SIGMUND FREUD ( 1856-1939) Freud e Nietzsche vengono

SIGMUND FREUD ( 1856-1939)
Freud e Nietzsche vengono solitamente accostati perché entrambi, seppur in
modi diversi, sul finire dell'Ottocento scardinano alcune certezze fondamentali
della civiltà occidentale: se Nietzsche aveva "trasvalutato" tutti i valori
fondamentali dell'Occidente, ora Freud distrugge la certezza dell'Io, sulla quale
si è costruita la nostra civiltà e che, a seconda delle epoche storiche, è stata
definita "Io", "Spirito", "Anima", ecc. E non a caso l'intera filosofia moderna, dal
Medioevo fino all'Ottocento aveva fatto perno sulla nozione di Io,
dal cogito cartesiano all' Io penso kantiano allo spiritohegeliano, e tale nozione
era stata scoperta, molti secoli prima, da Socrate, dato che, prima di lui, l'anima
restava un qualcosa di sfumato che non si identificava con la persona, tant'è che
per gli Orfici essa era la parte divina presente in noi. Ed è proprio con Socrate
che l'Io viene ad identificarsi con la coscienza, a tal punto che "Io" arriva a
significare "ciò di cui ho coscienza" (pensiamo alla res cogitans di Cartesio)
mentre, sempre gli Orfici, in direzione opposta a Socrate, avevano prospettato
l'idea che quello che loro definivano "demone" si manifestasse nei momenti di
minor coscienza (il sonno, lo svenimento, ecc). L'idea dell'identificazione
Io/coscienza, affiorata con Socrate, è diventata uno dei pilastri della civiltà
occidentale e solo in pochi hanno avuto l'ardire di metterla in discussione: tra
questi, merita di essere ricordato Plotino, il quale aveva colto, per così dire,
diversi livelli della coscienza, cosicché, oltre al livello ordinario, vi era anche
quello sovrarazionale, in grado di attingere l'Uno neoplatonico; dalla prospettiva
plotiniana emerge, seppur timidamente, l'idea che la mente non si identifichi con
l'Io e quest'idea è stata ripresa e perfezionata, nel Seicento, da Leibniz, il quale
parlava espressamente di "piccole percezioni" e di "innatismo virtuale", convinto
che nella testa dell'uomo esistessero nozioni di cui non si ha coscienza, quasi
come se la nostra mente contenesse qualcosa che va al di là della coscienza.
Anche Hume, nell'età dell'illuminismo, smontando il concetto di sostanza, aveva
finito per distruggere insieme ad esso anche quella particolarissima sostanza
che siamo noi: in altri termini, il pensatore scozzese si era chiesto se, svuotata la
mente dai contenuti della coscienza, sarebbe potuto rimanere qualcosa ed aveva
argutamente risposto che l'Io, in fin dei conti, altro non era se non un fascio di
percezioni ed era così giunto alla conclusione che non siamo altro all'infuori
della somma delle nostre percezioni. Schopenhauer stesso leggeva l'Io come
manifestazione particolarissima e superficiale di quella realtà unitaria e
profonda che lui definiva "volontà"; tutti questi pensatori controcorrente, però,
non sono bastati per impedire che si affermasse sempre più l'idea di un Io
unitario, cosciente e razionale e che le passioni venissero considerate come
elementi quasi estranei alla nostra vera personalità. Se Schopenhauer si era
acutamente accorto che la vera natura dell'uomo, in realtà, non è la ragione, ma
la sfera passionale (tant'è che la ragione, secondo Schopenhauer, è una specie di
organo che la passione si conferisce per potersi realizzare), con Nietzsche ci
troviamo di fronte ad una vera e propria ripresa dell'idea humeana. Anche se dal
concetto di "volontà di potenza" sembra trasparire l'assoluta centralità
dell'individuo, Nietzsche smonta radicalmente la nozione di sostanza ( " l'essere
manca " afferma Zarathustra) e dal suo venir meno si sgretola pure quella
particolarissima manifestazione di essa che siamo noi (l'Io) e Nietzsche avanza
(in Umano, troppo umano ) l'inquietante quesito se sia vero che siamo noi a
pensare le idee o, piuttosto, sono le idee che si pensano, che vanno e vengono,
attratte da processi quasi chimici, senza che vi sia un Io. Il grande merito di
Freud risiede nell'aver ricucito tutti questi duri colpi assestati alla nozione di Io
e nell'aver dato la formulazione migliore di questo pensiero
"controcorrente". L'Io, nota Freud, non è che non ci sia, ma, semplicemente, è
una realtà infinitamente più marginale di quel che si è creduto da Socrate in poi .
E' come se fossimo tutti, coscientemente o meno, cartesiani, poichè se vi sono
cose di cui non abbiam coscienza è come se per noi non ci fossero; ma non è vero
che la mente si identifica in tutto e per tutto con la coscienza; viceversa, la
coscienza è una piccola porzione della mente , una porzione traballante per
molti versi, e l'Io stesso è un punto di contatto tra cose ben più importanti. Ben
emerge, da queste considerazioni, come per Freud la mente sia altra cosa
rispetto all'Io o alla coscienza. La psiche è, invece, la mente nel suo complesso e
in essa trova spazio l'Io (che Freud chiama anche "Ego"), il quale si configura
come parte cosciente della psiche. Ed è molto curioso come Freud non sia,
propriamente, un filosofo a pieno titolo, ma un medico che si interessa di
psichiatria nel tentativo di curare alcune patologie precise ed è altrettanto
curioso come, da buon medico di fine Ottocento, fosse convinto dei postulati del
Positivismo materialista e ritenesse che per spiegare fatti psichici si dovesse
ricorrere ad eventi materiali, come se ogni attività della mente fosse legata ad
una parte del cervello. Man mano che Freud matura il suo pensiero, però, prende
sempre più le distanze da queste idee, a tal punto che riterrà che un giorno,
quando vi saranno gli strumenti adatti per farlo, sarà necessario individuare le
cause materiali della patologia psichica, ma, poichè al momento non vi è
disponibilità di tali strumenti, bisogna proiettare la propria indagine (ed è ciò
che egli fa) su ciò che è indagabile, ovvero sui rapporti tra fatti psichici,
trascurando quelli materiali. E' come se Freud, da sempre considerato un antipositivista, fosse in realtà un "positivista mancato": ed egli comincia a praticare
in una prima fase della sua attività, insieme ad altri medici, la tecnica dell'ipnosi
per curare certe patologie, nella convinzione che tramite essa si possa regredire
ad eventi del passato rimossi e, facendoli riemergere, si può capire l'origine di
determinate "nevrosi" derivanti da conflitti interiori; si deve, cioè, far emergere
ciò che è stato rimosso per poterlo così curare. E qualcosa di questa teoria
originaria resterà sempre presente nel suo pensiero: in particolare, Freud sarà
sempre convinto che le patologie psichiche abbiano origine in traumi e conflitti
psichici irrisolti e tali conflitti vengono spesso rimossi , ossia tolti dallo stato di
coscienza e riposti altrove: la diagnosi/terapia consiste nel farli riemergere e la
diagnosi, pertanto, è anche la cura della malattia. Ma Freud, nel corso della sua
maturazione, tende sempre più a concepire quelli che in origine chiamava
"traumi reali" come "traumi virtuali", cioè non effettivi: solo in rarissimi casi il
trauma è legato ad un fatto della vita reale, mentre nella stragrande
maggioranza dei casi avvengono all'interno della psiche umana e, in questa
nuova prospettiva, Freud tende a respingere ora l'ipnosi, poiché ha la funzione
di far crollare le barriere. Dato che con la rimozione certi eventi vengono fatti
passare dalla coscienza alla non-coscienza, è evidente che non possano
emergere attraverso una prassi razionale (visto che si trovano nascosti alla
ragione) e l'ipnosi allora non serve più ad abbattere gli ostacoli aggirandoli
(perché è troppo "artificiale"), bensì si punterà sulla distruzione dei processi di
rimozione, visto che essi hanno delle falle, ad esempio i sogni e i lapsus, quando
cioè si dice una parola per un'altra (e per Freud la parola "scappata"
inavvertitamente è quella che per davvero si voleva dire). Si deve pertanto
badare a ciò che le persone dicono o fanno al di là della coscienza e, proprio
come nel caso dei lapsus si pronuncia una parola anziché un'altra, così è anche
per i comportamenti: ci sono cose che facciamo senza rendercene conto (ad
esempio, i tic) e scavando in essi si coglie la verità della natura umana. Tuttavia,
ciò non implica che non tutte le azioni che compiamo inconsciamente abbiano
un significato: ad esempio, non tutto ciò che è presente nei sogni ha un
significato inconscio. Accettata l'idea di non poter spiegare e curare i disagi
psichici attraverso pratiche materiali, Freud si propone di lavorare su un piano
psicologico e il concetto fondamentale che emerge da questo nuovo lavoro è
quello dirimozione : esso implica che determinate situazioni conflittuali che,
proprio perché tali, sono pesanti per la coscienza, vengano "rimosse", senza però
esser fatte sparire del tutto; vengono cioè nascoste e collocate in quel vastissimo
serbatoio della psiche che Freud chiama " l'inconscio ". Esistono dunque cose
che la nostra psiche tende a considerare da evitarsi a livello conscio e per questo
motivo le rimuove, ma questa rimozione crea disagi che si manifestano in
estrinsecazioni psichiche e psicosomatiche (Freud concentra la propria
attenzione soprattutto sulla paralisi isterica) che scaturiscono appunto da
conflitti psicologici irrisolti che, per poter essere curati, devono in qualche
misura essere fatti emergere e dal fatto stesso di prenderne coscienza, magari
dolorosamente, nasce anche la cura. Il problema è che, siccome la psiche ha
riposto queste cose a livello di inconscio, è impensabile strapparle in modo
coercitivo all'inconscio; si dovrà cercare piuttosto di aggirare le "barriere" che
proteggono l'inconscio e, per poter fare ciò, vi sono svariati modi, in particolare
tutte quelle situazioni in cui la coscienza è più tenue e gli aspetti irrazionali della
mente sono in primo piano (i lapsus, i sogni, i tic, ecc); il lettino dello psicanalista
rende bene l'idea, in quanto il paziente disteso su di esso parla spontaneamente
abbassando le barriere dell'inconscio. Sempre in quest'ottica, Freud usò molto il
meccanismo del transfert , ovvero l'innamoranto del paziente verso lo
psicanalista: Freud si accorgeva, infatti, di come molte sue pazienti finissero per
innamorarsi di lui (in quanto provavano un senso di necessità del suo aiuto e, in
definitiva, della sua persona) e, in un primo tempo, pensò che questo imprevisto
potesse interferire con la cura, ma poi notò come, invece, fosse d'aiuto, poiché
tende a far crollare le barriere dell'inconscio e permette di entrare nelle
profondità della psiche. Un altro sistema di cui si avvale Freud per penetrare
nella mente è quello della libera associazione di idee , il quale consiste,
essenzialmente, nel porre il paziente di fronte ad un'immagine o ad una parola e
nell'invitarlo a dire tutto ciò che gli viene in mente. Ma il metodo più importante
e più impiegato dallo psicologo austriaco è quello dell' interpretazione dei
sogni (a cui dedica il suo scritto forse più famoso): nel sogno sono presenti
contenuti rimossi, ma la mente umana non è così ingenua da far affiorare nel
sogno ciò che tiene nascosto durante la veglia e pertanto ciò che vediamo nei
sogni non è, banalmente, ciò che è stato rimosso; bensì emergono contenuti
rimossi ma in forma rielaborata e in un linguaggio che dice e nasconde
contemporaneamente, in quanto dà contenuti ma li esprime in maniera
enigmatica. Sarà pertanto sbagliato, nota Freud, dire che ho sognato di volare e
che dunque voglio a tutti i costi volare; il lavoro che Freud si propone di fare è
appunto quello di provare a decifrare le regole sintattiche del linguaggio dei
sogni, distinguendo tra significato latente (cioè il vero significato, nascosto) e
significato manifesto (quello apparente, così come ci appare nel sogno). Già
Platone aveva a suo tempo notato come nei sogni spesso facciamo cose che nella
realtà mai faremmo nè penseremmo di fare: così, dopo che il paziente avrà
sognato di volare, si potrà dire che il significato manifesto era appunto di volare,
ma quello latente era un altro; molto spesso, infatti, il sogno procede per
immagini e, dunque, i contenuti vengono espressi attraverso simboli e oggetti
(animali, cose, persone, ecc) di cui non si è in grado di spiegare il vero significato
(che perciò resta "latente"). Tanto più che secondo un meccanismo
di condensazione in un unico oggetto sono cristallizzati molteplici contenuti e
significati. Ma non solo: attraverso il meccanismo di spostamento il contenuto si
sposta e slitta su oggetti che non c'entrano nulla, per cui magari si sogna un gatto
ma esso non ha nulla a che vedere con il contenuto. E' curioso come Freud,
partito da una questione terapeutica, si sposti sempre più, in modo graduale,
verso una sistematizzazione del suo pensiero e venga elaborando
un'interpretazione generale della psiche umana e così il suo discorso si allarga,
da medico che era, verso l'antropologia. Ne nasce una metapsicologia , ossia una
psicologia che da mero strumento per risolvere problemi diventa una teoria
generale sull'uomo: e Freud scopre, in quest'ottica, la sessualità infantile , uno
degli aspetti che maggiormente scandalizzarono la società del tempo. In
particolare, egli sostiene la centralità della sessualità nella vita umana, mettendo
in evidenza come le pulsioni che stanno alla base della vita siano sessuali e come
dal sesso derivino perfino la civiltà e molte altre cose. E per poter conferire tale
carattere fondativo alla sessualità, Freud si vede costretto a concepirla in
un'accezione piuttosto ampia e arriva a proporre la tesi secondo cui la rimozione
graduale della sessualità dalla società sia da attribuirsi al fatto che è sempre
stata concepita in maniera troppo ristretta per poi inquadrarla in rigide regole
che la attenuassero: non potendola eliminare, la si restringe all'ambito della
sessualità volta alla procreazione nell'ambito matrimoniale, sicché si arrivano a
considerare moralmente inaccettabili forme di sessualità "diversa" (come quella
non volta alla procreazione, quella omosessuale, quella extramatrimoniale) e per
di più viene eliminato quel carattere di sessualità che in realtà molte cose hanno,
tra cui i bambini. Il bambino, infatti, ha una sua sessualità e, in forma
volutamente provocatoria, Freud lo definisce come un " essere perverso
poliformo ": quando si nasce, si ha una forma di sessualità a trecentosessanta
gradi, una sessualità diversa da come la intende e ci impone di intenderla la
civiltà di cui siamo figli: la sessualità, secondo Freud, coincide con la capacità di
provare piacere col corpo attraverso funzioni che non siano strettamente
fisiologiche e, pertanto, il bambino prova sì piacere nel prendere il latte materno
perchè soddisfa la sua esigenza di cibo, ma è anche vero che prova piacere a
succhiare il seno materno (e il ciucciotto nasce da questa considerazione), il che
è una forma di sessualità. Il bambino dunque è "polimorfo" perché in lui la
limitazione della sessualità imposta dalla civiltà non c'è ancora e la sua
sessualità non è ancora orientata ad una sola "zona erogena"; man mano che egli
cresce, tuttavia, subisce l'influenza della società e finisce per identificare la
sessualità solo con la zona erogena genitale; e quindi, oltre ad essere
"polimorfo", il bambino è anche "perverso" perchè in lui ci sono tutte quelle
forme di sessualità che un po' alla volta vengono tagliate fuori dalla società in cui
vive perché le ritiene perverse. All'interno di queste fasi di maturazione del
bambino, è molto importante il rapporto coi genitori e, soprattutto, col padre
(l'attenzione di Freud è sempre riservata, per lo più, al sesso maschile): ed è a
questo punto che Freud tratta del celebre complesso di Edipo ; man mano che la
sua psicologia sfuma nell'antropologia, egli tende a stravolgere (un po' come
aveva fatto Bruno col mito di Atteone) il significato dei miti classici. Più nel
dettaglio, egli scorge nelle vicende di Edipo una trasposizione mitologica della
vita del bambino: la madre costituisce per il bambino, proprio come per Edipo, il
primo individuo con cui si rapporta e a cui rivolge la sua attenzione sessuale e, in
questa prima fase, concepisce il padre come avversario e ne nasce una
conflittualità per il possesso della madre; tale fase, però, sarà superata e si
arriverà all'identificazione con il padre. La famiglia e, soprattutto, la figura del
padre diventano per Freud la chiave di lettura di tutto: tutte le tappe che si
percorrono nel processo di crescita sono necessarie, l'importante è non restare
bloccati ad una tappa (magari quella del complesso di Edipo) senza superarla; se
non la si supera, si ha la "regressione" e nascono disagi e patologie che la
psicanalisi deve risolvere. Il presupposto del discorso è che, in assenza di
riscontri fisiologici, la vita psichica deve essere interpretata sulla base di una
forte pulsione interna che va scaricata, quasi come se esistesse un flusso di
energia interiore che finchè non è scaricato fa star male; e, secondo Freud, tale
energia interna è soprattutto una pulsione sessuale, che lui chiama libido . Il
medico austriaco tende sempre più ad elaborare quella che lui stesso chiama
"metapsicologia" e nell'ambito di questa elaborazione meritano di essere
esaminati alcuni concetti centrali delle sue opere: un primo tentativo di spiegare
il conflitto che travaglia la psiche umana risiede nell'osservare due princìpi
opposti fra loro, che Freud chiama principio del piacere e principio di realtà .
L'uomo, di per sé, tenderebbe sempre a soddisfare all'istante il piacere che
prova, per poter così trovare una forma di equilibrio interno; e tuttavia a questo
"principio del piacere", per cui si sarebbe indotti a realizzare sempre e
comunque il piacere, si oppone il "principio di realtà", ovvero la consapevolezza
delle richieste provenienti dall'ambiente circostante: se, infatti, tutte le pulsioni
fossero immediatamente realizzate, non solo ciò sarebbe incompatibile con le
regole della società, ma perfino con la semplice sopravvivenza fisica
dell'individuo, e non a caso ciascuno di noi tende a reprimere parzialmente il
principio di piacere in funzione del fatto che deve vivere. Secondo
quest'interpretazione freudiana, l'uomo vive in una perenne tensione
ineliminabile per cui nessuno dei due princìpi (di piacere e di realtà) può venir
meno: le pulsioni devono essere scaricate ma tenendo conto della realtà
circostante e da ciò sorge, gradualmente, un conflitto interiore, proprio come nei
sogni emergevano cose rimosse dalla coscienza. Ed è curioso notare come questa
distinzione tra i due princìpi rievochi fortemente quella nietzscheana tra
apollineo e dionisiaco: come per Nietzsche, anche per Freud alla base dell'uomo
vi sono pulsioni irrazionali e vitalistiche (ovvero dionisiache), che però vengono
ridimensionate dall'apollineo, cioè dalle regole imposte dalla società e dalla
razionalità. In alcune opere più mature, Freud dichiara apertamente di essere
andato al di là del principio di piacere: si rende cioè conto che solo in apparenza
il principio di realtà e quello di piacere sono tra loro opposti; se meglio
analizzati, essi risultano anzi essere due facce della stessa medaglia, proprio
come l'utile, se esaminato in profondità, non è in contrapposizione con il piacere,
ma è anzi un modo per realizzarlo utilmente; così il principio di realtà altro non
è se non una manifestazione del principio di piacere, più precisamente consiste
nell'esprimere il piacere in forma mediata. E poi Freud si rende conto che contro
questo principio bipolare che è il principio di piacere (comprendente, come
abbiamo appena detto, anche quello di realtà) vi è un altro principio ad esso
opposto e consiste in una tendenza all'autodistruzione. Ora Freud al principio
vitale (piacere + realtà) contrappone quello di morte, sotto forma di
autodistruzione e per esprimere il conflitto tra questi due princìpi riprende il
binomio, tipicamente romantico, eros e thanatos, "amore e morte":
paradossalmente, nell'uomo troviamo una tendenza vitalistica che si esprime nel
principio di piacere ( eros ) contrapposta a quella autodistruttrice ( thanatos ) e
Freud afferma che le pulsioni devono assolutamente essere scaricate e che il
piacere consiste appunto nello scaricarle, ma aggiunge che se un relativo
scaricamento di esse ridà l'equilibrio e coincide con l' eros , a volte vi è una
tendenza esasperata ad uno scaricamento totale delle pulsioni e della vitalità: in
ciò risiede thanatos . Dove emerge questo secondo impulso che tende ad
annullare la vita? Lo si scopre, dice Freud, soprattutto nell'aggressività verso
l'esterno e verso se stessi e, ancora di più, nella coazione a ripetere , cioè nei tic
con carattere fortemente ripetitivo: infatti, il fatto stesso che tendano a ripetersi
all'infinito dà un senso di morte, perché implica l'abolizione della creatività
vitalistica e riduce la vita ad un meccanismo inanimato, quasi come se si
provasse nostalgia per gli esseri privi di vita. Sempre nell'ambito della
metapsicologia, Freud elabora due celebri teorie, dette della " prima topica " e
della " seconda topica ": il termine "topico" è desunto dal greco topos , "luogo", e
Freud lo impiega perché tende ora a leggere la psiche umana come se divisa in
diverse regioni e regni, anche se, è bene ricordarlo, egli ha rinunciato
all'interpretazione materialistica e pertanto per "luoghi" non si devono
intendere letteralmente zone fisiche del cervello, ma piuttosto, metaforicamente,
zone con caratteristiche diverse dalla cui interazione deriva il comportamento
umano. Se Nietzsche aveva messo in dubbio, riprendendo le tesi humeane, la
compattezza della nozione di Io, ora Freud con le "topiche" la sfalda del tutto:
egli, infatti, suggerisce l'idea che non vi sia una personalità ben definita e dotata
di svariate manifestazioni, ma, viceversa, propone l'ipotesi che vi siano "regni"
separati di cui il nostro Io è solo un aspetto. Nella "prima topica" individua tre
ambiti della psiche: 1) "conscio" è ciò di cui abbiamo effettivamente coscienza;
2) "preconscio" è quel serbatoio a cui il conscio attinge: se, ad esempio, sto
parlando, le cose che dico ora consciamente, ieri erano già nella mia testa ma
non stavo pensando ad esse e dunque erano a livello subconscio, bastava
allungare la mano per prenderle; 3) "inconscio" è tutto ciò che è stato rimosso
dalla coscienza, cosicché si crea una barriera assai solida che impedisce
l'accesso. Nella "seconda topica", invece, che è di gran lunga più famosa,
incontriamo tre elementi diversi: a) l'Io (o Ego) è la personalità cosciente, b) il
Superio (o Superego) è la coscienza che si sovrappone alle decisioni dell'Io, c)
l'Es (o Id) non è identificabile con la personalità individuale, ma è l'insieme delle
pulsioni irrazionali e proprio per questo viene espresso con il pronome neutro
"Es" ("Id" in latino). L'Io corrisponde alla dimensione conscia, a quelli che nella
"prima topica" Freud aveva definito come "conscio" e "subconscio"; l'Es, invece,
corrisponde all'inconscio della "prima topica" ed è, in sostanza, ciò che influenza
pesantemente il comportamento. Ciò che però non trova un corrispettivo nella
"prima topica" è il Superio, che, essenzialmente, si identifica con quella che
solitamente definiamo voce della coscienza, quel senso del dovere che impone
all'Io un comportamento che lui, di per sé, non adotterebbe, proprio come in
Kant il dovere (Superio) impone di non fare ciò che l'Io vorrebbe fare. Il
riferimento a Kant non è casuale: quando il pensatore tedesco parlava di
imperativo categorico, diceva espressamente che si deve saper riconoscere ciò
che effettivamente è un dovere proveniente dall'interno (magari aiutare gli
altri), senza alcuna motivazione eteronoma. Kant però non era arrivato a
ipotizzare, come invece fa Freud, che quella che solitamente consideriamo la
voce della coscienza abbia anch'essa un'origine eteronoma o, per dirla con
Nietzsche, umana, troppo umana; in altri termini, per Freud la voce della
coscienza è l'insieme delle norme comportamentali che la società in cui viviamo
ci impone di interiorizzare e di far diventare doveri morali; secoli prima, il
sofista Crizia aveva sostenuto la teoria secondo cui la religione sarebbe stata
inventata da un legislatore intelligente che, resosi conto che gli uomini si
comportano bene solo se controllati, creò il concetto di Dio, una sorta di
poliziotto che ci controlla tutti quanti ventiquattr'ore su ventiquattro. E anche
quando respingiamo l'eventualità di un Dio, nota Freud, resta comunque la
coscienza, che in fondo, come già aveva detto Hegel, è un Dio interiorizzato. Il
bambino, dunque, nasce con tutte le pulsioni dell'Es che tenderebbero
immediatamente a realizzarsi (per il principio del piacere): poi, però, la famiglia
le limita vivamente e la prima autorità con cui il neonato entra in contrasto è la
figura paterna, in quanto rappresenta un'autorità esterna che impone regole e
che si pone come rivale nel possesso della donna (complesso di Edipo); tuttavia,
questa autorità, originariamente intesa come nemica, tende a poco a poco ad
essere interiorizzata a tal punto che il ragazzo finisce per identificarsi col padre;
e quando poi l'individuo si allontana dalla famiglia per entrare a far parte della
società, si imbatte in nuove autorità, cosicché le leggi vengono rispettate perché
si teme la punizione che deriva dal trasgredirle e, soprattutto, perché le si hanno
interiorizzate come valori, si dimentica cioè che sono regole umane e le si
concepiscono come valori assoluti dettati dalla voce della coscienza (il "dovere"
di cui parlava Kant). In questa prospettiva, il Superio corrisponde un po' al
principio di realtà, in quanto altro non è se non l'insieme delle regole imposte
dall'esterno che vengono interiorizzate e diventano una parte di noi. Dopo aver
detto che l'Es costituisce l'insieme delle pulsioni che stanno alla base dell'uomo
e che il Superio è la cosiddetta voce della coscienza, non resta che chiedersi in
che cosa consista l'Io: ad esso Freud riserva un destino alquanto disgraziato,
poiché costituisce una sorta di terreno di confine tra l'Es e il Superio. A tal
proposito, Freud cita esplicitamente la commedia "Arlecchino servitore di due
padroni", dove Arlecchino è l'Io e i due padroni sono, rispettivamente, l'Es e il
Super-io. L'Io/Arlecchino è tenuto a soddisfare la nostra essenza pulsionale e,
nel contempo, a rispondere alle leggi dettate dal Superio, e ciò che prescrive il
Superio è in netto contrasto con quanto prescritto dall'Es, visto che il primo
tende a ingabbiare le pulsioni sessuali del secondo, e, in quest'ottica, il vestito a
pezze ritagliate di Arlecchino simboleggia il fatto che l'Io è lacerato da questo
conflitto. Nell'ultima fase del suo pensiero, Freud estende il suo discorso
all'analisi della civiltà umana e dei suoi costi : il Superio, egli nota, ha a che fare
coi costi della società, in quanto placa gli impulsi senza lasciarli affiorare in
superficie; sotto questo profilo, assume un'importanza sempre maggiore la
nozione di sublimazione . Freud non rinuncia mai e poi mai alla centralità delle
pulsioni all'interno della vita umana e fa notare come la civiltà sia sempre stata
un tentativo di governarle, un tentativo che si è realizzato secondo due differenti
modalità: da un lato, riduce a spazi e modi limitati l'espressione sessuale della
libido, ma poi tutte le libido che non sono orientate in senso sessuale non
spariscono, ma vengono piuttosto "sublimate", ossia reindirizzate ad altri scopi
creativi, come se evaporassero per poi ricondensarsi in un'altra maniera. Ed è
così, come sublimazione delle pulsioni sessuali, che sono nate nella nostra civiltà
la cultura, l'arte e il lavoro; dopo di che, Freud, riprendendo ed estendendo il
concetto del complesso edipico, tratteggia l'origine dei totem e dà
un'interpretazione dell'eucarestia cristiana: le società primitive si costruiscono
sulla base di un parricidio originario con cui si elimina il padre ma, dopo aver
compiuto tale gesto efferato, si prova rimpianto e, perciò, la figura paterna viene
divinizzata attraverso il totem o, nel mondo cristiano, con l'eucarestia. Fatte
queste considerazioni sulla religiosità delle diverse civiltà, Freud arriva
esplicitamente ad affermare che la religione non ha futuro e che dovrà esaurirsi:
molto significativo, a tal proposito, è il titolo di uno scritto del 1927,L'avvenire di
un'illusione . In Il disagio della civiltà (1930) Freud afferma invece che la civiltà è
un male inevitabile: è un male, perché reprime e devia gli impulsi libidici e,
proprio per questo motivo, l'intera società può essere considerata malata, anche
se di una malattia generica: seppur non vi è sofferenza, regna ciononostante il
disagio per il fatto che le pulsioni vengono repressivamente soffocate ma si
continua lo stesso a sentire il bisogno della civiltà. Quest'idea di una società a
disagio per un eccesso di apollineo rievoca fortemente il pensiero di Nietzsche,
anche se per il profeta del Superuomo questo disagio è eliminabile nel momento
in cui si giunge al nichilismo attivo; per Freud, invece, non ci si può in nessun
caso liberare dal Superio e ne nasce una mesta prospettiva di accettazione di un
male necessario. Nonostante queste considerazioni, Freud non è così pessimista
come possa sembrare, in quanto, sebbene rifiuti la possibilità ammessa da
Nietzsche di schizzare via dalla società, non rifiuta quella secondo cui è possibile
migliorare la società ed è per questo che scorge nel movimento socialista non un
modo per realizzare il paradiso in terra, ma per ridurre il disagio che opprime la
nostra società; ancora una volta, Freud, nella convinzione che la società possa
guarire un poco alla volta attraverso l'assunzione di medicine adeguate, rivela di
essere forse più medico che filosofo.