settembre musica

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CITTÀ
DI TORINO
ASSESSORATO
PER LA CULTURA
Venerdì 9 settembre 1988, ore 16
Santa Teresa
SETTEMBRE MUSICA |
Emanuele Segre, chitarra
N ato nel 1965, Emanuele Segre ha studiato chitarra con Rug­
gero Chiesa presso il Conservatorio “ Giuseppe Verdi” di Mi­
lano, dove si è diplomato, e in seguito ha frequentato i corsi di
perfezionamento tenuti da Julian Bream e John Williams. Nel
1987 ha vinto l’“East & West Artists Prize” negli Stati Uniti e
grazie ad esso ha poi debuttato alla Carnegie Recital Hall di
New York. Nell’ambito della sua attività concertistica ha te­
nuto concerti in Italia ed in altri paesi tanto come solista
quanto collaborando con orchestre quali, fra le altre, l’Orche­
stra della Rai di Milano, la Netanya Orchestra d’Israele e la
Süddeutscher Kammerorchester.
Sylvius Leopold Weiss
(1686-1750)
Tombeau sur la mort de M. Comte de Logy
Johann Sebastian Bach
(1685-1750)
Preludio, fuga e Allegro in re maggiore BWV 998
Mauro Giuliani
(1781-1829)
Rossiniana op. 119 n. 1
Heitor Villa-Lobos
(1887-1959)
Suite populaire brésilienne
Mazurka-Chôro
Scottish-Chôro
Valsa-Chôro
Gavota-Chôro
William Walton
(1902-1983)
Cinque
I.
II.
III.
IV.
V.
Bagatelle
Allegro
Lento
Alla Cubana
Sempre espressivo
Con slancio
Sylvius Leopold Weiss
Tombeau sur la mori de M. Comte de Logy
Autorevole liutista presso la corte di Dusseldorf, Weiss può
considerarsi uno dei più im portanti esecutori e compositori di
musiche per liuto della prima metà del Settecento o, come lo
definì il lapidario J. Mattheson nel Lauten-Memorial del 1727,
“il maggior liutista esistente al mondo”. A differenza dellTtalia
o della Spagna ove il liuto decadde all’inizio del Seicento o
della Francia ove fu progressivamente messo in ombra dal cla­
vicembalo, la Germania continuò a coltivare questo strumento
per tutto il periodo barocco, dando vita a una fiorente produ­
zione che si protrasse per circa un secolo (metà XVII - metà
XVIII) e che trovò in Weiss l’autore più generoso. Il Tombeau
rientra nella sua produzione migliore e rappresenta un esem­
pio della forma che a quei tempi (talora impiegata anche in
epoche successive) serviva a magnificare le doti e a celebrare la
scomparsa di un artista o un personaggio particolarmente cele­
bre. Il Comte Johann Anton Logy von Losinthal (1650-1721),
un gentiluomo di origine austriaca, un po’ bohemien, ammiratissimo liutista della Corte Imperiale, ebbe con Weiss intensi
rapporti professionali a Praga e a Vienna. Ma la devozione del
nostro compositore per un personaggio così stimolante era
tanta e tale che egli scrisse per la sua morte, nel 1721., una
delle pagine più belle. Nacque così il Tombeau sur la mori de
M. Comte de Logy, lavoro permeato da una profonda tristezza,
nell inconsueta tonalità di si bemolle minore, dove l’alone di
nostalgico dolore che tutto avvolge è provocato tanto dall’im­
piego frequente di dissonanze, quanto dall’incedere cupa­
mente ieratico che caratterizza la tensione della pagina in un
clima oscuro e stranito. Le linee melodiche si annodano e si
perdono impercettibilmente fra le trame rarefatte del tessuto
strumentale, infranto talora da quelle note ribattute che echeg­
giano, con la mestizia di un rintocco funebre, nel luttuoso gri­
giore di lande nebbiose e desolate.
Johann Sebastian Bach
Preludio, fuga e Allegro in re maggiore BWV 998
Dei grandi, come si dice, ci interessano anche le briciole: ci ri­
feriamo, si intende, a quegli otto lavoretti per liuto, scritti du­
rante gli ultimi anni di Kòthen e i primi di Lipsia che si na­
scondono all’ombra dei grandi monumenti bachiani. Invero
Bach scrisse nella Passione secondo S. Giovanni una parte spe­
cifica per liuto, ma questo rimane un fatto isolato. L’orizzonte
socio-culturale in cui si possono inserire i lavori liutistici degli
anni ’30-’50 appare totalmente diverso e inscindibile dalla ten­
denza serpeggiante tra le fila della borghesia intellettuale di
Lipsia, che iniziava a volgersi affascinata verso Vancien. Di
fatto il liuto divenne l’emblema dell’antico continuando a con­
vivere con il clavicembalo, studiato “a più non posso” dalle
varie M adames del secolo. Il Preludio, fuga e Allegro, compo­
sto tra il 1740 e il 1745 reca infatti la specificazione pour la
Luth ò Cembal. In questi tre movimenti che, come ha notato
Basso manifestano i tratti della Suite, incompiuta o parzial­
mente perduta, Bach riafferma lo spirito della Klaviermusik
domestica, ampiamente trattata durante pressoché tutta la sua
parabola creativa. Anche la perfezione delle geometrie sonore
e l’impeccabile contrappuntismo della Fuga che segue il Prelu­
dio non presenta alcun segno di rigidezza formale, ma, al con
trario si collega perfettamente al successivo Allegro, una sorta
di Courante in 3/8. Prescindendo dalle esigenze più o meno ca­
pricciose, sorte tra galanterie e coquetterie della borghesia lip- i
siense, Bach dimostrò di saper accontentare anche le mode più I
lontane dal suo universo estetico ribadendo “sul liuto e sui
suoi succedanei una presenza calda e convincente nella società
del tempo”.
Mauro Giuliani
Rossiniana op. 119 n. 1
Con il titolo di Rossiniane si sogliono indicare i Sei lavori per
chitarra sola {op. 119 - 124) che Mauro Giuliani, considerato il
padre italiano del moderno chitarrismo, scrisse durante il sog­
giorno a Roma negli anni 1820-23. Inizialmente furono conce­
pite per favorire l’ascolto e la diffusione delle melodie più ce­
lebri, soprattutto quelle arie d’opera che riuscivano ad
estasiare tutti gli uditori del tempo, in un’epoca in cui, com’è
noto, non potendo ricorrere ai mezzi per la riproducibilità tec­
nica o alla trasmissione via radio, si poteva ovviare solo con la
riduzione delle pagine più note per organici poco numerosi, fe­
nomeno che coinvolse anche i grandi compositori. Si pensi al
celebre caso di quell’editore parigino che chiese ed ottenne da
un Richard Wagner, allora in bolletta, una trascrizione de La
Favorita donizettiana niente meno che per corno e piano­
forte.
Accanto a questo copioso lavorio di riduzioni e adattamenti
per le esigenze “di salotto” nacquero opere con un diverso im­
pianto artistico, imperniate su strutture formali più elastiche e
duttili: il principio della variazione, quello, cioè, che meglio si
presta al rimaneggiamento e alla continua metamorfosi motivica, la Fantasia il Divertimento e la Rapsodia. L’op. 119 e le
altre Rossiniane rientrano in quest’ultimo filone: il materiale
musicale di Rossini viene plasmato, trasformato, variato virtuosisticamente, arricchito da nuove idee tematiche introdotte
da cadenze o ponti modulanti. A partire dalVIntroduzione,
tutte le varie sezioni del lavoro, oltreché mutare indicazione,
da\YAndantino iniziale aWAllegro vivace conclusivo, rispec­
chiano un continuo ribollire di elementi che si intrecciano e si
generano l’uno dall’altro fondendo gli stili di Rossini e di Giu­
liani. Talvolta nei passi dal piglio più energico e virtuosistico
si potranno riscontrare gli echi di quel pianismo di Hummel e
Moscheles che Giuliani ebbe modo di conoscere durante gli
anni trascorsi presso la corte viennese (1808-1819). N ondi­
meno rimane costante per tutto il lavoro quella freschezza in­
ventiva, quella piacevole musicalità un po’ salottiera che carat­
terizza lo stile del compositore barese anche nei momenti di
brillante espansione tecnica, come in quel “diabolico” ince­
dere di ottave spezzate e arpeggi che suggella la pagina e nobi­
lita la chitarra, fino ad allora impiegata per lo più in funzione
d accompagnamento, in una nuova e più autonom a dimen­
sione artistica.
Heitor Villa-Lobos
Suite populaire brésilienne
Se buona parte del percorso storico musicale ha subito il fa­
scino del folclore e le immediate seduzioni delle culture geo­
graficamente più remote (si pensi, ad esempio, alle tendenze
francesi di fine Ottocento primo Novecento), solo episodica­
mente questo interesse varcò i confini europei. Più spesso fu­
rono i compositori extraeuropei ad essere attratti nell’orbita
delle grandi tradizioni,occidentali per assorbirne gli spunti mi­
gliori e riversarli in modo personalissimo nel materiale musi­
cale preesistente dei rispettivi paesi: in ambito sudamericano,
Ginastera (in Argentina) e Villa-Lobos (in Brasile) riuscirono a
realizzare una perfetta mediazione tra la cultura occidentale e
quella latino-americana. In particolare per Villa-Lobos fu deci­
sivo l’incontro con Milhaud (esponente del francese “ Groupe
des Six”) nel 1918. La produzione anteriore, infatti, rifulge
quasi esclusivamente nella solarità intensa dello sfavillante fol­
clore urbano, vissuto fin dalla più tenera età nelle strade di
Rio e più tardi arricchito dagli echi dei rituali autoctoni dell’Amazzonia che il compositore conobbe direttamente durante
le spedizioni e i periodi trascorsi presso le tribù indigene. Egli
stesso, senza troppa ironia, amava sottolineare, esecrando ogni
accademismo: “Ho appreso la musica da un uccello della giun­
gla brasiliana e non in conservatorio". Ma l’interfecondazione
tra evento musicale puro e incontaminato e tradizione appa­
riva però inevitabile e destinata a divenire l’aspetto premi­
nente dell’intero arco creativo. Composta tra il 1905 e il 1912
a Rio de Janeiro, la Suite populaire brésilienne è, di tale interfecondazione, un esempio illuminante. Le quattro danze, cui
verrà aggiunto nel 1923 un quinto movimento intitolato affet­
tuosamente chórino, rivelano la singolare associazione tra una
danza tipicamente europea e il Chòro. Originariamente il
Chóro stava ad indicare un complesso strumentale esclusivamente popolare simile all’organico della banda jazz, successi­
vamente venne impiegato per definire la musica che i choros
eseguivano, per giungere, al significato che vi attribuì lo stesso
Villa-Lobos: ogni tipo di composizione di gusto brasiliano sia
per chitarra sola, sia per grande organico sinfonico o corale.
Avremo così una Mazurka-Chòro, una Scottish-Chóro, che ri­
prende la struttura della country dance, marcatamente accen­
tuata, una Valsa-Chóro, articolata in tre movimenti: Valsa, Più
Mosso e ripresa della prima sezione e infine Gavota-Chóro.
Sullo scheletro ritmico codificato (ternario per M azurka e
Valsa, binario per Scottish e Gavota) il compositore costruisce
pagine traboccanti di affetto e di calore, venate talvolta di
struggenti malinconie (si noti l’incipit dolente della Mazurka
nel suggestivo ripiegamento della quarta discendente) che la
chitarra, veicolo ereditato dalla tradizione ispano-lusitana, non
potrebbe rendere con più efficacia. Ma ciò che nella Suite
viene solo accennato, anticipato in u n ’area tim bricostrumentale limitata, perverrà a piena realizzazione nelle Bachianas-Brasileiras (l’ultima composta nel ’45), mirabile sin­
tesi del più autentico gusto carioca e di un neoclassicismo
ispirato a Bach.
William Walton
Cinque Bagatelle
Composte nel 1972, le Cinque Bagatelle si pongono isolatamente nel repertorio di Walton: il suo catalogo si distingue so­
prattutto per una generosa produzione di opere vocali e orche­
strali o tu tt’al più per una discreta quantità di musiche per
film, in particolare per i film shakespeariani di L. Olivier. An­
che le Cinque Bagatelle in un secondo tempo furono trascritte
liberamente per orchestra, non senza aver apposto prima una
dedica al compositore Malcom Arnold (meglio noto per aver
firmato le celeberrime musiche per il film II ponte sul fium e
Kwai). A Julian Bream dobbiamo invece la pubblicazione del
lavoro nonché la prima esecuzione alla Queen Elizabeth Hall
nel 1973. Il materiale musicale, trattato con estrema concen­
trazione (la Bagatella è, per sua natura, forma tra le più brevi e
immediate) rivela le cifre stilistiche di Walton, in gran parte
ereditate dalla tradizione occidentale, ma abilmente amalga­
mate, con spiccata sensibilità e apertura, a suggestioni stilisti­
che diverse e talora lontane: si noti in particolare la III Baga­
tella, Alla Cubana, im postata sulla tipica organizzazione
metrica del Cinquillo di derivazione africana. Le altre pagine
manifestano le ripercussioni, talora inconsapevoli, delle fasi
successive dello stile di Walton: il primo periodo degli Anni
Venti, sensibilmente nutrito di influssi neoclassici di deriva­
zione stravinskiana (dal maestro russo Walton ereditò anche
quella sorta di ossessione artigianale, nel costante rifacimento
dei propri lavori), cui seguì una spiccata predilezione per l’ela­
borazione motivica, spesso strutturata su elementi contrap­
puntistici di ascendenza neobarocca, segnatamente haendeliana ed emblematicamente riflessa neU’oratorio Belshazzar’s
Feast (1929-30). Tuttavia, il comune denom inatore di tutta la
produzione del compositore inglese appare quella robusta soli­
dità e compiutezza dell’impianto formale sia nelle pagine più
raccolte e sommesse (si prenda ad esempio la nobile succes­
sione di accordi arpeggiati della II Bagatella, Largo), sia in
quelle tecnicamente più complesse ed energiche. Gli slanci vi­
gorosi che si impennano sulla ripetizione di tre note acute
della I Bagatella, Allegro e, soprattutto, i trepidanti disegni di
note ribattute della V, Con slancio, rappresentano procedi­
menti compositivi costantemente presenti in tutta la produ­
zione di Walton, tanto nelle opere vocali, quanto in quelle
strumentali. Inoltre, quella sorta di polimorfismo tematico
(ravvisabile ad esempio nelle Variazioni su un tema di Hinde­
mith del 1962-63 o nelle Variazioni su un Improvviso di Britten
del 1969), tradotto con scrittura elegante e levigata e formante
una rete di cristalli in continua modificazione, contribuisce a
porre Walton, assieme con Vaughan Williams e Benjamin Brit­
ten, tra gli esponenti più rappresentativi del Novecento musi­
cale inglese.
L a u r a D e B e n e d e t ti
leggere di musica
Su Sylvius Leopold Weiss la bibliografia non è certo sterminata.
Tuttavia sarà interessante leggere la dissertazione del Mason (1) che
prende in esame le opere del compositore tedesco. Lo Smith (2) deli­
nea invece un profilo storico di Weiss liutista nella Germania ba­
rocca. Su Johann Sebastian Bach, Alberto Basso fa ormai senz’altro
testo, sia nella sua opera in due volumi (3) sia nel lavoro panora­
mico (4) pubblicato dall’EDT. Per quel che riguarda Mauro Giuliani
si potrà invece consultare il Ferrari (5); Balestra (6) e Heck (7) ana­
lizzano lo stile chitarristico in un ambito prettamente storico.
Quanto a Villa Lobos è d ’obbligo citare Vasco Mariz (8), anche lui
di Rio de Janeiro, nonché Lisa Peppercorn (9), amica del musicista.
Ed infine per William Walton, Frank Howes (10) è ormai un clas­
sico, insieme al Mason (11), che pecca però d ’anzianità. Con Harvey Turnbull (12) e Radole (13) si suole concludere le biografie di
questo genere: la chitarra è protagonista in un arco temporale asso­
lutamente esaustivo.
Davide Cantino
(1) W. E. MASON, The Lute Music of S.L. Weiss, diss. UNiversity of North Carolina, 1949.
(2) D.A. SMITH, Sylvius Leopold Weiss: Maester Lutenist of the
German Baroque, Early Music, 11980.
(3) A. BASSO, Frau Musika. La vita e le opere di Johann Seba­
stian Bach, 2 voll., EDT, Torino 1979-1983.
(4) A. BASSO, L’età di Bach e di Hände), voi. 5 della «Storia
della Musica» a cura della «Società Italiano di Musicologia»,
EDT, Torino 1976.
(5) R. FERRARI, Mauro Giuliani, Bologna 1934.
(6) P. BALESTRA, La chitarra di Mauro Giuliani, Bari 1984.
(7) T.F. HECK, The birth of the classic guitar and its cultivation
in Vienna, reflected in the career and compositions of Mauro
Giuliani, 2 voli., Dissertazione, University Microfilms, Ann
Arbor, Michigan 1971.
(8) V. MARIZ, Heitor Villa-Lobos, Seghers, Paris 1967.
(9) L.M. PEPPERCORN, Heitor Villa-Lobos. Leben und Werk
des brasilianischen komponisten, Atlantis, Zürich 1972.
(10) F. HOWES, The music of William Walton, Oxford University
Press, London 1965.
(11) C. MASON, William Walton, Bacharach, Harmondswortyh
1946.
(12) H. TURNBULL, La chitarra dal Rinascimento ai nostri
giorni, Curci, Milano 1982.
(13) G. RADOLE, Liuto, chitarra e vihuela. Storia e letteratura,
Suvini Zerboni, Milano 1979.
La maggior parte dei testi indicati può essere consultata presso la Civica Bi­
blioteca Musicale “Andrea Della Corte” - Villa Tesoriera —corso Francia
192.
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