sabato 30 aprile Note di sala ORE 10.30 – MORI, ENOTECA CANTINA COLLI ZUGNA [MUSICA DA UN’ALTRA CAMERA] FILIPPO GHIDONI, chitarra In versione elettrica, riempie di suoni assordanti gli stadi più grandi del mondo; è curioso il fatto che, invece, nella versione classica, la chitarra presenti un’escursione dinamica talmente ridotta da precluderle teatri capienti e pubblici numerosi. Eppure, nonostante ciò, tantissimi chitarristi scelgono ancora gli ingrati compensi di una vita dedicata alle corde di nylon. Quale fascino fatale esercitano su di loro le curve di uno strumento che complica ulteriormente la già faticosa vita del musicista? Il concerto di questa mattina è la più valida delle risposte: se la sala si fa raccolta, infatti, pochi strumenti possono competere con la chitarra per preziosità di suono e capacità comunicative, soprattutto di fronte a un repertorio come quello proposto. La Suite BWV 995 di Johann Sebastian Bach (1685-1750) è l’unica trascrizione in programma. Si tratta in realtà di una doppia trascrizione: la prima, ad opera dell’autore, dal violoncello al liuto; la seconda, novecentesca, dal liuto alla chitarra. Tutte le suite per liuto di Bach presentano d’altronde tratti particolari, che hanno suscitato più di un interrogativo. La difficoltà di alcune soluzioni strumentali e la scelta di alcune tonalità particolarmente strane, inoltre, hanno recentemente incoraggiato l’ipotesi secondo cui alcune delle composizioni per liuto di Bach sarebbero in realtà state scritte per Lautenwerk, una sorta di clavicembalo con le corde in budello di cui egli possedeva ben due esemplari. Non sembra tuttavia il caso della Suite BWV 995, di cui sono pervenuti sia l’autografo bachiano (con l’intestazione «pour la Luth»), sia un’intavolatura realizzata da un tal «monsieur Schouster», probabilmente un liutista di Dresda destinatario della trascrizione. Nel corso del Settecento il liuto barocco, strumento complesso, per professionisti, lasciò sempre più spazio a liuti più semplici, come la mandora, o in seguito alla chitarra, che cominciò ad assomigliare a quella che conosciamo oggi. Il rinnovato amore per la semplicità ne favorì lo sviluppo, e la chitarra divenne particolarmente popolare. Un rinnovato amore per la semplicità favorì lo sviluppo della chitarra, che divenne particolarmente popolare in età napoleonica: si pensi, per esempio, al celebre ritratto di Beethoven del 1804, ad opera di Joseph Maler, nel quale il compositore, che pur non scrisse mai nulla per le sei corde, si fece raffigurare con una chitarra-lira nella mano sinistra. Questa moda spalancò le porte del successo ai virtuosi dello strumento, perlopiù provenienti dalla Spagna e dall’Italia. Fernando Sor (1778-1839) nacque a Barcellona da una famiglia di tradizioni militari. Inizialmente oppositore dell’invasione napoleonica della Spagna, quindi afrancesado (cioè convertito agli ideali della Rivoluzione), nel 1813, dopo la liberazione, si trasferì a Parigi. Spinto dalla ricerca del successo internazionale e dalla crescente fama, visse per un periodo a Londra e a Mosca, dove si impose come chitarrista e compositore, per poi tornare a Parigi, dove morì all’età di sessantun anni. Introduzione e variazioni su un tema di Mozart (1821) risale al periodo londinese. Il tema di Mozart è quello del Glockenspiel fatato di Papageno, dal coro Das klinget so herrlich del Flauto magico, che Sor trascrive come un Andantino in Mi maggiore ed elabora in quattro variazioni. Particolarmente rivelatorio dei meccanismi produttivi dell’epoca è il fatto che, più che al numero originale, Sor sembra ispirarsi all’aria ‘di baule’ del celebre soprano Angelica Catalani O dolce concento, basata per l’appunto sulla melodia mozartiana ma sfoderata in altri contesti, come vero e proprio ‘cavallo di battaglia’. In quegli anni, infatti, le arie circolavano ben più attraverso le rielaborazioni dei virtuosi che all’interno delle opere di appartenenza. Un caso simile è quello delle Rossiniane di Mauro Giuliani (1781-1829), sei pot-pourri su temi di Rossini. Il potpourri era un genere musicale in voga in Italia nella prima metà dell’Ottocento, strettamente legato al mondo dell’opera lirica: esso riuniva vari temi operistici in un unico brano e li mischiava, variandoli e sviluppandoli. Per la neonata industria editoriale italiana (Ricordi aveva aperto i battenti nel 1808), i pot-pourri costituivano perlopiù un mezzo promozionale: non era raro che fossero pubblicati prima delle riduzioni per canto e piano, quasi come trailer delle future uscite; nel caso di un autore come Mauro Giuliani, però, essi acquisivano un valore artistico e commerciale del tutto autonomo. Le Rossiniane risalgono agli anni immediatamente successivi al ritorno di Giuliani dal lungo soggiorno viennese e rappresentano il suo tentativo di reinserirsi nel mercato italiano dopo un’assenza di quindici anni: quale genere migliore di una serie di pot-pourri dedicati all’operista italiano più in voga del momento? Nonostante il genere tipicamente italiano, però, le Rossiniane sono in realtà una testimonianza evidente del lungo periodo che l’autore aveva trascorso a ‘sciacquare i panni nel Danubio’: ogni tema è presentato, variato e collegato al successivo con grande maestria. La Rossiniana n. 5 si apre con un’Introduzione in La maggiore, che nel giro di un paio di minuti conduce al primo tema, E tu quando tornerai, dal Tancredi; è quindi la volta di Una voce poco fa, dal Barbiere dei Siviglia, e poi di Questo è un nodo avviluppato dalla Cenerentola. Un interessante percorso modulante conduce alla tonalità di Si bemolle e il 6/8 di Là seduto l’amato Giannetto, da La gazza ladra; infine, con il concertato Zitti zitti, piano piano, si ritorna al Barbiere di Siviglia. Inevitabilmente, con lo sviluppo dell’industria operistica, l’interesse per la musica da camera in qualche modo diminuì e con esso la popolarità della chitarra, soprattutto in Italia. Non sorprenderà dunque che la carriera di Giulio Regondi (1822-1872), iniziata a Lione come enfant prodige, si svolse interamente fuori dal Bel Paese. Introduzione e capriccio è un brano particolarmente rappresentativo del cosiddetto ‘romanticismo chitarristico’, uno stile limitato a una rosa ristretta di autori, nei quali un virtuosismo esasperato si esprime in una scrittura molto raffinata. L’Introduzione è un bellissimo Adagio in Mi maggiore che, senza soluzione di continuità, sfocia nel brillante Capriccio in Mi minore. Sebbene, nel corso dei secoli, il termine ‘Capriccio’ sia stato utilizzato in maniera piuttosto generica, Regondi pensa ovviamente ai 24 Capricci per violino di Paganini e ai 36 Capricci per chitarra di Legnani. In questo senso, l’effetto strumentale sublimato a idea compositiva conduce senza incoerenze all’ultimo brano in programma: la Sonata per chitarra dell’argentino Alberto Ginastera (1916-1983). Scritta a Ginevra nel 1976, nel corso del lungo esilio dovuto alla difficile situazione politica del suo paese, la Sonata sfrutta infatti diverse tecniche strumentali non come semplici effetti, ma in maniera strutturale. Esse derivano in parte dalla chitarra gitana, come la tambora (che consiste nel colpire le corde con la mano destra, con un risultato sonoro che ricorda appunto un tamburo), il golpe (il ‘colpo’ sulla cassa dello strumento) e il rasgueado (il ruvido arpeggio flamenco), e in parte dalla musica contemporanea, come il son sifflé (prodotto dallo sfregamento delle dita sulle corde di metallo) e il pizzicato Bartók (nel quale le corde sbattono violentemente sulla tastiera). Il primo tempo, o Esordio, è bipartito: a un’introduzione toccatistica si contrappone un episodio fortemente ritmico. Il secondo tempo è un movimentato Scherzo in 6/8 che, agli appassionati della chitarra, non potrà che ricordare lo Zapateado dei Tre pezzi spagnoli (1956) di Joaquín Rodrigo. Secondo la tradizione classica, lo Scherzo è interrotto da un Trio contrastante, dal carattere meditativo; la ripresa del ritmo inziale, però, in questo caso, è solo accennata, poiché il brano termina nel giro di poche battute. Il Canto è forse il movimento più ispirato: dopo una lenta e rapsodica introduzione, una breve melodia discendente fa la sua comparsa, sostenuta da un accompagnamento arpeggiato, ma verrà presto interrotta dall’intervento di incontenibili commenti ritmici, che preannunciano il carattere liberatorio del Finale. Francesco Tagliaferri In collaborazione con: Comune di Mori