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LE GUERRE PERSIANE
Come la guerra di Troia, le Guerre Persiane furono un importante momento della storia greca. Gli
Ateniesi che dominarono culturalmente e politicamente la Grecia nel V secolo a. C. e parte del IV,
consideravano le guerre contro Persia uno dei segni più chiari della loro superiorità. Le Guerre
Persiane, che iniziano inaspettatamente, segnano anche per convenzione il passaggio dall’età antica
(VIII- VI sec. a. C.) all’età classica (V- IV sec. a. C.).
L’antefatto
Verso la metà del VI secolo a.C., le città greche della Ionia (ovvero le poleis situate lungo la costa
dell’Asia Minore) persero la loro indipendenza. Vediamo come.
Le conquiste dei Persiani
In quel tempo la Persia, il più grande impero che il mondo antico avesse mai visto, conquistò il
territorio dei Medi, i quali, benché fossero guerrieri famosi e temuti da tutti i Greci, furono battuti
dal re dei Persiani, Ciro il Grande (559-529). Egli nel 550 a. C. attaccò e sconfisse il loro re
Astiage, facendosi proclamare re dei Medi e dei Persiani. A seguito di tale vittoria, Ciro decise di
estendere il proprio impero sottomettendo anche le popolazioni confinanti: conquistò, quindi, la
Lidia e la Ionia nel 546 a. C., i territori dell’Asia Centrale –dal Mar Caspio all’Indo-, occupò la
Mesopotamia, la Cilicia, la Siria, la Fenicia e la Palestina (538).
Ciononostante, diede prova di grandi qualità umane e politiche: risparmiò la distruzione delle città
conquistate, rispettò i culti locali, liberò i prigionieri (come gli Ebrei deportati a Babilonia). La sua
politica aveva, infatti, lo scopo di assicurarsi il consenso delle classi dirigenti locali, per poter
governare meglio un impero altrimenti troppo vasto.
Alla morte di Ciro, il trono passò al figlio Cambise (529-522), che però rimase al potere pochi anni,
durante i quali proseguì la politica del padre e riuscì a sottomettere l’Egitto (525).
Dopo di lui salì al potere Dario I (522-486), che ampliò ancora i confini dell’impero: conquistò la
Propontide, la Tracia (507), rese tributaria la Macedonia e assoggettò la vale dell’Indo.
Le riforme di Dario I
Il merito maggiore di Dario derivò, più che dalle imprese militari, dalla salda organizzazione statale
che seppe dare ai suoi domini.
Egli riservò il potere supremo a sé stesso (era il Re dei re), con un esercito personale di 10.000 fanti
e cavalieri, scelti fra la nobiltà persiana: erano i “diecimila immortali”, così chiamati perché alla
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loro morte venivano rimpiazzati subito da altri. Egli realizzò un’importante riforma amministrativa:
divise l’impero in 20 province, chiamate satrapìe, governate da altrettanti funzionari, i satrapi,
nominati a vita dal Gran re e scelti tra le famiglie persiane più importanti; a costoro era concessa
un’ampia autonomia amministrativa.
Il loro potere era però moderato dalla presenza di un comandante militare e da vari ispettori (detti
“gli occhi e gli orecchi del re”). In questo modo l’autorità civile era divisa da quella militare e si
controllavano a vicenda; su tutti, invece, vigilavano gli ispettori. Questa organizzazione permetteva
una migliore governabilità, fondata sul decentramento dei compiti e dei poteri, senza che
l’imperatore perdesse di vista i propri possedimenti.
La divisione in satrapìe, del resto, serviva anche come sistema tributario: ogni provincia era tenuta a
corrispondere annualmente all’imperatore un’imposta, in denaro o in natura, che dipendeva
dall’estensione e dalle risorse disponibili.
Per agevolare gli intensi rapporti con le province, ovvero fra il centro e la periferia dell’impero, fu
costruita una agevole e ben organizzata rete stradale: le strade più importanti erano percorse di
giorno e di notte da messi imperiali ed erano provviste ogni 25 km di stazioni di posta per il cambio
dei cavalli e dei corrieri e per rifornirsi di cibo.
La strada più famosa era la “strada regia”: lunga oltre 2600 km, congiungeva la città di Susa,
residenza imperiale invernale, con la città di Sardi, nella Ionia. Poteva essere percorsa in meno di 10
giorni dai corrieri statali e in circa 90 giorni dalle carovane di mercanti: essa permetteva di spostare
agevolmente gli eserciti, di far funzionare il servizio postale di stato e di trasmettere gli ordini con
estrema rapidità.
Della rete stradale si giovò anche il commercio, ulteriormente incentivato dall’introduzione della
moneta coniata, il darico d’oro.
Cause dell’ostilità tra Greci e Persiani
I motivi alla base dell’ostilità crescente tra la Persia e la Grecia erano:
1. l’estensione e la potenza dell’impero persiano, che aveva conquistato e sottomesso le poleis
dell’Asia Minore, privandole della propria indipendenza, costringendole a pagare tributi e a
subire forti penalizzazioni nei traffici commerciali (la Persia, infatti, promuoveva il
commercio delle città fenicie, poiché queste la rifornivano di marinai e navi da guerra),
2. il riaffacciarsi delle tirannidi nelle città greche della Ionia, appoggiate dai satrapi persiani,
perché più vicine alla mentalità orientale rispetto alle forme di governo allora esistenti in
Grecia,
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3. la minaccia sempre più crescente nei confronti delle città-stato del continente (Dario infatti
mirava alla conquista dei territori occidentali, per ottenere il dominio assoluto dei commerci).
Il casus belli: la rivolta della Ionia
Dopo la conquista della Tracia e la sottomissione della Macedonia a stato vassallo, le poleis greche
si trovarono ad essere minacciate da vicino dai Persiani. Le città della Ionia, del resto, mal
sopportavano di dover pagare dei tributi al Gran re.
L’opportunità di ribellarsi al giogo della Persia si manifestò quando il tiranno di Mileto, Aristagora,
dopo aver persuaso i Persiani a conquistare l’isola di Nasso e fallita la spedizione, temendo
ritorsioni da parte del Gran Re, appoggiò il malcontento popolare della sua polis e diede inizio nel
499 a. C. ad una ribellione democratica, subito imitata dalle altre poleis della Ionia. I Greci delle
città in rivolta deposero i satrapi e cercarono l’appoggio delle città greche della madrepatria:
Aristagora in persona si recò dapprima a Sparta, poiché si trattava dello stato più potente della
Grecia, ma gli Spartani non si fidarono di lui e si rifiutarono di prestargli aiuto; Aristagora allora si
rivolse agli Ateniesi, i quali, insieme alla città di Eretria, inviarono un piccolo contingente di soldati
e 25 navi da guerra. Nel 498 a. C. gli Ateniesi conquistarono e incendiarono Sardi, capitale della
Lidia, e tutte le città greche in Asia Minore si unirono nella rivolta. Ma gli Ateniesi, che non
avevano interessi nella rivolta antipersiana, se ne tornarono a casa.
Quando i Persiani giunsero in Asia Minore col pieno delle loro forze, la ribellione finì rapidamente.
Nel 494 a. C. i Persiani occuparono Mileto: Aristagora venne ucciso, la città fu distrutta e la
popolazione fu deportata nelle regioni interne dell’Anatolia. Per evitare che altre poleis si
ribellassero, Dario, in accordo con l’ex tiranno Ippia, che sperava in tal modo di riconquistare il
potere, decise di punire Atene ed Eretria, poiché con i loro aiuti avevano sostenuto la rivolta.
Lo scopo di Dario, però, era un altro: mirava a dominare l’intera Grecia.
La prima guerra persiana (490 a. C.)
Sotto il comando del principe Artaferne e del collega Dati, nel 490 a. C. ebbe inizio la spedizione
persiana: 25000 uomini armati salparono dalle coste dell’Asia Minore e travolsero ogni resistenza. I
Persiani occuparono le Cicladi, attaccarono Eretria, la incendiarono e ne deportarono gli abitanti;
poi si accamparono nella piana di Maratona, a 42 km circa da Atene, convinti che la città si
sarebbe arresa.
Gli Ateniesi, invece, incuranti del pericolo, affidarono il comando dell’esercito allo stratega
Milziade, un ufficiale che aveva servito con notevoli risultati nell'esercito persiano ed era stato
costretto alla fuga per aver irritato Dario, e spinsero i governanti ad allearsi con Sparta. Milziade, in
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attesa degli aiuti spartani, ordinò di trasferire l’esercito sulle alture a sud di Maratona, per evitare
che i nemici arrivassero nei pressi della città. Quando i Persiani, comandati da Dati, seppero
dell’arrivo imminente di rinforzi spartani, attaccarono contando sulla superiorità numerica. Ma gli
opliti ateniesi, insieme ad un piccolo contingente di mille soldati inviati dalla città di Platea,
scendendo dalle alture compatti e di corsa, raddoppiarono la loro forza d’urto e, dopo 5 ore di
furiosi combattimenti, travolsero i nemici che furono costretti a ritirarsi e imbarcarsi sulle navi (490
a. C.). Al termine del conflitto, lo storico Erodoto racconta che i soldati greci rimasti sul campo
furono 192, quelli persiani 6400!
Appena Dati prese il mare, gli ateniesi marciarono verso Atene, per prevenire l'attacco di Artaferne.
Fallita anche questa impresa, Artaferne riprese il largo e se ne andò in Asia. Gli spartani arrivarono
a giochi fatti, visitarono il luogo della battaglia e furono d'accordo nell'affermare che gli ateniesi
avevano ottenuto una grande vittoria.
La battaglia di Maratona non fu una vittoria decisiva sui Persiani. Comunque fu la prima volta che
i Greci ebbero la meglio sui Persiani in una battaglia terrestre, e "la loro vittoria diede ai greci la
fiducia nel loro destino: resistere per tre secoli durante i quali nacque la cultura occidentale" (J. F.
C. Fuller "Storia militare del mondo occidentale").
Di fatto, il mito dell'invincibilità dei Persiani venne infranto.
La leggenda vuole che quando i cittadini di Atene furono consci dell'invasione persiana, mandarono
un soldato chiamato Fidippide il quale, secondo Erodoto (libro VI, 105), corse dalla città di
Maratona fino a Sparta chiedendo aiuto. Un'altra leggenda racconta che Fidippide corse da
Maratona fino ad Atene annunciando la vittoria e poi collassò e morì. Questa leggenda fu la base
per la moderna maratona. La distanza della maratona moderna è basata sulla distanza tra Maratona e
Atene (42 km, appunto).
La seconda guerra persiana (480 – 479 a. C.)
La sconfitta subita a Maratona incrinò gravemente il prestigio della Persia, aggravando il pericolo di
rivolte all’interno dell’impero. La conquista della Grecia divenne quindi un’esigenza vitale per
scongiurare il pericolo di altre ribellioni. Alla morte di Dario (486), i preparativi per una nuova
impresa furono approntati dal figlio Serse, che organizzò a Sardi un’imponente armata, costituita da
circa 300.000 soldati e da non meno di 700 navi da guerra e da trasporto. Atene, del resto, si era resa
conto della propria debolezza nella flotta, per cui il democratico Temistocle, stratega nel 483, riuscì
ad imporre la fortificazione del Pireo (il porto di Atene) e il rafforzamento della flotta con 180
triremi. A questo programma si oppose il conservatore Aristide, che caldeggiava un accordo con la
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Persia e spingeva a rompere l’alleanza con Sparta. Poiché le notizie da Sardi erano sempre più
allarmanti, numerose città greche decisero di formare un unico blocco per organizzare la difesa
comune. Durante una riunione presso il santuario di Poseidone a Corinto, venne proclamata una
tregua generale per i conflitti in corso e fu deciso di richiamare in patria gli esiliati in modo da
conseguire la massima unità politica e militare. A Corinto fu così confermata l’alleanza fra Sparta e
Atene che, insieme a altre 29 città, costituirono la Lega Panellenica (481). Il comando dell’esercito
venne affidato al re spartano Leonida. Fuori dalla lega rimasero parecchie città: Argo, nemica di
Sparta, si proclamò neutrale; la Tessaglia, Creta e Tebe, ostili ad Atene. Anche la scelta della
strategia da attuare non fu priva di contrasti. Gli Spartani volevano schierare l’esercito e la flotta a
difesa del Peloponneso, mentre gli Ateniesi erano decisi a proteggere l’Attica. Alla fine si stabilì un
primo sbarramento difensivo alle Termopili, passaggio obbligato per l’armata nemica, e un secondo
fronte di resistenza sull’istmo di Corinto. La marina da guerra fu invece concentrata presso Capo
Artemisio, la punta settentrionale dell’isola Eubea.
Nel 480 Serse muove da Sardi a capo dell’esercito persiano; attraversato l’Ellesponto con un ponte
di barche, invase la Tracia e la Macedonia, penetrò in Tessaglia e puntò su Atene. Nel frattempo la
flotta navigava lungo le coste, per assicurare il vettovagliamento alle truppe di terra.
La battaglia delle Termopili (20 agosto 480 a. C.)
Giunto al passo delle Termopili, Serse si trovò di fronte poche migliaia di opliti guidati da
Leonida, che attendeva rinforzi dalle città della Lega. Quando Leonida si accorse che stava
per essere preso alle spalle dai Persiani, ordinò all’esercito di ritirarsi e restò sul posto con
700 Tespiesi e 300 Spartani a combattere fino alla morte (20 agosto 480 a. C.). Il sacrificio
di Leonida e del suo eroico presidio fu di grande importanza militare e politica: ritardando
l’avanzata nemica diede modo ai Greci di organizzarsi per lo scontro finale ed ebbe un effetto
incalcolabile sul morale dei Greci che si sentirono spronati a continuare la guerra fino alla
morte.
La battaglia di Salamina (29 settembre 480 a. C.)
Nel frattempo la flotta alleata, abbandonando capo Artemisio, si concentrava nello stretto
tratto di mare tra l’isola di Salamina, di fronte ad Atene, e la costa attica. Superate le
Termopili, i Persiani in 2 settimane attraversarono la Beozia, irruppero nell’Attica e
occuparono Atene. Tuttavia, gli Ateniesi si salvarono perché Temistocle aveva trasferito
donne, vecchi e bambini nelle isole di Salamina ed Egina, mentre tutti gli uomini validi alle
armi avevano ricevuto l’ordine di imbarcarsi sulle navi da guerra. Prima di affrontare i Greci
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che si erano schierati a difesa del Peloponneso, Serse decise di eliminare la flotta ateniese,
attaccandola proprio a Salamina. Ma dopo una giornata di attacchi, speronamenti e
arrembaggi, le agili triremi greche, al comando di Euribiade, ebbero il sopravvento: le
pesanti navi persiane vennero affondate o costrette alla fuga (29 settembre 480). Serse si
ritirò con la flotta superstite in Asia Minore, mentre l’esercito di terra venne lasciato a
svernare in Tessaglia, sotto il comando del generale Mardonio.
La battaglia di Platea (479 a. C.)
In primavera i Persiani ripresero le ostilità, ma le forze confederate greche, comandate dal re
spartano Pausania e dallo stratega ateniese Aristide, ottennero di nuovo una grande vittoria
a Platea (479). Mardonio cadde in combattimento e la sua morte provocò lo sbandamento
dell’esercito persiano. Dopo la battaglia i vincitori marciavano su Tebe che nel frattempo si
era alleata con Serse: i capi del partito filopersiano vennero giustiziati e la Lega beotica fu
sciolta. Nello stesso giorno della vittoria di Platea, una flotta greca incendiava le navi
persiane al largo di Capo Micale. La Ionia si sollevò e le isole di Samo, Lesbo e Chio furono
accolte nella Lega Panellenica.
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