Lezione 3.2 Kojève, Hegel e l’animale dotato di linguaggio Nell’ Introduzione alla lettura di Hegel Alexandre Kojève considera il rapporto Signore – Servo come paradigma della dialettica hegeliana. Secondo Kojève, l’Autocoscienza, che Hegel enuncia come il momento del “per sé” della Coscienza singola, è l’essenza dell’uomo. A differenza dell’animale, che non va oltre il Sentimento di sè, l’essere umano «prende coscienza di sè nel momento in cui… dice Io» (pag. 17). In realtà la costituzione dell’Io è Desiderio, perché alla radice di ogni bisogno c’è un Desiderio che verifica la possibilità stessa dell’umano. “È il desiderio a trasformare l’essere” scrive Kojève, ed esso è il fondamento comune all’animalità e all’umanità. Tuttavia, a differenza che nell’animale, il desiderio umano è forza negatrice, azione che distrugge, ma al contempo è anche produttrice e crea nuove realtà, perché «In generale l’Io del Desiderio è un vuoto» (pag.18) e «l’essere di questo Io sarà divenire» (pag.19). In effetti «perché la realtà umana possa costituirsi all’interno della realtà animale, occorre che questa realtà sia essenzialmente molteplice» (pag.19). Cioè una realtà sociale. All’interno di essa l’uomo risulta uomo quando rischia la vita per soddisfare il Desiderio umano, che si rivolge oltre che a soggetti (e oggetti) molteplici anche ad oggetti non – naturali. Questi costituiscono la Storia, che differenzia il mondo umano da quello animale. Ma, «a parte questa differenza – essenziale – il desiderio umano è analogo a quello animale» (pag. 21). La lotta per il puro prestigio che ogni Desiderio singolo e quindi ogni singola Coscienza compie contro altri Desideri e Coscienze, è per Hegel una lotta per il riconoscimento; è un conflitto che determina il rapporto stesso tra due coscienze singole secondo l’esito di questa lotta. A tale esito va ricondotta secondo Hegel la caratteristica dell’umano come di ciò che non è soltanto naturale ma è anche segnato dal riconoscimento. Alla natura umana appartiene infatti l’essere Signore o l’essere Servo. «La dialettica storica è la dialettica del Signore e del Servo», dice Kojève, in cui il riconoscimento del Signore cioè dell’umanità dell’essere umano, passa per lo scontro con l’Altro e per la dinamica che questa lotta di puro prestigio instaura. Infatti il conflitto determina un’evoluzione in cui «dapprima si renderà manifesto l’aspetto dell’ineguaglianza delle due Autocoscienze… (tale che, nda) l’una è … entità - riconosciuta, e l’altra… entità – riconoscente.” (pag. 24). Così «il Signore è la coscienza esistente per sé» (pag.30) che si rapporta a due elementi essenziali, al Desiderio oggettivato e all’altra Coscienza, cioè al Servo, e ciò gli è possibile se non uccide il Servo, che non è arrivato a mettere in gioco la propria vita per il riconoscimento ed è stato sconfitto, dovendo riconoscere la Coscienza singola che gli si oppone come Signore. In tal modo il Servo lavora per il Signore che «… si unisce pertanto solo all’aspetto della dipendenza della cosa e ne gode dunque in maniera pura» (pag. 32) perché non lavora e non trasforma il mondo, cosa che invece fa il Servo. Tuttavia quello del Signore non è un riconoscimento totale perché egli non riconosce a sua volta la realtà e dignità umana del Servo (cfr., pag. 33). Su questa impasse esistenziale si costituisce il rovesciamento del rapporto tra signoria e servitù. Il Servo infatti ha tutto l’interesse a cessare di essere tale (cfr., pag. 35): «Nel servizio, la coscienza servile sopprime il suo attaccamento all’esistenza naturale in tutti gli elementi costitutivi ed elimina – mediante – il – lavoro questa esistenza» (pag. 37); per Kojève «divenendo, mediante il lavoro, signore della Natura, il Servo si libera dunque della propria natura» (pag. 37). Il lavoro libera il Servo dal Signore, dunque «l’avvenire e la Storia non appartengono al Signore guerriero… bensì al Servo lavoratore» (pag. 37), poiché «la perfezione… può essere raggiunta solo nel e mediante il lavoro» (pag. 37). La differenza tra Signore e Servo è che mentre il Signore non lavorando non costruisce niente di stabile e si limita a consumare, a distruggere i prodotti del lavoro, il Servo costituisce la realtà tramite la sua opera: il lavoro infatti è un «Desiderio inibito, uno svanire trattenuto; in altri termini esso forma ed educa (il lavoro tras – forma il mondo e rende civile, educa l’uomo) » chiosa Kojève (pag. 38). Il lavoro crea il mondo umano, culturale, storico e d’altra parte affranca secondo Kojève il Servo dall’angoscia che lo legava alla natura data e alla propria natura innata di animale (cfr., pag. 40). Alla fine dell’Introduzione all’Introduzione, Kojève scrive che «trasformando il mondo mediante il lavoro, il Servo trasforma sè stesso… La lotta liberatrice e per il riconoscimento che all’inizio per il timore della morte ha rifiutato (pag. 43). Fin qui, la riflessione su Hegel dimostra che Kojève coglie la dialettica non come processo del pensiero ma della realtà e anette al confronto Signore – Servo un senso rivoluzionario tutto interno alla modernità. Nella parte dedicata a Vernunft (Ragione), il terzo momento della Fenomenologia dello spirito, Kojève, nella parte che commenta la critica di Hegel alla filosofia della natura di Shelling enuncia la cruciale differenza tra Vita e Geist (Spirito): «In che cosa la Vita si differenzia dal Geist? L’essere vivente è essenzialmente movimento, divenire, processo… ma il processo vitale non è creatore (perché non è negatore): termina là dov’è cominciato (dall’uovo all’uovo). Circolarità del processo biologico: niente progresso, niente Storia. La vita culmina nel… semplice Sentimento di sé, che Hegel collega al (desiderio)…» (pag. 104); e poi: «nel mondo biologico, ciò che unisce l’individuo all’universale è la specie; nel mondo umano (storico) è il popolo (Volk)» (pag. 104) che è l’elemento di mediazione tra individuo e universale: «al di fuori della Società, l’uomo non è che un animale» (pag. 105). Tuttavia ricordiamo che all’inizio del processo dialettico della coscienza (lo “in sè”) è il desiderio che accomuna animale e umano; e poi ancora la coscienza del “per sé” e cioè l’Autocoscienza è contrassegnata da una lotta di prestigio in cui l’animalità ritorna due volte, come Alterità (l’altra Coscienza) e come Natura che il lavoro del servo trasforma in oggettività. Infine, la Ragione, che per Hegel stabilisce la verità dell’Autocoscienza e la realtà dell’Io e del Mondo (e questa realtà come verità, cioè l’Idealismo) stacca sì la natura dell’Intelletto, ma per inserirlo in una Società considerata come comunità naturale del Cittadino. La differenza tra la natura come socialità e la socialità come natura è che nella prima non c’è mediazione, mentre nella seconda la mediazione è «l’azione nella e mediante la società» (pag. 105). L’intero processo di costituzione della Ragione passa attraverso i momenti individuali e storici che dalla natura giungono alla società, ma questa costruzione dell’Autocoscienza arriva alla fine del processo storico. Kojève: «Hegel pensa dopo la fine della storia…» (pag. 120), quando ogni mediazione è svanita, aggiungiamo noi; cioè quando non c’è più differenza tra animale e umano, perché il lavoro, laddove sussiste, non trasforma più la natura in cultura e società, ma si trova già come cultura e socialità, luogo naturale della cooperazione e della relazione sociale ( e, si potrebbe dire: nella zona di indistinzione tra trasformazione e distruzione della Natura). Nel corso del 1936-1937, dedicato alla prosecuzione dell’esame del momento dello Spirito (Geist), l’Autocoscienza che si lascia dietro il soldato che lavora e il lavoratore che fa la guerra raggiunge la completa soddisfazione come cittadino dello Stato napoleonico: «Dunque la storia si ferma. E essa non è più possibile, dato che l’uomo che l’ha creata è soddisfatto…» (pag. 143). L’uomo può allora assumere un atteggiamento contemplativo e comprendere sè stesso. Egli realizza la Filosofia assoluta, che prende il posto della Religione: la filosofia di Hegel, che ha la Fenomenologia come Introduzione” (pag.144). Commentando la concezione che Hegel ha del linguaggio come “proprium” dell’essere umano, sintesi di particolare e universale (cfr., pag. 159) Kojève afferma che «il compimento della storia può operarsi solo mediante una presa di coscienza dell’essere, che si esprime attraverso il linguaggio» (pag.159). Ma la storia è la lotta di puro prestigio (per Marx sarà lotta tra le classi sociali) per il riconoscimento del Desiderio dell’animale umano; e il Desiderio nasce «dal desiderio animale; esso è il primo e il solo desiderio veramente umano, il desiderio di riconoscimento» (pag.160). Commentando più avanti l’Aufklarung (Illuminismo) e il senso della rivoluzione francese Kojève annota: «tutte le classi sono sparite, l’Uomo è un Particolare in senso forte e che crede… di poter rappresentare l’umanità in generale; grave illusione.» (pag.179). Ma, ci chiediamo, non è invece proprio questo il senso del processo storico? Se ricapitoliamo, radicalizzandole, le affermazioni hegeliane sulla natura umana, possiamo dire che: il desiderio è anzitutto desiderio animale che si realizza sempre parzialmente nell’evoluzione della specie, all’interno della quale l’animale umano dotato di linguaggio trasforma con il lavoro l’alterità in oggettività. Ma questa trasformazione, la Storia, trasforma anche i mezzi, le mediazioni con cui l’animale sociale agisce all’interno della specie, cioè il lavoro e la società. E li trasforma al punto che quanto più diventa consapevole di sé tanto più può esaurirle. L’animale esaurisce il lavoro e la società man mano che la Storia si approssima alla fine; e lo fa perché dotato di linguaggio. Quanto più ci si avvicina alla fine della Storia tanto più il linguaggio da strumento diviene contesto di trasformazione e tanto più la coscienza si particolarizza. La società umana in quanto società naturale si muta in società linguistica e la coscienza nell’esaurimento della società come Stato alla fine della storia diviene Singolarità. La Singolarità infatti è sia l’estremo finale del processo di mediazione tra Cittadino e Universale, sia il senso ultimo dell’Autocoscienza singola alla fine della storia. Il sapere assoluto dunque non è altro che l’emergenza post – storica della Singolarità come esito del linguaggio. Ma è anche il punto di inizio dell’epoca post – storica in cui si afferma l’animale dotato di linguaggio. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad.it., la Nuova Italia, Firenze, 1996 A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, trad.it., Adelphi, Milano, 1996