pubblicata nel B.U. Trentino-Alto Adige 1 luglio 2003,
n. 26, I Suppl..- Basilicata Delib.G.R. 8-10-2001 n. 2131 Linee guida sull'istituzione e organizzazione in forma dipartimentale dei servizi
infermieristici nelle aziende sanitarie locali e aziende ospedaliere di Basilicata. Pubblicata nel B.U. Basilicata 22 ottobre 2001, n. 70.- Liguria
Delib.G.R. 16-11-2001 n. 1335 Approvazione "Manuale per l'accreditamento istituzionale delle attività sanitarie" relativo ai requisiti richiesti
per l'accreditamento istituzionale dei presìdi sanitari e socio-sanitari (artt. 11 e seguenti della L.R. 30 luglio 1999, n. 20).
Pubblicata nel B.U. Liguria 19 dicembre 2001, n. 51, S.O. parte seconda- Molise Delib.G.R. 30-5-2007 n. 556 Piano Regionale e Lineeguida per il Sistema delle Cure Domiciliari. Pubblicata nel B.U. Molise 1° ottobre 2007, n. 22, suppl. ord. n. 3 – Umbria
Delib.G.R. 9-4-1997 n. 2088 Attuazione Delib.C.R. n. 296/1996 "riorganizzazione della rete ospedaliera" linee guida per l'organizzazione
delle attività di day surgery. Pubblicata nel B.U. Umbria 13 maggio 1998, n. 31, suppl. ord. n. 1.
43
L’adozione della cartella infermieristica è specificamente prevista dal D.P.R. 384 del 28 novembre 1990 che recepisce l’accordo per il
contratto collettivo dei dipendenti del SSN, all’art. 135 istituisce la commissione per la verifica e la revisione della qualità dei servizi e delle
prestazioni sanitarie e l’adozione della cartella infermieristica viene indicata, da tale fonte normativa, quale elemento di valutazione di qualità
dell’assistenza infermieristica.
44
Oggi refluito nel D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 - Codice in materia di protezione dei dati personali.
45
vedi art. 10 punto 6 Dd.lgs 196/03
25
dati deve essere agevole e obbliga il titolare del trattamento ad adottare opportune
misure per agevolare l’accesso ai dati da parte degli interessati. Anche nel caso in cui
l’estrazione e la trasposizione dei dati su un supporto cartaceo o informatico dovesse
risultare particolarmente difficoltosa, la richiesta di accesso ai dati personali, formulata
ai sensi della legge sulla privacy, può essere sì soddisfatta dall’esibizione o dalla
consegna in copia di un documento, ma la leggibilità delle informazioni è la prima
condizione, necessaria anche se non sufficiente, per la loro comprensibilità46.
In mancanza della cartella infermieristica la qualifica di atto pubblico in senso lato
la rivestono il registro dei rapporti e delle consegne ovvero le consegne personalizzate
compilate dagli infermieri e dai Caposala.
I reati che disciplinano le falsità documentali in cui può incorrere l’infermiere nella
compilazione della cartella infermieristica sono gli stessi reati nei quali può incorrere il
medico47 nel compilare la cartella clinica48 quali il falso materiale in atto pubblico e il
falso ideologico in atto pubblico, previsti rispettivamente dagli articoli 476 e 479 del
codice penale. La Suprema Corte ha precisato che “la disposizione prevista dall’art.
493 c.p. non dilata l’area degli atti pubblici (sono tali solo quelli formati
nell’esercizio di una pubblica funzione) ma equipara quelli redatti da pubblici
impiegati incaricati di pubblico servizio agli atti pubblici, estendendo ai primi la
tutela penale predisposta per i secondi”49.Poiché l’art. 493 c.p.50 estende la disciplina
delle falsità documentali, ivi compresa quella che attiene agli atti pubblici ed alle
certificazioni, ai documenti redatti dagli incaricati di pubblico servizio, nell’esercizio
delle loro mansioni, ne discende che egli deve compilarlo secondo principi di
In tal senso l’autorità garante ha accolto il ricorso di un paziente che lamentava un riscontro inadeguato da parte dell’azienda ospedaliera
cui si era rivolto chiedendo la comunicazione in forma intelligibile dei dati personali contenuti nella sua cartella clinica. In risposta a tale
richiesta aveva ricevuto copia della cartella che, però, a suo parere, risultava illeggibile per la pessima grafia degli autori e quindi
incomprensibile. Nel ricorso il malato chiedeva che le spese del procedimento fossero attribuite all’azienda ospedaliera.
Riconosciuta, quindi, la legittimità delle richieste del ricorrente, il Garante ha ordinato all’azienda ospedaliera di rilasciare, entro un termine
stabilito, una trascrizione dattiloscritta o comunque comprensibile delle informazioni contenute nella cartella clinica e di comunicarle
all’interessato, come prescrive la legge, tramite il medico di fiducia o designato dalla Asl. All’Azienda sono state inoltre imputate le spese
del procedimento, stabilite in 250 euro, che dovranno essere versate direttamente a favore del ricorrente. In Newsletter Notiziario
settimanale Anno V N. 165 del 31 marzo - 6 aprile 2003 WWW.GARANTEPRIVACY.IT vedi anche Riv. Diritto delle professioni sanitarie
2/03 p. 120.
47
Barbieri G.A. La cartella infermieristica - profili di responsabilità per l’infermiere in Io infermiere Notiziario a cura del collegio IPASVI
Milano-Lodi Luglio-settembre 2002.
48
Cassazione penale sez. I 23 ottobre 1990 in Giust. Pen. 1991, II, 459.
49
Cass. Pen. Sez. V 11 luglio 1983 n. 6436 in questo senso anche la sentenza del T.A.R. Trentino-A. Adige Trento, 14 marzo 2005, n. 75
50
Art 493 c. p. - Falsità commesse da pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico. Le disposizioni degli articoli precedenti sulle
falsità commesse da pubblici ufficiali si applicano altresì agli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, incaricati di un pubblico
servizio, relativamente agli atti che essi redigono nell’esercizio delle loro attribuzioni.
46
26
veridicità, completezza, correttezza formale e chiarezza. L’art. 476, infatti, sancisce
che “il pubblico ufficiale (in questo caso, l’incaricato di un pubblico servizioinfermiere) che, nell’esercizio delle sue funzioni forma, in tutto o in parte, un atto
falso o altera un atto vero è punito con la reclusione da uno a sei anni.
L’art. 479 c.p., invece, punisce il pubblico ufficiale (e l’incaricato di un pubblico
servizio) che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta
falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o
attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera
dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è
destinato a provare la verità. La pena è la stessa prevista per il reato di cui all’art. 476
c.p. Importante è, tuttavia, la distinzione tra falsità materiali e falsità ideologiche.
D’ordinario, la differenza tra le due forme di falso è posta nei seguenti termini: mentre
nel falso materiale il documento è falsificato nella sua essenza materiale, nel falso
ideologico il documento è falsificato soltanto nella sua sostanza, e cioè nel suo
contenuto ideale. In altre parole, ad esempio, incorrerebbe nel reato di falsità materiale
l’infermiere che cancellasse o modificasse i dati già scritti in una cartella
infermieristica. Incorrerebbe, invece, nel reato di falsità ideologica l’infermiere che
annotasse in cartella dati non veritieri, vale a dire dati che descrivono falsamente le
condizioni dell’assistito. È importante, quindi, che l’infermiere, impronti la
compilazione della cartella di sua competenza, a principi di veridicità, completezza,
correttezza formale e chiarezza. Altrettanto importante è che le annotazioni vadano
fatte contemporaneamente all’evento descritto51, anche se la contemporaneità non va
peraltro intesa in maniera rigorosa.
Per questo motivo è opportuno che gli infermieri acquisiscano, nel proprio
patrimonio culturale, l’abitudine alla compilazione del diario infermieristico e che
procedano a questa incombenza nel modo più possibile esaustivo e comprensibile. Se è
vero che vi sono ormai ambiti di esclusiva competenza e responsabilità per la
categoria, è sicuramente opportuno che rimanga traccia di queste opzioni in aggiunta a
51
Cassazione penale sez. V, 26 novembre 1997, n. 1098 in Riv. It. Med. Legale 1999, 341.- Cassazione penale sez. V sentenza 16.06.2005
n. 22694
27
quanto possa risultare dalla cartella clinica, onde consentire - nel caso in cui se ne
prospetti la necessità - di apprendere appieno le ragioni delle decisioni assunte, anche
in rapporto con le altre figure professionali, in primis con il personale medico.
Si aggiunga poi che la documentazione della propria attività si presenta opportuna quale momento di corretto esercizio della professione -, nell’ipotesi in cui più soggetti
siano chiamati ad occuparsi di un medesimo caso, in modo che, a chi subentra ad altri
nel trattamento, sia noto il quadro della situazione e quali decisioni siano state assunte
fino a qual momento.
Deve essere quindi combattuto con forza il luogo comune, molto diffuso tra gli
operatori sanitari, che considera solo le parti compilate dal medico come documenti
aventi valore legale. Peraltro, si deve dare atto che, nei processi, tutta la
documentazione sanitaria, sia essa medica o infermieristica, viene sequestrata e usata
per la ricostruzione dei fatti52.
Inoltre sempre di più oggi è considerato elemento di qualità e completezza della
documentazione sanitaria la presenza del diario infermieristico all’interno della
cartella clinica53. Questa tematica sicuramente meriterà un ulteriore approfondimento,
in considerazione del fatto che oggi in alcuni settori (es. l’assistenza domiciliare), le
cartelle cliniche sono redatte dai vari professionisti sanitari che erogano assistenza alla
persona (infermieri, fisioterapisti, logopedisti, medici), e non in via prevalente dalle
figure mediche, come avviene in ospedale.
1.2.1.1.2 Approvvigionamento e custodia farmaci
Agli infermieri competevano inoltre la registrazione del “carico e scarico dei
medicinali, dei disinfettanti, dei veleni, degli stupefacenti e la loro custodia”. Secondo
l’art. 41, comma 1 D.P.R. 27 marzo 1969 n. 128 - che regolava l’ordinamento interno
dei servizi ospedalieri - il caposala “controlla il prelevamento e la distribuzione dei
52
Vedi Tribunale Udine, 15 settembre 2008- Tribunale Terni, 13 luglio 2006- Cassazione penale , sez. IV, 30 gennaio 2008, n. 8615Cassazione penale IV sezione sentenza n. 9739 depositata 11 marzo 2005 vedi anche Pretura di Firenze sentenza n. 893 del 09/03/1994 in
Benci L. “Aspetti giuridici della professione infermieristica” op. cit. p. 192.
Supplemento Monitor n. 15, bimestrale dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali (2005), La qualità della documentazione clinica . pag
153
53
28
medicinali, del materiale di medicazione e di tutti gli altri materiali in dotazione” tra i
quali devono ricomprendersi le sostanze venefiche.
La suprema corte ha avuto modo di statuire che il compito di custodia
dell’infermiera professionale concorra con l’identico compito del caposala senza,
ovviamente, escluderlo54. A questo proposito particolare attenzione va posta al registro
degli stupefacenti55: non vi è dubbio alcuno che tale registro sia da considerarsi “atto
pubblico”, in quanto redatto da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle
proprie attribuzioni e vidimato dal Direttore Sanitario, o da un suo delegato, che
provvede alla sua distribuzione. Questa parte è stata recentemente integrata dalla
Legge 8 febbraio 2001, n. 12 che ha previsto che il registro di carico e scarico è
conservato, in ciascuna unità operativa dal responsabile dell’assistenza infermieristica
per due anni dalla data dell’ultima registrazione.
Infine, tra le mansioni di carattere organizzativo - amministrativo, veniva per la
prima volta prevista la ricerca infermieristica, la quale si attuava attraverso la
partecipazione alle riunioni periodiche di gruppo ed alle ricerche sulle tecniche e sui
tempi di assistenza.
1.2.1.2 Mansioni dell’infermiere in completa autonomia o di assistenza al medico
Tali mansioni previste dagli artt. 2 e 4 del D.P.R. 225/74 erano rappresentate da:
Art. 2 punti:
3) sorveglianza e somministrazione delle diete;
4) assistenza al medico nelle varie attività di reparto e di sala operatoria;
5) rilevamento delle condizioni generali del paziente, del polso, della temperatura,
della pressione arteriosa e della frequenza respiratoria;
Fattispecie nella quale sono state condannate un’infermiera e la caposala per errata somministrazione, da parte dell’infermiera, di una
sostanza venefica (sodioazide conservante urine) in luogo di solfato magnesio a due pazienti causandone la morte. Cassazione penale sez. IV,
26 marzo 1992 Giur. it. 1994,II, 377.
55
Legge 8 febbraio 2001, n. 12 “Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore” che modifica il testo
unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 art. 1 punto e) - 2 -ter. Il registro di carico
e scarico deve essere conforme al modello di cui al comma 2 ed è vidimato dal direttore sanitario, o da un suo delegato, che provvede alla
sua distribuzione. Il registro di carico e scarico è conservato, in ciascuna unità operativa, dal responsabile dell’assistenza infermieristica per
due anni dalla data dell’ultima registrazione. - 2 -quater. Il dirigente medico preposto all’unità operativa è responsabile della effettiva
corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, II, III e IV previste
dall’articolo 14.
54
29
6) effettuazione degli esami di laboratorio più semplici;
8) disinfezione e sterilizzazione del materiale per l’assistenza diretta al malato;
9) opera di educazione sanitaria del paziente e dei suoi familiari;
10) opera di orientamento e di istruzione nei confronti del personale generico, degli
allievi e del personale esecutivo;
Art. 4 L ‘infermiere professionale specializzato in anestesia o rianimazione o in
terapia intensiva:
 assistenza al medico specialista nelle varie attività di reparto (visite
preoperatorie, consulenze), di sala operatoria presso centri di rianimazione;
 pulizia, disinfezione e sterilizzazione delle apparecchiatura e del materiale
occorrente per l’anestesia;
 assistenza allo specialista nel corso dell’anestesia limitatamente alla sola
sorveglianza ed al trattamento di supporto del paziente (richieste di sangue,
sostituzioni di fleboclisi, approvvigionamento di sostanze farmacologiche varie,
controllo del polso e della pressione, compilazione della scheda di anestesia);
 sorveglianza del polso, della pressione e del respiro - nell’immediato periodo
post-operatorio, nella sala di risveglio,
 controllo, in reparto, della esecuzione di tutte le prescrizioni della cartella di
anestesia;
 sorveglianza della regolarità del funzionamento degli apparecchi di
respirazione automatica, di monitoraggio, di emodialisi, dei materassi
ipotermici ecc., per richiedere al primo segno di anormale funzionamento
l’immediato intervento medico;
Al punto 4 dello stesso articolo 2: è previsto che tra i compiti dell’infermiere vi è
quello di “assistenza al medico nel reparto e in sala operatoria”. Sul ruolo e le
responsabilità dell’infermiere strumentista in sala operatoria relativamente allo
smarrimento e dimenticanza56 di corpi estranei (aghi da sutura, tamponi, garze, ferri
56
Usualmente la dottrina medico-legale ha distinto i corpi estranei in dimenticati e smarriti, laddove per dimenticati si intendono quei corpi
che sono stati praticamente abbandonati all’interno del paziente per inosservanza delle comuni norme di diligenza, mentre per smarriti si
30
chirurgici o parti di essi), durante gli interventi chirurgici, nell’organismo del paziente
(prevalentemente cavità splacnica) la giurisprudenza e la dottrina medico legale hanno
avuto più volte modo di pronunciarsi.
Tale dottrina ha rilevato che l’infermiere strumentista è senza dubbio esente da
colpa nel caso di “smarrimenti”, salvo dimostrare che egli conoscesse i difetti di ferri
chirurgici complessi che potevano ragionevolmente far prevedere la perdita
accidentale di parti di essi durante l’uso (giunture difettose, viti ecc.)57.
Più complesso il discorso sulla “dimenticanza”. Già in passato una sentenza della
Corte di Appello di Roma58 aveva statuito che la procedura della conta delle garze
deve costituire sia per il chirurgo sia per 1’infermiere strumentista “un imperativo
categorico a operazione ultimata”, anche se non sono mancate pronunce che hanno
affermato la non colpevolezza dell’infermiere strumentista per l’abbandono di corpi
estranei nell’organismo del paziente. Facendo riferimento alla manualistica
infermieristica che dedica specifici protocolli e determinate accortezze per evitare
errori durante la conta59, è possibile affermare che sussisterà senz’altro concorso di
colpa per negligenza60 dell’infermiere strumentista che ometta o non presti
sufficientemente attenzione alla procedura anzidetta per i seguenti motivi:
1. nella prassi chirurgica, tra le mansioni specifiche dell’infermiere strumentista vi è
anche quella della conta delle pezze e dei ferri chirurgici;
2. solo l’infermiere è a conoscenza dell’esatto numero di garze, tamponi, lunghette
ecc. usati complessivamente durante l’intervento e dell’esatto numero di ferri
preparati sul tavolo “servitore”.
intendono quei corpi che siano insensibilmente sfuggiti al chirurgo, indipendentemente dal suo zelo, dalla sua diligenza e dalla sua perizia. F.
Buzzi, L. Tajana - Residuati chirurgici nel campo operatorio: problemi interpretativi medico legali da una rassegna casistica- in Riv.It.Med.
Legale, 1990 p. 1205.
57
Benci L. “Manuale giuridico professionale per l’esercizio del nursing” McGraw-Hill seconda edizione p. 95.
58
Corte di Appello di Roma, 25 Luglio 1965, in Giustizia penale, 1966, II p. 982.
59
Vedi Galdenzi A., Gregoriani M. “Le gazie chirurgiche: un metodo innovativo per il conteggio in sicurezza” in I Quaderni de l’infermiere
Gennaio – Febbraio 2007 supplemento del l’infermiere 1/07 edito dalla Federazione IPASVI
60
La limitazione della responsabilità professionale ai soli casi di dolo o colpa grave a norma dell’art. 2236 c.c. si applica alle sole ipotesi che
presentino problemi tecnici di particolare difficoltà (perché trascendono la preparazione media o perché non sono stati ancora studiati a
sufficienza, ovvero dibattuti con riguardo ai metodi da adottare) e, in ogni caso, tale limitazione di responsabilità attiene esclusivamente
all’imperizia, non all’imprudenza e alla negligenza, con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il professionista che,
nell’esecuzione di un intervento o di una terapia medica provochi un danno per omissione di diligenza ed inadeguata preparazione; la
sussistenza della negligenza va valutata in relazione alla specifica diligenza richiesta al debitore qualificato dall’art. 1176. comma 2, c.c. ed il
relativo accertamento compete al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. Cassazione civile,
sez. III, 10 maggio 2000 in Riv. It. Med. Leg. 2001 p. 1137.
31
3. fermo restando il potere di controllo di chi, in un dato momento, assume la
qualifica di responsabile del gruppo o del capo équipe, non è possibile in via
ordinaria addebitare tutta l’attività di controllo al chirurgo, in quanto
significherebbe caricare il chirurgo di tutta l’organizzazione del lavoro all’interno
di una struttura complessa come la sala operatoria e significherebbe anche
vanificare la possibilità della suddivisione delle competenze e delle responsabilità.
4. la dottrina penalistica per il lavoro di équipe ha elaborato il principio
dell’affidamento61, che serve ad individuare le singole posizioni di garanzia
esigibili dai partecipanti. Si tratta dell’affidamento legittimo che ciascun membro
dell’équipe fa sulla diligente prestazione degli altri membri. Quindi, ognuno deve
rispondere degli errori personalmente compiuti per inosservanza dei principi
tecnici relativi al proprio settore di competenza62. In tema di causalità, non può
parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per avere violato
determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e,
ciononostante, confidi che altri, che gli succedono nella stessa posizione di
garanzia, eliminino la violazione o pongano rimedio alla omissione così che ove,
anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione
avrebbe dovuto e potuto impedire, l’evento stesso avrà due antecedenti causali, non
potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente
da solo a produrre l’evento63.
In tale senso in una recente sentenza di merito si è affermato che è da attribuire la
responsabilità “per l’abbandono di garze all’interno dell’addome del paziente, alle
concorrenti condotte colpose del chirurgo responsabile in prima persona della fase di
V. Fineschi, P. Fratti, C. Pomara “ I principi dell’autonomia vincolata, dell’autonomia limitata e dell’affidamento nella definizione della
responsabilità medica- Riv. It. Med. Legale 2001, 261.
62
“Questo principio trova l’eccezione nel caso in cui il medico si rappresenti la pericolosità dell’altrui comportamento e non si attivi per
eliminarla oppure abbia l’obbligo di impedire, mediante un diligente controllo, le altrui scorrettezze per la sua particolare posizione
gerarchica” - F. Mantovani - La responsabilità del medico - in Riv. it. Med. Leg., 1980 p. 16; G. Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte
generale - Principio dell’affidamento e comportamento del terzo” Zanichelli editore, terza edizione p. 498.
63
Fattispecie di omicidio colposo per colpa professionale, in cui la Corte ha giudicato corretto il giudizio di responsabilità di entrambi i
medici, che, avendone ciascuno autonomamente la possibilità, in successione temporale, non hanno eliminato la fonte di pericolo - emorragia
- evolutasi a causa delle loro omissioni nella morte di una puerpera. Cassazione penale sez. IV, 1 ottobre 1998, n. 11444 Ced Cassazione
2000.
61
32
quel lavoro e dell’infermiere strumentista che ha per prassi chirurgica, tra le sue
mansioni specifiche, anche quella della conta delle pezze e dei ferri chirurgici”64.
L’ipotesi generale è comunque quella del concorso di colpa tra chirurgo e infermiere,
anche se non sono mancate pronunce contrarie65.
Continuando con l’art. 2 al punto 5, il termine riferito dal mansionario di “rilevamento
delle condizioni generali del paziente”, sottintendeva, in particolare, l’obbligo di
annotazione dei parametri fondamentali, nonché le osservazioni sui bisogni e sulle
funzioni egualmente fondamentali e la loro trascrizione nella cartella da parte
dell’infermiere66.
Inoltre, l’infermiere professionale, non poteva rifiutarsi nei servizi ambulatoriali di
raccogliere i dati anamnestici dei pazienti, purché questa raccolta avvenisse attraverso
dei moduli guidati. Tale impostazione è stata confermata dal legislatore con un D.M.
di recente emanazione che prevede la raccolta dei dati a cura anche dell’infermiere nei
servizi immunotrasfusionali67.
È chiaro tuttavia, che ove trattasi di compilazione della cartella clinica di un
paziente ospedalizzato, incombe in via generale e di principio al medico l’obbligo
della compilazione della stessa, ivi compresa la raccolta dei dati di anamnesi.
Sempre su questo punto, in passato ci si è posti il problema (nell’ambito dei servizi
di medicina scolastica) se nel “rilevamento delle condizioni generali del paziente”
rientrassero le indagini preventive dei deficit visivi ed auditivi posti in essere
dall’infermiere dei servizi territoriali e ciò anche per la semplicità dei moderni mezzi
di accertamento, seguiti da controllo del medico, tenendo conto che l’operatore, nel
caso, non assume altra responsabilità che quella, ovvia, della fedeltà professionale.
64
Pretura di Pavia: sentenza 10/03/99 - 23/04/99 N. 92 in Riv. Diritto delle professioni sanitarie 2/99 p. 141.- Cass. pen. Sez. IV, 06-10-2004,
n. 39062- Cass. pen. Sez. IV, (ud. 26-01-2005) 18-05-2005, n. 18568
65
II Tribunale penale di Firenze, D sez. bis, sentenza 9/12/1997-4/03/1998: “Il medico è indubbiamente 1’operatore al quale nella
circostanza, al di là della sua mera qualifica e della sua posizione, sono da attribuire in concreto l’inserimento in addome della garza e quindi.
innanzitutto, la sua mancata rimozione terminato l’intervento”. Vedi anche Cass. pen. Sez. IV, 06-10-2004, n. 39062- Cass. pen. Sez. IV, (ud.
26-01-2005) 18-05-2005, n. 18568
66
S. Carrubba - Manuale di legislazione e organizzazione sanitaria nazionale e internazionale- Ed. Rassegna Culturale J.M. 1994 p. 266.
67
D.M. 26 gennaio 2001 art. 6.
33
Nell’occasione, si era tacitamente ammesso che risponde alle mansioni del
personale infermieristico lo svolgimento di tali mansioni su incarico dell’U.S.L.68.
Anche se successivamente il Ministero della Sanità, per evitare dubbie
interpretazioni nel campo dell’uso di apparecchiature speciali, nel caso di specie
dell’audiometro, ha reso noto che l’uso di tale apparecchio non era consentito al
personale infermieristico, non rientrando esso nel mansionario di cui al D.P.R. 14
marzo 1974, n. 22569.
Il punto 6 dell’art. 2 - prevedeva che gli infermieri potessero effettuare “gli esami di
laboratorio più semplici” - Non è mai stato chiarito a che cosa fosse riferita la
semplicità, vale a dire se per esami di laboratorio più semplici si dovessero intendere
quelli normalmente effettuati in reparto o quelli di più facile esecuzione, tanto è vero
che interpretando in modo estensivo la norma è stato ritenuto esame semplice anche la
ricerca del “bacillo di Kock”, e ciò, anche per quanto concerne il prelievo,
l’allestimento del vetrino e la sua colorazione. Nel caso, invece, non è stato ritenuto
esame semplice, la relativa diagnosi microscopica, riservata al medico, rimanendo
inteso tuttavia che nulla vieta che un infermiere o un assistente sanitario
particolarmente esperto nella materia agevoli, l’opera del medico, ai fini della
responsabilità di diagnosi a lui spettante, segnalando i campi nei quali si reperiscono
bacilli 70.
L’art. 4 del D.P.R. 225/74 (mansionario), individuava le mansioni dell’infermiere
specializzato in anestesia e rianimazione, al quale venivano demandati alcuni compiti
che ampliavano notevolmente la responsabilità dello stesso come la “compilazione
della scheda d’anestesia ed il controllo in reparto, della esecuzione di tutte le
prescrizioni della cartella di anestesia”. Tali disposizioni sono applicabili anche agli
infermieri professionali i quali, benché non specializzati in anestesia, sono destinati
specificamente alle mansioni di fatto degli specializzati in anestesia71. Non era chiaro
nei confronti di chi l’infermiere specializzato in anestesia e rianimazione dovesse
68
S. Carrubba - Manuale di legislazione e organizzazione sanitaria nazionale e internazionale- Op. cit. p. 273.
S. Carrubba - Manuale di legislazione e organizzazione sanitaria nazionale e internazionale- Op. cit. p. 273.
70
S. Carrubba - Manuale di legislazione e organizzazione sanitaria nazionale e internazionale- Op. cit. p. 287.
71
Corte di Cassazione penale, sez. IV del 4.11.1983 in Cass. Pen. 1986, 283.
69
34
effettuare questo controllo (medici, infermieri) né tanto meno come. Poiché
consuetudo est optima legum interpres si ritiene che tale controllo dovesse limitarsi ad
un accertamento che le prescrizioni della cartella anestesiologica pervenissero in
reparto e ne fossero resi edotti i sanitari responsabili, sia medici sia infermieri,
rimanendo comunque a carico degli stessi l’esecuzione esatta di tutte le prescrizioni
della cartella di anestesia. Lo stesso articolo affidava all’infermiere la richiesta di
sangue per trasfusioni, compito, questo, in contrasto con norme specifiche che ancora
oggi prevedono che tale richiesta debba essere firmata dal medico72.
Sempre l’art.4 demandava agli infermieri professionali specializzati in anestesia, tra
l’altro, anche le mansioni di “preparazione e controllo delle apparecchiature e del
materiale necessario per l’anestesia generale e di sorveglianza della regolarità del
funzionamento degli apparecchi di respirazione automatica”. Sussiste, pertanto, la
responsabilità di costoro per colpa nel caso di mancata sorveglianza e controllo del
funzionamento delle apparecchiature. In tal senso è stato ritenuto responsabile
un’infermiere per la somministrazione nel corso di intervento chirurgico, di protossido
di azoto anziché di ossigeno a causa dell’inversione di innesto di tubi portanti i detti
gas, anche se l’inversione è stata materialmente effettuata da altri73.
Inoltre è bene fare ancora una considerazione sul disposto che attribuisce
all’infermiere “la sorveglianza della regolarità del funzionamento degli apparecchi di
monitoraggio”, l’interpretazione rigida della norma porta a pensare che veniva sancito
l’obbligo per l’infermiere di controllare il funzionamento del monitor di un paziente
che vi è collegato.
Non vi era quindi l’obbligo per l’infermiere di segnalare eventuali alterazioni
elettrocardiografiche ma solo il mal funzionamento degli apparecchi. È evidente che
oggi invece è comune attività dell’infermiere di area critica riconoscere e segnalare
anomalie elettrocardiografiche di particolare evidenza74.
72
73
74
D.M. 25 gennaio 2001 art. 14.
Cassazione penale , Sez. IV, 4 novembre 1983 in Cass. Pen. 1986, 283.
Vedi programma studi – Infermieristica in medicina specialistica Università Milano Bicocca Prof.ssa Di Mauro Stefania aa 2006/2007,
35
1.2.1.3 Mansioni dell’infermiere in autonomia, ma dietro prescrizione medica
Tali mansioni si ritrovano all’art. 2 al punto 2 e 12 e sono le seguenti:
2) somministrazione dei medicinali prescritti ed esecuzione dei trattamenti speciali
curativi ordinati dal medico;
a) prelievo capillare e venoso del sangue;
b) iniezioni ipodermiche, intramuscolari e test allergo-diagnostici;
c) ipodermoclisi (oggi non più in uso);
e) rettoclisi;
f) frizioni, impacchi, massaggi, ginnastica medica;
h) medicazioni e bendaggi;
i) clisteri evacuanti, medicamentosi e nutritivi;
l) lavande vaginali;
m) cateterismo nella donna;
q) bagni terapeutici e medicati;
r) prelevamento di secrezioni ed escrezioni a scopo diagnostico; prelevamento
di tamponi.
È consentita agli infermieri professionali la pratica delle iniezioni endovenose. Tale
attività potrà essere svolta dagli infermieri professionali soltanto nell’ambito di
organizzazioni ospedaliere o cliniche universitarie e sotto indicazione specifica del
medico responsabile del reparto.
L’infermiere professionale specializzato in anestesia o rianimazione o in terapia
intensiva, si occupa di:
 somministrazione della medicazione preanestetica prescritta dallo specialista;
 iniezioni intramuscolari, rinnovo di fleboclisi;
 sorveglianza della regolarità del funzionamento degli apparecchi di
respirazione automatica, di monitoraggio, di emodialisi, dei materassi
ipotermici ecc., per richiedere al primo segno di anormale funzionamento
l’immediato intervento medico.
36
Il D.P.R. 225/74 all’art. 2 punto 2, sanciva
per l’infermiere il compito di
somministrare farmaci dietro prescrizione medica. L’infermiere, quindi, doveva
garantire la corretta somministrazione di farmaci, la quale però è l’ultimo atto di un
procedimento complesso che parte dalla prescrizione medica e prosegue con la
somministrazione. È chiaro che in caso di dubbio l’infermiere deve intervenire presso
il medico non potendosi configurare come un mero esecutore delle prescrizioni
mediche. L’intangibilità della prescrizione medica da parte di un professionista
sanitario non medico era stata già stabilita dalla Suprema Corte in un caso di lesioni
personali, laddove venne precisato che “incombe sul fisioterapista, nell’espletamento
della sua attività professionale, un obbligo di accertamento delle condizioni del
paziente traumatizzato prima di compiere manovre riabilitative che possono rivelarsi
dannose, sicché, in mancanza di idonea documentazione medica (eventualmente non
prodotta dal paziente) lo stesso fisioterapista ha il dovere di assumere tutte le
informazioni richieste dal trattamento che si accinge a praticare”75. In questo senso la
Suprema Corte ha ritenuto responsabile di omicidio colposo anche un’infermiera
professionale che non si è attivata a consultare il medico di fronte a dubbi sul
dosaggio,
ritenendo infondata la strategia difensiva basata sul ruolo meramente
esecutivo dell’infermiere (non compete all’infermiera la valutazione del dosaggio
prescritto dal medico).
In considerazione del fatto che “….interpretando la circolare n.’28 del 1986
sull’applicazione delle fleboclisi, nel punto in cui è estesa la responsabilità
dell’infermiere professionale alla preparazione del flacone contenente i farmaci
prescritti dal medico, la Corte di merito ne ha desunto l’obbligo, a carico di tale
figura professionale, di attivarsi nel caso in cui si presentassero, come nel caso in
esame, dubbi sul dosaggio prescritto dal medico, al precipuo scopo di ottenerne una
precisazione per iscritto che valesse a responsabilizzare il medico e a indurlo ad una
eventuale rivisitazione della precedente indicazione….” Sempre nella stessa sentenza,
la Suprema Corte statuisce che “appare corretto ritenere esigibile, da parte
dell’infermiere professionale, che l’attività di preparazione del flacone non sia
75
Cassazione penale sez. IV, 10 aprile 1998, n. 7678 in Riv. It. Med. Legale 1999, 1341.
37
prestata in modo meccanicistico, ma in modo collaborativo con il medico, non già per
sindacare l’efficacia terapeutica del farmaco prescritto, bensì per richiamarne
l’attenzione sui dubbi avanzati a proposito del dosaggio in presenza di variazione del
farmaco, conseguendo proprio dal dovere dell’infermiere professionale, quindi,
l’obbligo di attivarsi in tal senso.”76
Continuando nella disamina, all’art. 2 punto 12 lettera a) si prevedeva che
l’infermiere potesse effettuare il prelievo venoso. Alcune norme avevano limitato
l’autonomia dell’infermiere escludendo la possibilità di effettuare i prelievi necessari
per la trasfusione del sangue umano e per la produzione di plasmaderivati. Tale norma
prevedeva che “II prelievo di sangue intero è eseguito da un medico, o sotto la sua
responsabilità ed in sua presenza, da un infermiere professionale”77. Sempre in
quest’ambito recentemente il legislatore è intervenuto nuovamente con il D.M. 25
gennaio 2001 art. 14 prevedendo che il “campione deve essere raccolto in provetta
sterile entro 72 ore precedenti la trasfusione, contrassegnato in modo da consentire
l’identità del soggetto cui appartiene e firmato dal responsabile del prelievo”78
quest’ultima parte è innovativa rispetto la precedente normativa, eliminando il
riferimento al medico come responsabile del prelievo e titolare del potere/dovere di
firma sulla provetta, del tutto in linea con il percorso trasfusionale sicuro previsto dallo
stesso D.M. L’attribuzione della firma al medico per l’atto del prelievo, che è
compiuto generalmente dal personale infermieristico, contribuiva ad una metodologia
di lavoro deresponsabilizzante, secondo la quale la titolarità dell’atto è disgiunta dalla
relativa responsabilità.
Andando avanti, all’art. 2, punto 12), lettera f) del D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225 era
previsto che su prescrizione medica l’infermiere potesse effettuare
massaggi e
ginnastica medica. In passato si è posto il problema se l’infermiere potesse svolgere
mansioni massofisioterapista: solo per il fatto che tra le attribuzioni assistenziali dirette
ed indirette dell’infermiere, erano indicate i massaggi e la ginnastica medica, si è
76
77
78
Cassazione penale sentenza n. 1878 2000 in Riv. Dir. Prof. Sanitarie 2001 n. 4 p. 41 e segg.
Legge 4 maggio 1990, n. 107 art. 3.
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 78 del 03-04-2001
38
ritenuto che non fosse possibile sulla semplice scorta di un elemento di natura
particellare, accessoria ed integrativa dell’attività infermieristica, fare svolgere
all’infermiere
le
mansioni
di
un
professionista
a
sé
stante,
come
un
massofisioterapista, formato appunto esclusivamente per la massofisioterapia79.
Relativamente al punto r) sempre su indicazioni mediche l’infermiere doveva
provvedere al “prelevamento di secrezioni ed escrezioni a scopo diagnostico;
prelevamento di tamponi”. Non è mai stato chiaro se rientrasse in tale ambito anche
l’effettuazione di prelievi citologici (pap-test), operazione che si risolve in prelievo di
liquidi organici da esaminare in relazione alla specie e dal numero degli elementi
cellulari in essi contenuti. E ciò, in considerazione del fatto che l’attività in questione
era espressamente prevista nel mansionario delle ostetriche dell’art. 10, punto 15, del
D.M. 15 settembre 1975, mentre nulla era previsto in via specifica al riguardo per il
personale infermieristico, ma solo in via generica, la facoltà di “prelevamento di
secrezioni ed escrezioni a scopo diagnostico; prelevamento di tamponi”. In proposito
la Federazione Nazionale di collegi infermieri ha sempre sostenuto la tesi favorevole
all’effettuazione di tale prelievo, sia per assistenti sanitari che per Infermiere
professionale, considerando per un verso che il prelievo citologico è una
specificazione del prelievo di secrezioni e, per l’altro, che la carenza di ostetriche - che
erano anche infermiere professionali - imponeva il ricorso al personale infermieristico
per tali prelievi di preminente interesse preventivo - sanitario.
Il Ministero della Sanità, appositamente richiesto dalla predetta Federazione, sentito
il parere della III sezione del Consiglio Superiore di Sanità nella seduta del 23 aprile
1982, aveva precisato al riguardo che rientrava nella competenza dell’ostetrica il
prelievo citologico vaginale ai fini del pap-test. In carenza del predetto personale
ostetrico gli infermieri professionali e le assistenti sanitarie potevano effettuare il
prelievo sopracitato dopo aver frequentato appositi corsi di perfezionamento ad
indirizzo
oncologico,
autorizzati
dalle
Regioni,
presso
strutture
didattiche
ufficialmente riconosciute. Pertanto secondo questo parere si poteva affermare che gli
79
S. Carrubba - Manuale di legislazione e organizzazione sanitaria nazionale e internazionale - Op. cit. p. 288.
39
infermieri non potevano effettuare il pap-test in presenza di ostetriche, mentre
potevano effettuarlo in assenza di tale personale purché avessero frequentato un corso
apposito. È evidente che il parere aveva come scopo quello di garantire i servizi
piuttosto che di valutare le capacità professionali.
Infine, ha costituito aspetto molto controverso quello relativo alla pratica delle
iniezioni endovenose e terapia infusionale: infatti, il mansionario prevedeva che “è
consentita agli infermieri professionali la pratica delle iniezioni endovenose”. Tale
attività poteva essere svolta dagli infermieri professionali soltanto nell’ambito di
organizzazioni ospedaliere o cliniche universitarie e sotto indicazione specifica del
medico responsabile del reparto. Poiché la norma si riferiva alle iniezioni endovenose
e non alla terapia infusionale dopo numerosi dispute, il Ministero ha ritenuto di fornire
un’interpretazione della norma, secondo cui: “L’applicazione semplice della fleboclisi
- con esclusione della cateterizzazione - può considerarsi equivalente alla iniezione
endovenosa e quindi praticabile dall’infermiere professionale, il quale ha già per altro
la ben maggiore responsabilità della preparazione del flacone contenente i farmaci
prescritti dal medico, alle stesse condizioni della iniezione endovenosa la quale
comporta:
a) la possibilità di esecuzione solo in ambito ospedaliero perché l’iniezione
endovenosa è considerata pratica medica;
b) prescrizione specifica del medico responsabile di reparto in cartella clinica con
indicazione sulla esecuzione;
c) annotazione in cartella clinica da parte del medico responsabile sui farmaci
che comportano rischi per il paziente e che debbono essere somministrati con
la presenza del medico.
L‘infermiere professionale cui è delegata l’esecuzione dell’iniezione endovenosa,
quando ricorrono le predette condizioni, non ha difficoltà a sottrarsi a tale compito.
L‘abilitazione
dell’infermiere
professionale
all’esecuzione
delle
iniezioni
endovenose e all’applicazione delle fleboclisi non può, allo stato attuale della
normativa, essere trasferita anche nella pratica dell’assistenza domiciliare. Infatti la
limitazione all’ambito di organizzazioni ospedaliere voluta dalla normativa vigente
40
non può non essere riferita alle garanzie che solo l’ambiente ospedaliero offre sulla
possibilità di un tempestivo intervento del medico in caso di necessità”.80
Successivamente, a completamento della precedente direttiva, il Ministero della
sanità, con nota n. 900.6/SC.AG.73/1273 del 3 aprile 1989, ha comunicato che il
Consiglio di Stato (parere 3 giugno 1987) aveva ritenuto che l’applicazione semplice
delle fleboclisi, senza cateterizzazione, e l’esecuzione dell’iniezione endovenosa, già
prevista esclusivamente presso strutture ospedaliere e cliniche universitarie, debba
considerarsi estensibile anche alle case di cura private.
1.2.1.4 Mansioni dell’infermiere dietro prescrizione e sotto controllo medico
Le mansioni previste dal D.P.R. 225/74 nei i punti d), g) n), o), p) dell’art. 2
potevano essere poste in essere dall’infermiere secondo la lettera del mansionario solo
“dietro prescrizione e sotto controllo medico”; in modo specifico questi punti erano:
d) vaccinazioni per via orale, per via intramuscolare e percutanea;
g) applicazioni elettriche più semplici, esecuzione di ECG, EEG, e similari
n) cateterismo nell’uomo con cateteri molli;
o) sondaggio gastrico e duodenale a scopo diagnostico;
p) lavanda gastrica.
Per l’infermiere professionale specializzato in anestesia o rianimazione o in terapia
intensiva, ossigenoterapia con maschera e tenda;
Per lungo tempo la dizione sotto controllo medico ha creato notevoli problemi: di
essa ne è stato fatto un utilizzo in termini di lotta sindacale, quando gli infermieri
volevano difendersi da un eccessivo carico di lavoro e quindi si trinceravano
rigidamente dietro questa dizione del mansionario.
80
Circolare n. 28 il Ministero della Sanità 12 aprile 1986 in A. Farneti A. Gentilomo - Elementi di medicina legale - aspetti giuridici della
professione infermieristica op. cit. p. 108.
41
Con il passare degli anni questa dizione è stata interpretata in senso meno restrittivo
prima da parte di alcuni autori nel senso che la dizione sotto controllo medico doveva
intendersi come presenza del medico in reparto81, poi dalla giurisprudenza
amministrativa in modo ancora meno cogente nel senso che “sotto controllo medico”
non significava che tali mansioni dovevano necessariamente essere svolte con la
presenza fisica del medico ma era sufficiente che “il medico desse disposizioni in
ordine alla posologia che alla tempistica richiedendo solo che lo stato di salute venga
controllato nei tempi e nei modi che lo stesso riterrà più opportuni”82.
Tale interpretazione era in ogni caso da ritenersi valida solo per l’ambiente
ospedaliero e non poteva essere estesa ai servizi territoriali.
Tra le altre mansioni che l’infermiere professionale poteva compiere sotto controllo
medico all’art. 2 punto g) trovavamo “le applicazioni elettriche più semplici”. Il
Ministro della Sanità, sentito il parere della Terza Sezione del Consiglio Superiore di
Sanità, aveva avuto modo di chiarire che: per applicazioni elettriche “più semplici”
dovrebbero intendersi le elettroterapie e precisamente la marconiterapia83. Invece
relativamente alle indagini elettroencefalografiche (E.E.G.) per l’accertamento e la
certificazione di morte, una norma specifica ha previsto che “sotto supervisione
medica, l’esecuzione degli esami può essere affidata a tecnici e/o infermieri
professionali adeguatamente formati a svolgere tali mansioni”84. Questa norma
affidava agli infermieri, in assenza di tecnici, l’esecuzione dell’E.E.G. purché essi
fossero adeguatamente formati. A chiarimento del concetto di “adeguatamente
formato” è intervenuto Consiglio Superiore di Sanità in data 17 gennaio 1996, il quale
ha ritenuto che “ai fini dell’accertamento di morte cerebrale, siano da considerare
adeguatamente formati a svolgere attività di registrazione EEG sotto supervisione
medica, in assenza di tecnici di Neurofisiopatologia o di tecnici di EEG, in via
transitoria ed ad esaurimento, gli infermieri che alla data del 15 marzo 1995, abbiano
svolto tale attività per almeno tre anni, in via continuativa a tempo pieno e in strutture
81
S. Carrubba - Manuale di legislazione e organizzazione sanitaria nazionale e internazionale- Op. cit. p. 275.
TAR, Toscana, 3° Sezione, sentenza n° 46/1994. In Benci L. “Aspetti giuridici della professione infermieristica” op. cit. p.
83
S. Carrubba - Manuale di legislazione e organizzazione sanitaria nazionale e internazionale - Op. cit. p. 289.
84
Decreto del ministero della sanità 22 agosto 1994, n. 582, art. 4.
82
42
specifiche, previo parere favorevole del dirigente della struttura”85. Quanto detto era
ristretto solo al caso di accertamento di morte cerebrale mentre nulla impediva che un
infermiere potesse praticare E.E.G. o E.C.G. ad un malato purché sotto controllo
medico.
1.2.1.5 Interventi d’urgenza dell’infermiere
L’art. 2 del D.P.R. 225/74 elencava alcuni compiti che l’infermiere poteva porre in
essere, in caso d’urgenza86, in autonomia ma che dovevano essere seguiti da
“immediata richiesta di intervento medico”.
Naturalmente esula da questa trattazione lo stato di necessità ex art. 54 c.p. 87 che
scrimina il comportamento di chi “ha commesso il fatto per esservi stato costretto
dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla
persona…” situazione nella quale la cogente situazione costringe l’infermiere a porre
in essere determinate manovre anche al di fuori di quelle previste dal mansionario
purché tecnicamente preparato a ciò e perché a fronte dello stato di necessità non regge
altro argomento88. A conferma di tale tesi il legislatore in quest’ambito è intervenuto
per limitare i diritti di obiezione dello stesso operatore infatti l’art. 9 della legge 194
prevede che “l’obiezione di coscienza non può essere invocata dall’operatore
sanitario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle
circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della
donna in imminente pericolo”.
Lo stesso mansionario specificava che ogni soccorso d’urgenza doveva essere
seguito dalla chiamata del medico: è chiaro pertanto che se il legislatore aveva
previsto che la chiamata dovesse seguire l’intervento dell’infermiere non faceva altro
85
A. Mastrillo - Riv Diritto Professioni Sanitarie, 2/2002; p. 133.
“L’urgenza è il configurarsi di una condizione di particolare gravità, di uno stato di necessità, è la condizione che consente, in base anche a
determinate circostanze di tempo e di luogo, la maggior possibilità di azione, di autonomia dell’infermiere professionale.” In A. Farneti A.
Gentilomo - Elementi di medicina legale - aspetti giuridici della professione infermieristica.
87
art. 54 c. p. Stato di necessità. Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia
proporzionato al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione
della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto
commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo.
86
43
che indicare l’ordine temporale delle diverse azioni prevedendo così che l’infermiere
intervenisse immediatamente e poi chiamasse il medico.
Ciò nonostante, come abbiamo accennato nell’ambito dell’area critica, già a partire
dai primi anni ‘90, con il D.P.R. 27 marzo del 1992 denominato “Atto di indirizzo e
coordinamento alle Regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di
emergenza” e con le linee guida n. 1/1996 emanate dal Ministero della Sanità89, è stato
avviato un processo di innovazione del tradizionale ambito di azione dell’infermiere
rispetto alla classica logica mansionariale, processo che si sta oggi completando
attraverso le innovazioni apportate dalla legislazione sanitaria.
Infatti l’art. 4 del D.P.R. 27 marzo 1992 prevede che “la responsabilità medicoorganizzativa della centrale operativa90 è attribuita nominativamente, anche a
rotazione con specificazione nominativa, ad un medico ospedaliero con qualifica non
inferiore ad aiuto”.
La responsabilità operativa è invece “affidata al personale infermieristico
professionale della centrale, nell’ambito dei protocolli decisi dal medico responsabile
della centrale operativa”. Le disposizioni in parola hanno suscitato le critiche di certa
dottrina giuridica e medico-legale che ha avuto modo di notare che questo meccanismo
di accettazione della chiamata ha demandato la gestione dell’emergenza all’infermiere
professionale il quale, nonostante agisca sulla base di codici prestabiliti, assume di
fatto un potere discrezionale molto ampio che dovrebbe essere proprio di altra figura
sanitaria quale quella del medico, posto che l’emergenza è un momento centrale e
critico91. Queste critiche non sono state condivise dalla giurisprudenza amministrativa
in quanto avrebbero prefigurato una centrale operativa composta di soli medici,
L. Scalambra - L. Nanetti “La responsabilità operativa dell’infermiere professionale” Dif. Soc. 3:47, 1986.
“Atto di intesa tra Stato e regioni di approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del decreto del
Presidente della Repubblica 27 marzo 1992 MINISTERO DELLA SANITÀ.
Gazzetta Ufficiale N. 114 Serie Generale del 17 maggio1996
90
La Centrale Operativa 118, è una struttura deputata ad accogliere tutte le richieste di soccorso attraverso una rete telefonica facente capo ad
un numero gratuito, il “118” garantendo il coordinamento di tutti gli interventi nell’ambito territoriale di riferimento” (Art.2, primo comma,
del D.P.R. de 27 marzo del 1992), con connessioni interprovinciali e interregionali, garantendo un vero e proprio “centro direzionale”
deputato al governo del Sistema del soccorso in Emergenza.
Vengono individuate varie fasi. La fase dell’allarme, principalmente svolta dalla Centrale Operativa, che metterà in atto determinate
procedure stabiliti da protocolli per individuare l’apparente gravita della situazione in modo da ottenere la fase del soccorso
extraospedaliero. Questa a sua volta, rappresenta la vera espressione dell’emergenza sanitaria extraospedaliera, con la quale si ha un primo
approccio assistenziale sul paziente infortunato. Dopo di che, la Centrale Operativa si interesserà ad allertare l’ospedale in cui verrà
trasportato il paziente, attuando così la fase della risposta ospedaliera. Questa, consisterà nell’accettazione del paziente in un ambiente dove
possa essere eseguito un ulteriore approfondimento del quadro clinico del soggetto, attraverso l’impiego di attrezzature diagnostiche.
91
TAR del Lazio, sez. , I bis, n. 250 del 15 febbraio 1993.
88
89
44
situazione probabilmente unica al mondo. Sul punto ha avuto modo di intervenire il
Consiglio di Stato, ribadendo la legittimità di tali compiti al personale infermieristico e
rilevando che esso è “tenuto comunque a seguire protocolli di comportamento e a
ricondursi all’esperienza del medico di appoggio, che è l’effettivo responsabile della
centrale”92.
Pertanto, con il D.P.R. 27 marzo 1992 è rafforzata l’autonomia professionale degli
infermieri, i quali dovranno svolgere funzioni di ricezione, di registrazione e di
selezione delle chiamate, di determinazione dell’apparente criticità dell’evento
segnalato, di codificazione delle chiamate e delle risposte secondo il sistema delle
codifiche definito dal decreto del Ministro della sanità del 15 maggio 199293.
Inoltre devono consultare il medico assegnato alla centrale per assumere le decisioni
negli interventi più complessi, mantenendo i collegamenti con il personale che si trova
sui mezzi di soccorso.
Questo documento prevede, quindi, una serie di compiti per l’infermiere di centrale,
sempre nell’ambito dei protocolli predisposti dal medico responsabile della centrale,
compiti di cui quelli critici sono evidentemente due: la selezione delle chiamate, cioè
la possibilità di scegliere quale delle chiamate è più urgente, e la determinazione
dell’apparente criticità dell’evento segnalato94.
Relativamente al timore che l’attività infermieristica abusivamente superi i limiti
che le sono propri, invadendo l’area medico chirurgica, posto che a quest’ultima
compete pur sempre di eseguire la diagnosi e di prescrivere il trattamento (atto medico
propriamente detto), bisogna dire che all’infermiere è sostanzialmente richiesto un
parere sul grado di urgenza con cui approntare l’intervento medico e non una vera e
propria diagnosi, o più specificamente, una diagnosi differenziale.
Pertanto, è da ritenere ammissibile la funzione assegnata all’infermiere, in quanto
non precisamente connotata dei requisiti diagnostici che caratterizzano, invece, la
tipicità dell’atto medico. Ne deriva che è a carico dell’infermiere la caratterizzazione
in termini di gravità della sintomatologia, affinché l’intervento medico ineludibile e
92
Consiglio di Stato, 17 luglio 1996, sentenza n. 868, in Consiglio di Stato, parte I,1996, p. 1113. 16 in riferimento alla sentenze del TAR
del Lazio, sez., I bis, n. 250 del 15 febbraio 1993. Vedi nota precedente.
93
Gazzetta Ufficiale N. 121 Serie Generale del 25 maggio1992.
45
certo, sia eseguito in condizioni di differenti rapidità. Il che, giova sottolinearlo, non
deve suonare come un intento di deresponsabilizzare 1’attività infermieristica, posto
che, ove si dimostri che il giudizio di gravità sia stato erroneamente reso per difetto di
interpretazione dell’elemento sintomatologico obiettivo e soggettivo, procrastinandosi
l’intervento medico in tempi e modi casualmente rilevanti nel determinismo del danno,
l’infermiere di triage95 è chiamato a risponderne, in termini di responsabilità penale e
civile.96
Lo stesso D.P.R.., all’art.10, con un accento innovativo ha previsto che: “il
personale infermieristico, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere
autorizzato a praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi, nonché a svolgere
altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste nei protocolli
decisi dal medico responsabile del servizio”, superando così il vincolo del D.P.R.
225/74, il quale limitava tale attività nell’ambito di organizzazioni ospedaliere,
cliniche universitarie, case di cure private e sotto indicazione specifica del medico
responsabile del reparto
Inoltre, sempre all’art.10, veniva affermato che l’infermiere ha l’obbligo di svolgere
“le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali previste nei
protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”: con ciò l’infermiere è
legittimato a svolgere tutte quelle manovre come ad es. la defibrillazione con
defibrillatori semiautomatici97, l’intubazione d’urgenza o il posizionamento del casco
pressurizzato98 (scafandro) non contemplate nel mansionario, purché avessero come
scopo quello di salvaguardare le funzioni vitali e fossero previsti dai protocolli
diagnostico terapeutici. Per ciò che riguarda i soggetti a cui doveva-poteva essere data
tale autorizzazione riferendosi la norma al “personale infermieristico che operava nel
A. Tagliabracci - Atti del I Convegno Nazionale Siena 10-11 aprile 1997 “Il medico e l’infermiere a giudizio” p. 80.
Per triage (dal francese trier, scegliere) s’intende una metodica che serve a classificare le persone infortunate o affette da malattia, in
relazione al problema principale evidenziato, per predisporre, nel modo più veloce possibile, rispetto alla gravità delle condizioni cliniche, la
terapia, il trasporto e il ricovero nell’ambiente adeguato al caso. - M. Costa - Triage - Edizioni McGraw-Hill, del 1997, p.2.
96
G.A. Norelli – B. Magliona Aspetti medico legali del triage infermieristico in pronto soccorso in Riv. Dir. Prof. Sanitarie, 1999; 2 (4) p.
295-296.
97
Questa attività è stata recentemente confermata dalla L. 3 aprile 2001, n.120 (GU n. 88 del 14-4-2001) Utilizzo dei Defibrillatori
Semiautomatici in Ambiente Extraospedaliero Art. 1. 1) È consentito l’uso del defibrillatore semiautomatico in sede extraospedaliera anche
al personale sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di
rianimazione cardiopolmonare(. …)
98
S. Sironi e altri - La CPAP nell’Edema Polmonare Acuto - Esperienza di utilizzo sul territorio con Mezzo di Soccorso di base con
Infermiere Professionale in Minerva Anestesiologica Volume 68 n° 5 maggio 2002 p. da 470 a 474.
94
95
46
servizio di emergenza”, è evidente che tale autorizzazione era da considerarsi estensiva
a tutto il personale infermieristico e non aveva carattere certamente individuale, ossia
ad personam.
È chiaro come in tal modo il legislatore ha inteso ampliare le mansioni
dell’infermiere in quanto quelle previste dal D.P.R. n°225 del 197499 non
soddisfacevano l’esigenza di operatività del personale in un servizio di emergenza;
tutelando così il bene salute e la flessibilità dei servizi d’emergenza, nello stesso tempo
si è reso necessario che il personale che opera nel servizio d’emergenza fosse
adeguatamente formato; in questo senso lo stesso D.P.R. 27/03/92 prevede all’art. 4
punto 2 che “La centrale operativa è attiva per 24 ore al giorno e si avvale di
personale infermieristico adeguatamente addestrato”, vale a dire
infermieri
professionali con esperienza nell’area critica, o che abbiano seguito corsi di
formazione nel settore dell’emergenza100. Questo personale come abbiamo detto opera
secondo i protocolli prestabiliti dal dirigente medico demandando a fonti più flessibili
e al passo con gli sviluppi scientifici, come i protocolli diagnostico terapeutici,
l’operatività degli infermieri.
In ogni caso al di là di quanto detto poc’anzi, è evidente che si porranno seri
problemi interpretativi dell’art. 10, non essendo chiaro il limite preciso entro il quale il
medico delegherebbe (il condizionale é d’obbligo) all’infermiere professionale una
serie di atti e di manovre, tradizionalmente di competenza medica, dietro il solo
prerequisito dell’esistenza di protocolli diagnostici e terapeutici. Un eccesso di delega
integrerebbe per gli infermieri il reato di esercizio abusivo di professione (medica in
questo caso) ex art. 348 c.p.101.
In questo senso, si rende particolarmente urgente la necessità di una definizione in
positivo dell’atto medico, onde evitare che sia la giurisprudenza a colmare questo
vuoto legislativo.
99
D.P.R. 22 marzo 1974, n. 225 - respirazione artificiale; massaggio cardiaco esterno; manovre emostatiche; ossigenoterapia.
In tal senso vedi ultimo Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sul documento
recante: «Linee guida su formazione, aggiornamento e addestramento permanente del personale operante nel sistema di emergenza/urgenza».
DELIBERAZIONE 22 maggio 2003- Gazzetta Ufficiale N. 196 del 25 Agosto 2003
101
“integra questo reato anche un singolo atto appartenente alla professione tutelata purché sia rilevante per le conseguenze che ne derivano”
- Cassazione penale, sez. VI, 11 dicembre 1970, in Cass. pen. 1981, 999 (s.m.). v. anche E. Bonessi in Digesto delle discipline penalistiche
voce - Professione (esercizio abusivo di) vol. X, p. 257.
100
47
1.2.1.6 Mansioni dell’infermiere in ambito domiciliare
Per
quanto
riguarda
l’esercizio
professionale
nell’ambito
dell’assistenza
domiciliare, va segnalato che i limiti all’attività per anni sono stati notevoli creando
non pochi problemi di carattere medico legale nonché etico e professionale. Ciò era
dovuto al fatto che il legislatore nazionale con il D.P.R. 225/74 aveva inteso regolare
le mansioni degli infermieri in ambito ospedaliero, in un periodo in cui i Servizi di
assistenza domiciliare non esistevano o erano in una fase embrionale, pertanto questo
D.P.R. mal si conciliava con l’attività domiciliare, totalmente ignorata dal
mansionario. Se l’applicazione del mansionario, nel corso degli anni ha sollevato
dubbi nell’ambiente ospedaliero, ancor più li ha manifestati in ambito territoriale, in
particolare per l’espletamento di quelle prestazioni che richiedevano il diretto controllo
del medico. Pertanto nell’ambito territoriale agli infermieri erano consentite tutte
quelle attività che potevano compiere in completa autonomia o dietro prescrizione
medica mentre erano precluse tutte quelle mansioni che dovevano essere effettuate
“sotto controllo medico”, poiché in ambito territoriale tale dizione è sempre stata
interpretata in senso restrittivo, ritenendo che la dizione sotto controllo medico doveva
essere intesa nel senso della presenza fisica del medico.
Le mansioni che dovevano essere effettuate “sotto controllo medico” previste dal
D.P.R. 225/74 riguardavano i punti d), g) n), o), p) dell’art. 2 più precisamente:
d) vaccinazioni per via orale, per via intramuscolare e percutanea;
g) applicazioni elettriche più semplici, esecuzione di ECG, EEG, e similari
n) cateterismo nell’uomo con cateteri molli;
o) sondaggio gastrico e duodenale a scopo diagnostico;
p) lavanda gastrica.
Una preclusione totale invece riguardava, la possibilità di eseguire iniezioni
endovenose o di applicare fleboclisi, poiché si riteneva che la limitazione di tale
attività all’ambito di organizzazioni ospedaliere, non poteva non essere riferita alle
48
garanzie che solo l’ambiente ospedaliero offriva sulla possibilità di un tempestivo
intervento del medico in caso di necessità102.
Vista la rigidità del D.P.R. 225/74 il legislatore è dovuto intervenire
successivamente all’emanazione del mansionario, con atti normativi che hanno
integrato le mansioni degli infermieri professionali nel settore domiciliare, di cui oggi
ne residuano solo alcune: a ciò si sono aggiunte alcune circolari, dirette ad interpretare
le norme mansionariali.
Uno dei primi atti normativi intervenuto sulle mansioni dell’infermiere in ambito
territoriale è il D.M. 19 dicembre 1990, n. 445 Regolamento concernente la
determinazione dei limiti e delle modalità di impiego dei farmaci sostitutivi nei
programmi di trattamento degli stati di tossicodipendenza, tuttora in vigore, che ha
come oggetto i trattamenti sostitutivi delle tossicodipendenze. A differenza di quanto
si possa pensare, questo D.M. non ha ampliato la sfera di azione degli infermieri
professionali, bensì ne “restringe” il campo di azione, creando inoltre non pochi
problemi di carattere interpretativo.
Infatti, l’art.6 del D.M. sopracitato stabilisce che “l’assunzione di farmaci sostitutivi
ha luogo, alla presenza del medico o di personale sanitario formalmente di volta in
volta dallo stesso delegato, nella sede del servizio”.
È chiara la ratio della norma: contemperare il controllo accurato della disciplina
degli stupefacenti, con la necessità, parimenti riconosciuta dallo stesso legislatore in
maniera chiara, legate all’utilizzazione terapeutica delle medesime sostanze. È
evidente che nei servizi di tossicodipendenze è prevalsa l’esigenza del controllo
penale su quella dell’utilità terapeutica della sostanza e questo intento è presente
ancora oggi in norme specifiche sull’utilizzo degli oppiacei103. Abbiamo visto che la
norma
dispone
che
l’assunzione
necessariamente avvenire
del
alla presenza
metadone
cloridrato
del medico,
cioè
sciroppo
deve
con il medico
102
12 aprile 1986 con la circolare n. 28 il Ministero della Sanità.
Legge 8 febbraio 2001 n. 12 dal titolo “Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore” prevede
che “Gli infermieri professionali che effettuano servizi di assistenza domiciliare nell’ambito dei distretti sanitari di base o nei servizi
territoriali delle aziende sanitarie locali e i familiari dei pazienti, opportunamente identificati dal medico o dal farmacista, sono autorizzati a
trasportare le quantità terapeutiche dei farmaci di cui all’allegato III-bis, accompagnate dalla certificazione medica che ne prescrive la
posologia e l’utilizzazione a domicilio di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa, ad esclusione del
trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza da oppiacei”.
103
49
necessariamente presente all’interno della stanza di somministrazione; oppure
l’assunzione può avvenire alla presenza di personale sanitario formalmente di volta in
volta dallo stesso delegato, nella sede del servizio. Quindi, in assenza del medico, gli
infermieri professionali possono somministrare il metadone solo su delega del medico
stesso. Se ne ricava che la delega deve essere formale e specifica, rilasciata volta per
volta, ed a favore dell’operatore sanitario esattamente individuato, quindi non vi può
essere una delega generalizzata a tutto il personale e non definita in termini temporali.
È utile precisare che la delega formale deve rivestire una certa forma che, in questo
caso, non può che essere scritta; inoltre è opportuno precisare che affinché la delega
porti ad una eventuale esenzione di responsabilità del titolare originario, ed ad una
assunzione di responsabilità da parte del nuovo soggetto di fatto preposto
all’adempimento, vi debbono essere necessariamente determinati presupposti104.
Lo stesso articolo al secondo comma prevede che: “Nei casi di comprovata
impossibilità da parte del soggetto in trattamento, la somministrazione può essere
domiciliare. Il personale sanitario addetto al trattamento deve accertare
personalmente, sotto la propria responsabilità, l’assunzione del farmaco sostitutivo da
parte del soggetto”. Dalla lettura di tale comma potrebbe non apparire chiaro che cosa
intenda il legislatore quando si riferisce al “personale sanitario”: si riferisce al
personale medico o a tutto il personale sanitario? Dal combinato disposto del primo e
secondo comma l’interpretazione da dare non può essere che con la dizione
“personale sanitario” intenda indicare il personale non medico, visto che al primo
comma distingue tra personale medico e personale sanitario, e nel caso del SERT non
può che essere, vista la dotazione organica per questi servizi, solo personale
infermieristico.
Chiarita la difficoltà terminologica, non è assolutamente chiaro come mai il
legislatore richieda una delega formale per la somministrazione della terapia
all’interno del servizio, mentre non fa alcun cenno ad alcuna delega per la
somministrazione della stessa terapia a livello domiciliare e specifica che il personale
G. Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale” Op. cit. p. 143 e segg. - Cassazione penale sez. IV, 5 maggio 2000, n. 7418 in
Riv. pen. 2000,1162 - Cassazione penale sez. IV, 22 giugno 2000, n. 9343 in Ced Cassazione 2000 - Cassazione penale, sez. IV, 1 febbraio
1982, in Cass. pen. 1983, 1781.
104
50
deve accertare “personalmente, sotto la propria responsabilità, l’assunzione del
farmaco sostitutivo da parte del soggetto”.
Vista l’intenzione del legislatore di privilegiare il controllo penale sull’utilità
terapeutica, una possibile interpretazione è che a domicilio la somministrazione debba
avvenire alle stesse condizioni dell’assunzione presso la sede del SERT e, quindi, nel
caso in cui vi provvedano gli infermieri, vi deve essere la delega formale con le
caratteristiche sopra descritte105.
Diversa è la situazione per la somministrazione di oppiacei a domicilio da parte
degli infermieri per soggetti diversi dai tossicodipendenti (es. malati tumorali) dove
non vi sono particolari problemi106.
Pochi mesi dopo l’emanazione del D.M. sopracitato, il legislatore è intervenuto
nuovamente, questa volta ampliando le competenze infermieristiche a livello
domiciliare solo in un determinato settore, infatti con la legge 05 giugno 1990 n. 135
“Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS” all’art. 1
punto 2 specificava che “…Il trattamento a domicilio ha luogo mediante l’impiego,
per il tempo necessario, del personale infermieristico del reparto ospedaliero da cui è
disposta la dimissione che opererà a domicilio secondo le stesse norme previste per
l’ambiente ospedaliero con la consulenza dei medici del reparto stesso…”.
Questo significava che solo gli infermieri professionali che operavano nei reparti da
cui è disposta la dimissione, e solo in quei reparti, potevano, in deroga a quanto
previsto dal mansionario, eseguire ad esempio terapie endovenose e somministrazione
di fleboclisi.
Volutamente si è utilizzato il termine “solo”, in quanto la possibilità di superare i
limiti imposti dal D.P.R. 255/74, prodotto dalla L. 135/94, non poteva essere utilizzato
per analogia per altri pazienti, o ad altri protocolli terapeutici al di fuori delle
situazioni e delle condizioni previste dalla legge stessa.
Con questa norma la sfera di competenza professionale veniva definita non più dalla
competenza del professionista nell’effettuare una manovra o meno ma dalla patologia
105
106
Benci L. “Aspetti giuridici della professione infermieristica” op. cit. p. 94.
Legge 8 febbraio 2001 n. 12 dal titolo “Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore”.
51
del malato e dal luogo di dimissione dello stesso, creando non pochi problemi di
carattere etico professionale, infatti gli infermieri che operavano a livello domiciliare
sono stati costretti sino all’entrata in vigore della legge 42/99 ad erogare determinate
prestazioni ai malati affetti da AIDS (es. fleboclisi) e negarle ad altri malati affetti da
patologie diverse quali ad esempio malati di tumore, se non violando la normativa in
vigore.
Per fare fronte ad una richiesta sempre più pressante di assistenza domiciliare,
alcune regioni hanno emanato atti normativi che prevedevano un superamento dei
vincoli previsti dal D.P.R. 225/74 in ambito territoriale in netto contrasto con la
normativa nazionale. Un esempio per tutti è quello dell’Emilia Romagna che con la
delibera n. 2358 dell’1/03/1995, nell’ambito di un programma di assistenza
domiciliare a pazienti oncologici aveva costituito il N.O.D.O. (Nucleo Operativo
Domiciliare Oncologico), che veniva definito come “il nucleo base di operatori che
interviene a domicilio”. Nella delibera citata la Regione Emilia Romagna affermava
che “la presenza di una organizzazione ben strutturata, assimilabile a quella
ospedaliera, consente in pratica di superare taluni vincoli del mansionario, affidando
maggiori competenze all’infermiere del N.O.D.O. che opera a domicilio”. Pertanto
delinea una sorta di “mansionario” degli infermieri del N.O.D.O., dal quale spiccavano
alcuni punti che sono chiaramente illegittimi, quali “l’applicazione di fleboclisi e
somministrazione di farmaci per via endovenosa” e le “terapie somministrate
attraverso cateteri in situ”.
L’illegittimità di tali atti normativi nasce dal fatto che l’abilitazione professionale è
per definizione statale: le Regioni non possono intervenire sul sistema di abilitazione,
che resta riservato allo Stato. In tal senso la Corte Costituzionale ha ritenuto
“incostituzionali gli art. 1, 2, 3 di una legge approvata dall’Assemblea regionale
siciliana il 24 marzo 1996, nella parte in cui disciplinano un’attività di formazione
diretta al conseguimento di titoli abilitanti o attestati inerenti una figura professionale
(tecnico di dialisi), in atto non prevista dalla legislazione statale107.
107
Corte Costituzionale, 03 aprile 1997 n. 82 in Giur. it. 1997, I, 547.
52
Non si trattava
di opportunità o meno di attribuire singole mansioni, di atti
autorizzativi che tenevano conto della preparazione acquisita, in quanto il carattere di
tassatività della norma penale vieta questo tipo di operazione. Tale impostazione è
stata confermata anche da una recente pronuncia del Consiglio di Stato a seguito della
modifica del titolo V della Costituzione infatti: si è affermato che rientra nelle
competenze dello Stato individuare le varie professioni, “i loro contenuti (rilevanti
anche per definire la fattispecie dell’esercizio abusivo della professione), i titoli
richiesti per l’accesso all’attività professionale (significativi anche sotto il profilo
della tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie)”. Nel quadro dei
presupposti unitari, le Regioni possono - afferma il Consiglio di Stato - “dare vita a
discipline diversificate”. Sempre il Consiglio di Stato afferma che “le disposizioni
attributive della potestà regolamentare al ministero della Salute debbono ritenersi
venute meno a seguito dell’emanazione del nuovo Titolo V della Costituzione che,
iscrivendo la materia delle professioni e della salute tra quelle di legislazione
concorrente, esclude che lo Stato possa disciplinare le materie predette nella loro
intera estensione e per giunta a livello regolamentare”. Il potere statale di intervento,
in relazione alle professioni sanitarie, va pertanto esercitato non più con regolamento,
ma in via legislativa, con principi fondamentali, essendo tale il livello prescritto
dall’articolo 117 della Costituzione108. Né possono ritenersi consentiti, fino
all’emanazione dei principi fondamentali, interventi della normazione regionale
fondati sull’esistenza di una professione che non è ancora stata istituita dalla
legislazione statale”109.
La dottrina ha, da sempre, negato che si potessero travalicare le competenze
professionali specie per le professioni protette precisando che il carattere di abusività è
determinato dalla mancanza del titolo e dell’abilitazione e che pertanto devono
considerarsi irrilevanti la perizia, la capacità e l’abilità del soggetto 110. L’atto
autorizzativo non può venire neanche dal direttore sanitario, dal primario o comunque
Zagari A. Le professioni sanitarie alla luce della modifica del titolo V della costituzione- In Rivista di Diritto delle Professioni Sanitarie –
N. 1/2004 LAURI Edizioni
109
Consiglio di Stato Adunanza Generale dell’11 aprile 2002 Gab. n. 1/2002 N. della Sezione: 67/02 concernente l’individuazione della
figura professionale e relativo profilo professionale del l’odontotecnico in Il Sole 24 Ore di sabato 20 aprile 2002.
110
F. Bricola, V. Zagrebelscky “Diritto penale - parte speciale” seconda edizione UTET p. 386
108
53
da un medico, sostiene sempre la Suprema Corte, in quanto “risponde a titolo di
concorso nel delitto di esercizio abusivo di professione, il professionista abilitato il
quale consenta o agevoli lo svolgimento di attività professionale da parte di persona
non autorizzata111 .
1.2.1.7 L’abrogazione del DPR 225/74 (mansionario)
Il D.P.R. n° 225 / 74 si era mostrato inadeguato a regolamentare l’attività di una
professione in continuo divenire, di pari passo con le scoperte diagnostico terapeutiche e le necessità assistenziali, per soddisfare le quali gli infermieri sono
chiamati ad erogare prestazioni sempre più complesse e sofisticate112.
Col passare degli anni la richiesta fatta da più parti di una revisione o abrogazione
del “mansionario” si era fatta sempre più pressante113, soprattutto come abbiamo visto
in due i settori molto diversi tra loro, entrambi però in espansione nell’ultimo
decennio: l’ara critica e l’assistenza domiciliare. In entrambi i settori i bisogni di
assistenza sanitaria hanno imposto spesso, agli infermieri ivi operanti, lo sfondamento
delle mansioni consentite dal D.P.R. 225/1974.
La abolizione del D.P.R. 225/74 è stata auspicata da diversi settori.
Il Consiglio Superiore di Sanità, organo consultivo del Ministero della Sanità,
chiamato più volte a esprimere pareri su prestazioni assistenziali erogate “in via
consuetudinaria” dal personale infermieristico, ma non contemplate nel D.P.R. 225/74,
ha precisato che era opportuno che “quanto prima il Dipartimento II procedesse ad
111
Pretura di Torino 19 ottobre 1985 in Riv. It. Med. Legale 1986, p. 905.
Negri M. Mansionario:abrogato in Io infermiere Notiziario a cura del collegio IPASVI Milano-Lodi n. 1/1999 pag. 7
113
Anche dopo l’abrogazione del mansionario avvenuta con la L. 42/99 in alcune leggi si auspica tale abrogazione vedi D.P.R. 8 marzo 2000
Progetto obiettivo “AIDS 1998-2000”. Punto 4 (...Fermo restando le caratteristiche dell’ospedalizzazione a domicilio, secondo quanto
previsto dal precedente “Progetto Obiettivo AIDS 1994 - 1996”, bisognerà realizzare l’assistenza a domicilio nella forma dell’assistenza
domiciliare integrata. Tale attività assistenziale potrà essere assicurata organizzando e coordinando le attività in termini dipartimentali, con
l’impiego del personale dei presidi ospedalieri (segnatamente delle unità operative di malattie infettive) e dei servizi delle aziende sanitarie,
ivi compresi gli operatori del servizio di guardia medica e di emergenza territoriale nonché con il concorso, per quanto di competenza, dei
medici di medicina generale. In quest’ottica la ridefinizione del contenuto del mansionario infermieristico, ed in particolare la rimozione
delle norme che impediscono agli infermieri di poter svolgere anche a domicilio le attività che ordinariamente svolgono in ambito
ospedaliero, assume particolare significato…..).
112
54
una revisione generale di tutto il mansionario ormai superato e non più rispondente ai
criteri di una moderna tecnica assistenziale, fissando regole di ordine generale valide
per tutte le figure che svolgono prestazioni allo stesso livello”114.
Una ulteriore riprova dell’inadeguatezza del “Mansionario” a regolare l’esercizio
professionale era data dal fatto che il legislatore è dovuto intervenire numerose volte,
non sempre in modo coordinato e con una serie di azioni, in atti normativi di vario tipo
(possiamo contare almeno sei atti normativi principali)115.
Come abbiamo visto anche fonti terziarie (circolari), erano intervenute
nell’interpretazione delle norme mansionariali, a volte non proprio in linea con i
principi del diritto. In tale senso si cita il parere espresso dal Consiglio Superiore di
Sanità in data 17 dicembre 1986, il quale per far fronte a una controversia che
riguardava le attribuzioni infermieristiche nei centri di emodialisi, ha avuto modo di
precisare che: “lo svolgimento è subordinato a due condizioni: che l’infermiere abbia
maturato una specifica esperienza di servizio e che lo stesso sia ritenuto idoneo dal
medico responsabile del servizio”116.
L’illegittimità di tale modo di procedere nasce dal fatto che l’abilitazione
professionale come abbiamo detto è per definizione statale117. Pertanto l’atto
autorizzativo non può venire neanche dal direttore sanitario, dal primario o comunque
114
Si riporta il parere del Consiglio Superiore della Sanità del 14 febbraio 1996:
Premesso che il Dipartimento II nella sua relazione fa presente che continuano a pervenire richieste di chiarimenti concernenti l’espletamento
dei seguenti compiti in ambiente ospedaliero ed extra ospedaliero, da parte dell’infermiere professionale, non contemplati tra le mansioni di
cui al D.P.R. 14 Marzo 1974, n° 225:
applicazione dell’emotrasfusione e dell’agocannula
broncospirazione
prelievo di sangue per la determinazione del gruppo e l’effettuazione di prove di compatibilità
applicazione di tecniche dialitiche: preparazione e disinfezione degli apparecchi per la dialisi;
rilevato che questo consesso nella seduta del 17/12/1986 ha espresso parere che l’infermiere professionale che abbia maturato sufficiente
esperienza di servizio nei centri di nefrologia e dialisi o che abbia conseguito titolo di specifica qualificazione attraverso corsi appositamente
istituiti, possa essere autorizzato a svolgere – su indicazione del medico responsabile – i compiti inerenti alle applicazioni delle tecniche di
dialisi nel trattamento dell’insufficienza renale.
Considerato che le esigenze assistenziali tendono a coinvolgere sempre più l’infermiere professionale nei settori delle terapie intensive in
prestazioni molto complesse, sia nell’assistenza domiciliare che ha uno sviluppo continuamente crescente.
Ritiene che le prestazioni indicate dal Dipartimento nella sua relazione e altre analoghe, quali ad esempio la somministrazione di farmaci
antiblastici, debbano essere eseguite da infermieri professionali ritenuti idonei dal medico responsabile.
Auspica che quanto prima il Dipartimento II proceda a una revisione generale di tutto il mansionario ormai superato e non più rispondente ai
criteri di una moderna tecnica assistenziale, fissando regole di ordine generale valide per tutte le figure che svolgono prestazioni allo stesso
livello.
115
Si tratta dei seguenti atti normativi:
“Legge 4 maggio 1990. n. 107. art. 3”; “Legge 5 giugno 1990. n. 135. art. I”;
“D.M. 19 dicembre 1990. n. 445”; “D.P.R. 27 marzo 1992. alt t. 4 e 10”;
“Decreto del ministero della sanità 22 agosto 1994 n. 582 art. 4”;
“Linee guida n. 1/1996 in applicazione del D.P.R. 27 marzo 1992 sul sistema di emergenza e urgenza (in G.U. 17 maggio 1996, n. 114)”.
116
Circolare Ministero della Sanità 14 maggio 1996.
117
Corte Costituzionale, 03 aprile 1997 n. 82 in Giur. it. 1997, I, 547.
55
da un medico, “diversamente egli concorrerà con il suo comportamento nel reato di
esercizio abusivo di professione ex art. 348 c.p. commesso dalla persona delegata”118.
Inoltre per l’infermiere non assume rilievo, quale causa di esclusione della
responsabilità, l’ignoranza delle previsioni legislative che disciplinano l’esercizio delle
professioni sanitarie, implicitamente richiamate dall’art. 348 c.p. 119.
È evidente che per un certo periodo il sistema mansionariale abbia avuto comunque
dei pregi quali quello di definire con chiarezza e univocità le attribuzioni di mansioni
per gli infermieri nonché di definire gli ambiti di competenza delle diverse figure
professionali non mediche, è altrettanto vero che aveva notevoli difetti quali:
 elencazione spesso non esaustiva;
 vetustà nel breve periodo visto che qualunque legge in campo sanitario
definisca in modo dettagliato un elenco di attività rischia di essere superata
dalla stessa pratica che prevede costanti adeguamenti;
 rigidità eccessiva con possibile contrasto tra la norma giuridica di abilitazione e
la visione etico deontologica;
 insofferenza crescente verso questo tipo di sistema da parte della professione.
In virtù della riconosciuta impossibilità a proseguire con il vigente sistema di
abilitazione professionale, che portava necessariamente ad un irrigidimento del sistema
e che costringeva il legislatore e gli organi statali ad interventi continui, al fine di
garantire l’assistenza nei servizi sanitari e per evitare che i diversi professionisti
operassero al di fuori delle regole giuridiche. Il legislatore è intervenuto con la legge
42/99, abrogando gli art. del D.P.R. 225/74 che interessavano gli infermieri e
demandando la regolamentazione dell’esercizio professionale a fonti secondarie più
flessibili e al passo con i tempi quali il profilo professionale, codice deontologico 120 e
agli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione
post-base, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre
professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del
diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali.
118
119
TAR Veneto sentenza n. 3549 del 28 maggio 2003- TAR sezione autonoma di Bolzano sentenza n. 244 del 29 maggio 2006
Pretura di Torino 19 ottobre 1985 in Riv. It. Med. Legale 1986, p. 905.
56
1.2.2 Il Nuovo profilo professionale dell’infermiere D.M. 739/94
Con il D. M. 14 settembre 1994, n. 739 emanato a distanza di dieci anni dall’ultimo
regolamento che individuava le funzioni dell’infermiere è delineato il nuovo profilo
professionale dell’infermiere.
Il primo profilo professionale dell’infermiere era stato emanato con il D.P.R. 7
settembre 1984, n. 821 - Attribuzioni del personale non medico addetto ai presidi,
servizi e uffici delle unità sanitarie locali.
Nel capo VIII di questo precedente D.P.R. venivano riportati i profili del personale
delle unità sanitarie locali; l’art. 21 si riferisce all’operatore Professionale di I°
categoria - Infermiere professionale - per il quale è stabilito che: l’operatore
professionale collaboratore, nel rispetto di quanto stabilito nell’articolo precedente121,
nell’ambito dell’area dei servizi cui è assegnato, partecipa alla formulazione dei piani
di lavoro e di intervento per la promozione, il mantenimento ed il recupero della
salute degli utenti.
Secondo le direttive ricevute, svolge le funzioni di specifica
competenza attinenti al proprio titolo professionale assicurando gli interventi previsti
dai piani di lavoro. Svolge attività didattica ed attività finalizzate alla propria
formazione. Ha la responsabilità professionale dei propri compiti limitatamente alle
prestazioni e alle funzioni che per la normativa vigente è tenuto ad attuare. Appare
pertanto evidente che questo profilo nasceva in
vigenza del D.P.R. 225/74
(mansionario): si ritrovavano infatti locuzioni di carattere giuridico - sindacale che
avevano prevalentemente lo scopo di non indurre, attraverso una lettura estensiva della
norma, un superamento di quello che era il mansionario stesso. Infatti affermare che
l’infermiere “ha la responsabilità professionale dei propri compiti limitatamente alle
prestazioni e alle funzioni che per la normativa vigente è tenuto ad attuare”, oppure
120
Vedi allegato n. 7
Il precedente articolo (Art. 20) definisce il profilo dell’Operatore professionale coordinatore (ex caposala) e prevede che: L’operatore
professionale coordinatore svolge le attività di assistenza diretta attinenti alla sua competenza professionale. Coordina l’attività del personale
nelle posizioni funzionali di collaboratore e di operatore professionale di II categoria a livello di unità funzionale ospedaliera e di distretto
predisponendone i piani di lavoro, nell’ambito delle direttive impartite dal responsabile o dai responsabili delle unità operative, nel rispetto
dell’autonomia operativa del personale stesso e delle esigenze del lavoro di gruppo. Svolge attività di didattica, nonché attività finalizzate
alla propria formazione. Ha la responsabilità professionale dei propri compiti limitatamente alle prestazioni e alle funzioni che per la
normativa vigente è tenuto ad attuare.
121
57
dire che l’infermiere “Secondo le direttive ricevute, svolge le funzioni di specifica
competenza”, non era altro che un esplicito rimando a quanto previsto dal D.P.R.
225/74 nel quale erano elencati i compiti dell’infermiere.
Di contro, è sicuramente interessante il fatto che questo decreto prevedeva che
l’infermiere professionale dovesse svolgere attività di didattica. Per la prima volta si
statuisce, con una norma legislativa e in modo netto e chiaro, che anche l’attività
didattica rientra tra le funzioni dell’infermiere. Tale dizione non verrà riproposta dal
legislatore in modo così univoco nel nuovo profilo professionale.
A distanza di un decennio dal D.P.R. 821del 1984, viene emanato il Decreto del
Ministero della Sanità n. 739 del 14 settembre 1994, “Regolamento concernente
l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere”, che
delinea il nuovo profilo professionale dell’infermiere.
Tale decreto incontrò una opposizione da parte di alcuni esponenti della classe
medica che paventavano il rischio di un’invasione da parte degli infermieri nelle loro
competenze professionali122. Il nuovo profilo dell’infermiere, pur avendo innovato i
criteri per l’esercizio professionale, indicando una cornice più ampia di competenza
infermieristica, non modificò la norma che regolava a quel tempo le mansioni degli
infermieri, per cui, fino all’entrata in vigore della legge 42/99123 che ha abrogato il
D.P.R. 225/74 (mansionario), gli infermieri anche in vigenza del nuovo profilo hanno
operato secondo quest’ultimo regolamento.
Alcuni commentatori hanno enfatizzato il contenuto innovativo del nuovo
profilo124, altri invece, pur rilevando gli aspetti positivi per il riconoscimento di una
maggiore autonomia professionale, hanno evidenziato alcuni limiti rappresentati dalla
S. De Carolis Professionista autonomo e responsabile questo l’infermiere visto dal profilo in Riv. L’infermiere , Settembre-Ottobre 1994.
L. 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” Art. 1. punto 2. Dalla data di entrata in vigore della presente
legge sono abrogati il regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1974 n. 225 ad eccezione delle
disposizioni previste dal titolo V, il decreto del Presidente della Repubblica 7 marzo 1975, n. 163, l’art. 24 del regolamento approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1968, n. 680, e successive modificazioni. Il campo proprio di attività e di responsabilità
delle professioni sanitarie di cui all’articolo 6, comma 3, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, è
determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di
diploma universitario e di formazione post-base nonché dei specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni
mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto
reciproco delle specifiche competenze professionali…..
124
Benci L. “Aspetti giuridici della professione infermieristica” op. cit. p. 80.
122
123
58
genericità delle definizioni ivi contenute, anche relativamente al contenuto
dell’assistenza infermieristica125.
Il profilo professionale dell’infermiere contiene numerosi spunti di riflessione
rispetto al passato: si parla ormai solo di infermiere e non più di infermiere
professionale, ma soprattutto, si specifica che l’infermiere è responsabile
dell’assistenza generale infermieristica, affermazione questa di indubbia importanza,
visto che, anche l’ultimo comma dell’art. 1 della L. 42/1999 che attribuisce
all’infermiere “un campo proprio di attività e di responsabilità”, fa comunque
riferimento anche al contenuto del profilo professionale.
Il decreto è composto di soli tre articoli, il primo individua la figura professionale
dell’infermiere e le sue funzioni, il secondo e il terzo regolano l’equipollenza dei titoli
acquisiti in precedenza con i diplomi universitari. Per una migliore chiarezza
espositiva si riportano di seguito gli articoli.
Decreto 14 settembre 1994, n. 739 (Gazzetta Ufficiale 9 gennaio 1995, n. 6)
Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo
professionale dell’infermiere
Articolo 1
1. È individuata la figura professionale dell’infermiere con il seguente profilo:
l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma
universitario
abilitante
e
dell’iscrizione
all’albo
professionale
è
responsabile dell’assistenza generale infermieristica.
2. L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è
di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la
prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le
età e l’educazione sanitaria.
3. L’infermiere:
125
S. Fucci “La responsabilità nella professione infermieristica - Questioni e problemi giuridici” Masson 1999 p. 11.
59
a) partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della
collettività;
b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della
collettività e formula i relativi obiettivi;
c) pianifica, gestisce valuta l’intervento assistenziale infermieristico;
d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnosticoterapeutiche;
e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori
sanitari e sociali;
f) per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del
personale di supporto;
g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o
private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza
o libero-professionale.
4. L’infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e
concorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo
professionale e alla ricerca.
5. La formazione infermieristica post-base per la pratica specialistica è intesa
a fornire agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche
avanzate e delle capacità che permettano loro di fornire specifiche
prestazioni infermieristiche nelle seguenti aree:
a) sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica;
b) pediatria: infermiere pediatrico;
c) salute mentale-psichiatria: infermiere psichiatrico;
d) geriatria: infermiere geriatrico;
e) area critica: infermiere di area critica.
6. In relazione a motivate esigenze emergenti dal Servizio sanitario nazionale,
potranno essere individuate, con decreto del ministero della Sanità,
ulteriori aree richiedenti una formazione complementare specifica.
60
7. Il percorso formativo viene definito con decreto del ministero della Sanità e
si conclude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica che
costituisce titolo preferenziale per l’esercizio delle funzioni specifiche nelle
diverse aree, dopo il superamento di apposite prove valutative. La natura
preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di obiettive
necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni di fatto.
Articolo 2
Il diploma universitario di infermiere, conseguito ai sensi dell’articolo 6, comma
3, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, abilita
all’esercizio della professione, previa iscrizione al relativo Albo professionale.
Articolo 3
Con decreto del ministro della Sanità di concerto con il ministro dell’Università
e della Ricerca scientifica e tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati,
conseguiti in base al precedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma
universitario di cui all’articolo 2 ai fini dell’esercizio della relativa attività
professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.
Addentrandoci in modo più specifico nell’analisi del D.M. n. 739/1994, l’articolo 1
punto 1 individua la figura professionale dell’infermiere con la seguente definizione:
l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario
abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è responsabile dell’assistenza
generale infermieristica.
Ossia, il legislatore, nel definire l’infermiere come l’operatore sanitario che è
responsabile dell’assistenza infermieristica, condiziona tale affermazione a due
requisiti:
 che sia in possesso del diploma universitario abilitante
 che sia iscritto all’albo professionale.
61
Per ciò che riguarda il primo requisito, il possesso del diploma universitario
abilitante, si cita solo l’ultimo intervento del legislatore relativo all’equipollenza dei
diversi titoli che è riportato nella legge 08 Gennaio 2002 n. 1 - dove all’art. 10 si
prevede che:
I diplomi, conseguiti in base alla normativa precedente, dagli
appartenenti alle professioni sanitarie di cui alla legge 26 febbraio 1999 n. 42, e 10
Agosto 2000 n. 251, e i diplomi di assistente sociale sono validi ai fini dell’accesso ai
corsi di laurea specialistica, ai master e agli altri corsi di formazione post-base…
In quest’ultima legge il legislatore parla di “validità” e non di “equipollenza” tra i
diversi diplomi, pertanto chi è in possesso del diploma universitario di infermiere o del
diploma regionale, potrà sì accedere alla laurea specialistica, ai master e agli altri
corsi di formazione post-base, ma (non essendo equipollenti i due titoli) è legittimo
che i diversi atenei richiedano una integrazione della formazione pregressa per
l’ammissione alla frequenza, requisiti che, invece, non sono previsti per coloro che
sono in possesso della laurea di primo livello.
Rispetto al secondo requisito, inerente l’iscrizione all’albo professionale, una
professione sanitaria - qual è quella degli infermieri, consiste nell’esplicabilità di
un’attività, di assistenza sanitaria a di salvaguardia dell’igiene, necessariamente vi
dovrà essere la verifica di idoneità e l’appartenenza all’ordine professionale 126. Questo
indirizzo riposa sulla considerazione che l’obbligo di iscrizione non è correlato allo
status lavorativo, ma alla circostanza oggettiva dell’esercizio dell’attività professionale
e alla soggezione che ne deriva alle norme che costituiscono la deontologia
professionale.
Nel recente passato sia la suprema corte127 sia la giurisprudenza di merito128
avevano statuito che la mancata iscrizione all’albo da parte degli infermieri dipendenti
di pubblica amministrazione non integrava il reato di cui all’art. 348 c.p. Anche il
Consiglio di Stato affermava “ che emerge con chiara evidenza che l’iscrizione
all’ordine professionale è obbligatoria per i liberi professionisti, facoltativa per coloro
126
127
128
R. Iannotta voce Professioni ed arti sanitarie in Enc. Giur. Treccani p. 2
Cass. pen. sez. VI, 01/04/2003, n. 28306
Tribunale di Bergamo sentenza 19 marzo 2003
62
che esercitano la professione alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, si
aggiunge, sul piano sistematico, la considerazione che per la quasi generalità delle
professioni l’iscrizione all’albo è vietata agli impiegati pubblici129.
Tali decisioni sono state commentate negativamente dalla dottrina medico legale 130, e
apparivano in contrasto con quanto affermato da alcune decisioni della Commissione
centrale per gli esercenti le professioni sanitarie131, da un parere del Consiglio di Stato
(29 settembre 1999, n. 330); da sentenze della Corte di Cassazione (sezione III, 29
maggio 2003, n. 8639; 18 maggio 2000, n.6469).
Vista la ondulante giurisprudenza l’incertezza interpretativa è stata definitivamente
risolta dal legislatore con la Legge 1 febbraio 2006, n. 43132 la quale all’art. 2 punto 3
prevede che: l'iscrizione all'albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici
dipendenti(…). Di recente il tribunale di Genova ha statuito che sussistono gli estremi
del reato di cui agli artt. 110-348 del codice penale (esercizio abusivo di professione)
in capo al legale rappresentante, responsabile di una cooperativa che fornisce turni
infermieristici ad una residenza protetta, laddove gli operatori avevano il diploma
d'infermiere professionale, ma non erano iscritti all'albo Professionale della Provincia
ai sensi del d.lgs. C.p.s. 13.9.1946, n. 233133
Alla luce della nuova normativa e in coerenza con quanto dettato in passato dalla
dottrina si può affermare che “per decidere se una persona sia abilitata all’esercizio
professionale, si deve accertare se essa sia o non sia iscritta nel relativo albo, quando
tale iscrizione è prescritta; soltanto dal giorno di tale iscrizione decorre il tempo per
l’esercizio legittimo della professione”134; pertanto chi, pur avendo conseguito
129
Parere del Consiglio di Stato fornito al Ministero della Salute (Adunanza della Sezione Prima 17 marzo 2004 Sezione 133/04)
vedi Benci L.commento sentenza Tribunale Sondrio, 9 marzo 2000 Foro ambrosiano 2000, 458in Riv.diritto professioni sanitarie 3/2000
p. 107.
131
Decisione n. 178 del 18 ottobre 2001- Decisione n. 84 del 13 dicembre 2002
132
"Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al
Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17 febbraio 2006
133
Tribunale di Genova, Sent. del 28/03/2007
134
F. Bricola, V. Zagrebelscky “Diritto penale - parte speciale” op. cit. p. 386 ; Antolisei F. Manuale di diritto penale - parte speciale II
Milano 1991130
63
l’abilitazione, non risulta iscritto all’albo, se esercita la professione, risponde del reato
di esercizio abusivo di professione ex art. 348 c. p.135
Dal punto di vista civilistico l’obbligo di iscrizione all’albo è previsto dall’art. 2229
c.c.136, il quale pone una riserva di legge in merito all’individuazione delle professioni
intellettuali protette, per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in albi o
elenchi appositi137. Sempre il codice civile, all’art. 2231 c.c., prevede che chi non è
iscritto all’albo (ove sia prevista l’iscrizione) non ha diritto all’azione per il pagamento
della retribuzione. Inoltre la cancellazione dall’albo o elenco risolve il contratto in
corso, salvo il diritto del prestatore d’opera al rimborso delle spese incontrate e ad un
compenso adeguato all’utilità del lavoro compiuto138.
Definiti i presupposti necessari per l’attività professionale, il D.M. 739/94 all’art. 1
punto 1 e 2 attribuisce all’infermiere la responsabilità generale dell’assistenza
infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, che si realizza attraverso
attività di natura tecnica, relazionale ed educativa.
All’infermiere sono, tra l’altro, assegnati compiti autonomi in materia di
identificazione dei bisogni di assistenza infermieristica e di pianificazione, gestione e
valutazione dell’intervento assistenziale infermieristico139.
L’infermiere, quindi, è responsabile di tutto il processo di nursing che sta a monte
dell’atto assistenziale; questo inizia con l’identificazione dei bisogni di assistenza
135
Cassazione penale sez. VI, 16 gennaio 1998, n. 4545 Riv. pen. 1998, 569; Cass. Pen. Sez. VI 29 maggio 1996, n. 2076 E. Gallucci in
Cass. Pen. 1997, 1703 vedi anche R. Iannotta voce Professioni ed arti sanitarie op. cit. p. 2 - Decreto penale di condanna n. 1467/99 del
Tribunale di Bergamo del 09 novembre 1999 - Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie decisione n. 178 del 18
ottobre 2001.
136
Art. 2229 c.c. Esercizio delle professioni intellettuali. La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria
l’iscrizione in appositi albi o elenchi. L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere
disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga
diversamente. Contro il rifiuto dell’iscrizione o la cancellazione degli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la
perdita o la sospensione del diritto all’esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti
dalle leggi speciali. Vedi anche T.A.R. Friuli V.G. 2 dicembre 1997, n. 833 Foro it. 1998,III, 534.
137
P. Piscione, voce Professioni (disciplina delle), in Enc. Dir., XXXVI, Milano, 1987, p. 1040 ss., per il quale il termine professione va
giuridicamente riservato a colui che svolge un’attività di particolare rilevanza pubblica tale che la legge imponga per l’esercizio di essa
1’iscrizione in appositi albi o elenchi tenuti dal relativo ente pubblico professionale (p. 1048), ed esclude dal novero delle professioni quelle
attività per le quali “la legge non prevede la costituzione di un ente pubblico professionale ma soltanto l’esistenza, presso una pubblica
amministrazione (ad esempio camere di commercio, industria, artigianato, agricoltura) di un ruolo, che non ha funzione di certezza legale
ma semplicemente informativa” (1042).
138
Art. 2231 c.c. Mancanza d’iscrizione. Quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la
prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione . La cancellazione dall’albo o elenco risolve il
contratto in corso, salvo il diritto del prestatore d’opera al rimborso delle spese incontrate e a un compenso adeguato all’utilità del lavoro
compiuto .
139
S. Fucci “La responsabilità nella professione infermieristica - Questioni e problemi giuridici” Op. cit. p. 11- Barbieri G. e Pennini A. Le
responsabilità dell’infermiere Carocci, Roma , 2008
64
infermieristica140 che la persona assistita manifesta, prosegue con la definizione degli
obiettivi assistenziali che l’infermiere si prefigge di far raggiungere alla persona, la
pianificazione degli interventi infermieristici, la gestione dell’intervento assistenziale,
vale a dire effettuare regolare e controllare gli interventi assistenziali effettuati sul
paziente ed infine la valutazione dei risultati che tali prestazioni hanno sortito. Quindi,
l’infermiere ha (deve avere) una propria completa autonomia e un suo proprio ambito
di responsabilità puntualmente individuato e sarà chiamato a rispondere direttamente
delle proprie azioni non più indirizzate al mero compimento di un atto tecnico, quale
poteva essere uno di quelli individuati dal mansionario, bensì orientate al risultato
assistenziale con la necessaria sopportazione dell’onere delle relative conseguenze di
natura giuridica.
La regolamentazione delle funzioni comporta, in caso di inadempienza all’esercizio
professionale, una responsabilità penale colposa qualora si verifichino danni agli
assistiti141.
Continuando nell’analisi vediamo che l’art. 1 punto d) prevede che l’infermiere
“garantisca la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche”.
Questa locuzione permette di affermare che l’infermiere assume una posizione di
garante della corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche. In tale
senso la Corte di cassazione ha statuito che medici e paramedici sono tutti ex lege
portatori di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà
costituzionalmente imposto ex art. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute
devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità; l’obbligo di
protezione perdura per l’intero tempo del turno di lavoro142.
140
Cantarelli M. (1997) Il modello delle prestazioni infermieristiche Milano: Masson- Manara D. (2000) Verso una teoria dei bisogni
Milano: Lauri Edizioni -Brown H. I. (1984) La nuova filosofia della scienza Bari: Laterza - Calamandrei C. (1993) L’assistenza
infermieristica –Storia , Teoria, Metodi Roma: NIS - CarpenitoL. J (1999) Manuale tascabile delle diagnosi infermieristiche Milano: Casa
Editrice Ambrosiana - George, J.B. (1995) Le teorie del nursing - le basi per l'esercizio professionale Trad. it. a cura di Frignone R. Torino:
Utet -Manzoni E. (1997) Storia e filosofia dell’assistenza infermieristica Milano: Masson
A. Di Corato “ Aspetti medico legali della professione infermieristica” in Jura Medica 3, 31, 1998.
Cass. Penale sez. IV 02-03-2000 n. 9638 ---CORTE d' APPELLO di MILANO Sez. II - Sentenza del 16-12-2005 – Cass. Penale sez. IV
11-03-2005 n. 9739
141
142
65
La posizione di garanzia è definibile come uno speciale vincolo di tutela tra un
soggetto garante ed un bene giuridico, determinato dall’incapacità (totale o parziale)
del titolare di proteggerlo autonomamente.
Secondo una classificazione funzionale incentrata sul contenuto materiale e sullo
scopo della posizione di garante, questa può essere inquadrata nei due tipi
fondamentali della posizione di protezione e della posizione di controllo.
La «posizione di protezione» ha per scopo di preservare determinati beni giuridici
(nel caso dell’infermiere si tratta ovviamente dei valori della vita e dell’integrità fisica
del paziente) da tutti i pericoli che possono minacciarne l’integrità, quale che sia la
fonte da cui scaturiscono.
La “posizione di controllo” ha, invece, lo scopo di neutralizzare determinate fonti di
pericolo, in modo da garantire l’integrità di tutti i beni giuridici che ne possono
risultare minacciati143.
La posizione di garanzia assunta dall’infermiere, sia essa di protezione o di
controllo, è originaria in virtù dello specifico ruolo e status giuridico rivestito144.
Inquadrata in via generale la posizione di garanzia dell’infermiere, possiamo dire
che egli, deve “garantire”, per esempio, la corretta somministrazione di farmaci, la
quale però è l’ultimo atto di un procedimento complesso che parte dalla prescrizione
medica e prosegue con la somministrazione. È evidente quindi che, in caso di dubbi
sulla prescrizione, l’infermiere deve intervenire presso il medico non potendosi
configurare come un mero esecutore delle prescrizioni mediche. In caso contrario, la
responsabilità dell’infermiere concorrerà, in rapporto di cooperazione colposa, con
quella del medico.
Su queste tematiche una recente sentenza della Suprema Corte ha ritenuto
responsabile di omicidio colposo anche un’infermiera professionale che non si è
attivata a consultare il medico di fronte a dubbi sul dosaggio, al precipuo scopo di
ottenerne una precisazione per iscritto che valesse a responsabilizzare il medico e a
indurlo ad una eventuale rivisitazione della precedente indicazione, ritenendo invece
G. Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale” Op. cit. p. 551 e segg.
Papi L. l’infermiere è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente Riv. Diritto delle Professioni Sanitarie 2006;.(2):123135.
143
144
66
infondata
la
strategia
difensiva
basata
sul
ruolo
meramente
esecutivo
dell’infermiere145.
Come abbiamo detto poc’anzi l’obbligo di protezione perdura per l’intero tempo del
turno di lavoro e, laddove si tratti di un compito facilmente eseguibile nel giro di pochi
secondi, non è delegabile ad altri. Il forte monito viene dalla Sesta Sezione Penale
della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna per omicidio colposo inflitta
a tre infermieri del pronto soccorso del Policlinico di Bari, colpevoli di non aver
avvisato con il citofono il medico internista - come era stato loro detto di fare dal
medico di guardia impegnato in altra visita - lasciando così senza cure né assistenza un
marinaio di leva, che aveva riportato un trauma cranico e creduto erroneamente
ubriaco dagli infermieri. È evidente che al medico, in questo caso, proprio in virtù del
principio di affidamento non è stato mosso alcun rimprovero. Infatti la Suprema Corte
afferma “che un medico del pronto soccorso, ma, il principio va al di là, ovviamente,
del pronto soccorso, che, in un certo momento, presti la sua opera con la
collaborazione di alcuni infermieri ai quali impartisca un ordine il cui significato e la
cui rilevanza siano inequivoci, può legittimamente fare affidamento sulla esecuzione
di quell’ordine …”146
L’art. 1 punto f) stabilisce che l’infermiere “per l’espletamento delle funzioni si
avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto”147. Il legislatore, con
questa dizione, definisce chiaramente che l’infermiere può servirsi dell’aiuto del
personale di supporto nell’espletamento delle proprie funzioni ma, affida la decisione
di operare questa scelta proprio all’infermiere, nella parte in cui dice ove necessario,
vale a dire che determinate condizioni lo rendono possibile. Non è la prima volta che si
rinviene una funzione di questo tipo; in passato, un’altra fonte normativa, e più
145
Cassazione penale sentenza n. 1878 2000 in Riv. Dir. Prof. Sanitarie 2001 n. 4 p. 41 e segg.
Cass. Penale sez. IV 02-03-2000 n. 9638.
147
Alcune figure professionali che possono essere inserite in questa dizione sono le seguenti:
Operatore Socio Sanitario (OSS);
Ausiliario Socio Sanitario;
Ausiliario Socio Sanitario Specializzato;
Operatore tecnico addetto all’assistenza (OTA).
Ed altre figure a carattere regionale che operano nel settore socio-assistenziale quali: Addetto ai servizi Territoriali (A.D.E.S.T.); Operatore
socio assistenziale (O.S.A); Assistente di base (A.D.B); Ausiliario socio assistenziale (A.S.A.) ecc.
146
67
precisamente l’art. 41 del D.P.R. 384/1990 (che recepiva il contratto dei dipendenti
delle USL per il periodo 1988-1990), nell’istituire la figura dell’operatore tecnico
addetto all’assistenza e dell’ausiliario specializzato addetto ai servizi socio sanitari,
precisava che tali figure operano sotto la diretta responsabilità del Caposala, o in sua
assenza dell’infermiere professionale responsabile del turno di lavoro. In presenza di
più infermieri professionali all’interno del turno di lavoro la responsabilità è
condivisa da tutti. In questo senso, anche l’ultimo C.C.N.L. (Contratto Collettivo
Nazionale di Lavoro) del personale del comparto sanità che regola la figura
dell’Operatore Socio Sanitario, definisce che questo operatore: Svolge la sua attività
sia nel settore sociale che in quello sanitario in servizi di tipo socio assistenziali e
sociosanitario residenziali e non residenziali, in ambiente ospedaliero e al domicilio
dell’utente. Svolge la sua attività su indicazione - ciascuna secondo le proprie
competenze - degli operatori professionali preposti all’assistenza sanitaria e a quella
sociale, ed in collaborazione con gli altri operatori, secondo il criterio del lavoro
multi professionale ….
Da ultimo il legislatore con Legge 8 gennaio 2002, n. 1 ha previsto che l’operatore
socio sanitario (operatore di supporto) “collabora con l’infermiere o l’ostetrica nelle
attività assistenziale conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza
infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione”148.
È evidente che l’infermiere, ove si avvalga dell’opera del personale di supporto, al
quale spetta anche un’attività in autonomia (generalmente attività non dirette alla
persona), rimane sempre la figura responsabile del processo di pianificazione, gestione
e valutazione dell’intervento assistenziale prodotto per il paziente e, proprio per
questo, risponde di eventuali danni causati da un’omessa valutazione dell’intervento
assistenziale149.
È opportuno precisare che quando ci si avvale di tale personale per attività di
carattere assistenziale si può parlare di attribuzione di compiti, ma non vi può essere
una delega da parte dell’infermiere con una eventuale esenzione di responsabilità, ed
Legge 8 gennaio 2002, n. 1 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 12 novembre 2001, n. 402, recante disposizioni
urgenti in materia di personale sanitario” art. 1 punto 8.
148
68
una relativa assunzione di responsabilità da parte del nuovo soggetto di fatto preposto
all’adempimento, perché non vi sono i presupposti necessari150. Vale a dire che: il
delegato sia persona tecnicamente preparata e capace, che abbia volontariamente
accettato la delega, nella consapevolezza degli obblighi di cui viene a gravarsi, o
che sia fornita di poteri autoritativi e decisori autonomi pari a quelli del delegante e
idonei a far fronte alle esigenze connesse151.
Il punto g) dell’art.1 riconosce all’infermiere autonomia e responsabilità
professionale, tanto in ambito ospedaliero che in ambito territoriale - domiciliare, sia
esse strutture pubbliche o private, in regime di dipendenza o di libera professione. Con
il D.M. 739/94 il legislatore ha inteso superare i limiti imposti dal D.P.R. 225/74
(vecchio mansionario), nato per regolare le mansioni degli infermieri solo in ambito
ospedaliero e che per anni ha creato non pochi problemi di carattere medico-legale
nonché etico- professionali nell’ambito territoriale.
Per ciò che riguarda la formazione l’art. 1 punto 4 prevede che “L’infermiere
contribuisce alla formazione del personale di supporto…..“.
La formulazione del precedente profilo attribuiva all’infermiere tra le proprie
funzioni anche l’attività didattica, tuttavia non identificava i soggetti nei confronti dei
quali tale attività dovesse esplicarsi, il nuovo profilo indica come destinatario della
formazione il solo personale di supporto.
Ad una prima lettura si potrebbe perciò affermare che non compete all’infermiere la
formazione degli studenti infermieri. E’ evidente però che il legislatore minus dixit
quam voluit , poiché non è logico che venga preclusa agli infermieri l’attività didattica
(nelle materie di propria pertinenza o durante il tirocinio), senza che venga definito a
chi compete tale attività o paradossalmente venga demandata a figure professionali
Zagari A. L’Operatore Socio Sanitario e L’infermiere, Profili di responsabilità -In Rivista IO Infermiere del Collegio IPASVI MilanoLodi N. 2/2004
150
Benci L. L’operatore socio sanitario: autonomia, rapporti con i professionisti e responsabilità giuridica. Riv. Diritto delle Professioni
Sanitarie 2001;4.(3):219-234.
151
Cassazione penale sez. IV, 5 maggio 2000, n. 7418 Riv. pen. 2000,1162 - Cassazione penale sez. IV, 22 giugno 2000, n. 9343 Ced
Cassazione 2000.
149
69
non appartenenti a tale professione. Pertanto da un’interpretazione sistematica della
norma è evidente che rientra tra i le funzioni infermieristica anche l’attività didattica
nei confronti degli studenti infermieri.
Al punto 4 è sottolineata la necessità per l’infermiere di concorrere direttamente
all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale ossia di aggiornare le
proprie conoscenze teoriche, tecniche e pratiche per integrare nel tempo quelle
acquisite nella formazione di base.
Il costante divenire dello stato dell’arte, e quindi il necessario e continuo
aggiornamento delle conoscenze tecniche e scientifiche dell’infermiere, hanno
indubbiamente notevoli ed importanti riflessi anche sulla definizione della stessa
responsabilità penale.
Questo dovere d’aggiornamento professionale può essere ricavato anche da alcuni
articoli del Codice civile quali: l’obbligo di esatta esecuzione della prestazione dovuta
ex art. 1218 c.c., la correttezza nell’adempimento ex art. 1176, la diligenza
professionale nell’adempimento ex art. 1175c.c. o ancora la buona fede
nell’esecuzione del contratto ex art. 1375c.c.152
Inoltre coordinando il disposto del D.M. 739/94 (profilo) con quanto previsto dalla
legge n. 42 del 1999 art. 1, che prevede la formazione post-base come uno dei criteri
per circoscrivere l’esercizio professionale, tale obbligo si fa più cogente.
Accanto all’obbligo di formazione, va affermata l’obbligatorietà per l’infermiere
professionale di prendere cognizione delle fonti scritte delle regole che ne governano
l’attività ovunque siano esse sancite, ovvero in leggi, regolamenti, ordini153 e
discipline154. A questo proposito è bene precisare al riguardo di tale dovere che la
stessa Corte di cassazione ha espressamente affermato che, per colui che eserciti
professionalmente una determinata attività,
esiste un “dovere di informazione”
particolarmente rigoroso di presa di cognizione di queste regole: la mancata
152
153
154
Cfr paragrafo “ La formazione post-base: i master universitari”
Norme con destinatario individuale, poste da un’autorità pubblica o privata.
Norme generali, diverse da leggi o regolamenti, poste da un’autorità pubblica o privata.
70
conoscenza non potrà pertanto mai essere invocata a difesa del proprio operato tanto
che essi rispondono anche in caso di “culpa levis”155.
Lo stesso decreto prevede, all’art. 1 punto 5, la formazione infermieristica post-base
per la pratica specialistica, formazione intesa a fornire agli infermieri di assistenza
generale le conoscenze cliniche avanzate e le capacità che permettano loro di fornire
specifiche prestazioni infermieristiche nelle seguenti aree:
a) sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica
b) pediatria: infermiere pediatrico
c) salute mentale - psichiatria: infermiere psichiatrico;
d) geriatria: infermiere geriatrico;
e) area critica: infermiere di area critica.
Al punto 6 dell’art. 1 si prevede che, per motivate esigenze emergenti dal Servizio
sanitario nazionale, potranno essere individuate, con decreto del Ministero della
Sanità, ulteriori aree richiedenti una formazione complementare. Il percorso formativo
di queste ulteriori aree viene definito con decreto del ministero della Sanità e si
conclude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica, il quale costituisce
titolo preferenziale per l’esercizio delle funzioni specifiche nelle diverse aree, dopo il
superamento di apposite prove valutative. La natura preferenziale del titolo è
strettamente legata alla sussistenza di obiettive necessità del servizio e recede in
presenza di mutate condizioni di fatto.
E’ opportuno far notare l’emanazione da parte del Ministero della sanità di due
ulteriori profili quali quelli dell’Infermiere pediatrico156 e dell’Assistente sanitario157
come figure professionali a se stanti, e non come specializzazione dell’infermiere in
sanità pubblica o pediatria, renderanno alquanto difficoltosa l’attivazione di queste aree
di specializzazione. In questa parte del D.M. l’intenzione del legislatore consiste nel
superamento della figura dell’infermiere polivalente che, una volta conseguito il
diploma universitario abilitante, può svolgere la sua attività in ogni ambito
Cassazione penale sez. VI, 22 marzo 2000, n. 6776 Ced Cassazione 2000- Fattispecie relativa all’obbligo di perfetta tenuta dei registri
delle sostanze a preparazione stupefacente incombente al farmacista.; Vedi anche Corte costituzionale sent. n. 364 del 1988 in Giur. cost.
1988, I, 1504.
156
Profilo professionale emanato con D.M. 17 Gennaio 1997 n. 70 157
Profilo professionale emanato con D.M. 17 Gennaio 1997 n. 69 155
71
assistenziale e terapeutico senza bisogno d’ulteriori momenti formativi, al di fuori dei
brevi corsi d’aggiornamento. Alla luce degli attuali orientamenti risulta possibile,
ancor più di prima, ipotizzare un sistema formativo post-base di natura specialistica
clinica nell’ambito della formazione universitaria, in armonia con le priorità sanitarie
del paese; ulteriori riflessioni si rendono necessarie sulle modalità con cui riconoscere,
attraverso i CCNL, tali funzioni specialistiche sia in termini di riconoscimento
economico sia in termini di progressione di carriera158. La ratio è di creare percorsi di
formazione post base per fornire agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze
cliniche avanzate e delle capacità tecniche infermieristiche che permettano loro di
erogare un’assistenza sempre più qualificata e specializzata e sicuramente in linea con
lo sviluppo del sapere sanitario e la complessità del sistema sanitario nazionale159.
Concludendo si può affermare che oggi il profilo professionale in virtù
dell’abrogazione del mansionario e della legge 42/99, assume un ruolo fondamentale
per definire l’area di competenza dell’infermiere.
Il legislatore, con il D.M. 739/94, ha invertito la tendenza della pura logica
mansionariale, che definiva una serie di compiti dell’infermiere, per passare invece ad
una definizione di funzioni.
Risultano in particolare sottolineati i seguenti elementi fondamentali: la definizione
dei presupposti giuridici per l’esercizio professionale, la responsabilità di tutto il
processo decisionale che sta all’origine dell’atto assistenziale e che inizia con
l’identificazione dei bisogni della persona assistita e termina con la valutazione del
processo; il ruolo di garante che l’infermiere ha nella corretta applicazione delle
prescrizioni diagnostico-terapeutiche e, infine, il ripristino delle specializzazioni
infermieristiche.
1.2.3 I confini dell’autonomia (L. 42/99)
Per un approfondimento di questa tema vedi Lusignani M. -Mangiacavalli B. – Casati M. (2000) Infermieristica generale e organizzazione
della professione Milano: Masson p. 130 e segg.
159
Questa parte è stata trattata precedentemente vedi Formazione post-base infermieristica.
158
72
A distanza di cinque anni dall’emanazione del profilo professionale dell’infermiere
(D.M. 739/94), il legislatore promulgò la Legge 26 febbraio 1999, n. 42, “Disposizioni
in materia di professioni sanitarie”160: che apportò innovazioni rilevanti, in quanto per
la prima volta si venne a delineare per gli infermieri un esercizio professionale senza
mansionario.
La legge è composta da soli quattro articoli. L’articolo 1 definisce le responsabilità
e gli ambiti di competenza delle professioni sanitarie; l’articolo 2 regola la
corresponsione delle spese di missione e i rimborsi in favore dei membri della
Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie161; l’articolo 3 introduce
modifiche alla legge n. 175/92 recante norme in materia di pubblicità sanitaria 162; e,
infine, l’articolo 4 statuisce la validità ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso
alla formazione post-base, dei titoli di studio conseguiti in base alla normativa
precedente163.
Tralasciando gli articoli da 2 a 4, che non sono oggetto di disamina, si ritiene utile,
data l’importanza dell’art.1, riportare per esteso il testo dell’articolo:
Art. 1.
(Definizione delle professioni sanitarie)
160
Vedi allegato n. 5.
L’art.17 del DLCPS 13/9/1946, n 233, nell’istituire la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie non chiariva a chi
spettassero gli oneri per la corresponsione delle indennità di missione e di rimborso delle spese. L’art.77 del DPR 5 aprile 1950, n. 221,
infatti, attribuiva chiaramente alle Federazioni Nazionali solo le spese per il funzionamento della Commissione e dell’Ufficio di Segreteria.
La L. n. 42/99 attribuisce ora definitivamente gli oneri relativi alle indennità di missione e al rimborso delle spese dei membri della
Commissione Centrale alle Federazioni nazionali degli Ordini e dei Colleghi.
162
Come è noto tale legge permetteva la pubblicità concernente l’esercizio delle professioni sanitarie solo mediante targhe e iscrizioni sugli
elenchi telefonici. L’art. 3 della L. n. 42/99, al 1 comma I. a) aggiunge (fra gli strumenti pubblicitari) anche gli elenchi generali di categoria, i
giornali e periodici destinati esclusivamente agli esercenti le professioni sanitarie. Viene sancito ancora che le autorizzazioni previste dalla
normativa della legge 175/92, devono essere rinnovate solo quando siano apportate modifiche al testo originario della pubblicità. L’art. 3
comma I I f) della legge in oggetto specifica ancora, modificando di conseguenza la L. n. 175/92, che le iscrizioni autorizzate dalla regione
per la pubblicità sugli elenchi telefonici possono essere utilizzate per la pubblicità sugli elenchi generali di categoria e viceversa. Anche per
quanto concerne le autorizzazioni relative alle strutture sanitarie è necessario il rinnovo solo qualora siano apportate modifiche al testo
originario della pubblicità. Il comma 1 I. g) della legge in oggetto, sancisce ancora una importante innovazione inserendo un art. 9 bis nella
legge 175/92 che testualmente prevede che gli esercenti le professioni sanitarie nonché le strutture sanitarie possono effettuare la pubblicità
nelle forme consentite dalla legge nel limite di spesa del 5 % del reddito dichiarato per l’anno precedente. L’innovazione di più grande
rilevanza, riguarda però la modifica agli artt. 3 comma 1 e 5, comma 4 della della legge 5.2.1992, n. 175 che prevedevano l’irrogazione della
sanzione alla sospensione da 2 a 6 mesi per coloro che svolgevano a titolo individuale o come responsabili di strutture sanitarie, pubblicità
sanitaria nelle forme consentite senza autorizzazione del sindaco o della regione. In questi casi le sanzioni irrogabili diventano quelle della
censura o della sospensione dall’esercizio della professione sanitaria ai sensi dell’art. 40 del DPR 5.4.1950, n. 221. Occorre subito
sottolineare che rimangono ferme invece le sanzioni previste dalla legge 175/92 in caso di pubblicità contenente indicazioni false o svolte
attraverso strumenti non disciplinati della legge. Con queste modifiche la legge 26.2.1999, n. 42 ha inteso superare la rigidità dell’irrogazione
della sospensione da 2 a 6 mesi che in precedenza doveva essere applicata al professionista che non era in regola con l’autorizzazione
prevista dalla legge 175/92. In pratica l’Ordine riacquista in questo specifico settore la propria discrezionalità amministrativa per quanto
concerne la valutazione della colpa disciplinare del professionista, potendo modulare la sanzione eventualmente da infliggere in un ambito
che va dalla censura alla sospensione dell’esercizio professionale senza rigida predeterminazione della durata della sospensione stessa. Viene
così ad essere superato un inconveniente spesso lamentato dai rappresentanti degli ordini che si “vedevano costretti” ad irrogare sanzioni
indubbiamente gravi anche per colpe disciplinari che in alcuni casi non sembravano essere tali da giustificarle.
163
Per un approfondimento di questo articolo si rimanda al capitolo precedente - Il profilo professionale dell’infermiere D.M 739/94.
161
73
1. La denominazione “professione sanitaria ausiliaria” nel testo unico delle leggi
sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 164, e successive
modificazioni, nonché in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla
denominazione “professione sanitaria”.
2.
Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati il
regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo
1974 n. 225, ad eccezione delle disposizioni previste dal titolo V, il decreto del
Presidente della Repubblica 7 marzo 1975, n. 163, e l’articolo 24 del
regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo
1968, n. 680, e successive modificazioni. Il campo proprio di attività e di
responsabilità delle professioni sanitarie di cui all’articolo 6, comma 3, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e
integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei
relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici, dei rispettivi corsi di
diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici
deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per
le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il
possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche
competenze professionali.
Dalla lettura dell’art. 1 della legge emerge che questo articolo ha una prima parte,
per così dire, “abrogativa”, ed una seconda parte “dispositiva”.
Nella prima parte, viene eliminato l’attributo “ausiliario” dalla locuzione
“professioni sanitarie ausiliarie”, già previsto dall’art.99 del T.U. delle leggi sanitarie.
Si tratta, com’è evidente, di una modifica che non è puramente terminologica, tanto
Testo Unico delle leggi Sanitarie Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265 Art. 99 - è soggetto a vigilanza l’esercizio della medicina e
chirurgia, della veterinaria, della farmacia e delle professioni sanitarie ausiliarie di levatrice, assistente sanitaria visitatrice e infermiera
diplomata (1) anche soggetto a vigilanza l’esercizio delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie. S’intendono designate con tale espressione
le arti dell’odontotecnico, dell’ottico, del meccanico ortopedico ed ernista e dell’infermiere abilitato o autorizzato, compresi in quest’ultima
categoria i capi bagnini degli stabilimenti idroterapici e i massaggiatori (2). Con decreto, su proposta del Ministro della sanità, sentiti il
Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica ed il Consiglio di Stato, possono essere sottoposte a vigilanza sanitaria altre
arti, che comunque abbiano rapporto con l’esercizio delle professioni sanitarie, secondo le norme che sono determinate nel decreto
medesimo. La vigilanza si estende: a) all’accertamento del titolo di abilitazione; b) all’esercizio delle professioni sanitarie e delle arti
ausiliarie anzidette. (1) Inoltre, la professione di vigilatrice d’infanzia, ex art. 7, l. 19 luglio 1940, n. 1098. (2) Inoltre, l’arte ausiliaria di
puericultrice, ex art. 12, l. 19 luglio 1940, n. 1098 e di tecnico di radiologia medica, ex l. 4 agosto 1965, n. 1103.
164
74
più se correlata all’abrogazione, disposta nello stesso articolo, dei cosiddetti
mansionari delle tre professioni “ausiliarie”.
Infatti, la modifica apportata all’art. 99165 del T. U. leggi sanitarie fa venire meno la
distinzione tra professioni sanitarie principali e professioni sanitarie ausiliarie, mentre
permane valida la distinzione tra professioni sanitarie e arti sanitarie prevista dallo
stesso articolo. Questa classificazione trova riscontro anche nel fatto che, sia la
giurisprudenza sia la dottrina166 ritengono che l’esercizio professionale di un’arte
sanitaria167, senza la prescritta licenza o attestato, non può integrare il delitto di cui
all’art. 348 c.p. (esercizio abusivo di una professione), dovendosi in questi casi
applicare la disciplina prevista dall’Art. 141 del T. U. delle leggi sanitarie, il quale
prevede che: “… chiunque, non trovandosi in possesso della licenza prescritta
nell’articolo precedente o dell’attestato di abilitazione, rilasciato a norma delle
disposizioni transitorie del presente testo unico, esercita un’arte ausiliaria, è punito
con la sanzione amministrativa da lire 100.000 a lire 200.000168.
Il prefetto169, indipendentemente dal procedimento giudiziario per l’esercizio
abusivo di un’arte ausiliaria delle professioni sanitarie, può ordinare la chiusura
temporanea del locale, nel quale l’arte sia stata abusivamente esercitata e il sequestro
del materiale destinato all’esercizio di essa. Il provvedimento del prefetto è
definitivo”.
Chiarito quindi che, in ambito sanitario, la distinzione che oggi sopravvive è quella
tra professioni sanitarie e arti sanitarie, il primo problema che si pone è di definire
quali siano le nuove professioni sanitarie a cui si riferisce il legislatore con il disposto
previsto dall’art. 1 della legge.
In questo senso è di aiuto il secondo comma dell’art. 1, là dove menziona
nuovamente le professioni sanitarie e indica che tali professioni sono quelle previste
È opportuno ricordare in questa sede che è stata abrogata la registrazione del titolo ai sensi dell’articolo 99 e 100 del testo unico delle
leggi sanitarie tale abrogazione è avvenuta con la legge 24 novembre 2000, n. 340 “disposizioni per la delegificazione di norme e per la
semplificazione di procedimenti amministrativi - legge di semplificazione 1999” al suo articolo 1 abrogra l’articolo 100, secondo, terzo e
quarto comma del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265.
165
Cassazione Penale sez. VI 2 dicembre 1970 in Giust. Pen. 1971,II,739 vedi anche F. Bricola, V. Zagrebelscky “Diritto penale - parte
speciale” op. cit. p. 386.
167
Odontotecnico, ottico, infermiere generico.
168
La sanzione originaria della multa è stata depenalizzata dall’art. 32, l. 24 novembre 1981, n. 689, e così elevata dall’art. 114, primo
comma, della citata l. 24 novembre 1981, n. 689.
166
75
dall’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502170,
chiarendo perciò che si tratta di personale sanitario infermieristico, tecnico e della
riabilitazione.
Nonostante questa previsione, è rimasto incerto, per qualche tempo, quali
professioni sanitarie rientrassero nella locuzione personale infermieristico, piuttosto
che tecnico o della riabilitazione. Successivamente, con la legge 10 agosto 2000, n.
251171, è stato previsto un intervento legislativo, da parte del Ministero della Sanità,
che avesse come scopo quello di includere le diverse figure professionali con
formazione universitaria: nella fattispecie, professioni sanitarie infermieristicoostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e tecniche della prevenzione. In ragione di
tale previsione, il Ministero della Sanità ha emanato il D.M. 29 marzo 2001
(“Definizione delle figure professionali di cui all’art. 6, comma 3, del
decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, da includere nelle
fattispecie previste dagli articoli 1, 2, 3 e 4, della legge 10 agosto 2000, n. 251)”,
definendo così in modo dettagliato le figure professionali attualmente presenti
nell’ambito sanitario e suddividendole tra professioni infermieristiche, riabilitative e
tecniche.
Le professioni elencate nel D.M. 29 marzo 2001 sono 22, di cui tre dell’area
infermieristica, otto dell’area riabilitativa e undici dell’area tecnica172.
169
Ora, uffici del Servizio sanitario nazionale.
D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 art. 6, comma 3,… a norma dell’art. 1, lettera o), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, la formazione del
personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione avviene in sede ospedaliera ovvero presso altre strutture del Servizio
sanitario nazionale e istituzioni private accreditate. I requisiti di idoneità e l’accreditamento delle strutture sono disciplinati con decreto del
Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica d’intesa con il Ministro della sanità. Il Ministro della sanità individua con
proprio decreto le figure professionali da formare ed i relativi profili…
171
Legge 10 agosto 2000, n. 251 all’art. 6, comma 1.
172
Decreto Ministero della Sanità 29 marzo 2001 Art. 1. - Le figure professionali di cui all’art. 6, comma 3, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n.
502, e successive modificazioni, sono incluse nelle fattispecie di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 10 agosto 2000, n. 251, come
specificato nei successivi articoli.
Art. 2. Nella fattispecie: “professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica” sono incluse le seguenti figure professionali:
a) infermiere; b) ostetrica/o; c) infermiere pediatrico.
Art. 3. Nella fattispecie: “professioni sanitarie riabilitative” sono incluse le seguenti figure professionali: a) podologo; b) fisioterapista; c)
logopedista; d) ortottista - assistente di oftalmologia; e) terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva; f) tecnico della riabilitazione
psichiatrica; g) terapista occupazionale; h) educatore professionale.
Art. 4. - 1. Nella fattispecie: “Professioni tecnico sanitarie” articolata in area tecnico-diagnostica e area tecnico-assistenziale, sono incluse le
seguenti figure professionali:
1.1 area tecnico - diagnostica: a) tecnico audiometrista; b) tecnico sanitario di laboratorio biomedica; c) tecnico sanitario di radiologia
medica; d) tecnico di neurofisiopatologia.
1.2 area tecnico - assistenziale: a) tecnico ortopedico; b) tecnico audioprotesista; c) tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e per
fusione cardiovascolare; d) igienista dentale; e) dietista.
Art. 5. Nella fattispecie: “professioni tecniche della prevenzione” sono incluse le seguenti figure professionali: a) tecnico della prevenzione
nell’ambiente e nei luoghi di lavoro; b) assistente sanitario.
170
76
Dalla lettura del decreto non è agevole comprendere le ragioni che hanno indotto il
legislatore ad inserire la professione dell’Assistente sanitario tra le professioni tecniche
della prevenzione, atteso che tale professione è sempre stata storicamente inserita tra le
professioni infermieristiche.
Riguardo all’autonomia dell’infermiere è necessario, a questo punto, porsi alcune
domande. Innanzitutto, stante la normativa in vigore: l’infermiere lavora ancora su
ordine del medico? Se sì, in quale parte? E in quale altra parte, invece, è autonomo? Il
medico ha ancora obblighi di garanzia in rapporto all’operato dell’infermiere?
Analizzando la diversa normativa emanata negli ultimi anni quali la legge n. 42 del
1999, che ha certamente accentuato l’autonomia e la rilevanza del ruolo
dell’infermiere, ampliandone i possibili ambiti di responsabilità, la legge 251/2000 che
è ha ribadito l’espansione della dimensione della figura dell’infermiere e il nuovo
profilo professionale dell’infermiere, emanato con il
D.M. 739/1994, non
sembrerebbe che vi possano essere più spazi o aree di subordinazione dell’infermiere
al medico come era in vigenza di mansionario. Anzi, vi è ormai una netta separazione
funzionale tra l’attività medica e quella infermieristica. L’infermiere è ora dominus
assoluto e solitario della propria sfera di competenza. Si legga il citato D.M., all’art. 1,
quando dice che l’infermiere (...) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della
persona e della collettività e formula i relativi obiettivi; pianifica, gestisce e valuta
l’intervento assistenziale infermieristico.
Da queste prescrizioni, e dal riconoscimento all’infermiere di «autonomia
professionale», deriva la definizione dell’infermiere come figura professionale
indipendente rispetto al medico, non solo con specifiche competenze, ma con una sua
propria area di competenza nella quale il medico sembra non potersi intromettere173.
Certamente il medico non può più imporre all’infermiere le modalità di svolgimento
di un intervento di competenza di quest’ultimo, ma, soprattutto, non può più indicare
all’infermiere quali attività compiere per soddisfare i bisogni infermieristici del
paziente. Così stando le cose, è evidente che non vi può essere una posizioni di
Ambrosetti F- Piccinelli M. Piccinelli R. La responsabilità nel lavoro medico di equipe – Profili penali e civili – UTET Torino 2003 pag.
81 e segg.
173
77
garanzia del medico in quanto tale circa l’attività del personale infermieristico, non
rientrando più l’attività infermieristica nella sua competenza decisionale, egli non ne
sarà più responsabile.
E quando anche si faticasse concettualmente a scindere l’intervento sanitario, volto
unitariamente alla cura della salute della persona, in due ambiti nettamente separati
quali l’ambito medico e l’ambito infermieristico, il medico non potrebbe comunque
più essere considerato responsabile per le attività specifiche di quest’ultimo poiché
deprivato dei poteri giuridici impeditivi. Essi sono, infatti, il necessario pendant di
ogni posizione di garanzia: un soggetto ha l’obbligo di impedire un evento solo se ha
l’effettivo potere di farlo174. Come si potrebbe ritenere responsabile il medico per un
errore di un infermiere, visto che il medico non ha più alcun potere di indirizzarne la
condotta?
1.2.4 Le funzioni dell’infermiere
Dalla data di entrata in vigore della legge 42/99, sono stati abrogati i cosiddetti
mansionari175 delle tre professioni sanitarie già munite di pieno riconoscimento
giuridico, ossia l’infermiere, l’ostetrica e il tecnico di radiologia: questo disposto è in
genere enfatizzato in congressi ed in autorevoli contributi dottrinali176.
A questo punto, vista l’abrogazione dei mansionari, si pone il problema di delineare,
ove possibile, i confini dell’esercizio professionale degli infermieri (e non solo di
questi).
I metodi che si possono utilizzare per definire gli ambiti di competenza di una
professione possono essere molteplici, in relazione alla disciplina e al metodo
utilizzato per tale ricerca. Sociologicamente, si può arrivare a definire gli ambiti di
Ambrosetti F- Piccinelli M. Piccinelli R. La responsabilità nel lavoro medico di equipe – Profili penali e civili – op. cit. pag. 81 e segg.
vedi anche Vasapollo D. Ingravallo F. Landuzzi F. Su alcune questioni riguardanti la responsabilità professionale del fisioterapista… in Riv.
Dir. Prof. Sanitarie 2 - 2003 pag 73 e segg.
174
Per l’infermiere il D.P.R. n. 225/1974; per l’ostetrica il D.P.R. n. 163/1975 e per il tecnico sanitario di radiologia medica, l’art. 24 del
D.P.R. n. 680/1968.
176
Cavana E., “Considerazioni sulla legge 42/99” in Riv. Dir. Prof. Sanitarie 2, 86-88, 1999.; L. Benci, Professioni sanitarie ... non più
ausiliarie. Il primo contratto di lavoro privatizzato in Riv. Dir. Prof. Sanitarie 2, 3-15, 1999.
175
78
competenza o attraverso uno studio osservazionale dell’attività, o tramite una lettura di
carattere storico-sociale.
In ambito giuridico, invece, i metodi sono fondamentalmente due:
 cercare, attraverso un’analisi della normativa vigente, di delineare gli ambiti di
competenza di una professione;
 escludere dai compiti delle professioni da definire quelle funzioni che le norme
definiscono di competenza di altre professionalità coesistenti.
Utilizziamo il primo metodo. A questo proposito, non occorre soffermarsi sui
principi generali forniti dall’ordinamento giuridico. Questi principi sono propri, infatti,
di tutte le professioni sanitarie. Sono tali, ad esempio, quelli previsti dall’art. 32177
della Costituzione, che ne pone in evidenza il carattere personalistico, riconosce e
tutela i diritti inviolabili dell’uomo, come la vita, l’integrità fisica, la salute e il rispetto
della dignità umana, diritti che neanche la legge può violare. L’art.5 del Codice Civile,
a sua volta, vieta gli atti di disposizione del proprio corpo che diano luogo a
diminuzioni permanenti dell’integrità fisica. Ed ancora, l’art. 50 del Codice Penale,
amplia il concetto di diritto disponibile, fino a comprendervi le lesioni dovute ad
interventi chirurgici, ecc. Lo stesso vale per i principi generali dei codici deontologici
che meriterebbero da soli una trattazione a parte178.
Addentrandoci nella normativa specifica che regola la professione infermieristica, si
deve rilevare da subito che lo stesso art. 1 della legge 42/99 stabilisce un principio
generale per le professioni sanitarie indicando cinque criteri attraverso i quali definire
l’ambito di competenza dell’infermiere: il contenuto del profilo professionale,
l’ordinamento didattico della formazione di base, l’ordinamento didattico della
formazione post base, il codice deontologico degli infermieri, il confronto/limite
imposto dalle professionalità sanitarie coesistenti, come quella medica e quella degli
altri professionisti laureati appartenenti al ruolo sanitario.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Nessuno può essere obbligato ad un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana.
178
Per tutti Calamandrei C. Commentario al nuovo codice deontologico dell’infermiere op. cit.
177
79
In altre parole, la legge 42 del 99 fornisce precisazioni necessarie su alcuni
riferimenti normativi importanti dai quali ricavare i contenuti dell’esercizio
professionale degli infermieri.
La tabella che segue indica, nella colonna di sinistra, le funzioni infermieristiche e,
nella colonna di destra, i riferimenti normativi specifici.
Funzioni infermieristiche
L’infermiere
è
Normativa specifica di riferimento
responsabile
dell’assistenza generale infermieristica
Svolge con autonomia professionale
D.M. 14 settembre 1994, n. 739 art. 1
punto 1179
LEGGE 10 agosto 2000, n.251 art. 1
attività dirette alla prevenzione, alla cura punto 1180
e salvaguardia della salute individuale e
D.M. 14 settembre 1994, n. 739 art. 1
collettiva, e partecipa con gli altri punto 3 lettera a
operatori alla identificazione dei bisogni
di salute della persona e della collettività.
Identifica autonomamente i bisogni di
D.M. 14 settembre 1994, n. 739 art. 1
assistenza infermieristica della persona e punto 3 lettera b
della collettività e
formula i relativi
obiettivi.
Ha l’obbligo di pianificare, gestire e
valutare l’intervento infermieristico
Deve garantire la corretta applicazione
D.M. 14 settembre 1994, n. 739 art. 1
punto 3 lettera c
D.M. 14 settembre 1994, n. 739 art. 1
delle prescrizioni/protocolli diagnostico- punto 3 lettera d;
terapeutici; si attiva per alleviare i
D.P.R. 27 marzo 1992 art. 10181
sintomi, in particolare quelli prevenibili e
D.Lgs 26 maggio 2000 n. 187, art. 5182
si impegna a ricorrere all’uso di placebo
D.P.C.M. 1 settembre 2000 tabella A183
Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere.
Disciplina delle professioni infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione, nonché della professione ostetrica.
181
Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza.
182
Attuazione della direttiva 97/43/eurotom in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti
connesse ad esposizioni mediche.
179
180
80
Funzioni infermieristiche
Normativa specifica di riferimento
solo per casi attentamente valutati e su
Decreto del ministero della sanità 22
agosto 1994, n. 582, art. 4184
specifica indicazione medica.
Codice deontologico infermieri art. 4.1
D.M. 19 dicembre 1990, n. 445185
L’infermiere,
di
Codice deontologico infermiere art. 3.6
emergenza, è tenuto a prestare soccorso e
Decreto 14 settembre 1994, n. 739 art.
ad
attivarsi
in
situazioni
tempestivamente
per 1 punto 3 lettera d;
garantire l’assistenza necessaria. Ha
D.P.R. 27 marzo 1992 art. 4 e 10
l’obbligo di svolgere le altre attività e
Legge
3
aprile
2001,
n.
120
manovre atte a salvaguardare le funzioni (defibrillatori)
vitali previste nei protocolli decisi dal
medico responsabile del servizio. In caso
di calamità si mette a disposizione
dell’autorità competente.
Svolge la sua attività professionale in
Decreto 14 settembre 1994, n. 739 art.
strutture sanitarie pubbliche o private, 1 punto 3 lettera g;
nel
territorio
e
nell’assistenza
domiciliare, in regime di dipendenza o
libero-professionale.
Il D.M. 739/94, all’art. 1 punto 1 e 2, attribuisce all’infermiere la responsabilità
generale dell’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa,
che si realizza attraverso attività di natura tecnica, relazionale ed educativa.
Atto di indirizzo e coordinamento in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività
sanitarie relative alla medicina trasfusionale.
184
Regolamento recante le modalità per l’accertamento e la certificazione di morte.
185
Regolamento concernente la determinazione dei limiti e delle modalità di impiego dei farmaci sostitutivi nei programmi di trattamento
degli stati di tossicodipendenza.
183
81
All’infermiere sono, tra l’altro, assegnati compiti autonomi in materia di
identificazione dei bisogni di assistenza infermieristica e di pianificazione, gestione e
valutazione dell’intervento assistenziale infermieristico186.
Dall’attuale quadro normativo, si evince che non è possibile ricavare una
definizione dettagliata dei compiti del personale infermieristico, la quale
rappresenterebbe, del resto, una forma surrettizia di mansionario. Ciò deriva dal fatto
che le norme vigenti volutamente non ricomprendono la ricchezza delle situazioni
operative e cognitive in cui si trovano a operare gli infermieri, ma fanno riferimento,
così come avviene per le altre professioni sanitarie, al concetto di ambiti di
competenza, enunciando principi generali187. D’altronde un elenco dettagliato delle
attività infermieristiche o delle altre professioni, porterebbe ad una elencazione spesso
non esaustiva, con la necessità di costanti adeguamenti legislativi, vista l’evoluzione
della pratica professionale in campo sanitario, e comporterebbe una rigidità eccessiva,
con possibile contrasto tra la norma giuridica di abilitazione e la visione eticodeontologica.
L’individuazione dell’oggetto peculiare dell’assistenza infermieristica e la sua
differenza con l’assistenza medica, sono evidenziate dalla più avanzata elaborazione
epistemologica sull’argomento, la quale, accanto alla definizione dell’attività medica
nella sua duplice dimensione di diagnosi e prescrizione diagnostico-terapeutica,
identifica l’assistenza infermieristica, di cui la diagnosi infermieristica188 e la
pianificazione per obiettivi dell’assistenza infermieristica costituiscono gli aspetti
salienti, aspetti che si integrano perfettamente con la diagnosi e la terapia medica
nell’esclusivo interesse del malato, senza indebite ingerenze.
Con il criterio dell’esclusione dei compiti attribuiti ad altre figure professionali è
possibile definire con più precisione i confini dell’agire infermieristico. Questa
S. Fucci “La responsabilità nella professione infermieristica - Questioni e problemi giuridici” Op. cit. p. 11.
G.A. Norelli e altri Il ruolo dei professionisti dell’area infermieristica nell’assistenza domiciliare integrata: un primo passo verso il
riconoscimento di un autonomo ambito di operatività e responsabilità in Riv. Dir. Prof. sanitarie, 1/2002; 14-22.
188
A.A.V.V. Guida all’esercizio professionale per il personale infermieristico ostetrico tecnico sanitario e della riabilitazione C.G. Edizioni
Medico Scientifiche p. 177; M.J. Kim; G.K. Mcfarland; A.M. Mclane, diagnosi infermieristiche e piani di assistenza, Sorbona, 1991 ; V.
Dimonte, “tipologia, struttura e sistemi di classificazione delle diagnosi infermiersitiche”.Riv. Infermiere Informazione 5/6 1997 Collegio
Ipasvi di Torino; Zanotti R. la diagnosi infermieristica in wound care secondo NANDA atti congresso Le lesioni cutanee nel 3° millennio
evoluzione di un problema sociale riccione 24 - 27 maggio 2000 a cura di Aislec; L.D. Atkinson, M.E. Murray, Capire il Processo di
Nursing, Ambrosiana, 1994.
186
187
82
modalità di procedere viene richiamata dall’art. 1 della legge 42, alla fine del comma
2, là dove si dispone che vengano fatte salve le competenze previste per le professioni
mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è
richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche
competenze professionali.
Il termine competenze si presta tuttavia ad una duplice interpretazione, scegliendo
l’una o l’altra delle quali il senso del disposto viene a cambiare.
Infatti, per
competenza potrebbe intendersi ciò che compete, ciò che è di pertinenza; ma anche, in
senso difforme, ciò di cui si è competenti, ciò che si ha capacità di fare. In altri
termini, competenza potrebbe essere tanto sinonimo di pertinenza quanto di capacità.
Per quanto concerne la competenza nell’accezione di pertinenza delle professioni
del ruolo sanitario mediche e non mediche (per l’accesso alle quali è richiesto il
possesso del diploma di laurea), interessano principalmente le figure dello
psicologo189, del biologo190, e del medico chirurgo.
In merito alle attività e alle funzioni dello Psicologo, si rileva che non vi sono
competenze sovrapponibili a quelle previste dal profilo professionale dell’infermiere,
2. Formano oggetto dell’attività professionale degli iscritti nella sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 1, comma 2, restando
immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le attività di natura tecnico-operativa in campo psicologico nei
riguardi di persone, gruppi, organismi sociali e comunità, da svolgere alle dipendenze di soggetti pubblici e privati e di organizzazioni del
terzo settore o come libero professionista. In particolare lo psicologo iunior:

partecipa alla programmazione e alla verifica di interventi psicologici e psico-sociali;

realizza interventi psico-educativi volti a promuovere il pieno sviluppo di potenzialità di crescita personale, di inserimento e di
partecipazione sociale;

utilizza il colloquio, le interviste, l’osservazione, i test psicologici e altri strumenti di analisi, ai fini della valutazione del
comportamento, della personalità, dei processi cognitivi e di interazione sociale, delle opinioni e degli atteggiamenti, dell’idoneità
psicologica a specifici compiti e condizioni;

utilizza con persone disabili strumenti psicologici per sviluppare o recuperare competenze funzionali di tipo cognitivo, pratico,
emotivo e relazionale, per arrestare la regressione funzionale in caso di malattie croniche, per reperire formule facilitanti
alternative;

utilizza strumenti psicologici per l’orientamento scolastico-professionale, la gestione e lo sviluppo delle risorse umane;

utilizza strumenti psicologici ed ergonomici per rendere più efficace e sicuro l’operare con strumenti, il comportamento lavorativo
e nel traffico, per realizzare interventi preventivi e formativi sulle tematiche della sicurezza con individui, gruppi e comunità, per
modificare e migliorare il comportamento in situazione di persone o gruppi a rischio;

cura la raccolta, il caricamento e l’elaborazione statistica di dati psicologici ai fini di ricerca.
190
2. Formano oggetto dell’attività professionale degli iscritti nella sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 1, comma 2, restando
immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le attività che implicano l’uso di metodologie standardizzate, quali
l’esecuzione con autonomia tecnico professionale di:
procedure analitico-strumentali connesse alle indagini biologiche;
b) procedure tecnico-analitiche in ambito biotecnologico, biomolecolare, biomedico anche finalizzate ad attività di ricerca;
c) procedure tecnico-analitiche e di controllo in ambito ambientale e di igiene delle acque, dell’aria, del suolo e degli alimenti;
d) procedure tecnico-analitiche in ambito chimico-fisico, biochimico, microbiologico, tossicologico, farmacologico e di genetica;
e) procedure di controllo di qualità.
3. Sono fatti salvi gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente per lo svolgimento delle attività professionali di cui ai commi 1 e 2 da
parte dei biologi dipendenti dalle aziende del Servizio sanitario nazionale.
189
83
in considerazione del fatto che gli interventi assistenziali di natura relazionale previsti all’art.1, punto 2 del D.M. 739/94 - non possono essere intesi come interventi
di carattere psico-terapeutico o psico-educativo, in quanto queste operazioni
presuppongono una precedente attività osservativa, anamnestica e diagnostica, di
natura psicologica, che non appartiene alle funzioni infermieristiche.
In relazione all’attività del Biologo, appare giuridicamente fondato ritenere che
rientri nelle competenze dell’infermiere effettuare degli esami di laboratorio più
semplici, dove per esami semplici vanno intesi quelli comunemente effettuati nei
reparti con apparecchi per cosiddetta autodiagnostica rapida191, in quanto le norme
attuali non hanno ristretto le competenze e funzioni dell’infermiere rispetto a quelle
che erano in vigenza del mansionario (D.P.R. 225/74 art. 2 punto 6) che le prevedeva
dovendosi considerare tali attività come tradizionali dell’esercizio professionale .
Per quanto riguarda la professione di odontoiatra, è contemplato che formano
oggetto della professione di odontoiatra le attività inerenti alla diagnosi ed alla
terapia delle malattie ed anomalie congenite ed acquisite dei denti, della bocca, della
mascella e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione ed alla riabilitazione
odontoiatriche192.
Un discorso più ampio va fatto invece per la professione medica, per la quale la
normativa specifica che ne disciplina le attività è invero scarsa 193. Infatti vi è solo
qualche disposto che regolamenta alcuni aspetti dell’esercizio di quest’ultima
professione. Si tratta, in sostanza, delle norme in materia di accertamento della morte,
di trapianti di organo, di trasfusione di sangue e di trattamenti sanitari obbligatori 194.
Anche l’elencazione delle attività previste dal codice deontologico medico 195 spesso
comprendono compiti che non possono essere considerati “tipici” della professione
medica, ma appaiono condivisibili con altre professioni sanitarie.
Peraltro, la definizione dell’atto medico si connota per la sua difficile
individuazione per motivi che si potrebbero definire storici, in quanto nel nostro
191
Cassazione penale sentenza n. 39087 del 3 novembre 2001.
Legge 24 luglio 1985 n. 409 art. 2.
193
Rodriguez D. Atti XVIII Congresso nazionale Aniarti Accreditamento e certificazione in area critica Bologna, 10 – 11 – 12 novembre
1999.
194
Cazzaniga A. Compendio di medicina legale e delle assicurazioni op. cit. p. 524.
192
84
ordinamento, così come nelle pronunce della giurisprudenza, da sempre si è registrata
una sorta di equivalenza tra l’atto sanitario e l’atto medico.
La Suprema Corte ha affermato che la professione medica si estrinseca
nell’individuare e diagnosticare le malattie, nel prescriverne la cura, nel
somministrare i rimedi anche se diversi da quelli ordinariamente praticati.
Commette il reato di esercizio abusivo della professione medica chiunque esprima
giudizi diagnostici e consigli, ed appresti le cure al malato. 196
Risulta chiaro che questa impostazione lascia adito a dubbi, in considerazione
dell’asserzione che tutte le professioni sanitarie, per definizione, pongono in essere atti
sanitari autonomi che hanno come fine ultimo quello di apprestare le cure al malato;
non essendo logico pensare che tutte queste professioni nell’esercizio professionale
ricadono nella fattispecie prevista dall’art. 348 c.p., è evidente che il concetto di atto
medico debba essere ricondotto alla sua più stretta connotazione venendo meno questa
equivalenza tra atto sanitario e atto medico.
Si consideri inoltre che oggi si è in presenza di numerose categorie professionali
con laurea di primo livello o con laurea specialistica, per le quali lo stesso legislatore
ha riconosciuto un ambito di attività e responsabilità.
In tal senso è possibile affermare che l’individuazione dell’attività peculiare ed
esclusiva del medico può essere intesa come quella facoltà che ha il medico di operare
in termini di diagnosi e prescrizioni terapeutiche, essendo tale il presupposto dell’atto
medico, se è vero, come lo è indubbiamente, che l’intervento terapeutico può
competere anche ad altre professioni o arti sanitarie197.
E’ opportuno chiarire che, in determinati ambiti specifici, per prescrizione si può
intendere anche la presenza di protocolli diagnostico-terapeutici validati, così come
prevede il disposto previsto dall’art.4, del D.P.R. 27 marzo 1992, là dove statuisce che
la responsabilità operativa è affidata al personale infermieristico professionale della
195
Vedi Codice deontologico medico.
Cassazione penale sez. II, 9 febbraio 1995, n. 5838 - in Riv. it. Med. Legale 1997, 475 (s.m.).
197
Norelli G.A., “la funzione di supplenza del codice di deontologia medica”, in Bioetica, deontologia e diritto per un nuova codice
professionale del medico, Giuffrè, Milano, 2000, p 150. Vedi anche Bilancetti M., La responsabilità penale e civile del medico, Cedam,
Padova, 1995, p. 116.; Bami M. Il medico e l’infermiere a giudizio, atti del congresso nazionale sulle responsabilità condivise, Siena, 1997,
Lauri Edizioni, Milano, 1998, p. 122. ; Norelli G.A Mazzeo E. L’obbligo di bene operare e il dovere di prestare assistenza”, in Giusti,
Trattato di medicina legale e scienze affini, Cedam, Padova, 1998, voI. I.
196
85
centrale, nell’ambito dei protocolli decisi dal medico responsabile della centrale
operativa; ovvero dall’art. 10 dello stesso D.P.R. là dove prevede che il personale
infermieristico, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere autorizzato…a
svolgere altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste nei
protocolli decisi dal medico responsabile.
L’infermiere pertanto è legittimato a svolgere autonomamente anche manovre
previste dai protocolli diagnostico-terapeutici, come, ad esempio, l’intubazione
d’urgenza o il posizionamento del casco pressurizzato (scafandro) 198.
Tale impostazione è sicuramente coerente con la seconda accezione del termine
competenza, nel significato di capacità professionale, e assumerebbe un senso ben
preciso anche il richiamo conclusivo dell’art. 1 della legge 42/99 che prevede il
rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali. Tale espressione
rappresenterebbe quindi il riconoscimento delle capacità di fatto acquisite in ambito
professionale da chi è concretamente in grado di padroneggiare o gestire atti,
tecnologie o procedure. In questo senso, l’art. 3.2 del codice deontologico degli
infermieri prevede che l’infermiere assume responsabilità in base al livello di
competenza raggiunto e ricorre, se necessario, all’intervento o alla consulenza di
esperti. Riconosce che l’integrazione è la migliore possibilità per far fronte ai
problemi dell’assistito; riconosce altresì l’importanza di prestare consulenza,
ponendo le proprie conoscenze ed abilità a disposizione della comunità professionale.
Questo articolo del codice deontologico degli infermieri, in virtù del disposto dell’art.
1 della legge 42/99 (che per l’appunto prevede che il proprio campo vada ricavato
anche dal codice deontologico), assume un valore giuridico rilevante. L’affermazione
della norma contiene il richiamo al livello di competenze raggiunto, come misura di
responsabilità, e fa propria una tendenza forte e irreversibile che attraversa ogni
moderna analisi della responsabilità professionale sul piano giuridico: la “critica al
mansionismo”. Pragmatismo e capacità di autovalutazione sono visti dall’istanza
professionale sia come necessarie qualità del professionista, sia come reale strumento
S. Sironi e altri - La CPAP nell’Edema Polmonare Acuto - Esperienza di utilizzo sul territorio con Mezzo di Soccorso di base con
Infermiere Professionale in Minerva Anestesiologica del Maggio 2002.
198
86
di beneficialità199. A supporto di tale tesi si può far riferimento ad un parere del
Ministero della Salute relativo alla possibilità da parte degli infermieri di effettuare
l’emogasanalisi arteriosa nel quale si afferma” l’abrogazione del mansionario e la
individuazione del campo di attività e di responsabilità del professionista sanitario
infermiere fanno presumere che nell’ambito di competenza dell’infermiere ricadono
anche le tecniche considerate affini alle attività di assistenza infermieristica e per le
quali egli abbia ricevuto l’adeguata formazione” concludendo sulla possibilità per
l’infermiere di porre in essere tale pratica purchè adeguatamente formato e sulla base
di specifici protocolli200.
- Consiglio
Superiore di Sanità,
Sessione XLV - Seduta
del 23 giugno 2005 - Il
Consiglio Superiore
di Sanità, Sezione II “Prelievo arterioso”
L’idea della competenza come capacità professionale costringe i diversi
professionisti a ripensare e ridisegnare le competenze delle professioni sanitarie non
mediche con la professione medica. Tutto ciò significa che il campo dell’esercizio
professionale è da intendere, nel quadro delle funzioni previste dalla normativa
vigente, in continuo divenire, destinato a letture di carattere storico-evolutivo, ed in
continua ridefinizione, in rapporto alla formazione (di base o post-base) e al
progressivo abbandono dei modelli tradizionali di medicina e di assistenza sanitaria201.
Una siffatta concezione dinamica delle funzioni è consona alla logica ed allo
sviluppo culturale che ha portato all’attuale situazione di progressiva valorizzazione
delle professioni sanitarie, le quali sono state chiamate a garantire alcune funzioni
Codice deontologico Febbraio 1999 Norme Generali in Riv. L’infermiere n. 6 – 1999.
Ministero della Salute Consiglio Superiore di Sanità, Sessione XLV – Seduta del 23 giugno 2005 – Il Consiglio Superiore di Sanità,
Sezione II - “Prelievo arterioso” in Riv. Professione infermiere n. 2/2006 Periodico del Collegio infermieri Professionali Assistenti Sanitari
Vigilatrici d'Infanzia della Provincia di Bologna
199
200
87
correlate, tra l’altro, con la riorganizzazione del servizio sanitario, con l’evoluzione
rapidissima delle tecnologie in ambito sanitario e con l’impulso in senso
ultraspecialistico della medicina.
A tale riguardo, si deve sottolineare che la sopravvenienza di professioni sanitarie
nuove, o l’istituzione di specializzazioni delle professioni esistenti, comporta la
corrispondente riduzione dell’ambito di attività delle professioni generaliste e non
specializzate, rispetto alle quali non siano indicati compiti tipici202. Il D.M. 739/94,
all’art. 1 punto 5, ha previsto la formazione infermieristica post-base per la pratica
specialistica, formazione intesa a fornire agli infermieri di assistenza generale le
conoscenze cliniche avanzate e le capacità che permettano loro di fornire specifiche
prestazioni infermieristiche.
Non vi sono dubbi pertanto che una figura come sarà, ad esempio, l’infermiere
specializzato in area critica, possa vantare e dimostrare maggiori competenze, e di
conseguenza vedersi attribuita un’autonomia professionale e una responsabilità
maggiori rispetto all’infermiere non specializzato203. In tal senso, una fattispecie
concreta in passato è stata l’introduzione della professione di odontoiatra (l. 24 luglio
1985, n. 409), che ha comportato l’impossibilità per il medico chirurgo di esplicare
attività specifica nel campo dell’odontoiatria204.
Il criterio della riduzione dei compiti in rapporto alla sopravvenienza delle
professionalità, è stato applicato dalla Cassazione penale per accertare la liceità o
meno del compimento delle analisi di laboratorio da parte dei medici. La Cassazione
penale ha concluso nel senso della illiceità di tale attività da parte del medico, in
quanto le norme concernenti, rispettivamente, gli Ordini dei chimici e dei biologi,
disponevano nel senso della possibilità per tali professionisti di compiere le analisi
Massai D. – Amerini A. -Simona Borsellini- S. Bugnoli S. Perchè l'analisi delle competenze in rivista L’infermiere edito dalla
Federazione Nazionalie IPASVI n. 4 /2007
202
R. Iannotta voce Professioni ed arti sanitarie op. cit. p. 4.
203
Corte di Cassazione penale, sez. IV del 4.11.1983 in Cass. Pen. 1986, 283 fattispecie nella quale sono stati ritenuti responsabili alcuni
infermieri di sala operatoria per la somministrazione nel corso di intervento chirurgico di protossido di azoto anzichè di ossigeno a causa
dell’inversione di innesto di tubi portanti i detti gas, anche se l’inversione È stata materialmente effettuata da altri; Vedi anche Benci L.
Professioni sanitarie ...non più ausiliarie. Il primo contratto di lavoro privatizzato, in Riv.di diritto delle professioni sanitarie, 1, 1999.
204
Proprio in rapporto a tale i possibilità si spiega la facoltà di opzione, fra l’iscrizione all’Ordine dei medici chirurghi o a quello degli
odontoiatri, a favore dei laureati in medicina e chirurgia, abili all’esercizio professionale e immatricolati nel corso laurea degli anni
accademici dal 1980-81 al 1984-85 (l. ottobre 1985, n. 471).
201
88
suindicate205. La giurisprudenza, comunque, ha riesaminato la questione pervenendo
ad una conclusione opposta a quella suesposta; infatti la Cassazione ha escluso la
responsabilità penale del medico che compie analisi di laboratorio in funzione del
soddisfacimento di esigenze di patologia clinica206.
Il problema della limitazione dei compiti non si pone in rapporto alla concorrenza di
professionalità definite ausiliarie (personale di supporto dell’infermiere), o comunque
strumentali, rispetto a professionalità superiori; infatti, il titolare della posizione
professionale ausiliata può svolgere i compiti della professionalità ausiliante e non
viceversa207. Elementari esigenze di divisione tecnica del lavoro inducono
naturalmente ad evitare una confusione di ruoli208.
Se invece si volesse sostenere un’interpretazione delle norme rigida e ancorata ad
un passato ove l’atto sanitario equivale ad atto medico, non si spiegherebbe la ratio di
tutte le innovazioni legislative che, passando attraverso l’abolizione dei mansionari, ha
valorizzato la responsabilità degli infermieri fondandola sulle doti professionali e sui
principi deontologici209.
Un’interpretazione rigida sarebbe inoltre in contrasto con la realtà fattuale210 e con
quelle affermazioni che il legislatore, in modo forte, ha voluto porre in essere, alcune
delle quali già ricordate, quali “l’infermiere è responsabile dell’assistenza generale
infermieristica”, oppure l’infermiere ha “un campo proprio di attività e di
responsabilità”, o anche l’infermiere agisce “con autonomia professionale”. Nel
disegno del legislatore la "professione sanitaria" va considerata un lavoro di équipe
con un obiettivo comune, quello del benessere del paziente e i confini tra le
competenze delle singole figure professionali sanitarie non sono più così netti come
erano prima della riforma211.
Cassazione penale, sez. VI, 8 novembre 1985 n. 1048, Informazione previd. 1985, 1283 Dell’Erba; in argomento, v. anche Corte
costituzionale 26 gennaio 1990 n. 29, Foro it. 1991, I,1397.
206
Cass. pen. 26 aprile 1990, n. 1341, Soricelli, in Foro amm., 1990, I, 1977.
207
Cassazione penale 22 dicembre 2003 n. 49116
208
Iannotta R. voce Professioni ed arti sanitarie op. cit. p. 4.
209
Fineschi V. e altri Principi dell’autonomia vincolata, dell’autonomia limitata e dell’affidamento nella definizione della responsabilità
medica Riv. It. Med. Leg. 2001, p. 288.
210
Camisasca S. La centralità del ruolo infermieristico in Assistenza Domiciliare Tesi Diploma Universitario per Infermiere Anno
accademico 2001/02 Università Degli Studi Milano.
211
TAR TRENTINO ALTO-ADIGE - sentenza n. 244 del 29 maggio 2006
205
89
Vi è infatti da rilevare che il rischio di questa mancata riflessione può essere
individuato nel tentativo di supplenza che la magistratura può porre in essere in
determinati casi212.
In conclusione, per competenze previste si deve intendere ciò di cui si è capaci e
professionalmente preparati213.
Il limite è quindi quello da desumersi come limite di carattere professionale, per
tutti quegli atti e quelle attività per cui è necessaria la capacità, il bagaglio di
conoscenze e di esperienza che solo un professionista, in specifici settori avanzati,
può avere214.
1.2.5 L’esercizio abusivo di professione medica
L’art. 348 del c.p. prevede che: chiunque abusivamente esercita una professione,
per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la
reclusione fino a sei mesi o con la multa… Posto che la nuova situazione si presenta
pressoché antitetica rispetto all’interpretazione tradizionale della dottrina e della
giurisprudenza per questa materia: questa, infatti, considerava vincolante per
l’esercizio professionale il possesso del titolo e dell’abilitazione, arrivando ad
affermare che dovevano “considerarsi irrilevanti la perizia, la capacità e l’abilità del
soggetto”215, mentre oggi le doti professionali e i principi deontologici sono posti dal
legislatore come criteri guida per l’esercizio professionale216.
È chiaro che è necessario, per quanto possibile, delineare delle linee di confine
nuove e attuali per la professione infermieristica, pena l’impossibilità di stabilire quali
siano le attività lecitamente esplicabili e quali quelle estranee all’ambito di liceità.
Corrispondentemente, sarebbe preclusa la identificabilità delle attività abusive, in
212
Vedi commento sentenza Tribunale di Torino, Sezione Giudici Indagini Preliminari, Sentenza del 7.11.2000, in Riv.di diritto delle
professioni sanitarie, 3, 2000.
213
Rodriguez D., Professione ostetrica/o - Aspetti di medicina legale e responsabilità, Eleda Edizioni, Milano, 2001, p. 36.
214
Benci L. Le professioni sanitarie (non mediche) - aspetti giuridici, deontologici e medico-legali McGraw-Hill prima edizione p.30.
215
Cassazione penale 9 marzo 1966 in Cass. Pen. 1967,213; Cass. Penale 25 gennaio 1968 in Cass. Pen. 1969,189 vedi anche F. Bricola, V.
Zagrebelscky “Diritto penale - parte speciale” op. cit. p. 386.
216
Fineschi V. e altri Principi dell’autonomia vincolata, dell’autonomia limitata e dell’affidamento nella definizione della responsabilità
medica Riv. It. Med. Leg. 2001, p. 288.
90
quanto svolte da persone estranee alla professione (e, quindi, alla riserva prevista per
gli appartenenti alla professione medesima).
Vi è inoltre il rischio che i professionisti sanitari dell’area infermieristica siano
indotti ad arroccarsi su posizioni molto rigide rispetto ad alcune attività la cui
esecuzione era vietata dai precedenti mansionari o, al contrario, a lanciarsi in attività
proprie del medico, eventualmente supplendo ad una carenza di intervento di
quest’ultimo, specie in quelle strutture dove la presenza del medico non è assidua
(domicilio, strutture residenziali per anziani ecc.).
L’art. 348 c. p. ha natura di norma penale in bianco, in quanto presuppone
l’esistenza di norme giuridiche speciali217, integrative del precetto penale, che
definiscono l’area oltre la quale non è consentito l’esercizio di determinate professioni.
Non
assume rilievo, quale causa di esclusione della responsabilità, l’ignoranza delle
previsioni legislative che disciplinano l’esercizio delle professioni sanitarie,
implicitamente richiamate dall’art. 348 c.p. L’errore su tali norme, costituendo errore
parificabile a quello ricadente sulla norma penale, non ha valore scriminante in base
all’art. 47 c. p. 3° comma218.
La ratio della fattispecie incriminatrice è stata concordemente individuata, in
dottrina e in giurisprudenza, nella opportunità e necessità che ha la Pubblica
Amministrazione di subordinare a cautele l’esercizio di alcune professioni
particolarmente importanti e delicate quali quelle sanitarie, e di garantire ai cittadini
che hanno bisogno di un certo tipo di prestazione professionale, un determinato
standard minimo di qualificazione professionale e morale.219
Le modalità di realizzazione della condotta vietata dall’art. 348 c.p. possono
consistere:
a) in atti compiuti da persona sprovvista dei requisiti per l’esercizio della
professione;
217
In giurisprudenza v. Cass., 1° giugno 1989, RP, 1990,969; Cass., 10 giugno 1986, GP, 1987, II, 257; Cass., 2 dicembre 1985, CP, 1987,
1317; Cass., 28 maggio 1968, CP, 1969, 439.
218
In particolare, l’errata interpretazione di una norma riguardante le mansioni degli infermieri generici si risolve in un errore di diritto, in
ordine alla qualificazione di un determinato comportamento come attività riservata alla professione medica, privo di efficacia scusante.
Pretura Torino 19 ottobre 1985, Riv. it. Med. Legale 1986, 905; Cassazione Penale Sez. VI, sent. n. 1632 del 21-02-1997 vedi anche G.
Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale” Op. cit. p. 334 e segg.
219
Minnella, Professioni, arti e mestieri [esercizio abusivo di], in Enc. giur Treccani, 1991., Vol.. XXIV.
91
b) nel mancato compimento di formalità prescritte, pur possedendo i requisiti per
esercitare la professione220.
Particolarmente significativo risulta il primo punto per cui, per stabilire se vi è stato
esercizio abusivo, occorre evidentemente far riferimento ai contenuti specifici di ogni
professione. Occorre cioè stabilire quali sono le prestazioni, gli atti, che il legislatore
riserva in via esclusiva alla professione medica, impedendo ad ogni altro soggetto
interventi invasivi di quel campo riservato. Ne deriva che il contrassegno essenziale
che bisogna ricercare nell’atto che si suppone abusivamente invasivo, è quello
dell’appartenenza normativamente stabilita allo status professionale di medico.
Da ciò ne deriva che solo quegli atti “propri e tipici”, riservati in via esclusiva ad
una determinata professione, sono oggetto di tutela penale, e non anche quegli atti che,
pur essendo connessi alla stessa professione, possono essere posti in essere da
chiunque vi abbia interesse221, dato che le norme sull’esercizio professionale sono,
oggi, per le professioni sanitarie già ausiliarie, determinate dagli ampi criteri indicati
dalla legge 42/1999 e dai limiti delle competenze previste dalle altre professioni.
Proprio per le caratteristiche della professione infermieristica è necessario tracciare
la linea di confine prevalentemente in rapporto alla professione medica, per la quale
sono rilevabili decisi elementi di indeterminatezza. La determinazione delle attività
riservate soltanto alla professione medica non è propriamente agevole e può risultare
non facile individuare con certezza un comportamento da considerarsi “abusivo” e
penalmente illecito.
L’operazione si mostra ardua, nel momento in cui le nuove norme sull’esercizio
professionale tendono a un allargamento di competenze, che porta inevitabilmente alla
creazione di zone grigie sempre più numerose, le quali non delimitano, ma connotano
zone comuni di competenza tra più professioni (si pensi agli interventi in area critica)
quasi sovrapponibili. Si veda, come esempio, l’ambito di competenza dell’infermiere
con l’infermiere pediatrico, ovvero con l’assistente sanitario; oppure l’area dei biologi
junior e dei tecnici sanitari di laboratorio biomedico.
220
221
Cass., 10 giugno 1986, CP, 1987,2109; Cass., 10 marzo 1989, CP, 1991,1556.
Cass., 15 novembre 1984, RP, 1986, 83; Cass., 29 novembre 1983, CP, 1985, 1058; Cass., 11 maggio 1966,C P , 1967, 212.
92
Forse non è un caso che la casistica giurisprudenziale sull’esercizio abusivo di
professione sia più numerosa laddove le norme indicano chiaramente, come
spartiacque, non la singola attività o funzione, ma la possibilità o meno, per una
determinata professione o arte sanitaria, di porre in essere atti di natura curativa sulla
persona assistita (es. odontotecnico222, biologo223); mentre siano quasi inesistenti per le
professioni quali quella dell’infermiere, nonostante sia esistito un mansionario (D.P.R.
225/74) che elencava un insieme di compiti.
La dottrina ha ripetutamente sottolineato che «il determinare quali atti rientrino
nell’esercizio professionale presenta molte volte difficoltà ed incertezze, per cui, nella
zona grigia fra lecito ed illecito, in difetto di precise norme legislative o regolamentari,
molto è rimesso al prudente apprezzamento del giudice, il quale, per dirimere i dubbi,
considererà soprattutto la ratio legis, e più precisamente i motivi che hanno indotto il
legislatore a prescrivere l’abilitazione per l’esercizio di quella data professione»224.
Appare chiaro che la giurisprudenza dovrà passare da una situazione di evidente
rigidità interpretativa, caratterizzata dall’esistenza stessa di mansionari, ad una
situazione di maggiore flessibilità, con una interpretazione dei ruoli e delle funzioni di
ciascuna figura in modo non precostituito, ma tenendo conto della nuova realtà
formativa con particolare riguardo alla evoluzione delle conoscenze necessarie per
compiere determinati atti.
Le premesse che possono, al limite, valere come parametri generali di condotta
rispetto alla professione medica, sono quelle per cui al personale medico competono le
attività
di
diagnosi
e
prescrizione
diagnostico-terapeutica,
e
al
personale
infermieristico quanto previsto in particolar modo dal D.M. 739 del 94 che in termini
generali attribuisce delle funzioni esclusive all’infermiere, vale a dire la responsabilità
generale dell’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa,
l’identificazione dei bisogni di assistenza infermieristica, nonché la pianificazione,
gestione e valutazione dell’intervento assistenziale infermieristico; oltre alla
responsabilità di garantire le prescrizioni diagnostico-terapeutiche (autonomia
222
Sez. VI, sent. n. 12785 del 22-12-1988; Cass. Pen.Sez. VI, sent. n. 59 del 10-01-1990 ; Cassazione Pen. Sez. VI, sent. n. 11929 del 12-121992; Cass. Pen.Sez. I, sent. n. 2390 del 12-03-1997; Cassazione Penale Sez. VI, sent. n. 2725 del 21-03-1997.
223
Cassazione Penale Sez. VI, sent. n. 1632 del 21-02-1997.
93
vincolata), nel rispetto reciproco delle competenze, escludendo dalla professione
infermieristica anche le attività previste per le altre professioni non mediche. Non crea
invece grossi problemi di interpretazione giuridica la distinzione dell’attività
infermieristica da quella del personale di supporto, il cui campo di azione rimane in
gran parte normato (cfr. Profili di responsabilità nei confronti del personale di
supporto). Questo significa che, in relazione all’acquisizione di nuove conoscenze,
all’avanzamento degli ordinamenti didattici operato con la nuova formazione
universitaria del sistema delle lauree, alla diffusione tecnologica, il limite della
competenza professionale infermieristica, così come è avvenuto per la professione
medica, si sposta continuamente, diventa dinamico, aprendo uno scenario nuovo che,
come è stato notato, è molto stimolante o decisamente inquietante, in funzione del
grado di maturazione, culturale prima che scientifico, delle varie professioni
sanitarie225.
In materia di esercizio abusivo svolto da un infermiere, vi è una sola sentenza
della Corte di Cassazione che si riferisce al un caso di un infermiere che praticava
l’agopuntura ed effettuava diagnosi diverse rispetto a quelle mediche e operava in
"piena autonomia" scelte terapeutiche, consistenti in massaggi, chiroterapia,
somministrazione di farmaci, che effettuava personalmente226.
D’interesse vi sono altre sentenze che riguardano l'abusivo esercizio della
professione di infermiere professionale da parte di infermieri generici che praticavano
prelievi ematici. In tal senso la suprema corte ha stabilito che non è consentito
all’infermiere generico, in assenza d’apposita abilitazione, operare il suddetto prelievo,
essendo irrilevante, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 348 c.p.
l’esistenza di un’autorizzazione o di un ordine dei superiori o solo di una richiesta del
privato paziente. E interessante però far rilevare che la suprema corte in uno dei due
casi non ha condannato il soggetto per il reato di esercizio abusivo di professione
infermieristica ritenendo che le circostanze in cui aveva operato l’agente erano tali da
224
Antolisei F. Manuale di diritto penale - parte speciale op. cit. p. 791 s.; v. altresì MANZINI, 626.
Padovan M., Pagiusco G. Linee guida per l’inserimento di nuove prestazioni nella pratica infermieristica in Riv.di diritto delle
professioni sanitarie, 3/2002 p. 22 ; Benci L. Professioni sanitarie ...non più ausiliarie. Il primo contratto di lavoro privatizzato, in Riv.di
diritto delle professioni sanitarie, 1, 1999.
226
Cassazione penale, Sezione vi, 27 marzo 2003, n. 482, in Riv.di diritto delle professioni sanitarie, 3/2003 p. 188
225
94
giustificare l’erronea convinzione della sussistenza degli elementi costitutivi della
causa di giustificazione dello stato di necessità (la Asl in precedenza aveva autorizzato
tale pratica), in realtà non del tutto sussistenti. In tal senso la Corte di cassazione ha
ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito con la quale era stata applicata la
scriminante dello stato di necessità nella forma putativa all’infermiera generica di un
ospedale che aveva praticato un prelievo ematico ad un paziente, sollecitato con
urgenza dai parenti di quest’ultimo, che avevano rappresentato una situazione di
emergenza (crisi diabetica).227
È di tutta evidenza l’importanza che, anche in questi termini, assume l’esatta
consapevolezza delle proprie conoscenze.
1.2.6 L’esercizio professionale e le funzioni del dirigente infermieristico
Il DPR 128/1969 ha individuato per la prima volta, in concomitanza con il processo di
riorganizzazione dei servizi ospedalieri una figura infermieristica “dirigenziale”, denominata
«Capo dei Servizi Sanitari Ausiliari» (CSSA), preposta al controllo delle attività di
assistenza infermieristica e di supporto al fine di assicurarne il «buon andamento». Il CSSA
era strettamente dipendente del Direttore Sanitario «con il quale collabora per
l'aggiornamento culturale e professionale del personale». Successivamente il nuovo assetto
del sistema sanitario, avviato con la legge di riforma n. 833 del 1978 istitutiva del SSN,
dette avvio ad una serie di provvedimenti normativi relativi al personale sanitario, molti
dei quali riguardavano anche l’infermiere dirigente. In particolare:
- il DPR n. 761 del 1979 - Stato giuridico del personale delle USL – con il quale è
riconosciuta, dal punto di vista giuridico, la figura dell'infermiere dirigente ed istituita la
posizione funzionale di operatore professionale dirigente. L'accesso a tale posizione
funzionale è subordinato al possesso del «diploma di scuola universitaria diretta a fini
speciali», almeno biennale, in tecniche organizzative e manageriali nel settore specifico per
cui è bandito il concorso (DM 30 gennaio 1982, art. 73, punto e);
227
Cassazione penale, 25 novembre 1987, in "Rivista Penale", 1989, p. 181 ; Cassazione penale , Sezione IV n. 1756 del 16 dicembre 2005 depositata il 17 gennaio 2006
95
- il DPR 821/1984 - attribuzioni del personale delle USL – nel quale sono definiti, all'art.
19, il profilo e le attribuzioni dell'operatore professionale dirigente (OPD). Tale operatore
“con funzioni didattica-organizzative provvede al coordinamento delle attività di
formazione professionale del personale o dei servizi assistenziali di competenza...
Nell'ambito dell'attività di organizzazione dei servizi, programma l'utilizzazione del
personale secondo le indicazioni dei responsabili dei servizi e dei presidi e verifica
l'espletamento delle attività del personale medesimo predisponendo, a tal fine, anche i turni
di lavoro e collaborando alla formulazione dei piani operativi e dei sistemi di valutazione
dei medesimi. Svolge funzioni di didattica, nonché attività finalizzate alla propria
formazione. Ha la responsabilità dei propri compiti limitatamente alle prestazioni e alle funzioni che per la normativa vigente è tenuto ad attuare nonché per le direttive e le istruzioni
impartite e per i risultati conseguiti”.
In una fase successiva il D.M. 13 Settembre 1988 "Determinazione degli standard del
personale ospedaliere" al secondo comma del punto C dell'ari. 4, esprime la
determinazione l'assegnazione degli Operatori Professionali Dirigenti "...ne! numero di
uno ogni presidio ospedaliero, con maggiorazione di uno ogni 500 posti letto...." e si
stabiliscono in modo puntuale funzioni e collocazione dell'Operatore Professionale
Dirigente prevedendo che "...gli operatori professionali dirigenti sono da inserire
presso le Direzioni Sanitarie con la responsabilità della programmazione,
coordinamento e controllo dei servizi infermieristici, della promozione delle tecniche
dell'assistenza infermieristica, del controllo della qualità dei servizi infermieristici, da
realizzare all'interno dei gruppi di lavoro di presidio ....e della promozione e
coordinamento della formazione permanente del personale infermieristico ....".
Con la terza riforma sanitaria intervenuta con il D.Lgs. 229/99 viene abrogato il DPR
128/1969, eliminando così la norma che regolamentava a livello nazionale il «Capo dei
Servizi Sanitari Ausiliari». Inoltre con il C.C.N.L. Comparto Sanità 1998/2001 sono state
disapplicate una serie di norme, e fra queste, anche il DPR, 7 Settembre 1984, n. 821.
nel contempo lo stesso contratto definisce l'Infermiere Dirigente "Collaboratore
professionale sanitario esperto" e le competenze attribuitegli sono: "...programma,
nell'ambito dell'attività di organizzazione dei Servizi sanitari -quali, ad esempio, quelli
96
infermieristici - la miglior utilizzazione delle risorse umane in relazione agli obiettivi
assegnati e verifica l'espletamento delle attività del personale medesimo. Collabora
alla formulazione di piani operativi e dei sistemi di verifica della qualità ai fini
dell'ottimizzazione dei servizi sanitari... Assume responsabilità diretta per le attività
professionali cui è preposto e formula proposte operative per l'organizzazione del
lavoro nell'ambito dell'attività affidatagli...coordina le attività didattiche tecnicopratiche e di tirocinio, di formazione (quali, ad esempio, diploma universitario,
formazione complementare, formazione continua) del personale appartenente ai profili
sanitari a lui assegnati".
Rispetto ai cambiamenti normativi suddetti, la Legge 10 agosto 2000, n. 251, «Disciplina
delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione
nonché della professione ostetrica», costituisce una tappa importante di questo lungo e
travagliato percorso di sviluppo. Punti di forza di questa legge sono:
 la valorizzazione del ruolo e delle funzioni della professione infermieristica (art. l);
 il riconoscimento in termini programmatici della dirigenza infermieristica (art. 6);
 la possibilità per le Aziende sanitarie di istituire i servizi di assistenza infermieristica
ed ostetrica e partecipazione del dirigente infermieristico al collegio di direzione
(art. 7).
Occorre a questo punto, alla luce della normativa vigente, definire le funzioni e
competenze del dirigente infermieristico in possesso della Laurea Specialistica in Scienze
Infermieristiche e Ostetriche. In primo luogo possiamo dire che attualmente le posizioni e
le competenze del Laureato in Scienze Infermieristiche e Ostetriche spaziano dalla
direzione del Servizio Aziendale di assistenza infermieristica, al coordinamento di un
dipartimento o unità complessa, o di una équipe, al coordinamento dell'aggiornamento del
personale e della formazione permanente, al ruolo di formatore, di docente etc.
In ragione della normativa citata le funzioni del dirigente infermieristico sono definiti, cosi
come previsto dall’art. 1 della legge 42/99 dal profilo professionale, dal codice
deontologico e dagli ordinamenti didattici di base e post base. Pertanto le funzioni
specifiche non possono che essere ricavate da ciò che il legislatore nazionale ha definito per
questa professione e in modo specifico la dove con il D.M. 2 aprile 2001 prevede che:
97
Al termine del corso di studi, i laureati specialisti nella classe, nell'ambito della specifica
figura professionale, sono in grado di:
-
comprendere, attraverso i metodi epidemiologici, i bisogni sanitari della comunità
e i fattori socioculturali che li influenzano ai fini della programmazione dei servizi;
-
costruire, sulla base dell'analisi dei problemi di salute e dell'offerta dei servizi,
un sistema di standard assistenziali e di competenza professionale;
-
applicare i fondamenti metodologici della ricerca scientifica all'assistenza,
all'organizzazione dei servizi pertinenti e alla ricerca;
-
approfondire e sviluppare l'analisi storico-filosofica del pensiero assistenziale;
-
approfondire i fondamenti teorici disciplinari al fine di analizzarli criticamente,
produrre modelli interpretativi, orientare la ricerca e l'assistenza pertinente;
-
approfondire il processo decisionale per una soluzione efficace di problemi
assistenziali e organizzativi;
-
analizzare i principali approcci metodologici relativi ai sistemi di classificazione
dei fenomeni di interesse pertinenti;
-
approfondire e rielaborare i principi e le tecniche della relazione di aiuto e della
conduzione dei gruppi;
-
approfondire le conoscenze delle influenze socioculturali e biopsichiche sul
comportamento umano come base per una migliore comprensione di sé e degli
altri;
-
progettare e rendere operativi modelli assistenziali innovativi basati su risultai di
ricerca per la prevenzione e gestione dei problemi prioritari di salute della
comunità;
-
supervisionare
l'assistenza
pertinente
e
fornire
consulenza
professionale
utilizzando informazioni di comprovata evidenza scientifica, un approccio globale
e personalizzato alle diverse esigenze degli utenti, applicando i modelli teorici e
promuovendo il confronto multi professionale;
98
-
progettare e attuare modelli di organizzazione dei servizi infermieristici o
nell'ambito dei servizi sanitari;
-
progettare e coordinare interventi organizzativi e gestionali diversificati, finalizzati
allo sviluppo di una efficace ed efficiente azione professionale;
-
negoziare, selezionare, assegnare le risorse del personale tecnico in relazione agli
standard di competenza professionale e ai carichi di lavoro delle specifiche aree
assistenziali;
-
valutare le competenze del personale per accrescerne le potenzialità professionali;
-
contribuire alla definizione di un piano sistematico di miglioramento continuo
della qualità e definire standard e indicatori condivisi per la valutazione
dell'assistenza pertinente;
-
progettare percorsi formativi di base, specializzanti e di formazione continua
pertinenti ai bisogni dei destinatari e correlati ai problemi di salute e dei servizi;
-
sviluppare l'insegnamento disciplinare infermieristico o infermieristico pediatrico
o ostetrico;
-
sviluppare l'analisi storico filosofica del pensiero assistenziale infermieristico,
infermieristico pediatrico o ostetrico;
-
applicare le cognizioni fondamentali dei valori etico deontologici del rapporto tra
la persona, la malattia, le istituzioni sanitarie e gli operatori al fine di sviluppare le
capacità di giudizio etico e di assunzione delle responsabilità;
-
sperimentare strategie e interventi orientali alla complessità relazionale
dell’assistenza pertinente alla specifica figura professionale e ai processi di
educazione alla salute;
-
gestire gruppi di lavoro e strategie per favorire processi di integrazione multi
professionali e organizzativi;
-
approfondire i modelli di apprendimento dall'esperienza per condurre processi di
formazione professionalizzante;
99
-
approfondire l'applicazione di modelli e strumenti di valutazione dei processi di
apprendimento, dell'efficacia didattica e dell'impatto della formazione sui servizi
-
applicare, in relazione allo specifico contesto operativo, metodologie didattiche
formali e tutoriali;
-
progettare e realizzare, in collaborazione con altri professionisti, interventi
educativi e di sostegno del singolo e della comunità per l'autogestione e il
controllo dei fattori di rischio e dei problemi di salute;
-
identificare specifici problemi e aree di ricerca in ambito clinico, organizzativo e
formativo;
-
verificare l'applicazione dei risultati di ricerca in funzione del continuo
miglioramento della qualità dell'assistenza;
-
sviluppare la ricerca e l'insegnamento riguardo a specifici ambiti della disciplina
pertinente alla peculiare figura professionale e dell'assistenza;
-
analizzare l'evoluzione e i cambiamenti dei sistemi sanitari;
-
approfondire le strategie di gestione del personale e i sistemi di valutazione dei
carichi di lavoro;
-
approfondire i sistemi di valutazione e di accreditamento professionale;
-
analizza l’evoluzione e i cambiamenti dei sistemi sanitari.
In merito ad una sovrapposizione di funzioni tra il dirigente infermieristico e i sanitari
medici responsabili di struttura complessa il TAR della regione Lombardia ha avuto
modo di affermare che “non vi è sovrapposizione tra le funzioni del dirigente
infermieristico, che si collocano a livello organizzativo, con quelle dell’esercizio
dell’attività professionale da parte degli infermieri… affermando inoltre che la più
efficiente e funzionale organizzazione del corpo infermieristico non potrà che tradursi
in un vantaggio per l’intera struttura ospedaliera, ferma la necessità di un attento
controllo da parte del Direttore sanitario, cui debbono egualmente rispondere
100
collaborativamente sia i dirigenti sanitari sia il SITRA per voce della sua Responsabile
ad evitare problemi di sorta”228.
Dall’analisi sopra descritta risulta evidente che, nell’ambito della funzione
assistenziale, il dirigente infermieristico ricopre un ruolo specifico che ha competenze
avanzate in aree assistenziale, formativa, ricerca, prevenzione management sanitario,
programmazione e gestione. L’esperienza operativa quotidiana attesta che c’è bisogno
che l’assistenza infermieristica sia coordinata e diretta dai professionisti infermieri
dirigenti se si pensa ad una sanità più appropriata sia in termini di efficacia che di
efficienza.
2
LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DELL’INFERMIERE
2.1 L’errore in campo sanitario
Nell’ultimo decennio, si è progressivamente diffusa, una nuova cultura in campo
sanitario, finalizzata al miglioramento continuo della qualità ed alla valutazione dei
risultati.
E’ evidente che la prevenzione dell’errore e il contenimento del rischio (Risk
Management) si inserisce nell’ambito di una valutazione più globale della qualità e di
analisi degli outcome.
Il ministero della salute con un D.M. del 5 marzo 2003 ha istituito la commissione
tecnica sul Rischio Clinico la quale ha raccolto i risultati di alcuni studi internazionali
sul problema della diffusione dell’errore in ambito sanitario dai quali emerge che gli
venti avversi prevenibili (sul totale) sono superiori al 35 %229.
Per quanto riguarda il nostro Paese, dobbiamo evidenziare che solo negli ultimi anni vi
è stato un progressivo miglioramento per ciò che riguarda la raccolta dei dati di tipo
228
TAR regione Lombardia sentenza n. 274 del 19/02/2007
Vedi relazione Risk management in Sanità II problema degli errori redatta dalla Commissione Tecnica sul Rischio Clinico istituita istituita
con DM 5 marzo 2003- Roma, marzo 2004
229
101
statistico ed epidemiologico. Una casistica in tema di errore medico è quella di
Introna230. L’ Autore in uno studio retrospettivo, nel presentare un’ampia casistica
personale di 700 casi giunti all’osservazione peritale (378 d’ufficio e 322 di parte, nell’
arco di tempo compreso tra il 1950 ed il 1° semestre del 1995), perviene alla
conclusione che l’ errore medico era stato evidenziato in 289 circostanze (41,29%), il
non-errore in 352 casi (50,29%) mentre in 59 evenienze (8,42%) esisteva una
divergenza tra il parere personale e quello di un altro esperto di pari livello
accademico. L’ANIA, nel 1999, nel ritenere “insostenibile” dalle Compagnie di
assicurazione il rischio sanitario, ha stimato che il rapporto premi/sinistri sia di uno a
tre, con una massa di premi assicurativi di circa 300 miliardi di lire e di sinistri risarciti
per circa 900 miliardi di lire231.
Secondo un’altra fonte, pubblicata su Assinews nel dicembre del 1999,
sarebbero in corso nel nostro Paese oltre 12.000 cause per presunto errore medico, per
un costo sociale di oltre 5 mila miliardi di lire.232
Nell’atlante della sanità italiana, realizzato dal Dipartimento di Sanità
dell’Università Tor Vergata di Roma, dall’ISTAT, dalla Direzione centrale per le
indagini sulle Istituzioni Sanitarie e da Farmindustria, per quanto riguarda il triennio
1995-1997, si evidenzia che le morti cosiddette evitabili nel nostro Paese sono state
336.000 (tra i 5 ed i 69 anni di età) sul totale di 2.200.000 decessi nel triennio: di
queste 79.000 sono state provocate da carenze di natura igienica e da disfunzioni
organizzative, 25.000 per mancata diagnosi precoce e/o per il ritardo di terapie
mediche ritenute necessarie.
Un’altra fonte è rappresentata dal Rapporto del Censis pubblicato nel 2001 che ha
analizzato 340 articoli pubblicati nel 2000 su quotidiani e periodici nazionali, in cui
sono segnalati:
143 casi di danni subiti da pz attribuiti ad errore o a disfunzione con 78 decessi
230
Introna F., “L’epidemiologia del contenzioso per Responsabilità medica in Italia e all’estero”, in
Rivista Italiana di Medicina Legale, 1996; 1: 76-79
231
Il Sole 24 ore del lunedì, 4 ottobre 1999, n. 271 p 23
232
F. Cembrani. “Aspetti deontologici della relazione medico infermiere”, in Rivista del Diritto delle
Professioni Sanitarie, 2000; 3: 162-173
102
con una precisa responsabilità attribuita nel 10% dei casi (48% ad errore medico e
33% a difetti organizzativi della struttura).233 Il Tribunale per i Diritti del Malato
identifica nel 28% la percentuale dei contatti relativi a sospetti errori di diagnosi e
terapia gestita dalla sede nazionale e le aree nelle quali si registra il maggior numero di
segnalazioni da parte dei cittadini: in ordine decrescente Ortopedia, Chirurgia
generale, Ostetricia e Ginecologia. Recentemente sono comparsi numerosi articoli che
trattano questo tema sia in termini quantitativi sia gestionali.234 Un importante
contributo per la valutazione di impatto del rischio in ambito sanitario è arrivato dalla
Direzione Generale della Sanità della Regione Lombardia che ha avviato, sul finire del
2004, un Progetto di Mappatura dei Sinistri di Responsabilità Civile Terzi e Operatori
denunciati dalle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere facenti capo al Servizio Sanitario
Regionale e sulle relative coperture assicurative RCT/O. Si tratta del primo progetto di
censimento ed analisi su così larga scala effettuato in Italia (29 Aziende Ospedaliere e
15 Aziende Sanitarie Locali) e in ambito territoriale omogeneo. Dai dati emerge
Pur mancando dati quantitativi in grado di determinare le dimensioni del problema a
livello nazionale, nel nostro Paese, l’ampia problematica sollevata dalla frequenza
degli errori in ambito sanitario è stata discretamente affrontata sotto il profilo
concettuale235.
Rispetto alla problematica dell’errore in campo umano, vale a dire quando l’esito di
una azione non ha raggiunto i risultati che ci si era prefissati, bisogna dire che i
meccanismi che sono all’origine dell’errore, sono stati ampiamente studiati dalla
psicologia cognitivista che, in particolare, ne ha definito le tipologie, ben al di là dei
tradizionali parametri costitutivi della colpa che costituiscono il centro dell’indagine
medico-legale in ambito di “malpractice”.
Per comodità espositiva possiamo classificare gli errori in: errori attivi ed errori
latenti.
233
Tale fonte è ampiamente commentata da Introna F. in Rivista Italiana di Medicina Legale, Un
paradosso: con il progresso della medicina aumentano i processi contro i medici, 2001, p 879
234
Gasparro N. “ il Risk management e la gestione del contenzioso” Riv. Panorama sanità n. 48 del 20 dicembre 2004 pag. 12 e
segg. – Muttillo G., Fucci S. L’incidenza dell’errore in sanità In Rivista IO Infermiere del Collegio IPASVI Milano-Lodi N. 4/2004
235
R. Cinotti “ La gestione del rischio nelle organizzazioni sanitarie” op. cit. - vedi anche AAVV l’Approccio sistemico e cognitivo
all’errore umano in medicina in Riv. Diritto Professioni Sanitarie n. 1 2002 pag. 4-13.
103
Gli errori attivi: sono
gli errori materiali compiuti dagli operatori quelli più
facilmente individuabili in quanto fattori scatenanti dell’incidente. Questi errori si
collocano a livello di persone e quindi il loro riscontro coincide spesso con
l’identificazione di una responsabilità individuale. Questi errori possono essere:
1. Errori di esecuzione che spesso accadono nell’esecuzione automatica di compiti
di routine
 Errore d’attenzione o percezione (Slip): quest’errore nasce da una azione
non in accordo con le intenzioni. La pianificazione è valida ma l'esecuzione
è carente. Si tratta di errori di azione commessi nello svolgimento di attività
routinarie. L'automatismo dell'azione fallisce quando un qualcosa di non
previsto interferisce con l'azione (L’infermiere si è distratto ed ha praticato
un prelievo ad un paziente diverso da quello che aveva in mente).
 Errore di memoria (Lapsus): un errore conseguente ad un fallimento della
memoria che non si manifesta necessariamente nel comportamento
oggettivo e che risulta evidente solo per la persona che lo esperisce.
2. Errori legati alla pianificazione o al giudizio (Mistake).
 Le azioni si realizzano come sono state pianificate ma è il piano stesso a non
essere valido. Si tratta di errori di intenzione (giudizio, inferenza, valutazione)
conseguenti a giudizi e valutazione sbagliate da cui ne consegue una
pianificazione delle azioni non idonea al raggiungimento dell'obiettivo. Questi
sono di due tipi:
1. il primo tipo è quando è scelta la regola sbagliata a causa di una errata
percezione della situazione (es. farmaco sbagliato rispetto alla patologia
da trattare) oppure nel caso di un errore nell'applicazione dì una regola
(il farmaco è adeguato ma le dosi e il tipo di somministrazione non è
corretta oppure il farmaco non si può somministrare al dosaggio
prescritto)236 .
236
Rule based mistake
104
2. Il secondo tipo è dovuto alla mancanza di conoscenze o alla loro
scorretta applicazione (la imperizia si può inquadrare in tale tipo di
errore).
Il risultato negativo dell'azione risiede nelle conoscenze
sbagliate che la hanno determinata237.
Tale errore è insito nella
razionalità limitata o comunque nella difficoltà di dare risposte a
problemi che presentano una ampia gamma di possibili scelte.
Gli errori latenti possono invece essere descritti attraverso una metafora nella quale,
gli errori latenti, sono rappresentati da agenti “patogeni” i quali rimangono latenti
all’interno dell’organismo, incapaci di per sé di causare una sintomatologia
conclamata, ma che, in connessione con altri fattori eziologici ed in condizioni
facilitanti, possono dare origine ad un evento patologico. Allo stesso modo in tutte le
organizzazioni sono presenti elementi potenzialmente dannosi, quanto più essi sono
numerosi, tanto più probabile sarà possibile il verificarsi di una combinazione
scatenante. Gli errori latenti sono attività distanti nel tempo, sia in termini di tempo
che di spazio. Tra gli errori latenti possono essere annoverati gli errori legati alle
tecnologie ad esempio gli errori di progettazione, la mancata manutenzione delle
apparecchiature, l’insufficiente addestramento all’uso d’apparecchiature; gli errori
gestionali ad esempio una scorretta distribuzione dei carichi di lavoro, una pressione
temporale eccessiva, gli errori o meglio le carenze di leadership come la non chiarezza
dei compiti, degli obiettivi e delle responsabilità, la mancata motivazione del
personale, errore nella stesura di protocolli assistenziali, percorsi assistenziali, errori
basati su consuetudini errate (es. preparazione della terapia infusionale dagli infermieri
del turno precedente) ecc.
Fino ad oggi la maggior parte degli sforzi compiuti per ridurre l’errore si sono
concentrati sull’individuazione di errori attivi, ovvero gli errori materiali compiuti
dagli operatori che sono solo la punta dell’iceberg. Recentemente si è posto in
evidenza l’importanza degli errori di origine organizzativa, i cosiddetti errori latenti.
237
Knowledge based mistake
105
Un approccio sistemico allo studio degli errori ha portato alla sviluppo della la teoria
degli errori latenti238. Il presupposto di base di questo approccio, risiede nella
convinzione, che per un incidente che ha avuto luogo ce ne siano stati molti altri che
non sono avvenuti solo perché l’operatore, un controllo, hanno impedito che
accadesse, i cosiddetti quasi errore239.
Spostare l’attenzione dalla ricerca dell’errore attivo alla ricerca ed individuazione
dell’errore latente, ovvero delle carenze del sistema in cui si svolge l’attività degli
operatori, significa trasferire anche il livello di responsabilità verso il gestore del
sistema che costruisce l’ambiente operativo attraverso l’architettura organizzativa
(linee guida, percorsi assistenziali, procedure e istruzioni operative): il focus è
rappresentato dalle condizioni nelle quali accade l’errore. A quest’ultimo approccio
dovrebbe tendere un sistema che voglia ridurre l’incidenza degli eventi avversi.
Generalmente l’operatore è la causa più prossima all’evento accidentale, ma la
cosiddetta root cause (causa generatrice) è, molte volte, da ricondurre a decisioni
manageriali e scelte organizzative sbagliate. Questo approccio sistemico si basa
sull’assunto che il verificasi di un incidente sia frutto di un concatenarsi di molte
concause nessuna di queste da sola sufficiente a produrre l’evento ma tutte queste
allineate tra di loro riescono a superare le barriere poste in essere dall’organizzazione e
quindi portare ad un evento dannoso. Reason ha chiarito in maniera più precisa il
significato d’errore latente, attraverso il modello del formaggio svizzero (figura 1).
238
Reason 2000 2001 vedi anche R. Cinotti “ La gestione del rischio nelle organizzazioni sanitarie” Roma Il Pensiero Scientifico
Editore 2004 p. 15
239
Near miss events (Nashef, 2003).
106
Fig.1
Ogni fetta di formaggio rappresenta una barriera difensiva posta in essere
dall’organizzazione. Questi strati nelle organizzazioni sanitarie complesse sono di
diverso tipo : alcuni sono basati sull’affidabilità dei sistemi ingegnerizzati,
sull’affidabilità degli individui, sui controlli, sui protocolli ecc. Se immaginiamo l'organizzazione del nostro servizio sanitario (ad esempio un ospedale, ma anche
l'organizzazione dell'assistenza territoriale) come formata da una serie di settori di
intervento (immaginiamoli come delle fette del formaggio) che agiscono in serie, allora
in ogni fetta vi possono essere dei buchi che rappresentano i cosiddetti errori attivi o
latenti.
I primi li dobbiamo pensare (diversamente da ciò che accade nel grouviera, il famoso
formaggio svizzero con i buchi) come fori molto mobili, che si aprono e si richiudono
molto velocemente, che si spostano in vari punti possibili della stessa fetta. Questi
buchi mobili coincidono con errori individuali (errori attivi) i più vari (esempio
somministrazione sbagliata di un farmaco, procedura terapeutica non corretta,
preparazione non idonea del paziente ad un intervento chirurgico, ecc.) ma di solito
non lasciano tracce né conseguenze rilevanti. Cosa diversa è rappresentata dagli errori
latenti che possiamo raffigurare come dei fori nel formaggio ben più duraturi e poco mobili.
Questi errori sono legati alla progettazione organizzativa del reparto, all'insieme delle
regole che determinano le modalità lavorative; si pensi al fatto che manca di un rapporto
107
sistematico fra unità operative e servizi, l'organizzazione dei turni estivi non è progettata
intorno alla continuità delle cure, l'organizzazione non prevede la sicura presenza dei
protocolli operativi e dei relativi sistemi dì controllo di adesione, il consenso informato è più
un adempimento burocratico che un momento dell’assistenza. Questi fori durano molto a
lungo nel tempo, fino a quando nuove procedure, linee guida, comportamenti, non
vengono introdotti formalmente nell'ambiente lavorativo. Tutte le fette di formaggio che
nell’insieme che configurano le varie fasi del percorso assistenziale del nostro paziente,
possono quindi contenere occasioni di errore, i cosiddetti errori "latenti" che non aspettano
altro che di poter emergere. Ma ciò non accade molto spesso, se non quando i fori nelle
varie fette si allineano fra di loro e non esistono quindi più meccanismi di tolleranza e
compenso nel percorso delle varie fasi successive. È solo allora che, per puro caso,
l’allineamento dei fori determina il passaggio da "rischio" ad "evento".
Prendendo solo a titolo di esempio l’adozione di un percorso assistenziale i buchi possono
derivare dal fatto che:
 Il percorso si può applicare solo alla media dei pazienti e non prende in
considerazioni le situazioni particolari,
 ci sono problemi quando vi è la presenza di più patologie per lo stesso
paziente240,
 a volte viene costruiti senza tenere conto del contesto operativo in cui sara
applicato;
 non viene revisionato in relazione di nuove acquisizioni scientifiche o
modifiche organizzative.
Ritornando alla gestione del rischio, quale metodica di prevenzione degli errori, questa
si fonda su alcuni strumenti e/o fasi che sono:
A. L’identificazione del rischio attraverso:

Metodi passivi - segnalazione degli eventi avversi e degli eventi
sentinella (scheda di segnalazione spontanea dell’evento avverso –
anonimato)
240
Morosini P. e altri “ Qualità professionale e percorsi assistenziali” " op.cit.p. 26
108

Metodi attivi – analisi dei dati di letteratura, analisi dei dati tratti dalle
cartelle dei pazienti, analisi delle segnalazioni guasti alle apparecchiature
elettromedicali, analisi dei reclami e delle segnalazioni di disservizio, analisi
degli esposti all’autorità giudiziaria e dei casi di responsabilità civile,
integrazione di tutte le fonti informative.
B. L’analisi dei rischi che è basata su numerosi strumenti elaborati dalla letteratura
tra questi, uno strumento che deriva dagli studi sull’affidabilità meccanica, che
solo recentemente è stato utilizzato nell’ambito dell’analisi sull’affidabilità
umana in campo sanitario, viene definito FMEA (Failure modes and effcts
analysis) . È un modello flessibile utilizzato sia per considerare gli errori attivi
dei singoli operatori che dei teams di lavoro e consente di individuare gli errori
latenti che sottendono quelli attivi. Può essere facilmente applicato a tutto il
processo del lavoro o a parti selezionate. L’obiettivo consiste nel rendere
evidenti gli errori latenti del sistema che altrimenti resterebbero oscuri.
L’analisi fatta con questo strumento (fig.2) vuole rispondere ad alcune domande
che sono:

quali caratteristiche del sistema non sono state in grado di impedire che
uno slip, un mistake o una violazione evolvesse in un incidente-infortunio?

quali cambiamenti del sistema potrebbero impedire che un errore attivo
contribuisca alla sequenza di eventi che culmina in un incidente- infortunio?
Lo scopo di tale metodica non è rivolta alla ricerca del responsabile o delle
responsabilità professionali, ma delle cause che hanno permesso l’evento
sfavorevole al fine di prevenire e migliorare la qualità del lavoro.
Figura 2
- FMEA
109
Evento
sfavorevole
Istituzione di
un gruppo di
lavoro
Raccolta dei dati
Errori attivi
- Violazioni
- Errori di
pianificazione
- Errore d’attenzione o
percezione
- Errori di memoria
Errori latenti
- Design tecnologico
e manutenzione
Analisi dei fatti
-
-
MISURE
DI
Comunicazione
interna
Gestione del personale
Procedure e
organizzazione del
lavoro
PREVENZIONE
Es. Revisione del percorso
assistenziale
C. Successivamente all’analisi dei rischi e degli eventi è necessario procedere ad
un piano di trattamento dei rischi che deve prevedere sia la priorità di
intervento, rispetto ai rischi rilevati, sia un’analisi di fattibilità del piano stesso;
onde evitare che tutto il lavoro si concluda in un progetto senza possibilità di
realizzazione delle azioni previste. Il piano di trattamento dei rischi può porsi
110
come obiettivo la eliminazione dei rischi, la riduzione degli stessi,
l’accettazione dei rischi in quanto non vi sono le condizioni necessarie per
eliminarli o ridurli in questo caso è opportuno spostare il rischio sulle
assicurazioni. Un esempio di trattamento potrebbe essere la revisione del
percorso assistenziale basato sull’evidenze scientifiche.
D. Infine è necessario che vengano definiti degli indicatori sia quantitativi che
qualitativi che servano a monitorare l’efficacia della azioni correttive poste in
essere nella fase di trattamento. Per il monitoraggio possono essere utilizzate sia
le cartelle dei pazienti (cartella medica e infermieristica) sia i database presenti
nella struttura (registrazioni SDO), sia le segnalazioni o gli eventi sentinella .
Va detto che è importante monitorare gli eventi avversi, ma che gli eventi
avversi possono non essere sufficienti per rendersi conto del reale problema
poiché sono solo la punta di un iceberg.
2.2 Introduzione al concetto di responsabilità
L’abolizione del c.d. mansionario (D.P.R. 225/74), della definizione di “ausiliario”
e la definizione delle fonti del campo di attività
relativamente alla professione
infermieristica, operata con l’approvazione della legge n. 42 del 1999, ha certamente
accentuato, oltre alla rilevanza del ruolo dell’infermiere, anche i suoi possibili ambiti
di responsabilità241. Di responsabilità della professione infermieristica si discute in
modo sistematico ancor prima della emanazione della legge 26 febbraio 1999, n. 42,
“Disposizioni in materia di professioni sanitarie” ed il tema in questione ha fatto
registrare un costante sviluppo dottrinario ed applicativo, tanto da farne un argomento
di primaria importanza nella sanità242.
241
Per un approfondimento giurisprudenziale vedi TAR TRENTINO ALTO-ADIGE - sentenza n. 244 del 29 maggio 2006
Vedi Fucci S. La responsabilità nella professione infermieristica - Questioni e problemi giuridici Masson prima edizione- Benci L. Le
professioni sanitarie (non mediche) - aspetti giuridici, deontologici e medico-legali McGraw-Hill prima edizione - Carrubba S. - Manuale di
legislazione e organizzazione sanitaria nazionale e internazionale- Ed. Rassegna Culturale J.M. (1994)
242
111
A prescindere dalle pronunce giurisprudenziali (di cui tratteremo in seguito), che
dimostrano l’esistenza di una responsabilità dell’infermiere nell’esercizio della
professione, il concetto di responsabilità, con riferimento alla professione
infermieristica, ricorreva, infatti, anche all’interno di altre norme dello Stato.
La prima fonte normativa, e più precisamente l’art. 41 del D.P.R. 384/1990 (che
recepiva il contratto dei dipendenti delle USL per il periodo 1988-1990), nell’istituire
la figura dell’operatore tecnico addetto all’assistenza e dell’ausiliario specializzato
addetto ai servizi socio sanitari, precisava che tali figure operano sotto la diretta
responsabilità del Caposala, o in sua assenza dell’infermiere professionale
responsabile del turno di lavoro. In presenza di più infermieri professionali all’interno
del turno di lavoro la responsabilità è condivisa da tutti. Successivamente ritroviamo
il sostantivo “responsabilità” nel D.P.R. 13 marzo 1992 “Atto di indirizzo e di
coordinamento alle Regioni ... in materia di emergenza sanitaria”, che testualmente,
all’art. 4 secondo comma, prevede che “la responsabilità operativa è affidata a
personale infermieristico professionale.” Pur se riferita alla dimensione operativa, è la
seconda volta che compare esplicitamente la parola responsabilità in rapporto alla
professione infermieristica. Questa disposizione ha suscitato le critiche di certa
dottrina giuridica e medico-legale, la quale ha avuto modo di notare come questo
meccanismo di accettazione della chiamata abbia, di fatto, demandato la gestione
dell’emergenza all’infermiere professionale.
Il concetto di responsabilità è ripreso nel Decreto del Ministero della Sanità, 14
settembre 1994 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo
profilo professionale dell’infermiere”. L’art. 1 del D.M. recita “l’infermiere è
l’operatore sanitario ... responsabile dell’assistenza generale infermieristica”,
estendendo questa responsabilità a tutto il processo assistenziale. È evidente, pertanto,
che quanto previsto dalla legge 42/99 è più una conferma che una novità.
Sta di fatto che detta “conferma”, vissuta, di contro, più spesso come una novità, ha
sollecitato una grande attenzione circa il significato del richiamo alla responsabilità
dell’infermiere operato da queste norme dello Stato. In tale legge, e specificamente
all’art. 1, compare proprio il sostantivo responsabilità, laddove al comma 2 richiama
112
“il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie”, fra le
quali vi è evidentemente anche quella infermieristica.
Parimenti, la legge sulla Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche,
tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica del
10 agosto 2000 n. 251, ha ribadito l’espansione della dimensione della figura
dell’infermiere professionale; in particolare, è di notevole rilievo la dizione che
statuisce che l’infermiere svolge con autonomia professionale attività dirette alla
prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando
le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché
dagli specifici codici deontologici243.
L’art. 1 della legge 42 associa due termini, attività e responsabilità. Un siffatto
accostamento non è casuale; si deve inferire che il termine responsabilità deve essere
ricondotto anche a una visione più positiva, quella propriamente professionale
dell'essere e del sentirsi responsabili, dell'assumersi in prima persona tutta la
responsabilità che l'agire professionale comporta, soprattutto in situazioni di
autonomia riconosciuta. Vale a dire la capacità di rispondere ai bisogni di assistenza
infermieristica dell’assistito, mantenendo un comportamento congruo e corretto244.
Analogamente, il termine “attività” non va inteso come semplice esecuzione di atti,
bensì come stimolo ad attivarsi, cioè ad assumere una condotta attiva, a prendere le
iniziative necessarie.
L’associazione dei due termini rafforza quindi concetti analoghi e sta, in definitiva,
a sollecitare l’impegno che il professionista sanitario deve spontaneamente assumere
di fronte ad una situazione di bisogno, in quanto garante della salute dei pazienti 245, al
di là delle richieste esplicite dell’assistito.
È pacifico che il richiamo alle rispettive aree delinea proprio l’ambito entro cui il
professionista sanitario è chiamato a svolgere le sue funzioni, e che l’impegno ad
243
Legge 10 agosto 2000, n. 251 Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione,
nonché della professione ostetrica.
244
Anche BENCIOLINI nella relazione “Aspetti deontologici della relazione medico-infermiere” presentata al III convegno nazionale – Il
medico e l’infermiere a giudizio - Firenze 15-16 giugno 2000, mette in risalto questa duplice prospettiva della responsabilità: Negativa intesa
come rispondere a qualcuno, che può essere il giudice, l’ordine professionale, i superiori gerarchici…..,Positiva intesa come impegno a
svolgere un ruolo costruttivo, capacità di assumere, autonomamente, compiti che consentono una più efficace lotta contro le malattie…..
245
Cassazione penale, Sez. IV, sent. n. 9638 del 13 settembre 2000.
113
attivarsi, prima sottolineato, non deve essere confuso con l’avventatezza e
l’imprudente avventurarsi a fare ciò che non si sa fare, omettendo di avvertire (per
negligenza) chi, se fosse intervenuto, avrebbe potuto compiere l’atto necessario in
modo congruo. È proprio il senso di autoresponsabilità previsto dall’art. 3.2 del codice
deontologico degli infermieri (là dove recita che l’infermiere assume responsabilità in
base al livello di competenza raggiunto e ricorre, se necessario, all’intervento o alla
consulenza di esperti. Riconosce che l’integrazione è la migliore possibilità per far
fronte ai problemi dell’assistito; riconosce altresì l’importanza di prestare consulenza,
ponendo le proprie conoscenze ed abilità a disposizione della comunità professionale)
che deve dare un limite, impedendo di porre in essere condotte improprie.
Risulta chiaro che il significato fin qui dato alla responsabilità è conforme ad
un’ottica di coscienza degli obblighi connessi con lo svolgimento di un incarico,
ovvero all’impegno dell’operatore sanitario a mantenere un comportamento congruo
e corretto ex ante.
Considerato il peculiare significato che assume, in relazione all’esercizio della
professione, il termine “responsabilità” inteso nel senso poc’anzi citato, occorre
indicare quali siano i principi ai quali conviene ispirarsi per tenere una condotta
professionalmente responsabile. Questi possono, in termini generali, essere inquadrati
nel rispetto di quanto indicato nei tre punti seguenti:
 rispetto dei presupposti scientifici delle attività e delle funzioni proprie della
professione;
 rispetto dei valori etici condivisi e delle
indicazioni che derivano dalla
coscienza personale;
 rispetto delle norme di riferimento.
La responsabilità può rivestire anche un significato negativo, allorché, ad esempio,
si è chiamati a rispondere ad un giudicante di una condotta professionale riprovevole o
a rendere conto del proprio operato e colpevolezza.
Poiché la disciplina risultante può non essere sempre omogenea, potrebbe accadere
che, per una stessa condotta professionale, vi siano differenti ricadute in tema di
responsabilità secondo l’ambito (etico, deontologico, giuridico) di riferimento.
114
Secondo quest’ultima accezione, vi può essere una responsabilità penale, civile,
amministrativa-disciplinare, deontologica-disciplinare in rapporto alla norma violata.
Per ciò che riguarda il dirigente infermieristico, come per gli altri dirigenti, vi è una
responsabilità specifica definita responsabilità dirigenziale di cui si parlerà in seguito.
2.3 La responsabilità professionale in ambito penale
Il diritto penale è una branca del diritto pubblico che disciplina i fatti costituenti
reato246. Vi è responsabilità penale quando per un fatto penalmente rilevante sia
possibile imputare tale fatto ad un determinato soggetto, ove sia accertato il nesso di
causalità e la colpevolezza. Alcuni concetti di seguito sommariamente riportati
possono essere utili al fine di inquadrare la responsabilità professionale dal punto di
vista penale, con una maggiore attenzione a due aspetti controversi: il nesso di
causalità, quale elemento oggettivo del reato, e la colpa, come elemento soggettivo,
entrambi riferiti all’ambito della responsabilità professionale dell’infermiere.
Nell’ambito della responsabilità penale, vi sono alcuni principi che è necessario
sottolineare preventivamente: i principi di legalità, tassatività e irretroattività della
legge penale, previsti dall’art. 25 Cost.247 e dagli articoli 1248 e 2249 c.p., salvo, in
quest’ultimo caso, l’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole (art. 2
c.p. terzo comma).
Accanto a questi troviamo il principio personalistico della responsabilità penale
previsto dall’art. 27 Cost250 (la responsabilità penale è personale). Questo principio
G. Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale” Op. cit. p.3
Art. 25, cost. Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una
legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla
legge .
248
Art.1 c.p. Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano
da essa stabilite .
249
Art.2 c.p. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato. Nessuno può
essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli
effetti penali. Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più
favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le
disposizioni dei capoversi precedenti. Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un
decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti.
250
Art. 27, cost. La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non
possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di
morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.
246
247
115
non deve indurre a pensare che non possa esservi concorso di colpa tra più persone nel
realizzasi di un evento delittuoso, anzi, in campo sanitario, la responsabilità d’équipe o
la responsabilità di più sanitari che ebbero ad assistere il paziente, sono evenienze
molto frequenti. In questi casi, ciascuno risponderà personalmente delle proprie
decisioni e dei motivi della propria adesione a decisione di altri.
Infine, all’interno del principio di legalità, troviamo il divieto d’analogia, previsto
dall’art. 14251 delle disposizioni delle leggi in generale e dagli articoli 1 e 199 c.p.252.
Passando al reato quale fatto umano a cui la legge ricollega una sanzione penale253,
occorre precisare che in esso sono presenti un elemento oggettivo e uno soggettivo.
Nell’elemento oggettivo del reato si distinguono: la condotta, l’evento e il nesso di
causalità.
 La condotta del soggetto attivo del reato può consistere in un’azione o in
un’omissione. In relazione alla condotta, si parla pertanto di reati commissivi e
di reati omissivi propri e impropri.
 L’evento è il risultato di un’azione o di un’omissione, vale a dire la conseguenza
della condotta del soggetto. Sono reati di evento quelli ai quali la legge richiede
che a una data condotta segua anche un evento; l’evento può però non essere
presente, in tali casi si parla di reati di pericolo i quali si perfezionano con la
semplice condotta di un soggetto (es. somministrazione di medicinali guasti).
 Il nesso di causalità è previsto dall’art. 40 del codice penale: attraverso il
riferimento all’evento-conseguenza il nostro legislatore ha inteso adottare, come
comunemente si ritiene, la teoria basata sul criterio della conditio sine qua non
(condizione essenziale ex art. 41 c.p.).
L’elemento soggettivo del reato è invece collegato ad un importante principio che
informa il diritto penale: il principio di soggettività, secondo il quale, per compiere un
reato, non è sufficiente che il soggetto commetta un fatto materiale, ma occorre che
questo fatto gli appartenga psicologicamente. Sussiste pertanto, ai fini della
251
Art. 14, preleggi Applicazione delle leggi penali ed eccezionali. Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre
leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati .
252
Cassazione penale, sez. IV, 9 giugno 1981, Cass. pen. 1982, 1994.
253
G. Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale” Op. cit. p.129.
116
responsabilità penale, l’elemento psicologico del dolo, salvo le ipotesi, espressamente
previste dalla legge penale, di delitti colposi e preterintenzionali. Il dolo quindi si
caratterizza per la volontarietà della condotta offensiva e per la previsione di un evento
dannoso in conseguenza di quella condotta. Il codice penale, all’art. 43 c.p., prevede
che un reato è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso,
che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del
delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od
omissione.
Una fattispecie dolosa particolare che potrebbe presentarsi in ambito professionale è
quella del dolo eventuale. Tale fattispecie potrebbe ad esempio configurarsi nel
momento in cui un infermiere, a cui sia stato affidato un paziente, ometta di
somministrargli i farmaci prescritti (ad esempio a scopo compassionevole: ovvero
perché questi farmaci provocano al paziente malessere o perché contrario
all’accanimento terapeutico) rappresentandosi come altamente probabile l’evenienza
di una lesione personale e nonostante ciò accetti il rischio che si verifichi tale evento.
Naturalmente di seguito non verranno considerati i reati realizzati con dolo diretto;
si tratterà, invece, della tipica responsabilità professionale infermieristica che è quella
di natura colposa dalla quale può derivare il delitto di omicidio o di lesioni personali.
Venendo a discutere della responsabilità professionale di natura colposa l’art. 43 c.
p. prevede che la colpa si configura quando un determinato fatto-reato non è voluto
dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia (colpa
generica), ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa
specifica).
Per negligenza si intende un atteggiamento di trascuratezza, oppure una mancanza
di attenzione e accortezza, una mancanza di diligenza, ovvero una voluta omissione di
atti che si ha il dovere di compiere254. Nell’ambito della professione infermieristica un
254
Cassazione Penale – Sezione IV, Sent. n. 8611 del 27/02/2008- Sussiste il reato di omicidio colposo in capo
agli infermieri di un ospedale per non avere prestato, nella loro qualità, idonea vigilanza durante le ore notturne
sui pazienti ricoverati ed in particolare sull’autore dell’aggressione mortale in danno del vicino di camera. Agli
infermieri non era stato contestato di avere agito con imperizia, non essendo tenuti ad una diagnosi che è
estranea alla loro competenza, ma di avere agito con negligenza, perchè se è vero che l'insorgenza della psicosi
acuta dissociativa è improvvisa, la imprevedibilità di tale stato riguarda le persone sane, non i soggetti affetti da
117
esempio può essere l’errore di somministrazione di un farmaco per disattenzione o
trascuratezza, oppure la mancanza di asepsi dovuta a superficialità durante una
procedura, evenienze che possono provocare al paziente un’infezione specifica dovuta
alla manovra non sterile255.
Per imperizia si intende l’insufficiente preparazione, sia dal punto di vista teorico
sia della manualità, in relazione allo standard minimo che un soggetto dovrebbe avere
in relazione al proprio livello professionale. Si potrebbe definire imperito un
infermiere che difetta di quel minimo di abilità e di perizia tecnica che qualsiasi altro
infermiere è in grado di applicare nella prestazione eseguita. In tale senso si potrebbe
fare l’esempio di un infermiere che non conosce le tecniche necessarie per il
posizionamento di un catetere vescicale in modo sterile o che effettua la
broncoaspirazione di un paziente in ventilazione meccanica in modo difforme da
quanto previsto dalle tecniche assistenziali.
L’imprudenza è intesa come la scarsa cautela o temerarietà nel compiere atti
potenzialmente nocivi, senza pensare e prevedere, sulla base dell’esperienza generale e
della singola competenza eventuali complicanze. In altre parole, è caratterizzata da un
comportamento avventato, eseguito senza il necessario approfondimento valutativo256.
In campo sanitario l’imprudenza può correlarsi all’imperizia, in quanto l’imprudenza
stessa può derivare da mancanza di conoscenze e preparazione professionale con una
sopravvalutazione delle proprie capacità professionali.
Il concetto di “colpa specifica” è invece strettamente correlato all’inosservanza di
leggi, regolamenti, ordini o discipline, vale a dire di tutte quelle regole codificate che
mirano ad evitare la realizzazione di un evento dannoso. Rientrano in questa
fattispecie l’inosservanza di una norma di comportamento professionale, prefissata
dallo stesso codice deontologico o da altre codificazioni professionali condivise ed
accettate dalla professione infermieristica, come linee guida, raccomandazioni,
protocolli, ecc..
disturbi di tipo psichico, che palesano irrequietezza. - Cassazione Penale – Sezione IV, Sent. n. 8611 del
27/02/2008
255
Benci L. La responsabilità giuridica e deontologica della professione infermieristica nelle infezioni ospedaliere in I quaderni
dell’infermiere n. 3 Luglio 2002 Supplemento della rivista l’Infermiere n. 7/8-02 edito dalla federazione nazionale IPASVI
256
Cazzaniga A. Compendio di medicina legale e delle assicurazioni op. cit. p. 556.
118
In questa nuova prospettiva, sempre di più divengono elementi nodali la
competenza e l’integrazione professionale, strettamente correlate alla responsabilità e
allo sviluppo della crescita professionale.
Accanto ai delitti di natura dolosa o colposa esiste la preterintenzione, figura di
reato particolare, in quanto prevista solo per l’omicidio ex art. 584 c.p. e per l’aborto.
L’omicidio preterintenzionale si verifica quando il soggetto che compie il reato
vuole compiere un reato minore (lesioni o percosse) e da questo suo comportamento
deriva, come conseguenza non voluta, la morte della persona. In ambito sanitario la
giurisprudenza ha ritenuto che de iure condito, e fino a quando non verrà introdotta nel
nostro sistema penale una norma che sanzioni specificamente l’intervento medico
senza previo consenso del paziente, in ossequio ai principi di
stretta legalità e
tassatività della fattispecie penale, non può considerarsi integrata la fattispecie di cui
all’art. 584 c.p. (o di cui all’art. 582 c.p.), ogniqualvolta il medico abbia eseguito
l’intervento chirurgico (ovviamente fuori dei casi in cui sia operante lo stato di
necessità) in assenza del consenso del paziente e ne sia derivato un esito infausto, pur
essendo stato l’intervento condotto e portato a termine secondo le regole dell’arte257.
Sussiste pertanto la responsabilità quando vi è l’elemento psicologico del dolo o, nei
casi espressamente previsti dalla legge penale, della colpa o della preterintenzione.
Nell’ambito della responsabilità professionale la condotta colposa è di gran lunga
più frequente e importante della condotta dolosa.
Connotazioni particolari assume nel nostro ordinamento la colpa del sanitario, dal
momento che per questa si è posto nella pratica uno specifico dilemma: il
professionista - in sede di giudizio penale - deve essere chiamato a rispondere solo nel
caso ricorra la colpa grave ex art. 2236 c.c.258, vale a dire quando il comportamento sia
257
Corte assise Firenze 18 ottobre 1990 in Riv. it. Med. Legale 1991, 1333. - Cassazione penale sez. V, 21 aprile 1992 in Cass. pen. 1993,
63 nota (MELILLO) in senso difforme Tribunale Palermo, 31 gennaio 2000 in Foro it. 2000,II, 441 nella specie, è stata disposta
l’archiviazione del procedimento penale instaurato nei confronti di un chirurgo il quale, avendo ottenuto da una paziente affetta da
carcinoma alla colecisti il consenso all’inserimento di un impianto di pompa chemioterapica endoarteriosa, mutava nel corso dell’intervento
il programma operatorio iniziale, asportando una grossa massa neoplastica estesa a diversi organi vitali, con conseguente decesso della
paziente per complicanze postoperatorie.
258
Art. 2236 c.c. Responsabilità del prestatore d’opera. Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il
prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.
119
incompatibile con il livello minimo di cultura e di esperienza, indispensabile per
l’esercizio della professione sanitaria259?
Inizialmente la giurisprudenza aveva statuito che la sussistenza della colpa
professionale del sanitario dovesse essere valutata con larghezza e comprensione,
poiché non era previsto un metodo obbligatorio di indagine e di cura. A tal fine,
acquistava rilevanza penale l’errore grossolano che dipendeva dall’ignoranza dei
principi elementari, i quali rappresentavano il livello minimo di cultura e di
preparazione medica, esigibile dal professionista sanitario. Successivamente, il criterio
di imputazione penale è stato ricavato dall’art. 2236 c.c. (colpa grave), il cui contenuto
era inteso nel senso dato dalla prima giurisprudenza; vale a dire che l’art. 2236 c.c. era
riferibile alla diligenza, alla prudenza e alla perizia, escludendo dal campo di
applicazione la colpa lieve260.
In seguito la stessa giurisprudenza ha affermato che la limitazione della
responsabilità professionale ai soli casi di dolo o colpa grave a norma dell’art. 2236
c.c. si applica alle sole ipotesi che presentino problemi tecnici di particolare difficoltà
(perché trascendono la preparazione media o perché non sono stati ancora studiati a
sufficienza, ovvero dibattuti con riguardo ai metodi da adottare) e, in ogni caso, tale
limitazione di responsabilità attiene esclusivamente all’imperizia, non all’imprudenza
e alla negligenza, con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il
professionista che provochi un danno per omissione di diligenza ed inadeguata
preparazione; la sussistenza della negligenza va cioè valutata in relazione alla specifica
diligenza richiesta al debitore qualificato dall’art. 1176. comma 2, c.c.261.
La giurisprudenza contemporanea ha invece in parte mutato l’orientamento
stabilendo l’esclusione dell’art. 2236 c.c. (colpa grave) dall’ambito penale. Infatti, la
disposizione in questione, costituendo una norma eccezionale di carattere civilistico,
non può essere applicata in ambito penale in virtù del divieto d’analogia previsto
dall’art. 14 delle disposizioni delle leggi in generale. Infatti la giurisprudenza di
259
Cassazione penale, sez. IV, 19 febbraio 1981, Cass. pen. 1982, 1171.
Cassazione penale, sez. IV, 9 giugno 1981 in Cass. pen. 1982, 1994. - Cassazione penale, sez. VI, 15 febbraio 1978 in Cass. pen. 1980,
1559.
260
120
legittimità, alla quale si affianca anche buona parte di quella di merito, ritiene che
l’applicazione dell’art. 2236 c.c. in diritto penale sia previsto solo come criterio per
la determinazione della pena (art. 133 c.p.) o come circostanza aggravante (art. 61 n.
3 c.p.), ma in nessun caso per determinare la stessa sussistenza dell’elemento
psicologico del reato: il minor grado di colpa non può, quindi, avere mai efficacia
scriminante262.
Pertanto, la soluzione a cui pare essere pervenuta la più recente giurisprudenza è nel
senso che, per l’affermazione della responsabilità del professionista, valga la disciplina
generale sulla colpa, senza nessuna restrizione particolare, salva la valutazione della
speciale difficoltà della prestazione quale indice di un minor grado di colpa, in sede di
comminazione della pena. Arrivando così ad utilizzare nell’ambito penale un criterio
più rigoroso di quello utilizzato impiegato per la responsabilità civile consentendo, in
ultima analisi, che un fatto civilmente lecito, possa essere giudicato, illecito
penalmente263.
Cercando di definire in modo più preciso la colpa professionale dell’infermiere, è
possibile affermare che essa consiste nello scostarsi dagli standard tecnicoprofessionali che la comunità professionale assegna a ciascuna disciplina e
relativamente a ciascun atto terapeutico chiesto dalle evenienze concrete. Infatti, così
agendo, l’infermiere pone in essere una azione “socialmente inadeguata”, in quanto
essa non sarà accettata come realmente “infermieristica” dalla collettività ma, per
differenza necessaria, come una “comune” condotta di reato, proprio perché il suo
autore si è scostato dalle regulae artis. E poiché la nozione normativa di “colpa”
desumibile dall’art. 43 c.p. esplicitamente si riferisce a condotte attuate per
imprudenza, negligenza, imperizia, o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e
discipline, è evidente come ciascuna di queste modalità di comportamento vada
261
Cassazione civile, sez. III, 10 maggio 2000 in Riv. It. Med. Leg. 2001 p. 1137; Cassazione penale, sez. IV, 30 novembre 1982 in Riv. pen.
1983, 872 - Cassazione penale, sez. IV, 11 marzo 1983, in Giust. pen. 1984, II,227; Cassazione Civile Sez. III, Sentenza n. 9085 del 2006;
Corte d’Appello di Milano, Sez. II, Sent. del 07/06/2007
262
Margiocco M. Profili generali di responsabilità penale a carico dell’infermiere professionale Atti XX Congresso Nazionale Aniarti
Rimini, 15 - 16 - 17 novembre 2001- Cassazione penale sez. IV, 1 ottobre 1999 Dir. pen. e processo 2001, 469 nota (VALLINI); Cassazione penale sez. IV, 29 settembre 1997, n. 1698 Riv. it. medicina legale 2000, 615 - Cassazione penale sez. I, 10 maggio 1995, n.
5278 Riv. it. medicina legale 1998, 568 - Cassazione penale sez. IV, 29 settembre 1997, n. 1693 Riv. pen. 1998, 358 - Cassazione penale
sez. IV, 21 novembre 1996, n. 2307 Studium Juris 1997, 546.
263
Bilancietti M L’evoluzione della responsabilità medica e l’evoluzione del rischio sanitario in Riv. Diritto delle professioni sanitarie 4/02
p. 259.
121
correlata ai corrispondenti standard (protocolli, linee guida, Evidence Based Nursing)
elaborati dalla comunità professionale in un certo momento storico, onde valutare di
volta in volta se l’infermiere si sia scostato dall’area d’immunità riconosciuta alla sua
arte, oppure se abbia commesso un reato comune di lesioni o di omicidio colposo.
Continuando nella disamina dei concetti nell’ambito della responsabilità
professionale in campo sanitario, un aspetto problematico è legato ad un elemento
fondamentale del reato: si tratta del nesso di causalità materiale e giuridica tra la
condotta (o azione) volontaria e l’evento di danno.
Il principio è positivamente sancito all’art. 40 c.p., per cui nessuno può essere
punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o
pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione
od omissione. In altri termini, quando ricorre un caso di responsabilità professionale,
prima si deve appurare se la condotta dell’infermiere sia stata causalmente efficiente
nel produrre il danno al paziente; quindi si accerta se tale condotta configuri un
comportamento colposo. Il delitto commissivo - notoriamente - si esplicita tramite la
violazione di quelle norme giuridiche e professionali che prescrivono l'osservanza di
divieti: si tratta, in altri termini, di reati di evento che si realizzano in conseguenza di
una condotta attiva causalmente correlata al danno alla salute del paziente.
Chiaramente non sempre quando vi è un danno per il paziente vi è una responsabilità
professionale del sanitario. In tal senso il tribunale di Genova ha ritenuto che, secondo
un rapporto di causa ed effetto, non sono collegabili, a negligenza, imprudenza,
imperizia del personale addetto alla diagnosi ed alla terapia del caso, i danni alla mano
e avambraccio lamentati da una paziente, che era stata precedentemente sottoposta a
mastectomia,, in conseguenza di uno stravaso di farmorubicina in occasione di terapia
endovenosa. Lo stesso Tribunale ha ritenuto "pressoché dirimente al fine di accertare
una reazione infiammatoria legata alla potenziale pericolosità del farmaco e non ad
un’errata manovra del personale addetto, il fatto che si è verificata una reazione
flebitica con sclerosi della vena superficiale dell'arto superiore sinistro, interessata in
Riv. Di Diritto dell professioni.
122
gran parte del suo decorso, anche molto a monte rispetto al punto di somministrazione
del farmaco"264.
In relazione alle diverse concause che possono intervenire nel verificarsi di un
evento, l’art. 41 c.p. prevede che le cause preesistenti, simultanee o sopravvenute alla
condotta umana, anche se da essa indipendenti, non facciano venire meno la
responsabilità penale del soggetto considerato, facendo parziale eccezione solo per le
cause sopravvenute “da sole sufficienti a determinare l’evento”.
Il 2° comma dello stesso articolo 40 c.p. prevede che “Non impedire un evento, che
si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”; questa è l’ipotesi
generale del delitto omissivo improprio. La dottrina penalistica più moderna ravvisa il
fondamento e i limiti di operatività di questa fattispecie nel fatto che un soggetto si
trovi in una posizione di garanzia nei confronti di determinati valori da tutelare; nel
caso dell’infermiere si tratta ovviamente dei valori della vita e dell’integrità fisica del
paziente. Per quanto riguarda l’infermiere questa posizione si fa ancora più cogente
visto che egli è tenuto alla prestazione anche da un’altra norma penale quale quella
prevista dall’art. 591 c.p.
Chiaramente, emergono sostanziali difficoltà nel costruire un modello di
“causalità” che, dal punto di vista naturalistico, è del tutto anomalo, poiché deve
istituire un rapporto causale fra un evento realmente accaduto e una mancata azione
del soggetto265. Nell’ambito dei reati omissivi, la condotta comandata, o esigibile
concretamente, deve inserirsi nel decorso causale già attivo e deve essere capace nel
concreto di impedire l’evento vietato (es. lesioni, morte ecc...).
La causalità omissiva, pertanto, non può essere presunta né data per scontata, ma va
individuata attraverso un giudizio ipotetico che, partendo dall’evento, lo suppone
cagionato, ove si accerti che esso - senza l’omissione colpevole - non si sarebbe
verificato; così che, se il processo logico perviene alla conclusione che l’azione
doverosa (omessa) sarebbe valsa (secondo una valutazione probabilistica) ad impedire
264
265
Tribunale di Genova Sez. II, sentenza Depositata in Cancelleria il 9 giugno 2006
Barni M. Il rapporto di causalità materiale in medicina legale Giuffrè Editore 1995 seconda edizione p. 113.
123
l’evento stesso, si stabilisce il nesso causale in base alla clausola generale di
equivalenza266.
In tal senso, si è ritenuto che sussista la responsabilità per colpa degli infermieri
addetti
all’assistenza
anestesiologica,
laddove
omettano
di
controllare
le
apparecchiature e il materiale necessario per l’anestesia generale, nonché la regolarità
del funzionamento
degli apparecchi
di
respirazione automatica,
se vi
è
somministrazione di protossido di azoto, anziché di ossigeno, nel corso di un
intervento chirurgico a causa dell’inversione di innesto di tubi portanti i detti gas,
anche se l’inversione è stata materialmente effettuata da altri.267
Su questo punto il nuovo assetto normativo, se da un lato amplia l’autonomia e la
responsabilità dell’infermiere, dall’altro comporta sempre di più, per chi opera in
determinati ambiti quali la sala operatoria, i reparti di terapia intensiva e l’emergenza
territoriale, la necessità di possedere la competenza specifica per garantire il corretto
funzionamento delle apparecchiature mediche utilizzate e di essere in grado di
interpretare i segnali da esse provenienti.
Nell’eventualità in cui, nonostante la carenza di preparazione l’infermiere
professionale abbia utilizzato ugualmente l’apparato, potrà essere chiamato a
rispondere per eventuali danni arrecati al paziente in quanto titolare, rispetto
all’utilizzo di questi strumenti, di una posizione di garanzia della salute del paziente.
Doveri di vigilanza a carico dell’infermiere si pongono, comunque, anche rispetto
agli operatori di supporto, laddove l’art. 1 punto f) del D.M. 739/94 (profilo
professionale), stabilisce che l’infermiere “per l’espletamento delle funzioni si avvale,
ove necessario, dell’opera del personale di supporto”. È evidente che l’infermiere,
ove si avvalga dell’opera del personale di supporto, rimane sempre la figura
responsabile, poiché non vi può essere assunzione di responsabilità da parte del nuovo
soggetto di fatto preposto all’adempimento.
necessari per una delega
268
Non vi sono, infatti, i presupposti
del genere, per cui gli operatori tecnici espletano i loro
266
Cassazione penale sez. V, 1 settembre 1998, n. 10929 in Giust. pen. 1999,II, 275 vedi anche Fineschi V. Responsabilità medica per
omissione: malintesi e dubbi in tema di nesso di causalità materiale Riv. it. Med. Legale 2000, 278.
267
Cassazione penale, sez. IV, 4 novembre 1983, Cass. pen. 1986, 283.
268
L. Benci L’operatore socio sanitario: autonomia, rapporti con i professionisti e responsabilità giuridica. Riv. Diritto delle Professioni
Sanitarie 2001; 4.(3):219-234.
124
compiti sotto la diretta responsabilità della capo sala, ovvero, in sua assenza,
dell’infermiere di turno269.
Questo dovere di vigilanza sussiste anche nei confronti degli studenti infermieri. In
questo senso sono state ritenute responsabili di omicidio colposo un’infermiera
professionale e un’allieva infermiera per la morte di due neonati a cui l’allieva aveva
somministrato per errore un’infusione contenente dosi eccessive di cloruro di potassio.
Il Tribunale di Firenze ha ritenuto che l’infermiera fosse la principale responsabile
dell’accaduto, in quanto avrebbe dovuto controllare più da vicino e più attentamente
l’allieva durante la preparazione della fleboclisi. Di contro, l’allieva versa in colpa,
seppure di grado inferiore, in quanto doveva fare controllare dall’infermiera che tutto
fosse stato preparato a regola d’arte270.
Sempre in tema di causalità ove, vi siano due omissioni succedutesi nel tempo e
anche per l’omissione del successore si produca l’evento, lo stesso avrà due
antecedenti causali, non potendo la seconda omissione configurarsi
come fatto
eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento271.
A questo riguardo, la Suprema Corte non ha ritenuto l’errore di fatto, indotto dal
medico (prescrizione errata di farmaci e mancato controllo della terapia nei giorni
successivi), quale causa esimente della responsabilità dell’infermiere, poiché
quest’ultima, avuto il dubbio sulla esattezza della prescrizione ha omesso di segnalare
l’incerta prescrizione. Pertanto, rispetto all’omissione addebitata al medico, il
comportamento omissivo dell’infermiera è stato configurato come il secondo
antecedente causale dell’evento, in virtù del fatto che un comportamento diligente
avrebbe dovuto e potuto impedire l’evento272.
Allo stesso modo, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, ha ritenuto che
l’omissione da parte dell’infermiere subentrato nel turno successivo non valga ad
escludere la rilevanza causale della precedente omissione, confermando la condanna
per omicidio colposo inflitta a tre infermieri del pronto soccorso del Policlinico di Bari
269 Vedi Legge 8 gennaio 2002, n. 1 - DPR 384/90 art. 40 D.M. 295/91 Accordo tra i Ministeri della salute, del Lavoro, delle Politiche
sociali, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.51, del 3 marzo 2003
270 Tribunale di Firenze, sentenza 23 marzo 1981. In Benci L. Le professioni sanitarie (non mediche) aspetti giuridici, deontologici e
medico-legali op. cit. p.154.
271
Cassazione penale sez. IV, 1 ottobre 1998, n. 11444 in Ced Cassazione 2000.
125
che si erano limitati a passarsi la consegna invece di avvisare con il citofono il medico
internista - come era stato loro detto di fare dal medico di guardia impegnato in altra
visita - lasciando così senza cure né assistenza un marinaio di leva, che aveva riportato
un trauma cranico e creduto erroneamente ubriaco dagli infermieri273.
È evidente che il rapporto di causalità deve essere basato sul criterio dell’idoneità
concreta della condotta ad impedire l’evento dannoso o pericoloso.
Accanto al concetto della probabilità vi sono quelli della prevedibilità274 e
prevenibilità delle conseguenze dannose275. In virtù di ciò si può affermare che
l’infermiere risponde penalmente nell’ipotesi in cui poteva prevedere e prevenire il
fatto-reato, quale conseguenza della sua condotta, in base alle regole di generalizzata
esperienza (leggi scientifiche o statistiche di copertura o criterio dell’id quod
plerumque accidit).
Nel codice deontologico degli infermieri, si rafforza sempre più il ruolo attivo e
propositivo dei sanitari, i quali non possono limitarsi ad adottare cautele scaturenti da
consolidati usi sociali, ma sono tenuti a formulare di volta in volta un rinnovato
giudizio di prevedibilità ed evitabilità, al fine di testare la persistente validità della
regola di condotta che dovrebbe essere osservata.
In tale senso, vi potrebbe essere responsabilità professionale per l’insorgenza di
lesioni cutanee (in particolare quelle collegate all’allettamento prolungato), in virtù di
una specifica responsabilità degli infermieri prevista dal D.M. 739/94, il quale indica
l’infermiere come l’operatore sanitario ... responsabile dell’assistenza generale
infermieristica”. È ciò, qualora si accertasse un nesso di causalità tra un
comportamento omissivo (mancata o errata applicazione dei presidi antidecubito, dei
protocolli di medicazione, aderenza a linee guida di società scientifiche accreditate,
272
Cassazione penale sentenza n. 1878 2000 in Riv. Dir. Prof. Sanitarie 2001 n. 4 p. 41 e segg.
Cass. Penale sez. IV 02-03-2000 n. 9638.
274
Utile a riguardo riportare la seguente decisione della corte di appello di Bari la quale statuisce che “al di fuori del concetto della
prevedibilità non vi è possibilità per un giudizio di colpevolezza, perché solo in relazione alla possibilità di prevedere ciò che non si è
preveduto, si può imputare al soggetto agente di fatto di aver tenuto una condotta diversa, onde evitare la causazione dell’evento lesivo.
L’attributo di negligente, imprudente e imperito, che si dà alla condotta colposa dell’agente, postula nel soggetto attivo la possibilità di
prevedere l’evento lesivo, perché nell’ipotesi in cui, malgrado l’attenzione, la diligenza e la prudenza, l’individuo non abbia potuto prevedere
l’evento nel senso più assoluto, la condotta non può più qualificarsi colposa. Diversamente la responsabilità per colpa si tramuterebbe in
responsabilità oggettiva, venendosi così a distruggere il fondamento del diritto penale, che è quello della colpevolezza morale, ed avvilendo
la responsabilità in un rapporto materiale e meccanico tra azione ed evento “Corte d’appello di Bari 26.01.1981” IL Foro Italiano 1981, II,
167.
273
126
cambi posturali) e l’insorgenza delle lesioni stesse276-277. Il nesso causale può, secondo
la Suprema Corte, essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale
condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica
(universale o statistica)278, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal sanitario la
condotta doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc, l’evento lesivo non si sarebbe
verificato, ovvero si sarebbe inevitabilmente verificato, ma (nel quando) in epoca
significativamente posteriore o (per come) con minore intensità lesiva279.
Sempre in tema di causalità, si segnala una sentenza della Cassazione penale del 12
luglio 1991, la quale è stata fonte di discussione. La Corte ha ritenuto, che “sussiste
sempre il rapporto di casualità anche qualora l’esatta e tempestiva opera del sanitario
avrebbe potuto evitare l’evento, non già con certezza o elevate probabilità, ma solo
con probabilità apprezzabili nella misura del trenta per cento”280. Si è affermato che la
citata sentenza del 1991 abbia voluto “compensare il difetto di rilevanza causale con
l’elevato grado di colpa”, ritenendone insostenibile l’assunto281.
Vista la ondulante giurisprudenza recentemente la stessa Corte a sezioni unite ha
sentenziato che non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di
probabilità espresso dalla legge statistica, la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria
sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso
concreto, sulla base della circostanza del fatto e dell’evidenza disponibile. Dall’esito
del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso interferenze di fattori alternativi,
275
Pretura Milano, 25 gennaio 1999 Foro ambrosiano 2000, 149 (s.m.)- Cassazione penale sez. IV, 21 novembre 1996 Riv. it. medicina
legale 1998,1167 (s.m.) Cassazione penale sez. IV, 19 dicembre 1996, n. 578 Riv. it. medicina legale 1999, 338 (s.m.)
276
S. Fucci “La responsabilità nella professione infermieristica - Questioni e problemi giuridici” Op. cit. p. 27 -- Gobbi P. Responsabilità
professionali e competenza specifica degli operatori nella prevenzione e nel trattamento delle complicanze cutanee dell’allettamento
prolungato Abstract Riv. L’infermiere Federazione nazionale IPASVI N. 4 aprile 2002.- Vedi anche Benci L. La responsabilità per l’omessa
cura delle piaghe da decubito in Riv Diritto Professioni Sanitarie, 1999; 2(1): 42-45
277
Il Tribunale di Roma con sentenza n. 316/2004 ha riconosciuto la responsabilità diretta dei sanitari e dell’ospedale per l’insorgenza delle
piaghe da decubito nei malati ospedalizzati, condannando l’ospedale San Giovanni e il primario del reparto al risarcimento dei danni- Tratto
da “Salute Europa on line”, il quotidiano di informazione scientifica, culturale e farmacologica
indirizzo:
www.saluteeuropa.it/news/2004/02/0216003.htm.
278
Sono leggi generali di copertura sia le leggi universali, che sono in grado di affermare che la verificazione di un evento è
invariabilmente accompagnata dalla verificazione di un altro evento, sia le leggi statistiche che si limitano, invece, ad affermare che il
verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento soltanto in una certa percentuale di casi, sicché il giudice che si
avvalga del modello della sussunzione sotto leggi statistiche il giudizio deve essere altamente probabile e rapportato al momento della
commissione del fatto (giudizio ex ante) Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite Penali udienza 10 luglio 2002 n. 27 Reg. Gen. N.
37809/00 vedi anche Barni M. Il rapporto di causalità materiale in medicina legale op. cit. p. 51.
279
Sull’accertamento della causalità omissiva nelle sentenze di responsabilità medica intervengono le sezioni unite della corte di cassazione
in Riv. Diritto delle Professioni Sanitarie 4/02 pag. 310-311.
280
Cassazione penale sez. IV, 12 luglio 1991,Cass. pen. 1992, 2104 vedi anche Tornatore M., In tema di colpa medica omissiva (nota a
sent. Cass., Sez. IV, 12 luglio 1991, Leone e altro), Giur. it. 1992,II,413.
281
Tale impostazione alla soluzione della problematica de qua aprirebbe le porte alla responsabilità oggettiva (versari in re illicita),
prescindendo dall’elemento psicologico (dolo o colpa).
127
deve quindi risultare giustificata e processualmente certa la conclusione che la
condotta omissiva è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato
grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”.
L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla
ricostruzione del nesso causale (quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza
disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva rispetto ad altri
fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo), comportano la neutralizzazione
dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio282. Tale autorevole
giurisprudenza attenua il principio basato su valutazioni di natura probabilistica con la
prova controfattuale e il soggettivo convincimento del giudice.
Dall’orientamento sopracitato consegue che sia da escludere la responsabilità penale
dell’infermiere, qualora sussista il dubbio circa l’idoneità o l’attitudine della condotta
alternativa a prevenire l’evento dannoso o pericoloso (in dubio pro reo).
In ambito penale la punibilità é esclusa in presenza di una delle cause di
giustificazione previste dalla legge penale (consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p.;
l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere ex art. 51 c.p.283; lo stato di
necessità ex art. 54 c.p.).
Rispetto all’ipotesi del consenso dell’avente diritto bisogna precisare che non è
giuridicamente valido il consenso allorché sia diretto a richiedere o ad assecondare la
lesione di beni indisponibili quali la vita o l’integrità fisica; salvo determinate
eccezioni.
È interessante soffermarsi per un breve approfondimento dello stato di necessità ex
art. 54 c.p., il quale prevede che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi
stato costretto dalla necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno
grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti
evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
282
Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite Penali sentenza n. 30328 del 11 settembre 2002 in Riv. Diritto delle professioni sanitarie 4/02
p. 299.
283
Art. 51c.p . Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. — L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una
norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine
dell’Autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo
che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non
gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.
128
In tale situazione, l’infermiere è costretto a porre in essere determinate manovre,
anche al di fuori di quelle previste dallo specifico professionale purché tecnicamente
preparato a ciò e perché a fronte dello stato di necessità non regge altro argomento284.
Naturalmente il ricorso allo stato di necessità richiede l’esistenza di tutti i requisiti
previsti dalla legge e, dunque, l’attualità del pericolo di un danno grave alla persona e
l’assenza di contributi nella causazione del pericolo, l’altrimenti evitabilità del
pericolo, l’equivalenza(o prevalenza) del bene salvato rispetto a quello sacrificato285.
Quello dell’accertamento dell’attualità del pericolo è invero il problema centrale
nell’applicazione dello stato di necessità in questi casi. Si osserva che tutti gli elementi
valutativi del pericolo devono sussistere al momento della valutazione che così risulta
essere fatta "ex ante". L’attualità del pericolo postula la necessità che nella fattispecie
concreta ricorra una rilevante possibilità del verificarsi dell’evento e, dunque, non
l’assoluta immediatezza tra la situazione di pericolo e l'azione necessitata. Nel
momento dunque in cui l'agente pone in essere il fatto costituente reato, deve esistere,
secondo una valutazione "ex ante" che tenga conto di tutte le circostanze concrete e
contingenti di tempi e di luogo, del tipo di danno temuto e della sua possibile
prevenzione, la ragionevole minaccia di una causa imminente e prossima del
danno286. E’ opportuno precisare che bisogna distinguere fra interventi urgenti, nel
senso della loro assoluta improrogabilità pena il rischio per la vita o di un danno grave
alla persona; necessari, ovvero prorogabili solo per pochissimo tempo,ma la cui
omissione comporta pericoli per la vita; di elezione, ossia non necessari né urgenti ma
solo migliorativi delle condizioni di salute del paziente. Solo per gli interventi urgenti
e necessari si ritiene applicabile la scriminante dello stato di necessità di cui alla norma
dell’art. 54 c.p.
Laddove però la situazione di incapacità sia stata determinata dalla condotta del
sanitario (medico o infermiere) ed essa stessa influisce sulla situazione di pericolo, la
scriminante de qua non potrà essere invocata per il dettato dello stesso art. 54 c.p. che
284
285
286
L. Scalambra - L. Nanetti “La responsabilità operativa dell’infermiere professionale” Dif. Soc. 3:47,1986.
G. Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale” Op. cit. p. 257 e segg.
Cassazione penale sez. I, 2 giugno 1988, in Giust. pen. 1990, II,29 (s.m.).
129
richiede, appunto, che il pericolo di danno non sia stato determinato da chi invoca
l’applicazione della scriminante stessa287.
Con riguardo poi all’altro elemento della fattispecie consistente nella non altrimenti
evitabilità del pericolo, l’intervento posto in essere deve apparire
come unica
condotta, nelle circostanze del caso concreto, in grado di fronteggiare il pericolo. Con
questa regola si vuole ulteriormente stringere il campo di operatività della norma che
non dimentichiamolo può sacrificare beni di pari o inferiore valore rispetto a quelli
salvati.
Infine bisogna precisare che è necessario che non vi sia sproporzione di mezzi
impiegati, sia in termini di tempo che di metodica, rispetto al pericolo attuale da
scongiurare; si risponde altrimenti del reato previsto dall’art. 55 c.p. vale a dire
eccesso colposo nella commissione del fatto scriminante. Fuori da questi presupposti,
le eventuali azioni poste in essere dall’infermiere che esulano dallo specifico
professionale tornano ad essere reato (ex art. 348 c.p.).
È chiaro che saranno esclusi, quindi, dall’ambito della responsabilità penale tutti
quei comportamenti dell’infermiere che, seppur abbiano creato delle lesioni, o peggio
ancora, la morte del paziente, siano frutto di caso fortuito o in ogni caso, non siano
riferibili direttamente a colpa.
Da ciò che si è finora detto si evince che la responsabilità penale dell’infermiere è in
discussione solo laddove vi siano state lesioni o morte del paziente, giacché il
comportamento negligente in senso lato, ma che non abbia avuto conseguenze lesive,
non ha rilievo penalistico in sé, ma potrà rilevare solo eventualmente a fini civilistici
(se vi è stato comunque un danno) o amministrativo-disciplinari.
2.3.1 Il principio dell’affidamento
Gli infermieri, come gli altri operatori sanitari, non operano da soli ma inseriti in un
gruppo professionale (équipe). La dottrina medico legale e la giurisprudenza hanno
287
Cassazione penale sez. IV 13 settembre 1988 n. 9213
130
elaborato per quest’ambito il principio dell’affidamento288, il quale è idoneo ad
individuare le singole posizioni di garanzia esigibili dai partecipanti. Ciò comporta
che, dovendo ogni operatore svolgere un proprio compito, gli altri devono di norma
poter confidare che ciascuno si comporti secondo le regole precauzionali normalmente
riferibili al modello di agente proprio dell’attività che di volta in volta è in esame, ed
ognuno deve evitare unicamente i pericoli scaturenti dalla propria condotta, significa
semplicemente che di regola non si ha l’obbligo di impedire che realizzino
comportamenti pericolosi di terze persone altrettanto capaci di scelte responsabili289,
perché solo in questo modo ciascun membro del gruppo è lasciato libero, nell’interesse
del paziente, di adempiere in modo qualificato e responsabile delle proprie
mansioni290; Tutto ciò, salvo che non sussistano elementi concreti e riconoscibili tali
da rendere probabile il contrario.
Il principio dell’affidamento, si fonda sul presupposto che ogni consociato può
confidare sul corretto agire altrui.
Accanto a questa responsabilità (che si collega a quanto sopra detto in tema di
responsabilità penale diretta, ossia per il proprio agire), è stata individuata anche una
diversa posizione, in relazione al capo équipe individuato nella fattispecie concreta.
Quest’ultimo operatore si configura o nel medico, quando l’infermiere si trova in
posizione subordinata, o nell’infermiere, quando lo stesso si trovi in posizione sovra
ordinata rispetto ad altri operatori (personale di supporto).
In capo a tale figura sussiste un obbligo generale di sorveglianza come suo specifico
compito proprio in virtù del ruolo ricoperto avente come oggetto l’organizzazione e il
controllo dei soggetti che gli sono stati affidati , che va coordinato con il principio
dell’affidamento.
Per quanto riguarda l’infermiere, l’obbligo di sorveglianza è stato sancito
recentemente dallo stesso legislatore con la Legge 8 gennaio 2002, n. 1: nel quale ha
previsto questo potere-dovere per quanto riguarda l’attività del personale di supporto,
V. Fineschi, P. Fratti, C. Pomara “I principi dell’autonomia vincolata, dell’autonomia limitata e dell’affidamento nella definizione della
responsabilità medica- Riv. It. Med. Legale 2001, 261- F. Mantovani - La responsabilità del medico- in Riv.. it. Med. Leg., 1980 p. 16; G.
Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale - Principio dell’affidamento e comportamento del terzo” Op. cit. p. 498.
289
Sentenza della Cassazione Penale n° 8006 del 26/05/99 Sez.IV.
290
Marinucci G. Marrubini G. Profili penalistici del lavoro medico-chirurgico d’equipe, Temi, 1968, 221-234.
288
131
là dove per l’operatore socio sanitario è previsto che lo stesso “collabora con
l’infermiere o l’ostetrica nelle attività assistenziale conformemente alle direttive del
responsabile
dell’assistenza
infermieristica
od
ostetrica
o
sotto
la
sua
supervisione”291. La giurisprudenza di merito ha avuto modo di affermare che pur se
la suddivisione delle mansioni del personale che effettua o coadiuva in un intervento
chirurgico non è codificata per legge, questa trova la sua espressione riconosciuta
come valida nella prassi chirurgica. In particolare, se i chirurghi compiono le attività
loro specificamente commesse, il compito dell'infermiere ferrista è quello di assistere
l'operatore fornendogli il materiale richiesto, sostituendo
quello usato e
preoccupandosi di conteggiarlo per evitare la perdita dei pezzi. Seppure ciascun
componente l'équipe abbia il diritto di aspettarsi che ciascun altro compia con la
necessaria competenza e diligenza esattamente quello per cui è deputato, secondo la
prassi riconosciuta e secondo le istruzioni avute ad essa conformi (principio
dell'affidamento), resta comunque fermo il potere/dovere di controllo di chi, in un dato
momento, assume la qualifica di responsabile del gruppo o capo équipe cui incombe,
appunto, l'onere di effettuare attento controllo del campo operatorio alla fine o in
prossimità della fine dell'intervento292
Va però evidenziato che non è agevole determinare entro quali limiti fattuali
l’attività di supervisione sia concretamente esigibile, e quindi fonte di responsabilità,
dal momento che, di regola, ogni responsabile del gruppo ha anche un suo specifico
compito da svolgere.
La dottrina ha individuato in particolare due situazioni certe nelle quali vi è
responsabilità del capo èquipe e il principio dell’affidamento subisce delle eccezioni.
La prima è che la possibilità di poter fare affidamento nel comportamento diligente
di un terzo viene meno, innanzitutto, nei casi in cui particolari circostanze lascino
presumere che il soggetto su cui si fa affidamento non sia in grado di soddisfare le
aspettative dei consociati; in altri termini, nel caso in cui l’infermiere o il medico, in
presenza
di
anomalie
evidenti,
si
rappresentino
la
pericolosità
dell’altrui
Legge 8 gennaio 2002, n. 1 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 12 novembre 2001, n. 402, recante disposizioni
urgenti in materia di personale sanitario” art. 1 punto 8.
292
Tribunale di Monza sentenza del 04-11-2005
291
132
comportamento e non si attivino per eliminarla oppure abbiano l’obbligo di impedirla,
mediante un diligente controllo delle altrui scorrettezze, in virtù della propria
particolare posizione gerarchica”.
La seconda eccezione si riferisce alle ipotesi nelle quali l’obbligo di diligenza
s’innesta su di una «posizione di garanzia» nei confronti di un terzo incapace di
provvedere a se stesso: si pensi, ad esempio, all’infermiere che ha certamente l’obbligo
di impedire che il pazzo o demente a lui affidato compia azioni pericolose293.
Viceversa, non si dovrebbe poter pretendere un monitoraggio continuo dell’attività
altrui, attività che impedirebbe di fatto al capo équipe di svolgere i suoi compiti
specifici e che farebbe venire meno il principio dell’affidamento, dovendo questo
soggetto rispondere sempre per l’errato comportamento altrui.
La Suprema Corte afferma, infatti, “che un medico del pronto soccorso, ma, il
principio va al di là, ovviamente, del pronto soccorso, che, in un certo momento, presti
la sua opera con la collaborazione di alcuni infermieri ai quali impartisca un ordine il
cui significato e la cui rilevanza siano inequivoci, può legittimamente fare affidamento
sull’esecuzione di quell’ordine …”294
L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal fatto che, a fronte del potere-dovere
di direzione del capo-équipe, deve di norma escludersi l’esistenza di una generica
facoltà di contestazione da parte dei collaboratori in posizione subordinata. Ciò trova
limite sicuro nel caso in cui l’infermiere o il medico pretendano comportamenti
contrari alla normativa di carattere generale e alla “lex artis”, o vi siano dubbi concreti
sulla legittimità o correttezza dell’ordine: in tal caso, il subordinato dovrà, in caso di
dubbio, chiedere chiarimenti e, in caso di illegittimità palese, astenersi dalle direttive,
pena la sua diretta corresponsabilità295. Bisogna dire però che restano ovviamente
F. Mantovani - La responsabilità del medico - in Riv.. it. Med. Leg., 1980 p. 16; G. Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale Principio dell’affidamento e comportamento del terzo” Op. cit. p. 498 - Per contro è stato assolto con formula piena dal reato ex art. 591 c.p.
un infermiere di un istituto psichiatrico che consentiva ad una paziente, poi suicidatasi, di uscire dal reparto in cui era ricoverata sul
presupposto che non avesse previsto e voluto che la stessa si allontanasse liberamente dall’ospedale. Corte assise Belluno, 19 febbraio 1999
Riv. pen. 2000, 829.
294
Cass. Penale sez. IV 02-03-2000 n. 9638.
295
Cassazione penale, sez. VI, 28 settembre 1984, Giust. pen. 1986, II,450. Giur. it. 1986, II,114.- Vedi anche sentenza n. 709/2004 del 11
marzo 2004 Corte dei Conti,Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana (fattispecie nella quale vengono condannati un medico di turno
e un infermiere professionale che nel corso di un intervento avevano tentato di rimuovere un corpo estraneo entrato nell'occhio sinistro della
signora, spruzzandovi del liquido con una siringa munita di ago metallico che,a causa della pressione esercitata dallo stantuffo, si era
conficcato nell'occhio della signora. Pertanto, sono connotati da colpa grave il comportamento del medico , che quando diede la disposizione
di procedere al lavaggio oculare, avrebbe dovuto controllare le modalità di svolgimento dell'operazione dell’infermiere, e quindi impedire
l'uso di un mezzo inadeguato ed estremamente pericoloso, sia il comportamento dell’infermiere che avrebbe dovuto assolutamente scartare
293
133
fermi i principi della responsabilità penale personale e della esigibilità in concreto
della condotta omessa (in caso contrario si affermerebbe responsabilità oggettiva), per
l’affermazione della colpa del subordinato, in altri termini va verificato e spiegato che
l’intervento correttivo, omesso, nel contesto operativo in cui gli operatori si trovavano
in quel dato momento era possibile296.
Un importante spunto proprio su queste tematiche è stato offerto da una recente
sentenza della Corte di Cassazione (n. 1878/2000), la quale ha affermato che, in caso
di dubbi, l’infermiere deve intervenire presso il medico, non potendosi configurare
come un “mero esecutore delle prescrizioni mediche”: in difetto, egli potrà essere
ritenuto responsabile di eventi lesivi, per non aver compiuto quanto in suo potere per
impedire l’evento (art. 40 c.p. 2° co.). Nella fattispecie concreta la Suprema Corte
riteneva responsabile di omicidio colposo, insieme al medico, anche un’infermiera
professionale, la quale non si attivava a consultare il medico di fronte a dubbi sul
dosaggio, ritenendo infondata la strategia difensiva basata sul ruolo meramente
esecutivo dell’infermiere. In considerazione del fatto che “….interpretando la
circolare n. 28 del 1986 sull’applicazione delle fleboclisi, nel punto in cui è estesa la
responsabilità dell’infermiere professionale alla preparazione del flacone contenente i
farmaci prescritti dal medico, la Corte di merito ne ha desunto l’obbligo, a carico di
tale figura professionale, di attivarsi nel caso in cui si presentassero, come nel caso in
esame, dubbi sul dosaggio prescritto dal medico, al precipuo scopo di ottenerne una
precisazione per iscritto che valesse a responsabilizzare il medico e a indurlo ad una
eventuale rivisitazione della precedente indicazione….”. Sempre nella stessa sentenza,
la Suprema Corte statuisce che “appare corretto ritenere esigibile, da parte
dell’infermiere professionale, che l’attività di preparazione del flacone non sia
prestata in modo meccanicistico, ma in modo collaborativo con il medico, non già per
sindacare l’efficacia terapeutica del farmaco prescritto, bensì per richiamarne
l’attenzione sui dubbi avanzati a proposito del dosaggio in presenza di variazione del
l'uso della siringa con ago metallico e, comunque, avrebbe potuto anche rifiutarsi di intervenire atteso che non era dotato di una specifica
competenza e per di più in una struttura dove peraltro c'era un apposito reparto di oculistica.
296
Sentenza della Cassazione Penale n° 8006 del 26/05/99 Sez.IV.
134
farmaco, conseguendo proprio dal dovere dell’infermiere professionale, quindi,
l’obbligo di attivarsi in tal senso”.297
È chiaro che la responsabilità penale di un soggetto, anche nell’ambito di un lavoro
di gruppo, non esclude automaticamente che possano esservene altre. Infatti, le diverse
attività che siano contrassegnate da “colpa” e che abbiano portato ad un evento lesivo
del paziente, si sommano e non si elidono: ciascuno dei membri, pertanto, seppur
nell’ambito delle proprie competenze, risponderà comunque del fatto (lesioni o morte).
In tale senso in una sentenza di merito si è affermato che la responsabilità “per
l’abbandono di garze all’interno dell’addome del paziente, è da attribuire alle
concorrenti condotte colpose del chirurgo responsabile in prima persona della fase di
quel lavoro e dell’infermiere strumentista che ha per prassi chirurgica, tra le sue
mansioni specifiche, anche quella della conta delle pezze e dei ferri chirurgici”298.
Questa tesi e decisamente condivisibile alla luce
di una sempre maggiore
responsabilità degli infermieri anche se di recente la Suprema Corte ha avuto modo di
statuire che non può esservi dubbio che almeno il controllo della rimozione dei ferri
spetti all'intera equipe operatoria, e cioè ai medici, i quali hanno la responsabilità del
buon esito dell'intervento, non solo in relazione all'oggetto dell'operazione, ma altresì
per tutti gli adempimenti connessi, sicché è del tutto inaccoglibile l'argomento
secondo il quale il controllo successivo alla suturazione della ferita, e cioè quello
definitivo e tranquillizzante, sia devoluto al personale infermieristico, secondo una
prassi consolidata, avendo il personale paramedico, nel settore chirurgico, funzioni di
297
Cassazione penale sentenza n. 1878 2000 in Riv. Dir. Prof. Sanitarie 2001 n. 4 p. 41 e segg. - Cassazione penale sez. IV, 10 aprile 1998,
n. 7678 in Riv. it. Med. Legale 1999, 1341 vedi anche Cassazione penale sez. IV, 17 novembre 1999, n. 556 in Zacchia 2000, 358
(fattispecie nel quale l’assistente ospedaliero non è affatto quella di un mero esecutore di ordini; in particolare, là dove primario e assistente
condividono le scelte terapeutiche effettuate, entrambi ne assumono la responsabilità, mentre nel caso in cui l’assistente (o l’aiuto) non
condivide le scelte terapeutiche del primario, che non ha esercitato il potere di avocazione, è tenuto a segnalare quanto rientra nelle sue
conoscenze, esprimendo il proprio dissenso; diversamente potrà essere ritenuto responsabile dell’esito negativo del trattamento terapeutico,
non avendo compiuto quanto in suo potere per impedire l’evento).
298
Pretura di Pavia: sentenza 10/03/99 - 23/04/99 N. 92 in Riv. Diritto delle professioni sanitarie 2/99 p. 141.- Cass. pen. Sez. IV, 06-102004, n. 39062- vedi anche Cass. pen. Sez. IV, 26-01-2005, n. 18568 dove - Correttamente è stato ravvisato a carico di tutti i componenti di
una équipe chirurgica (nella specie, il primario, due chirurghi e l'infermiere cosiddetto ferrista, addetto alla consegna e alla riconsegna dei
ferri chirurgici), il reato di lesioni colpose gravi in danno di un paziente, che aveva riportato un laparocele, con indebolimento permanente
della funzione contenitiva della parete addominale, a cagione della condotta negligente tenuta dagli imputati, in cooperazione colposa tra
loro, i quali, per omessa vigilanza reciproca sull'utilizzo degli strumenti chirurgici, avevano fatto sì che, durante un intervento chirurgico, uno
di questi strumenti (precisamente una pinza di Kelly) fosse stato lasciato all'interno della cavità addominale, rendendo necessario a distanza
di tempo un secondo intervento chirurgico per rimuoverlo.
135
assistenza, ma non di verifica dell'attuazione dell'intervento operatorio nella sua
completezza299..
Necessariamente non può parlarsi d’affidamento quando colui che si affida sia in colpa
per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate
condotte e, ciononostante, confidi che altri che gli succedono nella stessa posizione di
garanzia eliminino la violazione o pongano rimedio all’omissione Pertanto l’omissione
da parte dell’infermiere subentrato nel turno successivo non vale ad escludere la
responsabilità dell’infermiere del turno precedente, il quale aveva parimenti omesso
l’azione doverosa.300.
In passato la giurisprudenza penale è stata rigorosissima in materia di colpa nei
rapporti tra medici e infermieri, applicando il criterio della «responsabilità totale» del
medico, in ordine alle carenze professionali del personale infermieristico, logico ed
astratto corollario del principio del «non affidamento», secondo il quale l’infermiere
avrebbe dovuto operare solo ed unicamente sotto il diretto controllo visivo del medico.
Ne costituisce esempio un caso in cui ricorreva una prescrizione esatta del medico e
una trascrizione errata posta in essere dall’infermiera. Il Tribunale di Bolzano, con
sentenza del 3 marzo 1980301, ebbe a condannare entrambi per omicidio colposo:
l’infermiera, a cagione del suo errore materiale, ed il medico, in quanto avrebbe
dovuto controllare quanto era stato trascritto dalla prima.
Viceversa, come si è visto, la recente giurisprudenza, sia di merito sia di legittimità,
sembra orientata a valutare con particolare rigore il contributo causale all’evento
delittuoso delle singole condotte incriminate, tenendo conto dell’effettiva, concreta
esigibilità di una posizione di garanzia da parte di ciascun operatore, anche al di fuori
dei suoi compiti e della sua specializzazione, optando per una regola valutativa più
empirica e maggiormente ancorata all’effettiva possibilità del medico di operare, in
299
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 26-01-2005) 18-05-2005, n. 18568
Cass. Penale sez. IV 02-03-2000 n. 9638 - Cassazione penale sez. IV, 1 ottobre 1998, n. 11444 Ced Cassazione 2000.- Cass. pen. Sez. IV,
(ud. 26-01-2005) 18-05-2005, n. 18568
301
In Riv. it. med. leg., 1980,605.
300
136
questo caso, un reale e concreto controllo sulla correttezza e sull’idoneità delle
mansioni svolte dal personale infermieristico302.
L’operatore giuridico si trova a fronteggiare anche un diverso problema
ermeneutico, reso più complicato e confuso proprio dal lavoro di èquipe, ossia la
necessità di individuare il momento dell’iter sanitario del paziente in cui possa essere
collocato l’errore e l’individuazione della persona a cui questo errore possa essere
imputato, poiché il passaggio da un ruolo ad un altro, da un momento ad un altro non è
così automatico né è diviso per comparti stagni.
Peraltro, a fronte di tecniche sempre più sofisticate della medicina e delle croniche
carenze di mezzi e personale della sanità, questo rilievo va ad assumere sempre
maggiore importanza, portando a volte a conseguenze non facilmente comprensibili
dal cittadino e dall’operatore sanitario.
Infatti, le conseguenze patologiche di questa situazione, in ambito giudiziario, sono
di due tipi:
 il P.M., non riuscendo ad individuare in modo certo quali siano i soggetti o il
soggetto che ha posto in essere il comportamento colposo e che ha determinato
l’evento dannoso, chiede il rinvio a giudizio di tutti quegli operatori che si sono
interessati dell’atto ritenuto fonte di responsabilità;
 il giudice, al dibattimento, non riuscendo ad individuare soggettivamente la
persona che ha commesso il fatto, può assolvere alcuni o tutti gli imputati.
Questi esempi sono ovviamente casi limite, utili a far comprendere, da un lato,
all’operatore sanitario quale sia il margine di rischio e di alea che corre, dall’altro, il
disagio cui si trova sottoposto l’operatore del diritto a fronte di uno scollamento tra la
disciplina sanitaria e quella giuridica, tra una realtà fattuale che ha individuato nuove
forme di lavoro, ed una realtà giuridica immutata che mal si adatta a queste nuove
forme di collaborazione.
Infine è opportuno precisare che non bisogna confondere il principio
dell’affidamento con la delega di funzioni. A titolo di esempio, quando, nel caso di
F. Bricola, V. Zagrebelscky “Giurisprudenza sistematica di diritto penale” OP. CIT. p. 151. vedi anche Cass. pen. Sez. IV, (ud. 26-012005) 18-05-2005, n. 18568- Cass. pen. Sez. IV, (ud. 26-05-2004) 06-10-2004, n. 39062
302
137
interventi operatori, il lavoro si svolga in “équipe”, ciascun componente è tenuto ad
eseguire col massimo scrupolo le funzioni proprie della specializzazione di
appartenenza. Il medico anestesista è tenuto ad adempiere una serie di mansioni che
rientrano nel suo preciso ambito di competenza, tra le quali ad esempio la trasfusione
di sangue al paziente; pertanto, quando l’anestesista si avvale di un collaboratore in
funzione di ausiliario, sicché sia costui che materialmente effettua la sostituzione di
una sacca di sangue durante la trasfusione, sussiste per l’anestesista l’obbligo di
assicurarsi, prima che l’operazione trasfusionale riprenda, che il sangue sia
esattamente quello destinato al paziente303. Peraltro il
medico, che
esegue una
trasfusione, non può delegare ad altri il compito di verificare la corrispondenza del
gruppo sanguigno da trasfondere con quello del paziente, se non in presenza di
esplicita normativa che in modo chiaro e motivatamente autorizzi tale delega, essendo
tale pratica ancora oggi di esclusiva competenza medica304.
Questa situazione, ovviamente, per ciò che riguarda la situazione degli infermieri si
è notevolmente complicata con l’emanazione della Legge 26.2.99 n. 42 (Disposizioni
in materia di professioni sanitarie) e l’approvazione quasi contemporanea del nuovo
codice deontologico dell’infermiere.
Se, infatti, da un lato, la professionalità dell’infermiere ne esce certamente
valorizzata e più adeguata alle nuove specializzazioni e all’importanza di tale figura
nell’ambito sanitario, dall’altro l’abrogazione del vecchio mansionario, che
analiticamente indicava competenze e limiti, certamente esponeva l’infermiere a
minori rischi sotto il profilo della responsabilità professionale.
Purtroppo il “salto di qualità” nella sua prima fase applicativa comporta delle
ricadute negative, che solo nel tempo, dopo una riflessione più attenta, nonché
attraverso dei chiarimenti normativi o giurisprudenziale e con l’applicazione
quotidiana, potranno essere eliminate.
303
Cassazione penale sez. IV, 15 luglio 1991 in Giust. pen. 1992, II, 223
Nella specie è stato ritenuto responsabile d’omicidio colposo un medico anestesista che, nel corso di una operazione chirurgica, aveva
trasfuso sangue incompatibile con quello del paziente, confidando che il controllo sul flacone fosse eseguito dalla caposala. Cassazione
penale, sez. IV, 1 febbraio 1982, in Cass. pen. 1983, 1781.
304
138
2.3.2 Il consenso
Un altro aspetto problematico che interesserà sempre più gli infermieri è certamente
quello del consenso: in futuro saranno, infatti, frequenti i casi in cui la decisione sulla
necessità di procedere ad una tipologia di intervento o decisione dovrà essere presa
dall’infermiere senza l’ausilio di altri, vedi ad esempio il sistema dell’emergenza
territoriale o dell’assistenza domiciliare, nel quale spetterà sempre di più all’infermiere
il compito di dare cognizione al paziente della tipologia di operazione e di eventuali
complicazioni che essa potrà portare. Si pensi ad esempio alla situazione in cui
l’infermiere dell’assistenza domiciliare ravvisi la necessità di un ricovero urgente in
pronto soccorso e si trovi di fronte ad un rifiuto da parte dei familiari o del paziente
stesso, in questo caso l’infermiere dovrà fornire al soggetto tutte quelle informazioni
utili che rendano il rifiuto del ricovero o il consenso allo stesso “informato”. Si tratta,
come si vede, di scelte che implicano a carico dell’operatore un dovere di preventiva
presa di cognizione delle pregresse condizioni di salute del paziente e dei suoi dati
anamnestici305. La formazione del consenso presuppone una specifica informazione su
quanto ne forma oggetto (c.d. consenso informato), che non può provenire che dal
sanitario che deve prestare la sua attività professionale. Tale consenso implica la piena
conoscenza della natura dell'intervento sanitario, della sua portata ed estensione, dei
suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative306. E’
evidente che prendendo spunto da questo principio generale, per le prestazioni
infermieristiche il soggetto legittimato ad informare il paziente è l’infermiere.
Sebbene nel nostro ordinamento non esista una legge ad hoc sul consenso, i principi
cui è necessario far riferimento si ritrovano in primo luogo nella Costituzione. Si tratta
dell’art. 13 della Cost., che sancisce l’inviolabilità della libertà personale 307, e dell’art.
G.A. Norelli – B. Magliona Aspetti medico legali del triage infermieristico in pronto soccorso in Riv. Dir. Prof. Sanitarie, 1999; 2 (4) p.
295-296.
306
Cass. civ., Sez. III, 23/05/2001, n.7027
307
Corte costituzionale 9 luglio 1996, n. 238 La Corte, ha affermato che anche il semplice prelievo ematico comporta a tutti gli effetti una
restrizione della libertà personale, quando se ne renda necessaria l’esecuzione coattiva perché la persona soggetta all’esame peritale non
acconsente spontaneamente al prelievo. La tutela Costituzionale della libertà personale si estende, quindi, a tutti i trattamenti sanitari, i quali
devono essere esplicati esclusivamente o prevalentemente con il consenso del paziente o, quanto meno, rispettare le garanzie previste dalla
norma in oggetto. Riv. it. medicina legale 1996,1197 nota (BARNI).
305
139
32 della Cost. 2° comma, riguardante il consenso alle cure. A norma di quest’ultimo
articolo, nessuno può essere sottoposto a trattamento medico-chirurgico contro la
propria volontà, salvo che una specifica legge non disponga altrimenti. Ulteriori
riferimenti si trovano nella della Legge del 23 dicembre 1978 n. 833, all’art.33, nel
quale è negata qualsivoglia possibilità di effettuare accertamenti e trattamenti sanitari
contro la volontà del paziente, se questi è in grado di esprimerla e se non ricorrono gli
estremi dello stato di necessità di cui all’art. 54 c. p. 308 , nella la legge 28 marzo 2001
n. 145 artt. 5 e 10309, nel D. L. 17 febbraio 1998, n. 23 art. art. 3 punto 2310 . Ancora,
altri riferimenti normativi si rinvengono nell’art. 50 del Codice Penale (consenso
dell’avente diritto), il quale recita: “non è punibile chi lede o pone in pericolo un
diritto, col consenso della persona che può validamente disporne”. Rispetto a
quest’ultima ipotesi bisogna precisare che non è giuridicamente valido il consenso
allorché sia diretto a richiedere o ad assecondare la lesione di beni indisponibili quali
la vita o l’integrità fisica: in tal caso il consenso è valido se la lesione ha finalità di
tutela della salute.
Il legislatore ha cominciato a parlare di consenso informato fin dagli anni 90, in tal
senso troviamo espressamente mensionato tale locuzione, nell’art. 3 della legge 107
del 4 maggio 1990 laddove prevede che: per donazione di sangue e di emocomponenti
si intende l'offerta gratuita di sangue intero o plasma, o piastrine, o leucociti, previo il
consenso informato e la verifica della idoneità fisica del donatore..
Il consenso implica, più che la recita meccanica di un insieme di procedure, di atti,
di rischi e possibili scelte, il presupposto che tra paziente e operatore sussista una
comunicazione aperta e una collaborazione produttiva.
Appare, così, comprensibile come tutto l’attuale orientamento giuridico e
giurisprudenziale sia orientato a privilegiare il principio secondo il quale non sussiste
308
Cassazione civile sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014 in Giust. civ. Mass. 1994, fasc. 11.
Legge 28 marzo 2001, n, 145 “ratifica ed esecuzione della convenzione del Consiglio di Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e
della dignità dell’essere umano rigurardo all’applicazione della biologia e della medicina:Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla
biomedicina, fatta ad Oviedo il 4 aprile 1997, nonché del protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, sul divieto di clonazione degli esseri
umani.
310
Decreto legge 17 febbraio 1998, n. 23 Disposizioni urgenti in materia di sperimentazioni cliniche in campo oncologico e altre misure in
materia sanitaria.. (GU n. 039 del 17/02/1998) convertito nella legge 8 aprile 1998, n. 94 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 14
aprile 1998
309
140
più per l’infermiere o il medico il semplice “dovere di curare”, ma, piuttosto, la
“potestà di curare con il consenso del paziente”311.
Si deve anche sottolineare che l’infermiere non può, e non deve, rassegnarsi a un
passivo atteggiamento di ricezione e applicazione dell’altrui volontà, ma, piuttosto, ha
il dovere di attivarsi e di perseguire il raggiungimento del consenso per il tramite di
quel processo informativo previsto e dettato dall’art. 4.2 del codice deontologico degli
infermieri, là dove prevede che l’infermiere ascolta, informa, coinvolge la persona e
valuta con la stessa i bisogni assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di
assistenza garantito e consentire all’assistito di esprimere le proprie scelte, ovvero
dall’art. 4.5., il quale precisa che l’infermiere, nell’aiutare e sostenere la persona nelle
scelte terapeutiche, garantisce le informazioni relative al piano di assistenza ed
adegua il livello di comunicazione alla capacità del paziente di comprendere. Si
adopera affinché la persona disponga di informazioni globali e non solo cliniche e ne
riconosce il diritto alla scelta di non essere informato.
Si tenga presente, rispetto a questa tematica, che, stante la circostanza che tra chi
svolge professionalmente un’attività sanitaria ed il paziente ricorre un’indubbia
asimmetria informativa a favore del primo, tale per cui molto spesso il soggetto
passivo del trattamento è assolutamente ignaro dei rischi legati al medesimo
trattamento, in questa situazione non è possibile addurre quale fonte di esonero dà
responsabilità la mancata attivazione del paziente per acquisire le necessarie
informazioni312.
Certamente è più complessa la situazione in cui il paziente non sia in grado di
manifestare la propria volontà, situazione che si verifica tanto nel caso di una
mancanza assoluta di esplicito consenso come avviene spesso nei casi di emergenza,
quanto nel caso di esplicito rifiuto al trattamento precedentemente espresso rispetto
alla situazione d’emergenza, cioè quando il paziente era in grado di manifestare la
propria volontà. In tale circostanza è necessario fare ricorso o all’applicazione dell’art.
54 c. p. che disciplina lo stato di necessità, o al cosiddetto “consenso presunto”, che si
311
312
Q. Iadecola. Potestà di curare e consenso del paziente. Padova. Cedam. 1998.
Tribunale Firenze, 7 gennaio 1999 in Resp. civ. e prev. 2000, 157 nota (BELLANOVA).
141
ispira comunque al principio di autodeterminazione del paziente. Esso può valere nei
casi in cui, pur non essendo il paziente cosciente, tuttavia è verosimilmente credibile,
con alto grado di probabilità, che, se fosse stato in grado di farlo, avrebbe dato il suo
consenso all’attuazione dell’atto terapeutico prospettatogli.
È evidente che a tale fattispecie (art.54 c.p.) si può ricorrere purché ne sussistano,
effettivamente, gli estremi di applicabilità ed essi siano rigorosamente rispettati:
l’articolo in questione interviene, infatti, su comportamenti per i quali, obbiettivamente
e in assenza dei presupposti previsti dallo stato di necessità, si configura un reato.
In una situazione di incapacità ad esprimere il consenso, il comportamento
dell’infermiere, deve essere guidato da quanto dettato nell’art. 4.15
del codice
deontologico, il quale recita: l’infermiere assiste la persona, qualunque sia la sua
condizione clinica e fino al termine della vita, riconoscendo l’importanza del conforto
ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.
L’infermiere tutela il diritto a porre dei limiti ad eccessi diagnostici e terapeutici
non coerenti con la concezione di qualità della vita dell’assistito.
A prescindere comunque dalla esatta collocazione teorica del consenso, è
insegnamento consolidato della giurisprudenza, quello per il quale si può ipotizzare
una liceità del trattamento sanitario, in base a precise condizioni, che sono: esercizio
da parte di un professionista abilitato, rispetto delle regole tecniche dell’intervento,
necessità terapeutica e consenso pieno, reale ed informato del paziente313.
L’acquisizione del consenso da parte della persona interessata esige pertanto:
 la verifica della capacità del paziente di comprendere appieno il significato e la
portata dell’intervento, per cui nell’eventualità che possa anche solo sorgere il
dubbio sul possesso delle piene facoltà mentali nel paziente, è opportuno
astenersi dall’intervenire, salvo il caso in cui vi sia un “pericolo attuale di danno
grave alla persona” e quindi sussistano i presupposti dello stato di necessità di
cui all’art. 54 c.p.; in alcuni casi il consenso può peraltro essere efficacemente
313
Corte assise Firenze 18 ottobre 1990 in Riv. it. Med. Legale 1991, 1333 - Tribunale Firenze, 7 gennaio 1999 in Resp. civ. e prev. 2000,
157 - Cassazione penale sez. V, 21 aprile 1992 in Cass. pen. 1993, 63 nota (MELILLO) - Cassazione penale sez. V, 21 aprile 1992 in Difesa
pen. 1994, fasc. 44, 76 nota (BOSCETTO).
Tribunale Palermo, 31 gennaio 2000 in Foro it. 2000, II, 441 - Cassazione civile sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014 in Giust. civ. Mass.
1994, fasc. 11.
142
prestato dal legale rappresentante del soggetto incapace (minorenne o
interdetto);
 l’esplicitazione delle caratteristiche dell’intervento e la prospettazione del
bilancio “rischi/benefici”, in assenza della quale la manifestazione del consenso
potrebbe ritenersi viziata da errore e quindi non valida;
 l’illustrazione dei trattamenti alternativi chiarendo i rischi/benefici
 una manifestazione inequivoca dell’assenso (implicita o esplicita), che varrebbe
sempre la pena che fosse documentato, anche se non necessitano particolari
formule di rito;
Alla luce di quanto fino esposto, il paziente ha, quindi, la possibilità di proclamarsi
“sanitario di se stesso”, pur non essendo in possesso delle competenza specifiche che
gli permettano di ponderare le eventuali conseguenze negative della sua scelta. Va
comunque ribadito che la capacità del paziente di autodeterminarsi in ordine a scelte
attinenti la vita e la salute è limitata entro i confini della disponibilità del proprio corpo
(ex Art. 5 c.c.)314. Il diritto di autodeterminazione/libertà del paziente che rifiuti il
trattamento sanitario “viene meno” solo in poche altre circostanze: quando il sanitario
abbia la “necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla
persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre
che il fatto sia proporzionato al pericolo” (Art. 54 c.p. “Stato di necessità”) o quando
sia stato disposto un trattamento sanitario obbligatorio. In tali circostanze il medico ha
non solo il diritto, ma anche il dovere di agire anche in assenza di esplicito consenso
(o, addirittura, in presenza di esplicito dissenso della persona assistita) 315. Come già
detto, però, al di fuori di tali evenienze (che certamente si riconducono ad una casistica
selezionata e ristretta di condizioni di effettivo stato di necessità) è, comunque,
pienamente riconosciuta al paziente la possibilità di abbandonare le cure, anche se ciò
comporta l’interruzione o il pregiudizio per l’iter diagnostico e terapeutico accettato
all’atto del ricovero.
Atti di disposizione del proprio corpo: “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione
permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
315
Bilancetti M. La responsabilità penale e civile del medico. Cedam 1999, p.137 e segg.
314
143
Un aspetto problematico del consenso nasce in merito alla tutela dell’individuo
incapace “naturale”, ma che non sia né interdetto né inabilitato, costituisce, stante la
mancanza di un organo istituzionalmente preposto al dovere di cura delle persone
naturalmente incapaci, un’evidente lacuna dell’attuale normativa, che pone sia il
medico sia il giurista di fronte a delicati problemi di ordine operativo (problemi che in
ogni caso non si pongono per l’ inabilitato, che pur avendo limitazioni nella possibilità
di disporre dei propri beni patrimoniali, ha comunque in ogni caso la possibilità di
disporre dei beni personalissimi).
Le soluzioni prospettabili -de jure condito- sembrano dunque assai limitate e non sono
facilmente attuabili nel contesto sanitario in cui sono in gioco non già diritti
patrimoniali ma diritti personalissimi, quali la salute e l’integrità fisica: la tutela di tali
beni sembra difficilmente delegabile a figure, quali il cosiddetto “amministratore di
sostegno316”, cui alcuni uffici tutelari ricorrono, talora, anche al di là dei confini
indicati dal legislatore, quando occorra adottare provvedimenti urgenti a tutela dei beni
patrimoniali dell’incapace naturale. Nell’ipotesi più “fortunata”, se il sanitario
apprende dai congiunti che sono in corso procedure per l’interdizione del paziente,
potrà rinviare il trattamento (se procrastinabile senza serio pregiudizio), in attesa della
nomina del soggetto che si “prenderà cura”, dal punto di vista legale, del paziente317.
Negli altri casi, potrà essere promossa istanza di interdizione ai sensi dell’art. 417 c.c.,
nella prospettiva di attivarsi per ottenere, ai sensi dell’art. 419 c.c., terzo comma, la
nomina di un tutore provvisorio.
Secondo autorevole dottrina318 per le circostanze delineate nello specifico di nostro
interesse, potrebbero
ipotizzarsi anche delle “funzioni sostitutive” da parte dei
cosiddetti “protettori naturali” (da individuarsi nella cerchia delle persone legate al
paziente da una comunione di vita o da vincoli ineludibili del sangue), ferma restando
la facoltà del medico di richiamarsi, nel procedere all’intervento, agli elementi
oggettivi della fattispecie nel giudizio di liceità della condotta medica, quando, ad
esempio, “le prospettive aperte dall’intervento appaiano a tal punto incoraggianti da
316
317
318
Legge n. 6 del 9 gennaio 2004
Fucci S. Informazione e consenso nel rapporto medico paziente. Milano: Masson; 1996.
Nannini U.G. Il consenso al trattamento medico. Milano: Giuffrè; 1989
144
far considerare un eventuale rifiuto come un tipo di scelta del tutto irragionevole”.
Questi protettori naturali possono essere identificati, per analogia, con quelli previsti
dall’art. 23 della legge 91/99 che regolamenta la donazione degli organi. Tale articolo
infatti prevede che l'assenso all’espianto possa essere dato espressamente dai familiari,
ossia dal coniuge non separato legalmente, o, se mancante, dai figli maggiorenni,
ovvero, se assenti anche costoro, dai genitori...
2.3.2.1 L’informazione
In merito all’informazione da dare al paziente bisogna specificare che il D.lgs. 30
giugno 2003, n. 196319 - Codice in materia di protezione dei dati personali ha previsto
all’art. 84. (Comunicazione di dati all’interessato) che: i dati personali idonei a rivelare
lo stato di salute possono essere resi noti all’interessato, da parte di esercenti le
professioni sanitarie ed organismi sanitari, solo per il tramite di un medico designato
dall’interessato o dal titolare320. Il titolare321 o il responsabile322 possono autorizzare
per iscritto esercenti le professioni sanitarie diversi dai medici, che nell’esercizio dei
propri compiti intrattengono rapporti diretti con i pazienti e sono incaricati di trattare
dati personali idonei a rivelare lo stato di salute, a rendere noti i medesimi dati
all’interessato. Questa parte della norma autorizza, il titolare o il responsabile, ad
individuare nell’infermiere il soggetto che può comunicare i dati personali idonei a
rivelare lo stato di salute. L’atto di incarico individua appropriate modalità e cautele
rapportate al contesto nel quale è effettuato il trattamento di dati. Infine è utile
precisare che bisogna distinguere il consenso dall’informazione al paziente che, anche
se intimamente collegate, sono comunque due concetti
distinti. Pur essendo
l’informazione il presupposto logico del consenso, ma non necessariamente l’avere
assolto al dovere di informare può indurre taluno a pensare che non sussista il dovere
di chiedere il consenso, il paziente può rifiutare l’atto terapeutico ovvero manifestare
319
Cosiddetto codice della privacy.
Il presente comma non si applica in riferimento ai dati personali forniti in precedenza dal medesimo interessato.
321
Vale a dire, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui
competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di dati personali e agli
strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza.
322
Vale a dire, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo preposti
dal titolare al trattamento di dati personali.
320
145
in un momento successivo la contraria volontà, in ragione della revocabilità del
consenso.
2.3.3 I principali reati dell’infermiere in ambito penale
La responsabilità penale, nell’ambito professionale, è dunque riconducibile a
condotte dell'infermiere comportanti reati contemplati dal codice penale o da altre
leggi dello Stato.
I reati più frequentemente ipotizzati derivanti da condotte professionali colpose o
dolose dell'infermiere sono riportati nella tabella successiva. Questa è divisa in tre
colonne: nella prima sono riportati i titoli dei reati, nella seconda l’articolo o la
norma di riferimento, nella terza colonna è descritta la condotta dell’infermiere che
potrebbe configurare la fattispecie prevista dalla norma.
Titolo del reato
Articolo
Condotta dell’infermiere che potrebbe
configurare la fattispecie prevista dalla
norma
Omicidio colposo
589 c.p.
Somministrazione errata di farmaci che
comporta la morte del paziente
1. Terapia
intramuscolare
in
posizione errata con lesione del
Lesione
colposa
personale 590 c.p.
nervo sciatico con menomazione
funzionale nel cammino
2. Mancato
presidi
posizionamento
antidecubito
in
dei
un
paziente ad elevato rischio di
lesioni
da
manifestazioni
decubitodi
lesioni
con
da
146
Titolo del reato
Articolo
Condotta dell’infermiere che potrebbe
configurare la fattispecie prevista dalla
norma
decubito importanti
Violenza Privata
610 c.p.
Contenzione di un paziente quando non
sussistono
i
presupposti
per
tale
intervento.
Omissione di soccorso
593 c. p.
L’infermiere il
quale,
durante una
seduta dialitica od altra terapia
od
intervento, ometta di provvedere alla
immediata sostituzione di una bombola
di ossigeno
esaurita,
ricercare
personale
limitandosi
a
addetto
all'operazione e determinando così una
cessazione dell'erogazione al paziente.
Rifiuto
ufficio323
di
atti
di 328 c. p.
L’infermiere
somministrare
che
rifiuta
un
di
farmaco
antidolorifico, prescritto al bisogno, ad
un paziente che lo richiede e con chiari
sintomi di dolore.
Un infermiere che a fronte di una
situazione di crisi di un paziente e su
esplicita richiesta da parte dei parenti
non avverte il medico di guardia.
323
Cass. Pen. Sez. VI, Sentenza n. 39486 del 27/09/2006 Integra la fattispecie del rifiuto di compiere un atto di ufficio il comportamento di
una infermiera generica che richiesta da un paziente di procedere alla sua pulizia per motivi di igiene e sanità, la ritardi in quanto impegnata
nell'attività di distribuzione del vitto, in quanto l'operazione di pulizia personale rivestiva carattere d'urgenza e la prescrizione di tale compito
non necessitava di un ordine specifico del medico, sussistendo una direttiva emanata ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. n. 225 del 1974, impartita
in via generale e sulla base di turni di servizio.
147
Titolo del reato
Articolo
Condotta dell’infermiere che potrebbe
configurare la fattispecie prevista dalla
norma
Rivelazione
segreto 622 c.p.
L’infermiere che venuto a conoscenza
della patologia grave di cui è affetto un
professionale
paziente lo comunica ad altra persona
senza il consenso del paziente stesso324.
Rivelazione
segreto 326 c.p.
L’infermiere che venuto a conoscenza
dell’intenzione
d’ufficio
da
parte
dell’amministrazione di intraprendere
un’indagine
amministrativa
nei
confronti di un collega lo avverte.
Falsità
ideologica
in 481 c.p.
L’infermiere dell’assistenza domiciliare
certificati commessa da
che per accondiscendenza nei confronti
persone
esercenti
un
dei familiari del paziente e ai fini di una
servizio
di
pubblica
frode assicurativa, certifica falsamente
necessità
di
aver
prestato
assistenza
infermieristica per un periodo superiore
a quello realmente erogato.
Falsità materiale in atti 476 c.p.
L’infermiere che, venuto a conoscenza
pubblici
di
un’indagine
giudiziaria
o
amministrativa, cancella dalla consegna
infermieristica
alcuni
dati
che
comporterebbero delle sanzioni a carico
proprio o dei colleghi.
Falsità ideologica in atti 479 c.p.
L’infermiere che scrive in cartella
Per un approfondimento vedi Fadanelli M. – Trentini G. L’infermiere e il segreto professionale in rivista L’infermiere n. 3/2005 Organo
Ufficiale federazione Nazionale collegi IPASVI
324
148
Titolo del reato
Articolo
Condotta dell’infermiere che potrebbe
configurare la fattispecie prevista dalla
norma
infermieristica, per un paziente a rischio
pubblici
di
lesioni
da
decubito,
effettuata
mobilizzazione del paziente ogni due ore
senza averla effettuata.
Omissione di referto
365 c.p.
L’infermiere del pronto soccorso che
334 c.p.p.
abbia
prestato
assistenza
ad
una
persona che presenta ferite da armi e
non si accerti che il medico abbia
provveduto a stilare il referto ovvero, in
caso di omissione del medico, a darne
personalmente
notizia
all’autorità
competente.
Omessa
denuncia
da 362 c.p.
L’infermiere dell’assistenza domiciliare
parte di un incaricato di 331 c.p.p.
che,
venuto
pubblico servizio
maltrattamenti da parte della figlia nei
confronti
a
conoscenza
dell’anziano,
denunciare
l’accaduto
omette
di
di
all’autorità
giudiziaria
Commercio
o 443 c.p.
L’infermiere
che
somministrazione
di
farmaco scaduto
somministra
un
medicinali guasti
Interruzione
ufficio
o
di
un 340 c.p.
servizio
pubblico o di un servizio
Gli infermieri di un ambulatorio che,
per protesta nei confronti del caposala,
si
assentano
tutti
chiudendo
149
Titolo del reato
Articolo
Condotta dell’infermiere che potrebbe
configurare la fattispecie prevista dalla
norma
l’ambulatorio.
di pubblica necessità
Esercizio
abusivo
di 348 c.p
L’infermiere libero professionista che
esercita la professione senza essere
professione
iscritto all’albo professionale.
Adibire
le
donne
al DECRETO
Il caposala che nella programmazione
lavoro, dalle 24 alle ore LEGISLATIVO dei turni obbliga una infermiera in stato
6,
dall'accertamento 8 aprile 2003 n. di gravidanza ad effettuare i turni
dello stato di gravidanza 66 art 18 bis
notturni
fino al compimento di un
anno di età del bambino
2.4 La responsabilità professionale in ambito civile
Passiamo, ora, ad analizzare la responsabilità civile dell’infermiere, la cui disciplina è
contenuta essenzialmente nel codice civile. In primo luogo è utile chiarire che al
giudizio di responsabilità civile si giunge quando un cittadino (persona fisica o
giuridica) ha violato una norma del codice civile ed ha così causato un danno
risarcibile ad un altro cittadino, oppure né ha leso un diritto tutelato dal c.c. che vuole
vedere ripristinato. Lo scopo del giudizio di responsabilità civile è quello di risarcire,
vale a dire di restituire alla persona danneggiata il bene perduto. Chiaramente quando
si tratta del bene salute, questo non può essere restituito in forma specifica e quindi
150
dovrà essere trasformato in termini monetari. Chiarita la funzione della responsabilità
civile la stessa va distinta tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
L’intreccio tra i due generi di responsabilità dell’infermiere potrebbe essere così
qualificato:
 di tipo extracontrattuale, tra l’assistito e l’infermiere dipendente;
 di tipo contrattuale, tra l’a struttura da cui dipende l’infermiere e lo stesso325;
 di tipo contrattuale, tra infermiere e assistito, nel caso di libera professione (ad
es., assistenza domiciliare).
Preliminarmente all’analisi specifica della disciplina che regola la responsabilità
professionale in campo civile è opportuno chiarire brevemente alcuni concetti,
attualmente controversi, ossia, il primo, se le obbligazioni in campo professionale
debbano essere inquadrate tra le obbligazioni di mezzi o di risultato, il secondo, è la
distinzione tra colpa lieve o grave.
Rispetto al primo punto, secondo una distinzione tradizionale, ancora seguita in
dottrina e giurisprudenza, la prestazione del medico e anche degli altri operatori
sanitari quali l’infermiere, appartiene alla categoria delle obbligazioni cosiddette di
mezzi, per distinguerle da quelle di risultato, avendo ad oggetto le prime “solo” un
comportamento professionalmente adeguato, le seconde il risultato stesso che il
creditore (rectius, il paziente destinatario della prestazione) ha diritto di conseguire.
In aderenza a quanto affermato dai fautori della distinzione tradizionale, infatti, la
rigida regola di responsabilità fissata nell’art. 1218 c.c. (la quale recita che il debitore
che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno,
se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile), varrebbe soltanto per le
obbligazioni di risultato, mentre per quelle di mezzi varrebbe il principio della
diligenza326.
Dal punto di vista dell’onere della prova, invece, si assisterebbe, nel caso delle
obbligazioni “di mezzi”, all’individuazione dell’onere in capo al paziente, al quale,
A.A.V.V. Guida all’esercizio professionale per il personale infermieristico ostetrico tecnico sanitario e della riabilitazione Op. cit. p.
125.
326
D. CARUSI, Responsabilità del medico ed obbligazioni di mezzi, in Rass. Dir. Civ., 1991, 485 e segg., specialmente 488 e segg.
325
151
quindi, spetterebbe di provare la colpa dell’infermiere327, mentre al contrario
ricadrebbe in capo all’infermiere in quelle di “risultato”, nelle quali all’assistito sarà
sufficiente provare che il risultato non ha le qualità richieste328.
Ai nostri fini ne
conseguirebbe
che,
essendo
generalmente inquadrata
l’obbligazione dell’infermiere tra quelle “di mezzi”, l’onere della prova graverebbe sul
paziente. Sulla scorta di tale impostazione, la giurisprudenza ha formulato spesso
giudizi che interessavano la categoria medica e che possono essere estesi alla
professione infermieristica, in quanto assolutamente aderenti a tali premesse, dando
credito alla distinzione sopracitata329.
Autori comunque hanno dissentito da tale impostazione per affrontare criticamente
la distinzione tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato, così come
tradizionalmente inquadrata dalla dottrina: si è osservato che le norme di cui all’art.
1176 cod. civ.330, riguardante la diligenza nell’adempimento, e all’art. 1218 cod. civ.
sulla responsabilità del debitore per l’inadempimento, sono poste a regolamentare tutte
le obbligazioni, e non sono suscettibili di applicazione distinta a seconda della
tipologia di obbligazioni in discorso331.
Altri autori invece distinguono tra medici e non medici, ritenendo che per questi
ultimi esiste, pressoché costantemente l’obbligo del risultato, poiché chiamati ad
effettuare attività di non rilevante difficoltà332.
Mentre la giurisprudenza ha ritenuto, salvo alcune eccezioni333, che la prestazione
d’opera professionale si risolva in prestazione di mezzi, e non di risultato, anche se vi
è l’obbligo per il professionista di porre in essere i mezzi concettuali ed operativi che,
Perché qui essa costituisce il criterio per giudicare la qualità della prestazione e dunque l’esistenza stessa dell’inadempimento.
Trimarchi P. Istituzioni di diritto privato Giuffrè nona edizione p. 354
329
Cfr. Cass., 18 giugno 1975, n. 2439, in Giur. it., 1976, I, 1, 953; Cass., 18 aprile 1978, n. 1845, in Resp. civ. prev., 1978, 591; Cass., 21
dicembre 1978, n. 6141, in Giur. it., 1979, I, 1, 953.
330
Art. 1176. - Diligenza nell’adempimento. Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura
dell’attività esercitata.
331
P. RESCIGNO, Obbligazioni, in Enc. Dir., XXIX, 1979, 190 e segg.
332
A.A.V.V. Guida all’esercizio professionale per il personale infermieristico ostetrico tecnico sanitario e della riabilitazione Op. cit. 1996
p. 124.
333
Fattispecie nella quale, la Suprema Corte ha riconosciuto come obbligazione di risultato e non di mezzi quella di un medico che aveva
proposto e praticato un intervento d’incollaggio delle tube a una paziente - quale metodo anticoncezionale sicuro al 100% - che
successivamente, però, era rimasta incinta. Cassazione civile sez. III, 10 settembre 1999, n. 9617 Resp. civ. e prev. 2000, 315 nota
(CITARELLA) così come deve ritenersi ammissibile la possibilità per un chirurgo estetico di assumere un’obbligazione di risultato, sia pure
in senso relativo, adeguato cioè al grado della tecnica e alla situazione pregressa del paziente. (Fattispecie in tema di trapianto di capelli).
Tribunale Roma, 5 ottobre 1996 Arch. civ. 1997,1122 nota (FAVINO) in questo senso anche Cazzaniga A. Compendio di medicina legale e
delle assicurazioni op. cit. p. 559.
327
328
152
in vista dell’opera da realizzare, appaiono idonei ad assicurare quel risultato che il
committente e preponente si ripromette dall’esatto e corretto adempimento
dell’incarico, con la conseguente valutazione del suo comportamento alla stregua della
diligentia quam in concreto334.
Poiché è evidente che le prestazioni infermieristiche rientrano all’interno delle
prestazioni d’opera professionale, si può concludere che l’obbligazione di cui
l’infermiere è titolare, de iure condito, sia di mezzi e non di risultato.
L’obbligazione dell’infermiere sarebbe pertanto quella di porre in essere un
comportamento professionalmente adeguato. In generale la perizia, la diligenza e la
prudenza, richieste a qualsiasi professionista (colpa generica) e nello specifico, il
rispetto delle regole dell’arte infermieristica, dei principi deontologici e anche dei
contenuti di specifiche leggi (Colpa specifica) quale espressione della diligenza che lo
standard medio di riferimento richiede, non essendo al contrario tenuto a far
conseguire un risultato, giacché questo è solo in parte legato causalmente alla
prestazione che gli viene richiesta.
La distinzione fin qui fatta comporta rilevanti conseguenze, come abbiamo detto,
sulla disciplina delle rispettive categorie, essendo in gioco la ripartizione dell’onere
della prova, nonché l’applicabilità delle regole in materia di responsabilità debitoria.
Rispetto al secondo punto, vale a dire la distinzione tra colpa lieve e colpa grave, la
giurisprudenza più accreditata ritiene che la diligenza del professionista debba essere
valutata in base all’art. 1176 co. 2 c.c., il quale prevede che nell’adempimento delle
obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve
valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Trattasi, in altri termini, della
diligenza specifica, diversamente da quella ordinaria di cui all’art. 1176 co. 1 c.c.,
riferita all’uomo di normali capacità (buon padre di famiglia ) 335. La diligenza del
professionista consiste quindi nella scrupolosa attenzione; pertanto, nei casi di
negligenza o imprudenza, egli risponde secondo i criteri della colpa lieve, atteso che
dal professionista in genere si pretende una preparazione adeguata e la massima
334
335
In questo senso Cass. civ., sez. II, 21 giugno 1983 n. 4245 in Giust. civ. Mass., 1983, fasc. 6.
Cassazione civile sez. III, 3 marzo 1995, n. 2466 in Giust. civ. Mass. 1995, 514.
153
attenzione esigibile, in altri termini richiedendo al professionista uno standard elevato
di diligenza, egli risponde quando viola in misura minima il dovere di diligenza 336 .
Nei casi di imperizia rileva la sola colpa grave ex art. 2236 c.c. La colpa grave è
riconducibile all’errore grossolano, dovuto alla violazione delle regole o alla mancata
adozione degli strumenti adeguati, e quindi di quelle conoscenze che rientrano nel
patrimonio minimo dell’infermiere. L’imperizia dovuta a colpa grave consiste quindi
nella totale difformità del metodo o tecnica scelti, dalle conoscenze acquisite alla
scienza e pratica infermieristiche, tenendo presente che una tecnica si considera valida
o perché è stata approvata dalla comunità scientifica o per la consolidata
sperimentazione337.
La figura della colpa grave trova la sua ragione d’essere nelle ipotesi di interventi
particolarmente complessi, o perché non ancora sperimentati o non studiati in modo
approfondito. In altri termini di fronte ad un caso concreto che sia comune ed
ordinario, cioè che sia tipico perché conosciuto dalla scienza e nell’esperienza
infermieristica, con la conseguente esistenza di regole precise ed indiscusse, sussiste la
responsabilità ordinaria dell’infermiere, anche per colpa lieve ove la regola o le regole
da applicare non siano osservate per inadeguatezza od incompletezza dalla
preparazione professionale comune e media (imperizia) o per omissione della
diligenza media (negligenza). L’infermiere risponde, invece, soltanto per colpa grave
(oltre che per dolo) quando il caso concreto sia straordinario od eccezionale sia da
essere non adeguatamente studiato nella scienza infermieristica e sperimentato nella
pratica, ovvero quando nella scienza siano proposti e dibattuti diversi, ed incompatibili
tra loro, sistemi diagnostici, terapeutici e di tecnica assistenziale, tra i quali
l’infermiere operi la sua scelta338.
Per tale motivo, la giurisprudenza più accreditata stabilisce che la colpa grave ex
art. 2236 c.c. si applica nelle ipotesi di imperizia, nell’ambito di procedure
336
Cassazione civile sez. III, 18 ottobre 1994, n. 8470 in Giust. civ. Mass. 1994,1235 - Cassazione civile sez. III, 12 agosto 1995, n. 8845 in
Zacchia 1997, 115.
337
Cassazione penale, sez. IV, 19 febbraio 1981, Cass. pen. 1982, 1171; Cassazione penale, sez. IV, 18 ottobre 1978, Cass. pen. 1981, 548.
338
Cassazione civile, sez. III, 26 marzo 1990 n. 2428 in Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 3 - Cassazione civile sez. III, 12 agosto 1995, n. 8845 in
Zacchia 1997, 115.
154
complesse339. Questo non toglie che l’infermiere abbia comunque una libertà di scelta
tra le diverse tecniche assistenziali che la scienza infermieristica offre.
Rispetto a questo argomento è opportuno dire che la colpa grave rileva anche ai fini
di un’eventuale responsabilità nei confronti della Pubblica Amministrazione per i
danni erariali, a titolo di dolo o colpa grave. Infatti vi è l’obbligo per l’operatore
dipendente di rispondere personalmente dei danni arrecati ad altri nell’esercizio delle
proprie attribuzioni solo se si tratti di danno ingiusto e violazione di un diritto
soggettivo commesso con dolo o colpa grave. Mentre negli altri casi il terzo
danneggiato potrebbe soltanto agire contro la pubblica amministrazione, la quale
avrebbe poi facoltà di rivalersi nei confronti del proprio infermiere dipendente. Questi
non è tenuto a risarcirli se ha agito per un ordine del superiore; in questo caso risponde
il superiore stesso. È invece tenuto a risarcirli se ha agito per delega del superiore340.
2.4.1 Responsabilità contrattuale
In virtù della sempre più crescente attività libero professionale degli infermieri
soprattutto in alcuni ambiti quali l’assistenza domiciliare, la responsabilità contrattuale
si fa sempre più importante, mancando in questo settore la protezione data dal rapporto
di lavoro subordinato con una struttura sanitaria, sia essa una Azienda pubblica o una
struttura privata.
La responsabilità contrattuale deriva da quanto enunciato dall’art. 1218, ove si
prevede che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al
risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato
determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile
dunque, presuppone che una prestazione sia fondata su un rapporto ben determinato tra
le parti, ove vi sia chiarezza sull’oggetto dell’obbligazione e sui fini proposti341.
Nell’ambito della prestazione contrattuale non vi sono dubbi che la l’attività
339
340
341
Cassazione civile sez. III, 3 marzo 1995, n. 2466 in Giust. civ. Mass. 1995, 514.
L. Benci “Manuale giuridico professionale per l’esercizio del nursing” Op. cit. p. 52.
Cazzaniga A. Compendio di medicina legale e delle assicurazioni op. cit. p. 558.
155
infermieristica, per le sue caratteristiche e la necessaria qualifica di chi la esercita,
rientri nelle prestazioni d’opera intellettuale ex 2236 c.c.. Pertanto l’infermiere libero
professionista generalmente deve effettuare personalmente la prestazione dovuta, visto
che il contratto concluso con l’assistito è un contratto d’opera intellettuale ossia
concluso intuitu personae, nel senso che per il cliente è essenziale la persona del
professionista di cui apprezza l’abilità professionale342.
Ne deriva che:
 il contratto non può essere ceduto (art. 1406 c.c.);
 diventa rilevante l’errore sulla persona (art. 1429 c.c.);
 il paziente può rifiutare l’adempimento del terzo (art. 1180 c.c.).
Inoltre, occorre rilevare che, in virtù dell’art. 1256 c.c., l’impossibilità definitiva
della prestazione, per causa non imputabile all’infermiere, estingue l’obbligazione,
dedotta in contratto. L’istituto in esame costituisce un elemento essenziale, ai fini
dell’esenzione da responsabilità del debitore.
Il paziente, che abbia richiesto il risarcimento del danno, nell’ambito della
responsabilità contrattuale, deve provare il danno conseguente l’inadempimento
dell’infermiere. Mentre l’infermiere deve provare d’aver adottato, con diligenza, tutti i
mezzi e gli strumenti, acquisiti alla scienza infermieristica del momento storico
considerato.
Sempre in tema d’inadempimento il paziente può far valere la responsabilità anche
per colpa lieve, purché dimostri che l’intervento concordato era di facile esecuzione.
In relazione alla specifica prestazione erogata dall’infermiere, essendo la stessa
un’obbligazione di mezzi e non di risultato, la prova della relativa responsabilità non è
fornita dall’accertamento del danno psicofisico343.
Il consenso ex art. 1325 c.c., deve essere, come abbiamo visto, informato, ossia
bisogna assicurare al paziente il diritto ad esprimere il consenso sulla base delle
indicazioni precise e chiare che l’infermiere deve fornire: è questo il momento che
Anche se l’art. 2232 c.c. prevede che il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la
propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è
incompatibile con l’oggetto della prestazione.
343
Cassazione civile sez. III, 30 maggio 1996, n. 5005 in Giust. civ. Mass. 1996, 797.
342
156
integra l’accordo e acquista, come si è illustrato, particolare rilievo anche ai fini di una
eventuale responsabilità penale.
In caso di consenso non valido le conseguenze civili sono diverse secondo
l’impostazione giuridica che si segue per la definizione della relativa problematica.
Se da esso consegue la mancanza dell’accordo, quale elemento essenziale, il
contratto è nullo ex art. 1418 c.c.; se, invece, si ammette la sussistenza dell’accordo,
fondato sul consenso “dato per errore” o “carpito con dolo”, il contratto è annullabile
ex art. 1427 c.c.
Le differenze tra la nullità e l’annullabilità sono rilevanti sul versante della
legittimazione (art. 1421 c.c. per la nullità; art. 1441 c.c. per l’annullabilità), della
prescrizione (imprescrittibilità dell’azione di nullità ex art. 1422 c.c.; prescrizione
quinquennale dell’azione d’annullamento ex art. 1442 c.c.), della convalida
(inammissibilità della convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c.; convalida del
contratto annullabile ex art. 1444 c.c.) ecc..
2.4.2 Responsabilità extracontrattuale
La responsabilità extracontrattuale o aquiliana deriva dalla previsione disciplinata
dall’art. 2043 c.c., che prevede che qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad
altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
La responsabilità extra contrattuale (o aquiliana) non presuppone alcun rapporto preesistente, ma deriva semplicemente dal compiere un atto illecito che reca un danno
poiché per ogni cittadino vale il principio generale del “neminem laedere”.
Il fatto dannoso può essere causato da un comportamento commissivo od omissivo,
connotati dal dolo o colpa.
Nell’ambito della responsabilità extracontrattuale la legge prevede, a carico del
paziente che volesse chiedere un risarcimento da danno ingiusto, un onere probatorio
che deve comprendere: la condotta, il danno ingiusto, il nesso di causalità e l’elemento
psicologico del dolo o della colpa.
157
In relazione alla problematica della colpa grave, come si è detto, la giurisprudenza
prevalente, nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, ammette l’applicazione
dell’art. 2236 c.c. (colpa grave), nelle ipotesi d’imperizia, collegate ad atti di
particolare complessità344.
Proprio perché ci si trova nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, ai fini
dell’applicazione dell’art. 1176 c.c. (colpa lieve), spetterà al paziente danneggiato
provare che l’intervento era di facile soluzione e che le condizioni di salute hanno
registrato un peggioramento; deve, in altre parole, provare che si trattava di un’attività
ordinaria ex art. 1176 c.c., attraverso dati obiettivi (cartelle cliniche, certificazioni
mediche, perizie mediche ecc….); deve provare la non corretta esecuzione o
l’inadeguatezza della prestazione professionale.
L’infermiere, convenuto in giudizio, dovrà al contrario, provare di aver tenuto un
comportamento, basato sulla diligenza, prudenza e perizia; dovrà dimostrare la totale
assenza di dolo o colpa, nell’esecuzione dell’attività infermieristica nell’ipotesi
concreta345.
L’infermiere potrebbe essere esente da responsabilità, qualora provi in giudizio che
le lesioni personali si siano realizzate per caso fortuito rientrante nel rischio connesso
all’attività346.
Il danno risarcibile in concreto nell’ambito civile deve essere suscettibile di
valutazione economica; si configurano diverse figure di danno risarcibile.
Il danno patrimoniale, il quale incide negativamente sulla sfera economica del
soggetto, comprende la perdita subita o danno emergente (per es. le spese per nuove
cure mediche ecc…) e il mancato guadagno o lucro cessante (per es. la lesione
all’integrità psicofisica, la perdita della capacità di produrre reddito ecc…) in quanto
siano conseguenza immediata e diretta dell’azione o omissione (art.2056 c.c.). Tra
fatto illecito e danno deve sussistere un nesso di causalità, in grado di escludere dal
risarcimento le conseguenze dell’inadempimento che non siano immediatamente
dirette; in sostanza, il danno deve essere stato cagionato in modo diretto all’azione e
344
345
346
Vedi colpa grave o lieve.
Cassazione civile sez. III, 1 febbraio 1991 n. 977, in Giur. it. 1991, I,1,1379.
Pretura Milano, 16 dicembre 1998 Foro ambrosiano 1999, 279.
158
non da altre cause. È molto discusso quale criterio si debba adoperare per accertare la
sussistenza di tale nesso tra fatto illecito e danno; prevale la tesi secondo cui il danno è
da considerarsi causato dall’illecito se il primo non si sarebbe verificato in assenza del
secondo (teoria condizionalistica); una volta accertata in conformità a tale criterio
l’esistenza del nesso causale, si deve ulteriormente verificare se il fatto illecito sia
idoneo a produrre il danno, secondo una valutazione in termini di normalità e
adeguatezza, nel senso che il danno deve configurarsi come conseguenza normale e
naturale del fatto illecito (teoria della causalità adeguata).
Differente dal danno patrimoniale in senso stretto è il danno biologico o lesione
all’integrità psicofisica347. Si tratta di un danno liquidabile dal giudice in via
equitativa, e che si manifesta in varie forme quali il danno estetico, il danno
esistenziale, il danno alla vita di relazione348.
Un’altra voce di danno risarcibile è il danno morale, che può essere danno
conseguenza di quello biologico (perturbamento psichico transeunte), è ammesso solo
in caso di reato (v. art. 2059 c.c., art. 185 c.p.); il relativo risarcimento costituisce il
“pretium doloris”.
Concludendo, è chiaro che la prospettiva di gran lunga preminente della responsabilità
professionale in sede giudiziaria sarà quella maturata in sede penale, piuttosto che in
sede civile, per la ragione pratica che la massima parte delle controversie civili fra
paziente e operatore sanitario trovano la soluzione extragiudiziale. Rimane comunque
il fatto che molte volte il contenzioso si incanala nell’ambito di giudizi penali,
instaurati a querela di parte (per le lesioni colpose) o di ufficio (per le lesioni
volontarie e per la morte del paziente stesso), con successivo inserimento della pretesa
risarcitoria nel corso del giudizio penale e perciò secondo le regole probatorie e
argomentative proprie di quel modello di processo; mentre non pare molto comune
l’instaurazione del solo giudizio civile per risarcimento del danno, separatamente dal
preventivo giudizio penale, con le regole proprie di quel diverso modello processuale.
347
Corte costituzionale 14 luglio 1986 n. 184, in Giur. it. 1987, I,1,392
Cassazione civile, sez. III, 23 ottobre 1985 n. 5197, in Giust. civ. Mass. 1985, fasc. 10 vedi anche Cazzaniga A. Compendio di medicina
legale e delle assicurazioni UTET undicesima edizione pag. 401.
348
159
2.5 La responsabilità amministrativa e disciplinare nel pubblico impiego
La responsabilità amministrativa si riferisce alla responsabilità a contenuto
patrimoniale d’amministratori o dipendenti pubblici, per i danni causati all’ente,
nell’ambito o in occasione del rapporto d’ufficio. L’accertamento della responsabilità
comporta la condanna al risarcimento del danno a favore dell’amministrazione
danneggiata. La responsabilità amministrativa riguarda gli operatori pubblici, tra cui
gli infermieri che operano alle dipendenze di enti pubblici, e si realizza per
inosservanza dei doveri d’ufficio e di servizio. La giurisdizione per danni cagionati
alla P.A. è del Giudice Contabile della Corte dei Conti (Regio Decreto 18 novembre
1923, n. 2440 art. 83, come sostituito dall'art. 1, legge 1 marzo 1964, n. 62).
La differenza tra la responsabilità amministrativa e la responsabilità civile sta nel
fatto che se un infermiere dipendente arreca danno ad un terzo estraneo alla pubblica
amministrazione, in virtù di quanto previsto dall’art. 28 della Costituzione349, sia
l’infermiere sia la stessa amministrazione, insieme, devono risarcire il terzo del
pregiudizio subito, che è di tipo contrattuale tra il paziente e l’amministrazione
sanitaria cui il cittadino si rivolge per ricevere assistenza350.
Al contrario, la responsabilità amministrativa tutela la stessa pubblica amministrazione
nei confronti dei danni subiti a causa di un funzionario o di un impiegato (infermiere)
all’interno del rapporto d’ufficio, obbligando il funzionario a risarcire il danno causato
all’ente a causa della sua condotta. In tale senso per gli infermieri professionali
dipendenti dal Servizio Sanitario Nazionale, il DPR n. 761 del 20 dicembre 1979
all’art. 28 prevedeva che ai dipendenti delle unità sanitarie locali si applicano le
norme vigenti per i dipendenti civili dello Stato di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e successive integrazioni e modificazioni.
Attualmente questa materia per gli infermieri è regolamentata sia da norme generali
(legge 639/96) sia da norme contrattuali ( art. 26 del CCNL comparto sanità 98/01).
349
Art. 28 cost. I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e
amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.
350
Tribunale Udine 13 maggio 1991, Foro it. 1992, I, 549.
160
Perché vi possa essere responsabilità amministrativa per l’infermiere è necessario che
vi sia una condotta dolosa o gravemente colposa, collegata o inerente al rapporto
esistente con l’amministrazione, che questa condotta abbia causato un danno pubblico
risarcibile e che il danno sia una conseguenza diretta ed immediata di detta condotta351.
Secondo la giurisprudenza, la sussistenza della colpa grave non può essere affermata
in astratto ma deve essere valutata caso per caso. Questo perchè,non ogni condotta
diversa da quella doverosa implica colpa grave ma solo quella che sia caratterizzata da
particolare negligenza,imprudenza od imperizia e che sia posta in essere senza
l'osservanza,nel caso concreto,di un livello minimo di diligenza,prudenza o
perizia;occorre precisare,inoltre,che tale livello minimo dipende dal tipo di attività
concretamente richiesto all'agente e dalla sua particolare preparazione professionale,in
quel settore della P.A. al quale è preposto. Applicando tali principi di carattere
generale la Corte dei conti siciliana ha affermato la responsabilità amministrativa di un
medico e di un infermiere che nel corso di un intervento avevano tentato di rimuovere
un corpo estraneo entrato nell'occhio sinistro di una signora, spruzzandovi del liquido
con una siringa munita di ago metallico che,a causa della pressione esercitata dallo
stantuffo, si era conficcato nell'occhio della signora. Statuendo che si può senz'altro
affermare l'esistenza della colpa grave dei convenuti. Infatti il medico quando diede la
disposizione di procedere al lavaggio oculare, avrebbe dovuto controllare le modalità
di svolgimento dell'operazione, e quindi impedire l'uso di un mezzo inadeguato ed
estremamente pericoloso mentre l’infermiere avrebbe dovuto assolutamente scartare
l'uso della siringa con ago metallico e, comunque, avrebbe potuto anche rifiutarsi di
intervenire atteso che non era dotato di una specifica competenza e per di più in una
struttura dove peraltro c'era un apposito reparto di oculistica352.
Per ciò che riguarda il danno pubblico risarcibile questo deve essere un danno
patrimoniale, nel senso che presuppone un pregiudizio economico. Il concetto di
danno, inoltre, va rapportato al concetto di bene pubblico tutelato. La Corte di
cassazione ha affermato che anche il pregiudizio di un bene immateriale (ad esempio
351
Legge 20 dicembre 1996 n. 639 - Mazzarolli e altri Diritto Amministrativo Monduzzi editore seconda edizione 1998 p. 1711 vedi anche
Corte dei Conti reg. Piemonte sez. giurisd., 10 giugno 1999, n. 1058 Riv. it. Med. Legale 2000,1315 nota (FIORI, D’ALOIA).
352
Sentenza n. 709/2004 del 11 marzo 2004 Corte dei Conti,Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana
161
l’immagine ed il prestigio dell’amministrazione), se comporta dei costi e delle spese
per il suo ripristino, è un danno risarcibile353. Secondo le regole generali, per essere
risarcibile il danno deve essere certo, attuale ed effettivo. Nel quantificare il danno il
giudice deve, in ogni caso, tenere conto dei vantaggi conseguiti dalla collettività
amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dipendenti
sottoposti al giudizio di responsabilità (in altri termini, se dalla condotta illecita
dell’infermiere è derivata anche un’utilità, di ciò bisogna tenere conto per determinare
l’ammontare del danno).
Nel caso di più infermieri coinvolti nel danno è evidente che diventa problematico
stabilire se, rispetto al principio del “dosaggio” delle responsabilità in sede civile
secondo la rispettiva misura di compartecipazione causale, crei interferenza il
principio generale in forza del quale la responsabilità dei dipendenti pubblici per danni
cagionati a terzi è limitata ai casi di “dolo o colpa grave” previsto dal legislatore
354
.
Infatti, ove si ritenesse quest’ultimo principio più vincolante, perché di portata
normativa più specifica rispetto al principio generico della solidarietà fra i vari autori
del danno, ai sensi dell’art. 2055355c.c., ne discenderebbe che sarebbero esonerati
completamente da responsabilità risarcitoria coloro cui fosse addebitata una misura di
colpa “non grave”, nel quadro complessivo dell’eziologia dannosa; per converso,
aumenterebbe in corrispondenza la misura della responsabilità risarcitoria degli altri
coautori del danno, che invece fossero ritenuti responsabili di colpa “grave”, per ovvio
principio redistributivo della misura del risarcimento fra i vari coobbligati.
Da una analisi della normativa si potrebbe affermare che: sia esclusa la
responsabilità per coloro che hanno agito con colpa lieve, mentre nei casi di colpa
grave il responsabile deve risarcire solo la parte di danno che può essergli attribuita
sulla base di un giudizio di rilevanza dell’apporto causale effettuato dal giudice.
Quindi, nel caso in cui vi siano più responsabili, non valgono le regole civili della
solidarietà, per le quali ognuno dei responsabili risponde per l’intero danno, ma
353 Cassazione civile Sezioni. Unite, 15-07-2005, n. 14990
354
Legge 20 dicembre 1996 n. 639 art. 1 quater e 1 quinques.
355
Art. 2055, c.c. Responsabilità solidale. Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del
danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e
dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali.
162
ciascuno risponde solo della propria quota di danno, salvo ipotesi eccezionali in cui vi
sia stato arricchimento illecito o i responsabili abbiano agito con dolo.
2.5.1 Responsabilità disciplinare nel pubblico impiego
Nell’ambito della responsabilità amministrativa rientra anche la responsabilità
disciplinare che è quella particolare forma di responsabilità che grava sul pubblico
dipendente per la violazione dei doveri di servizio, indipendentemente dal fatto che la
condotta tenuta o gli eventi da essa cagionati abbiano prodotto un danno
economicamente valutabile a carico dell’ente pubblico356.
Essa è regolata da disposizioni previste sia nei contratti di lavoro sia in norme statali
e comporta sanzioni di carattere amministrativo (fino al licenziamento), erogate con un
provvedimento interno, che possono essere comminate dai datori di lavoro pubblici o
privati come conseguenza del rapporto di impiego.
Attualmente gli artt. 54, 55, 56 e seguenti del D.Lgs del 30 marzo 2001 n. 165
prevedono che:
 per i dipendenti pubblici si applicano l’art. 2016 c.c. e l’art. 7 della Legge 20
maggio 1970, n. 300357;
 la tipologia e l’entità delle infrazioni e delle relative sanzioni possono essere
definite dai contratti collettivi;
 ciascuna amministrazione individua l’ufficio competente per i procedimenti
disciplinari, che, su segnalazione del capo della struttura ove il dipendente lavora,
contesta l’addebito, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione (in
caso di rimprovero verbale e censura la applicazione è demandata allo stesso capo
della struttura);
 ogni provvedimento disciplinare ad eccezione del rimprovero verbale, deve essere
adottato previa tempestiva contestazione al dipendente, che viene sentito a difesa
con l’eventuale assistenza di un procuratore o di un rappresentante sindacale;
 con il consenso del dipendente la sanzione può essere ridotta, ma in tal caso non
può essere più impugnata;
356
A.A.V.V. Guida normativa per gli enti locali 2003 I Volume ICA editrice p. 547.
163
 ove i contratti non prevedano procedure di conciliazione, il dipendente può
impugnare la sanzione entro venti giorni davanti al collegio arbitrale di disciplina
dell’amministrazione in cui lavora; il collegio arbitrale è composto da due
rappresentanti dell’amministrazione e da due rappresentanti dei dipendenti ed è
presieduto da un esterno all’amministrazione di provata esperienza e indipendenza.
Come abbiamo visto il D.Lgs. n. 165/2001 all’art. 55 prevede che la tipologia e
l’entità delle infrazioni e delle relative sanzioni possono essere definite dai contratti
collettivi; in tale senso, il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto sanità
1994 - 1997 all’articolo 29, così come integrato dagli art. 10-11-12-13-14-15-16 del
CCNL 2002-2005, si occupa delle sanzioni e delle procedure disciplinari; le prime
sono elencate al comma 1 e sono:
a) rimprovero verbale;
b) rimprovero scritto (censura);
c) multa di importo variabile fino ad un massimo di quattro ore di retribuzione;
d) sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni;
e) sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da 11 giorni fino ad
un massimo di 6 mesi;
f) licenziamento con preavviso;
g) licenziamento senza preavviso.
Le innovazioni e le modifiche introdotte con l’ultimo contratto del comparto sanità
(CCNL 02/05) conferiscono al codice disciplinare
un maggior equilibrio
riequilibrando le sanzioni disciplinari e prendendo in considerazione aspetti
precedentemente non valutati, ma che l’evoluzione della normativa e della
giurisprudenza ha reso ineludibili. Per comodità espositiva si è ritenuto opportuno
descrivere brevemente la procedura per le sanzioni disciplinari tenendo conto di tutte
le norme previste dai contratti. La procedura attualmente in vigore è la seguente:
l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari contesta l’addebito per iscritto
entro 20 giorni dalla conoscenza del fatto  Audizione del dipendente con l’eventuale
357
Si tratta del c.d. Statuto dei Lavoratori.
164
assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale
cui aderisce o conferisce mandato358. La convocazione scritta per la difesa non può
avvenire prima che siano trascorsi cinque giorni lavorativi dalla contestazione del fatto
 Applicazione della sanzione da parte dell’ufficio competente che deve avvenire
entro 15 giorni dall’audizione del dipendente
359
 Il dipendente può proporre
impugnazione presso la Collegio Arbitrale di disciplina360. Il collegio emette la sua
decisione entro novanta giorni dall’impugnazione e l’amministrazione vi si
conforma361.
Il procedimento disciplinare deve chiudersi con l’irrogazione della sanzione o con
l’archiviazione entro 120 giorni dal suo avvio. Qualora non sia stato portato a termine
entro tale data, il procedimento si estingue.
Nel caso di interferenza con giudizio penale, il procedimento disciplinare rimane
sospeso fino alla sentenza definitiva362, ovvero entro 90
Infine il dipendente può ricorrere avverso il provvedimento disciplinare innanzi al
giudice ordinario adito in qualità di giudice del lavoro non prima di aver esperito
l’apposito tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi all’apposito collegio di
conciliazione, costituito dal direttore provinciale del lavoro da un rappresentante del
datore di lavoro e da un rappresentante del lavoratore sanzionato nei modi e nei
termini previsti dagli art. 65 e 66 D.Lgs 165/2001.
L’articolo 13 del C.C.N.L. del comparto sanità 2002-2005 che interessa gli
infermieri, costituisce il Codice disciplinare, cui deve essere data «la massima
pubblicità» mediante affissione. Lo stesso articolo puntualizza che le sanzioni
disciplinari devono essere irrogate nel rispetto del principio di gradualità e
proporzionalità.
Al dipendente o, su espressa delega al suo difensore, è consentito l’accesso a tutti gli atti riguardanti il procedimento a suo carico, in
tempo utile rispetto dei termini previsti dal comma 3.
359
L’applicazione della sanzione deve avvenire entro 15 giorni dall’audizione del dipendente.
360
Il collegio arbitrale si compone di due rappresentanti dell’amministrazione e di due rappresentanti dei dipendenti ed è presieduto da un
esterno all’amministrazione, di provata esperienza e indipendenza. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, stabilisce,
sentite le organizzazioni sindacali, le modalità per la periodica designazione di dieci rappresentanti dell’amministrazione e dieci
rappresentanti dei dipendenti, che, di comune accordo, indicano cinque presidenti. In mancanza di accordo, l’amministrazione richiede la
nomina dei presidenti al presidente del tribunale del luogo in cui siede il collegio. Il collegio opera con criteri oggettivi di rotazione dei
membri e di assegnazione dei procedimenti disciplinari che ne garantiscono l’imparzialità
361
L’impugnazione deve avvenire entro 20 giorni dall’applicazione delle sanzioni e la decisione sull’impugnazione deve essere emessa entro
90 giorni.
362
CCNL comparto sanità 2002-2005 art. 14 e 15:
358
165
Il tipo e l’entità di ciascuna delle sanzioni sono determinati in relazione ai seguenti
criteri:
a) intenzionalità del comportamento, grado di negligenza, imprudenza o imperizia
dimostrate, tenuto conto anche della prevedibilità dell’evento;
b) rilevanza degli obblighi violati;
c) responsabilità connessse alla posizione di lavoro occupata dal dipendente;
d) grado di danno o di pericolo causato all’amministrazione, agli utenti o a terzi,
ovvero al disservizio determinatosi;
e) sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti, con particolare riguardo al
comportamento del lavoratore, ai precedenti disciplinari nell’ambito del biennio
previsto dalla legge, al comportamento verso gli utenti;
f) complicità nella mancanza di più lavoratori in concorso tra di loro.
Non mancano elementi di interesse medico-legale: ad esempio, la sanzione della
sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di 10
giorni si applica per «svolgimento di attività che ritardino il recupero psicofisico
durante lo stato di malattia o di infortuni» ed anche in caso di comportamenti lesivi
della dignità della persona, con specifico riferimento anche alle molestie sessuali.
In merito alla sanzione più grave tra i provvedimenti disciplinari, quale quella del
licenziamento, la suprema corte ha confermato il licenziamento di un'infermiera che
si era resa responsabile di atti dal «disvalore ambientale» ritenendo di «indubbia
gravità» i comportamenti irriguardosi e offensivi che l'infermiera aveva nei confronti
dei pazienti e dei loro familiari e il fatto – come stabilito dalla Corte di Appello di
Venezia nel 2003 –che l'infermiera stava per iniettare insulina a un paziente non
diabetico senza consultare la sua cartella clinica. Solo l'intervento di una collega, che
si accorse dell'errore, impedì che ci «fossero ripercussioni sulla salute del paziente363
363
Corte di Cassazione Civile- sentenza n. 22708
166
Diagramma di flusso procedimento disciplinare
Rimprovero verbale
provvede direttamente il
responsabile della
struttura senza alcun
procedimento
particolare;
Violazione del codice
disciplinare da parte del
dipendente
Nei casi in cui si procede per
sanzioni diverse dal rimprovero
verbale (tutti gli altri casi)
il dirigente responsabile della struttura, segnala entro dieci giorni all’ufficio competente i fatti da contestare
al dipendente per l’istruzione del procedimento, dandone contestuale comunicazione all’interessato. In
caso di mancata comunicazione nel termine predetto si darà corso all’accertamento della responsabilità del
soggetto tenuto alla comunicazione.
Ufficio competente procedimenti
disciplinari
La contestazione deve
avvenire entro 20 giorni dalla
segnalazione
Contestazione
dell’addebito per
iscritto al dipendente
Al dipendente o, su espressa
delega al suo difensore, è
consentito l’accesso a tutti gli atti
riguardanti il procedimento a suo
carico, in tempo utile rispetto dei
termini previsti per la
convocazione.
La convocazione scritta per la
difesa non può avvenire prima
che siano trascorsi cinque
giorni lavorativi dalla
contestazione del fatto
Audizione del dipendente con
l’eventuale assistenza di un
procuratore ovvero di un
rappresentante dell’associazione
sindacale cui aderisce o
conferisce mandato
Trascorsi inutilmente 15
giorni dalla convocazione
per la difesa del
dipendente, la sanzione
viene applicata nei
successivi 15 giorni.
167
Continua…
Diagramma di flusso procedimento disciplinare II parte
Il procedimento
disciplinare deve
concludersi entro 120
giorni dalla data della
contestazione
dell’addebito.
Qualora non sia stato
portato a termine
entro tale data, il
procedimento si
estingue.
L’ufficio competente per i procedimenti
disciplinari, sulla base degli
accertamenti effettuati e delle
giustificazioni addotte dal dipendente,
irroga la sanzione applicabile Quando lo
stesso ufficio ritenga che non vi sia
luogo a procedere disciplinarmente
dispone la chiusura del procedimento,
dandone comunicazione all’interessato.
Con il consenso del
dipendente la sanzione
applicabile può essere
ridotta, ma in tal caso
non È più suscettibile di
impugnazione.
Entro venti giorni dall’applicazione
della sanzione, il dipendente, anche
per mezzo di un procuratore o
dell’associazione sindacale cui
aderisce o conferisce mandato, può
impugnarla dinanzi al collegio
arbitrale di disciplina
dell’amministrazione in cui lavora.
Collegio arbitrale di disciplina
istruisce la pratica
Il collegio decide entro novanta
giorni dall’impugnazione e
l’amministrazione vi si
conforma. Durante tale periodo
la sanzione resta sospesa.
Il collegio emette la sua
decisione e
l’amministrazione vi si
conforma
Solo se i contratti collettivi
nazionali non hanno istituito
apposite procedure di
conciliazione e arbitrato.
Collegio di conciliazione costituito dal direttore provinciale del
lavoro da un rappresentante del datore di lavoro e da un
rappresentante del lavoratore sanzionato nei modi e nei termini
previsti dagli art. 65 e 66 D.Lgs 165/2001.
168
2.6 Responsabilità deontologica disciplinare
Per gli appartenenti alle professioni sanitarie l’etica rappresenta, un fondamentale
elemento di professionalità. Ciò è ancora più vero in un’epoca di aziendalizzazione
delle strutture sanitarie e di frammentazione dell’approccio diagnostico terapeutico
dovuto alle super specializzazioni e al tecnicismo, fattori che contrastano con una
maggiore considerazione del benessere al quale l’assistito ha diritto e con
l’umanizzazione del rapporto tra paziente e operatore.
Anche il codice deontologico è molto attento a richiamare il fatto che l’infermiere
deve mantenere un comportamento responsabile, che passa attraverso non solo le
risposte alle domande di salute esplicitamente formulate dagli assistiti, ma anche
quelle inespresse, ma tuttavia ugualmente percepibili.
A riprova di ciò, negli articoli del codice deontologico degli infermieri, non solo il
concetto dell’attivarsi, ma anche quelli analoghi dell’adoperarsi e dell’impegnarsi
ricorrono numerose volte364.
Queste considerazioni richiamano la discussione di tematiche di più ampia portata,
come quella che ha visto l’affermarsi, rispetto alla precedente etica delle convinzioni,
di un’etica della responsabilità.
Nell’orientamento ad agire secondo l’etica della responsabilità secondo la quale
bisogna rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni»365si individua
una scelta operata dalla cultura odierna: a ogni professionista che opera in ambiti
relativi al pubblico interesse si richiede una moralità sviluppata, una consapevo1ezza
etica delle proprie azioni e delle loro possibili implicazioni366. Storicamente è ben
documentato uno specifico interesse del codice deontologico degli infermieri proprio
al tema della responsabilità, quando di questo termine, in rapporto alle professioni
sanitarie non mediche, non risulta traccia nelle leggi dello Stato367.
364
Vedi allegato 7 art. 2.2, 2.6, 3.1, 3.4, 3.6, 4.1, 4.5, 4.10, 4.11, 4.12, 4.14, 4.18, 5.2.
Weber M., Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1960, p. 109.
366
Calamandrei C.; D’Addio L. Commentario al nuovo codice deontologico dell’infermiere.
367
Vedi precedente Codice deontologico degli infermieri approvato dalla Federazione Nazionale Collegi IPASVI il 25 giugno 1977.
365
169
Quanto al nuovo codice deontologico degli infermieri, approvato nel febbraio del
1999, i termini responsabilità o responsabile sono ripresi più volte368.
Questo rimarcare il concetto di responsabilità da parte del codice deontologico
costituisce un’indicazione chiara dell’enfasi posta dalla professione e permette di
identificare il significato del termine “responsabilità” secondo il codice deontologico.
Infatti, dalla lettura degli articoli del codice, emerge che il concetto è usato sempre
nella sua ottica positiva, quella cioè dell’assumere, anche con le pertinenti iniziative,
una condotta congrua rispetto ai bisogni della persona assistita allo stesso modo con
cui il legislatore ha inteso il concetto di responsabilità che troviamo prima nel profilo
professionale (D.M. 739/94) e poi nella legge 42 del 1999.
Nell’attuale configurazione normativa, all’infermiere, così come agli altri
professionisti della salute, viene oggi richiesto di affrontare l’incertezza e il dinamismo
assumendo decisioni, senza aspettarsi soluzioni dall’esterno e senza poter dire, tranne
che in casi di possibile violazione della legge, “questo non mi compete”; rispettando e
valorizzando nel luogo di lavoro le diversità culturali di cui sono portatori i diversi
professionisti con competenze tecnico- specialistiche o manageriali. All’infermiere è
richiesto sempre di più di
assumersi la responsabilità dei risultati più che della
conformità delle azioni a norme e consuetudini, mettendo continuamente in
discussione le abitudini consolidate, malgrado la sicurezza che esse forniscono,
quando queste non portano alla migliore assistenza per il paziente e individuando
percorsi di assistenza adeguati, più che singole prestazioni da erogare.
2.6.1 Sanzioni disciplinari da parte dei collegi
La responsabilità deontologica e quindi ordinistico-disciplinare, a carico degli
infermieri è esercitata dal Collegio nei confronti di tutti gli iscritti. Infatti gli ordini
ed i collegi professionali sono tenuti a valutare sotto il profilo deontologico i
comportamenti degli iscritti agli albi ed ai collegi professionali che si siano resi
inadempienti agli obblighi convenzionali. Tale prerogativa è dettata dall’art. 38 del
368
Articoli del codice deontologico (Allegato 7) in cui compare il termine responsabilità 1.1, 1.3, 1.4, 2.1, 3.2, 3.3, 6.1, 6.3.
170
D.P.R. 5 aprile 1950 n. 221 laddove prevede che: … i sanitari che si rendano
colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o…di fatti disdicevoli
al decoro professionale, sono sottoposti al procedimento disciplinare…Mentre la
competenza per i ricorsi avverso le sanzioni comminate dagli ordini o dai collegi è
della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.369
Le sanzioni irrogabili al professionista che viola le norme deontologiche sono
disciplinate dall’art. 40 del D.P.R. 5 aprile 1950 n. 221370. Esse consistono in:
 avvertimento, che rappresenta la sanzione più lieve: il professionista viene
diffidato a non ripetere la mancanza commessa;
 censura: si tratta di una dichiarazione di biasimo, formalmente comunicata al
professionista con sospensione dall’esercizio professionale; consiste in una
temporanea interruzione dell’attività professionale, irrogabile per un periodo
che va da uno a sei mesi, salvo quanto previsto da leggi specifiche;
 radiazione dall’Albo: rappresenta la sanzione in assoluto più grave, applicabile
in caso di comportamenti che in genere violano anche norme giuridiche e si
configurano come reati.
In conformità alla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione il
diritto di difesa deve essere assicurato in ogni stato e grado del procedimento e la
possibilità di avvalersi dell'assistenza legale deve intendersi garantita anche nella fase
che si svolge davanti agli Ordini. Peraltro, non sussiste in capo all'Ordine un obbligo
di avvisare l'incolpato di tale facoltà, spettando piuttosto all'interessato l'onere di
richiederne l'esercizio371.
Sulla valutazione dell’illecito disciplinare e sull’eventuale sanzione da comminare è
il Consiglio direttivo a esprimersi e a dare all’interessato una formale comunicazione
del provvedimento, sottoscritta da tutti i membri del Consiglio presenti al
dibattimento.
Qualora l’infermiere ritenga ingiusta o sproporzionata la sanzione ricevuta, potrà
presentare ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie,
369
D.lgs 30 dicembre 1992, n. 502 art. 8 punto 3.
Regolamento per l’esecuzione del D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 sulla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie e per
la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse.
370
171
costituita presso il Ministero della Sanità372. Questo organismo è fra l’altro deputato a
esercitare il potere disciplinare di secondo livello nei confronti dei propri membri
professionisti e dei membri dei Comitati centrali delle Federazioni373.
Tralasciando per un attimo il caso in cui un infermiere compia un reato, è opportuna
una riflessione sugli illeciti amministrativi o deontologici: la definizione dei confini tra
le competenze del potere ordinistico e quelle del potere amministrativo è, infatti,
decisamente complessa. Non vi è dubbio intanto che gli operatori professionisti iscritti
all’Albo e contemporaneamente dipendenti pubblici e liberi esercenti sono
rigorosamente soggetti alla disciplina del Collegio cui compete il potere disciplinare
nei loro confronti. E’ opportuno ricordare in questa sede che la Legge 1° febbraio
2006, n. 43 all’art. 2 comma 3, prevede che l’iscrizione all’Albo professionale è
obbligatoria anche per i pubblici dipendenti, mettendo fine ad un’incertezza legislativa
che tanto discutere ha fatto sino ad oggi, a tal punto che anche la Corte di Cassazione
ha avuto modo nel recente passato di occuparsi dell’argomento, nonostante, perlomeno
a parere di chi scrive, il dato normativo fosse sufficientemente chiaro. Rimane
comunque delicata la questione relativa all’eventuale responsabilità disciplinare di
tipo ordinistico del pubblico dipendente in quanto si proporrebbero due concorrenti
poteri disciplinari, Collegio e Ente pubblico, con una doppia subordinazione
finalizzata a ragioni giustificative che in definitiva coincidono. Non sembra possibile
annullare ogni competenza disciplinare dei Collegi nei confronti dei professionisti
sanitari pubblici dipendenti: si tratta di trovare un giusto equilibrio tra competenze del
Collegio e necessità dell’ente, col disporre, ad esempio, che le sanzioni erogabili dal
Collegio siano limitate a quelle non interferenti con il rapporto di lavoro, mentre per i
provvedimenti di maggiore gravità debbano agire di concerto il Collegio e la
371
Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie Decisione n. 16 del 12 febbraio 2001 della.
Le decisioni della commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie sono impugnabili per cassazione, oltre che per i motivi
di giurisdizione previsti dall’art. 362 c.p.c., come disponeva in origine l’art. 19 D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946 n. 233, per violazione di
legge ai sensi dell’art. 111, comma 2, cost., sicchè, in relazione ad esse, il vizio di motivazione è configurabile solo quando si traduca nella
radicale mancanza della stessa, ovvero nel suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta
motivazione apparente), o fra loro logicamente inconciliabili o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, che emergano dal
provvedimento in se stesso considerato. Cassazione civile sez. III, 7 novembre 2000, n. 14479 Giust. civ. Mass. 2000,2273.
373
D.Lgs. C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 - Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle
professioni stesse art. 18.
372
172
Commissione di disciplina dell’Ente374. Rimane comunque il fatto che nel caso del
dipendente pubblico, che abbia commesso una grave violazione che comporta la
radiazione dall’albo, vi è una giurisdizione indiretta, poiché non vi è la possibilità di
esercitare la professione senza essere iscritto all’Albo (ritenendo sufficiente la
semplice abilitazione), in quanto in contrasto con quanto previsto dal D.M 739/94, là
dove prevede che l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma
universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è responsabile
dell’assistenza generale infermieristica ovvero da quanto previsto dalla legge n. 43 del
1 febbraio 2006 . Pertanto, un’eventuale radiazione dall’albo impedirebbe al soggetto
l’esercizio professionale anche nella pubblica amministrazione.
Mentre nei casi in cui il Collegio venga a conoscenza di reati che vedono coinvolti
Infermieri iscritti al proprio albo, l’organismo professionale ha un preciso obbligo
giuridico di intervento d’ufficio, che gli deriva direttamente dal disposto del Capo V
(delle sanzioni disciplinari e del relativo procedimento) del D.P.R. 5 aprile 1950,
n.221.
In particolare, l’art. 44 di detto decreto stabilisce che ogniqualvolta un iscritto abbia
subìto un procedimento penale, egli “è sottoposto a giudizio disciplinare per medesimo
fatto imputatogli”, con le uniche eccezioni di quando il medesimo “sia stato prosciolto
per non sussistenza del fatto o per non averlo commesso”.
Alla luce del nuovo codice di procedura penale, che ha stabilito il principio di
separatezza dei giudizi penale e disciplinare, compete all’organo disciplinare valutare
l’opportunità di proseguire e concludere l’azione disciplinare, anche in presenza di un
procedimento penale sugli stessi fatti, oppure di sospendere l’azione disciplinare stessa
in attesa delle decisioni del giudice penale, riprendendola una volta conosciuta la
decisione raggiunta in sede penale. (decisione n. 186 del 18 ottobre 2001)
M. Gabrielli Guida all’esercizio professionale per il personale infermieristico C.G. Edizioni Medico Scientifiche edizione aggiornata
ottobre 2001 p. 133 e segg..
374
173
L’autorità disciplinare è vincolata al giudicato penale per quanto concerne gli elementi
di fatto e di diritto che sono stati presi in esame e sono serviti a formare il
convincimento del magistrato penale.
La sentenza penale assolutoria non consente al giudice disciplinare di valutare i fatti
in modo diverso da quello accertato e fatto proprio dal giudice penale, ma gli consente
di valutare gli stessi sotto il profilo disciplinare e deontologico. Diverso il caso in cui il
fatto commesso venga dichiarato dal giudice privo di rilevanza penale, poiché, un
comportamento assolutamente legittimo per lo Stato, può benissimo essere altamente
lesivo della regola deontologica e meritevole di sanzione corporativa. E’ evidente che i
fatti acquisiti nel procedimento penale non possono essere nuovamente discussi dal
giudice disciplinare - il quale peraltro non dispone di mezzi istruttori più idonei di
quelli utilizzati dalla Autorità giudiziaria per lo svolgimento delle indagini di sua
pertinenza - ma devono possono essere
valutati ai fini della responsabilità del
sanitario sotto il profilo deontologico con riferimento agli articoli del codice
deontologico (vigente sia all’epoca dei fatti che all’atto della decisione disciplinare)
relativi al rispetto dei diritti del paziente ed all’impegno e competenza professionale da
garantirsi al paziente.
Sulla natura non voluttuaria ma obbligatoria della attività repressiva dei collegi, è
ancora significativo notare come il D.P.R. 221/50 preveda addirittura delle ipotesi
nelle quali la radiazione/sospensione dall’Albo, per la sua natura precauzionale, debba
scattare ad opera del Collegio a prescindere da qualsiasi intrapresa di procedimento
disciplinare, alla prima conoscenza di talune condanne e/o misure di sicurezza disposte
dalla Magistratura, come ad esempio per fatti di droga o altri fatti particolarmente
gravi375.
Va tuttavia precisato che, a parte gli automatismi (pochi e tassativi) da ultimo
segnalati, obbligatorietà dell’azione disciplinare non significa necessariamente
obbligatorietà della sanzione. Infatti, la valutazione della pregnanza deontologica dei
fatti addebitati all’iscritto in riferimento al sistema di regole peculiari che informano la
deontologia resta nella discrezionalità valutativa degli organismi professionali, i quali
174
ben possono ridurre ai minimi termini sul piano deontologico la valenza negativa
attribuita dalla giustizia dello Stato ad un determinato comportamento professionale
(per fare alcuni esempi chiarificatori in tal senso, si pensi ad un infermiere condannato
per importanti reati fiscali o ad un altro che sia venuto meno al proprio dovere di
dipendente pubblico, non collaborando con i superiori ad atti di accanimento
terapeutico…).
Va da sé che medesima ratio di autonomia di giudizio, anche se di segno opposto,
sorregge la totale irrilevanza sul piano deontologico del fatto che il professionista
abbia “patteggiato” in sede penale (ex art. 444 c.p.p.). La sentenza di patteggiamento
non contiene di per sé alcun elemento utilizzabile in sede disciplinare a carico
dell’infermiere che, quindi, potrà difendersi pienamente anche davanti al Collegio che
dovrà trovare autonomamente gli elementi di prova da utilizzare a carico
dell’interessato376 .
Bisogna dire che il potere disciplinare istituzionalmente attribuito agli ordini
professionali non rappresenta una sorta di “giudizio minore”, di editio minor, rispetto
all’attività giudiziaria dello stato, ma è universalmente riconosciuto come un potere
indipendente ad autonomo rispetto al potere punitivo statuale. Diversi sono infatti i
principi ispiratori, diversi i beni/valori protetti, diversi i profili dei soggetti sottoposti,
diverse ancora le sanzioni previste: per quel che ci riguarda, un conto è avere sbagliato
come Cittadino-professionista, altro conto è avere sbagliato come Infermiereprofessionista. In secondo luogo, per quanto concerne i rapporti con la Giustizia
Penale, non esiste nel nostro ordinamento giuridico alcuna norma che imponga la
sospensione del procedimento disciplinare del collegio in attesa degli esiti di altro
processo e segnatamente di quello penale377. Casomai, si tratterà di non sprecare o
duplicare le attività istruttorie eventualmente già esperite altrove, ma ciò sempre con
saggia comparazione tra l’urgenza dell’intervento ordinistico e i benefici dell’attesa
dei vari gradi del processo penale in corso. I ricorsi avverso le sanzioni comminate
375
Cfr. artt. 42 e 43.
Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie decisioni nn. 23 del 12 febbraio 2001, 68, 81, 90, 110 del 2 aprile 2001,
164, 169 del 19 luglio 2001, 183 del 18 ottobre 2001, 210, 211 del 12 dicembre 2001
376
175
dagli ordini o dai collegi sono decisi dalla Commissione centrale per gli esercenti le
professioni sanitarie378.
2.7 Profili di responsabilità e personale di supporto379
L’Operatore socio-sanitario svolge la sua attività in collegamento funzionale e in
collaborazione con il personale professionale, distintamente preposto all’assistenza
sanitaria ed all’assistenza sociale. I contesti operativi sono sia quelli ospedalieri, sia
quelli dei diversi livelli delle unità di offerta del sistema socio-sanitario: unità
residenziali, unità territoriali e semi-residenziali, assistenza domiciliare. In relazione a
tali contesti operativi, gli interventi si caratterizzano per specificità e si differenziano
per livelli di responsabilità e per aree di autonomia. Attività di semplice attuazione
possono essere svolte dall’Operatore socio-sanitario in autonomia, mentre situazioni
complesse di rischio specifico o di confine con le aree di competenza del personale
sanitario (infermieri) e del personale sociale (assistenti sociali), sono svolte in
collaborazione o su indicazione di questi ultimi.
Questo operatore sta suscitando un notevole interesse all’interno della categoria
professionale degli infermieri, soprattutto sul corretto ruolo da dare a questa figura,
tanto è vero che da tempo questo argomento è oggetto di numerosi convegni e
contributi scientifici da parte di alcuni autori380.
Infatti, con l’entrata in vigore del nuovo codice di Procedura Penale (artt. 653 e211, disp.att.) è venuto meno il principio della c. d.
pregiudizialità penale sancita in via generale dall’art. 3 dell’abrogato c.p.p., salve le disposizioni che nelle specifiche materie la prevedono
(ma non è il nostro caso).
378
D.lgs 30 dicembre 1992, n. 502 art. 8 punto 3.
379
Questo paragrafo e tratto da - Zagari A. L’Operatore Socio Sanitario e L’infermiere, Profili di responsabilità -In Rivista IO Infermiere
del Collegio IPASVI Milano-Lodi N. 2/2004
380
Si vedano tra gli altri i seguenti contributi: Zagari A. L’Operatore Socio Sanitario e L’infermiere, Profili di responsabilità -In Rivista IO
Infermiere del Collegio IPASVI Milano-Lodi N. 2/2004 ;Silvestro A , Principi e metodo seguiti dal Servizio infermieristico dell’azienda per
i servizi sanitari 4 Medio Friuli per affrontare nella pratica assistenziale quotidiana, il problema di assicurare un’adeguata presenza di
infermieri per rispondere al meglio ai bisogni sanitari dell’utenza. L’Infermiere, 4, 2000; Matarese M, Destrebecq A, Casiraghi L, Infermieri
e operatori di supporto: dibattito, Nursing Oggi, 4, 2000. Orlandi C, Una nuova figura a supporto degli infermieri: l’operatore socioassistenziale. Risorsa o problema organizzativo?, Management infermieristico, 2, 2000; Saiani L, Franceschini M, dibattito negli USA sulla
«delega delle attività assistenziali. Assistenza infermieristica e ricerca, 2000, 19, 2; Saiani L, Cuel M, OTAA: un progetto sperimentale di
formazione, in Foglio notizie Federazione Ipasvi, n. 6, novembre-dicembre 1999; Di Giulio P, Cosa sta cambiando nella professione
infermieristica?, Assistenza infermieristica e ricerca, 2000, 19, 2.
377
176
È necessario però sottolineare che, con l’attuale assetto normativo, la responsabilità
per la corretta gestione dell’assistenza continua a far capo al personale infermieristico,
così come previsto dal combinato disposto dell’art. 1 del D.M. 14 settembre 1994, n.
739 punto 1 e 2, che attribuisce all’infermiere la responsabilità generale dell’assistenza
infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, che si realizza attraverso
attività di natura tecnica, relazionale ed educativa.
All’infermiere sono, tra l’altro, assegnati compiti autonomi in materia di
identificazione dei bisogni di assistenza infermieristica, pianificazione, gestione e
valutazione dell’intervento assistenziale infermieristico381.
L’infermiere, quindi, è responsabile di tutto il processo decisionale che sta
all’origine dell’atto assistenziale. Tale responsabilità vi è anche quando, come precisa
il comma 2f dello stesso D.M., “per l’espletamento delle funzioni l’infermiere si
avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto”.
Il legislatore, con questa dizione, definisce chiaramente che l’infermiere può
servirsi dell’aiuto del personale di supporto nell’espletamento delle proprie funzioni,
ma affida la decisione di operare questa scelta proprio all’infermiere, nella parte in cui
dice ove necessario, vale a dire che determinate condizioni lo rendono possibile. Tale
regolamentazione delle funzioni comporta per l’infermiere, in caso di inadempienza
all’esercizio professionale, una responsabilità penale colposa qualora si verifichino
danni agli assistiti382.
La titolarità nella formazione delle regioni e delle province autonome ha portato a
diversi comportamenti, da parte di queste istituzioni, nel regolamentare la figura
dell’OSS, che possono essere così riassunte:
a) alcune regioni hanno recepito fedelmente il documento della Conferenza statoregioni, agendo solo ed esclusivamente con norme di chiarificazione,
381
382
S. Fucci “La responsabilità nella professione infermieristica - Questioni e problemi giuridici” Op. cit. p. 11.
A. Di Corato “Aspetti medico legali della professione infermieristica” in Jura Medica 3, 31, 1998.
177
ragguaglio e dettaglio. Tra queste annoveriamo la regione Emilia-Romagna383,
la regione Toscana384 e la regione Umbria;385
b) altre regioni hanno statuito un ampliamento delle competenze dell’OSS, in
particolare per le attività nel settore sanitario. Tra queste troviamo la regione
Lombardia386e la regione Veneto387. In entrambe queste regioni sono stati
attribuiti all’OSS compiti relativi alla somministrazione di farmaci: in
particolare, la regione Lombardia ha previsto la possibilità per L’OSS di
somministrare farmaci per via enterale e transcutanea; mentre la regione Veneto
ha contemplato la possibilità di effettuare anche la terapia iniettiva
intramuscolare;
c) infine vi sono le province autonome, che hanno figure approvate in epoca
precedente all’istituzione della figura dell’OSS e che hanno un ambito di
autonomia e di responsabilità ben maggiore dell’OSS. È il caso di ricordare in
particolare l’operatore socio-assistenziale (OSA) della provincia autonoma di
Bolzano388.
È interessante la figura dell’OSS così come regolata dalla regione Lombardia, la
quale ha prefigurato tre ambiti di attività dell’agire professionale dell’OSS,
diversamente classificabili, ma che possono valere come linee guida anche in ambito
nazionale.
Si specifica, infatti, che l’OSS:
 opera in quanto può agire in autonomia;
Delibera della Giunta regionale Emilia-Romagna n. 1404/2000 “Modello regionale di formazione iniziale per il conseguimento della
qualifica di operatore socio-sanitario”.
384
Delibera della Giunta regionale Toscana n. 1052 del 24 settembre 200 I “Attuazione provvedimento 22 febbraio 2001 concernente
Accordo tra il Ministro della sanità, il Ministro per la solidarietà sociale e le regioni e province autonome di Trento e Bolzano, per la
individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’operatore socio-sanitario e per la definizione dell’ordinamento didattico
dei corsi di formazione”.
385
Legge Regionale 17-7-2002 n. 13 Istituzione e disciplina della figura professionale dell’Operatore socio-sanitario. Pubblicata nel B.U.
Umbria 31 luglio 2002, n. 33.
386
Delibera Giunta Regionale Lombarda n. VII/5428 del 6 Luglio 2001 “Individuazione della figura e del profilo professionale dell’operatore
socio-sanitario (OSS)”.
387
Legge regionale 16 agosto 2001. n. 20 “la figura professionale dell’operatore socio-sanitario” (in BUR Veneto, 75/2001). Poi modificata
con Legge regionale 9 agosto 2002, n. 17 (BUR veneto n. 78/2002)
388
Decreto del Presidente della Giunta provinciale relativo alle mansioni e campi dell’attività dell’Operatore socio-assistenziale 28 dicembre
1999. n. 72. in G.U. serie speciale, n. 43 del 28 ottobre 2000 e nel supplemento ordinario del BUR del Trentino-Alto Adige n. 6 del 8
febbraio 2000. Di dubbia legittimità L’art. 2 che definisce I’OSA “responsabile per il benessere generale sul piano fisico, psichico e sociale
della persona da assistere”. Inoltre sono previsti, al1’art. 4, compiti di somministrazione di farmaci, medicazione di ferite, alimentazione
tramite sonda che interferiscono con le attribuzioni attuali degli infermieri. Del tutto illegittimi sono i compiti che interferiscono con le
professioni della riabilitazione. Si prevede infatti che all’OSA Bolzanino competa “l’attuazione di programmi terapeutici a livello motorio, di
ergoterapia e di logopedia. Riv. Diritto delle Professioni Sanitarie 2000; 3 (4) 303-305.
383
178
 coopera in quanto svolge solo parte delle attività alle quali concorre con altri
professionisti;
 collabora in quanto svolge attività su precisa indicazione dei professionisti.
Questa classificazione ci fa capire che ci sono diversi gradi di autonomia e
chiaramente di responsabilità. Quanto più l’OSS esce dall’ambito autonomo tanto
meno risponde del suo agire professionale. Il riferimento è in particolare al terzo punto
della classificazione, dove l’operatore di supporto collabora e viene chiamato a essere
una sorta di longa manus del professionista389. Analizzando nel dettaglio la delibera
regionale vediamo che, all’art. 4 punto 1, viene stabilito che “L’operatore socio
sanitario nell’assolvimento delle sue mansioni agisce come figura di supporto, in base
alle proprie competenze ed in applicazione dei piani di lavoro e di protocolli operativi
predisposti dal personale sanitario e sociale preposto. Tali piani e protocolli
individuano le attività attribuibili all’OSS sulla base dei criteri della bassa
discrezionalità richiesta e dell’alta riproducibilità della tecnica utilizzata”.
È interessante notare che in quest’articolo il legislatore regionale parla di attività
attribuibili e non di delega di attività. Per chiarire meglio questo concetto e i
conseguenti profili di responsabilità che ne discendono, è opportuno in quest’ambito
illustrare, dal punto di vista giuridico, alcuni concetti che possono risultare poco chiari
ai professionisti sanitari. In particolare si fa riferimento alla delega e al principio
dell’affidamento.
Per quanto riguarda il concetto di delega, qualche autore ha già avuto modo di
soffermarsi su questo punto390, ribadendo che la distinzione tra delega e attribuzioni è
molto importante nell’ambito giuridico: in presenza di delega, infatti,
vi è
un’eventuale esenzione di responsabilità del delegante (infermiere), ed una relativa
assunzione di responsabilità da parte del nuovo soggetto (OSS) di fatto preposto
all’adempimento. Peraltro la giurisprudenza ha però avuto modo di stabilire che, per
aversi l’effettiva trasferibilità di funzioni (e quindi di responsabilità) da un soggetto
all’altro, la delega deve essere scritta, effettiva, e deve comportare il reale
Benci L. L’operatore socio sanitario: autonomia, rapporti con i professionisti e responsabilità giuridica. Riv. Diritto delle Professioni
Sanitarie 2001; 4. (3): 219-234.
390
Benci L. L’operatore socio sanitario: autonomia, rapporti con i professionisti e responsabilità giuridica. op. cit. pp 219-234.
389
179
trasferimento di poteri decisionali al delegato, con conseguente necessità del delegante
di controllare, ma di non ingerirsi nell’attività del delegato391. Inoltre sempre la
dottrina penalistica ha definito che una determinata attività o funzione può essere
legittimamente delegata quando: il delegato sia persona tecnicamente preparata e
capace, abbia volontariamente accettato la
delega
nella
consapevolezza
degli
obblighi di cui viene a gravarsi, e che sia fornita di poteri autoritativi e decisori
autonomi pari a quelli del delegante e idonei a far fronte alle esigenze connesse 392. Va
da sè che, per eventuali lesioni ai pazienti causati dall’OSS nell’esercizio di un’attività
impropriamente delegata dall’infermiere, risponde sia l’infermiere che l’OSS.
Quest’ultimo oltre a rispondere per le lesioni personali causate al paziente, risponde
anche del reato ex art. 348 c.p. (esercizio abusivo di professione infermieristica), in
considerazione del principio giuridico che non assume
rilievo, quale causa di
esclusione della responsabilità, l’ignoranza delle previsioni legislative che disciplinano
l’esercizio delle professioni, implicitamente richiamate dall’art. 348 c.p. (non sapevo
di non poterlo fare!), poiché l’errore su tali norme (profilo OSS e infermiere),
costituendo errore parificabile a quello ricadente sulla norma penale, non ha valore
scriminante in base all’art. 47, 3° comma c. p.393.
Riguardo al secondo argomento, vale a dire il principio dell’affidamento394, bisogna
dire che gli infermieri, come gli altri operatori sanitari, non operano da soli ma inseriti
in un gruppo professionale (équipe). La dottrina medico legale e la giurisprudenza
hanno elaborato per quest’ambito il principio dell’affidamento, il quale è idoneo ad
individuare le singole posizioni di garanzia esigibili dai partecipanti. Ciò comporta
che, dovendo ogni operatore svolgere un proprio compito, di norma ognuno deve poter
confidare sul corretto agire degli altri. Quindi ognuno deve rispondere degli errori
391 Cassazione penale. III sezione. sentenza 1156 del 22 marzo 2000- Cassazione penale sez. III, 23 aprile 1996, n. 5242 Cass. pen.
1997,1868 (s.m.) Foro it. 1997,II, 489 Riv. trim. dir. pen. economia 1997,1006 (s.m.)
392
Cassazione penale sez. IV, 5 maggio 2000, n. 7418 Riv. pen. 2000,1162 - Cassazione penale sez. IV, 22 giugno 2000, n. 9343 Ced
Cassazione 2000.
393
Nella specie è stato ritenuto che l’errata interpretazione di una norma riguardante le mansioni degli infermieri generici si risolve in un
errore di diritto, in ordine alla qualificazione di un determinato comportamento come attività riservata alla professione medica, privo di
efficacia scusante. Pretura Torino 19 ottobre 1985, Riv. it. Med. Legale 1986, 905; Cassazione Penale Sez. VI, sent. n. 1632 del 21-02-1997Cassazione penale Sez. VI Sentenza n. 1756 del 16 dicembre 2005 vedi anche G. Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale” Op.
cit. p. 334 e segg.
394
V. Fineschi, P. Fratti, C. Pomara “I principi dell’autonomia vincolata, dell’autonomia limitata e dell’affidamento nella definizione della
responsabilità medica - Riv. It. Med. Legale 2001, 261- F. Mantovani - La responsabilità del medico - in Riv.. it. Med. Leg., 1980 p. 16;
G. Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale - Principio dell’affidamento e comportamento del terzo” Op. cit. p. 498
180
personalmente compiuti per inosservanza dei principi tecnici relativi al proprio settore
di competenza.
Accanto a questa responsabilità (che si collega a quanto sopra detto in tema di
responsabilità penale diretta, ossia per il proprio agire), è stata individuata anche una
diversa posizione, in relazione al capo-équipe. Quest’ultimo operatore si configura o
nel medico, quando l’infermiere si trova in posizione subordinata, o nell’infermiere,
quando lo stesso si trovi in posizione sovraordinata rispetto ad altri operatori, ad es.
personale di supporto (OSS).
Pertanto, a carico di tale figura (capo équipe) sussiste un obbligo generale di
sorveglianza nei confronti del personale di supporto. Per quanto riguarda l’infermiere,
quest’obbligo di sorveglianza è stato ribadito recentemente dallo stesso legislatore con
la Legge 8 gennaio 2002, n. 1395, e con l’accordo del 16 gennaio 2003396 che regola la
disciplina della formazione complementare in assistenza sanitaria della figura
professionale dell’operatore socio-sanitario. Quest’ultimo accordo ha previsto questo
potere-dovere per il responsabile dell’assistenza infermieristica, là dove per l’operatore
socio sanitario è previsto che lo stesso “collabora con l’infermiere o l’ostetrica nelle
attività assistenziale conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza
infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione”397.
Va però evidenziato che non è agevole determinare entro quali limiti fattuali
l’attività di supervisione sia concretamente esigibile, e quindi fonte di responsabilità,
dal momento che, di regola, ogni responsabile del gruppo ha - come già detto - anche
un suo specifico compito da svolgere. In tale senso, la dottrina medico legale ha avuto
modo di dire che il principio dell’affidamento subisce delle eccezioni quando la
possibilità di poter fare affidamento sul comportamento diligente di un terzo viene
meno. Un esempio è il caso in cui particolari circostanze lascino presumere che il
soggetto su cui si fa affidamento non sia in grado di soddisfare le aspettative dei
Legge 8 gennaio 2002, n. 1 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 12 novembre 2001, n. 402, recante disposizioni
urgenti in materia di personale sanitario” art. 1 punto 8.
396
Accordo tra il Ministro della salute, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano per la disciplina della formazione complementare in assistenza sanitaria della figura professionale dell’operatore socio-sanitario
Gazzetta Ufficiale N. 51 del 03 Marzo 2003.
397
Legge 8 gennaio 2002, n. 1 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 12 novembre 2001, n. 402, recante disposizioni
urgenti in materia di personale sanitario” art. 1 punto 8.
395
181
consociati; in altri termini, nel caso in cui l’infermiere si affida all’OSS in circostanze
critiche (urgenza)398, ovvero per un’attività complessa, rappresentandosi la pericolosità
dell’altrui comportamento, e non si attiva per eliminarla mediante un diligente
controllo delle altrui scorrettezze, in virtù della propria particolare posizione
gerarchica”399.
Viceversa, non si dovrebbe pretendere un monitoraggio continuo dell’attività
autonoma o correttamente attribuita all’OSS, poiché tale attività impedirebbe, di fatto,
all’infermiere di svolgere i suoi compiti specifici e farebbe venire meno il principio
dell’affidamento, dovendo l’infermiere rispondere sempre per l’errato comportamento
altrui400. Pertanto, ciascun componente è tenuto ad eseguire col massimo scrupolo le
funzioni proprie della specializzazione di appartenenza, e non può delegare ad altri il
proprio compito se non in presenza di esplicita normativa che, in modo chiaro e
motivatamente, autorizzi tale delega401.
È evidente quindi che l’infermiere, ove si avvalga dell’opera del personale di
supporto, al quale spetta anche un’attività in autonomia, rimane sempre la figura
responsabile del processo di pianificazione, gestione e valutazione dell’intervento
assistenziale prodotto per il paziente e, proprio per questo, risponde di eventuali danni
causati al paziente da una scorretta applicazione del processo assistenziale (es.
comportamento negligente dovuto alla mancata pianificazione).
È doveroso porsi la domanda: “nella realtà quotidiana quali sono i criteri per
decidere le attività che possono o non possono essere affidate all’OSS?”.
La soluzione deve essere trovata, anche in questo caso, nei piani di lavoro che, come
ha correttamente previsto la regione Lombardia, dovranno rispondere ai “criteri della
bassa discrezionalità e dell’alta riproducibilità della tecnica utilizzata”. Vale a dire, che
L’urgenza è quella situazione che impone la messa in atto di tutta una serie di interventi atti a dare una adeguata e pronta assistenza; nel
rispetto delle norme e procedure correnti va distinta dall’emergenza che si connoto per una situazione nella quale vi è la necessità di una
azione terapeutica immediata , per evitare la morte o gravissime lesioni al soggetto.
399
F. Mantovani - La responsabilità del medico - in Riv.. it. Med. Leg., 1980 p. 16; G. Fiandaca E. Musco - “Diritto penale - Parte generale Principio dell’affidamento e comportamento del terzo” Op. cit. p. 498.
400
Cass. Penale sez. IV 02-03-2000 n. 9638.
401
Nella specie è stato ritenuto responsabile d’omicidio colposo un medico anestesista che, nel corso di una operazione chirurgica, aveva
trasfuso sangue incompatibile con quello del paziente, confidando che il controllo sul flacone fosse eseguito dalla caposala. Cassazione
penale, sez. IV, 1 febbraio 1982, in Cass. pen. 1983, 1781.
398
182
siano attività altamente vincolate da protocolli specifici e che siano ripetitive nelle
tecniche utilizzate. È evidente che vi sono problemi per alcune attività specifiche quali,
ad esempio, l’attribuzione alI’OSS delle attività di cui all’art. 5 della delibera regionale
Lombarda, la quale prevede che questa figura: “collabora alla somministrazione della
terapia: farmaci per via enterale (supposte, clisma fleet) e tramite aerosol, farmaci
transdermici, gocce oftalmiche e auricolari”.
È utile sottolineare che, in questo caso, si parla di “somministrazione” e non di
“assunzione”, come previsto nel profilo nazionale: i due verbi non sono sinonimi. Il
primo è un fare attivo da parte dell’operatore; il secondo indica un’attività rivolta
verso il paziente402. In questo caso, per le attività attribuite, se non venissero rispettati i
criteri sopra citati (bassa discrezionalità e alta riproducibilità), in caso di errore (di
dosaggio, di orario, di indicazione ecc.) la responsabilità ricadrebbe sul professionista
che era tenuto alla supervisione e sull’OSS limitatamente alla corretta esecuzione delle
prestazioni nell’ambito delle istruzioni ricevute e dell’autonomia riconosciutagli,
autonomia che in questo caso è minima.
All’infermiere che si trovi in concreto a dover decidere, possono venire in sostegno
i criteri generali che enunciati, da adattare con raziocinio al caso di specie con un caldo
invito all’astensione nelle ipotesi di dubbio. Senza, tuttavia, trascurare che in taluni
casi sono le norme a dissipare i dubbi e a delineare i compiti attribuiti agli OSS. Un
esempio significativo è rappresentato dal profilo professionale dell’OSS deliberato
dalla Conferenza Stato Regioni Seduta del 16 gennaio 2003, il cui allegato A individua
una serie di attività di rilievo per le quali operatore socio sanitario è ammesso a
coadiuvare l’infermiere e l’ostetrica.
Tra l’altro, bisogna tenere presente che il legislatore, nel provvedimento relativo
all’OSS con formazione complementare, ha statuito che: questa figura coadiuva
l’infermiere o l’ostetrica/o, in base all’organizzazione dell’unità funzionale di
appartenenza e conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza
402
Benci L. L’operatore socio sanitario: autonomia, rapporti con i professionisti e responsabilità giuridica. op. cit. pp 219-234.
183
infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione, fissando il principio che: il
responsabile dell’assistenza infermieristica ha il potere-dovere di precludere all’OSS la
possibilità di porre in essere determinate attività (es. terapia), se le condizioni
particolari e l’organizzazione dell’unità funzionale non lo permettono.
La somministrazione di farmaci è di norma riservata al personale infermieristico e,
anche se è possibile attribuire questa attività all’OSS (almeno in alcune regioni, es.
regione Lombardia) e in futuro all’OSS con formazione complementare, la stessa è
preclusa ad altre figure quali quella dell’Operatore tecnico addetto all’assistenza
(OTA), degli ausiliari (ASA), degli educatori professionali.
Su questo punto, in passato ha avuto modo di esprimersi anche la giurisprudenza
amministrativa sentenziando che: “È illegittimo l’ordine di servizio con cui vengono
incaricati di somministrare agli assistiti di un centro diurno di riabilitazione di
un’azienda U.S.L., i farmaci prescritti dal medico curante, a figure professionali come
educatori, fisioterapisti e O.T.A. (Operatori tecnici addetti all’assistenza)”, ritenendo
che non compete a tali figure la somministrazione di farmaci a soggetti disabili, dato
che tale attività presuppone la valutazione del momento della loro somministrazione,
in relazione al concreto stato psicofisico dei destinatari stessi, e dal momento che si
richiede sicuramente una qualificazione, oltre che esperienza professionale.
La somministrazione di farmaci, quindi, è del tutto estranea ai compiti di personale
con qualifiche diverse da quelle infermieristiche, in quanto l’opera dell’educatore
professionale si limita al
recupero e al reinserimento di soggetti portatori di
menomazioni psicofisiche; l’opera del terapista occupazionale e del fisioterapista è
indirizzata al recupero e all’uso ottimale di funzioni finalizzate al reinserimento,
all’adattamento e alla integrazione dell’individuo nel proprio ambiente personale,
domestico e sociale; mentre i compiti dell’O.T.A. sono del tutto manuali.
184
Pertanto la somministrazione di farmaci non può ritenersi mansione complementare
e strumentale rispetto agli obiettivi di lavoro di tali figure professionali ed è da
considerarsi del tutto estranea alle mansioni affidate dalle normative vigenti”403.
Nella stessa sede, è stata respinta sia la tesi tendente a ricomprendere l’attività di
somministrazione di farmaci come “pienamente rientrante tra i compiti del personale
operante nelle strutture senza distinzione di qualifica”; sia l’altra, più suggestiva,
secondo la quale “la somministrazione di farmaci per via orale, rientra tra gli atti
quotidiani di vita che è tenuto a compiere colui (tutore, esercente la patria potestà,
ecc.) al quale sia permanentemente affidato un minore/interdetto/inabile e pertanto
l’onere di tali attività si trasferisce a colui al quale venga affidata, anche
temporaneamente, la custodia dei soggetti predetti. Nell’esercizio di tali attività
l’affidatario risponde nei limiti della responsabilità del buon padre di famiglia”.
Vi sono altri punti altrettanto controversi del profilo dell’OSS. Un esempio in tal
senso è evidenziato da quanto previsto dallo stesso profilo, laddove si dice che l’OSS
collabora all’effettuazione e al cambio di semplici medicazioni.
Il legislatore nazionale non ha però chiarito cosa intenda per semplici medicazioni ritroviamo tale dizione anche nell’OSS con formazione complementare -: infatti si
possono intendere medicazioni non estese, medicazioni non invasive, medicazioni che
richiedono semplici azioni a contenuto non particolarmente professionale ecc.
Al riguardo potrebbe essere utile sapere che la regione Emilia-Romagna ha
specificato, nel piano formativo, che si tratta di “medicazioni piatte” da eseguirsi
“secondo protocollo assegnato”404. Su questo punto l’interpretazione da dare è che il
legislatore abbia volutamente omesso di darne una definizione, lasciando questa
valutazione alle diverse unità operative, e facendo in modo che, in assenza di
protocolli specifici all’interno della unità operativa, la definizione di medicazione
semplice spetta sempre e comunque all’Infermiere che dovrà valutare tutte le variabili
specifiche del caso e poi decidere se attribuire o meno tale funzione all’OSS.
403
T.A.R. Toscana. Il sez.. sentenza 11 giugno 1998. n. 552.
Delibera della Giunta regionale della regione Emilia Romagna n. 1404/2000 “Modello regionale di formazione iniziale per il
conseguimento della qualifica di operatore socio-sanitario”.
404
185
3
LA RESPONSABILITÀ E LA
DELL’INFERMIERE DIRIGENTE
POSIZIONE
GIURIDICO
AMMINISTRATIVA
Per il dirigente infermieristico, come per altre professioni, la responsabilità, come si è
detto in precedenza,
può essere di varia natura. In questa parte sarà trattata la
disciplina connessa alla responsabilità del dirigente infermieristico legata al
raggiungimento degli obiettivi e le sanzioni ad essa connesse (responsabilità
dirigenziale) mentre, per ciò che riguarda la responsabilità penale, civile e
amministrativa, si rimanda ai paragrafi trattati a proposito della responsabilità
professionale dell’infermiere poiché la disciplina trattata in precedenza può essere
applicata anche al dirigente infermieristico.
Si ritiene inoltre opportuno, prima di delineare le responsabilità e l’inquadramento
giuridico amministrativo del dirigente infermieristico, chiarire alcuni concetti in merito
alla qualifica dirigenziale del pubblico impiego facendo un accenno anche al settore
privato.
3.1 La qualifica dirigenziale nel pubblico impiego
In ambito privatistico il Codice civile italiano prevede all'art. 2095405 tra le categorie
di lavoratori subordinati quella dei dirigenti, demandando alla legge e alle norme
corporative la determinazione dei requisiti di appartenenza alla stessa. Poiché nessuna
legge vigente determina tali requisiti gli stessi vanno ricercati nella contrattazione
collettiva.
Il ruolo del dirigente si caratterizza per:
 i poteri di disposizione, coordinamento e controllo di cui è investito, che si
estendono all'intera azienda o ad una parte di essa;
 l'autonomia di cui gode nei confronti del datore di lavoro, sicché quest'ultimo
non opera una vigilanza immediata nei suoi confronti;
405
Art. 2095 Categorie dei prestatori di lavoro I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai (att. 95)
(Comma così sostituito dalla Legge 13 maggio 1985, n.390). Le leggi speciali (e le norme corporative), in relazione a ciascun ramo di
produzione e alla particolare struttura dell'impresa, determinano i requisiti di appartenenza alle indicate categorie.
186
 l'elevata discrezionalità con la quale può assumere le sue decisioni.
L'appartenenza o meno alla dirigenza ha un rilievo non indifferente per il trattamento
giuridico del lavoratore giacché non mancano, nel diritto del lavoro italiano, norme
riferite unicamente ai dirigenti. Tali norme, valide in alcuni casi anche per il pubblico
impiego, delineano un trattamento in negativo rispetto a quello degli altri lavoratori,
nel senso che il dirigente è sottratto all'ambito d’applicazione di una serie di norme
poste a garanzia del lavoratore. Tra le altre si possono ricordare le norme in materia
d’orario di lavoro, quelle relative ai contratti a tempo determinato e, soprattutto, quelle
sul licenziamento. Al dirigente, infatti, non si applicano le norme limitative del
licenziamento contenute nella legge 604/1966406 e nella legge 300/1970407 per cui è
ancora possibile nei suoi confronti il cosiddetto recesso ad nutum, non sorretto da
giusta causa o da giustificato motivo, con l'unico vincolo, posto dalla legge 108/1990,
della forma scritta dell'atto di recesso, pena la sua inefficacia.
Nell’ambito della pubblica amministrazione, la disciplina attuale ha preso il via con il
D.Lgs. 29/1993 che ha posto in primo piano il potenziamento del ruolo dirigenziale
definendo il dirigente come colui a cui spetta l'adozione degli atti e provvedimenti
amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno,
nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di
spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. I dirigenti
inoltre sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e
dei relativi risultati408.
Il più significativo dei poteri d’organizzazione è quello relativo alle risorse umane,
attribuito ai dirigenti dall'art. 5 del D.Lgs. 165/2001, secondo il quale: le
determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei
rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i
poteri del privato datore di lavoro. Nell'esercizio di questo potere, il dirigente è
vincolato dalle leggi e dagli atti organizzativi. Questi ultimi sono atti pubblici
(regolamenti aziendali, atti amministrativi) adottati dagli organi di governo ai sensi
406
407
408
Legge 15 luglio 1966, n. 604 - Norme sui licenziamenti individuali
Statuto dei lavoratori
art. 4 D.Lgs. 165/2001
187
dell'art. 2 del D.Lgs. 165/2001, secondo il quale: le amministrazioni pubbliche
definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei
medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee
fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore
rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le
dotazioni organiche complessive.
Un altro aspetto rilevante relativo alla qualifica dirigenziale è che la stessa è stata
scissa dall'incarico dirigenziale. La prima è ora unica e viene conferita in modo stabile
con il contratto individuale di lavoro; l'incarico dirigenziale, invece, riguarda la
specifica funzione al quale il dirigente è preposto ed è conferito a tempo determinato,
con un contratto separato, preceduto da un provvedimento amministrativo. Dunque, la
qualifica è solo un presupposto per il conferimento d’incarichi dirigenziali. Inoltre la
parte economica correlata alla qualifica, nella retribuzione del dirigente, è uguale per
tutti (stipendio tabellare) ed ha oggi un peso minore, rispetto al passato, della parte
correlata all'incarico ricoperto (retribuzione di posizione), alla quale si aggiunge la
retribuzione di risultato correlata al grado di conseguimento degli obiettivi assegnati.
Le attribuzioni dirigenziali possono essere tipologicamente raggruppate secondo il loro
contenuto in 409:
 direzione di uffici e strutture
 consulenza, studio e ricerca
 attività ispettive
3.2 La responsabilità dirigenziale del dirigente infermieristico
La responsabilità dirigenziale, ossia la connotazione di responsabilità per i risultati
dell'attività svolta negli uffici410 cioè connessa ad una valutazione complessiva della
(in)capacità di direzione dell’ufficio da parte del dirigente, nel nostro caso del
Squeglia M.Gli aspetti giuridici della figura dirigenziale – Appunti corso di laurea specialistica in Scienze infermieristiche e ostetriche –
Università degli Studi di Milano Bicocca anno accademico 2006/07
410
Così come è stata definita dal Consiglio di Stato, Sez. IV,24 maggio 1983, n. 330
409
188
dirigente infermieristico, è distinta dall’eventuale responsabilità disciplinare che può
trovare origine in specifiche violazioni da parte dei dirigenti411.
La dottrina è sostanzialmente unanime nel ritenere, sulla scorta della volontà espressa
dal legislatore, che la responsabilità dirigenziale, intesa come responsabilità
manageriale412, sia una tipologia distinta, autonoma, ulteriore e non sostitutiva rispetto alle
altre forme di responsabilità (amministrativo-contabile, civile, penale e disciplinare) che
gravano su tutti i dipendenti pubblici413.
È, del resto, lo stesso art. 55 comma 1 del D.lgs 165/01 che, affermando il permanere in
vigore delle già esistenti disposizioni vigenti in materia di responsabilità penale, civile,
amministrativo-contabile e disciplinare previste per i dipendenti pubblici, implicitamente
sottolinea il carattere differente ed aggiuntivo della responsabilità dirigenziale rispetto alle
preesistenti tipologie di responsabilità.
Possiamo dire quindi che la responsabilità dirigenziale trascende il comportamento personale
del dirigente infermieristico, in quanto si collega ai risultati complessivi prodotti
dall’organizzazione cui il dirigente infermieristico è preposto (Servizio infermieristico o
altra struttura): essa è connessa all’incapacità di adempiere a una determinata
obbligazione di risultato414 che egli assume con l’accettazione del conferimento
dell'incarico da parte del Direttore Generale, consistente nel perseguimento degli obiettivi e
delle priorità individuati con le direttive impartite.
Essa attiene, dunque, a valutazioni di capacità professionale, riguardanti aspetti e profili che
rilevano in capo al dirigente infermieristico carenze di particolari qualità e attitudini, come la
capacità di coordinamento di risorse, di programmazione e di gestione del personale
disponibile415.
411
ALBANESE A. e TORRICELLI A., La dirigenza pubblica, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1993, p.52
In tale senso: FRANCESE M.U., La responsabilità dei dirigenti statali nella problematica generale della responsabilità dei pubblici dipendenti., in
Foro Amministrativo, 1985, II, p. 2614.
413
In questo senso si veda: PlNELLl C., Responsabilità per risultati e controlli., in Diritto amministrativo, n. 3/1997, p.385.
414
In questo specifico caso si intende che il dirigente accettando l'incarico ad esso conferito dall'organo politico si impegna ad operare con le
risorse disponibili dell'amministrazione in cui opera, al fine di ottenere l'obiettivo stabilito nelle direttive di indirizzo politico-amministrativo. Non è,
cioè, da intendersi come sottoscrizione o contrazione di una obbligazione, così come inteso nell'accezione civilistica, e come definito nel libro IV, titolo I e
ss. del Cod. civ. Si veda sempre a tal riguardo: PANASSlDI G., L'obbligazione dì risultato dei dirigenti della pubblica amministrazione, in Nuova
rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, n. 3/99, p. 300.
415
TORCHIA L. La responsabilità dirigenziale, Padova, Cedam, 2000, p.67; VlRGA P., Il pubblico impiego, Milano, Giuffrè, 1991, p.394; FRANCESE M.U., La
responsabilità dei dirigenti statali nell'esercizio delle funzioni dirigenziali. Rassegna di giurisprudenza -Profili di riforma, in Foro amministrativo, 1991,
p.394.
412
189
La responsabilità dirigenziale fuoriesce dunque da una logica prevalentemente
punitiva o risarcitoria; rivolgendosi piuttosto all’esigenza dell'amministrazione, a
fronte del malfunzionamento dell'ufficio, di rimuovere in maniera tempestiva il
dirigente dimostratosi inidoneo alla funzione, come tale non in grado di raggiungere il
risultato prefissato, indipendentemente dal verificarsi di un fatto sanzionabile sul piano
disciplinare o della produzione di un danno.
Il dirigente infermieristico è dunque giudicato in base ai risultati raggiunti e percepisce
la retribuzione di risultato in proporzione agli obiettivi raggiunti. Il mancato
raggiungimento degli obiettivi e dei risultati indicati può dare origine alle
responsabilità dirigenziali indicate, come si è detto, dall'art. 21 del D.lgs. 165/2001 il
quale prevede che il mancato raggiungimento degli obiettivi, ovvero l’inosservanza
delle direttive imputabili al dirigente, valutati con i sistemi e le garanzie di cui
all'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 286, comportano, ferma restando
l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto
collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale416.
L’accertamento della responsabilità dirigenziale a seguito dei distinti e specifici
processi di valutazione, prima della formulazione del giudizio negativo, deve essere
preceduta da un contraddittorio nel quale devono essere acquisite le controdeduzioni
del dirigente anche assistito da una persona di fiducia (vedi par. 3.3)
L’accertamento della responsabilità dirigenziale che rilevi scostamenti rispetto agli
obiettivi e compiti professionali propri dei dirigenti infermieristici, come definiti a
livello aziendale, comporta l’assunzione di provvedimenti che devono essere
commisurati:
a) alla posizione rivestita dal dirigente infermieristico nell’ambito aziendale;
b) all’entità degli scostamenti rilevati417.
Per i dirigenti infermieristici a cui siano conferiti gli incarichi di natura professionale
previsti dall’art. 27, comma 1, lett. d) del CCNL 8 giugno 2000418, l’accertamento
416
D.lgs 165/01 art. 21 comma 1 . Responsabilità dirigenziale (Comma così sostituito dall'art. 3, comma 2, lettera a), L. 15 luglio 2002, n.
145.) Vedi anche art. 15 ter D.Lgs. 502/92
417
Vedi art. 30 Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dell’area della dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed
amministrativo del servizio sanitario nazionale parte normativa quadriennio 2002/2005 e parte economica biennio 2002-2003.
418
Incarichi di natura professionale conferibili ai dirigenti con meno di cinque anni di attività.
190
delle responsabilità dirigenziali dovuto all’inosservanza delle direttive ed al
raggiungimento degli obiettivi può determinare la perdita, in tutto o in parte, della
retribuzione di risultato con riguardo all’anno della verifica. L’azienda o ente può
disporre la revoca dell’incarico prima della sua scadenza, mediante anticipazione della
verifica e valutazione da parte del Collegio tecnico solo a partire dalla seconda
valutazione negativa consecutiva. Comunque nell’attribuzione di un incarico di minor
valore economico è fatta salva la componente fissa della retribuzione di posizione
minima contrattuale419.
La responsabilità dirigenziale per reiterati risultati fondata su elementi di particolare
gravità, può costituire giusta causa di recesso da parte dell’azienda nei confronti del
dirigente infermieristico, previa attuazione delle procedure previste420.
È importante sottolineare che anche per il dirigente infermieristico, come per gli altri
dirigenti, è pacifica l’applicazione delle norme del codice civile per effetto del
richiamo dell’art. 2 comma del D. lgs 165/2001. Ciò produce l’ulteriore effetto della
mancanza di tutela reale del dirigente che è escluso dall’applicazione dell’art. 10 della
legge 15.7. 1996 n. 604. In altri termini il dirigente infermieristico, ancorché licenziato
ingiustamente, non può chiedere di essere reintegrato al proprio posto di lavoro, in
quanto ha diritto solo ad una tutela risarcitoria, secondo quanto regolato dai contratti di
lavoro.
3.2.1 L’oggetto della responsabilità del dirigente infermieristico
Nonostante l’esplicita indicazione generale del D.lgs. n. 165/01 e della normativa
contrattuale, che detta le regole generali della responsabilità dirigenziale risulta invece
poco chiara la responsabilità specifica del dirigente infermieristico vale a dire la
concreta e puntuale definizione dell’oggetto della stessa. Le norme analizzate
Art. 30 contratto collettivo nazionale di lavoro dell’area della dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo del
servizio sanitario nazionale parte normativa quadriennio 2002/2005 e parte economica biennio 2002-2003.
420
Le procedure per il recesso sono richieste per garantire quel requisito di terzietà e conservare quel sistema di "garanzie" che concorrono al
rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento, quali canoni di verifica dell'azione svolta e dei risultati complessivi perseguiti
dall'amministrazione. Vedi art. 30 contratto collettivo nazionale di lavoro dell’area della dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico
ed amministrativo del servizio sanitario nazionale parte normativa quadriennio 2002/2005 e parte economica biennio 2002-2003. - Per le
procedure di recesso per giusta causa vedi art. 35 del ccnl 5 dicembre 1996 - art. 23 del ccnl dell’8 giugno 2000- art. 20 contratto collettivo
nazionale di lavoro dell’area della dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo del servizio sanitario nazionale
parte normativa quadriennio 2002/2005 e parte economica biennio 2002-2003.
419
191
richiamano la necessità di ricostruire l’oggetto della responsabilità del dirigente
infermieristico analizzando la logica del sistema e l’intenzione del legislatore, dalla quale si
evince che deve necessariamente sussistere la corrispondenza tra attribuzioni a favore
dei dirigenti infermieristici ed eventuali responsabilità conseguenti collegate ad esse.
Dall’esame delle disposizioni previste dalla legge 251/00 art. 1 comma 2 e dalla lettura
dei DDMM 2 aprile 2001 (determinazione delle classi di laurea specialistiche
universitarie delle professioni sanitarie) è possibile affermare che il dirigente
infermieristico ha una diretta responsabilità nella gestione delle attività d’assistenza
infermieristica e delle connesse funzioni. In altri termini il dirigente infermieristico è
chiamato a governare tutti i processi organizzativi della funzione infermieristica421.
Infatti, l’art. 1 della legge 251/2000 contiene da un lato, la norma programmatica
rivolta a Stato e Regioni per promuovere “la valorizzazione e la responsabilizzazione
delle funzioni e del ruolo delle professioni infermieristico-ostetriche”, dall’altro, la
previsione dell’”attribuzione in tutte le aziende sanitarie della diretta responsabilità e
gestione dell’assistenza infermieristica e delle connesse funzioni”. Vale a dire che il
dirigente infermieristico ha la responsabilità del governo clinico assistenziale
complessivo, relativamente ai processi di assistenza infermieristica e ostetrica, alle
attività di supporto e a quelle domestico-alberghiere, in un sistema integrato di cure422.
Ad ulteriore chiarimento possiamo dire che le disposizioni rilevanti in merito alla
responsabilità dirigenziale collegano la responsabilità dei dirigenti infermieristici ai
risultati conseguiti sotto i tre profili della gestione finanziaria, tecnica e
amministrativa, sia per la mancata realizzazione dei programmi e progetti affidati in
relazione agli obiettivi, sia per quanto concerne i risultati dell’attività svolta dagli
uffici cui i dirigenti sono preposti.
Mangiacavalli B. La nuova dimensione della responsabilità professionale infermieristica in Riv. Nursing Oggi, numero 3 – 2002 p. 11
Ministero della Salute Dipartimento della qualità Direzione generale delle risorse umane e delle Professioni sanitarie - 1° Rapporto sulle
professioni sanitarie infermieristiche e di ostetrica nel SSN- Report dei lavori svolti dal Comitato Nazionale delle Scienze Infermieristiche e
delle Scienze Ostetriche Marzo 2008 pag. 23- Si veda anche Delib.G.R. 8-8-2003 n. 7/14049 Regione Lombardia Linee guida regionali per
l'adozione del piano di organizzazione e funzionamento aziendale delle aziende sanitarie della regione Lombardia. Pubblicato nel B.U.
Lombardia 2 settembre 2003, n. 36, I suppl. straord. (Funzioni Servizio infermieristico- SITRA)
421
422
192
3.3 La valutazione del dirigente infermieristico
Strettamente connesso alla responsabilità dirigenziale vi è il sistema di valutazione dei
dirigenti.
Infatti la procedura di valutazione è preposta proprio a rilevare il
raggiungimento degli obiettivi assegnati. Con il CCNL dell’area della dirigenza dei
ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo del servizio sanitario
nazionale (parte normativa quadriennio 2002/2005) il sistema di valutazione è stato
semplificato con una nuova formulazione dei precedenti articoli sulla materia. Il
sistema, così riorganizzato, risponde all’esigenza di semplificare i momenti di verifica
e valutazione dei dirigenti anche unificandoli temporalmente per renderli più efficaci.
Il D. Lgs. n. 502/92 prevede tre indipendenti momenti di verifica:
• il primo, con cadenza annuale, sui risultati raggiunti in base agli obiettivi correlati
con l’incarico ed affidata al nucleo di valutazione;
• il secondo, con cadenza triennale, sulle attività professionali svolte ed i risultati
raggiunti da tutti i dirigenti affidata ad un collegio tecnico;
• il terzo, alla scadenza dell’incarico, avente lo stesso tenore e lo stesso organismo di
valutazione ai fini della conferma o revoca dell’incarico stesso423.
Per la competenza della fonte contrattuale a disciplinare la materia derivante dal
rinnovellato art. 15 del D.Lgs. del 92, ferma rimanendo la verifica annuale dei risultati
che consente di monitorare al meglio l’attività dei dirigenti, la verifica professionale
dell’attività svolta, che avrebbe dovuto effettuarsi indipendentemente dalle altre ogni
tre anni, è stata unificata alla verifica per la conferma dell’incarico 424. In definitiva, il
sistema di valutazione vede oggi due momenti stabili di verifica: quella annuale e
423
Art. 15 D.lgs 502/92 comma 5: Il dirigente è sottoposto a verifica triennale; quello con incarico di struttura, semplice o complessa, è
sottoposto a verifica anche al termine dell’incarico. Le verifiche concernono le attività professionali svolte e i risultati raggiunti, livello di
partecipazione, con esito positivo, ai programmi di formazione continua di cui all’articolo 16-bis e sono effettuate da un collegio tecnico,
nominato dal direttore generale e presieduto dal direttore del dipartimento. L’esito positivo delle verifiche costituisce condizione per la
conferma nell’incarico o per il conferimento di altro incarico, professionale o gestionale, anche di maggior rilievo
comma 6 Ai dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa sono attribuite, oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze
professionali, funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuarsi, nell’ambito degli indirizzi operativi e gestionali del
dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa, e l’adozione delle relative decisioni
necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l'appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche,
terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata. Il dirigente è responsabile dell’efficace ed efficiente gestione delle risorse
attribuite. I risultati della gestione sono sottoposti a verifica annuale tramite il nucleo di valutazione.
424
Vedi art. 25 Contratto Collettivo Nazionale Di Lavoro Dell’area Della Dirigenza Dei Ruoli Sanitario, Professionale, Tecnico Ed
Amministrativo Del Servizio Sanitario Nazionale Parte Normativa Quadriennio 2002/2005 E Parte Economica Biennio 2002-2003.
193
quella alla scadenza dell’incarico. Inoltre, a questi momenti di verifica, va aggiunta,
per tutti i dirigenti di nuova assunzione, al termine del primo quinquennio di servizio,
una valutazione delle attività professionali.
3.3.1 I soggetti e gli organismi deputati alla valutazione
Sono confermati gli organismi preposti alla valutazione:
 il Collegio tecnico investito della verifica e valutazione delle attività
professionali425;
 il Nucleo di Valutazione426 preposto alla verifica e valutazione annuale dei risultati.
Il Collegio tecnico procede alla verifica e valutazione:
a) di tutti i dirigenti alla scadenza dell’incarico loro conferito in relazione alle attività
professionali svolte ed ai risultati raggiunti;
b) di tutti i dirigenti di nuova assunzione al termine del primo quinquennio di servizio;
c) dei dirigenti biologi, fisici, chimici, psicologi e farmacisti con esperienza
ultraquinquennale in relazione all’indennità di esclusività.
Il Nucleo di valutazione procede alla verifica e valutazione annuale:
a) dei risultati di gestione del dirigente di struttura complessa ed anche di struttura
semplice;
b) dei risultati raggiunti da tutti i dirigenti in relazione agli obiettivi affidati, anche ai
fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato.
Il nucleo di valutazione opera sino all’eventuale applicazione da parte dell’azienda,
dell’art. 10, comma 4 del d.lgs. n. 286 del 1999.
La valutazione nelle aziende sanitarie è soprattutto, anche se non esclusivamente,
valutazione gerarchica. Conformemente alle previsioni legislative, il principio
gerarchico è sostanziato attraverso l’intervento dei due organismi preposti alla
valutazione gestionale ed organizzativa: l’Organo di Valutazione di Prima Istanza
(OVPI) ed il Nucleo di Valutazione427.
La composizione di tale collegio viene definita nell’ambito di ogni azienda con atto formale del Direttore Generale
La composizione del nucleo di valutazione viene definita nell’ambito di ogni azienda con atto formale del Direttore Generale
427
Benedetto M. La valutazione della dirigenza nelle aziende sanitarie locali un framewrk di riferimento Riv. Sanità Pubblica e Privata
Bimestrale di diritto, economia e management in sanità n. 5 2008
425
426
194
Il principio della seconda istanza, impone che il procedimento valutativo debba essere
svolto -secondo modalità sequenziali- in una prima fase da un organo di valutazione di
prima istanza (OVPI) che conclude le proprie attività con una proposta valutativa e in
una seconda fase da un organo di valutazione di seconda istanza al quale la proposta è
sottoposta e dal quale è poi verificata ed eventualmente approvata.
L’organo di valutazione di prima istanza, conformemente al relativo principio, deve
avere diretta conoscenza delle attività svolte dal valutato.
La costituzione di organi collegiali per la valutazione di prima istanza è considerata
vantaggiosa sotto molteplici punti di vista: il valutato ha la possibilità di partecipare ad
un procedimento valutativo epurato dalle possibili emozioni e limitazioni proprie di un
organo monocratico; il valutato ha la possibilità di realizzare in termini istituzionali
contatti non solo con il proprio capo; il valutatore non è solo nelle varie delicate fasi
del procedimento valutativo; il numero di divergenze tra valutato e valutatori decresce
inevitabilmente; il procedimento valutativo è percepito in misura maggiore come
procedimento appartenente all’organizzazione interna dell’azienda.
Tuttavia la soluzione monocratica (Responsabile gerarchico) è ampiamente prevalente
nei sistemi adottati nelle realtà aziendali del SSN e questo prima di tutto per la sua
maggiore corrispondenza alla lettera delle previsioni normative ma anche
presumibilmente per la minore complessità applicativa
L’organo di seconda istanza nel procedimento valutativo gestionale della dirigenza è il
Nucleo di Valutazione.
Il ruolo del Nucleo di Valutazione, quale organo esterno, consiste allora nell’operare
una supervisione sui meccanismi della valutazione intesa come parte integrante
dell’attività manageriale e nell’assicurare che l’inevitabile discrezionalità non diventi
arbitrio.
Il compito del Nucleo di Valutazione deve essere inteso, in sostanza, come funzione di
garanzia che l’intero processo (valutazione e ricompense) sia complessivamente equo
e quindi: “che sia fondato su regole del gioco conosciute e sufficientemente condivise;
che tali regole siano esplicite; che tali regole siano applicate; che la maggior parte
degli obiettivi sia misurabile; che le rilevazioni dei dati siano complete ed attendibili;
195
che pur nella necessità di incentivare particolarmente alcune attività/unità
organizzative in relazione a specifiche contingenze aziendali l’intero sistema conservi
un ragionevole grado di equità nel rapporto complessivo sforzi/ricompense”.
In termini generali, secondo i principi dettati dal CCNL i soggetti deputati alla
valutazione delle attività professionali del dirigente infermieristico sono i seguenti:
A. relativamente al dirigente infermieristico responsabile di struttura
semplice:
1. in prima istanza (proponente), i titolari della struttura complessa presso la quale
gli stessi prestano servizio, ovvero, in caso di struttura semplice di livello
dipartimentale o assimilata, i titolari del dipartimento o della struttura
assimilata;
2. in seconda istanza, il Collegio tecnico
B. relativamente al dirigenti infermieristici responsabili di struttura
complessa:
3. in prima istanza, nei presidi ospedalieri, i direttori dei dipartimenti di
assegnazione. Per i servizi del territorio o afferenti ai ruoli professionale,
tecnico ed amministrativo, il direttore del dipartimento ove costituito ovvero il
titolare della struttura assimilata di assegnazione. In mancanza dell’istituzione
dei dipartimenti, la valutazione è effettuata dal titolare della struttura
direttamente sovraordinata secondo i rispettivi atti aziendali di organizzazione;
4. in seconda istanza, il Collegio tecnico
C. relativamente al dirigente infermieristico direttori di dipartimento o
struttura assimilata:
5. in prima istanza, il direttore generale o altro soggetto da lui delegato secondo
le modalità stabilite negli atti aziendali di organizzazione;
6. in seconda istanza, il Collegio tecnico
196
Il collegio tecnico dovrà dotarsi di un proprio regolamento di funzionamento diretto,
tra l’altro, alla soluzione di alcuni casi, quali, ad esempio, l’astensione, da parte del
direttore di dipartimento componente del Collegio tecnico, dalla valutazione di un
dirigente già da lui stesso valutato magari anche negativamente ovvero chi debba
procedere alla valutazione di II istanza ove questa riguardi un dirigente, direttore di
dipartimento e di struttura complessa, componente del collegio tecnico.
Gli effetti della valutazione positiva o negativa sono stati distinti a seconda che si tratti
di valutazione dei risultati raggiunti o di valutazione delle attività professionali svolte.
Inoltre, è stato stabilito il principio che solo il Collegio tecnico può determinare
eventuali sanzioni che possono incidere sulla revoca degli incarichi.
La valutazione del Collegio tecnico riguarda tutti i dirigenti compreso quindi il
dirigente infermieristico e tiene conto:
a) della collaborazione interna e livello di partecipazione multi-professionale
nell’organizzazione dipartimentale;
b) del livello d’espletamento delle funzioni affidate nella gestione delle attività e
qualità dell’apporto specifico;
c) dei risultati delle procedure di controllo con particolare riguardo all’appropriatezza
e qualità delle prestazioni, all’orientamento all’utenza, alle certificazioni di qualità dei
servizi;
d) dell’efficacia dei modelli organizzativi adottati per il raggiungimento degli obiettivi;
e) della capacità dimostrata nel motivare, guidare e valutare i collaboratori e di
generare un clima organizzativo favorevole alla produttività, attraverso una equilibrata
individuazione dei carichi di lavoro del personale, dei volumi prestazionali nonché
della gestione degli istituti contrattuali;
f) della capacità dimostrata nel gestire e promuovere le innovazioni tecnologiche e
procedimentali, in particolare per quanto riguarda il rispetto dei tempi e modalità nelle
procedure di negoziazione del budget in relazione agli obiettivi affidati nonché i
processi formativi e la selezione del personale;
197
g) della capacità di promuovere, diffondere, gestire ed implementare linee guida,
protocolli e raccomandazioni diagnostico terapeutiche aziendali;
h) delle attività di ricerca clinica applicata, delle sperimentazioni, delle attività di
tutoraggio formativo, di docenza universitaria e nell’ambito dei programmi di
formazione permanente aziendale;
i) del raggiungimento del minimo di credito formativo di cui all’art. 16 ter, comma 2
del d.lgs. 502 del 1992, tenuto conto dell’art. 23, commi 4 e 5;
j) del rispetto del codice di comportamento allegato al contratto, tenuto conto anche
delle modalità di gestione delle responsabilità dirigenziali e dei vincoli derivanti dal
rispetto del codice deontologico infermieristico428.
L’esito positivo della valutazione affidata al Collegio tecnico, produce i seguenti
effetti:
a) per i dirigenti di struttura complessa o semplice, alla scadenza dell’incarico, realizza
la condizione per la conferma nell’incarico già assegnato o per il conferimento di altro
della medesima tipologia di pari o maggior rilievo gestionale ed economico. Per gli
altri dirigenti realizza la condizione per la conferma o il conferimento di nuovi
incarichi di pari o maggior rilievo professionale economico o di struttura semplice;
b) per i dirigenti neo assunti, al termine del quinto anno, l’ attribuzione di incarichi di
natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca,
ispettivi, di verifica e di controllo, nonché di direzione di strutture semplici (art. 4,
comma 2 del CCNL 8 giugno 2000, II biennio);
La valutazione annuale da parte del nucleo di valutazione riguarda :
1) per i dirigenti infermieristici di struttura complessa e di struttura semplice:
a) la gestione del budget finanziario formalmente affidato e delle risorse umane e
strumentali effettivamente assegnate in relazione agli obiettivi concordati e risultati
conseguiti;
428
Art. 28 ccnl dirigenza professionale 2002-2005
198
b) ogni altra funzione gestionale espressamente delegata in base all’atto aziendale;
c) l’efficacia dei modelli gestionali adottati per il raggiungimento degli obiettivi
annuali;
2) per i dirigenti infermieristici non titolari di struttura complessa o semplice:
a) l’osservanza delle direttive per il raggiungimento dei risultati in relazione
all’incarico attribuito;
b) il raggiungimento degli obiettivi prestazionali quali – quantitativi espressamente
affidati;
c) l’impegno e la disponibilità correlati all’articolazione dell’orario di lavoro rispetto
al conseguimento degli obiettivi.
3.4 La posizione giuridico amministrativa del dirigente infermieristico
L’istituzione piuttosto recente della dirigenza infermieristica non permette di chiarire
appieno l’attuale collocazione dei dirigenti infermieristici in Italia. Si è ritenuto
pertanto fondamentale, per comprendere meglio il fenomeno, partire da un’analisi:
della letteratura, della normativa regionale sui servizi infermieristici e della normativa
sull’inquadramento e dall’applicazione della stessa oggi.
In questa parte del lavoro la ricerca dei documenti e l’analisi degli stessi si è svolta
secondo tre direttrici:
1. la ricerca della normativa regionale che istituisce i servizi infermieristici
nelle aziende sanitarie;
2. la ricerca e l’analisi della letteratura che avesse come contenuto
l’inquadramento giuridico amministrativo del dirigente infermieristico;
3. l’analisi della normativa di inquadramento vigente e della normativa
concorsuale.
Secondo la prima direttrice si è proceduto ad una ricerca della normativa regionale che
istituisce/regolamenta i servizi infermieristici nelle diverse regioni italiane. La ricerca
è stata effettuata attraverso alcune banche dati Giuridiche (Juris Data Top Major e la
banca dati De Agostini Leggi d’Italia), includendo solo le norme ancora in vigore ed
199
escludendo le norme abrogate o non specifiche. Si sono inoltre consultate alcune
riviste giuridiche e le raccolte dei Bollettini Ufficiali delle Regioni.
In relazione alla seconda direttrice si è proceduto ad una revisione della letteratura che
avesse come contenuto l’inquadramento giuridico amministrativo del dirigente
infermieristico. A tale scopo è stata effettuata una ricerca libera su internet utilizzando,
quale motore di ricerca, Google e, successivamente, si sono consultati alcuni testi e le
riviste italiane di settore (Management infermieristico, Scienze infermieristiche,
Professioni infermieristiche, Rivista Diritto Professioni Sanitarie), alla ricerca di
articoli che trattassero aspetti dell’inquadramento giuridico amministrativo del
dirigente infermieristico . Infine si è proceduto ad un’analisi della normativa che
disciplina l’attuale inquadramento dei dirigenti infermieristici.
I risultati delle ricerche effettuate, per comodità espositiva e al fine di permetterne una
più agile lettura, sono commentati in tre paragrafi distinti: il primo relativo alla
normativa regionale sui servizi infermieristici, il secondo riguardante la letteratura
reperita in merito all’inquadramento giuridico amministrativo del dirigente
infermieristico e il terzo relativo alla disciplina sia transitoria che attuale
dell’inquadramento dei dirigente infermieristico.
3.4.1 La normativa regionale sui servizi infermieristici
Il D.Lgs. 502/1992 attribuisce importanti poteri alle regioni in merito alla funzione
legislativa in materia sanitaria: ”"spettano in particolare alle Regioni la determinazione dei
servizi e sull'attività destinata alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle
Aziende USL e delle Aziende Ospedaliere, le attività di indirizzo tecnico, promozione e
supporto nei confronti delle predette aziende, anche in relazione al controllo di gestione e
alla valutazione della qualità...”429. Tale competenza è stata ulteriormente rafforzata
con la legge costituzionale n° 3 del 18 ottobre 2001 che ha completamente riformato il
Capo V, parte seconda della Costituzione italiana, recante norme sulle Regioni, le
Province e i Comuni. Questa titolarità consente alle Regioni di determinare i criteri
generali
429
di
funzionamento
delle
aziende
sanitarie
locali,
di
procedere
Art. 2 D.lgs 502/92
200
all’individuazione delle linee guida sull'attività destinata alla tutela della salute e
disporre le modalità di finanziamento per le aziende. È utile sottolineare che la stessa
normativa consente alla direzione delle aziende sanitarie di effettuare scelte organizzative
e strategiche calibrate sulle proprie esigenze, purché, in linea con i principi dettati dalle
leggi dello Stato e dalle Regioni.
La Legge n. 251/2000 ha sancito molto chiaramente delle nuove “possibilità” per la
professione infermieristica, ma non ha stabilito un obbligo per le Regioni e le Aziende
sanitarie di disporre la creazione di servizi infermieristici e dei relativi dirigenti,
limitandosi a vincolare il Governo all’emanazione della relativa disciplina concorsuale
ed invitare le Regioni all’istituzione del servizio infermieristico.
Dalle ricerche effettuate emerge una realtà molto favorevole nell’ambito della
normativa regionale istitutiva dei servizi infermieristici. Infatti, dai dati risulta che la
maggior parte delle regioni hanno disposto l’istituzione del Servizio di Assistenza
Infermieristica quale strumento indispensabile per una migliore organizzazione e qualità
dell’assistenza sanitaria nel suo complesso, e dando così un chiaro segnale di
riconoscimento e di valorizzazione del ruolo infermieristico nel sistema sanitario. Le regioni
nelle quali esiste una normativa specifica che istituisce/promuove i servizi infermieristici
nelle diverse aziende sanitarie sono quindici: Lombardia, Trentino-Alto Adige,Veneto,
Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna,Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo,
Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia. Non esiste invece una normativa
specifica in cinque regioni : Valle d’Aosta, Piemonte Liguria, Molise, Sardegna.
Di seguito si riporta la tabella con le norme specifiche e ancora in vigore che istituiscono i
servizi infermieristici nella varie regioni d’Italia.
Regione
Norma regionale
Valle
d'Aosta
Nessuna Norma in vigore
Artt. o
riferimento
all’interno della
norma regionale
Piemonte Nessuna Norma in vigore
201
Liguria
L.R. 7-12-2006 n. 41
Riordino del Servizio Sanitario Regionale.
Pubblicata nel B.U. Liguria 13 dicembre 2006, n. 18, parte prima.
Art. 45 (norma
programmatica
non ancora in
vigore)
Delib.G.R. 8-8-2003 n. 7/14049
Punto 10.3.2
Linee
guida
regionali
per
l'adozione
del
piano
di
organizzazione
e
Lombardia
funzionamento aziendale delle aziende sanitarie della regione
Lombardia. Pubblicato nel B.U. Lombardia 2 settembre 2003, n. 36,
I S.S. Si veda anche Circ. 24-3-2005 n. 15 “Istituzione dei
S.I.T.R.A.” Pubblicato nel B.U. Lombardia 11 aprile 2005, n. 15.
Trentino- Trento
Alto Adige L.P. 1-4-1993 n. 10 Nuova disciplina del servizio sanitario
provinciale. Pubblicata nel B.U. Trentino-Alto Adige 13 aprile
1993, n. 17, I Suppl.
Art.43 punto 4
lettera g
Bolzano
L.P. 5-3-2001 n. 7 Riordinamento del Servizio Sanitario provinciale.
Pubblicata nel B.U. Trentino-Alto Adige 20 marzo 2001, n. 12, II
Artt. 1 –2 e 3
Suppl.
Delib.G.P. 14-7-2003 n. 2365 Approvazione di linee guida
provinciali per l'organizzazione del Servizio Tecnico Assistenziale
nella Provincia Autonoma di Bolzano. Pubblicata nel B.U.
Trentino-Alto Adige 29 luglio 2003, n. 30, II Suppl.
Veneto
Delib.G.R. 15-6-2001 n. 1528 Organizzazione delle aziende
Allegato parte II e
sanitarie. Linee guida per la predisposizione dell'atto aziendale. (art. schema atto
3, comma 1-bis del D.Lgs. n. 502/1992, così come modificato dal
aziendale
D.Lgs. n. 229/1999). Pubblicata nel B.U. Veneto 10 luglio 2001, n.
63.
FriuliVenezia
Giulia
L.R. 27-2-1995 n. 13 Revisione della rete ospedaliera regionale.
Pubblicata nel B.U. 28 febbraio 1995, n. 8, supplemento
straordinario n. 9.
Art. 12
Delib.G.R. 31-10-2000 n. 1882 Direttiva alle Aziende sanitarie della Articolo unico
EmiliaRomagna regione per l'adozione dell'atto aziendale di cui all'art. 3 - D.Lgs. n.
229/1999. Pubblicata nel B.U. Emilia-Romagna 21 febbraio 2001,
n. 25.
Toscana
Delib.G.R. 23-4-2001 n. 420 “Art. 7 della legge n. 251/2000 recante Articolo unico
la "disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche,
della riabilitazione, della prevenzione, nonché della professione
ostetrica". Disposizioni attuative. Pubblicata nel B.U. Toscana 16
maggio 2001, n. 20, parte seconda.
Marche
L.R. 17-7-1996 n. 26 Riordino del servizio sanitario regionale.
Pubblicata nel B.U. Marche 25 luglio 1996, n. 53
Umbria L.R. 20-1-1998 n. 3 Ordinamento del sistema sanitario regionale.
Art. 19
Art. 9
Pubblicata nel B.U. Umbria 28 gennaio 1998, n. 7, S.O. n. 1.
202
Lazio
Delib.G.R. 21-12-2001 n. 2034
Integrazioni e modifiche alle "Linee guida regionali per l'adozione
dell'atto di autonomia aziendale delle Aziende sanitarie della
Regione Lazio", approvate con Delib.G.R. 7 dicembre 2001, n.
1893. Approvazione testo integrato.
Pubblicata nel B.U. Lazio 19 gennaio 2002, n. 2, S.O. n. 7.
Punto 4.1 lettera
M
Abruzzo
L.R. 2-7-1999 n. 37
Piano sanitario regionale 1999-2001.
Pubblicata nel B.U. Abruzzo 27 luglio 1999, n. 29.
Parte terza
Molise
Nessuna Norma
Campania L.R. 10-4-2001 n. 4 Istituzione dei servizi delle professioni sanitarie Artt. 1-2-3-4
infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico sanitarie e tecniche
della prevenzione. Pubblicata nel B.U. Campania 17 aprile 2001, n.
21. resa esecutiva con D.P.G.R. 26 maggio 2003, n. 336, è stato
approvato il regolamento di esecuzione della presente
legge.Pubblicato nel B.U. Campania 9 giugno 2003, n. 25.
Basilicata L.R. 31-10-2001 n. 39 Riordino e razionalizzazione del servizio
Art. 15
sanitario regionale.
Pubblicata nel B.U. Basilicata 5 novembre 2001, n. 73.
Puglia
L.R. 9-8-2006 n. 26 Interventi in materia sanitaria. Pubblicata nel
B.U. Puglia 11 agosto 2006, n. 104.
Art. 34
Calabria
Delib.G.R. 2-5-2006 n. 313 Atto di indirizzo alle Aziende del SSR
per l'adozione dell'atto Aziendale di cui all'art. 3 del decreto
legislativo n. 229/1999. Pubblicata nel B.U. Calabria 1° giugno
2006, n. 10.
Punto 5.2.3
Sicilia
D.P.Reg. 11-5-2000 Piano sanitario regionale 2000-2002.
Pubblicato sulla Gazz. Uff. Reg. sic. 2 giugno 2000, n.26, s.o.
Punto 1.2.6
Sardegna Nessuna Norma
Dalla tabella sopra riportata si evince chiaramente che la maggior parte delle regioni
italiane hanno emanato delle norme che istituiscono e regolamentano il servizio
infermieristico. In proposito, va rilevato che tale indirizzo delle regioni e delle aziende è
coerente con il nuovo ruolo assunto dalle professioni sanitarie Il che, riferito al settore
dei servizi sanitari, sottolinea come la nuova articolazione tiene in conto le diverse
modalità con cui le differenti professioni sanitarie concorrono al raggiungimento degli
obiettivi istituzionali. Al tempo stesso risulta evidente che ”il criterio delle funzioni
omogenee“ viene applicato anche alla funzione infermieristica in relazione alla necessità
che questa si riconosca in una dirigenza propria e in una struttura organizzativa capace
203
di contribuire efficacemente alla qualità delle prestazioni nell'ambito di un processo
assistenziale integrato e al buon funzionamento delle strutture aziendali430.
3.4.2
La letteratura sull’inquadramento del dirigente infermieristico
In questo paragrafo si riportano i risultati della ricerca sulla letteratura concernente
l’inquadramento giuridico amministrativo del dirigente infermieristico. Dalla ricerca
emerge che la letteratura relativa allo specifico argomento è scarsa. Tale evenienza ha
indotto ad allargare il campo di ricerca cercando altri documenti che delineassero
comunque l’inquadramento della posizione del dirigente infermieristico.
Da un’analisi della letteratura giuridica che analizza l’ipotesi del CCNL della
dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo stipulato l’ 8
giugno 2000 emerge l’immissione all’interno di quest’ipotesi contrattuale, poi
confermata successivamente, di criteri di rigidità rispetto all’attivazione della dirigenza
infermieristica, in parte non previsti dalla legge 251/00. Tale atteggiamento delle parti
contrattuali è probabilmente dovuto ad un timore di sovrapposizioni di funzioni tra le
professioni mediche e le professioni sanitarie non mediche che approdano alla
dirigenza431. Inoltre il vizio d’origine della legge 251/00, ossia l’obbligo di
trasformazione dei posti in pianta organica destinati ai dirigenti laureati non medici per
consentire l’inquadramento della dirigenza infermieristica e delle altre professioni,
stringe maggiormente le maglie della rete attraverso la quale gli infermieri possono
accedere alla dirigenza432.
In uno studio pubblicato nel 2006 condotto su 36 soggetti di tutte le regioni d’Italia,
inerente la partecipazione dei dirigenti infermieristici alla elaborazione e gestione del
budget aziendale, emerge che vi è un basso coinvolgimento della dirigenza
infermieristica nella definizione del budget (42% degli intervistati viene coinvolto) e il
A.A.V.V. Guida all’esercizio della professione di infermiere III edizione aggiornata a ottobre 2006 C.G. Edizioni Medico Scientifiche p.
167
431
Benci L. Il ruolo e le attribuzioni della dirigenza delle professioni sanitarie non mediche dopo l’accordo del CCNL integrativo della
dirigenza sanitaria, tecnica e amministrativa in Riv Diritto Professioni Sanitarie, 2002; 5(3): 182-190
432
Snaidero D. Dirigenza infermieristica al traguardo contrattuale Analisi degli artt. 39 e 40 del documento sottoscritto l’1/8/2002 tra ARAN
e OO.SS. Management Infermieristico, n. 4/2002
430
204
25,7 % degli intervistati dichiara di non avere la possibilità di intervento sulla
decisione433.
In merito alle funzioni e attività del coordinatore infermieristico di dipartimento in uno
studio condotto nel 2004, seppur molto limitato nella numerosità del campione,
emerge che su 7 coordinatori infermieristici intervistati 4 soggetti avevano una
dipendenza gerarchica dal responsabile del servizio infermieristico mentre tre
dipendevano dal direttore medico di dipartimento. I dati si invertono quando si tratta di
dipendenza funzionale434. Rispetto all’inquadramento giuridico amministrativo 4
soggetti erano inquadrati in Ds (operatore sanitario esperto) e 3 in D. Ad eccezione di
un soggetto, a tutti era stata conferita la posizione organizzativa. Relativamente alla
istituzione del servizio infermieristico all’interno delle aziende sanitarie, da una
indagine condotta in Lombardia nel mese di maggio 2006 dall’osservatorio professioni
sanitarie, su 29 Aziende Ospedaliere e 5 IRCCS pubblici emerge che il 91,2% delle
strutture indagate hanno istituito il Servizio Infermieristico e Tecnico Riabilitativo (27
A.O e 4 fondazioni). Nell’ambito delle Asl solo il 47% delle asl hanno istituito il
Servizio Infermieristico. Rispetto all’attivazione del SITRA si può notare come la
DGR della regione Lombardia n. 14049 dell’agosto 2003 abbia rappresentato, in
ambito ospedaliero, un forte stimolo all’individuazione all’interno di ogni Azienda di
uno specifico servizio titolare della gestione del personale appartenente ai 22 profili
dell’area delle professioni sanitarie435.
Dall’analisi della letteratura sembrerebbe emergere un atteggiamento favorevole
all’istituzione dei servizi infermieristici all’interno delle aziende da parte del
legislatore nazionale, di quelli regionali e da parte delle aziende stesse mentre si
delinea una certa resistenza da parte dei gruppi professionali che operano all’interno
dell’azienda stessa verso il ruolo dei dirigenti infermieristici.
Casile F. – La partecipazione dei dirigenti infermieri alla elaborazione e gestione del budget aziendale. Indagine conoscitiva della realtà
italiana in Giornale italiano di scienze infermieristiche Anno II n. 4-2006 p.23
434
Biagi F.- Cavalieri B.- Moretto C. Funzioni e attività del coordinatore infermieristico di dipartimento fra letteratura e normativa:
un’indagine nella realtà italiana in Riv. Management Infermieristico n. 2 – 2004 p. 4
435
Alberghetti
A.
Esito
del monitoraggio
evoluzione SITRA
maggio 2006
reperibile sul seguente sito
http://www.sanita.regione.lombardia.it/osservatorio_profsanitarie ( consultato il 2 novembre 2008)
433
205
3.4.3 L’inquadramento contrattuale del dirigente infermieristico
Per ciò che riguarda il dirigente infermieristico la possibilità di affidare incarichi di
dirigente è stata introdotta dal legislatore nazionale con la legge 251/00 la quale all’art.
7 ha previsto che: al fine di migliorare l’assistenza e per la qualificazione delle
risorse le aziende sanitarie possono istituire il servizio dell’assistenza infermieristica
ed ostetrica e possono attribuire l’incarico di dirigente del medesimo servizio. La
stessa norma prevede che tale incarico possa essere affidato con disposizione del
Direttore Generale, previa idonea procedura selettiva tra i candidati in possesso di
requisiti di esperienza e qualificazione professionale predeterminati. Tale incarico può
avere durata triennale rinnovabile ed è regolato da contratti a tempo determinato da
stipulare nel limite del cinque per cento della dotazione organica della dirigenza
sanitaria
436
.
Tale disciplina è stata ripresa dal CCNL Integrativo della Dirigenza Ruoli
Sanitario, Professionale, Tecnico ed Amministrativo437 del SSN stipulato l’8 giugno
2000 nel quale, al capo III del contratto, rubricato “Dirigenza delle professioni
sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della
professione ostetrica” troviamo due articoli:
1. art. 41 che riguarda l’istituzione della qualifica unica di dirigente delle
professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della
prevenzione e della professione ostetrica (norma programmatica)
2. art. 42 che riguardagli incarichi provvisori di dirigente infermieristico.
Vista l’importanza di tali articoli si preferisce riportare, in allegato, il testo integrale
degli articoli (vedi allegato 1).
Nei successivi paragrafi si commenteranno i due articoli in questione.
3.4.3.1 La disciplina transitoria dell’inquadramento giuridico amministrativo del dirigente
infermieristico (art. 42 CCNL)
436
Art. 15-septies, comma 2 D. Lgs 502/92
CCNL Area della Dirigenza SPTA
437
206
Questa parte è dedicata all’analisi dell’articolo art. 42 del CCNL Intergrativo SPTA
che regolamenta la
disciplina per l’inquadramento contrattuale degli incarichi
provvisori ai dirigenti infermieristici (disciplina transitoria). Questo articolo è
composto da 6 commi che declinano le regole con le quali le aziende sanitarie possono
conferire incarichi provvisori ai dirigenti delle aree professionali individuate dalla
legge 251/00. In dettaglio, i commi 1 e 2 introducono i criteri da adottare per la
definizione del trattamento economico, la costituzione dei fondi a cui assegnare le
risorse finanziarie occorrenti e l’individuazione dei posti in pianta organica che,
durante la fase di transitorietà dell’incarico, dovranno essere congelati in vista della
successiva trasformazione ai fini della nomina in ruolo di coloro che saranno giudicati
idonei nei futuri concorsi438. Il comma 3 richiama la necessità di applicare, anche in
occasione del conferimento dell’incarico, le disposizioni di cui al comma 13 del
precedente articolo 41, riguardante le attribuzioni funzionali ed organizzative dei
nuovi dirigenti e per le quali si rimanda allo specifico commento439.
In armonia con il dettato dell’articolo 7 della L. n. 251/00, il comma 4 stabilisce che
l’incarico può essere concesso per un triennio, rinnovabile nel caso in cui non siano
ancora maturate le condizioni previste dall’articolo 41. Lo stesso comma, nella parte
relativa alle modalità di accesso alla qualifica, prevede la procedura selettiva tra i
candidati “in possesso di requisiti di esperienza e qualificazione predeterminati”, cioè
fissati prima che abbia luogo la selezione stessa allo scopo di conferire trasparenza ed
obiettività al procedimento ed evitare che possano sorgere contestazioni da parte dei
soggetti che, pur ritenendo di avere il diritto di partecipare alla selezione in esame,
potrebbero esserne esclusi440. I requisiti sono puntualmente elencati nel successivo
Art. 42 Commi 1-2: In attesa dell’entrata a regime dell’art. 41 e comunque per un biennio dall’entrata in vigore del presente contratto,
nel caso in cui le aziende attuino la disciplina transitoria dell’art. 7, comma 1, della legge 251 del 2000, al personale cui è conferito
l’incarico ivi previsto è attribuito il trattamento economico stabilito dai vigenti contratti collettivi per i dirigenti di nuova assunzione, tenuto
conto, in particolare, di quanto indicato dall’41, commi 5 e 8 per il trattamento accessorio e per la retribuzione di posizione minima
contrattuale.
Per il reperimento delle risorse e per la formazione dei fondi, l’azienda procede applicando anticipatamente le disposizioni di cui all’ art. 41,
nel rispetto delle relazioni sindacali indicate nel comma 12 dello stesso, congelando, per il conferimento degli incarichi di cui al presente
articolo, il numero di posti di organico occorrenti, in modo da pervenire alla loro eventuale trasformazione ed al consolidamento dei fondi
così formati solo in seguito, al verificarsi – cioè - delle condizioni di cui all’art. 41, comma 14.
439
Art. 42 comma 3 - Ai fini del corretto svolgimento delle funzioni del personale incaricato deve, altresì, essere data contestuale attuazione
anche all’art. 41, comma 13.
440
Art. 42 Comma 4 Nel periodo transitorio, l’incarico di cui al comma 1 è conferito per un triennio, ai sensi dell’art. 15 septies del d.lgs.
502 del 1992 e secondo la disciplina, ivi compresi gli aspetti del trattamento economico, prevista dall’art. 63 comma 5 del CCNL dell’8
giugno 2000, previa procedura selettiva tra i candidati in possesso di requisiti di esperienza e qualificazione professionale predeterminati.
L’incarico è rinnovabile con la medesima procedura, ove l’art. 41 non sia ancora entrato a regime.
438
207
comma 5 in cui, oltre ai diplomi universitari rilasciati dalle tradizionali scuole dirette a
fini speciali (DAI, IID, DDSI), figurano anche “diplomi di formazione manageriale
che […] siano ritenuti idonei come requisito dall’azienda”441. Questa clausola
presentava elementi di criticità che si ritiene siano stati superati dopo l’emanazione
del D.P.C.M. del 25-1-2008442 concernente la disciplina per l'accesso alla qualifica
unica di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica. Benché, infatti, il
direttore generale possa agire con i poteri del privato datore di lavoro disciplinati dal
codice civile, quest’ampia discrezionalità in merito ai corsi di formazione manageriali
che vengono ritenuti idonei potrebbe creare numerosi contenziosi in grado di creare
disservizi nelle strutture sanitarie443. Il richiamo al quinquennio di anzianità maturato
in categoria D invece è coerente con l’articolo 26 del già menzionato D.Lgs. n. 165/01.
IL comma 6, da ultimo, prevede che le norme regolate dall’articolo 41 e 42 possano
essere applicate anche alle altre professioni di cui alla ricordata legge n. 251/00444.
È utile sottolineare che l’art. 42 definisce l’inquadramento contrattuale del dirigente
infermieristico ma che questa norma va coordinata con la disciplina per il
conferimento dell’incarico che è quella richiamata dall’art. 7 della legge 251/00.
Infatti l’art. 15-septies
445
del D.Lgs. 502/92, richiamato dalla legge prima citata,
prevede al comma 2 che le aziende unità sanitarie e le aziende ospedaliere possono
In particolare, con riguardo ai requisiti per il conferimento dell’incarico, le parti concordano sull’esigenza che i candidati siano almeno in
possesso:
del diploma di dirigente dell’assistenza infermieristica rilasciato dalle ex scuole dirette a fini speciali o di diploma di formazione
manageriale - conseguito in corsi di perfezionamento o similari, rilasciato da Università o da altre istituzioni pubbliche od equiparate attestante un percorso formativo che - per contenuti e durata – sia ritenuto idoneo come requisito dall’azienda;
di esperienza professionale – non inferiore a cinque anni di servizio a tempo indeterminato - maturata nella categoria D, ivi compreso il
livello economico DS, dello specifico profilo professionale.
441
442
D.P.C.M. 25-1-2008 - Recepimento dell'accordo 15 novembre 2007, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano, concernente la disciplina per l'accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica. Pubblicato nella Gazz. Uff. 26 febbraio 2008, n. 48
443
Vedi sentenza T.A.R. Lazio Latina Sez. I, sentenza n. 234 del 04 aprile 2007 la quale statuisce che il provvedimento di conferimento
dell'incarico di dirigente di struttura semplice "Servizio Infermieristico", trattandosi di provvedimento avente natura negoziale, esitale di un
giudizio di idoneità privo dei connotati procedimentali tipici della concorsualità e, in quanto tale, sindacabile dal giudice ordinario sotto il
profilo dell'osservanza delle regole di correttezza nell'esercizio dei poteri privati (regole, queste, applicabili, con riguardo all'attività anche
privatistica della p.a., alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 cost.);
444
comma 6 - In via provvisoria, l’ incarico di cui al comma 1 può essere conferito dalle aziende anche al personale indicato nell’art. 7,
comma 2 della legge 251 del 2000 ed alle condizioni ivi previste, per il coordinamento della specifica area professionale di cui agli artt. 2, 3
e 4 della stessa legge, nel rispetto di tutti i precedenti commi del presente articolo. Ai sensi del comma 13 dell’art. 41, le attribuzione del
dirigente di nuova istituzione di cui al presente comma dovranno consentire un adeguato livello di integrazione e collaborazione con le altre
funzioni dirigenziali, garantendo il rispetto dell’unicità della responsabilità dirigenziale per gli aspetti professionali ed organizzativi interni
delle strutture di appartenenza.
208
stipulare, oltre a quelli previsti dal comma precedente, contratti a tempo determinato,
in numero non superiore al cinque per cento della dotazione organica della dirigenza
sanitaria, a esclusione della dirigenza medica, nonché della dirigenza professionale,
tecnica e amministrativa, per l’attribuzione di incarichi di natura dirigenziale, relativi
a profili diversi da quello medico, a esperti di provata competenza che non godano
del trattamento di quiescenza e che siano in possesso del diploma di laurea e di
specifici requisiti coerenti con le esigenze che determinano il conferimento
dell’incarico.
Quest’ultima previsione ha permesso alle aziende sanitarie pubbliche, in via
transitoria, di conferire gli incarichi a tempo determinato ai dirigenti infermieristici.
3.4.3.2 La futura disciplina dell’inquadramento giuridico amministrativo del dirigente
infermieristico (art. 41 CCNL)
L’articolo 41 del CCNL detta la disciplina da applicare per le assunzioni a tempo
indeterminato. Tale disciplina, come vedremo in seguito, è applicabile a partire dal
mese di marzo 2008 poiché con il D.P.C.M. del
25-1-2008446 è stata recepito
l’accordo stato regioni che regolamenta le modalità e i requisiti per l’accesso alla
dirigenza infermieristica. Con questo D.P.C.M. termina la fase transitoria con la quale
le aziende affidano solo incarichi a tempo determinato. Riprendendo l’analisi dell’art.
41, vediamo che il primo comma definisce la cornice giuridica in cui s’inquadra la
normativa contrattuale che disciplina la dirigenza infermieristica individuata dalla L. n.
251/2000. Il richiamo agli articoli 6447e 7448 di tale legge infatti, ha lo scopo precipuo
Articolo aggiunto dall’art. 13 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229.
D.P.C.M. 25-1-2008 - Recepimento dell'accordo 15 novembre 2007, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano, concernente la disciplina per l'accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica. Pubblicato nella Gazz. Uff. 26 febbraio 2008, n. 48
447
Legge 10 agosto 2000 n. 251 Art. 6. (Definizione delle professioni e dei relativi livelli di inquadramento)
1. Il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, acquisiti i pareri del Consiglio
superiore di sanità e del comitato di medicina del Consiglio universitario nazionale, include le diverse figure professionali esistenti o che
saranno individuate successivamente in una delle fattispecie di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4.
2. Il Governo, con atto regolamentare emanato ai sensi dell’articolo 18, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come
sostituito dall’articolo 19 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, definisce la disciplina concorsuale, riservata al personale in
possesso degli specifici diplomi rilasciati al termine dei corsi universitari di cui all’articolo 5, comma 1, della presente legge, per l’accesso ad
una nuova qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario, alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per l’accesso alla
dirigenza del Servizio sanitario nazionale di cui all’articolo 26 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29. Le regioni possono istituire la
nuova qualifica di dirigente del ruolo sanitario nell’ambito del proprio bilancio, operando con modificazioni compensative delle piante
organiche su proposta delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere.
448
Art. 7. (Disposizioni transitorie)
445
446
209
di stabilire la legittimità delle decisioni assunte in sede negoziale dalle parti trattanti e
di orientare i provvedimenti che, a seguito delle decisioni stesse, potranno essere
adottati dalle aziende sanitarie. Lo stesso comma infatti, in termini rafforzativi,
richiama l’art. 26 del D.Lgs. 165/2001449 facendo riferimento anche all’articolo 6 della
legge 251/00 nel quale, in sostanza, si dispone che, per l’accesso in ruolo alla
dirigenza, analogamente a quanto avviene per la dirigenza amministrativa,
professionale e tecnica, sono necessari il diploma di laurea e cinque anni di anzianità
maturati nella corrispondente categoria D450. Questa previsione trova riscontro anche
nella normativa di recente emanazione che prevede che “ai fini dell'accesso alla
qualifica unica di dirigente delle professioni dell'area infermieristica, tecnica, della
riabilitazione, della prevenzione ed ostetrica, di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251,
è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti:
1. Al fine di migliorare l’assistenza e per la qualificazione delle risorse le aziende sanitarie possono istituire il servizio dell’assistenza
infermieristica ed ostetrica e possono attribuire l’incarico di dirigente del medesimo servizio. Fino alla data del compimento dei corsi
universitari di cui all’articolo 5 della presente legge l’incarico, di durata triennale rinnovabile, è regolato da contratti a tempo determinato, da
stipulare, nel limite numerico indicato dall’articolo 15-septies, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, introdotto
dall’articolo 13 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, dal direttore generale con un appartenente alle professioni di cui all’articolo 1
della presente legge, attraverso idonea procedura selettiva tra i candidati in possesso di requisiti di esperienza e qualificazione professionale
predeterminati. Gli incarichi di cui al presente articolo comportano l’obbligo per l’azienda di sopprimere un numero pari di posti di dirigente
sanitario nella dotazione organica definita ai sensi della normativa vigente. Per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche si applicano le
disposizioni del comma 4 del citato articolo 15-septies. Con specifico atto d’indirizzo del Comitato di settore per il comparto sanità sono
emanate le direttive all’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per la definizione, nell’ambito del
contratto collettivo nazionale dell’area della dirigenza dei ruoli sanitario, amministrativo, tecnico e professionale del Servizio sanitario
nazionale, del trattamento economico dei dirigenti nominati ai sensi del presente comma nonchè delle modalità di conferimento, revoca e
verifica dell’incarico.
2. Le aziende sanitarie possono conferire incarichi di dirigente, con modalità analoghe a quelle previste al comma 1, per le professioni
sanitarie di cui alla legge 26 febbraio 1999, n. 42, nelle regioni nelle quali sono emanate norme per l’attribuzione della funzione di direzione
relativa alle attività della specifica area professionale.
3. La legge regionale che disciplina l’attività e la composizione del Collegio di direzione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, prevede la partecipazione al medesimo Collegio dei dirigenti aziendali di cui ai commi 1
e 2 del presente articolo.
449
D.Lgs 165/2001Articolo 26 Norme per la dirigenza del Servizio sanitario nazionale : Alla qualifica di dirigente dei ruoli professionale,
tecnico ed amministrativo del Servizio sanitario nazionale si accede mediante concorso pubblico per titoli ed esami, al quale sono ammessi
candidati in possesso del relativo diploma di laurea, con cinque anni di servizio effettivo corrispondente alla medesima professionalità
prestato in enti del Servizio sanitario nazionale nella posizione funzionale di settimo e ottavo livello, ovvero in qualifiche funzionali di
settimo, ottavo e nono livello di altre pubbliche amministrazioni. Relativamente al personale del ruolo tecnico e professionale, l'ammissione è
altresì consentita ai candidati in possesso di esperienze lavorative con rapporto di lavoro libero-professionale o di attività coordinata e
continuata presso enti o pubbliche amministrazioni, ovvero di attività documentate presso studi professionali privati, società o istituti di
ricerca, aventi contenuto analogo a quello previsto per corrispondenti profili del molo medesimo.
2. Nell'attribuzione degli incarichi dirigenziali determinati in relazione alla struttura organizzativa derivante dalle leggi regionali di cui
all'articolo 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, si deve tenere conto della posizione funzionale posseduta dal relativo
personale all'atto dell'inquadramento nella qualifica di dirigente. E' assicurata la corrispondenza di funzioni, a parità di struttura
organizzativa, dei dirigenti di più elevato livello dei ruoli di cui al comma 1 con i dirigenti di secondo livello del ruolo sanitario.
3. Fino alla ridefinizione delle piante organiche non può essere disposto alcun incremento delle dotazioni organiche per ciascuna delle attuali
posizioni funzionali dirigenziali del ruolo sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo.
450
Art. 41 comma 1- Le parti, con il presente contratto prendono atto che:
ai sensi dell’art. 6 della legge 10 agosto 2000, n. 251 nel ruolo sanitario del personale del Servizio sanitario nazionale può essere istituita la
qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione
ostetrica;
la medesima legge negli all’artt. 6 e 7 stabilisce che tali dirigenti siano inseriti nel ruolo sanitario e nell’area III di contrattazione di cui al
CCNQ del 25 novembre 1998 riferita alla dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo del SSN;
la disciplina concorsuale sarà emanata con successivo regolamento ministeriale ed i requisiti di accesso saranno analoghi a quelli previsti
dall’art. 26 del d.lgs. 165/2001 per la dirigenza dei ruoli professionale, tecnico e amministrativo.
210
a) laurea specialistica o magistrale della classe relativa alla specifica area;
b) cinque anni di servizio effettivo corrispondente alla medesima professionalità,
relativa al concorso specifico, prestato in enti del Servizio Sanitario Nazionale nella
categoria D o Ds, ovvero in qualifiche corrispondenti di altre pubbliche
amministrazioni;
c) iscrizione ai relativi albi professionali, ove esistenti, attestata da certificato in data
non anteriore a sei mesi rispetto a quello di scadenza del bando451.”
I commi 2, 3, 4, 5 e 6 stabiliscono, invece, alcune regole generali per la creazione dei
posti in pianta organica da destinare alla dirigenza infermieristica e alle altre
professioni sanitarie. In particolare questi commi (facendo riferimento all’art. 6,
comma 2, L. 251/00452), stabiliscono che l’istituzione della nuova figura dirigenziale
deve avvenire sulla base delle esigenze organizzative espresse da ciascuna azienda
sanitaria ed in funzione dei criteri determinati nei commi successivi. In particolare
viene precisato che le aziende dovranno provvedere all’istituzione della nuova figura
dirigenziale con oneri a carico dei propri bilanci e tramite la trasformazione di un pari
numero di posti di dirigente del ruolo sanitario453. I commi dal 7 al 12, precisano i
criteri che le aziende devono osservare per la definizione del trattamento economico da
attribuire alla nuova dirigenza e individuano i fondi da dove devono essere attinte
451
Art. 1 Accordo Stato Regioni recepito con D.P.C.M. 25-1-2008 Pubblicato nella Gazz. Uff. 26 febbraio 2008, n. 48
Art. 6 comma 2 - Il Governo, con atto regolamentare emanato ai sensi dell’articolo 18, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502, come sostituito dall’articolo 19 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, definisce la disciplina concorsuale, riservata al
personale in possesso degli specifici diplomi rilasciati al termine dei corsi universitari di cui all’articolo 5, comma 1, della presente legge, per
l’accesso ad una nuova qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario, alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per
l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario nazionale di cui all’articolo 26 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29….
453
Commi 2-3-4-5-6
Nel quadro di riferimento regionale richiamato dall’art. 6, comma 2, ultimo periodo della legge n. 251 del 2000 che prevede modifiche
compensative delle dotazioni organiche, le aziende provvederanno all’istituzione dei posti della nuova figura dirigenziale sulla base delle
proprie esigenze organizzative con le precisazioni di cui ai successivi commi.
La copertura degli oneri derivanti dall’attuazione del comma 2 è carico dei bilanci delle aziende, che vi provvederanno, nella propria
autonomia decisionale, anche mediante trasformazione di un numero corrispondente di posti di organico dei dirigenti del ruolo sanitario
secondo le precisazioni contenute nei commi 10 e 11 con l’entrata a regime del presente articolo. La trasformazione potrà riguardare anche i
posti già occupati dal personale del ruolo sanitario del comparto che, nell’azienda, conseguirà la nuova qualifica dirigenziale a seguito delle
procedure concorsuali, con le conseguenze del già citato comma 10.
Nell’individuazione dei posti da trasformare nell’ambito della dirigenza sanitaria di cui all’art. 15 del d.lgs. 502 del 1992, le aziende
dovranno tener conto della consistenza quantitativa dei profili di cui si rivede la dotazione organica nonché dei principi di proporzionalità e
dei carichi di lavoro nell’area di attività e nella disciplina coinvolta nella trasformazione.
Gli oneri del comma 3, ai sensi dell’art. 53 del CCNL dell’8 giugno 2000, sono calcolati anche con riferimento al trattamento accessorio
(condizioni di lavoro, retribuzione di risultato) spettante ai dirigenti di nuova assunzione e devono tener conto di quanto stabilito al comma 8
per la retribuzione di posizione minima contrattuale.
Gli oneri per l’istituzione della nuova figura dirigenziale sono, comunque, a totale carico dell’azienda ove non vi siano posti da trasformare
perchè tutti occupati dai titolari ovvero nel caso in cui le risorse dei fondi contrattuali di riferimento, siano state completamente utilizzate
dall’azienda per la corresponsione delle voci retributive di pertinenza ovvero, infine, quando le condizioni operative del comma 4 non lo
consentano .
452
211
queste risorse. Il comma 13 dispone che “ove il regolamento di cui all’art. 6, comma 2
della legge 251 del 2000 nulla preveda in proposito, le attribuzioni dei dirigenti di
nuova istituzione e la regolazione, sul piano funzionale ed organizzativo, dei rapporti
interni con le altre professionalità della dirigenza sanitaria, saranno definite
dall’azienda nell’ambito di apposito atto di organizzazione, previa consultazione
obbligatoria delle organizzazioni sindacali firmatarie del presente contratto, sulla
base dei contenuti professionali del percorso formativo…454 nonché delle attività
affidate in concreto a tali dirigenti. In particolare, a tale ultimo fine, dovranno essere
evitate sovrapposizioni e duplicazioni di competenze ed attribuzioni che, sul piano
organizzativo, possano ostacolare od impedire un regolare avvio e funzionamento
dei nuovi servizi”. Il regolamento di cui all’articolo 6, comma 2, della legge n. 251 del
2000 ed al quale fa riferimento il comma 13, emanato come abbiamo visto con il
D.P.C.M. del 25 febbraio 2008, si limita ad individuare i titoli professionali e di
carriera che devono essere posseduti da chi intende accedere alla qualifica oggetto di
concorso e non le attribuzioni funzionali ed organizzative conferite alla qualifica stessa
che, ai sensi del D.Lgs. n. 152/97455 dovrebbero essere invece contenute nel contratto
individuale di lavoro. Di conseguenza il riferimento al regolamento è improprio
mentre risulta utile il riferimento al percorso formativo definito dal D.M. 2 aprile 2001
poiché accoglie in tal modo, quale competenza del dirigente infermieristico, ciò che
emerge dagli obiettivi formativi individuati dal predetto decreto e concernenti il corso
di laurea specialistica456. Un altro aspetto critico del comma 13 è dato dalla previsione
che, nella definizione delle funzioni assegnate ai nuovi dirigenti, “dovranno essere
evitate sovrapposizioni di competenze ed attribuzioni che, sul piano organizzativo,
possano ostacolare od impedire un regolare avvio e funzionamento dei nuovi servizi”.
Su tale aspetto, di recente, vi è stato un ricorso presentato da alcune associazioni di
medici al TAR della Regione Lombardia, i quali hanno rilevato che: l’assetto
organizzativo del Servizio Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale, nel quale
454
Indicato nell’art. 6, comma 3 del d.lgs. 502 del 1992 e nel decreto del Ministero dell’università, ricerca scientifica e tecnologica del 2
aprile 2001, pubblicato sul supplemento ordinario della G.U. del 5 giugno 2001, n. 128
455
Vedi art. 1 D.Lgs. 26-5-1997 n. 152 Attuazione della direttiva 91/533/CEE concernente l'obbligo del datore di lavoro di informare il
lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro. Pubblicato nella Gazz. Uff. 12 giugno 1997, n. 135.
456
Cfr paragrafo 1.2.6 L’esercizio professionale e le funzioni del dirigente infermieristico
212
non sarebbero previsti ruoli o funzioni riservati ai dirigenti medici che consentano
un raccordo organizzativo tra questi ultimi ed il personale infermieristico,
violerebbe il diritto - dovere dei medici al pieno esercizio delle funzioni,
esponendoli anche a rischi sotto il profilo delle responsabilità dirigenziali, che loro
competono all’interno della struttura ospedaliera. Il Tribunale Amministrativo
Lombardo pronunciandosi su tale ricorso ha avuto modo di precisare che “non vi è
sovrapposizione tra le funzioni del dirigente infermieristico, che si collocano a livello
organizzativo, con quelle
dell’esercizio dell’attività professionale da parte degli
infermieri… affermando inoltre che la più efficiente e funzionale organizzazione del
corpo infermieristico non potrà che tradursi in un vantaggio per l’intera struttura
ospedaliera, ferma la necessità di un attento controllo da parte del Direttore sanitario,
cui debbono egualmente rispondere collaborativamente sia i dirigenti sanitari sia il
S.I.T.R.A.
457
per voce della sua Responsabile ad evitare problemi di sorta”458.
Tornando all’analisi dell’articolo 41 vediamo che l’ultimo comma (comma 14)
stabilisce che la disciplina degli incarichi a tempo indeterminato potrà essere applicata
solo qualora occorrano due condizioni:
1. l’emanazione
del
regolamento
ministeriale
concernente
la
normativa
concorsuale;
2. l’istituzione dei posti in pianta organica per i nuovi dirigenti secondo i principi
individuati dall’articolo stesso459.
3. In merito al primo presupposto previsto dal comma 14 dell’art. 41, vale a dire
l’emanazione
del
regolamento
ministeriale
concernente
la
normativa
concorsuale, la Conferenza Stato – Regioni a novembre 2007, in attuazione
dell’articolo 6 della legge 251/00, ha approvato la normativa concorsuale per
l’assunzione a tempo indeterminato del personale appartenente alla nuova
qualifica di dirigente sanitario della specifica area (infermieristica-ostetrica,
tecnico-sanitaria, della riabilitazione, della prevenzione) ed in possesso della
457
Servizio Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale ( S.I.T.R.A. ) vedi DGR n. VII/ 14049 8 Agosto 2003 Regione Lombardia
TAR regione Lombardia sentenza n. 274 del 19/02/2007
459
Art. 41 comma 14 Le parti si danno atto che la disciplina di cui al presente articolo entrerà a regime al verificarsi delle condizioni dei
commi 1, terzo alinea e 2, che renderanno possibile l’assunzione in via definitiva dei dirigenti di nuova istituzione secondo le esigenze
programmate da ciascuna azienda.
458
213
corrispondente laurea specialistica460. Tale atto come abbiamo visto è stato
recepito con un atto avente forza di legge e reso esecutivo dal 26 febbraio 2008
chiudendo così la fase transitoria. Il secondo presupposto rimane comunque in
capo ad ogni singola azienda sanitaria che dovrà reperire i posti in pianta
organica con a oneri carico dei bilanci delle aziende, anche mediante
trasformazione di un numero corrispondente di posti di organico dei dirigenti
del ruolo. La trasformazione potrà riguardare anche i posti già occupati dal
personale del ruolo sanitario del comparto che, nell’azienda, conseguirà la
nuova qualifica dirigenziale a seguito delle procedure concorsuali.
L’ultima norma contrattuale che chiarisce in modo più preciso l’inquadramento
contrattuale del dirigente infermieristico è contenuta nel CCNL dell’area della
dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo del servizio
sanitario nazionale parte normativa quadriennio 2002/2005 e parte economica biennio
2002-2003 e precisamente all’art. 1 punto 4 si prevede che :…con il termine
“dirigente” si intende far riferimento, ove non diversamente indicato, a tutti i dirigenti
dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo. Nel ruolo sanitario, ove
non diversamente specificato, sono compresi i dirigenti delle professioni sanitarie
infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione e della professione di
ostetrica, disciplinati dal CCNL integrativo del 10 febbraio 2004. Quest’ultimo
contratto inoltre definisce con chiarezza la retribuzione di posizione minima
contrattuale dei dirigenti infermieristici (artt 39 e seguenti) e i fondi per la dirigenza
delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della
prevenzione e della professione ostetrica (Art. 52) .
Conferenza Stato-Regioni del 15 novembre 2007 – Accordo tra il Governo, Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano
concernente la disciplina per l’accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica. Repertorio Atti n. 242/CSR
460
214
4
CONCLUSIONI
Il percorso evolutivo della
professione infermieristica, richiede sempre di più
un’analisi approfondita che comprenda la rivisitazione delle responsabilità, del ruolo,
delle competenze, delle funzioni e della formazione di questi professionisti, a
completamento del processo iniziato nel 1992 con l'attuazione dell'articolo 6 del
decreto legislativo n. 502, che ha disciplinato la formazione universitaria, nonché con
l'identificazione dei profili professionali.
Da questo lavoro si evince che una molteplicità di fattori hanno portato ad una
ridefinizione delle funzione e delle responsabilità:
 l’evoluzione del percorso formativo;
 la radicale trasformazione dell’operatività delle strutture sanitarie (= dalla
routine all’efficienza);
 l’evoluzione sia normativa sia giurisprudenziale;
 la necessità di “utilizzare” tutte le competenze (comunque acquisite) e le
“risorse” esistenti in sanità, per raggiungere gli obiettivi;
 la dimostrazione, da parte degli infermieri, di aver percorso una strada di
sviluppo culturale e di consolidamento delle competenze, anche se non tutte
attraverso le normali vie della formazione.
La Legge n. 42/1999, in particolare, abrogando sia il mansionario461 sia la tradizionale
distinzione tra professioni sanitarie principali ed ausiliarie, ha mutato la qualificazione
giuridica degli infermieri, valorizzandone la responsabilità. Si è quindi passati da una
posizione di ancillarità dell’infermiere, rispetto alla professione medica, ad una
posizione di collaborazione, in parte autonoma ed in parte guidata. Con la legge
251/2000, si è ribadita l’espansione della dimensione della figura dell’infermiere,
laddove si dice che questa professione svolge, con autonomia professionale, attività
dirette alla prevenzione, alla cura e alla salvaguardia della salute individuale e
461
D.P.R. 225/1974.
215
collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili
professionali, nonché dagli specifici codici deontologici.
Dal punto di vista giuridico i previgenti mansionari consentivano, pur con tutti i loro
limiti, un’immediata riconduzione del fatto concreto all’astrattezza della norma,
mentre la loro abrogazione ha fatto venire meno la rigorosità di tale impianto. Allo
schematismo, indubbiamente riduttivo, dei mansionari si è così sostituito un sistema
articolato, fluido ed in divenire, di norme, che - relativamente agli ambiti di
competenza- individua diversi criteri-guida per l’esercizio professionale (il profilo
professionale, gli ordinamenti didattici e il codice deontologico). Tali criteri, facendo
riferimento a generiche aree di competenza più che a specifici atti professionali, non
comprendono la ricchezza delle situazioni operative e cognitive in cui si trovano ad
operare gli infermieri, pertanto possono dare adito ad interferenze di ruoli tra le stesse
professioni e, soprattutto, tra queste e la categoria medica. È di tutta evidenza
l’importanza che, anche in questi termini, assume l’esatta collocazione della
responsabilità infermieristica. Dal lavoro di analisi svolto emerge che i cambiamenti
legislativi e giurisprudenziali hanno comportato una espansione della responsabilità
degli infermieri correlata, come si è detto, all’evoluzione di questa professione
sanitaria. Sicuramente oggi siamo in un’epoca diversa da quando, un giudice del
Tribunale di Pavia nel 1930 in una sentenza statuì che, "non risponde di lesioni
colpose un infermiere, il quale nell'eseguire, legalmente autorizzato, delle iniezioni,
abbia perforato il nervo sciatico del paziente, producendone la paralisi, perché un
infermiere non è tenuto a conoscere l'anatomia topografica". In passato la
giurisprudenza penale è stata rigorosissima in materia di colpa nei rapporti tra medici e
infermieri, applicando il criterio della «responsabilità totale» del medico in ordine alle
carenze professionali del personale infermieristico: logico ed astratto corollario del
principio del «non affidamento», per il quale l’infermiere avrebbe dovuto operare solo
ed unicamente sotto il diretto controllo visivo del medico. Oggi, la dottrina medicolegale e la giurisprudenza, hanno rivisto tale impostazione, valutando con particolare
rigore il contributo causale dei diversi professionisti all’evento avverso. In tal modo, si
tiene conto dell’effettiva e concreta esigibilità di una posizione di garanzia da parte di
216
ciascun operatore, anche al di fuori dei suoi compiti e della sua specializzazione,
optando per una regola valutativa più empirica e maggiormente ancorata alla realtà e
all’organizzazione del lavoro. A ciò deve essere aggiunto che, in ambito penale, il
profilo professionale, gli ordinamenti didattici e il codice deontologico sono diventate
norme precauzionali poste a tutela del paziente e rientranti nella previsione dell’art. 43
c.p.
Da questo lavoro si evince che il tema della responsabilità professionale si presenta
come un argomento complesso ed estremamente ampio e non solo per l'evoluzione
legislativa e giurisprudenziale offerta. Si ritiene che le vicende oggetto di valutazione
da parte della Magistratura non possono costituire uno "specchio fedele" di
quell'ampio problema della responsabilità professionale degli infermieri, esse tuttavia
rappresentano la "punta di un iceberg" sulla quale è bene riflettere. L'insegnamento
fondamentale che può derivare sta nell’affermazione che: anche la giurisprudenza, se
letta in modo comparato con le norme deontologiche e le competenze
professionali, può assumere un valore formativo. All’opposto, l’errore che si
potrebbe compiere è quello di modulare l'agire professionale adeguandolo solo alle
sentenze del giudice penale senza una lettura sistematica delle stesse; tale modo di
procedere è infatti privo di fondamento sostanziale: da un lato perché la realtà dei casi
dell'esperienza concreta non può essere cristallizzata secondo modelli rigidi; dall'altro
perché il rigore metodologico delle sentenze non può essere incondizionatamente dato
per scontato.
C'è inoltre un altro evidente rischio che, sul piano concreto, può derivare dal leggere la
responsabilità professionale adeguandola agli orientamenti giurisprudenziali: quello di
enfatizzare la prospettiva negativa della responsabilità, prospettiva nella quale il
confronto tra i professionisti resta comunque teso poiché ciascuno cerca di giustificare
il proprio comportamento censurato di inadeguatezza o illiceità, spostandone le
conseguenze su altri. Tale visione della responsabilità non risulta assolutamente in
linea con quanto stabilito dal codice deontologico della professione infermieristica:
codice deontologico che guida l'infermiere "nello sviluppo e nel comportamento
eticamente responsabile", indicando che l'assistenza infermieristica è al "servizio alla
217
persona e alla collettività" e precisando ancora che la responsabilità dell'infermiere
consiste nel "curare e prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute,
della libertà e della dignità dell'individuo".
In questo quadro riveste particolare importanza l’art. 7 della 251/2000 che, con
l’istituzione della dirigenza infermieristica,
ha sancito definitivamente il ruolo
autonomo di questa professione. Dall’analisi condotta con questo lavoro e dalla
normativa sia nazionale sia regionale, sembrerebbe emergere un atteggiamento
favorevole del legislatore all’istituzione dei servizi infermieristici all’interno delle
aziende mentre si delinea ancora una certa resistenza verso il ruolo dei dirigenti
infermieristici da parte dei gruppi professionali, che operano all’interno delle aziende.
Tale atteggiamento è confermato ancor di più dalla presenza all’interno degli art. 41 e
42 del CCNL della Area SPTA462, che regolamentano l’inquadramento dei dirigenti
infermieristici, di criteri di rigidità rispetto all’attivazione della dirigenza
infermieristica, in parte non previsti dalla legge 251/00. Infatti si prevede che nella
definizione delle funzioni assegnate ai nuovi dirigenti infermieristici, “dovranno
essere evitate sovrapposizioni di competenze ed attribuzioni che, sul piano
organizzativo, possano ostacolare od impedire un regolare avvio e funzionamento dei
nuovi servizi”. Risulta evidente che queste norme, se non eliminate in sede negoziale,
alimenteranno il contenzioso tra le diverse categorie professionali. Su tale aspetto il
Tar della regione Lombardia si è pronunciato già su un ricorso presentato da alcune
associazioni di medici, i quali rilevavano che: l’assetto organizzativo del Servizio
Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale, nel quale non sarebbero previsti
ruoli o funzioni riservati ai dirigenti medici che consentano un raccordo
organizzativo tra questi ultimi ed il personale infermieristico, violerebbe il diritto dovere dei medici al pieno esercizio delle funzioni, esponendoli anche a rischi sotto
il profilo delle responsabilità dirigenziali, che loro competono all’interno della
struttura ospedaliera”. Su tale aspetto Il TAR Lombardo ha avuto modo di precisare
che “nella gestione del personale infermieristico non vi è sovrapposizione tra le
funzioni del dirigente infermieristico, che si collocano a livello organizzativo, con
218
quelle dell’esercizio dell’attività professionale da parte degli infermieri… affermando
inoltre che la più efficiente e funzionale organizzazione del corpo infermieristico non
potrà che tradursi in un vantaggio per l’intera struttura ospedaliera, ferma la
necessità di un attento controllo da parte del Direttore sanitario, cui debbono
egualmente rispondere collaborativamente sia i dirigenti sanitari sia il S.I.T.R.A.
463
per voce della sua Responsabile ad evitare problemi di sorta”464.
Per
quanto riguarda l’inquadramento giuridico amministrativo dei dirigenti
infermieristici, l’articolo 41 del CCNL SPTA detta la disciplina da applicare per le
assunzioni a tempo indeterminato. Tale disciplina è applicabile a partire dal mese di
marzo 2008 poiché con il D.P.C.M. del 25-1-2008465 pubblicato il 26 febbraio 2008 è
stata recepito l’accordo stato regioni che regolamenta le modalità e i requisiti per
l’accesso alla dirigenza infermieristica. Con questo D.P.C.M. termina la fase
transitoria con la quale le aziende hanno affidato solo incarichi a tempo determinato
per i dirigenti infermieristici. L’ultima norma contrattuale che chiarisce in modo più
preciso l’inquadramento contrattuale del dirigente infermieristico è contenuta nel
CCNL dell’area della dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed
amministrativo del servizio sanitario nazionale parte normativa quadriennio 2002/2005
e parte economica biennio 2002-2003 e precisamente all’art. 1 punto 4 si prevede che
:…con il termine “dirigente” si intende far riferimento, ove non diversamente
indicato, a tutti i dirigenti dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed
amministrativo. Nel ruolo sanitario, ove non diversamente specificato, sono compresi i
dirigenti delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione,
della prevenzione e della professione di ostetrica, disciplinati dal CCNL integrativo
del 10 febbraio 2004.
Oggi possiamo dire che si chiude la fase transitoria e si apre una nuova fase con la
quale si realizza uno degli obiettivi della professione infermieristica in relazione alla
necessità che questa si riconosca in una dirigenza propria e in una struttura
462
463
464
CCNL Integrativo della Dirigenza Ruoli Sanitario, Professionale, Tecnico ed Amministrativo del SSN Stipulato l’8 giugno 2000
Servizio Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale ( S.I.T.R.A. ) vedi DGR n. VII/ 14049 8 Agosto 2003 Regione Lombardia
TAR regione Lombardia sentenza n. 274 del 19/02/2007
219
organizzativa capace di contribuire efficacemente ad un miglioramento della qualità
assistenziale all’interno di ogni struttura sanitaria o socio sanitaria. E’ pur vero che il
riconoscimento della dirigenza infermieristica deve essere coniugato ad una nuova
responsabilità per la professione infermieristica: la responsabilità gestionale organizzativa
dei processi assistenziali. Il dirigente infermieristico è oggi chiamato a governare i processi
organizzativi della funzione infermieristica nell’ottica di una indispensabile collaborazione
multidisciplinare per il raggiungimento di un obiettivo comune a tutti i professionisti
sanitari: garantire la migliore assistenza possibile basata sulle migliori evidenze
disponibili.
465
D.P.C.M. 25-1-2008 - Recepimento dell'accordo 15 novembre 2007, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano, concernente la disciplina per l'accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica. Pubblicato nella Gazz. Uff. 26 febbraio 2008, n. 48
220
5
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224
6
ALLEGATI
Allegato 1 – art. 41 e 42 CCNL Area della Dirigenza Ruoli Sanitario,
Professionale, Tecnico ed Amministrativo
Art. 41
Istituzione della qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie
infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della
professione ostetrica
Norma programmatica
1.
-
Le parti, con il presente contratto prendono atto che:
ai sensi dell’art. 6 della legge 10 agosto 2000, n. 251 nel ruolo sanitario
del personale del Servizio sanitario nazionale può essere istituita la qualifica unica
di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione,
della prevenzione e della professione ostetrica;
-
la medesima legge negli all’artt. 6 e 7 stabilisce che tali dirigenti siano
inseriti nel ruolo sanitario e nell’area III di contrattazione di cui al CCNQ del 25
novembre 1998 riferita alla dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed
amministrativo del SSN;
-
la disciplina concorsuale sarà emanata con successivo regolamento
ministeriale ed i requisiti di accesso saranno analoghi a quelli previsti dall’art. 26
del d.lgs. 165/2001 per la dirigenza dei ruoli professionale, tecnico e amministrativo.
2.
Nel quadro di riferimento regionale richiamato dall’art. 6, comma 2, ultimo
periodo della legge n. 251 del 2000 che prevede modifiche compensative delle
dotazioni organiche, le aziende provvederanno all’istituzione dei posti della nuova
figura dirigenziale sulla base delle proprie esigenze organizzative con le precisazioni
di cui ai successivi commi.
225
3.
La copertura degli oneri derivanti dall’attuazione del comma 2 è carico dei
bilanci delle aziende, che vi provvederanno, nella propria autonomia decisionale,
anche mediante trasformazione di un numero corrispondente di posti di organico
dei dirigenti del ruolo sanitario secondo le precisazioni contenute nei commi 10 e 11
con l’entrata a regime del presente articolo. La trasformazione potrà riguardare
anche i posti già occupati dal personale del ruolo sanitario del comparto che,
nell’azienda, conseguirà la nuova qualifica dirigenziale a seguito delle procedure
concorsuali, con le conseguenze del già citato comma 10.
4.
Nell’individuazione dei posti da trasformare nell’ambito della dirigenza
sanitaria di cui all’art. 15 del d.lgs. 502 del 1992, le aziende dovranno tener conto
della consistenza quantitativa dei profili di cui si rivede la dotazione organica
nonché dei principi di proporzionalità e dei carichi di lavoro nell’area di attività e
nella disciplina coinvolta nella trasformazione.
5.
Gli oneri del comma 3, ai sensi dell’art. 53 del CCNL dell’8 giugno 2000,
sono calcolati anche con riferimento al trattamento accessorio (condizioni di lavoro,
retribuzione di risultato) spettante ai dirigenti di nuova assunzione e devono tener
conto di quanto stabilito al comma 8 per la retribuzione di posizione minima
contrattuale.
6.
Gli oneri per l’istituzione della nuova figura dirigenziale sono, comunque, a
totale carico dell’azienda ove non vi siano posti da trasformare perchè tutti occupati
dai titolari ovvero nel caso in cui le risorse dei fondi contrattuali di riferimento,
siano state completamente utilizzate dall’azienda per la corresponsione delle voci
retributive di pertinenza ovvero, infine, quando le condizioni operative del comma 4
non lo consentano .
7.
Alla dirigenza di nuova istituzione si applicano sotto il profilo normativo ed
economico tutte le norme previste per la disciplina del rapporto di lavoro della
dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo:
226
- dai CCNL del 5 dicembre 1996 e successive modificazioni ed integrazioni;
- dai CCNL dell’8 giugno 2000 (con particolare riferimento agli articoli da 26 a 34
relativi alla graduazione delle funzioni ed alle modalità di conferimento, revoca,
conferma e verifica degli incarichi);
-
dal CCNL del 22 febbraio 2001 sull’impegno ridotto;
- dal presente contratto.
8.
In particolare, al dirigente di cui al comma 1, all’atto dell’assunzione e per il
periodo di un quinquennio è attribuita la seguente retribuzione di posizione minima
contrattuale:
Parte fissa:
£ 2.000.000 ( pari a € 1.032, 91)
Parte variabile
£ 4.087.000 (pari a € 2.100,76 )
Al compimento del quinto anno di attività, previa verifica positiva da parte del
Collegio tecnico di cui all’art. 31 del CCNL 8 giugno 2000, la parte variabile della
retribuzione passa a £. 9.102.000
(pari a € 4.700,79) , cui si aggiunge la
maggiorazione di £. 2.900.000 (pari a € 1.497,73) prevista dall’art. 11, comma 3 del
CCNL dell’8 giugno 2000, II biennio economico relativo alla presente area. Per
quanto non previsto dal presente comma si applicano gli artt. 3, 4 e 11, comma 4 del
CCNL da ultimo citato.
9.
Agli effetti dei commi 5 e 7, con l’entrata a regime del presente articolo, per i
dirigenti di nuova istituzione, saranno formati appositi distinti fondi corrispondenti
a quelli previsti per gli altri dirigenti sanitari dagli artt. 50, 51 e 52 del CCNL dell’8
giugno 2000, confermati dagli artt. 8 e 9 del medesimo contratto, relativo al II
biennio economico,
10. Qualora per l’applicazione del comma 2 si proceda alla trasformazione dei
posti della dirigenza sanitaria i fondi di cui al comma 9 saranno formati con le
227
quote di trattamento economico provenienti dai fondi
contrattuali relativi alla
predetta dirigenza.Tali fondi saranno ridotti in misura corrispondente alle quote
utilizzate, comunque non superiore ai minimi contrattuali da attribuire ai dirigenti
di nuova istituzione. Le quote confluiranno nei nuovi fondi in base alla loro natura.
I fondi saranno utilizzati con i tempi indicati nel comma 11. In ogni caso, ai sensi
dell’art. 53 del CCNL 8 giugno 2000, ove le risorse derivanti dai fondi contrattuali
interessati dalla trasformazione dei posti non garantissero la retribuzione di
posizione minima contrattuale di cui al comma 8 nonchè il pagamento del
trattamento accessorio del comma 5, l’integrazione dei fondi di riferimento graverà
sul bilancio delle aziende stesse. La parte variabile aziendale della retribuzione di
posizione in relazione alla tipologia degli incarichi di cui all’art. 27 del CCNL dell’
8 giugno 2000 - conferibili dopo il quinquennio - dovrà essere calcolata sulla base
della graduazione delle funzioni e finanziata con le metodologie di cui al citato art.
53.
11.
Ove ricorra l’ipotesi del comma 10, la riduzione dei fondi ivi indicati
decorrerà dalla data della effettiva assunzione in servizio dei nuovi dirigenti che, a
regime, avviene con la stipulazione del contratto individuale ai sensi dell’art. 13,
comma 1 del CCNL 8 giugno 2000. Nelle more della assunzione, le quote di risorse
disponibili da trasferire nei nuovi fondi per effetto della soppressione dei posti secondo le previsioni dell’atto di programmazione del fabbisogno aziendale - ove
provenienti dal fondo di cui all’art. 50 del CCNL dell’8 giugno 2000 saranno
provvisoriamente utilizzate nella retribuzione di risultato dei medesimi dirigenti del
ruolo sanitario dal cui fondo provengono, ai sensi del comma 5 dello stesso art. 50.
12.
Lo spostamento di risorse tra i fondi di cui ai commi precedenti avviene nel
rispetto delle relazioni sindacali previste dall’art. 4, comma 2, lettera B) punto 5 del
CCNL dell’8 giugno 2000. La trasformazione della dotazione organica avviene nel
rispetto dell’art. 6, comma 1 lettera C) del sopracitato CCNL.
228
13.
Ove il regolamento di cui all’art. 6, comma 2 della legge 251 del 2000 nulla
preveda in proposito, le attribuzioni dei dirigenti di nuova istituzione e la
regolazione, sul piano funzionale ed organizzativo, dei rapporti interni con le altre
professionalità della dirigenza sanitaria, saranno definite dall’azienda nell’ambito
di apposito atto di organizzazione, previa consultazione obbligatoria delle
organizzazioni sindacali firmatarie del presente contratto, sulla base dei contenuti
professionali del percorso formativo indicato nell’art. 6, comma 3 del d.lgs. 502 del
1992 e nel decreto del Ministero dell’università, ricerca scientifica e tecnologica del
2 aprile 2001, pubblicato sul supplemento ordinario della G.U. del 5 giugno 2001, n.
128, nonché delle attività affidate in concreto a tali dirigenti. In particolare, a tale
ultimo fine, dovranno essere evitate sovrapposizioni e duplicazioni di competenze ed
attribuzioni che, sul piano organizzativo, possano ostacolare od
impedire un
regolare avvio e funzionamento dei nuovi servizi.
14.
Le parti si danno atto che la disciplina di cui al presente articolo entrerà a
regime al verificarsi delle condizioni dei commi 1, terzo alinea e 2, che renderanno
possibile l’assunzione in via definitiva dei dirigenti di nuova istituzione secondo le
esigenze programmate da ciascuna azienda.
Art. 42
Incarichi provvisori
1.
In attesa dell’entrata a regime dell’art. 41 e comunque per un biennio
dall’entrata in vigore del presente contratto, nel caso in cui le aziende attuino la
disciplina transitoria dell’art. 7, comma 1, della legge 251 del 2000, al personale
cui è conferito l’incarico ivi previsto è attribuito il trattamento economico stabilito
dai vigenti contratti collettivi per i dirigenti di nuova assunzione, tenuto conto, in
particolare, di quanto indicato dall’41, commi 5 e 8 per il trattamento accessorio e
per la retribuzione di posizione minima contrattuale.
229
2.
Per il reperimento delle risorse e per la formazione dei fondi, l’azienda
procede applicando anticipatamente le disposizioni di cui all’ art. 41, nel rispetto
delle relazioni sindacali indicate nel comma 12 dello stesso, congelando, per il
conferimento degli incarichi di cui al presente articolo,
il numero di posti di
organico occorrenti, in modo da pervenire alla loro eventuale trasformazione ed al
consolidamento dei fondi così formati solo in seguito, al verificarsi – cioè - delle
condizioni di cui all’art. 41, comma 14.
3.
Ai fini del corretto svolgimento delle funzioni del personale incaricato deve,
altresì, essere data contestuale attuazione anche all’art. 41, comma 13.
4.
Nel periodo transitorio, l’incarico di cui al comma 1 è conferito per un
triennio, ai sensi dell’art. 15 septies del d.lgs. 502 del 1992 e secondo la disciplina,
ivi compresi gli aspetti del trattamento economico, prevista dall’art. 63 comma 5 del
CCNL dell’8 giugno 2000, previa procedura selettiva tra i candidati in possesso di
requisiti di esperienza e qualificazione professionale predeterminati. L’incarico è
rinnovabile con la medesima procedura, ove l’art. 41 non sia ancora entrato a
regime.
5.
In particolare, con riguardo ai requisiti per il conferimento dell’incarico, le
parti concordano sull’esigenza che i candidati siano almeno in possesso:
-
del diploma di dirigente dell’assistenza infermieristica rilasciato dalle ex scuole
dirette a fini speciali o di diploma di formazione manageriale - conseguito in corsi
di perfezionamento o similari,
rilasciato da Università o da altre istituzioni
pubbliche od equiparate - attestante un percorso formativo che - per contenuti e
durata – sia ritenuto idoneo come requisito dall’azienda;
-
di esperienza professionale – non inferiore a cinque anni di servizio a tempo
indeterminato - maturata nella categoria D, ivi compreso il livello economico DS,
dello specifico profilo professionale.
230
6. In via provvisoria, l’ incarico di cui al comma 1 può essere conferito dalle
aziende anche al personale indicato nell’art. 7, comma 2 della legge 251 del 2000 ed
alle condizioni ivi previste, per il coordinamento della specifica area professionale di
cui agli artt. 2, 3 e 4 della stessa legge, nel rispetto di tutti i precedenti commi del
presente articolo. Ai sensi del comma 13 dell’art. 41, le attribuzione del dirigente di
nuova istituzione di cui al presente comma dovranno consentire un adeguato livello
di integrazione e collaborazione con le altre funzioni dirigenziali, garantendo il
rispetto dell’unicità della responsabilità dirigenziale per gli aspetti professionali ed
organizzativi interni delle strutture di appartenenza.
Allegato 2- Decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1974, n. 225 Modifiche al regio decreto 2 maggio 1940, n. 1310, sulle mansioni degli
infermieri professionali e infermieri generici.
Articolo 1. (Abrogato dalla legge n. 42 del 1999)
Le attribuzioni di carattere organizzativo ed amministrativo degli infermieri
professionali sono le seguenti:
a)
programmazione di propri piani di lavoro e di quelli del personale alle proprie
dipendenze, loro presentazione ai superiori e successiva attuazione;
b)
annotazione sulle schede cliniche degli abituali rilievi di competenza
(temperatura, polso, respiro, pressione, secreti, escreti) e conservazione di tutta
la documentazione clinica sino al momento della consegna agli archivi centrali;
registrazione su apposito diario delle prescrizioni mediche, delle consegne e
delle osservazioni eseguite durante il servizio);
c)
richiesta ordinaria e urgente di interventi medici ed altro personale a seconda
delle esigenze sanitarie, sociali e spirituali degli assistiti;
d)
compilazione dei dati, sul movimento degli assistiti e collaborazione alla
raccolta ed elaborazione di dati statistici relativi al servizio;
231
e)
tenuta e compilazione dei registri e dei moduli di uso corrente;
f)
registrazione del carico e scarico dei medicinali, dei disinfettanti, dei veleni e
degli stupefacenti; loro custodia e sorveglianza sulla distruzione. Custodia delle
apparecchiature e delle dotazioni di reparto;
g)
controllo della pulizia, ventilazione, illuminazione e riscaldamento di tutti i
locali del reparto;
h)
sorveglianza sulle attività dei malati affinchè le stesse si attuino secondo le
norme di convivenza prescritte dai regolamenti interni.
Gli infermieri professionali sono inoltre tenuti:
1)
a partecipare alle riunioni periodiche di gruppo ed alle ricerche sulle
tecniche e sui tempi dell’assistenza;
2)
a promuovere tutte le iniziative di competenza per soddisfare le esigenze
psicologiche del malato e per mantenere un clima di buone relazioni umane con
i pazienti e con le loro famiglie;
3)
ad eseguire ogni altro compito inerente alle loro funzioni.
Articolo 2. (Abrogato dalla legge n. 42 del 1999)
Le attribuzioni assistenziali dirette ed indirette degli infermieri professionali sono
le seguenti:
1) assistenza completa dell’infermo;
2) somministrazione dei medicinali prescritti ed esecuzione dei trattamenti speciali
curativi ordinati dal medico;
3) sorveglianza e somministrazione delle diete;
4) assistenza al medico nelle varie attività di reparto e di sala operatoria;
5) rilevamento delle condizioni generali del paziente, del polso, della temperatura,
della pressione arteriosa e della frequenza respiratoria;
6) effettuazione degli esami di laboratorio più semplici;
7) raccolta, conservazione ed invio in laboratorio del materiale per le ricerche
diagnostiche;
232
8) disinfezione e sterilizzazione del materiale per l’assistenza diretta al malato;
9) opera di educazione sanitaria del paziente e dei suoi familiari;
10) opera di orientamento e di istruzione nei confronti del personale generico, degli
allievi e del personale esecutivo;
11) interventi di urgenza (respirazione artificiale, ossigenoterapia, massaggio
cardiaco esterno, manovre emostatiche) seguiti da immediata richiesta di
intervento medico;
12) somministrazione dei medicinali prescritti ed esecuzione dei seguenti
trattamenti diagnostici e curativi ordinati dal medico:
a)
prelievo capillare e venoso del sangue;
b)
iniezioni ipodermiche, intramuscolari e test allergodiagnostici;
c)
ipodermoclisi;
d)
vaccinazioni per via orale, per via intramuscolare e percutanee;
e)
rettoclisi;
f)
frizioni, impacchi, massaggi, ginnastica medica;
g)
applicazioni elettriche più semplici esecuzione di E.C.G., E.E.G. e
similari;
h)
medicazioni e bendaggi;
i)
clisteri evacuanti, medicamentosi e nutritivi;
l)
lavande vaginali;
m)
cateterismo nella donna;
n)
cateterismo nell’uomo con cateteri molli;
o)
sondaggio gastrico e duodenale a scopo diagnostico;
p)
lavanda gastrica;
q)
bagni terapeutici e medicati;
r)
prelevamento di secrezioni ed escrezioni a scopo diagnostico;
prelevamento dei tamponi.
Le prestazioni di cui ai punti d), g), n), o), p) debbono essere eseguite su
prescrizione e sotto controllo medico é consentita agli infermieri professionali la
pratica delle iniezioni endovenose. Tale attività potrà essere svolta dagli infermieri
233
professionali soltanto nell’ambito di organizzazioni ospedaliere o cliniche universitarie
e sotto indicazione specifica del medico responsabile del reparto.
Articolo 3. (Abrogato dalla legge n. 42 del 1999)
La vigilatrice d’infanzia oltre alle mansioni previste per gli infermieri
professionali,
limitatamente
all’infanzia,
è
autorizzata
a
procedere
alla
somministrazione con sonda gastrica degli alimenti ai neonati, ed ha la responsabilità
della preparazione, conservazione e somministrazione degli alimenti per i neonati, per
i minori ad essa affidati, il tutto su prescrizione medica.
Articolo 4. (Abrogato dalla legge n. 42 del 1999)
L’infermiere professionale specializzato in anestesia e rianimazione o in terapia
intensiva, oltre alle mansioni indicate per gli infermieri professionali, ha le seguenti
attribuzioni assistenziali dirette o indirette dall’infermo, nell’ambito dell’ospedale:
1.
assistenza al medico specialista nelle varie attività di reparto (visite
preoperatorie, consulenze), di sala operatoria presso centri di rianimazione;
raccolta;
2.
conservazione ed archiviazione delle schede di anestesia e delle cartelle di
rianimazione;
3.
somministrazione
della
medicazione
preanestetica
prescritta
dallo
specialista;
4.
preparazione delle apparecchiature e del materiale necessario per
l’anestesia generale;
5.
pulizia, disinfezione e sterilizzazione delle apparecchiature e del materiale
occorrente per l’anestesia;
6.
assistenza allo specialista nel corso dell’anestesia limitatamente alla sola
sorveglianza ed al trattamento di supporto del paziente (richieste
234
di sangue, sostituzioni di fleboclisi, approvvigionamento di sostanze
farmacologiche varie, controllo del polso e della pressione, compilazione
della scheda di anestesia);
sorveglianza del polso, della pressione e del respiro nell’immediato periodo
7.
postoperatorio, nella sala di risveglio, ed esecuzione di pratiche terapeutiche
inerenti alla sua qualifica (iniezioni intramuscolari, rinnovo di fleboclisi,
ossigenoterapia con maschera e tenda e su ordine e sotto controllo dello
specialista);
8.
controllo, in reparto, della esecuzione di tutte le prescrizioni della cartella
di anestesia;
9.
sorveglianza della regolarità del funzionamento degli apparecchi di
respirazione automatica, di monitoraggio, di emodialisi, dei materassi
ipotermici ecc., per richiedere al primo segno di anormale funzionamento
l’immediato intervento medico;
10.
alimentazione attraverso il sondino.
Articolo 5. (Abrogato dalla legge n. 42 del 1999)
L’assistente sanitario è un professionista che opera nel campo della medicina
pubblica. Esso collabora:
1. a fare acquisire alla popolazione il valore fondamentale della salute;
2. ad aiutare le persone a risolvere i loro problemi sanitari;
3. alla organizzazione ed al funzionamento dei servizi sanitario-sociali che lo Stato
offre ai cittadini.
Il suo lavoro si svolge all’interno ed all’esterno dei servizi. Le tecniche e gli
strumenti operativi dell’assistente sanitario sono:
1. il colloquio;
2. la visita domiciliare;
3. le inchieste;
235
4. l’educazione sanitaria individuale e di gruppo.
Le sue mansioni nei diversi servizi sono le seguenti:
a)
accoglimento dei pazienti nei diversi servizi, raccolta dell’anamnesi
familiare e personale remota e prossima e di ogni altro dato utile per
l’orientamento della diagnosi e per l’impostazione del caso assistenziale;
b)
raccolta ed invio di materiale ai relativi laboratori per esami diagnostici
(secondo quanto previsto dal mansionario infermieristico);
c)
esecuzione di vaccinazioni prescritte dal medico per via orale e
parenterale; controllo della chemioprofilassi; prove allergiche prescritte dal
medico;
d)
esecuzione,
in
caso
di
necessità,
di
interventi
e
tecniche
infermieristiche nell’ambito del servizio cui è addetto ed a domicilio;
e)
controllo di individui e gruppi per accertare l’igiene personale, le
infestazioni parassitarie, le forme di irritazione cutanea, ecc.;
f)
assistenza al medico per visite di ammissione, di controllo e periodiche
nelle scuole, nelle fabbriche e nelle aziende;
g)
ispezione e vigilanza presso le collettività, controlli dell’igiene
dell’ambiente (case, scuole, fabbriche, ecc.) con particolare riguardo ai
servizi igienici e alle cucine; controllo di disinfestazioni e disinfezioni di
case e comunità;
h)
inchieste epidemiologiche e indagini sullo stato della nutrizione;
i)
preparazione e organizzazione per le indagini di massa, preparazione
ed organizzazione di interventi di educazione sanitaria;
l)
controllo domiciliare dei dimessi dei vari istituti ospedalieri e di pazienti
in cura presso centri di lotta contro le malattie sociali e dispensari;
m)
controllo della tenuta e distribuzione dei medicinali e vaccini nei
dispensari, ambulatori e centri;
n)
raccolta, elaborazione ed esposizione dei dati statistici inerenti ai diversi
servizi;
236
o)
compilazione, controllo e raccolta dei documenti sanitari;
p)
contatti e pratiche con uffici, enti, istituzioni varie;
q)
relazioni e corrispondenza relativi ai casi di assistenza;
r)
nell’ambito del servizio a cui è addetto l’assistente sanitario deve curare i
rapporti con il pubblico, assicurare l’ordine degli ambienti, disciplinare il
lavoro degli ausiliari.
Articolo 6.
L’infermiere generico coadiuva l’infermiere professionale in tutte le sue attività e
su prescrizione del medico provvede direttamente alle seguenti operazioni:
1.
assistenza completa al malato, particolarmente in ordine alle operazioni di
pulizia e di alimentazione, di riassetto del letto e del comodino del paziente e
della disinfezione dell’ambiente e di altri eventuali compiti compatibili con la
qualifica a giudizio della direzione sanitaria;
2.
raccolta degli escreti;
3.
clisteri evacuanti, medicamentosi e nutritivi, rettoclisi;
4.
bagni terapeutici e medicati, frizioni;
5.
medicazioni semplici e bendaggi;
6.
pulizia, preparazione ed eventuale disinfezione del materiale sanitario;
7.
rilevamento ed annotazione della temperatura, del polso e del respiro;
8.
somministrazione dei medicinali prescritti;
9.
iniezioni ipodermiche ed intramuscolari;
10. sorveglianza di fleboclisi;
11. respirazione artificiale, massaggio cardiaco esterno; manovre emostatiche di
emergenza.
Gli infermieri generici che operano presso istituzioni pubbliche e private sono
inoltre tenuti:
237
1.
a partecipare alle riunioni periodiche di gruppo per finalità di aggiornamento
professionale e di organizzazione del lavoro;
2.
a svolgere tutte le attività necessarie per soddisfare le esigenze psicologiche
del malato e per mantenere un clima di buone relazioni umane con i pazienti e
con le loro famiglie.
Allegato 3 - Decreto 14 settembre 1994, n. 739 - Regolamento concernente
l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere
Il ministro della Sanità
Visto l’articolo 6, comma 3, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, recante:
“Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23
ottobre 1992, n. 421”, nel testo modificato dal D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517;
Ritenuto che, in ottemperanza alle precitate disposizioni, spetta al ministro della
Sanità di individuare con proprio decreto le figure professionali da formare ed i relativi
profili, relativamente alle aree del personale sanitario infermieristico, tecnico e della
riabilitazione;
Ritenuto di individuare con singoli provvedimenti le figure professionali;
Ritenuto di individuare la figura dell’infermiere;
Ritenuto di prevedere e disciplinare la formazione complementare;
Visto il parere del Consiglio superiore di sanità, espresso nella seduta del 22 aprile
1994;
Ritenuto che, in considerazione della priorità attribuita dal piano sanitario nazionale
alla tutela della salute degli anziani, sia opportuno prevedere espressamente la figura
dell’infermiere geriatrico addetto all’area geriatrica anziché quella dell’infermiere
addetto al controllo delle infezioni ospedaliere, la cui casistica assume minor rilievo;
Udito il parere del Consiglio di Stato espresso nell’adunanza generale del 4 luglio
1994;
238
Vista la nota, in data 13 settembre 1994, con cui lo schema di regolamento è stato
trasmesso, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al
presidente del Consiglio dei ministri;
Adotta il seguente regolamento:
Articolo 1
È individuata la figura professionale dell’infermiere con il seguente profilo:
1.
l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario
abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è responsabile dell’assistenza
generale infermieristica.
L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di
2.
natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la
prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e
l’educazione sanitaria.
L’infermiere:
3.
a)
partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e
della collettività;
b)
identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e
della collettività e formula i relativi obiettivi;
c)
pianifica,
gestisce
e
valuta
l’intervento
assistenziale
infermieristico;
d)
garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnosticoterapeutiche;
e)
agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri
operatori sanitari e sociali;
f)
per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario,
dell’opera del personale di supporto;
239
g)
svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche
o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di
dipendenza o libero-professionale.
L’infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e
4.
concorre
direttamente
all’aggiornamento
relativo
al
proprio
profilo
professionale e alla ricerca.
5.
La formazione infermieristica post-base per la pratica specialistica è intesa a
fornire agli infermieri di assistenza generale delle conoscenze cliniche avanzate
e delle capacità che permettano loro di fornire specifiche prestazioni
infermieristiche nelle seguenti aree:
6.
a)
sanità pubblica: infermiere di sanità pubblica;
b)
pediatria: infermiere pediatrico;
c)
salute mentale-psichiatria: infermiere psichiatrico;
d)
geriatria: infermiere geriatrico;
e)
area critica: infermiere di area critica.
In relazione a motivate esigenze emergenti dal Servizio sanitario nazionale,
potranno essere individuate, con decreto del ministero della Sanità, ulteriori
aree richiedenti una formazione complementare specifica.
7.
Il percorso formativo viene definito con decreto del ministero della Sanità e
si conclude con il rilascio di un attestato di formazione specialistica che
costituisce titolo preferenziale per l’esercizio delle funzioni specifiche nelle
diverse aree, dopo il superamento di apposite prove valutative. La natura
preferenziale del titolo è strettamente legata alla sussistenza di obiettive
necessità del servizio e recede in presenza di mutate condizioni di fatto.
Articolo 2
1 - Il diploma universitario di infermiere, conseguito ai sensi dell’articolo 6, comma 3,
del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, abilita all’esercizio
della professione, previa iscrizione al relativo Albo professionale.
240
Articolo
3
1 - Con decreto del ministro della Sanità di concerto con il ministro dell’Università
e della Ricerca scientifica e tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati,
conseguiti in base al precedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma
universitario di cui all’articolo 2 ai fini dell’esercizio della relativa attività
professionale e dell’accesso ai pubblici uffici.
Allegato 4 Legge 26 febbraio 1999, n. 42. “Disposizioni in materia di
professioni sanitarie”
Art. 1.
(Definizione delle professioni sanitarie)
1.
La denominazione “professione sanitaria ausiliaria” nel testo unico delle leggi
sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive
modificazioni, nonchè in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla
denominazione “professione sanitaria”.
2.
Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati il
regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo
1974, n. 225, ad eccezione delle disposizioni previste dal titolo V, il decreto del
Presidente della Repubblica 7 marzo 1975, n. 163, e l’articolo 24 del
regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo
1968, n. 680, e successive modificazioni. Il campo proprio di attività e di
responsabilità delle professioni sanitarie di cui all’articolo 6, comma 3, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e
integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei
relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di
diploma universitario e di formazione post-base nonchè degli specifici codici
241
deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per
le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il
possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche
competenze professionali.
Art. 2.
(Attività della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie)
1.
Alla corresponsione delle indennità di missione e al rimborso delle spese
sostenute dai membri della Commissione centrale per gli esercenti le
professioni sanitarie designati dai Comitati centrali delle Federazioni nazionali
degli ordini e dei collegi ai sensi dell’articolo 17, terzo comma, del decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233,
provvedono direttamente le Federazioni predette.
Art. 3.
(Modifiche alla legge 5 febbraio 1992 n. 175)
1.
Alla legge 5 febbraio 1992 n. 175, sono apportate le seguenti modificazioni:
a)
all’articolo 1, comma 1, dopo le parole: “sugli elenchi telefonici” sono
aggiunte le seguenti: “sugli elenchi generali di categoria e attraverso giornali
e periodici destinati esclusivamente agli esercenti le professioni sanitarie”;
b)
all’articolo 2, dopo il comma 3, è aggiunto il seguente: “3-bis. Le
autorizzazioni di cui al comma 1 sono rinnovate solo qualora siano
apportate modifiche al testo originario della pubblicità”;
c)
all’articolo 3, comma 1, le parole: “sono sospesi dall’esercizio della
professione sanitaria per un periodo da due a sei mesi” sono sostituite dalle
seguenti: “sono assoggettati alle sanzioni disciplinari della censura o della
sospensione dall’esercizio della professione sanitaria, ai sensi dell’articolo
242
40 del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5
aprile 1950, n. 221”;
d)
all’articolo 4, comma 1, dopo le parole: “sugli elenchi telefonici” sono
inserite le seguenti: “e sugli elenchi generali di categoria”;
all’articolo 5, comma 4, le parole: “sono sospesi dall’esercizio della
e)
professione sanitaria per un periodo da due a sei mesi” sono sostituite dalle
seguenti: “sono assoggettati alle sanzioni disciplinari della censura o della
sospensione dall’esercizio della professione sanitaria, ai sensi dell’articolo
40 del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5
aprile 1950, n. 221”;
all’articolo 5, dopo il comma 5, sono aggiunti i seguenti: “5-bis. Le
f)
inserzioni autorizzate dalla regione per la pubblicità sugli elenchi telefonici
possono essere utilizzate per la pubblicità sugli elenchi generali di categoria
e, viceversa, le inserzioni autorizzate dalla regione per la pubblicità sugli
elenchi generali di categoria possono essere utilizzate per la pubblicità sugli
elenchi telefonici. 5-ter. Le autorizzazioni di cui al comma 1 sono rinnovate
solo qualora siano apportate modifiche al testo originario della pubblicità”;
g)
dopo l’articolo 9 è inserito il seguente: “Art. 9-bis - 1. Gli esercenti le
professioni sanitarie di cui all’articolo 1 nonchè le strutture sanitarie di cui
all’articolo 4 possono effettuare la pubblicità nelle forme consentite dalla
presente legge e nel limite di spesa del 5 per cento del reddito dichiarato per
l’anno precedente”.
Art. 4.
(Diplomi conseguiti in base alla normativa anteriore a quella di attuazione
dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e
successive modificazioni)
1.
Fermo restando quanto previsto dal decreto legge 13 settembre 1996, n. 475,
convertito, con modificazioni, dalla legge 5 novembre 1996, n. 573, per le
243
professioni di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, ai fini dell’esercizio
professionale e dell’accesso alla formazione post-base, i diplomi e gli attestati
conseguiti in base alla precedente normativa, che abbiano permesso l’iscrizione
ai relativi albi professionali o l’attività professionale in regime di lavoro
dipendente o autonomo o che siano previsti dalla normativa concorsuale del
personale del Servizio sanitario nazionale o degli altri comparti del settore
pubblico, sono equipollenti ai diplomi universitari di cui al citato articolo 6,
comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni ed
integrazioni, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione
post-base.
2.
Con decreto del Ministro della sanità, d’intesa con il Ministro dell’università e
della ricerca scientifica e tecnologica, sono stabiliti, con riferimento alla
iscrizione nei ruoli nominativi regionali di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, allo stato giuridico dei dipendenti degli
altri comparti del settore pubblico e privato e alla qualità e durata dei corsi e, se
del caso, al possesso di una pluriennale esperienza professionale, i criteri e le
modalità per riconoscere come equivalenti ai diplomi universitari, di cui
all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive
modificazioni e integrazioni, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso
alla
formazione
post-base,
ulteriori
titoli
conseguiti
conformemente
all’ordinamento in vigore anteriormente all’emanazione dei decreti di
individuazione dei profili professionali. I criteri e le modalità definiti dal
decreto di cui al presente comma possono prevedere anche la partecipazione ad
appositi corsi di riqualificazione professionale, con lo svolgimento di un esame
finale. Le disposizioni previste dal presente comma non comportano nuovi o
maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato nè degli enti di cui agli articoli
25 e 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
244
3.
Il decreto di cui al comma 2 è emanato, previo parere delle competenti
Commissioni parlamentari, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge.
4.
In fase di prima applicazione, il decreto di cui al comma 2 stabilisce i requisiti
per la valutazione dei titoli di formazione conseguiti presso enti pubblici o
privati, italiani o stranieri, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla
formazione post-base per i profili professionali di nuova istituzione ai sensi
dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e
successive modificazioni e integrazioni.
Allegato 5-
Legge 10 agosto 2000, n. 251 “Disciplina delle professioni
sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione,
nonchè della professione ostetrica”
Art. 1.
(Professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica)
1.
Gli
operatori
delle
professioni
sanitarie
dell’area
delle
scienze
infermieristiche e della professione sanitaria ostetrica svolgono con autonomia
professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della
salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme
istitutive dei relativi profili professionali nonchè dagli specifici codici
deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi
dell’assistenza.
2.
Lo Stato e le regioni promuovono, nell’esercizio delle proprie funzioni
legislative,
di
indirizzo,
di
programmazione
ed
amministrative,
la
valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delle
professioni infermieristico-ostetriche al fine di contribuire alla realizzazione del
diritto alla salute, al processo di aziendalizzazione nel Servizio sanitario
245
nazionale, all’integrazione dell’organizzazione del lavoro della sanità in Italia
con quelle degli altri Stati dell’Unione europea.
3.
Il Ministero della sanità, previo parere della Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,
emana linee guida per:
a)
l’attribuzione in tutte le aziende sanitarie della diretta responsabilità e
gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni;
b)
la revisione dell’organizzazione del lavoro, incentivando modelli di
assistenza personalizzata.
Art. 2.
(Professioni sanitarie riabilitative)
1.
Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area della riabilitazione svolgono
con titolarità e autonomia professionale, nei confronti dei singoli individui e
della collettività, attività dirette alla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione e
a procedure di valutazione funzionale, al fine di espletare le competenze proprie
previste dai relativi profili professionali.
2.
Lo Stato e le regioni promuovono, nell’esercizio delle proprie funzioni
legislative, di indirizzo, di programmazione ed amministrative, lo sviluppo e la
valorizzazione delle funzioni delle professioni sanitarie dell’area della
riabilitazione,
al
fine
di
contribuire,
anche
attraverso
la
diretta
responsabilizzazione di funzioni organizzative e didattiche, alla realizzazione
del diritto alla salute del cittadino, al processo di aziendalizzazione e al
miglioramento della qualità organizzativa e professionale nel Servizio sanitario
nazionale, con l’obiettivo di una integrazione omogenea con i servizi sanitari e
gli ordinamenti degli altri Stati dell’Unione europea.
Art. 3.
(Professioni tecnico-sanitarie)
246
Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area tecnico-diagnostica e dell’area
1.
tecnico-assistenziale svolgono, con autonomia professionale, le procedure
tecniche necessarie alla esecuzione di metodiche diagnostiche su materiali
biologici o sulla persona, ovvero attività tecnico-assistenziale, in attuazione di
quanto previsto nei regolamenti concernenti l’individuazione delle figure e dei
relativi profili professionali definiti con decreto del Ministro della sanità.
Lo Stato e le regioni promuovono, nell’esercizio delle proprie funzioni
2.
legislative, di indirizzo, di programmazione ed amministrative, lo sviluppo e la
valorizzazione delle funzioni delle professioni sanitarie dell’area tecnicosanitaria, al fine di contribuire, anche attraverso la diretta responsabilizzazione
di funzioni organizzative e didattiche, al diritto alla salute del cittadino, al
processo di aziendalizzazione e al miglioramento della qualità organizzativa e
professionale nel Servizio sanitario nazionale con l’obiettivo di una
integrazione omogenea con i servizi sanitari e gli ordinamenti degli altri Stati
dell’Unione europea.
Art. 4.
(Professioni tecniche della prevenzione)
1.
Gli operatori delle professioni tecniche della prevenzione svolgono con
autonomia tecnico-professionale attività di prevenzione, verifica e controllo in
materia di igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene
degli alimenti e delle bevande, di igiene e sanità pubblica e veterinaria. Tali
attività devono comunque svolgersi nell’ambito della responsabilità derivante
dai profili professionali.
2.
I Ministeri della sanità e dell’ambiente, previo parere della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, emanano linee guida per l’attribuzione in tutte le aziende
sanitarie e nelle agenzie regionali per l’ambiente della diretta responsabilità e
247
gestione delle attività di competenza delle professioni tecniche della
prevenzione.
Art. 5.
(Formazione universitaria)
1.
Il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto
con il Ministro della sanità, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 17,
comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, individua con uno o più decreti
i criteri per la disciplina degli ordinamenti didattici di specifici corsi universitari
ai quali possono accedere gli esercenti le professioni di cui agli articoli 1,2,3 e 4
della presente legge, in possesso di diploma universitario o di titolo
equipollente per legge.
2.
Le università nelle quali è attivata la scuola diretta a fini speciali per docenti e
dirigenti di assistenza infermieristica sono autorizzate alla progressiva
disattivazione della suddetta scuola contestualmente alla attivazione dei corsi
universitari di cui al comma 1.
Art. 6.
(Definizione delle professioni e dei relativi livelli di inquadramento)
1.
Il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell’università e della
ricerca scientifica e tecnologica, acquisiti i pareri del Consiglio superiore di
sanità e del comitato di medicina del Consiglio universitario nazionale, include
le diverse figure professionali esistenti o che saranno individuate
successivamente in una delle fattispecie di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4.
2.
Il Governo, con atto regolamentare emanato ai sensi dell’articolo 18, comma 1,
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come sostituito dall’articolo
19 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, definisce la disciplina
concorsuale, riservata al personale in possesso degli specifici diplomi rilasciati
248
al termine dei corsi universitari di cui all’articolo 5, comma 1, della presente
legge, per l’accesso ad una nuova qualifica unica di dirigente del ruolo
sanitario, alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per
l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario nazionale di cui all’articolo 26
del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29. Le regioni possono istituire la
nuova qualifica di dirigente del ruolo sanitario nell’ambito del proprio
bilancio, operando con modificazioni compensative delle piante organiche su
proposta delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere.
Art. 7.
(Disposizioni transitorie)
1.
Al fine di migliorare l’assistenza e per la qualificazione delle risorse le aziende
sanitarie possono istituire il servizio dell’assistenza infermieristica ed ostetrica
e possono attribuire l’incarico di dirigente del medesimo servizio. Fino alla data
del compimento dei corsi universitari di cui all’articolo 5 della presente legge
l’incarico, di durata triennale rinnovabile, è regolato da contratti a tempo
determinato, da stipulare, nel limite numerico indicato dall’articolo 15-septies,
comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, introdotto
dall’articolo 13 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, dal direttore
generale con un appartenente alle professioni di cui all’articolo 1 della presente
legge, attraverso idonea procedura selettiva tra i candidati in possesso di
requisiti di esperienza e qualificazione professionale predeterminati. Gli
incarichi di cui al presente articolo comportano l’obbligo per l’azienda di
sopprimere un numero pari di posti di dirigente sanitario nella dotazione
organica definita ai sensi della normativa vigente. Per i dipendenti delle
amministrazioni pubbliche si applicano le disposizioni del comma 4 del citato
articolo 15-septies. Con specifico atto d’indirizzo del Comitato di settore per il
comparto sanità sono emanate le direttive all’Agenzia per la rappresentanza
negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per la definizione,
249
nell’ambito del contratto collettivo nazionale dell’area della dirigenza dei ruoli
sanitario, amministrativo, tecnico e professionale del Servizio sanitario
nazionale, del trattamento economico dei dirigenti nominati ai sensi del
presente comma nonchè delle modalità di conferimento, revoca e verifica
dell’incarico.
2.
Le aziende sanitarie possono conferire incarichi di dirigente, con modalità
analoghe a quelle previste al comma 1, per le professioni sanitarie di cui alla
legge 26 febbraio 1999, n. 42, nelle regioni nelle quali sono emanate norme per
l’attribuzione della funzione di direzione relativa alle attività della specifica
area professionale.
3.
La legge regionale che disciplina l’attività e la composizione del Collegio di
direzione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502,
e successive modificazioni, prevede la partecipazione al medesimo Collegio dei
dirigenti aziendali di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo.
Allegato 6- Codice Deontologico Dell’Infermiere Testo approvato dal Comitato
centrale nel 1999
1. premessa
L’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma abilitante e
dell’iscrizione
all’Albo
professionale,
è
responsabile
dell’assistenza
infermieristica.
L’assistenza infermieristica è servizio alla persona e alla collettività. Si realizza
attraverso interventi specifici, autonomi e complementari, di natura tecnica,
relazionale ed educativa.
La responsabilità dell’infermiere consiste nel curare e prendersi cura della persona,
nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo.
250
Il Codice deontologico guida l’infermiere nello sviluppo della identità
professionale e nell’assunzione di un comportamento eticamente responsabile.
È uno strumento che informa il cittadino sui comportamenti che può
attendersi dall’infermiere.
L’infermiere, con la partecipazione ai propri organismi di rappresentanza,
manifesta la appartenenza al gruppo professionale, all’accettazione dei valori
contenuti nel Codice deontologico e l’impegno a viverli nel quotidiano.
2. principi della professione
Il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e del principi etici della professione è
condizione essenziale per l’assunzione della responsabilità delle cure
infermieristiche.
L’infermiere riconosce la salute come bene fondamentale dell’individuo e interesse
della collettività e si impegna a tutelarlo con attività di prevenzione, cura e
riabilitazione.
L’infermiere riconosce che tutte le persone hanno diritto ad uguale considerazione
e le assiste indipendentemente dall’età, dalla condizione sociale ed
economica, dalle cause di malattia.
L’infermiere agisce tenendo conto dei valori religiosi, ideologici ed etici, nonché
della cultura, etnia e sesso dell’individuo.
Nel caso di conflitti determinati da profonde diversità etiche, l’infer- miere si
impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. In presenza di volontà
profondamente in contrasto con i principi etici della professione e con la
coscienza personale, si avvale del diritto all’obiezione di coscienza.
Nell’agire professionale, l’infermiere si impegna a non nuocere, orienta la sua
azione all’autonomia e al bene dell’assistito, di cui attiva le risorse anche
quando questi si trova in condizioni di disabilità o svantaggio.
251
L’infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso l’uso
ottimale delle risorse. In carenza delle stesse, individua le priorità sulla base
di criteri condivisi dalla comunità professionale.
3. norme generali
L’infermiere aggiorna le proprie conoscenze attraverso la formazione permanente,
la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca, al fine di migliorare la sua
competenza.
L’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiornate,
così da garantire alla persona le cure e l’assistenza più efficaci.
L’infermiere partecipa alla formazione professionale, promuove ed attiva la
ricerca, cura la diffusione dei risultati, al fine di migliorare l’assistenza
infermieristica.
L’infermiere assume responsabilità in base al livello di competenza raggiunto e
ricorre, se necessario, all’intervento e alla consulenza di esperti. Riconosce
che l’integrazione è la migliore possibilità per far fronte ai problemi
dell’assistito; riconosce altresì l’importanza di prestare consulenza, ponendo
le proprie conoscenze ed abilità a disposizione della comunità professionale.
L’infermiere riconosce i limiti delle proprie conoscenze e competenze e declina la
responsabilità quando ritenga di non poter agire con sicurezza. Ha il diritto ed
il dovere di richiedere formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle
quali non ha esperienza; si astiene dal ricorrere a sperimentazioni prive di
guida che possono costituire rischio per la persona.
L’infermiere si attiva per l’analisi dei dilemmi etici vissuti nell’opera- tività
quotidiana e ricorre, se necessario, alla consulenza professionale e
istituzionale, contribuendo così al continuo divenire della riflessione etica.
L’agire professionale non deve essere condizionato da pressioni o interessi
personali provenienti da persone assistite, altri operatori, imprese,
252
associazioni, organismi. In caso di conflitto devono prevalere gli interessi
dell’assistito.
L’infermiere non può avvalersi di cariche politiche o pubbliche per
conseguire vantaggi per sé o altri.
L’infermiere può svolgere forme di volontariato con modalità conformi alla
normativa vigente: è libero di prestare gratuitamente la sua opera, sempre che
questa avvenga occasionalmente.
L’infermiere, in situazioni di emergenza, è tenuto a prestare soccorso e ad attivarsi
tempestivamente per garantire l’assistenza necessaria. In caso di calamità, si
mette a disposizione dell’autorità competente.
4. rapporti con la persona assistita
L’infermiere promuove, attraverso l’educazione, stili di vita sani e la diffusione di
una cultura della salute; a tal fine attiva e mantiene la rete di rapporti tra
servizi e operatori.
L’infermiere ascolta, informa, coinvolge la persona e valuta con la stessa i bisogni
assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e
consentire all’assistito di esprimere le proprie scelte.
L’infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall’assistito, ne facilita i rapporti
con la comunità e le persone per lui significative, che coinvolge nel piano di
cura.
L’infermiere ha il dovere di essere informato sul progetto diagnostico terapeutico,
per le influenze che questo ha sul piano di assistenza e la relazione con la
persona.
L’infermiere, nell’aiutare e sostenere la persona nelle scelte terapeutiche,
garantisce le informazioni relative al piano di assistenza ed adegua il livello di
comunicazione alla capacità del paziente di comprendere. Si adopera affinché
la persona disponga di informazioni globali e non solo cliniche e ne riconosce
il diritto alla scelta di non essere informato.
253
L’infermiere assicura e tutela la riservatezza delle informazioni relative alla
persona. Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò
che è pertinente all’assistenza.
L’infermiere garantisce la continuità assistenziale anche attraverso l’efficace
gestione degli strumenti informativi.
L’infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per
intima convinzione e come risposta concreta alla fiducia che l’assistito ripone
in lui.
L’infermiere promuove in ogni contesto assistenziale le migliori condizioni
possibili di sicurezza psicofisica dell’assistito e dei familiari.
L’infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione fisica e farmacologica
sia evento straordinario e motivato, e non metodica abituale di accudimento.
Considera la contenzione una scelta condivisibile quando vi si configuri
l’interesse della persona e inaccettabile quando sia una implicita risposta alle
necessità istituzionali.
L’infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l’opinione del minore
rispetto alle scelte terapeutiche, in relazione all’età ed al suo grado di
maturità.
L’infermiere si impegna a promuovere la tutela delle persone in condizioni che ne
limitano lo sviluppo o l’espressione di sé, quando la famiglia e il contesto non
siano adeguati ai loro bisogni.
L’infermiere che rilevi maltrattamenti o privazioni a carico della persona, deve
mettere in opera tutti i mezzi per proteggerla ed allertare, ove necessario,
l’autorità competente.
L’infermiere si attiva per alleviare i sintomi, in particolare quelli prevenibili. Si
impegna a ricorrere all’uso di placebo solo per casi attentamente valutati e su
specifica indicazione medica.
L’infermiere assiste la persona, qualunque sia la sua condizione clinica e fino al
termine della vita, riconoscendo l’importanza del conforto ambientale, fisico,
psicologico, relazionale, spirituale. L’infermiere tutela il diritto a porre dei
254
limiti ad eccessi diagnostici e terapeutici non coerenti con la concezione di
qualità della vita dell’assistito.
L’infermiere sostiene i familiari dell’assistito, in particolare nel momento della
perdita e nella elaborazione del lutto.
L’infermiere non partecipa a trattamenti finalizzati a provocare la morte
dell’assistito, sia che la richiesta provenga dall’interessato, dai familiari o da
altri.
L’infermiere considera la donazione di sangue, tessuti ed organi un’espressione di
solidarietà. Si adopera per favorire informazione e sostegno alle persone
coinvolte nel donare e nel ricevere.
5. rapporti professionali con colleghi e altri operatori
5.1. L’infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori, di cui riconosce e
rispetta lo specifico apporto all’interno dell’équipe.
Nell’ambito delle proprie conoscenze, esperienze e ruolo professionale
contribuisce allo sviluppo delle competenze assistenziali.
5.2. L’infermiere tutela la dignità propria e dei colleghi, attraverso comportamenti
ispirati al rispetto e alla solidarietà. Si adopera affinché la diversità di
opinione non ostacoli il progetto di cura.
5.3. L’infermiere ha il dovere di autovalutarsi e di sottoporre il proprio operato a
verifica, anche ai fini dello sviluppo professionale.
5.4. Nell’esercizio autonomo della professione l’infermiere si attiene alle norme di
comportamento emanate dal Collegi IPASVI; nella definizione del proprio
onorario rispetta il vigente Nomenclatore Tariffario.
5.5. L’infermiere tutela il decoro del proprio nome e qualifica professionale anche
attraverso il rispetto delle norme che regolano la pubblicità sanitaria.
255
5.6. L’infermiere è tenuto a segnalare al Collegio ogni abuso o comportamento
contrario alla deontologia, attuato dai colleghi.
6. rapporti con le istituzioni
6.1. L’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le
politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei
diritti degli assistiti, l’equo utilizzo delle risorse e la valorizzazione del ruolo
professionale.
6.2. L’infermiere compensa le carenze della struttura attraverso un comportamento
ispirato alla cooperazione, nell’interesse dei cittadini e dell’istituzione.
L’infermiere ha il dovere di opporsi alla compensazione quando vengano a
mancare i caratteri della eccezionalità o venga pregiudicato il suo prioritario
mandato professionale.
6.3. L’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o
disservizi provvede a darne comunicazione e per quanto possibile, a ricreare
la situazione più favorevole.
6.4. L’infermiere riferisce a persona competente e all’autorità professionale
qualsiasi circostanza che possa pregiudicare l’assistenza infermieristica o la
qualità delle cure, con particolare riguardo agli effetti sulla persona.
6.5. L’infermiere ha il diritto e il dovere di segnalare al Collegio le situazioni in
cui sussistono circostanze o persistono condizioni che limitano la qualità delle
cure o il decoro dell’esercizio professionale.
7. disposizioni finali
7.1. Le norme deontologiche contenute nel presente Codice sono vincolanti: la loro
inosservanza è punibile con le sanzioni da parte del Collegio professionale.
256
7.2. I Collegi IPASVI si rendono garanti, nei confronti della persona e della
collettività, della qualificazione dei singoli professionisti e della competenza
acquisita e mantenuta.
Allegato 6- D.P.C.M. 25 gennaio 2008 Recepimento dell'accordo 15 novembre
2007, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano,
concernente la disciplina per l'accesso alla qualifica unica di dirigente delle
professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della
prevenzione e della professione di ostetrica. - Pubblicato nella Gazz. Uff. 26
febbraio 2008, n. 48.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Visto il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni,
recante «Riordino della disciplina sanitaria, a norma dell'art. 1, della legge 23
ottobre 1992, n. 421»;
Vista la legge 10 agosto 2000, n. 251 recante «Disciplina delle professioni
sanitarie, infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione
nonchè della professione ostetrica»;
Visto in particolare l'art. 6, comma 2 della citata legge n. 251 del 2000 che prevede
la definizione della disciplina concorsuale, riservata al personale in possesso
degli specifici diplomi rilasciati al termine di corsi universitari, per l'accesso
ad una nuova qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario, alla quale si
accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per l'accesso alla dirigenza del
Servizio sanitario nazionale di cui all'art. 26 del decreto legislativo 3 febbraio
1993, n. 29 e successive modificazioni;
Visto l'art. 6, comma 1, lettera d) della legge 1° febbraio 2006, n. 43, recante
«Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica,
257
riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al governo per
l'istituzione dei relativi ordini professionali», che individua i requisiti del
personale dirigente appartenente alle suddette professioni;
Vista la legge 18 ottobre 2001, n. 3 recante «Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione»;
Visto l'accordo, ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
del 15 novembre 2007, tra il Governo, le regioni e le province autonome di
Trento e Bolzano, concernente la disciplina l'accesso alla qualifica unica di
dirigente
delle
professioni
sanitarie
infermieristiche,
tecniche
della
riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica;
Sulla proposta del Ministro della salute;
Decreta:
Art. 1.
1.
E' reso esecutivo l'accordo 15 novembre 2007, citato in premessa, di cui
all'allegato I che costituisce parte integrante del presente decreto concernente,
la disciplina per l'accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni
sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione della prevenzione e
della professione di ostetrica.
Art. 2.
1. Il presente decreto entra in vigore a decorrere dal giorno successivo a quello
della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Allegato 1 (art. 1, comma 1)
Accordo, ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il
Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano concernente
la disciplina per l'accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni
sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e
della professione di ostetrica.
Rep. Atti n. 242/CSR del 15 novembre 2007
258
LA CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO, LE
REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO
Nella odierna seduta del 15 novembre 2007:
Visto l'art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
che affida alla Conferenza il compito di promuovere e sancire accordi
secondo quanto disposto dall'art. 4 del medesimo decreto, in attuazione del
principio di leale collaborazione, al fine di coordinare l'esercizio di rispettive
competenze per svolgere attività di interesse comune;
Vista la legge 10 agosto 2000, n. 251, recante «Disciplina delle professioni
sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione
nonchè della professione ostetrica», che all'art. 6, comma 2, stabilisce che il
Governo, con apposito atto regolamentare, sentita la Conferenza Stato regioni, definisce la disciplina concorsuale, riservata al personale in possesso
degli specifici diplomi rilasciati al termine di corsi universitari, per l'accesso
ad una nuova qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario, alla quale si
accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per l'accesso alla dirigenza del
Servizio Sanitario Nazionale di cui all'art. 26 del decreto legislativo 3febbraio
1993, n. 29 e successive modifiche ed integrazioni;
Considerato che l'art. 41 del C.C.N.L. Integrativo del CCNL Area della dirigenza
dei ruoli Sanitario, Professionale, Tecnico ed Amministrativo del Servizio
Sanitario Nazionale stipulato in data 10 febbraio 2004, ha riaffermato che la
predetta disciplina concorsuale per l'accesso ad una nuova qualifica unica di
dirigente del ruolo sanitario è da emanarsi con il regolamento di cui al citato
art. 6 della legge n. 251 del 2000;
Vista la nota del 12 giugno 2007 con la quale il Ministero della salute ha proposto
lo schema di accordo in oggetto;
Considerato che, a seguito della riunione tecnica svoltasi il 5 luglio 2007, il
Ministero della salute, con nota del 23 ottobre 2007, ha trasmesso una nuova
stesura dello schema di accordo dì cui trattasi che tiene conto delle
259
osservazioni formulate dalle regioni e province autonome, nonchè delle
richieste di modifica avanzate dal Dipartimento della funzione pubblica della
Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell'economia delle
finanze;
Vista la nota in data 7 novembre 2007, con la quale la Regione Toscana,
Coordinatrice interregionale in sanità, su tale ultima versione dello schema di
Accordo, ha espresso avviso tecnico favorevole in considerazione del fatto
che «il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di recepimento dei
contenuti dell'Accordo, previsto dall'art. 6 dello schema, si inserisce, in
armonia con la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, come
strumento concertato e consapevole di garanzia di omogenea attuazione da
parte delle regioni e province autonome dei contenuti dell'accordo
medesimo»;
Acquisito, nel corso dell'odierna seduta, l'assenso del Governo, delle regioni e delle
province autonome di Trento e di Bolzano, sulla proposta di accordo di cui
trattasi;
Sancisce accordo
Tra il Governo le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano nei termini di
seguito riportati:
«Art. 1. (Requisiti specifici di ammissione). - 1. Ai fini dell'accesso alla qualifica
unica di dirigente delle professioni dell'area infermieristica, tecnica, della
riabilitazione, della prevenzione ed ostetrica, di cui alla legge 10 agosto 2000,
n. 251, è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti:
a) laurea specialistica o magistrale della classe relativa alla specifica area;
b) cinque anni di servizio effettivo corrispondente alla medesima professionalità,
relativa al concorso specifico, prestato in enti del Servizio Sanitario Nazionale
nella categoria D o Ds, ovvero in qualifiche corrispondenti di altre pubbliche
amministrazioni;
260
c) iscrizione ai relativi albi professionali, ove esistenti, attestata da certificato in
data non anteriore a sei mesi rispetto a quello di scadenza del bando.
«Art. 2. (Commissione esaminatrice). - 1. La commissione esaminatrice è nominata
dal direttore generale della azienda U.S.L. o dell'azienda ospedaliera ed è
composta da:
a) presidente: il direttore sanitario o un dirigente sanitario di struttura complessa
individuato dal direttore generale;
b) componenti: due dirigenti dell'area delle professioni sanitarie di riferimento, di
cui uno sorteggiato nell'ambito del personale in servizio presso le aziende
UU.SS.LL. o le aziende ospedaliere situate nel territorio ed uno designato
dalla regione;
c) segretario: un funzionario amministrativo della azienda U.S.L. o dell'azienda
ospedaliera, almeno di categoria D.
«Art. 3. (Prove d'esame). - 1. Le prove di esame sono le seguenti:
a) prova scritta: relazione su argomenti inerenti la funzione da conferire e
impostazione di un piano di lavoro o soluzione dì una serie di quesiti a
risposta sintetica nelle materie inerenti al profilo a concorso;
b) prova pratica: utilizzo di tecniche professionali orientate alla soluzione di casi
concreti;
c) prova orale: colloquio nelle materie delle prove scritte, con particolare
riferimento alla organizzazione dei servizi sanitari, nonchè su altre materie
indicate nel bando di concorso.
«Art. 4. (Punteggio). - 1. La Commissione dispone, complessivamente, di 100
punti, cosi ripartiti:
a) 20 punti per i titoli;
b) 80 punti per le prove d'esame.
2. I punti per le prove d'esame sono così ripartiti:
a) 30 punti per La prova scritta;
b) 30 punti per la prova pratica;
261
c) 20 punti per la prova orale.
3. I punti per la valutazione dei titoli sono così ripartiti:
a) titoli di carriera: 10;
b) titoli accademici e di studio: 3;
c) pubblicazioni e titoli scientifici: 3;
d) curriculum formativo e professionale: 4.
4. Titoli di carriera:
a) servizio di ruolo prestato quale professionista dell'area infermieristica, tecnicodiagnostica e tecnico-assistenziale, riabilitazione, prevenzione ed ostetrica
presso le aziende UU.SS.LL. o le aziende ospedaliere e servizi equipollenti ai
sensi degli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 10
dicembre 1997, n. 483:
1) nel livello dirigenziale a concorso, punti 1,00 per anno;
2) nella posizione organizzativa, punti 0,75;
3) nella funzione di coordinamento, punti 0,50;
4) nella posizione funzionale inferiore rispetto a quella oggetto di concorso, punti
0,25 per anno;
b) servizio di ruolo quale professionista dell'area infermieristica, tecnicodiagnostica e tecnico-assistenziale. riabilitazione, prevenzione ed ostetrica
presso pubbliche amministrazioni:
1) come dirigente o qualifiche corrispondenti, punti 1,00 per anno;
2) nell'ottavo e nono livello o qualifiche corrispondenti, punti 0,50 per anno;
3) nel settimo livello o qualifiche corrispondenti, punti 0.30 per anno.
5. Titoli accademici di studio e professionali:
a) specializzazioni o titoli universitari attinenti alla posizione funzionale da
conferire punti 1,00 per ognuna;
b) master annuale punti 0,50 per ognuna.
262
6. Per la valutazione delle pubblicazioni e dei titoli scientifici e del curriculum
formativo e professionale si applicano i criteri previsti dall'art. 11 del citato
decreto del Presidente della Repubblica n. 483/1997.
«Art. 5. - 1. Per le norme generali dello svolgimento dei concorsi nonchè per le
norme generali relative alla valutazione dei titoli si fa riferimento, per quanto
applicabili, agli articoli da 1 a 23 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 483/1997.
«Art. 6. - 1. Il presente Accordo sarà recepito con successivo decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri.
263
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