UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MAGNA GRAECIA DI CATANZARO DIPARTIMENTO DI DIRITTO DELL’ORGANIZZAZIONE PUBBLICA, ECONOMIA E SOCIETÀ Vittorio Daniele IL COSTO DELLO SVILUPPO Note su sistema creditizio e sviluppo economico del Mezzogiorno WORKING PAPER (Dicembre 2002) Assegnista di ricerca. Dipartimento di Diritto dell’Organizzazione Pubblica, Economia e Società (DOPES), Via Madonna dei Cieli, 45. [email protected]. Eventuali commenti sono molto graditi. 1. Introduzione Alla fine del Novecento, il sistema creditizio e finanziario del nostro Paese conosce un profonda trasformazione: l’affermarsi di un nuovo modello di vigilanza, la liberalizzazione del mercato, i mutamenti istituzionali e l’espansione delle attività di gestione del risparmio ne determinano, infatti, sia un aumento del grado di concentrazione, sia una ristrutturazione. Tale trasformazione – una “difficile metamorfosi” – ha portato ad un sistema bancario e finanziario molto diverso (per assetti, forme e configurazione istituzionale) da quello disegnato nel 1936, e molto più simile a quelli prevalenti nelle economie più avanzate; Ciocca [2000] ne ha riassunto i cambiamenti nei termini seguenti: “Nello scorcio del Novecento il sistema finanziario che Alberto Beneduce e Donato Menichella avevano costruito – eredità per quasi mezzo secolo indiscussa della crisi degli anni trenta e dei modi in cui l’economia italiana la subì – è stato sostituito da un sistema profondamente diverso... Ordinamento, fisco, vigilanza, promozione della concorrenza – la politica economica e istituzionale – hanno favorito il cambiamento. Oggi configurano per la finanza una cornice acconcia, comunque non discosta da quella delle economie di mercato avanzate. [Ciocca, 2000, p. 7].” Come vedremo oltre, il Mezzogiorno è stato notevolmente interessato dalle trasformazioni sopra delineate, i cui esiti sono ancora difficili da interpretare. Nonostante il sistema creditizio meridionale si sia uniformato, sotto certi aspetti, ai cambiamenti intervenuti a livello nazionale, esso rimane tuttavia contraddistinto da alcune specificità; tra queste, i significativi differenziali nei tassi attivi praticati all’industria e i livelli comparativamente inferiori degli impieghi bancari, sono forse le più rilevanti. Negli anni Novanta, periodo in cui il sistema creditizio italiano si trasforma, si assiste a una riapertura del dibattito sull’ormai pluridecennale “questione meridionale”; con la fine dell’Intervento straordinario e con l’avvio di una nuova filosofia di sostegno allo sviluppo - i cui tratti di fondo si riassumono nella riduzione dell’azione pubblica, in un’accresciuta apertura al mercato e nella valorizzazione delle risorse endogene - il divario tra il Mezzogiorno e il CentroNord si riapre. Certamente, le connotazioni assunte dal divario territoriale tra le due aree del Paese sono, oggi, profondamente diverse da quelle del passato. Ma, anche in presenza di dinamiche regionali e locali differenziate, allo scorcio del nuovo 2 millennio, i differenziali nei livelli di sviluppo rimangono ancora ampi, e sembrano difficili da colmare senza interventi specifici, la cui necessità sembra riproporsi, inevitabilmente, ogni qualvolta si apra il dibattito parlamentare sulle leggi finanziarie del Paese. Le due grandi trasformazioni – quella del sistema creditizio e quella della politica per lo sviluppo – si richiamano reciprocamente. Il sistema del credito svolge, infatti, un ruolo importante nei processi di sviluppo locale, soprattutto in un Paese come l’Italia, caratterizzato da un sistema banking market e da una struttura produttiva composta, in larga misura, da un tessuto di PMI con scarse possibilità di ricorso ai mercati finanziari per il reperimento dei capitali. Tale ruolo appare, poi, particolarmente importante per il processo di accumulazione nelle regioni meridionali, anche in considerazione della riduzione dell’intervento pubblico nel sostegno agli investimenti. Inoltre, lo stesso sistema bancario meridionale è risultato coinvolto dalla disgregazione di quel modello di “sviluppo dipendente” che aveva caratterizzato il Mezzogiorno sin dai primi anni Settanta. Quali saranno gli effetti per l’economia meridionale del nuovo sistema creditizio delineatosi alla fine del Novecento? E, ancora, tali trasformazioni saranno in grado di ridurre il differenziale positivo nei tassi d’interesse attivi registrati nel Mezzogiorno e considerati, non solo dalla letteratura economica, uno dei tanti vincoli allo sviluppo del sistema produttivo locale? È forse ancora presto per rispondere a tali interrogativi. Tuttavia appare possibile delineare alcune caratteristiche del sistema creditizio meridionale ponendo, perlomeno in via preliminare, alcune questioni utili per una riflessione sul rapporto tra sistema bancario e sviluppo regionale: un rapporto non sempre facile ma, ovviamente, di grandissima rilevanza per le sue implicazioni sulle future dinamiche economiche del Mezzogiorno. Nelle pagine seguenti si delineerà un quadro, più descrittivo che interpretativo, del sistema creditizio meridionale alla luce delle recenti dinamiche economiche. L’idea di fondo del lavoro è che oggi, in una fase in cui le sorti del Mezzogiorno si giocano, più che in passato, sulle capacità e sulle risorse locali, le trasformazioni del sistema bancario possono riproporre vecchi problemi o dischiudere nuove opportunità. 3 2. Esiste ancora una questione meridionale? Con la cessazione dell’Intervento straordinario e la crisi economica degli anni Novanta, il modello di sviluppo dipendente che, perlomeno a partire dai primi anni Settanta, aveva caratterizzato il Mezzogiorno, rapidamente si sfalda. Tra numerose difficoltà, affrontando la peggiore crisi degli ultimi trent’anni e i ritardi della “nuova programmazione”, dalle trasformazioni degli anni Novanta emerge un Mezzogiorno con significative, e spesso profonde, differenze interne. Quest’area, a lungo considerata come omogenea, con i tratti peculiari, specifici, del ritardo economico e sociale, comincia ad apparire come un territorio riccamente articolato e differenziato, sia a livello regionale, sia locale1. Sia che si guardi alle differenze regionali nei livelli del PIL pro capite, sia che si pensi alla diffusione territoriale dei sistemi integrati di piccole e medie imprese (PMI), il Mezzogiorno risulta, infatti, caratterizzato da aree di vivacità e dinamismo economico; a queste aree se ne contrappongono però altre, in cui i tratti del ritardo sociale ed economico appaiono ancora evidenti. Così, mentre alcune regioni come l’Abruzzo e il Molise hanno conosciuto un rapido processo di crescita che le ha portate, in un arco di tempo relativamente breve, al di fuori del novero delle regioni europee in “ritardo di sviluppo”, altre regioni, come la Calabria, rimangono significativamente arretrate e mostrano, soprattutto negli indicatori del mercato del lavoro, profondi divari con il resto del Paese2. Ancora, mentre in alcune zone si sono strutturati distretti industriali specializzati3 (si pensi, ad esempio, al distretto del salotto di Matera, a quelli calzaturieri di Barletta e Aversa, a quello conciario di Solofra), in altre aree del Mezzogiorno dai contesti economicamente deboli stentano ad affermarsi processi di sviluppo locale in grado di autosostenersi (ad esempio, in alcune province come quella di Reggio Calabria o ad alcune zone interne della Sicilia). Ma è soprattutto ad un livello macro che è possibile cogliere l’esistenza di significativi divari tra il Mezzogiorno e il resto del Paese; divari mostrati, ad esempio, dagli indicatori del benessere economico, dalla situazione del mercato 1 Cfr. Viesti [2000]. Nel 2001 il PIL pro capite dell’Abruzzo e del Molise è stato, rispettivamente, dell’83,1 e del 79,8 percento rispetto alla media nazionale a fronte del 67,7 del Mezzogiorno e del 64,2 percento della Calabria [SVIMEZ, 2002]. 3 Cfr. Viesti [2000]. 2 4 del lavoro (profondamente segmentato tra il Nord e il Sud del Paese), da una maggiore diffusione e incidenza della povertà, dalla carenza del sistema delle infrastrutture. Tabella 1. PIL pro capite nel Mezzogiorno e sue componenti (Centro-Nord=100) Anni 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 PIL pro capite 10.699,2 11.342,8 11.932,7 12.469,0 12.898,8 13.541,9 14.217,2 PIL pro capite 55,7 55,6 56,3 56,3 56,5 56,7 57,3 Prodotto per unità di lavoro 81,9 82,4 83,3 82,8 83,7 83,5 83,4 Unità di lavoro pro capite 68,0 67,5 67,5 68,0 67,5 67,9 68,8 Valori a prezzi correnti. Il rapporto tra unità di lavoro standard e popolazione può essere assunto come misura del tasso di occupazione. Fonte: SVIMEZ [2002]. Nonostante le positive performances di crescita economica di alcune regioni meridionali, le aree economicamente più avanzate del Paese presentano livelli del reddito pro capite significativamente più elevati rispetto a quelli delle otto regioni del Mezzogiorno, le quali - ad eccezione dell’Abruzzo e del Molise hanno un PIL pro capite inferiore al 75% della media dell’Unione europea e sono, perciò, incluse nell’Obiettivo 1, comprendente le regioni europee “in ritardo di sviluppo”. Il problema della relativa arretratezza del Mezzogiorno si pone oggi in termini certamente diversi rispetto al passato. I progressi realizzati negli ultimi cinquant’anni appaiono considerevoli: dal 1950 il reddito pro capite reale è aumentato di oltre quattro volte e i livelli di consumo nelle regioni meridionali, sebbene inferiori alla media italiana, sono tra i più elevati al mondo. Ma, nonostante il gap tra il Nord e il Sud del Paese si sia ridotto tra il 1950 e la fine del secolo, il differenziale rimane, tuttavia, ancora significativo (Figura 1). La stessa categoria di dualismo non ha, dunque , la capacità esplicativa che aveva in passato: nella seconda metà del Novecento, infatti, l’economia italiana ha assunto un’articolazione territoriale non compendiabile nel tradizionale schema Nord-Sud e, come già detto, lo stesso Mezzogiorno non può essere considerato un’area omogenea e strutturalmente arretrata. Tuttavia, sebbene in maniera diversa rispetto a cinquant’anni addietro, la “questione meridionale” è tutt’altro che risolta e torna, anzi, a riproporsi con maggiore intensità proprio nelle fasi di rallentamento dell’economia italiana. 5 140 120 100 80 60 40 20 0 1995 1996 1997 1998 Mezzogiorno 1999 2000 2001 Centro Nord Figura 1. Il divario di sviluppo 1995-20001. PIL pro capite rispetto all’indice Italia = 100. Fonte: Elaborazione su dati SVIMEZ (2001). Serie calcolata secondo lo schema SEC95 (valori a prezzi correnti). 3. Sistema creditizio e sviluppo locale 3.1. Banche e sviluppo locale Nei Paesi con sistemi finanziari sviluppati (market economies), le imprese reperiscono le risorse finanziarie necessarie all’attività di investimento attraverso il ricorso al mercato. Al contrario, nei Paesi con mercati finanziari relativamente meno sviluppati, le imprese, soprattutto quelle piccole, ricorrono prevalentemente al credito bancario (banking economies). Nonostante il recente sviluppo, in Italia il sistema finanziario e di borsa risulta ancora relativamente arretrato, per dimensione e struttura, non solo rispetto alle market economies, ma anche ad alcune banking economies: conseguentemente, per le PMI italiane, i prestiti bancari risultano la fonte predominante di finanziamento. Nel nostro Paese, le imprese quotate sono molto meno numerose (e più giovani) di quelle di altri Paesi, e il ricorso al credito bancario e commerciale è comparativamente più elevato4; in altre parole, in un’economia come quella italiana, in cui le PMI rappresentano la quota prevalente del sistema produttivo, il sistema bancario gioca un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico. La letteratura ha mostrato come il modello più efficace di finanziamento delle PMI sia rappresentato da quelle forme di relationship banking che trovano la 4 Il numero delle imprese italiane quotate, alla fine del 1999, era di 241 in Italia, di 1043 in Germania, di 968 in Francia, di 718 in Spagna [Ciocca, 2000]. 6 loro origine in un patrimonio di rapporti duraturi, fiduciari, basati sulla conoscenza reciproca tra istituzione bancaria e impresa. [Banerjee et al., 1994]. L’esistenza di tali rapporti tende, infatti, a ridurre le asimmetrie informative (selezione avversa, azzardo morale) tipiche del mercato creditizio e si può tradurre in una disponibilità di linee di finanziamento relativamente più vantaggiose per le imprese [Vecchione, 2001]. Nel quadro sopra delineato, i piccoli istituti di credito possono essere considerati attori della crescita economica locale. Tali istituti, caratterizzati da una forte connotazione locale, sembrano, infatti, capaci più dei grandi gruppi di instaurare i rapporti di relationship banking di cui si gioverebbero principalmente le PMI. A sostegno di tale visione, è possibile evidenziare come le banche con forte radicamento territoriale siano in grado di sfruttare il patrimonio di conoscenze sull’economia e la società locale, riducendo così le asimmetrie informative e stabilendo delle relazioni fiduciarie con gli operatori del luogo che consentono, spesso, lo stabilirsi di linee di credito durature, basate su una valutazione delle strategie e dei progetti d’investimento delle imprese [Vecchione, 2001]. I rapporti tra localismo bancario e crescita locale in Italia sono stati esaminati, tra gli altri, da Ferri e Mattesini [1997]. Questa linea di ricerca ha individuato una correlazione positiva tra “grado di bancarizzazione” e sviluppo economico. Altri studi hanno confermato l’ipotesi secondo la quale le banche di credito cooperativo dispongano, in media, di informazioni migliori sulla qualità della propria clientela; incorrendo in minori asimmetrie informative, questi istituti beneficiano di un minor grado di rischiosità dei prestiti [Cannari e Signorini, 1997]. In ogni caso, il modello di relationship banking appare molto distante dalla pratica delle banche italiane e, inoltre, lo strutturarsi di un modello di questo tipo non sembra associabile con l’aumento della concentrazione bancaria [Giannola, 2002]. Accanto alle caratteristiche positive sopra delineate se ne affiancano altre negative, che rendono il ruolo dei piccoli istituti di credito più controverso. In primo luogo, e a differenza dei grandi gruppi, le piccole banche tendono, spesso, a presentare inefficienze gestionali dovute alla modesta dimensione operativa e di mercato che le caratterizza, per cui la loro esistenza è legata, spesso, a condizioni di “quasi monopolio” sui mercati locali. In secondo luogo, le piccole banche 7 possono risentire dei condizionamenti provenienti dal sistema economico e socioistituzionale degli specifici contesti territoriali, che determinano distorsioni nei meccanismi di allocazione del credito. In anni recenti, la funzione degli istituti creditizi nella crescita delle economie locali è stata esaminata nella letteratura sui distretti industriali5. Il ruolo ausiliario delle banche alle imprese dei distretti, già posto in rilievo dai coniugi Marshall nel 1879, è stato analizzato da Giacomo Becattini che ha definito le banche locali come parti del sistema infrastrutturale distrettuale. All’interno dei distretti è possibile osservare una stretta integrazione tra il sistema produttivo e quello creditizio: la ricerca empirica ha mostrato, infatti, come sia individuabile una sorta di “effetto distretto” che riduce il costo dei prestiti bancari e migliora l’accesso ai finanziamenti per le PMI. In particolare, è stato evidenziato come la localizzazione dell’attività d’impresa influenzi le condizioni di accesso al credito: “A parità di dimensioni e performance, le imprese localizzate al Sud hanno un costo del credito e vincoli finanziari più elevati che quelle del Centro-Nord” [Finaldi Russo e Rossi, 2000, p. 229]. In particolare, gli autori citati individuano l’esistenza di un “effetto distretto” che riduce il costo dei prestiti e facilita l’accesso al credito. L’analisi empirica non esclude, tuttavia, che gli effetti positivi sui finanziamenti – minori tassi e minor razionamento - siano dovuti semplicemente al fatto che le imprese distrettuali ottengono, in media, performances migliori rispetto alle altre, non esistendo conferme sull’esistenza di un “rapporto speciale” tra banche e imprese all’interno dei distretti [Pagano, 2000]. L’effetto distretto potrebbe essere spiegato, quindi, “da una situazione ambientale più favorevole – almeno in condizioni normali – all’attività di intermediazione creditizia; con tutta probabilità, un maggiore diffusione e una realtà economica ricca e integrata sono elementi positivi, che si riflettono sulle condizioni di accesso al credito” [Finaldi Russo e Rossi, 2000, cit. p. 229]. Visto da questa prospettiva, al di là delle relazioni di causalità, il mercato creditizio italiano risulta localmente segmentato: all’interno dei distretti si osservano comportamenti virtuosi degli operatori che stimolano la crescita dell’economia locale e che difficilmente si ripropongono in aree caratterizzate da un sistema produttivo più debole, costituito da imprese distribuite in maniera 5 Cfr. Signorini [2000] e i vari saggi ivi contenuti. 8 puntiforme sul territorio e, quindi, incapace di offrire quelle esternalità positive tipiche dei sistemi territoriali di PMI6. Ma più che le connotazioni locali sono, comunque, le differenziazioni regionali nel costo e nella disponibilità del credito che si osservano nel nostro Paese ad emergere, ancora oggi, con particolare evidenza. 4. Il sistema creditizio del Mezzogiorno 4.1. Le trasformazioni degli anni Novanta I legami tra sistema bancario e crescita economica sono stati ampiamente indagati dalla letteratura economica italiana; l’esistenza di significative differenze nel costo e nella disponibilità del credito tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord ha, infatti, posto all’attenzione degli economisti le tematiche legate al ruolo svolto dal sistema creditizio nei processi di sviluppo regionale già da qualche decennio7. Come accennato in precedenza, nel corso degli anni Novanta il sistema creditizio italiano è stato interessato da una profonda mutazione. La portata dei cambiamenti intervenuti si è manifestata anche nelle operazioni di concentrazione; nel periodo 1990-2000, il sistema bancario nazionale è stato, infatti, interessato da 229 acquisizioni; tra il 1990 e il 2001 le fusioni e le acquisizioni bancarie hanno riguardato il 13,7% dei fondi intermediati [Banca d’Italia]. Specificamente, il sistema bancario del Mezzogiorno è stato interessato non soltanto dalle trasformazioni interne al settore creditizio ma ha visto tali dinamiche intrecciarsi con quelle, più generali, dell’economia meridionale. Come afferma Giannola [2002, p. 25]: “Le banche meridionali sono coinvolte nel repentino e progressivo sfaldarsi del modello di economia assistita che, dopo la fine delle politiche di industrializzazione del periodo 1960-1973, ha dominato il Sud”. 6 A tal proposito, si ricorda come i distretti industriali nel Mezzogiorno abbiano una diffusione considerevolmente inferiore rispetto a quella del Centro-Nord. Le elaborazioni condotte sui dati del censimento intermedio 1996 consentono l’individuazione di 220 Sistemi locali manifatturieri di piccole e medie imprese (SPMI) sul territorio nazionale. Di questi, 191 si trovano nel Centro-Nord e 29 nel Mezzogiorno. Mentre un terzo della popolazione delle regioni centro-settentrionale risiede in un SPMI (o area di addensamento produttivo), tale quota scende al 5,5% nel Mezzogiorno [SVIMEZ, 1999]. 7 A titolo esemplificativo è possibile consultare: Marzano e Murolo [1984]; Galli-Onado [1990]; Jossa [1996]; Pepe [1999]; Imbriani-Lopes [1990]; Lopes [2001]; Giannola [2002]. 9 Per il sistema bancario del Mezzogiorno, i cambiamenti degli anni Novanta si manifestano, in primo luogo, attraverso un numero elevato di acquisizioni e con un aumento della concentrazione (dovuto al fatto che le acquisizioni hanno avuto come target principalmente piccoli istituti, soprattutto di credito cooperativo, operanti su scala locale). Nella Tabella 2 si riportano i dati relativi alle acquisizioni effettuate nel periodo 1990-2000 nelle regioni meridionali e nelle altre ripartizioni territoriali. Tabella 2. La concentrazione bancaria. Operazioni di acquisizione nel periodo 1990-2000 Regioni Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Mezzogiorno Nord Centro Italia Totale 8 3 14 16 6 11 28 3 89 92 33 229 Acquisizioni Interne all’area 1 0 0 4 0 0 2 2 9 80 7 105 In % 3,5 1,3 6,1 7,0 2,6 4,8 12,2 1,3 38,9 40,2 14,4 100,0 Fonte: Laboratorio Monetario (2002) I dati mostrano come il Mezzogiorno e il Nord del Paese siano stati interessati da una quota di acquisizioni simile (39% a fronte del 40%); tuttavia, i processi sono stati sostanzialmente diversi: mentre nel Nord la quasi totalità delle acquisizioni è avvenuta all’interno della stessa ripartizione territoriale, nel Mezzogiorno solo 9 acquisizioni su 89 sono state realizzate da banche avente sede legale nell’area. Le implicazioni derivanti da tale dinamica sono evidenti: nel corso degli anni Novanta, un numero elevato di banche locali è stato acquisito da gruppi bancari esterni. Nel quinquennio 1996-2001, il numero di banche con sede legale nelle regioni meridionali è diminuito di circa un terzo; questa diminuzione si è accompagnata con l’ingresso delle principali banche meridionali in gruppi bancari nazionali. Complessivamente, la quota di mercato delle banche del Mezzogiorno è diminuita di 5 punti percentuali, attestandosi al 6,9%. Nella Tabella 3, in cui si riporta il numero di banche per regione, è possibile osservare come, nel periodo considerato (1989-2001), il numero di banche presenti nel Mezzogiorno sia diminuito di 56 unità. 10 Tabella 3. Numero di banche per regione (1989-2001) Regioni Piemonte Valle D’Aosta Lombardia Liguria Trentino A. A. Veneto Friuli Venezia G. Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Nord Ovest Nord Est Centro Sud Isole Italia 1989 75 12 222 36 191 127 68 123 86 30 54 133 42 21 88 77 37 58 107 15 345 509 303 323 122 1602 1997 69 14 227 41 167 123 57 114 93 35 59 143 57 28 92 59 35 50 73 15 351 461 330 321 88 1551 1999 68 14 232 44 142 124 58 119 101 38 60 142 50 26 88 58 35 42 65 17 358 443 341 299 82 1523 2001 82 16 242 50 139 139 62 124 109 39 66 164 47 30 83 61 32 42 71 23 390 464 378 295 94 1621 Variazione 7 4 20 14 -52 12 -6 1 23 9 12 31 5 9 -5 -16 -5 -16 -36 8 45 -45 75 -28 -28 19 Fonte: Banca d’Italia. Nonostante si sia verificata una crescita degli sportelli, la diffusione territoriale del sistema creditizio nel Mezzogiorno risulta ancora più contenuta rispetto al resto del Paese: come mostra la Figura 2, la quota di comuni bancati % comuni bancati dell’area è ancora significativamente inferiore rispetto al resto del Paese. 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Mezzogiorno Centro Nord Italia Figura 2. Quota % di comuni bancati (2001). Fonte: Banca d’Italia (2001). Tra le ragioni principali dell’espansione dei grandi gruppi bancari verso le regioni meridionali vi può essere stata l’attrattiva offerta dalle capacità di risparmio riscontrabile in queste regioni. Una conferma indiretta di tale tesi 11 proviene dal rapporto tra prestiti e depositi nelle due aree territoriali il cui andamento è illustrato nella Figura 3. 200 150 100 50 0 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 CN MEZ Figura 3. Mercati di raccolta e d’impiego. Rapporto percentuale tra prestiti e depositi bancari (1991-2001). Fonte: Banca d’Italia; SVIMEZ. Nella Figura è possibile osservare come il rapporto prestiti/depositi nel Mezzogiorno sia significativamente più basso rispetto a quello riscontrabile nel resto del Paese. Nelle regioni meridionali, dunque, il livello degli impieghi tende ad essere comparativamente inferiore: esse sono mercati di raccolta del risparmio il quale viene “drenato”, per successivi impieghi, verso altre regioni del Paese con rendimenti maggiori o con minore rischiosità. 4.2. I differenziali nel costo del denaro Il nostro Paese è caratterizzato da significativi differenziali interregionali nei tassi d’interesse attivi. Ovviamente, il più elevato costo del credito nelle regioni meridionali è considerato, non solo dalla letteratura economica, come un vincolo al processo di accumulazione del capitale, e quindi di crescita, del sistema produttivo meridionale [Marzano e Murolo, 1984; D’Acunto, 1994; Jossa, 1996]. Il differenziale nel costo dei prestiti può essere imputato a diverse ragioni non mutualmente escludentesi. La prima ragione può essere ricercata nella struttura del sistema creditizio meridionale. Un grado di concentrazione comparativamente più elevato può, infatti, ridurre la concorrenza e, per il “potere di mercato” che attribuisce agli operatori locali, consentire la fissazione di tassi più elevati. In effetti, il sistema 12 creditizio meridionale si presenta storicamente più concentrato rispetto a quello del Centro-Nord: alcuni studi evidenziano, infatti, come già dai primi anni ’40 (e perlomeno fino ai primi anni Novanta) il sistema bancario meridionale fosse caratterizzato da un grado di concentrazione relativamente elevato [D’Onofrio e Pepe, 1990]. Nel Mezzogiorno, mentre due grandi banche locali (Banco di Napoli e Banco di Sicilia) hanno a lungo detenuto una larga quota di mercato, nelle quote residue, un’elevata frammentazione dell’offerta, costituita da piccole banche locali non in grado di operare (per la modesta dimensione) in maniera efficiente, non ha favorito le pressioni al ribasso dei tassi. Una seconda ragione può essere fatta risalire alla rischiosità dei prestiti: un indice di rischio maggiore determina remunerazioni (tassi attivi) più elevati. Il termine “rischiosità” può essere inteso in un’eccezione ampia come rischio (o minore redditività) dell’attività d’impresa oppure, in senso più specifico, come rischio del prestito stesso, il cui indice è dato dal rapporto tra sofferenze e impieghi. Infine, una terza causa dei differenziali interregionali nei tassi può essere ricercata nel livello medio dei costi sostenuti dalle aziende di credito: maggiori costi operativi dell’attività bancaria tendono a determinare tassi (e quindi margini di intermediazione) comparativamente più elevati. I maggiori costi diretti o, alternativamente, la minore produttività, delle banche meridionali andrebbero, dunque, a spiegare l’esistenza di un margine di intermediazione superiore rispetto a quello medio nazionale [Marullo Reedz, 1990]. Se si guarda ai dati relativi al periodo 1996-2001 (Tab. 4) si osserva una sensibile diminuzione dei tassi (attivi e passivi) praticati dal sistema bancario nazionale; nell’arco di tempo considerato, i tassi attivi sono diminuiti di oltre 5 punti percentuali, quelli passivi di oltre 4; il margine d’intermediazione bancaria è stato, quindi, lievemente compresso (in termini percentuali) da tali flessioni. Nel periodo considerato, gli indicatori di dispersione – range e deviazione standard hanno conseguentemente subito una diminuzione (Tab. 5). Tabella 4. Costo e remunerazione del credito. Tassi attivi e passivi a breve e margine d’intermediazione (1996-2001) Regioni Piemonte Tassi attivi a breve Tassi passivi a breve 1996 1998 2001 1996 1998 2001 Spread 2001 10,67 6,56 6,2 5,91 2,36 1,7 4,5 13 Valle D’Aosta Lombardia Liguria Trentino A. A. Veneto Friuli Venezia G. Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia 12,59 8,16 7,8 5,85 2,49 1,6 6,2 10,33 6,17 5,5 5,86 2,59 1,8 3,7 11,47 7,62 7 5,98 2,36 1,5 5,5 11,37 7,24 6,4 6,03 2,34 1,8 4,6 11,2 7,16 6,8 6,2 2,59 1,8 5 11,08 6,8 6,8 5,96 2,54 1,7 5,1 10,8 6,49 5,9 6,1 2,38 1,8 4,1 11,42 7,13 6,6 6,15 2,84 1,9 4,7 12,4 8,56 7,5 6,27 2,93 1,9 5,6 10,95 6,94 6,2 6,13 2,35 1,8 4,4 11,26 7,57 6,2 5,78 2,63 2 4,2 13,01 8,59 7,6 5,77 2,44 1,5 6,1 13,9 9,36 8,2 5,59 2,14 1,5 6,7 12,9 8,52 8 5,4 2,28 1,6 6,4 13,33 8,57 7,9 6,03 2,53 1,7 6,2 15,22 9,27 8,3 5,66 2,32 1,7 6,6 14,7 9,77 9,4 5,9 2,51 1,5 7,9 13,54 9,48 7,6 6,14 2,88 2 5,6 12,71 9,51 7,9 5,63 2,48 1,7 11,11 6,89 6,1 5,94 2,75 1,8 6,2 4,3 Fonte: Banca d’Italia. Nonostante la flessione dei tassi abbia interessato l’intero territorio nazionale, si osservano ancora significativi differenziali interregionali nei tassi attivi, mentre quelli passivi mostrano scarti molto più contenuti rispetto alla media nazionale. Lo spread ha il suo valore minimo in Lombardia (3,7), quello massimo in Calabria (7,9); il differenziale tra quest’ultima regione e la media nazionale nei livelli dei tassi attivi è di 3,3 punti. Differenziali ancora maggiori si riscontrano, poi, a livello provinciale8. Tabella 5. Indici di dispersione dei tassi d’interesse Indici Massimo Minimo Range Massimo/min. Coeff. Var. 1996 15,22 10,33 4,89 1,47 1,36 Tassi attivi a breve 1999 2001 9,77 9,40 6,17 5,50 3,60 3,90 1,58 1,71 1,12 0,96 1996 6,27 5,40 0,87 1,16 0,22 Tassi passivi a breve 1998 2001 2,93 2,00 2,14 1,50 0,79 0,50 1,37 1,33 02,0 0,20 Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia Esaminiamo ora la correlazione esistente tra rischiosità e costo dei prestiti. L’indice di rischio considerato è dato dal rapporto tra sofferenze e impieghi. Come è possibile osservare nella Tabella 6, l’indice regionale presenta un’ampia 8 Nello stesso anno, i tassi a breve nella provincia di Vibo Valentia (al 1° posto nella graduatoria provinciale italiana per onerosità dei prestiti) erano di 9,96 punti, in quella di Milano (al 103° posto) erano di 5,79. Fonte: Banca d’Italia. 14 variabilità; in particolare, esso assume valori sensibilmente più elevati rispetto alla media nelle regioni meridionali. Il valore più elevato di rischio si riscontra nelle Isole (16,6), seguite dal Sud (12,5) e dalla regioni del Nord, in cui il valore scende al 2,5. E’ da notare, tuttavia, che la rischiosità del credito presenta una netta diminuzione, nel periodo in esame, in tutto il territorio nazionale9. Tabella 6. La rischiosità del credito. Rapporto tra sofferenze e impieghi (1996-2001). Regioni 1996 1999 2001 Piemonte 4,7 3,7 2,7 Valle D’Aosta 6,7 6,1 2,5 Lombardia 5,5 3,7 2,3 Liguria 10,1 8,5 5,6 Trentino A. A. 3,3 2,2 1,6 Veneto 6,8 4,5 2,5 Friuli Venezia G. 6,4 3,9 2,6 Emilia Romagna 6,3 3,7 2,7 Toscana 8,7 6 3,3 Umbria 10,3 6,4 4,8 Marche 8,4 6,2 4 Lazio 9,4 8,3 5,8 Abruzzo 16,1 12 8,2 Molise 22,2 12 9,3 Campania 22,1 16,3 10,7 Puglia 21,4 20 13,7 Basilicata 23,5 22,8 19,1 Calabria 25,5 23,2 18,9 Sicilia 31,8 28,9 18 Sardegna 15 15 13,6 Nord Ovest 5,6 4,0 2,5 Nord Est 6,2 3,9 2,5 Centro 9,2 7,4 4,9 Sud 21,6 17,8 12,5 Isole 27,2 25,0 16,6 Italia 9,8 7,3 4,7 Fonte: Banca d’Italia. Nella Figura 4 la correlazione esistente tra rischiosità dei prestiti e tassi attivi nelle venti regioni italiane è rappresentata in un grafico di dispersione. Il coefficiente di determinazione R2 assume un valore significativo, per cui ben il 63% dei valori dei tassi può essere spiegato dalla rischiosità dei prestiti. 9 Come osserva Giannola [2002], le sofferenze bancarie aumentano, nel Mezzogiorno, a partire dal 1993 per l’azione congiunta della crisi economica e della cessazione dell’intervento straordinario. 15 10 Tassi attivi 8 6 4 2 0 0 5 10 15 20 25 R2 = 0,63 Indice di rischio Figura 4. Correlazione tra rischiosità dei presti (sofferenze/impieghi) e costo del credito (tassi attivi). Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia. Prima di esaminare alcuni indici fondamentali di rischio del sistema delle imprese, guardiamo alla composizione dei prestiti erogati dal sistema bancario nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord. La Tabella 7 ne riporta i valori assoluti e la composizione percentuale per tipologia di controparte (amministrazioni, società, famiglie, ecc..). Come mostrato dalla tabella, le differenze nella struttura dei prestiti tra le due macroregioni riguardano, in particolare, le società finanziarie e le finanziarie (ma anche le società non finanziarie, cioè le imprese) che nel Mezzogiorno hanno un peso comparativamente inferiore; a ciò si accompagna un peso comparativamente maggiore dei prestiti erogati alle famiglie consumatrici. Tali differenze mostrano, quindi, le differenze regionali nella struttura del sistema finanziario e il peso maggiore che il credito alle famiglie ha nel Mezzogiorno. Tabella 7. Prestiti bancari per settori al 31 dicembre 2001. Settori Amministrazioni P. Società finanziarie e assicurative Finanziarie di partecipazione Società non finanz. e imprese individuali Famiglie consumatrici e altre unità Totale Mezzogiorno Prestiti 5933 % 5,11 Centro-Nord Prestiti 50310 5080 4,38 112443 13,77 117524 12,60 307 0,26 34930 4,27 35238 3,78 65248 56,26 472650 57,89 537898 57,69 39409 115977 33,98 100 146085 816418 17,89 100 185501 932404 19,89 100 % 6,16 Italia Prestiti 56243 % 6,03 Nota: consistenze di fine periodo in milioni di euro e composizione percentuale. I dati sono riferiti alla residenza della controparte. I prestiti comprendono i p/t attivi. Fonte: Banca d’Italia (2002). Oltre al rapporto tra sofferenze e impieghi, anche gli indicatori di struttura finanziaria delle imprese possono fornire utili indicazioni sulla rischiosità dei prestiti; tra questi indicatori, i livelli d’indebitamento bancario e totale risultano 16 fondamentali. Un grado maggiore d’indebitamento (soprattutto se a breve termine) può indicare, infatti, una fragilità della struttura finanziaria dell’impresa e, quindi, un grado più elevato di rischio. 150,3 160 135,9 140 133,2 115,3 120 100 80 61,9 70,6 71,1 68,4 58,7 64,2 73,5 56,1 60 40 20 0 Nord O. Nord E. Centro Indebitamento bancario Indebitamento a breve Mezzogiorno Indebitamento Figura 5. Struttura finanziaria delle imprese (2000). Legenda: Indebitamento bancario: debiti bancari/debiti totali; indebitamento a breve: debiti bancari a breve/ debiti bancari totali; indebitamento: debiti/valori aggiunto. Fonte: Banca d’Italia. La Figura 5 mostra come le imprese del Mezzogiorno abbiano un livello di indebitamento medio – rapporto tra debiti e valore aggiunto – significativamente maggiore di quello riscontrabile nel resto del Paese. Anche l’indebitamento bancario assume valori lievemente maggiori nelle imprese meridionali le cui passività, tuttavia, sono comparativamente meno sbilanciate verso il breve termine. I dati mostrano come il maggiore livello di indebitamento del sistema imprenditoriale meridionale – che, peraltro, si accompagna ad una dimensione media delle imprese significativamente inferiore – e il livello di rischiosità dato dal rapporto tra sofferenze e impieghi, contribuiscano a spiegare in misura significativa il differenziale nei tassi attivi riscontrabile nel Mezzogiorno. Questa evidenza empirica va contestualizzata nei cambiamenti che il sistema bancario meridionale ha conosciuto negli ultimi anni e che tendono a tradursi nella ricerca di una maggiore efficienza. L’accesso e il costo del credito sono correlati al grado di efficienza stesso: un sistema bancario efficiente non implica, infatti, un livellamento delle condizioni praticate – in termini di accesso e costo del credito - in presenza di situazioni differenziate; al contrario, l’efficienza conduce: 17 - alla diversificazione dei tassi attivi in base al rischio: tassi maggiori a clienti più rischiosi; - al razionamento del credito, cioè alla selezione della clientela in base al rischio e alle garanzie offerte. La correlazione esistente tra rischiosità e costo dei prestiti bancari è stata esaminata in precedenza, sia attraverso il rapporto tra sofferenze e impieghi, sia per mezzo degli indici di struttura finanziaria delle imprese nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno. Come abbiamo visto, il sistema bancario meridionale è stato oggetto di un numero consistente di acquisizioni che hanno ridotto il numero di banche con sede legale nelle regioni del Sud e consentito l’ingresso di operatori operanti su scala nazionale. Tale dinamica di mercato dovrebbe migliorare l’efficienza del sistema creditizio locale (grazie alle maggiori economie di scala dovute all’ingresso di grandi gruppi bancari nazionali) e quindi spingere ad una progressiva diminuzione dei tassi attivi. Tuttavia, l’acquisizione di piccole banche locali ha fatto perdere al sistema bancario del Mezzogiorno il suo radicamento con l’economia e le istituzioni locali. La ricerca di una maggiore efficienza, unitamente alla diminuzione delle banche locali potrebbe, perciò, determinare un aumento del razionamento del credito. I fenomeni di razionamento possono essere analizzati attraverso un altro rapporto significativo: il rapporto tra credito utilizzato e accordato. Nella Tabella 8 si riportano i valori del rapporto per i settori economici nelle varie ripartizioni territoriali. Tabella 8. Rapporto tra credito utilizzato e accordato nelle ripartizioni territoriali per settori di attività economica Settori Agricoltura Industria Costruzioni Servizi Nord 68,3 48,9 64,9 60,6 Centro 83,8 53,6 78,6 63,6 Mezzogiorno 88,7 61,0 73,1 66,8 Italia 74,1 50,7 59,0 61,8 Fonte: Banca d’Italia L’indice assume valori mediamente più elevati nelle regioni meridionali, in particolare nei settori dell’agricoltura e delle costruzioni. Ricordiamo, in primo luogo, che tali settori sono, in particolare nelle regioni meno sviluppate del Mezzogiorno, quelli di specializzazione relativa; segnatamente, l’agricoltura riveste, nelle regioni meridionali, un peso comparativamente elevato, sia in termini di contributo al valore aggiunto, sia in termini di occupazione. In questi due settori 18 i livelli del rapporto considerato rivelano una “tensione tra domanda e offerta di credito” che rivela, seppur come proxy, l’esistenza di fenomeni di razionamento10. 4.3. Sviluppo economico e costo del credito La possibilità di accesso al credito bancario costituisce una conditio sine qua non dello sviluppo economico regionale: maggiori costi dei prestiti si traducono in un minor processo di accumulazione del capitale e, quindi, in una minore capacità di produzione dell’economia. Ciò, ovviamente, non implica che le forme di razionamento o di diversificazione del prezzo del denaro non siano, da un punto di vista economico, necessarie o desiderabili. In questa sezione prenderemo in esame alcune delle relazioni esistenti tra sviluppo economico e sistema bancario. Il rapporto tra prestiti e depositi bancari considerato in precedenza, mostra come il Mezzogiorno sia principalmente un mercato di raccolta, non d’impiego, del risparmio bancario. Ciò segnala come le risorse finanziarie (provenienti dal sistema creditizio) siano, in quest’area, utilizzate in misura inferiore rispetto al Centro-Nord. Quest’evidenza è rafforzata dai valori assunti dal rapporto tra impieghi e PIL nelle due aree territoriali; come mostra la Figura 6, nel Mezzogiorno gli impieghi costituiscono una quota significativamente inferiore del prodotto, e ciò sembra indicare come il sistema produttivo dell’area utilizzi una quota considerevolmente inferiore, rispetto al resto del Paese, delle risorse finanziarie rese disponibili dal sistema bancario. Tale evidenza è sottolineata anche nel rapporto “Osservatorio Monetario” del Laboratorio Monetario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (vedesi bibliografia), in cui si evidenzia anche come il razionamento sia apprezzabile, per il Mezzogiorno, in tutte le classi di accordato e, segnatamente, per le imprese di maggiore dimensione [cit. pp. 73-74]. Cfr. anche Lopes [2001]. 10 19 100 80 60 40 20 0 1996 1999 CN 2001 MEZZ Figura 6. Rapporto tra impieghi bancari e PIL nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord (19962001). Fonte: Elaborazioni su dati Banca d’Italia e Svimez. La verifica di una possibile correlazione tra crescita e grado di bancarizzazione regionale può essere esaminata attraverso l’analisi di regressione. L’esame da noi condotto riguarda i tassi di crescita medi annui delle regioni italiane nel periodo 1996-2001 e gli “indici di bancarizzazione” rappresentati dal numero di banche (banks) e di sportelli bancari (counters) nel 1996 (per entrambe le variabili si è fatto riferimento solo agli istituti con sede legale nella regione).11 I risultati della regressione, riportati nella Tabella 9, non individuano correlazioni significative tra le variabili suddette. Tabella 9. Output della regressione R al quadrato R al quadrato corretto Intercetta Banks96 Counters96 Significatività F Durbin -Watson 0,048579551 -0,063352266 1,92697757 (8,908442811) 0,003572381 (0,678238388) -0,000244159 (-0,931088832) 0,654886581 1,742567086 Le correlazioni tra rischiosità degli impieghi, tassi d’interesse e livello di sviluppo economico sono di seguito esaminate attraverso dei grafici (scatter). Tali correlazioni appaiono, ovviamente, significative; la causalità tra le variabili va nella seguente direzione: livelli di sviluppo inferiori determinano maggiore rischiosità dei prestiti e, quindi, tassi attivi più elevati. Le correlazioni sono rappresentate dalle Figure 7 e 8; in esse si pongono, rispettivamente, in relazione i livelli del PIL pro capite rispetto alla media nazionale con l’indice di rischio e con 11 Fonti: Per il tasso di crescita SVIMEZ [2001], per le altre variabili Banca d’Italia [1997]. 20 i tassi attivi. I valori del coefficiente di determinazione mostrano l’esistenza di una correlazione negativa e significativa tra sviluppo economico, rischio e prezzo dei prestiti. Conseguentemente, risulta una correlazione positiva tra tassi di disoccupazione e costo del denaro (Fig. 9). Inoltre, una correlazione dello stesso segno lega tra loro il livello di sviluppo e gli impieghi bancari nella regione (Fig. 10). In breve, maggiore è il reddito pro capite regionale, minore è l’effetto di razionamento del credito e maggiore il volume degli impieghi bancari nella regione stessa; le relazioni qui esposte appaiono, dunque, al centro di una sorta di “causazione circolare” che si autoalimenta. Indice di rischio 25 20 15 10 5 0 50 70 90 110 PIL pro capite 130 150 R2 = 0,7529 Figura 7. Correlazione tra livello di sviluppo e rischiosità dei prestiti nelle regioni italiane (2001). Fonte: Elaborazioni su dati SVIMEZ e Banca d’Italia. 10 Tassi attivi 8 6 4 2 0 50 70 90 110 PIL pro capite 130 150 R2 = 0,6183 Figura 8. Correlazione tra livello di sviluppo e costo dei prestiti nelle regioni italiane (2001). Fonte: Elaborazioni su dati SVIMEZ e Banca d’Italia. 21 Tassi attivi 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 0 5 10 15 20 Tassi di disoccupazione 25 30 R2 = 0,5656 Figura 9. Correlazione tra disoccupazione e costo dei prestiti nelle regioni italiane (2001). Fonte: Elaborazioni su dati SVIMEZ e Banca d’Italia. Impieghi/depositi 2,50 2,00 1,50 1,00 0,50 0,00 0,00 20,00 40,00 60,00 80,00 100,00 120,00 140,00 PIL pro capite R2 = 0,4871 Figura 10. Correlazione tra livello di sviluppo e rapporto tra impieghi e depositi nelle regioni italiane (2001). Fonte: Elaborazioni su dati SVIMEZ e Banca d’Italia. 5. Osservazioni conclusive: sistema creditizio e sviluppo economico del Mezzogiorno Le profonde trasformazioni che hanno interessato il sistema bancario nazionale si sono tradotte, nel Mezzogiorno, in una serie di acquisizioni che, accrescendo quote di mercato degli operatori con sede nelle regioni del CentroNord, hanno ridotto il numero di banche locali. Il mutamento degli scenari del credito non ha, ancora, determinato significativi cambiamenti nei caratteri del sistema bancario meridionale e nei rapporti tra questo e le imprese. Nel Mezzogiorno il margine di intermediazione bancaria rimane più elevato di quello nazionale e il grado di concentrazione del 22 mercato non si è modificato in termini sostanziali. Inoltre, le regioni meridionali rimangono (pur in presenza di una propensione al risparmio analoga al resto del Paese) ancora mercati di raccolta e non d’impiego: i risparmi raccolti nell’area finanziano regioni meno rischiose, o più remunerative, per gli istituti creditizi. Il sistema produttivo dell’area beneficia, quindi, delle risorse finanziarie provenienti dal sistema bancario in misura inferiore rispetto al Centro-Nord. I differenziali nei tassi attivi possono essere imputati alla rischiosità degli impieghi che rimangono, nel Mezzogiorno, sensibilmente maggiori rispetto alla media nazionale. Un ruolo non secondario, nella spiegazione di tale evidenza, è giocato, secondo una letteratura oramai consolidata, dalla presenza di asimmetrie informative nei rapporti tra banche e imprese [cfr. Lopes, 2001]. I fenomeni sopra delineati sono alla base di un circolo vizioso: le asimmetrie informative e l’elevato rapporto tra sofferenze e impieghi determinano un’allocazione inefficiente del credito, poiché generano tensioni al rialzo sui tassi attivi pagati, ovviamente, anche dalle imprese più competitive. La sostanziale riduzione (a seguito delle acquisizioni) del numero di banche di dimensione locale ha generato, nel Mezzogiorno, effetti di segno opposto dal risultato ancora incerto. Se da un lato, infatti, l’assorbimento dei piccoli istituti ha causato la perdita del patrimonio di rapporti tra banche ed economia locale – rapporti che, come evidenzia una recente letteratura empirica, hanno effetti positivi sullo sviluppo -, da un altro lato esso spinge verso un accrescimento dell’efficienza del sistema bancario del Mezzogiorno. L’analisi di regressione mostra, comunque, come non sia possibile individuare una correlazione tra grado di bancarizzazione e tasso di crescita regionale: quest’ultima variabile non dipende dal numero di banche locali e dalla diffusione degli sportelli bancari. Esiste, invece, una correlazione elevata tra i valori dei tassi attivi e il grado di sviluppo – e di “rischiosità” - del sistema economico regionale (o provinciale): tanto maggiore è il livello di sviluppo, tanto minori sono i tassi. Inoltre, anche gli impieghi bancari crescono al crescere dei livelli del reddito medio regionale. Si configura, così, uno dei tanti “circoli viziosi”, nello stesso tempo causa ed origine dell’arretratezza economica. Se la discriminazione nei prezzi praticati alla clientela e il razionamento del credito in base al rischio sono caratteristiche imprescindibili di un sistema 23 finanziario efficiente, è innegabile che il maggior costo del denaro e i fenomeni di razionamento (dettati anche da asimmetrie informative) siano vincoli molto forti allo sviluppo economico. In quest’ottica, il rapporto tra sistema creditizio e imprese nel Mezzogiorno appare ancora complesso, soprattutto nella fase attuale, in cui le dinamiche dello sviluppo meridionale sono legate, più che in passato, alle risorse endogene e alle capacità degli operatori locali. Ed è proprio in questa fase, in cui sussidiarietà, decentramento e approccio “bottom-up” appaiono quasi come “parole d’ordine” della “nuova programmazione”, che la ricerca di un maggiore radicamento delle banche nei contesti territoriali potrebbe risultare un elemento fondamentale per lo sviluppo locale. La complessità dei rapporti tra banche e imprese nel Mezzogiorno e l’importanza che un sistema bancario efficiente riveste per lo sviluppo regionale, richiamano la necessità di interventi di policy che minimizzino, anche favorendo lo sviluppo di forme alternative di accesso al credito, uno dei vincoli più significativi alla crescita del sistema produttivo delle regioni più arretrate del Paese. 24 Riferimenti bibliografici Banca d’Italia (1997), Sintesi delle note sull’andamento dell’economia nelle regioni italiane nel 1996, Roma. Banca d’Italia (1998), Sintesi delle note sull’andamento dell’’economia nelle regioni italiane nel 1997, Roma. Banca d’Italia (1999), Sintesi delle note sull’andamento dell’’economia nelle regioni italiane nel 1998, Roma. Banca d’Italia (2000), Sintesi delle note sull’andamento dell’’economia nelle regioni italiane nel 1999, Roma. Banca d’Italia (2001), Sintesi delle note sull’andamento dell’’economia nelle regioni italiane nel 2000, Roma. 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