Matr. N. 03334 UNIVERSITA’ CAMPUS BIO-MEDICO DI ROMA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA COMUNICAZIONE EXTRAVERBALE NELLE VISITE DEL PAZIENTE ONCOLOGICO Relatore Bruno Vincenzi Correlatori Maddalena Pennacchini Claudio Pensieri Laureanda Giorgia Delle Chiaie ANNO ACCADEMICO 2013/2014 1 Ringraziamenti Desidero ringraziare innanzitutto il Dott. Bruno Vincenzi, La Dott. ssa Maddalena Pennacchini ed il Dott. Claudio Pensieri, per la loro grande umanità, gentilezza, e disponibilità, per avermi fornito testi e dati indispensabili alla realizzazione della tesi e per avermi aiutata nella stesura di questo lavoro con una supervisione costante e preziosi consigli. Inoltre desidero ringraziare la Dott. ssa Federica Di Giovanni, l’Angelo del Campus! Ringrazio dal più profondo del cuore la mia famiglia per il loro amorevole sostegno senza il quale non ce l’avrei mai fatta. Ringrazio le mie “bimbe” Flavia, Martina, Marta, Martina e Fabiola per il loro affetto e per aver reso questo percorso ancora più bello, ed Alessandro, per essermi stato sempre vicino. Ringrazio i miei pazienti che durante il tirocinio clinico mi hanno dato la possibilità di sentirmi migliore e mi hanno riempita il cuore di emozioni. E infine ringrazio me stessa, perché nonostante tutte le difficoltà, ho creduto nel mio sogno fino in fondo e non mi sono arresa! 2 Indice Introduzione ............................................................................................................................ 5 1.La comunicazione: verbale, non verbale, paraverbale .......................................................... 7 1.1 Introduzione alla comunicazione ....................................................................................... 7 1.2 I diversi canali della comunicazione: verbale, non verbale, paraverbale ......................... 15 1.3 La programmazione Neuro-Linguistica (PNL) ................................................................ 25 2. La relazione professionista sanitario-paziente e l’importanza della comunicazione nel processo di cura ...................................................................................................................... 31 2.1 La relazione professionista sanitario-paziente ................................................................. 31 2.2 Etica della relazione e della comunicazione nel processo di cura .................................... 35 2.2.1 Etica............................................................................................................................... 35 2.2.2 Etica medica: etica della relazione e della comunicazione nel processo di cura ........... 36 2.3 La comunicazione professionista sanitario-paziente e l’importanza di una comunicazione efficace nel processo di cura .................................................................................................. 42 3. Studio degli aspetti extraverbali della comunicazione nelle visite del paziente oncologico.. ................................................................................................................................................ 48 3.1 Il paziente oncologico ...................................................................................................... 48 4. Metodologia della ricerca, analisi dei dati e risultati.......................................................... 52 4.1 Obiettivo dello studio ....................................................................................................... 52 4.2 Materiali e metodi ............................................................................................................ 52 4.3 Analisi dei dati ................................................................................................................. 53 4.4 Risultati ............................................................................................................................ 53 5. Conclusioni ........................................................................................................................ 67 5.1 Sviluppi futuri .................................................................................................................. 69 Allegati ................................................................................................................................... 70 Bibliografia ............................................................................................................................ 72 Sitografia ................................................................................................................................ 74 3 “Quando curi una malattia puoi vincere o perdere, quando ti prendi cura di una persona vinci sempre” (Patch Adams) “Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.” (Zygmunt Bauman) "La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto" ( Peter Drucker) 4 Introduzione Ciò che mi ha spinto ad interessarmi ed approfondire il tema della comunicazione non verbale è legato ad un duplice motivo. Da un lato è nato dalla voglia di superare dei miei limiti personali, quali la timidezza e l’emotività, che mi hanno permesso in questi anni di tirocinio di notare come, per quanto potessi studiare ed essere preparata tecnicamente, costituivano dei grossi ostacoli nell’instaurarsi di una efficace relazione e comunicazione con i pazienti, perché non sempre il linguaggio del mio corpo, legato inconsapevolmente ai miei stati emotivi e connotati caratteriali era congruente con il mio contenuto verbale, e mi accorgevo di come ciò inevitabilmente andava ad inficiare sulla stabilirsi di una relazione terapeutica efficace e di fiducia. Dall’altro è nato dall’ obiettivo di capire a fondo, saper leggere ed interpretare correttamente tutti quei segnali della comunicazione non verbale, che mi avrebbero aiutato a comprendere le reali esigenze, e quindi a fornire la risposta di cura più adeguata, a tutti quei pazienti non in grado, per diversi fattori, di esprimersi volontariamente o correttamente dal punto di vista strettamente verbale, o le cui parole celavano una realtà ben diversa che solo un’attenzione più sensibile e competente nei confronti del loro linguaggio del corpo mi avrebbe potuta aiutare a svelare. Inoltre ho potuto osservare come i medici, infermieri e operatori sanitari in genere che riscuotessero maggiori profitti in termini di successo nella relazione di cura con i loro pazienti, fossero proprio non solo quelli tecnicamente preparati o capaci di comunicare scegliendo le parole giuste, ma quelli che utilizzavano un linguaggio del corpo che li aiutava a veicolare e rafforzare positivamente il loro messaggio. Tutto ciò mi ha portato a comprendere dunque l’importanza della comunicazione non verbale al fine di migliorare le mie abilità sociali e comunicative, che insieme a quelle tecniche, mi avrebbero permesso di svolgere al meglio la mia professione e di instaurare con i miei pazienti una relazione di cura di successo. In questa ricerca, di tipo sperimentale, esamino dapprima la sfera della comunicazione verbale ed extraverbale e la sua importanza nelle relazioni di cura, per soffermarmi 5 successivamente su uno studio condotto in prima persona sulla comunicazione non verbale e paraverbale medico-paziente in ambito oncologico, ramo da me scelto per la particolare attenzione di cui necessita questa tipologia di pazienti, al fine di dimostrare la rilevanza della comunicazione extra-linguistica nelle relazioni terapeutiche, con la speranza di riuscire a sensibilizzare medici, infermieri e tutto il personale sanitario verso questa, a mio avviso importante ed imprescindibile, qualità sociale ed umana, perché come dice Patch Adams “Quando curi una malattia puoi vincere o perdere, quando ti prendi cura di una persona vinci sempre!” 6 1. La comunicazione: verbale, non verbale, paraverbale 1.1 Introduzione alla comunicazione “Non si può non comunicare!” Questo è il primo assioma della comunicazione e ne rappresenta il punto di partenza, perché implica che ogni comportamento, di qualsiasi genere, persino il silenzio, veicola un messaggio, un’informazione, o più precisamente una comunicazione, e dato che non è possibile assumere un non- comportamento, non è altresì possibile non comunicare. La comunicazione è uno degli aspetti più importanti della nostra vita perché è quello strumento che ci permette di entrare in relazione con gli altri. L’essere umano infatti è un animale sociale, e in quanto tale, ha bisogno di interagire e relazionarsi ai propri simili, e ogni relazione si poggia sulla comunicazione. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un interesse sempre maggiore per lo studio della comunicazione che ha visti coinvolti ambiti teorici e disciplinari molto diversi tra loro, dalla psicologia alla sociologia, dalla linguistica alla cibernetica, dalla medicina all’ermeneutica, riconoscendole dunque un ruolo centrale in diversi processi. Se da un lato però le discipline che si sono occupate dello studio della comunicazione non hanno mai riscontrato alcuna difficoltà nel concordare sulla sua essenzialità nello svolgere numerose funzioni, arrivando a considerarla come un presupposto imprescindibile per il mantenimento e la continuità della specie umana, dall’altro non hanno mai raggiunto un accordo unanime sulla definizione di comunicazione. Tuttora infatti le definizioni sono molteplici e risentono della prospettiva teorica al cui interno sono maturate. Il termine comunicazione, dal latino cum-, “insieme” e munus, obbligo, dovere, compito, opera e communicare, “mettere in comune”, significa condividere con altri, pensieri, informazioni, emozioni. 7 Villamira1 afferma che “La comunicazione è lo scambio di informazioni tra due o più entità in grado di emettere e ricevere segnali; intendendo per scambio un processo interattivo in cui è presente un meccanismo di feedback o retroazione” Così come numerose sono le definizioni che possiamo trovare inerenti la comunicazione, altrettanto numerosi sono i modelli teorici che hanno tentato di descrivere le caratteristiche strutturali dei processi comunicativi, risentendo anche questi dell’influenza della prospettiva teorica di elaborazione. Lo studio della trasmissione elettrica dei segnali da parte dei due matematici statunitensi Shannon e Weaver2 ha fornito un modello matematico di riferimento dei processi comunicativi che evidenzia gli elementi di base sempre presenti durante un trasferimento di informazioni (una fonte di informazione-un trasmittente-un canale di trasmissione- un ricettore-un destinatario del messaggio) secondo una sequenza lineare (fig.1). Fig.1 Modello comunicazione Shannon- Weaver La fonte è l’origine dell’informazione, essa crea un messaggio che il trasmittente trasforma in segnali; questi vengono trasmessi da un canale, fino al ricettore che li 1 Villamira M. A., Comunicazione e interazione. Aspetti del comportamento interpersonale e sociale, Franco Angeli, Milano 1995 2 Weaver W., Shannon C. E., The Mathematical Theory of Communication, University of Illinois Press, Urbana, Illinois 1949 8 riconverte nel messaggio ricevuto dal destinatario. Il rumore, può essere un ostacolo di disturbo lungo il canale e quindi distorcere i segnali che potrebbero essere confusi. Come esempio per capire meglio lo schema possiamo far riferimento al dialogo tra due persone: il cervello di chi parla è la fonte dell’informazione, il messaggio è ciò che dice, la voce è il trasmettitore che trasforma il messaggio pensato in un segnale, in questo caso un’onda sonora, che viaggia lungo un canale, l’aria, che però ha dei limiti “fisico-spaziali” che influenzano l’onda sonora , rumore, andando a modificare anche se di poco il messaggio ricevuto rispetto a quello inviato, l’orecchio di chi ascolta il ricettore che riconverte il segnale ricevuto in un messaggio e il suo cervello il destinatario del messaggio3. Il limite principale di questo modello è che prevede che solo il soggetto emittente svolga un ruolo attivo durante il processo comunicativo, mentre il soggetto ricevente del messaggio riveste per lo più un ruolo passivo. In seguito altri studiosi della comunicazione hanno superato l’eccessiva semplificazione di questo primo modello introducendo altri concetti chiave dei processi comunicativi, come ad esempio quello di feedback, cioè di una risposta da parte del soggetto ricevente il messaggio, proponendo in questo modo una visione più dinamica ed interattiva della comunicazione, e dunque più completa e corretta. Il linguista e semiologo russo Jakobson ampliò questo primo modello inserendo alcuni concetti prima non considerati, come quello di codice (ovvero codifica e decodifica dell’informazione), contesto, e feedback, trasformando la comunicazione in un processo non più lineare ma circolare, in cui l’interazione tra mittente e destinatario risulta interscambiabile e continua. Così lo stesso Jakobson descrive il suo modello di comunicazione “Il mittente invia un messaggio al destinatario. Per essere operante, il messaggio richiede in primo luogo il riferimento a un contesto, detto anche referente, che possa essere recepito dal destinatario e che sia verbale o suscettibile di verbalizzazione; in secondo luogo esige un codice interamente, o almeno parzialmente, comune al mittente 3 http://www.unithinktag.it/system/files/325/1_lo_schema.htm?1381167112, ultimo accesso Febbraio 2015 9 e al destinatario (o in altri termini al codificatore e al decodificatore del messaggio); infine un contatto, un canale fisico e una connessione psicologica fra il mittente ed il destinatario, che consenta loro di stabilire e mantenere la comunicazione”4 Questi diversi fattori insopprimibili della comunicazione verbale possono essere rappresentati schematicamente come segue (fig. 2): Fig.2 Modello comunicazione Jakobson I modelli teorici della comunicazione sopra esaminati hanno fatto da spunto per l’elaborazione di modelli successivi da parte delle diverse discipline teoriche, che però tralasceremo per esaminare invece un altro aspetto fondamentale della comunicazione, la pragmatica. Alcuni studiosi della scuola di Palo Alto, in particolare Watzlawick, Beavin e Jackson5, analizzarono l’aspetto pragmatico della comunicazione, ovvero l’influenza che questa esercita a livello comportamentale sugli interlocutori, individuando alcune caratteristiche fondamentali che rappresentano degli assunti di base, indimostrabili dalla teoria, e che costituiscono i cinque assiomi della comunicazione riassunti nella figura che segue (fig. 3). 4 http://www.mediamente.rai.it/mediamentetv/learning/ed_multimediale/lezioni/06/#Lo_schema_della_co municazione_di_Jakobson, ultimo accesso Febbraio 2015 5 Watzlawick P., Beavin J. H., Jackson D. D., Pragmatica della comunicazione umano. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Astrolabio Editore, Roma 1971 10 Fig.3 I cinque Assiomi della comunicazione 1° Assioma: “Non si può non comunicare”. Qualunque comportamento comunica qualcosa e, visto che è impossibile avere un noncomportamento, la non-comunicazione è altrettanto impossibile. Il semplice fatto di relazionarsi con un'altra persona implica, indipendentemente dalle parole pronunciate e dai comportamenti assunti, una comunicazione. Anche il silenzio o l’inattività hanno un significato comunicativo, se non altro perché segnalano un’intenzione di non voler parlare. Ad esempio un’infermiera mentre rileva i parametri vitali ad un paziente non gli rivolge parola e ha il viso imbronciato; anche se non dice nulla, attraverso il suo atteggiamento, il paziente può percepire che è arrabbiata e che probabilmente non ha voglia di parlare con lui. 2° Assioma: “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi meta-comunicazione”. Ogni atto informativo veicola un’informazione il cui significato però è dato dalla relazione tra gli interlocutori e dai comportamenti che essi assumono reciprocamente. Ad esempio un’infermiera si rivolge al paziente dicendo “Non provi a scendere da solo dal letto!”, ma lo dice tenendo la mano al paziente e sorridendogli. Questo permette al paziente di capire che nonostante il contenuto di ciò che ha detto potrebbe sembrare un ordine dato in modo autoritario, in realtà lo ha detto perché preoccupata per la sua 11 incolumità, e quindi il suo linguaggio non verbale, ha aiutato a comprendere meglio le sue parole, definendo la relazione appunto, in questo caso di tipo protettivo nei riguardi del suo assistito. 3° Assioma: “La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti”. All’interno di un processo è possibile individuare sequenze diverse e stabilire quindi una relazione di causa-effetto. La comunicazione comprende diverse versioni della realtà, che si creano e ristrutturano durante l’interazione tra più individui. Queste diverse verità dipendono dalla punteggiatura della sequenza degli eventi, ossia dal modo in cui ognuno tende, arbitrariamente e in modo unilaterale, a credere che l’unica interpretazione possibile della realtà sia quella costruita da egli stesso. A seconda della “punteggiatura” usata dunque cambia il significato dato alla comunicazione e alla relazione. Nella Programmazione Neuro-linguistica (PNL) questo assioma è meglio conosciuto come “la mappa non è il territorio”, come vedremo più avanti. Case history: Un’infermiera non si ritrova più il suo termometro personale e vede poco dopo una sua collega usarne uno uguale, pensando che fosse il suo e che gli fosse stato sottratto senza chiederglielo, si indispettisce verso la collega. L’altra infermiera però, che in realtà è la proprietaria di quel termometro, a sua volta non capisce la strana reazione della collega nei suoi confronti, e avendo la coscienza a posto e pensando che la collega avesse magari problemi suoi, le lancia un sorriso per aiutarla. A questo punto la prima infermiera si adira ancora di più perché si sente presa in giro. Poco dopo però, guardandosi meglio nelle tasche ritrova il termometro che pensava di aver perso e capisce che la collega non glielo aveva rubato. La realtà delle cose dunque dipende sempre e solo dal nostro punto di vista. 4° Assioma: “Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico (o digitale), sia con quello analogico”. 12 Il linguaggio numerico (o digitale) è quello delle parole, di segni ai quali è attribuito per convenzione semantica un significato. Il linguaggio analogico invece è quello non verbale, ed esiste un’esatta corrispondenza tra il significato e il significante. Quest’ultimo mantiene con il primo una relazione non arbitraria, cioè risulta connesso al significato da un’analogia. Tramite il linguaggio digitale si veicolano gli aspetti di contenuto, tramite quello analogico si veicolano gli aspetti di relazione. Ad esempio ciò che un infermiera dice al suo paziente è il linguaggio digitale, e le sue parole dunque sono il contenuto; come lo dice invece, se con un sorriso o arrabbiata, oppure se in una postura aperta o chiusa, è il linguaggio analogico, quello non verbale appunto, che veicola gli aspetti di relazione, in questo caso specifico ci fa capire ad esempio se è ben disposta o meno verso il paziente. 5° Assioma: “Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza”. Si ha un’interazione simmetrica quando gli interlocutori, tramite le loro comunicazioni, si considerano di pari livello, sullo stesso piano: nessuno dei due sembra voler prevalere o essere subordinato all’altro. L’interazione complementare si ha invece quando gli interlocutori non si considerano sullo stesso piano, e ciò risulta dalle loro comunicazioni, che pongono uno dei due in una posizione superiore e l’altro subordinata. Ad esempio il rapporto tra due infermiere di pari livello è di tipo simmetrico e la comunicazione sarà più informale, il rapporto tra un’infermiera e la sua caposala invece è di tipo complementare, perché la prima è subordinata alla seconda, e quindi la comunicazione avrà sicuramente un tono più formale. I cinque assiomi sopra citati rappresentano un punto centrale dello studio sulla comunicazione, perché è proprio a partire da essi, o meglio da una loro distorsione, che è possibile risalire alle “patologie” comunicative e di conseguenza relazionali. Come abbiamo visto infatti le funzioni della comunicazione sono fondamentalmente due: fornire informazioni e definire la relazione. Entrambi questi aspetti sono strettamente correlati tra di loro e degli errori su un piano, andranno inevitabilmente ad impattare negativamente sull’altro, dando origine ad una comunicazione e ad una relazione 13 inefficace. Ciò assume particolare rilevanza in ambito assistenziale, ove un fallimento di comunicazione e relazione, significa inevitabilmente un fallimento terapeutico, ma questo lo esamineremo più approfonditamente nel secondo capitolo. 14 1.2 I diversi canali della comunicazione: verbale, non verbale, paraverbale “Noi parliamo con i nostri organi vocali, ma conversiamo con tutto il corpo!”6 La comunicazione è un'attività complessa che fa riferimento a differenti sistemi di significazione e segnalazione. Fino a pochi decenni fa era la comunicazione verbale a suscitare l'interesse maggiore se non addirittura esclusivo dei ricercatori, ma la comunicazione verbale è solo una delle diverse forme di comunicazione, e differentemente da come si potrebbe pensare, non sempre la più completa e corretta, anche perché non tutto si può esprimere in modo adeguato con le parole. Al di là della comunicazione verbale infatti, esiste un livello, immediato e profondo, semplice e complesso al tempo stesso, che è quello del linguaggio del corpo, o comunicazione non verbale (CNV). “L’ organismo vivente si esprime più chiaramente con il movimento che con le parole. Ma non solo con il movimento! Nelle pose, nelle posizioni e nell’atteggiamento che assume, in ogni gesto l’organismo parla un linguaggio che anticipa e trascende l’espressione verbale”7. La comunicazione umana dunque si realizza non solo attraverso l’uso simultaneo dei due sistemi comunicativi, verbale e non verbale, ma la maggior parte dei processi comunicativi si svolge proprio a livello di quest’ultimo, soprattutto in termini non tanto di contenuto, quanto di relazione, e insieme al linguaggio paraverbale, ossia il modo di utilizzo della voce, costituisce la cosiddetta comunicazione extraverbale. Da quando circa due decenni addietro alcuni ricercatori iniziarono a dedicarsi allo studio del comportamento non verbale e paraverbale ed alle loro funzioni comunicative, abbiamo assistito ad un rapido e significativo sviluppo delle conoscenze sulla comunicazione umana. I motivi per cui fino ad allora non gli si era dedicata degna Abercrombie K.,”Paralanguage”, British Journal of Communication, 1968, vol. 3 pp. 55-9 cit. in Argyle M., Il corpo e il suo linguaggio. Studio sulla comunicazione non verbale, Zanichelli, Bologna 1992, p. 102 7 Lowen A., Il linguaggio del corpo, Feltrinelli, Milano 1978 cit. in Binetti P., Bruni R., Ferrazzoli F., Persona, paziente, cliente. Il mondo del malato in un mondo che cambia, Società Editrice Universo, Roma 2000, p. 36 6 15 attenzione sono principalmente due: da un lato la prevalenza di un modello fortemente “razionalistico” dell’uomo che ha portato a considerare solo gli aspetti verbali del processo comunicativo, dall’altro la difficoltà nel riconoscere funzioni e significati agli aspetti paraverbali e non verbali del comportamento, così connaturati nelle interazioni della vita quotidiana da esserne difficilmente pienamente consapevoli8. Lo studio della comunicazione extraverbale infatti risulta tanto interessante quanto complesso, sia per l’eterogeneità delle sue manifestazioni quanto per la difficile codifica e interpretazione delle stesse, che non può prescindere oltre che dal messaggio in sé, dall’intero contesto della relazione. Oggi sappiamo che la comunicazione extraverbale riveste un ruolo centrale nel comportamento sociale dell’uomo, e che è soprattutto attraverso di essa che esprimiamo emozioni e atteggiamenti interpersonali. Le principali funzioni della comunicazione extraverbale infatti sono: 1. Esprimere emozioni: soprattutto attraverso il viso, il corpo e la voce, noi esprimiamo emozioni quali la gioia, la tristezza, il dolore, la paura, la rabbia, l’ansia. 2. Comunicare atteggiamenti interpersonali: manifestiamo le nostre emozioni, i nostri giudizi e la valutazione degli altri principalmente attraverso segnali non verbali, come la vicinanza fisica, il tono della voce, lo sguardo, l’espressione del volto. 3. Presentare se stessi: la comunicazione non verbale, dall’aspetto esteriore alla gestualità, al tono della voce, riveste un ruolo fondamentale nella presentazione immediata di sé. 4. Integrare e modificare la comunicazione verbale: durante lo scambio comunicativo gli interlocutori si esprimono attraverso una complessa sequenza di segnali non verbali, quali l’espressione del volto, cenni del capo, sguardi, postura, gesti, intonazione vocale, che giocano un ruolo cruciale nella conversazione, andando a influenzare, sottolineare, amplificare o smentire il messaggio verbale. 8 Ekman P., I volti della menzogna, Giunti Editore, Firenze 2011, pp. 5,6 16 La maggior parte degli studiosi è attualmente d’accordo sul fatto che la comunicazione non verbale riconosca le sue origini in fattori sia biologici-genetici che culturali, ovvero legati all’apprendimento. Per quanto riguarda la prima e forse la principale funzione della CNV, quella di esprimere emozioni, fu Darwin9 il primo a studiarne le correlazioni con il comportamento espressivo “I movimenti espressivi del viso e del corpo, qualunque ne possa essere stata l’origine, hanno in se stessi grande importanza per il nostro benessere. Essi costituiscono i primi mezzi di comunicazione fra madre e bambino; sorridendo la madre approva il figlio e lo incoraggia lungo la via giusta, aggrottando le sopracciglia gli comunica la sua disapprovazione. I movimenti espressivi conferiscono vivacità ed energia alle parole che pronunciamo; rivelano le intenzioni e i pensieri degli altri più veracemente delle parole, che possono essere false […] Tutte queste conseguenze derivano in parte dallo stretto rapporto che esiste fra quasi tutte le emozioni e la loro manifestazione esteriore”10 Egli analizzò le origine biologiche ed innate delle espressioni come comportamenti adattativi funzionali alla storia evolutiva dell’uomo e fondamentali ai fini della sopravvivenza del singolo individuo e della specie. Successivamente, gli studi di Darwin vengono ripresi, approfonditi e analizzati sistematicamente dallo psicologo statunitense Ekman11, il quale evidenzia la dominanza delle espressioni facciali nel riconoscimento delle emozioni ed il loro carattere innato, adattativo ed universale. Le funzioni delle emozioni12 sono sostanzialmente tre: 1. Funzione adattativa: preparano l’organismo all’emergenza e all’adattamento attraverso la modifica di parametri fisiologici e motori. Darwin C., L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, Bollati Boringhieri, Torino 2012 Cfr. Ivi, cit. in Binetti P., Bruni R., Ferrazzoli F., Persona, paziente, cliente. Il mondo del malato in un mondo che cambia, Società Editrice Universo, Roma 2000, p. 31 11 Ekman P., Emotion in the human face, Cambridge University Press, Cambridge 1982 9 10 12 Binetti P., Bruni R., Ferrazzoli F., Persona, paziente, cliente. Il mondo del malato in un mondo che cambia, Società Editrice Universo, Roma 2000, pp. 32,33 17 2. Funzione informativa interna: attraverso la rilevazione di cambiamenti interni ed esterni all’organismo realizzano un ruolo di informazione intra-soggettiva, dando al soggetto la consapevolezza del proprio stato emotivo. 3. Funzione informativa inter-soggettiva: le emozioni si traducono in comportamenti verbali e non verbali, comunicando all’esterno lo stato dell’organismo. Le emozioni giocano un ruolo fondamentale nella comunicazione interpersonale e nella gestione della relazione con gli altri, ma anche questo lo approfondiremo più avanti nel secondo capitolo, data la loro particolare rilevanza nelle relazioni assistenziali. Tornando alle diverse componenti della comunicazione umana, noto e ancora attuale è lo studio dello psicologo statunitense Mehrabian13, secondo il quale ciò che viene percepito in una comunicazione tra due interlocutori è così suddiviso: - 55% I movimenti del corpo (comunicazione non verbale) - 38% L’aspetto vocale (comunicazione paraverbale) - 7% Le parole (comunicazione verbale) come rappresentato nella figura seguente (fig. 4): Fig.4 Percentuali di efficacia dei 3 canali della comunicazione in una conversazione tra due interlocutori 13 Mehrabian A., Nonverbal communication, Aldine-Altherton, Chicago, New York 1972 18 Quindi l’efficacia di un messaggio, in riferimento a due interlocutori, è influenzato solo in minima parte dal contenuto verbale (7%), mentre risulta maggiormente influenzato (93%) da fattori della comunicazione extraverbale. Possiamo dunque dire che non è tanto importante “che cosa” si dice, ma “come” si dice. Esistono diverse classificazioni dei segnali non verbali e paraverbali, a seconda del tipo di approccio che i diversi autori hanno adottato al riguardo. Nell’ambito delle scienze della comunicazione ad esempio, la comunicazione extraverbale viene suddivisa in quattro componenti principali: 1. Cinesica: riguarda tutti i movimenti del corpo, dai movimenti oculari alla mimica facciale, dai gesti alla postura. 2. Prossemica: riguarda la disposizione degli interlocutori nello spazio. 3. Aptica: riguarda tutti i messaggi comunicativi espressi tramite contatto fisico. 4. Paralinguistica: riguarda l'insieme dei suoni emessi nella comunicazione verbale, indipendentemente dal significato delle parole, come il tono, il volume, il ritmo, la frequenza, il silenzio. 19 Un’altra classificazione ampiamente utilizzata, e che prenderemo in considerazione per illustrare più nel dettaglio le varie componenti della comunicazione non verbale e paraverbale, è quella che prende spunto dallo studio di autori quali Ekman e Friesen14 e Argyle15 e che si può riassumere nello schema seguente (fig. 5): Fig.5 Classificazione comunicazione extraverbale Fonte: adattata da Mastronardi16 14 Ekman P., Friesen W.F., The Repertoire of nonverbal behavior: categories, origins, usage and coding, in Semiotica, 1969, vol. 1, pp. 49-98 15 Argyle M., La comunicazione non verbale, Laterza Editore, Roma-Bari 1974 16 Mastronardi V., Le strategie della comunicazione umana, Franco Angeli, Milano 1998 20 Aspetto esteriore Comprende la conformazione fisica e l’abbigliamento. La prima serve ad identificare nell’immediato i tratti caratteristici e generali di una persona, quali il sesso, l’età, lo stato di salute, il gruppo etnico di appartenenza. Il secondo invece rappresenta il canale principale per la “presentazione di sé”. Comportamento spaziale Comprende la distanza interpersonale, il contatto corporeo, l’orientazione e la postura. La distanza interpersonale (o prossemica) identifica il grado di intimità degli interlocutori ed è suddivisa in quattro zone principali: - Zona intima (da 0 a 50 cm): è quella più ristretta, il cui accesso in genere è consentito ad esempio ai familiari più stretti e al partner. - Zona personale (da 50 cm ad 1 m): è meno ristretta, vi sono ammessi in genere familiari meno stretti, amici, colleghi. - Zona sociale (da 1 m a 3-4 m): è la zona dove di solito avvengono gli incontri più formali, con persone sconosciute o poco conosciute. - Zona pubblica (oltre i 4 m): è quella delle occasioni ufficiali, come una conferenza, in questo caso la distanza tra chi parla e chi ascolta è relativamente elevata e caratterizzata da una forte asimmetria. Il contatto corporeo (o aptica) è la forma più antica di contatto sociale, e di norma esprime atteggiamenti interpersonali o viene usato come segnale d’interazione. Esistono diversi tipi di contatto corporeo e questi possono variare in base al grado di intimità, al luogo, o alle differenze culturali. L’orientazione è l’angolazione secondo cui le persone si dispongono nello spazio l’una rispetto all’altra. La sua funzione principale è quella di esprimere atteggiamenti interpersonali. In una interazione tra due persone esistono principalmente due tipi di orientazione: “frontale”, più formale, e “laterale”, più informale. 21 La postura va intesa come il modo in cui le diverse parti del corpo sono disposte tra loro. Le tre principali posture dell’uomo sono la posizione eretta, seduta o supina. All’interno di ognuna di esse poi si presentano ulteriori variazioni che corrispondono alle diverse posizioni delle braccia e delle gambe e alle angolazioni del corpo. Oltre a trasmettere atteggiamenti interpersonali come analizza Mehrabian17, Ekman e Friesen18, studiando la postura in relazione allo stato emotivo, sostengono che mentre il volto è il canale più efficace per esprimere emozioni specifiche, essa ne esterna invece l’intensità, attraverso ad esempio il grado di tensione- rilassamento o di eccitazione. Comportamento cinesico Comprende movimenti di busto, braccia e gambe, gesti delle mani e movimenti del capo. Solitamente accompagnano sempre il discorso e comunicano svariate informazioni soprattutto relative ai contenuti verbali. Per quanto riguarda i gesti una delle categorizzazioni più note è quella di Ekman e Friesen19 che distinguono cinque tipi di gesti: 1. Gesti simbolici (o emblematici): essenzialmente gesti convenzionali, usati per accompagnare o sostituire il discorso, vengono di solito realizzati dal soggetto in maniera consapevole e assumono un particolare significato in una data cultura. 2. Gesti illustratori: illustrano o sottolineano quanto viene detto. Per es. battere il tempo per accentuare particolari parole o frasi (gesti batonici); puntare con l’indice qualcosa su cui vogliamo richiamare l’attenzione (gesti deittici); mimare con le mani l’atto di respingere un oggetto (gesti cinetografi); tracciare una linea curva per indicare la forma di un oggetto (gesti pittografici). Mehrabian A., “Significance of posture and position in the communication of attitude and status relationships”, Psychological Bulletin, 1969, vol. 71, pp. 359-72 18 Ekman P., Friesen W.V., “Head and body cues in the judgment of emotion:a reformulation”, Perceptual and motor skills, 1967, vol. 24, pp. 711-24 19 Ekman P., Friesen W.F., The Repertoire of nonverbal behavior: categories, origins, usage and coding, in Semiotica, 1969, vol. I, pp. 49-98, cit. in http://www.siena-art.com/Diadori/Testi/08iGESTI.pdf, ultimo accesso Gennaio 2015 17 22 3. Gesti esternalizzatori (o indicatori): che riflettono le attività mentali del soggetto, le sue emozioni, o la sua reazione a referenti esterni. 4. Gesti regolatori: hanno la funzione di gestire i turni nell’interazione. 5. Gesti adattatori: cioè attività o posizioni in cui certe parti del corpo vengono in contatto con altre parti del corpo del soggetto che parla (gesti auto-adattatori), oppure entrano in contatto con quelle di altre persone (gesti etero-adattatori) o con oggetti presenti nel contesto (oggetto-adattatori). Volto Comprende sguardo e mimica facciale. Il volto rappresenta l’area del corpo più significativa dal punto di vista comunicativo e senza dubbio la più espressiva, dunque quella in grado di inviare il maggior numero di messaggi non verbali. “In termini di linguaggio corporeo la capacità del viso di rivelare informazioni su noi stessi è seconda soltanto a quella degli occhi”20 Lo sguardo riveste un ruolo fondamentale nell’ambito dei comportamenti sociali, rappresentando sia un segnale non verbale, che un canale per percepire le espressioni e i comportamenti degli altri. La mimica facciale rappresenta senza dubbio il canale preferenziale per l’espressione delle emozioni. Grazie ad una serie di ricerche effettuate proprio sull’espressioni del volto, Ekman21 afferma che è possibile riconoscere la correlazione tra mimica facciale ed emozione provata in modo inequivocabile ed universale, sottolineando dunque il carattere innato delle emozioni, per lo meno relativamente alle sei emozioni classificate come fondamentali: felicità, tristezza, rabbia, disgusto, paura, sorpresa. Borg J., Il linguaggio del corpo. Guida all’interpretazione del linguaggio non verbale, Tecniche Nuove, Milano 2009 21 Ekman P., Emotion in the human face, Cambridge University Press, Cambridge 1982 20 23 Lo stesso Ekman, insieme a Friesen22, ha elaborato un modello scientifico detto FACS (Facial Affect Coding System), ovvero un sistema di codifica delle azioni facciali per la loro interpretazione. Segnali vocali. Comprendono segnali vocali verbali, segnali vocali non verbali e silenzio. In particolare i segnali vocali non verbali (o paralinguistica) comprende parametri quali il tono della voce, il volume, la velocità di flusso, il ritmo e la frequenza ed esprimono essenzialmente emozioni o atteggiamenti interpersonali. In una comunicazione efficace linguaggio verbale e linguaggio non verbale e paraverbale devono andare di pari passo ed essere congruenti tra di loro, perché in caso contrario si darà istintivamente più rilevanza e affidabilità agli ultimi due, proprio per il loro carattere immediato, spontaneo, veritiero e meno volontariamente influenzabile. Il linguaggio extraverbale infatti è talmente atavico e radicato nel cervello umano che anche se non lo si studia, viene recepito e interpretato a livello inconscio, e le eventuali incongruenze vengono percepite come delle “sensazioni”, che se si conoscono i meccanismi del linguaggio non verbale e paraverbale, trovano la loro razionale spiegazione. Il linguaggio extraverbale dunque, riveste un ruolo di fondamentale importanza nella relazione con gli altri, determinando fortemente ciò che noi comunichiamo agli altri e ciò che gli altri comunicano a noi.23 Decodificare un messaggio non verbale e paraverbale vuol dire innanzitutto percepirlo, e quindi interpretarlo in modo corretto, prendendo in considerazione non solo il messaggio in se stesso ma l’intero contesto della relazione. 22 Ekman P., Frieser W.V., Facial Affect Coding System (FACS): A technique for the measurement of facia action, Psychologists Press, Palo Alto, California 1978 23 Pensieri C., PNL Medica e Salute dal corpo all’emotività, Armando Curcio Editore, Roma 2012, p. 94 24 1.3 La programmazione Neuro-Linguistica (PNL) La Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) è un approccio alla comprensione del comportamento umano da cui derivano numerose abilità, tecniche e applicazioni pratiche24. Tramite determinati modelli operativi si propone come lo strumento più evoluto per comunicare efficacemente in qualsiasi ambito, professionale e/o personale. Lo stesso Grinder, cofondatore della PNL insieme a Bandler, ne dà la seguente definizione: “La Programmazione neuro-linguistica si propone di modellare le più alte qualità umane: identificare le strutture comportamentali caratteristiche di persone note per eccellere in un campo particolare”25 Il nome deriva dall'idea che ci sia una connessione fra i processi neurologici ("neuro"), il linguaggio ("linguistica") e gli schemi comportamentali appresi con l'esperienza ("programmazione"), affermando che questi schemi possono essere organizzati e modificati per raggiungere specifici obiettivi. La PNL alla nascita non si basava su teorie scientifiche, ma su una metodologia detta “modeling”. Grinder e Bandler infatti, a metà degli anni Settanta, si ispirarono a modelli quale Erikson, celebre psichiatra, Satir, nota nell’ambito della psicologia familiare e Perls, padre della Gestalt-terapia, per creare dei modelli di intervento efficaci ad uso della psicoterapia e dello sviluppo personale. Tuttora la PNL è in continua evoluzione e grazie alle più moderne tecniche di indagine ha trovato molti riscontri scientifici. Alla base della PNL troviamo alcune idee che possono essere riassunte come segue: Dilts R., Delozier J., Bacon Dilts D., L’evoluzione della PNL. Dalle origini alla next generation, Alessio Roberti Editore, Bergamo 2011, p. 23 25 Bidot N., Morat B., Ottanta giorni per capirsi. La Programmazione Neurolinguistica, Xenia Edizioni, Milano 2010, p. 7 24 25 - “la nostra rappresentazione della realtà non è la realtà”: ognuno di noi capta le informazioni provenienti dal mondo esterno a proprio modo, elaborandone una rappresentazione personale che non corrisponde alla realtà, ma alla propria idea di realtà. - “il significato di un messaggio è dato dalla reazione che esso suscita”: in altri termini, nella comunicazione efficace, il risultato è più importante dell’intenzione. - “Per capire bene l’altro è preferibile incontrarlo sul suo terreno”: in materia di comunicazione efficace, è importante mettere da parte la propria visone del mondo e adottare quella del nostro interlocutore. - “Non si può non comunicare”: questo come abbiamo già visto, corrisponde al primo assioma della comunicazione, che dice che ogni comportamento è comunicazione, intenzionale o meno. - “Il livello inconscio della comunicazione è il più importante”: come abbiamo visto infatti il 93% della comunicazione avviene a livello non verbale, e quindi inconscio. Da tutto ciò la Programmazione neuro-linguistica ha tratto una serie di “tecniche” che ha applicato alla comunicazione con l’obiettivo di renderla efficace e che ha trovato riscontri in diversi campi, dalla psicoterapia allo sviluppo personale e professionale, dalla medicina, come vedremo più avanti, all’insegnamento. Vediamo nello specifico quali sono: 1. Sincronizzazione La sincronizzazione (mirroring) consiste nello stabilire uno stretto contatto con il livello “conscio” e “inconscio” dell’interlocutore. Essa rappresenta il punto di partenza per creare un “rapport”, ossia un rapporto positivo ed empatico con l’interlocutore, e può essere sia di tipo verbale che non verbale, diretta (secondo uno stesso parametro) o crociata (secondo un parametro diverso). Nello specifico consiste nel riflettere verso l’altro la propria immagine, nell’inviargli dei segnali non verbali che egli può facilmente identificare in modo inconscio con i suoi e che rappresentano per lui altrettanti segni di 26 riconoscimento26. Serve dunque a creare un clima di fiducia con l’interlocutore, che sentendosi, riconosciuto e accettato, sarà più propenso a parlare e a fornire informazioni. 2. Registri sensoriali Le persone decodificano, organizzano e rielaborano i dati provenienti dal mondo esterno tramite i cinque sensi (vista, udito, tatto, olfatto e gusto). La PNL distingue tre tipologie in base al canale preferenziale usato per elaborare le informazioni interne (sistema V-A-K): - Visivo (V) - Auditivo (A) - Cenestetico (K) (sensazioni) che esteriormente si manifestano soprattutto attraverso i movimenti oculari (Fig. 6), e i predicati usati (Fig. 7), ma anche attraverso il para-verbale, i gesti, le modalità di respirazione e la posizione del corpo nello spazio. 26 Pensieri C., La comunicazione medico-paziente. Programmazione Neuro-linguistica & Sanità. Teorie e tecniche di comunicazione interpersonale, NLP INTERNATIONAL LTD, UK 2009, p. 64 27 Fig. 6 Schema di accesso al sistema rappresentazionale dei movimenti oculari VISIVO (V) AUDITIVO (A) CENESTETICO (K) VEDERE ASCOLTARE TOCCARE FOCALIZZARE GRIDARE LEGGERO ILLUMINARE PARLARE RILASSATO MOSTRARE DISCUTERE TESO COLORATO SUONARE PRESSIONE VISIONARE SINTONIZZARSI DOLCE MOSTRARE ARMONIA PESANTE Fig. 7 Esempi di accesso al sistema rappresentazionale dei predicati 28 Saper riconoscere e adattarci al registro sensoriale del nostro interlocutore, significa aumentare il “rapport” e comunicare in modo appropriato, contribuendo a facilitare il dialogo senza destabilizzare l’interlocutore. 3. Calibrazione La calibrazione consiste nell’individuare nell’interlocutore degli indicatori non verbali che sono associati in lui a certi stati interni. La calibrazione permette di riconoscere uno stato interno di un individuo in modo molto affidabile, in quanto i parametri non verbali identificati, sono da lui stesso difficilmente controllabili a differenza delle parole. 4. Ancoraggio L’Ancoraggio è il meccanismo mediante il quale è possibile associare ad un determinato e preciso stimolo sensoriale un determinato stato d’animo. L’ancora dunque è quello stimolo sensoriale che permette di richiamare un preciso stato d’animo, e può avere sia valenza personale che interpersonale. 5. Stati interni. Gli stati interni rappresentano lo stato d’animo e le emozioni che si hanno in un determinato momento e si riflettono sempre sui comportamenti esterni, giocando un ruolo fondamentale dunque in uno scambio comunicativo. La PNL li distingue in due categorie: - Stati risorse, cioè degli stati interni ottimali e più adeguati a vivere una certa situazione - Stati limitanti, cioè stati interni non adeguati a vivere una situazione. Affinché la comunicazione sia positiva in termini di efficacia è indispensabile imparare a gestire i propri stati interni, nonché a riconoscere e a guidare quelli dei nostri interlocutori. In ultimo grazie ad una corretta lettura ed interpretazione dei messaggi non verbali, è possibile distinguere tre tipi di segnali che ci aiutano a orientarci nell’interazione, 29 aiutandoci a capire il feedback dell’interlocutore e che ci danno quindi la possibilità di capire se ci stiamo muovendo nella direzione giusta o meno, e in quest’ultimo caso di correggerci e sono: - Segnali di gradimento: spostare il busto in avanti, spostare oggetti verso di sé, braccia o gambe aperte, accarezzarsi le labbra con il dito, accarezzarsi i capelli, etc. - Segnali di rifiuto: spostare il busto all’indietro, sfregarsi con le dita la punta del naso, spostare oggetti lontano da sé, raschiamento della gola, braccia o gambe incrociate, etc. - Scarichi di tensione: leggera sudorazione sulla fronte, arrossamenti del viso, deglutizione forzata, battere il tempo con il piede o con le dita sul tavolo, etc. Tenere presente queste tecniche della Programmazione neuro-linguistica vuol dire migliorare le proprie abilità comunicative al fine di attuare una comunicazione più efficace che si rispecchia altresì in una relazione positiva. Tutto ciò è possibile solo attraverso lo sviluppo di quella acuità sensoriale, che ci permette di prestare attenzione a tutti quei messaggi non verbali e paraverbali troppo spesso celati o distorti dalle parole, ma così fondamentali nei processi comunicativi. 30 2. La relazione professionista sanitario-paziente e l’importanza della comunicazione nel processo di cura 2.1 La relazione professionista sanitario-paziente Il rapidissimo sviluppo delle scienze biologiche e delle tecnologie che ha caratterizzato questi ultimi decenni, ha portato progressivamente la medicina a focalizzarsi più sulla malattia che sull’uomo, rendendo soggetto la prima e oggetto il secondo. L’antico rapporto tra arte e tecnè dunque sembra essersi del tutto risolto a favore della seconda forma, ponendo l’accento più sulle scienze naturali che su quelle umanistiche. Il critico letterario e filosofo russo Bachtin afferma “Le scienze umane studiano l’uomo nella sua specificità e non la muta cosa e il fenomeno naturale. L’uomo, nella sua umana specificità, si esprime sempre. Quando l’uomo è studiato al di fuori delle sue espressioni e indipendentemente da esse, non si hanno più scienze umane […]. Le scienze naturali sono una forma monologica di sapere: l’intelletto contempla una cosa e si pronunzia su di essa. Qui c’è soltanto un soggetto: colui che conosce (contempla) e parla (si pronuncia). Di fronte, gli sta soltanto la cosa muta. Ma il soggetto come tale non può essere percepito e studiato come cosa poiché, nella sua qualità di soggetto, esso non può, restando soggetto, diventare muto e quindi la sua conoscenza può essere soltanto dialogica.”27 Tutto ciò ha portato a considerare la malattia come mera disfunzione di processi biologici, sottovalutando la dimensione soggettiva dell’uomo malato e non considerandolo nella sua globalità fisica, psicologica, e sociale. La stessa definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) secondo la quale è 27 Todorov. T., Michail Bachtin. Il principio dialogico, Einaudi, Torino 1990, pp. 28,34-5 31 “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non si riduce alla sola assenza di malattia”28 ci fa capire come non sia possibile comprendere il contenuto della nozione di salute se non combinando criteri oggettivi, soggettivi e socioculturali. Il riduzionismo che è dunque alla base del modello biomedico ne rappresenta il suo principale limite perché come afferma il filosofo Bergson “Non ci si dovrebbe calare in una scienza speciale, se non dopo aver considerato dall’alto, nei loro contorni generali, tutte le altre. E’ che la verità è una: le scienze particolari ne esaminano i frammenti, ma conoscerete la natura di ciascuno di essi solo se vi renderete conto del posto che esso occupa nell’insieme. Non si comprende una verità particolare se non quando si sono scorti i rapporti che essa può avere con le altre”29 Per quanto siano stati grandi i meriti del modello biomedico, incentrato sulla malattia in senso biologico (disease), che ha visto raggiungere livelli elevatissimi sul piano delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, una letteratura in espansione ha sottolineato l’attenzione che va posta anche all’altro versante della malattia, ossia il vissuto del malato (illness), criticando fortemente il riduzionismo che ne è alla base e che porta ad una pratica sanitaria disumana per chi la esercita e per chi la subisce, con forti ripercussioni sia sul piano della relazione interpersonale sia sul piano clinico stesso, e con una conseguente sempre più crescente disaffezione e sfiducia dei pazienti nei confronti degli operatori e delle strutture sanitarie. La medicina odierna infatti porta il paziente ad avvertire il disagio dell’estraneità, dell’asetticità, della mancanza di empatia di fronte ad un operatore sanitario scisso tra scienza e tecnologia, tra economia e burocrazia, il che conduce inevitabilmente al fallimento terapeutico. OMS, Protocollo di Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, New York, 22 luglio 1946 Bergson H., La specializzazione, cit. in Russo M.T., Corpo, salute, cura. Linee di antropologia biomedica, Rubbettino Editore, Catanzaro 2004, p. 49 28 29 32 Questa attenzione dunque invita le professioni sanitarie a non considerare il paziente come l’oggetto di procedure e pratiche cliniche ma come un’unità in cui elementi biologici, psicologici e sociali si influenzano a vicenda nel “sistema uomo”30. Il più recente paradigma relazionale della salute31 adotta un modello interpretativo biopsicosociale di malattia, piuttosto che quello esclusivamente biomedico, di cui respinge il riduzionismo. Il binomio salute/malattia viene considerato come una “relazione sociale di valore”: la salute è una condizione vitale complessiva, che consiste in una relazione sociale adeguata di un soggetto con il suo ambiente, mentre la malattia è l’alterazione dell’equilibrio di queste relazioni. Il confine tra normale e patologico sarà dunque basato su parametri oggettivi, ma anche su come il soggetto comprende se stesso in rapporto al proprio sistema di relazioni32. Ad ogni modo evidenziare i limiti riduzionistici della medicina non significa assumere una posizione antiscientifica. Ammettere l’urgenza di un rinnovamento dell’assistenza sanitaria, allo scopo di renderla più sensibile alla globalità della persona, agli aspetti antropologici e sociali, non significa rinunciare agli indiscutibili vantaggi offerti dal progresso scientifico, significa però mettere in evidenza l’insufficienza di un approccio orientato al curare (to cure) e rivendicare l’importanza del prendersi cura (to care), e le competenze e abilità proprie del to care appartengono all’ambito comunicativorelazionale. La competenza scientifica, componente essenziale ma non esclusiva dell’assistenza sanitaria deve intendersi subordinata quale strumento ausiliario per il raggiungimento del suo scopo originario, il “prendersi cura” appunto. In quest’ottica dunque dimensione tecnica e dimensione umana diventano assolutamente interdisciplinari, e qualità essenziale del professionista sanitario deve essere l’interesse verso l’uomo che soffre, non verso un meccanismo inceppato da far 30 Engel G.L., The need for a new medical model: a challenge for biomedicine. Science,Vol.196,No 4286,8 Aprile 1977, pp. 129-30 31 Donati P., Verso una nuova sociologia della salute, in Donati. P. (a cura di), La sociologia sanitaria. Dalla sociologia della medicina alla sociologia della salute, Franco Angeli, Milano 1983, pp. 68-9 32 Russo M.T., Corpo,salute,cura. Linee di antropologia biomedica, Rubbettino Editore, Catanzaro 2004, p. 179 33 ripartire, di conseguenza la relazione diventa elemento costitutivo ineliminabile, una conditio sine qua non dell’assistenza stessa, e l’abilità comunicativa del professionista sanitario un aspetto determinante della sua competenza clinica. E’ necessaria dunque una “umanizzazione” della medicina, in cui insieme all’acquisizione delle medical skills vi sia l’acquisizione delle humanities skills, al fine di integrare gli spazi vuoti lasciati dalle materie hi-tech, con le materie hi-touch, quali appunto le abilità comunicativo-relazionali33. Troppo spesso e erroneamente gli operatori sanitari sentono che è la competenza tecnica a conferire loro prestigio professionale e autorevolezza e proprio per questo tendono solitamente a perfezionare tale competenza a discapito talvolta di altri aspetti propri dell’incontro con la sofferenza del malato, ma la relazione terapeutica richiede una competenza parimenti tecnica (rispetto all’oggetto) ed umana (rispetto al soggetto). Appare chiaro dunque che pur in una sostanziale asimmetria del rapporto tra l’équipe curante ed il paziente, caratteristica delle relazioni di aiuto, è necessario che ognuno possegga una pari dignità e pari diritti, se non altro per il riconoscimento della reciproca natura umana. Ingredienti essenziali di una relazione terapeutica di successo tra operatore sanitario e assistito vanno ad essere costituiti dunque da un atteggiamento empatico, dalla disponibilità e capacità di ascolto, e da una buona comunicazione come vedremo nel dettaglio più avanti; e riuscire a stabilire una relazione positiva con il paziente tramite queste abilità, vuol dire recuperare il significato pieno dell’essere medico, infermiere o professionista sanitario in genere e riattribuire un valore importante al proprio operare. 33 Pensieri C., PNL Medica e Salute dal corpo all’emotività, Armando Curcio Editore, Roma 2012, p. 25 34 2.2 Etica della relazione e della comunicazione nel processo di cura Se, come abbiamo visto, da un lato molti problemi sono stati risolti sul piano delle conoscenze scientifiche, dall’altro di nuovi se ne sono aperti sul piano della relazione interpersonale, con forti ricadute non solo dal punto di vista clinico, ma anche etico. La soggettività del paziente infatti ha un valore etico incommensurabile e non può essere subordinata ad una oggettività scientifica, che senza la prima risulterebbe monca e incapace di raggiungere i suoi stessi obiettivi34. Per operare un’inversione di tendenza nel comune modo di intendere la salute e la malattia, una strada possibile è quella di recuperare un maggiore spessore etico, affiancando all’approccio clinico, anche un approccio antropologico e morale35. 2.2.1 Etica L’etica, dal greco èthos, “uso, costume, comportamento”, è quella branca della filosofia che studia il comportamento dell’uomo, e nello specifico i criteri oggettivi e razionali che ne sono alla base e che permettono di differenziare i comportamenti buoni, giusti o moralmente leciti da quelli cattivi, ingiusti, o moralmente inappropriati. Tale disciplina ha indagato nel corso dei secoli l’agire umano tentando di darne una definizione in termini assoluti e universali, non limitandosi a descriverlo ma indicando valori e criteri ai quali chi agisce deve attenersi. Il primo a parlare di etica in filosofia fu Aristotele, che la definì come l’attitudine dell’individuo ad agire secondo giustizia e saggezza, considerando dunque la stessa natura dell’uomo la fonte ispiratrice del suo agire. In tal senso a noi tutti sono note le celebri frasi Pensieri C., PNL Medica e Salute dal corpo all’emotività, Armando Curcio Editore, Roma 2012, p. 49 Russo M.T., Corpo, salute, cura. Linee di antropologia biomedica, Rubbettino Editore, Catanzaro 2004, p. 36 34 35 35 “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e canoscenza”36. o ancora “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”37. Aristotele nel tentativo di definire l’agire e di descriverne i processi si ricollega alla concezione che egli sviluppa del bene in generale e del rapporto che l’agire ha con il bene. Il bene è fine, scopo dell’azione umana. Raggiungere il bene, per Aristotele è un tendere naturale dell’uomo. Il bene da perseguire è il bene supremo, al quale ogni essere razionale per natura tende. All’etica del bene, come fine a cui l’agire dell’uomo mira, si lega un’etica della virtù, come modo in cui viene perseguito il bene, ovvero la parte razionale dell’uomo deve dominare le inclinazioni che possono allontanarci dal nostro scopo38. All’interno dell’etica troviamo poi delle sue specifiche applicazioni ad aree più ristrette, in riferimento ad esempio ai principi di comportamento connessi ai singoli settori o “etiche professionali”, codici deontologici annessi, come l’“etica medica”, o in riferimento a tematiche/problematiche peculiari come le più recenti “etiche applicate”, come la “bioetica”, l’“etica della relazione”, o l’ “etica della comunicazione”. Queste ultime due, insieme all’ “etica medica” prima citata, sono di nostro specifico interesse. 2.2.2 Etica medica: etica della relazione ed etica della comunicazione nel processo di cura Lo scopo principale della pratica medica, sin dall’antichità, è stato sempre definito in termini di benefici per il paziente, e ciò si evince sia dal giuramento di Ippocrate che dai codici deontologici stessi, secondo cui il fine ultimo della medicina doveva essere 36 Alighieri D., Divina Commedia, Inferno CantoXXVI,118-120 Kant I., Critica della Ragion pratica, 1788 38 Fabris A., Etica della comunicazione, Carocci Editore, Roma 2006 37 36 perseguire il bene39 del paziente in riferimento alle sue necessità di salute, astenendosi contemporaneamente da qualsiasi intervento che potesse intenzionalmente arrecargli danno per imperizia, imprudenza e negligenza. Tale presupposto, rappresentato dalla virtù della beneficità nella fiducia40, e alla base dell’agire medico, ha come destinazione dunque e al contempo motore propulsore il bene del paziente. Questo dovrebbe costituire l’assunto di base da cui partire per l’operare da parte del professionista sanitario e per interrogarsi sul modo ed il fine del suo agire, che dovrebbe sempre tenere conto del fatto che non può ragionare solo e strettamente in termini biologici, dal momento che dietro l’“oggetto” di studio vi è una persona con la sua dignità, la sua volontà, il suo vissuto personale ed il suo mondo di valori: “La medicina soffre di un’aporia fondamentale: la sua teoria abbraccia universali, la sua pratica ha a che fare con individui concreti”41. Questo evidenzia come sia indiscutibilmente necessario, ed anche un dovere etico da parte del professionista sanitario, non solo disporre di competenze tecniche specifiche ma anche di tutte quelle “medical humanities” necessarie affinché i recenti sviluppi tecnicoscientifici non riducano il rapporto umano tra operatore sanitario e paziente ad un semplice corollario, dal momento che come abbiamo visto invece la medicina è fondamentalmente relazione. Si tratta allora di riscoprire quel substrato di significati etici in grado di valorizzare e legittimare le “doti” professionali e al contempo di restituire alla relazione un ruolo centrale, e forse oggi, in un tempo di mutamenti sociali, di globalizzazione, di massimizzazione dei risultati ne abbiamo bisogno più che mai: “La mancanza di pensiero, l’incurante superficialità, o la confusione senza speranza, o la ripetizione compiacente di verità diventate vuote e trite, mi sembra tra le principali caratteristiche del nostro tempo. Quello che io propongo, perciò, è molto semplice: niente di più che pensare a ciò che facciamo”42. Pellegrino E.D., Thomasma D.C., For the Patient’s Good, Oxford University Press, New York 1988 Tambone V., Sacchini D., Cavoni C.D., Eutanasia e Medicina. Il rapporto tra medicina, cultura e media, UTET Università, Torino 2008, p. 8 41 Stephanus Alexandrinus, VI sec. d.C. 42 Arendt H., Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1988, p. 43 39 40 37 Il recente passaggio dal rapporto medico-paziente di tipo paternalistico, in cui il medico, in quanto unico depositario del sapere, godeva di ogni aspetto decisionale riguardo a ciò che era meglio per il paziente, ad un rapporto di tipo partecipativo, in cui il paziente, grazie ad una società sempre più attenta al tema del rispetto dell’Uomo, non è più soggetto solo passivo, ma è chiamato responsabilmente ad interagire con il medico nella valutazione di ogni intervento sanitario, acquisendo dunque una certa autonomia, ha rappresentato un cambiamento teorico di grandissimo valore e fecondo di implicazioni importanti per la relazione stessa43, perché implica da parte del medico rispetto, considerazione e coinvolgimento di quelle che sono le idee e le scelte del paziente. Si tratta però di un’idea di autonomia piena di responsabilità verso se stessi e verso gli altri, che deve essere compatibile con la verità sull’Uomo come essere razionale dipendente e, per questo, naturalmente sociale, secondo la virtù della dipendenza riconosciuta, che si esprime soprattutto attraverso la sincerità nelle relazioni sociali, la giusta generosità verso chi ha un bisogno e la misericordia che ci fa riconoscere la sofferenza altrui come nostra. In questo modo il concetto di autonomia che ne consegue è un’autonomia che l’uomo ha di gestire con libertà la sua situazione anche nella sua dimensione di essere dipendente non come limite patologico, ma come elemento costitutivo e fondante il procedere sociale necessario per la sua personale perfezione44. Il rapporto professionista sanitario-paziente, che come abbiamo visto in precedenza, è di tipo asimmetrico, dove il paziente rappresenta in qualche modo la parte strutturalmente più “debole”45, comporta che è l’operatore sanitario a ricoprire un ruolo di maggiore responsabilità dal punto di vista etico, sia per quanto concerne la cura della relazione e della comunicazione, sia per quanto concerne il prendersi cura del soggetto “vulnerabile”, ispirato da valori di prossimità, solidarietà, benevolenza e giustizia. Come afferma Wartofsky46: Zanon R., Manuale di etica per l’operatore socio-sanitario, Maggioli Editore, Rimini 2010, p. 27 Tambone V., Sacchini D., Cavoni C.D., Eutanasia e Medicina. Il rapporto tra medicina, cultura e media, UTET Università, Torino 2008, pp. 7, 8, 72-4 45 Zanon R., Manuale di etica per l’operatore socio-sanitario, Maggioli Editore, Rimini 2010, p. 34 46 Wartofsky M.W., Virtues and vices: the social and historical construction of medical norms, in Shelp. E.E., Virtue and Medicine. Explorations in the character of medicine, D. Reidel, Dordrecht-Boston43 44 38 “Il linguaggio delle virtù e quello di una medicina che si occupa prima delle patologie che delle persone malate sono incompatibili: […] l’ernia della stanza 409 o l’infarto nella corsia di emergenza sono l’oggetto della benevolenza medica in un modo che mette a dura prova la concezione tradizionale di questa virtù”. L’agire del medico dunque deve ispirarsi da un lato alla virtù della benevolenza, intesa come “prendersi cura” (care), dall’altro a quella della moderazione, intesa come riconoscimento e accettazione dei limiti entro i quali gli sforzi di “cura” (cure) possono essere esercitati nel rispetto del paziente. Inoltre, sempre nell’ambito del to cure affinchè la scelta professionale sia eticamente fondata, non basta che il fine perseguito sia buono, ma è necessaria una determinazione prudente dei mezzi opportuni per conseguirlo, richiamandosi quindi alla virtù della prudenza, la quale implica qualità come intelligenza, saggezza, misura ed equilibrio interiore47. Trovare allora il giusto equilibrio tra il “to cure” ed il “to care” è forse la più grande sfida per un’etica della cura e della relazione. Ma l’etica della cura in fondo è l’etica stessa, in qualche modo è una precondizione all’etica: perché chi non si prende cura dell’altro non agisce eticamente. Oltre quelle finora esaminate, altre virtù cardini che devono presiedere all’ agire medico sono quella della giustizia, che include la virtù della veracità, ovvero il dovere di dire la verità e di non mentire o ingannare la persona assistita e la virtù della fedeltà ,ossia l’obbligo di restare fedele ai propri incarichi, di non venir meno alla fiducia accordata, agli impegni assunti, alla parola data e che implicano qualità come semplicità, integrità morale, correttezza, lealtà; la virtù della fortezza, che preserva, a costo di sacrifici e rischi, dalla defezione e che include la virtù della magnanimità, ovvero di possedere un animo nobile degno di onori e fama, e la virtù della magnificenza, ovvero di compiere grandi opere, che implicano qualità come prestanza, generosità, coraggio, dignità e nobiltà Lancaster 1985, p. 194 in http://www.academia.edu/878036/Letica_delle_virt%C3%B9, ultimo accesso Febbraio 2015 47 Pelàez M., L’Arte di vivere bene. Beni, virtù, norme, Edizioni Ares, Milano 2007 39 d’animo; infine la virtù della temperanza, ovvero la pratica della moderazione, di cui abbiamo già accennato in precedenza e che include la virtù dell’umiltà, il cui fine è quello di dare un equilibrato ordinamento interiore all’uomo, dal quale deriva la pace e la tranquillità dell’animo e quindi il retto esercizio del libero arbitrio, e che implica qualità come saggezza, maturità, pazienza48. Il comportamento dell’operatore sanitario dunque deve essere indirizzato verso il rispetto della persona assistita e da una sua accettazione incondizionata, ovvero priva di pregiudizi; da un’attenzione sincera, da un ascolto attivo, e da una predisposizione empatica che sono alla base di una relazione autentica: “L’empatia permette di cogliere l’altro nella sua irriducibile alterità e di rispondere ai suoi concreti bisogni. In questo senso la disponibilità empatica acquista rilevanza etica”49. Deve mostrare sensibilità, disponibilità e cortesia: “Non c’è segno esteriore di cortesia che non abbia una profonda base morale”50. Per quanto riguarda poi la responsabilità circa la cura della comunicazione, altro aspetto strettamente connesso alla riuscita di una buona relazione, possiamo dire che con “etica della comunicazione” intendiamo: “La disciplina che individua, approfondisce e giustifica quelle nozioni morali e quei principi di comportamento che sono all’opera nell’agire comunicativo, e che motiva all’assunzione dei comportamenti da essa stabiliti”51. L’etica della comunicazione nasce dall’esigenza di comunicare bene, di individuare i principi che sono alla guida di una comunicazione efficace, di renderci responsabili dei messaggi che si veicolano. Pelàez M., L’Arte di vivere bene. Beni, virtù, norme, Edizioni Ares, Milano 2007 Boella L., Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006, p. 90 50 Goethe J.W., Le affinità elettive, Mondadori, Milano 1988 51 Fabris A., Etica della comunicazione, Carocci Editore, Roma 2006 48 49 40 Abbiamo visto nel primo capitolo come, secondo il terzo assioma della comunicazione, essa avviene sempre su due piani, uno di contenuto, definito dal linguaggio verbale e che fornisce informazioni (cosa si dice), e uno di relazione, definito dal linguaggio non verbale e paraverbale, e che fornisce per così dire informazioni sulle informazioni (come si dice). Comunicare dunque va oltre un mero scambio di notizie, significa condivisione, significa aprire uno spazio comune di relazione tra interlocutori, significa il dovere etico di trovare un’intesa52. Significa allora far riferimento a valori quali quello di condivisione, di fiducia e credibilità, di verità e veridicità, di utilità, di trasparenza e comprensione, di congruenza, di consapevolezza, rispetto e responsabilità. Significa vedere le cose dal punto di vista dell’interlocutore e il dovere di prestare attenzione ai segnali non verbali e paraverbali, dal momento che ogni comunicazione-relazione è da essi mediata. Quindi ciò che rende etica ed efficace la comunicazione non è tanto la tecnica o la strategia che si utilizza, quanto la capacità di istituire, attraverso di essa, uno scambio con l’altro, una proposta di relazione fondata su valori e principi etici verso sé stessi e verso gli altri53. In conclusione dunque è importante trovare un approccio etico che tenga conto di tutti questi aspetti, al fine di elevare sensibilmente la qualità umana dell’intervento assistenziale. Si tratta insomma di sviluppare quelle virtù necessarie al professionista sanitario per valutare e decidere secondo scienza e coscienza. 52 53 Cfr. Ivi Giannelli M.T., Comunicare in modo etico, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006 41 2.3 La comunicazione professionista sanitario-paziente e l’importanza di una comunicazione efficace nel processo di cura Abbiamo visto come la comunicazione si svolga costantemente su due piani, quello del contenuto, legato agli aspetti più propriamente verbali, e quello della relazione, legato invece agli aspetti non verbali e paraverbali. La complessità del rapporto professionista sanitario-paziente, evidenzia ancora di più quanto questi due livelli siano inscindibili e interagenti tra loro, perché da un lato il rapporto, per sua stessa natura, prevede uno scambio di informazioni, dall’altro ciò non può avvenire se non all’interno di uno spazio relazionale, e in assenza di uno scambio informativo adeguato o di una relazione sufficientemente positiva ed empatica, l’intero processo è destinato a risentirne in termini di efficacia e validità. Inoltre bisogna tenere presente che così come una relazione risente delle caratteristiche emotive, cognitive, di personalità di ognuno dei partecipanti, così anche la comunicazione non può prescindere da queste variabili. Abbiamo poi visto come il processo comunicativo, rispetto ai due livelli, si svolga maggiormente sul piano della relazione e in minor misura su quello dei contenuti, il che significa, di conseguenza, che è la comunicazione non verbale e paraverbale a rivestire un ruolo centrale nell’intero processo, e ciò assume particolare valore nell’ambito della relazione assistenziale dove i contenuti sono spesso mascheramenti di emozioni, affetti e bisogni difficili da riconoscere ed esprimere adeguatamente a parole54. Essere consapevoli allora del proprio e altrui linguaggio del corpo influenza in modo significativo il rapporto stesso: “La capacità di codifica e di decodifica dei segnali non verbali dipende da molti fattori che sono riferibili alle caratteristiche individuali dei partecipanti all’interazione (la varietà di aspetti della personalità, gli stati emotivi, gli atteggiamenti), a elementi della 54 Binetti P., Bruni R., Ferrazzoli F., Persona, paziente, cliente. Il mondo del malato in un mondo che cambia, Società Editrice Universo, Roma 2000, p. 133 42 situazione e del contesto, ai differenti significati che a questi segnali si attribuiscono in culture diverse. Anche per la comunicazione non verbale come per quella verbale, possedere specifiche competenze sociali significa fare un uso corretto dei segnali non verbali e avere la capacità di riconoscerne il significato e le finalità. La capacità di codificare e decodificare in modo corretto ed efficace i segnali non verbali, è quindi, un’importante abilità sociale e può risultare essenziale nel determinare la qualità e varietà dei rapporti sociali. Gli individui che risultano carenti o incapaci di utilizzare queste abilità possono non essere in grado di stabilire o mantenere delle relazioni con gli altri, anche se sono fortemente motivati a farlo”55. Per molto tempo la comunicazione in ambito assistenziale è stata considerata un processo spontaneo, un semplice corollario senza alcuna incidenza in termini di recupero della salute, solo recentemente si è riscoperto e riconosciuto il valore che la dimensione comunicativa riveste nel contesto più ampio della salute e della malattia. Lown56 racconta: “Un preside di università aveva consultato medici per più di dieci anni per una tachicardia ventricolare, un disturbo molto grave del ritmo cardiaco. Era stato ricoverato in molti centri specializzati ed erano state tentate più di una dozzina di cure diverse, senza successo. Alla prima visita, gli chiesi in quale momento del giorno sopravveniva l’aritmia. Rispose che era quasi sempre al mattino, prima che andasse al lavoro. Quando lo interrogai ancora, precisò che succedeva tra le 7,30 e le 8,30. Dopo aver raccolto altre informazioni, gli dissi che il suo problema si sarebbe risolto se avesse messo la sveglia alle 5,30 e, appena sveglio, avesse preso una doppia dose di un farmaco antiaritmia prima di ritornare a dormire. Gli raccomandai di non prendere altre dosi di questo farmaco durante il giorno. Seguì il mio consiglio per otto anni e si liberò completamente dell’aritmia. E’ sorprendente che nessun medico avesse tentato di 55 David D., La comunicazione non verbale, in Zani B., Selleri P., David D., La comunicazione, Carocci Editore, Roma 1994 cit. in Binetti P., Bruni R., Ferrazzoli F., Persona, paziente, cliente. Il mondo del malato in un mondo che cambia, Società Editrice Universo, Roma 2000, p. 143 56 Lown B., (traduzione a cura di) Spinoglio C., L'arte perduta di guarire. I consigli di un grande medico per un ritorno a una medicina più umana, Garzanti, Milano 1997 in http://www.claudiopensieri.it/public/libri/arte%20perduta%20di%20guarire_parte.pdf, ultimo accesso Febbraio 2015 43 identificare l’ora precisa in cui sopravveniva l’aritmia. L’assunzione di una dose maggiore del farmaco durante la giornata, come gli era stato prescritto, gli provocava sintomi collaterali senza combattere l’aritmia. La ragione dell’insuccesso era chiara. L’effetto della dose serale al mattino presto era svanito. La dose del mattino era presa quasi in concomitanza con l’inizio dell’attacco e non poteva quindi raggiungere un livello soddisfacente nel sangue. Inoltre a quell’ora avrebbe avuto bisogno di una dose maggiore per prevenire l’aritmia. Nessuna diavoleria tecnologica aveva potuto risolvere il suo difficile problema. La soluzione non avrebbe mai potuto essere intravista senza l’informazione fornita dal paziente”. Inoltre: “Non a caso, come la letteratura ha da tempo evidenziato, le variazioni nei processi di comunicazione influenzano in modo rilevante alcuni esiti nei comportamenti e negli atteggiamenti del paziente, quali la sua soddisfazione circa la visita medica, l’attenersi alle prescrizioni terapeutiche (compliance) e una riduzione delle sue preoccupazioni”57. L’acquisizione quindi da parte degli operatori sanitari di specifiche abilità comunicative si rende necessaria per una corretta e completa raccolta di informazioni, per un’efficace intervento educativo e per la costruzione di una alleanza terapeutica. I primi due requisiti che sono alla base di una buona comunicazione sono l’ascolto e l’empatia. Per ascolto si intende un ascolto attivo, partecipe, capace di captare tutti i segnali, verbali ed extra-verbali dell’interlocutore. Per empatia si intende la capacità di “sentire” l’altro, di percepire il suo stato d’animo come fosse il proprio, e si realizza essenzialmente attraverso canali di comunicazione non verbali. La sincronizzazione, tecnica della PNL che abbiamo preso in esame nel primo capitolo, ci può aiutare a gettare le basi per un rapporto di tipo empatico, che spinga 57 Zani B., Selleri P., David D., La comunicazione, Carocci Editore, Roma 1994 cit. in Binetti P., Bruni R., Ferrazzoli F., Persona, paziente, cliente. Il mondo del malato in un mondo che cambia, Società Editrice Universo, Roma 2000, p. 147 44 l’interlocutore ad aprirsi di più e a fornire ulteriori informazioni utili perché si sente compreso e ascoltato. Un terzo requisito per una comunicazione efficace è la congruenza tra messaggi verbali ed extraverbali per instaurare un clima di fiducia e credibilità, perché come abbiamo già visto, in caso di segnali discordanti, l’interlocutore tenderà d’istinto a dare più peso ai messaggi non verbali e paraverbali. Un altro fattore da tenere in considerazione quando parliamo di relazione professionista sanitario-paziente, e che rappresenta un fattore rilevante anche dal punto di vista del processo comunicativo, è che parliamo anche di un clima “emotivo” che si viene a creare tra i due. Le emozioni e gli stati emotivi interni degli interlocutori infatti incidono notevolmente sulla relazione interpersonale e sullo scambio comunicativo, a seconda se, come abbiamo visto in PNL, sono considerati “stati risorse” o “stati limitanti”, e saperli rilevare e gestire è condizione pregiudicante la riuscita stessa dell’interazione. Anche questi, come abbiamo visto precedentemente, passano attraverso soprattutto la comunicazione non verbale e paraverbale, e ciò sottolinea ancora una volta l’importanza di codificare e decodificare tali linguaggi extra-verbali in modo corretto. Le emozioni infatti hanno una componente sia fisiologica, che psicologica, che comportamentale, e saper riconoscere e gestire le proprie emozioni e quelle altrui fornisce all’operatore sanitario la possibilità di poter dar luogo ad una relazione e comunicazione positiva. La rilevazione e la gestione degli stati interni è possibile grazie all’applicazione di alcune tecniche proprie della PNL che abbiamo già esaminato anch’esse nel primo capitolo, quali la calibrazione e l’ancoraggio. C’è da aggiungere inoltre che l’interlocutore è anche “paziente”, e perciò è soggetto molto spesso a stati emotivi negativi, la tristezza, la paura, la rabbia, l’ansia, stati che molto spesso per il loro stesso carico angosciante sono oggetto di “meccanismi di difesa”, in modo consapevole o meno, che li vedono dissimulare o negare da un punto di vista verbale; sapere allora dell’esistenza di questi meccanismi insieme ad una consapevole lettura del linguaggio del corpo, meno soggetto a modifiche intenzionali, permette 45 all’operatore di non incorrere in erronee interpretazioni e di mettersi nella condizione di poter aiutare davvero il paziente, prendendosene cura in maniera adeguata. Altri criteri che l’operatore sanitario deve tenere in considerazione affinché abbia luogo una comunicazione efficace sono il “punto di vista” del paziente, il suo “sistema preferenziale di rappresentazione”, e il “feedback”. Per quanto riguarda il punto di vista del paziente, l’operatore deve tenere sempre presente l’assioma conosciuto in PNL come “la mappa non è il territorio”, secondo il quale ciascuno di noi si fa una rappresentazione della realtà che non corrisponde alla realtà così come essa è effettivamente, per cui più si cercherà di capire la “mappa” del paziente, la sua visione delle cose, migliore sarà l’intesa. Il secondo criterio invece riguarda il “sistema preferenziale di rappresentazione” del paziente, che come abbiamo già visto precedentemente può essere di tipo visivo, auditivo o cenestetico; anche in questo caso rilevarlo e adeguarsi al suo sistema di rappresentazione permette all’operatore di capire e farsi capire, andando quindi ad aumentare anche in questo caso l’intesa con il suo interlocutore. L’ultimo criterio, quello del feedback, si rifà all’assioma conosciuto in PNL come “il risultato della comunicazione è nel feedback che se ne ottiene e non nelle intenzioni”, ossia la cosa più importante in una comunicazione efficace è assicurarsi che l’interlocutore abbia recepito il messaggio secondo le intenzioni di chi comunica, in caso contrario l’operatore, proprio in virtù della valutazione del feedback, sarà in grado di cambiare direzione e riformulare in modo corretto il suo messaggio. In ultimo, ma non per rilevanza, c’è da considerare il fatto che il cervello viene continuamente bersagliato da una miriade di informazioni, più di quante ne riesca consapevolmente ad immagazzinare, ciò implica che se si vuole che il paziente memorizzi ciò che gli viene detto, con una conseguente maggiore possibilità di adesione alla terapia 46 prescritta, bisogna fornirgli poche informazioni (7+ o -2 informazioni58) e in modo semplice, o più espressamente, in un linguaggio non “tecnico”, ma a lui comprensibile. In conclusione, tenere presenti tutte queste dinamiche comunicative e sviluppare adeguate “communication skills”, non solo verbali ma anche e soprattutto paraverbali e non verbali, rappresenta un fattore importante, se non fondamentale, per garantire la realizzazione ed il mantenimento di un buon rapporto terapeutico. 58 Miller G.A., The magical number seven, plus or minus two: some limits on our capacity for processing information, first published in “Psychological Review”,1956, n.63, pp. 81-97 cit. in Pensieri C., PNL Medica e Salute dal corpo all’emotività, Armando Curcio Editore, Roma 2012, pp. 135-39 47 3. Studio degli aspetti extraverbali della comunicazione nelle visite del paziente oncologico Lo studio effettuato in questa tesi sulla comunicazione extraverbale prende in esame nello specifico le visite del paziente oncologico. Il motivo per il quale si è deciso di analizzare questa categoria di pazienti in particolare, è la scrupolosa e profonda attenzione di cui il paziente oncologico necessita a causa della complessità e della gravità della malattia stessa. Il paziente oncologico infatti ha bisogno più che mai di un’assistenza professionale rivolta alla totalità della persona ed eccellente non solo dal punto di vista tecnicoscientifico, ma anche e soprattutto dal punto di vista umano, a causa della grandissima incidenza che hanno sulla malattia non solo gli aspetti biologici, ma anche quelli psicologici, sociali e comunicativo-relazionali. 3.1 Il paziente oncologico L’impatto con una diagnosi di cancro apre una vera e propria crisi esistenziale su tutti i fronti e rappresenta una delle esperienze soggettive più significative sulla vulnerabilità dell’essere umano. Essa infatti costituisce per l’individuo un evento particolarmente stressante in quanto richiede un intenso sforzo di adattamento, porta ad uno sconvolgimento della quotidianità, a causa dei trattamenti e degli effetti collaterali conseguenti, e genera un’importante sofferenza psicologica, legata all’incertezza dell’evolversi della malattia e alla minaccia che essa rappresenta per il futuro e la vita, che investe sia il rapporto con se stessi, sia quello con gli altri59. 59 http://www.ailtreviso.it/giornalino/b0n2/artm4.html, ultimo accesso Febbraio 2015 48 La risposta davanti ad una diagnosi così infausta non è però uguale per tutti, ma dipende da variabili psicologiche soggettive, da fattori medico-clinici e da quelli interpersonali, tra i quali la relazione con il personale sanitario che deve basarsi su un ascolto attivo, comprendente una lettura attenta di tutti i bisogni espressi non solo tramite il linguaggio verbale, ma anche e soprattutto extraverbale, su una comunicazione efficace e su una partecipazione empatica. L’adattamento alla malattia e la risposta ai trattamenti terapeutici infatti, dipende in larga misura dalla qualità dell’approccio relazionale dell’equipe curante e richiede un intervento di grande impegno emotivo, umano, psico-sociale, comunicativo-relazionale, ed etico. I dati di numerose ricerche condotte in ambito oncologico infatti, hanno dimostrato l’incidenza di tali aspetti sul trattamento delle neoplasie60. Il carico emotivo del paziente oncologico lungo tutto il percorso di cura, dalla diagnosi alla eventuale e auspicata guarigione, è davvero enorme, e nell’approccio comunicativorelazionale verso questa tipologia di pazienti, l’operatore sanitario non può esimersi dal tenerne conto, se vuole ottenere una corretta elaborazione della realtà da parte del paziente ed una sua acquisizione di tutti quegli elementi che gli consentano di adottare un comportamento di compliance terapeutica. Il disagio o distress61 esprime la risposta psicologica alla diagnosi e ai trattamenti. E’ una situazione spiacevole, di natura emozionale e relazionale, che interferisce con la capacità soggettiva di affrontare l’esperienza della malattia. Può essere più o meno severa e va dal comune senso di vulnerabilità, tristezza, paura, ansia, rabbia, che possono essere viste come reazioni adattative al trauma vissuto e quindi fisiologiche, a sintomi più ingravescenti da risultare inabilitanti e patologici quali i disturbi dell’adattamento, d’ansia e depressivi62: 60 http://www.psicoterapia.it/rubriche/approfondimenti/template.asp?cod=11443, ultimo accesso Febbraio 2015 61 Con il termine distress si indica l’aspetto negativo dello stress, ovvero una grande quantità di stimoli stressanti che se non opportunamente gestiti mettono a repentaglio la salute psicofisica; contrariamente con il termine eustress si indica l’aspetto positivo dello stress, ovvero quella certa quantità di stimoli stressanti che, se ottimamente gestiti, serve a corpo e mente a mantenersi attivi e reattivi. 62 “National Comprehensive Cancer Network”(NCCN):www.nccn.org, ultimo accesso Febbraio 2015 49 Disturbi dell’adattamento: condizione psicologica in risposta ad uno o più fattori stressanti caratterizzata dallo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali clinicamente significativi e da una compromissione del funzionamento relazionale e sociale. Disturbi d’ansia: condizione psico-fisica di reazione di fronte ad un evento percepito come minaccioso caratterizzata da sintomi somatici e cognitivi. Disturbi depressivi: condizione psicologica caratterizzata da una profonda modificazione del tono dell’umore che coinvolge sia la sfera affettiva, sia quella cognitiva e comportamentale. In base alla diversa risposta psicologica il paziente inoltre può adottare, più o meno consapevolmente, diversi stili di coping, e quindi di atteggiamenti cognitivocomportamentali di fronte alla malattia e innumerevoli conseguenti meccanismi di difesa. Per quanto riguarda gli stili di coping più comuni assunti dai pazienti in risposta ad una diagnosi di neoplasia ne sono stati individuati principalmente cinque che si possono evincere anche da una sintesi degli studi di Burgess63 e Weissman64 e sono: 1. “spirito combattivo”: atteggiamento di ottimismo e di fiducia nelle proprie capacità al fine di fronteggiare e sconfiggere la malattia. 2. “negazione-evitamento”: tendenza a minimizzare l’entità e la gravità della patologia, mantenendo un atteggiamento di relativa indifferenza. 3. “atteggiamento fatalistico”: tendenza alla passività e all’assenza di opposizione nei confronti della malattia. 4. “preoccupazione ansiosa”: reazione di allarme ansioso nei confronti della neoplasia, ricerca febbrile di informazioni, elevati livelli d’ansia con ripercussioni significative sulla qualità della vita del paziente. Burgess C., Morris T.,Pettingale K.W.,”Psycological response to cancer diagnosis II. Evidence for coping styles”, Journal of psychosomatic research, 1988, vol. 32, pp. 263-72 64 Weissman AD., Worden J.W., “Preventive psychological intervention with newly diagnozed cancer patients”, General Hospital Psychiatric, 1984, vol. 6, pp. 243-49 63 50 5. “disperazione”: sensazione di sconfitta ed ineluttabilità del male, angosce di morte, vissuti depressivi, con sovente mancata adesione alle terapie65. Tra i principali meccanismi di difesa adottati troviamo66: Rimozione: processo per cui si dimenticano alcuni avvenimenti o non diventano coscienti alcuni fatti psichici perché rappresentano situazioni disturbanti. Spostamento: spostamento nel tempo e nello spazio di emozioni ed affetti da una rappresentazione originaria ad un’altra meno coinvolgente. Proiezione: processo attraverso cui sentimenti, emozioni, qualità, desideri sono disconosciuti come propri o rifiutati e collocati all’esterno, verso gli altri. Isolamento: processo attraverso cui si realizza la separazione tra le idee e le emozioni relative ad uno stesso evento. Formazione reattiva: comportamento manifesto opposto rispetto alle emozioni o ai sentimenti inconsci. Conversione: processo attraverso il quale un conflitto emotivo non viene riconosciuto a livello psichico ma viene rappresentato e vissuto a livello fisico. Tutti questi aspetti appena esaminati incidono fortemente sul decorso della malattia e solo un attento esame dei segnali extraverbali, che ne rappresentano il vettore di informazione principale, e l’acquisizione di abilità comunicative-relazionali, può aiutare il personale sanitario a riconoscere e gestire le risposte emotive del paziente e ad instaurare con lui una relazione autentica ed una corretta alleanza terapeutica. 65 http://www.psicologi-italia.it/psicologia/psiconcologia/896/psiconcologia.html, ultimo accesso Febbraio 2015 66 Binetti P., Bruni R., Ferrazzoli F., Persona, paziente, cliente. Il mondo del malato in un mondo che cambia, Società Editrice Universo, Roma 2000, p. 43 51 4. Metodologia della ricerca, analisi dei dati e risultati 4.1 Obiettivo dello studio Nei capitoli precedenti è stata ampiamente spiegata l’importanza della comunicazione extraverbale nelle relazioni di cura e messa in evidenza la necessità da parte del personale sanitario di acquisire specifiche abilità comunicative finalizzate ad una completa e corretta raccolta di informazioni e alla costruzione di un’alleanza terapeutica. Partendo da tale presupposto è stato condotto uno studio, in collaborazione con l’Unità Operativa di Oncologia del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, sugli aspetti non verbali e paraverbali della comunicazione medico-paziente in ambito oncologico, con l’obiettivo di verificare il corretto utilizzo delle modalità comunicative extraverbali da parte del medico per la realizzazione di una comunicazione efficace. 4.2 Materiali e metodi Lo studio ha avuto luogo presso gli ambulatori di oncologia del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico ed è stato svolto nel periodo dei mesi di maggiogiugno 2014. Il campione della ricerca è stato di 100 visite ambulatoriali, di cui 80 visite di controllo e 20 prime visite. L’indagine è stata condotta secondo un metodo di osservazione strutturata, tramite l’utilizzo di una griglia di osservazione (Allegato 1) creata appositamente e che prendeva in considerazione alcuni aspetti della comunicazione extraverbale considerati tra i più rilevanti per l’ottenimento dello scopo preposto e nello specifico: Ambiente/Orientamento nello spazio Fase di accoglienza: presentazione del medico, stretta di mano, convenevoli Volume e velocità di flusso della voce Sguardo del medico Quantità di eloquio/n. domande fatte 52 Gesti delle mani Ausilio di schemi, disegni, appunti Postura e movimenti del corpo: braccia/gambe incrociate, busto avanti/indietro, direzione bacino Tempo durata incontro Sul campione totale di 100 visite prese in esame, in 7 di esse il paziente non è stato presente e in sue veci per l’indagine è stato preso in considerazione il care giver. Inoltre, per non inficiare sulla spontaneità del processo comunicativo, ai pazienti non è stato rivelato lo scopo della presenza dell’osservatore e ai medici non sono stati resi noti i parametri oggetto della valutazione. 4.3 Analisi dei dati I dati raccolti sono stati successivamente analizzati tramite analisi primaria ed elaborati con metodi di statistica descrittiva, calcolando medie e percentuali, e rappresentati graficamente per mezzo di istogrammi. 4.4 Risultati Sono stati presi in considerazione i dati più significativi di cui si riportano i risultati come segue. 53 1. Presentazione del Medico Il medico si presenta al paziente 100% 90% 85% 83% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 16% 15% 1% 0% visite di controllo prime visite Si No No, conosce già il paziente Dall’analisi dei dati è emerso che per quanto concerne le visite di controllo il medico nell’ 83% dei casi non si presenta ma solo in quanto conosce già il paziente, mentre c’è da sottolineare che sul restante 17% di casi in cui non conosce il paziente, il 16% delle volte si presenta e solo l’1% no. Nelle prime visite invece il medico si presenta al paziente nell’85% dei casi, mentre non si presenta affatto solo nel 15% dei casi. 2. Stretta di mano medico-paziente 54 Il medico accoglie il paziente con una stretta di mano 100% 100% 95% 90% 86% 85% 80% 75% visite di controllo prime visite Dall’elaborazione dei dati si evince come nelle visite di controllo il medico abbia accolto il paziente con una stretta di mano nell’ 86% dei casi, mentre nelle prime visite addirittura nel 100% dei casi. 3. Convenevoli medico-paziente 55 Convenevoli medico-paziente 100% 90% 80% 70% 61% 60% 45% 50% 40% 30% 20% 10% 0% visite di controllo prime visite Dall’analisi dei dati risulta che le visite di controllo sono precedute da una breve fase di convenevoli nel 61% dei casi, mentre le prime visite nel 45% dei casi. 4. Quantità di eloquio Chi parla più tempo 100% 90% 80% 70% 60% 55% 54% 50% 39% 40% 35% 30% 20% 10% 10% 7% 0% visite di controllo Medico prime visite Paziente Medico e paziente in misura uguale 56 Il grafico mette in evidenza una certa similitudine dei valori tra le visite di controllo e le prime visite. In entrambe infatti è il medico a parlare per più tempo, rispettivamente il 54% nelle visite di controllo e il 55% nelle prime visite, a seguire troviamo che medico e paziente parlano in quantità uguale, con un valore del 39% nelle prime e del 35% nelle seconde, mentre solo nel 7% delle visite di controllo e nel 10% delle prime visite è il paziente a parlare di più. 5. Sguardo del medico Il medico chi guarda di più 100% 90% 80% 80% 65% 70% 60% 50% 35% 40% 30% 18% 20% 10% 2% 0% visite di controllo prime visite 0% Paziente Familiare Paziente e familiare in misura uguale Anche in questo caso possiamo notare una certa somiglianza di valori tra le visite di controllo e le prime visite. In entrambe infatti nella maggioranza dei casi lo sguardo del medico è rivolto al paziente, con rispettivamente un 80% e un 65%, a seguire il medico guarda paziente e familiare nella stessa misura, con rispettivamente un 18% e un 35%, infine lo sguardo del medico è rivolto per lo più al familiare solo nel 2% dei casi nelle visite di controllo e addirittura mai nelle prime visite. 6. Tipologia gesti I tipi di gesti esaminati sono: 57 - Illustratori, che illustrano e sottolineano quanto viene detto. - Regolatori, che hanno la funzione di gestire i turni dell’interazione. - Indicatori, che esternano le emozioni degli interlocutori. - Adattatori, che si esplicano attraverso la manipolazione di parti del proprio corpo, o di quelle del corpo dell’interlocutore o di un oggetto. Tipi di gesti Tipi di gesti (visite di controllo) (prime visite) 50% 45% 70% 43% 60% 40% 36% 35% 30% 27% 34% 30% 50% 50% 40% 40% 36% 31% 25% 30% 18% 20% 12% 15% 10% 5% 24% 19% 20% 10% 0% 0% 0% 0% 0% Medico Paziente Medico Paziente illustratori regolatori illustratori regolatori indicatori adattatori indicatori adattatori Nelle visite di controllo i tipi di gesti del medico in ordine decrescente sono: regolatori (43%), adattatori (30%), illustratori (27%), e nessun gesto indicatore (0%); seguendo sempre un ordine decrescente quelli dei pazienti invece sono: illustratori (36%), indicatori (34%), regolatori (18%), adattatori (12%). Nelle prime visite i tipi di gesti del medico in ordine decrescente sono: regolatori (40%), illustratori (36%), adattatori (24%), e anche qui nessun gesto indicatore (0%); seguendo sempre un ordine decrescente quelli dei pazienti invece sono: indicatori (50%), illustratori (31%), adattatori (19%), e nessun gesto regolatore (0%). 7. Quantità di domande fatte 58 Percentuale di domande fatte 100% 90% 80% 67% 70% 62% 60% 50% 40% 38% 33% 30% 20% 10% 0% visite di controllo prime visite Medico Paziente Come si evince dal grafico sia nelle visite di controllo sia nelle prime visite è il paziente a formulare il maggior numero di domande, rispettivamente il 67% e il 62% delle domande fatte, mentre il medico solo il 33% nelle visite di controllo e il 38% nelle prime visite. 8. Ausilio di schemi, disegni, appunti 59 Percentuale di utilizzo di schemi, disegni, appunti da parte del medico 100% 90% 80% 70% 60% 45% 50% 40% 30% 25% 20% 10% 0% visite di controllo prime visite Dai dati risulta che il medico durante la visita utilizza l’ausilio di schemi, disegni e/o appunti solo nel 25% dei casi nelle visite di controllo, e nel 45% dei casi nelle prime visite. 9. Postura del medico 60 Postura del medico 100% 90% 75% 80% 60% 60% 54% 45% 50% 40% 70% 66% 70% 37% 40% 35% 34% 30% 20% 10% 10% 7% 0% visite di controllo prime visite busto in avanti busto indietro braccia incrociate gambe incrociate bacino verso paziente bacino verso PC Per quanto concerne la postura assunta dal medico durante la visita nelle visite di controllo abbiamo un 66% di bacino in direzione del paziente, un 54% di busto in avanti, un 45% di gambe incrociate, un 37% di busto indietro, un 34% di bacino in direzione del pc, e un 7% di braccia incrociate; nelle prime visite abbiamo un 75% di busto in avanti, un 70% gambe incrociate, un 60% di bacino in direzione del paziente, un 40% di bacino in direzione del pc, un 35% di busto indietro e infine un 10% di braccia incrociate. 10. Durata media della visita 61 Media durata visita medica 60 50 40 30 22 18 20 10 0 minuti visite di controllo prime visite La durata media della visita medica è stata di 18 minuti nelle visite di controllo e di 22 minuti nelle prime visite. 11. Sincronizzazione voce, gesti e postura Sincronizzazione medico-paziente 100% 90% 80% 80% 80% 70% 60% 60% 57% 60% 50% 50% 40% 36% 30% 30% 20% 10% 0% visite di controllo flusso voce prime visite volume voce gesti delle mani postura Per quanto concerne la sincronizzazione tra medico e paziente su voce, gesti e postura dal grafico si può evincere un certo andamento similare tra visite di controllo e prime 62 visite. In entrambe infatti predomina una sincronizzazione della velocità di flusso della voce nell’80% dei casi e della postura nel 60% dei casi, a cui segue una sincronizzazione del volume della voce rispettivamente nel 57% delle visite di controllo e nel 50% delle prime visite, e infine una sincronizzazione dei gesti rispettivamente solo del 36% e 30%. I precedenti dati sono riassunti nella seguente tabella: Visite di controllo (80) Prime visite (20) Si 13 (16%) Si 17 (85%) No 1 (1%) No 3 (15%) Il medico si presenta No, conosce già il pz. 66 (83%) Si 69 (86%) Si 20 (100%) No 11 (14%) No 0 (0%) Si 49 (61%) Si 9 (45%) No 31 (39%) No 11 (55%) Medico 43 (54%) Medico 11 (55%) Paziente 6 (7%) Paziente 2 (10%) Med. e pz. in egual misura 31 (39%) Med. e pz. in egual misura 7 (35%) Paziente 64 (80%) Paziente 13 (65%) Familiare 2 (2%) Familiare 0 (0%) Pz. e fam. in egual misura 14 (18%) Pz. e fam. in egual misura 7 (35%) Stretta di mano Convenevoli Chi parla di più Il medico chi guarda di più Tipologia gesti Medico Paziente Illustratori 12 (36%) 8 (31%) 15 (18%) Regolatori 13 (40%) 0 (0%) 0 (0%) 29 (34%) Indicatori 0 (0%) 13 (50%) 37 (30%) 10 (12%) Adattatori 8 (24%) 5 (19%) Medico Paziente Illustratori 34 (27%) 31 (36%) Regolatori 54 (43%) Indicatori Adattatori Numero Medico 81 (33%) Medico 35 (38%) domande fatte Paziente 166 (67%) Paziente 57 (62%) 20 (25%) 9 (45%) Numero schemi, disegni e/o 63 appunti fatti dal Medico Busto in avanti 43 (54%) Busto in avanti 15 (75%) Busto indietro 30 (37%) Busto indietro 7 (35%) Postura del Bacino verso pz. 53 (66%) Bacino verso pz. 12 (60%) Medico Bacino verso pc 27 (34%) Bacino verso pc 8 (40%) Braccia incrociate 6 (7%) Braccia incrociate (2 (10%) Gambe incrociate36 (45%) Gambe incrociate 14 (70%) 18 minuti 22 minuti Sincronizzazione Velocità di flusso voce 64 (80%) Velocità di flusso voce 16 (80%) medico-paziente Volume voce 46 (57%) Volume voce 10 (50%) di voce, gesti, Gesti 29 (36%) Gesti 6 (30%) postura Postura 48 (60%) Postura 12 (60%) Media durata della visita medica Considerazioni Dai dati presi in esame e sopra illustrati si rileva che: Il medico la maggior parte delle volte si presenta al paziente, con una percentuale dell’85% nelle prime visite. Questo è un fattore assolutamente positivo e favorevole all’instaurazione di un buon rapporto comunicativo e relazionale. Inoltre da aggiungere il fatto che la continuità assistenziale con il medesimo medico, che si evince dall’83% dei casi nelle visite di controllo in cui medico e paziente già si conoscono, è senza dubbio di aiuto al processo comunicativo- relazionale. Il medico la maggior parte delle volte saluta il paziente con una stretta di mano, nell’86% delle visite di controllo e nel 100% delle prime visite, altro fattore assolutamente positivo e ben predisponente ad un buon processo comunicativo-relazionale. Il medico accoglie il paziente con dei convenevoli poco più della metà delle volte nelle visite di controllo (61%) e poco meno della metà delle volte nelle prime visite (45%). Questo è un risultato nel complesso abbastanza positivo ma assolutamente migliorabile, dato che i convenevoli, aiutando il paziente a sentirsi considerato una persona e non un 64 numero, a metterlo a proprio agio e a invogliarlo ad aprirsi, influenzano il successivo andamento della comunicazione. Sia nelle visite di controllo che nelle prime visite è il medico a parlare di più (con una percentuale rispettivamente del 54% e 55%), seguito da un uguale quantità di eloquio tra medico e paziente (rispettivamente 39% e 35%), mentre il paziente parla di più solo in una piccolissima percentuale di casi (rispettivamente 7% e 10%). Anche questo è un dato assolutamente migliorabile perché come abbiamo visto l’ascolto da parte del medico è elemento fondamentale di ogni buon processo comunicativo, ed il paziente dunque va agevolato ad aprirsi e raccontarsi al fine di ottenere più informazioni possibili. Un risultato molto positivo emerso sia nelle visite di controllo che nelle prime visite è che il medico la maggior parte delle volte rivolge lo sguardo al paziente (rispettivamente l’80% e il 65%). Si ricorda infatti che il contatto visivo con l’interlocutore favorisce la buona riuscita del processo comunicativo. Per quanto riguarda la gestualità interessante notare come i gesti indicatori non siano usati dal medico in nessuna delle due tipologie di visite, mentre li troviamo abbondantemente utilizzati dai pazienti, nelle prime visite addirittura nella misura del 50% tra tutti i tipi di gesti. L’abbondanza di gesti indicatori da parte dei pazienti conferma la forte emotività che la malattia comporta, e quindi l’importanza da parte del personale sanitario non solo di gestire i propri stati emotivi, ma anche di saper riconoscere e gestire in modo opportuno quelli dei pazienti. Sia nelle visite di controllo che nelle prime visite il maggior numero di domande è stato formulato dai pazienti, circa il doppio di quelle formulate dal medico. Indice questo positivo in quanto il paziente è risultato predisposto a porre tranquillamente domande senza sentirsi in qualche modo inibito. In riferimento all’ausilio da parte del medico di schemi, disegni e/o appunti esso risulta abbastanza basso nelle visite di controllo (25%), mentre risulta più alto nelle prime visite (45%). Risultato migliorabile considerando che l’utilizzo di schemi e/o appunti potrebbe essere utile per agevolare il paziente nella comprensione delle indicazioni del medico o nella memorizzazione della terapia prescritta, insieme alla chiarezza e un numero contenuto di informazioni date. 65 Circa la postura del medico il risultato nel complesso è stato positivo considerando che nella maggioranza dei casi si riscontra busto in avanti e direzione del bacino verso il paziente, atteggiamenti di apertura e che esprimono attenzione verso il paziente, mentre relativamente pochi, ma non assenti, sono stati busto indietro, direzione del bacino verso il pc, o braccia incrociate, atteggiamenti che esprimono chiusura e poca attenzione nei confronti dell’interlocutore. La durata media delle visite è stata di 18 minuti in quelle di controllo e di 22 minuti nelle prime visite. Un risultato che si può considerare abbastanza positivo considerando che una delle lamentele più comune tra i pazienti è proprio il poco tempo a loro dedicato che li fa sentire trascurati e trattati come numeri e non persone. In ultimo, in più della metà dei casi il medico si è sincronizzato con la voce e la postura del paziente, altro elemento fondamentale per l’instaurarsi di un buon processo comunicativo in quanto favorisce la creazione di un clima di fiducia in cui il paziente si sente accettato e compreso e aumenta l’empatia. 66 5. Conclusioni In questa tesi si è affrontato il tema della comunicazione extraverbale, e abbiamo visto come essa, insieme a quella verbale ma in maggior misura, influenzi significativamente l’intero processo comunicativo. Abbiamo poi osservato come la comunicazione sia elemento fondamentale di ogni relazione e come da essa dipenda l’instaurarsi o meno di un buon rapporto interpersonale. Inoltre si è posto in evidenza come tutto questo assuma un ruolo ancora più significativo in ambito sanitario ove l’intero processo comunicativo-relazionale è fortemente legato all’iter terapeutico. Si è esaminato infatti come una comunicazione efficace, verbale ed extraverbale, influenzi positivamente la relazione di cura e come, di contro, una comunicazione inefficace si ripercuota sul piano clinico stesso portando inevitabilmente ad un fallimento terapeutico. Lo studio effettuato sul campo presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, e che aveva come fine di valutare il corretto utilizzo della comunicazione extraverbale da parte del medico nelle visite del paziente oncologico, nel complesso ha riscontrato senza dubbio dei risultati abbastanza positivi per quanto concerne l’accoglienza del paziente, ovvero presentazione del medico, stretta di mano e convenevoli, il contatto visivo, orientato soprattutto al paziente e segno di attenzione e considerazione, e una buona gestione dei propri stati emotivi, che permettono una positiva conduzione del colloquio. Risultati abbastanza soddisfacenti sono stati ottenuti anche riguardo la postura, nella maggior parte dei casi aperta e attenta al paziente, ma in una percentuale abbastanza rilevante di casi si è riscontrata anche una postura non adeguata, quale bacino rivolto in direzione del pc o busto indietro, atteggiamenti entrambi che denotano scarso interesse verso ciò che sta dicendo l’interlocutore e che andrebbero corretti. Altrettanto si può dire sulla sincronizzazione, buona per quanto riguarda la velocità di flusso della voce, ma poco più che sufficiente circa la postura, e insufficiente relativamente alla gestualità. Obiettivo quindi anche questo da migliorare se si vuole creare un clima di fiducia ed empatia con il paziente e aumentare la reciproca comprensione. 67 Altri due risultati passibili di miglioramenti sono l’ascolto e la durata della visita. Riguardo al primo bisognerebbe lasciare un adeguato spazio al paziente per raccontarsi senza interromperlo se si vuole puntare ad ottenere più informazioni possibili e utili nel vedere la malattia nel suo insieme. Riguardo al secondo, visto che l’elevato numero di visite comporta un certo tempo limite di durata delle stesse, bisognerebbe massimizzare l’efficacia dei colloqui clinici, puntando non tanto sulla quantità di durata degli stessi, ma sulla qualità, perché un paziente più che notare quanto tempo gli viene dedicato, nota piuttosto come questo tempo gli è stato dedicato. Complessivamente quindi possiamo affermare che si è riscontrata una certa attenzione nei confronti del processo-comunicativo relazionale, ma che in riferimento alla comunicazione extraverbale sono presenti ancora molte lacune che necessitano di essere colmate. La medicina è anche relazione. La relazione è comunicazione. La comunicazione non è solo ciò che viene detto, ma anche e soprattutto, come abbiamo visto, ciò che non viene detto e come viene detto. Una comunicazione efficace presuppone alla base capacità di ascolto, empatia, adeguata gestione delle emozioni e un corretto utilizzo e lettura di tutti quei segnali che non appartengono alla sfera verbale, fondamentali per la realizzazione ed il mantenimento di una buona alleanza terapeutica. E’ necessario allora che il professionista sanitario impari a sviluppare quelle abilità comunicative e quella acuità sensoriale che permettono una corretta acquisizione, interpretazione, e gestione delle informazioni necessarie all’inquadramento e allo sviluppo dell’intero processo terapeutico. Operare nel settore sanitario non significa occuparsi di malattie, ma di persone malate nella loro interezza e unicità, significa riconoscere l’importanza di acquisire accanto a competenze tecnico-scientifiche, competenze comunicativo-relazionali altrettanto fondamentali nel contribuire al successo terapeutico, significa riconoscere la centralità della comunicazione non verbale e paraverbale in ogni scambio comunicativorelazionale, significa decidere di valorizzare il proprio lavoro recuperando la dimensione umana e prendendosi davvero cura del paziente, significa essere consapevoli del fatto che 68 “Quando curi una malattia puoi vincere o perdere, quando ti prendi cura di una persona vinci sempre”! 5.1 Sviluppi futuri In questa tesi sono stati affrontati gli aspetti non verbali e paraverbali della comunicazione. In futuro lo sviluppo naturale di questo progetto di ricerca potrebbe essere lo studio anche degli aspetti verbali e linguistici dell’atto della consultazione medica. 69 Allegati Allegato 1: Griglia di osservazione AMBIENTE (accogliente,privacy,interferenze) Disegno dell’ambiente Scrivania, sedie, piante e computer Descrivere se la scrivania è trasparente o di materiale pieno Disposizione PC DISEGNO ORIENTAMENTO NELLO SPAZIO Vicinanza/distanza tra A e B, Posizione nella stanza di A rispetto a B, Diversa altezza di A rispetto a B, Posizione frontale/laterale di A rispetto a B MEDICO CAREGIVER 1 (chi è) CAREGIVER 2 (chi è) CAREGIVER 3 (chi è) IL MEDICO SI PRESENTA? ROTTURA DEL GHIACCIO Stretta di mano Convenevoli Tempo (quanto dura questa fase) FLUSSO VOCE Lento Normale 70 Veloce Intermittente VOLUME VOCE Alto Medio Basso CHI PARLA DI PIÙ (TEMPO) Tempo IL MEDICO CHI GUARDA DI PIÙ: 1-2 O 3? Sguardo MANI Illustratori Indicatori Regolatori Adattatori Palmi verso l’alto Indice puntato N° DI DOMANDE FATTE Domande fatte SCHEMI DISEGNI O APPUNTI Chi fa schemi – disegni o appunti CORPO Braccia incrociate Gambe incrociate Busto in avanti Busto indietro Direzione del bacino TEMPO INCONTRO Totale min/sec Note: 71 Bibliografia Abercrombie K.,”Paralanguage”, British Journal of Communication, 1968, vol. 3 pp. 55-9 Alighieri D., Divina Commedia, Inferno CantoXXVI,118-120 Arendt H., Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1988, p. 43 Argyle M., Il corpo e il suo linguaggio. Studio sulla comunicazione non verbale, Zanichelli, Bologna 1992 Argyle M., La comunicazione non verbale, Laterza Editore, Roma-Bari 1974 Bergson H., La specializzazione, in Russo M.T., Corpo, salute, cura. Linee di antropologia biomedica, Rubbettino Editore, Catanzaro 2004, p. 49 Bidot N., Morat B., Ottanta giorni per capirsi. 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