Contratto a tutele crescenti, punti di forza e di debolezza Licenziabili più facilmente ma con maggiori tutele durante il periodo di disoccupazione. Si può riassumere così l’effetto dell’introduzione del contratto a tempo indeterminato e a tutele crescenti, nato con il Jobs Act, la riforma del lavoro del governo Renzi. I dipendenti inquadrati con questa nuova forma di assunzione (partita il 1° gennaio 2015, anche se i decreti attuativi devono ricevere un parere non vincolante delle Camere) possono essere lasciati a casa dalla loro azienda senza troppe difficoltà. Tuttavia, se un lavoratore ha oggi un inquadramento precario (come le collaborazioni a progetto) e si vede convertita l’assunzione in un contratto a tutele crescenti, guadagna indubbiamente qualcosa in termini di ammortizzatori sociali, ferie e trattamenti di malattia. Ecco, di seguito, una panoramica sui diritti che si perdono e quelli che si acquisiscono con l’introduzione del Jobs Act. Licenziamenti Con il nuovo inquadramento a tutele crescenti, le imprese potranno mandare via più facilmente i nuovi dipendenti, rispetto ai lavoratori che invece hanno ancora i vecchi contratti a tempo indeterminato. Chi viene assunto dopo il 1° gennaio 2015 e poi licenziato ingiustamente, infatti, non avrà quasi mai diritto (a differenza dei colleghi più anziani) a essere reintegrato al proprio posto, come prevedeva un tempo l‘articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. L’azienda sarà infatti obbligata soltanto a riconoscere all’ex-dipendente un risarcimento in denaro. Nei nuovi contratti, la possibilità di reintegro resta soltanto per i licenziamenti discriminatori (dovuti cioè a pregiudizi razziali, sessuali, politici o sindacali) o per quelli disciplinari legati a fatti in realtà inesistenti (per esempio quando un dipendente viene accusato di un furto in maniera calunniosa). Indennità Se un lavoratore assunto con un contratto a tutele crescenti viene licenziato ingiustamente, ha diritto a un indennizzo pari a 2 mesi di stipendio, per ogni anno di servizio alle spalle, con unminimo di 4 e un massimo di 24 mensilità. Queste regole, va ricordato, valgono soltanto nelle aziende con più di 15 addetti mentre in quelle con un organico inferiore l’indennizzo varia tra 2,5 e 6 mensilità. A parte i dettagli, una cosa è certa: le norme del Jobs Act attenuano i diritti previsti dalla riforma Fornero del 2012 che resta in vigore per le vecchie assunzioni. Questa legge, infatti, prevede un risarcimento per il lavoratore compreso tra 12 e 24 mensilità di salario, anche se gli anni di servizio sono pochi. Ferie, malattie e maternità Il Jobs Act non introduce alcun trattamento differenziato, tra vecchi e nuovi contratti di assunzione, per quel che riguarda le ferie, i periodi di malattia o la maternità. Su questo fronte, però, possono aprirsi scenari positivi per i precari. L’eventuale assunzione con un contratto a tutele crescenti può rappresentare infatti un aumento di diritti per quei lavoratori che, finora, sono stati assunti con inquadramenti flessibili come le collaborazioni continuate e continuative o a progetto (co.co.co e co.pro). Oggi, infatti, i collaboratori hanno diritto soltanto a un’indennità di maternità e godono di ben poche tutele in caso di assenza dal lavoro. Non hanno le ferie pagate e, in caso di malattia, l’azienda può lasciarli a casa non appena si astengono dal servizio per un periodo superiore a un sesto della durata del loro contratto. Ammortizzatori sociali L’introduzione del Jobs Act può portare qualche vantaggio anche sul fronte degli ammortizzatori sociali, almeno per quei lavoratori oggi assunti con una collaborazione flessibile (co.co.co e co. pro) che riescono eventualmente a ottenere il nuovo contratto a tempo indeterminato e a tutele crescenti. Attualmente, infatti, i co.co.co e i co. pro. che perdono il posto non hanno diritto a un sussidio di disoccupazione. Nei prossimi mesi, verrà introdotta per loro una nuova indennità che si chiama Dis-Coll e che può durare sino a un massimo di sei mesi. Chi ha un contratto a tutele crescenti e viene poi licenziato, invece, gode di maggiori protezioni: dal primo maggio avrà infatti diritto a un nuovo assegno di disoccupazione che si chiama Naspi (Nuova assicurazione sociale per l’impiego) per un periodo che è proporzionale agli anni di carriera pregressi e può arrivare a un massimo di 18-24 mesi, indipendentemente dall’età. Per ottenerlo, basta avere alle spalle almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 48 mesi (4 anni) e aver svolto almeno 18 giorni di lavoro nell’anno precedente il licenziamento. Fonte: Panorama.it di Andrea Telara