psicologia cacopedica

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PSICOLOGIA
CACOPEDICA
divertissement, citazioni, cultura cacopedica
esce ogni tanto
N. 3
febbraio 2008
rivista non venale per gli amici
Psicologia Cacopedica
c/o Matteo Prati
Via Matteotti, 802 – 51028 Bardalone (PT)
E-mail: [email protected]
Chi desiderasse collaborare con il CSPI o almeno pubblicare qualche «saggio» su
questa rivista è assolutamente benvenuto; per farlo basterà utilizzare l’indirizzo di
posta elettronica sopra indicato.
Stampa in proprio, con la stampante di casa.
Autorizzazione del Tribunale del Libero Territorio di Bardalonia in data 13 aprile
2006.
Tiratura di 50 copie numerate su carta Coop.
Copia non originale. Scaricata da Internet, non numerata.
Impaginazione e grafica Silvia Defant
2
Indice
4
Il CSPI cresce
5
La Psicologia Cacopedica
9
Per una bibliografia di Psicologia Cacopedica
20
Manuale preventivo dei disturbi mentali – II edizione
22
Dipendenza dall’età anagrafica
25
Dipendenza dalle pulizie
28
Disturbo da deficit di copulaggio
30
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Regressiva
33
Agenzia assicurativa per malati mentali
35
Giuseppe Frosini intervista il cane di Pavlov
38
L’Editrice Inapparente
39
•
Come diventare malati di mente
42
•
Il Galimbertino. Dizionario di Psicologia Cacopedica
44
•
Il finto tonto
46
•
L’inconscio multiplo. La teoria che fa l’intelligenza a pezzi
49
•
Vacanze psichiatriche. Le migliori cliniche per riposarsi
52
•
Il Sé esaurito
55
•
La pulsione a pettegolare e altre pulsioni simili
58
•
Freud suicida e i suoi emuli
61
Psicostatistica potenziale (di Wislawa Szymborska)
62
Cacopoesie (di Lorenzo Barchetta)
63
Fiore di Cardo (di Silvia Defant)
65
L’empatia (di Paolo Albani)
66
Ciò che pare non è (di Patrizia Barchi)
68
Scuola elementare per diventare malati di mente (di Patrizia Barchi)
72
Risacca (di Sandro Franceschini)
73
Preso e pubblicato
76
Auto(caco)analisi e…saluti e baci!
78
Brevi anamnesi individuali
79
Sommario dei numeri precedenti
80
Congresso di Psicologia Cacopedica
82
Come contribuire alla ricerca cacopedica
3
Il CSPI cresce
4
La Psicologia Cacopedica
L’idea di una Psicologia Cacopedica muove dal progetto della Cacopedia, disciplina nata nelle
pizzerie di Bologna agli inizi degli anni Ottanta, per opera di un divertito gruppo di studiosi
capitanato da Umberto Eco. «La Cacopedia doveva configurarsi come una summa negativa del
sapere ovvero come una summa del sapere negativo». Partendo da un titolo che rappresentasse
possibilmente un rovesciamento simmetrico di una voce dell’enciclopedia normale, si prefiggeva di
dedurre paralogisticamente conclusioni sbagliate, oppure da una premessa sbagliata dedurre
sillogisticamente conclusioni inoppugnabili. L’operazione doveva servire, ricattatoriamente e
terroristicamente, a prevenire almeno per i successivi dieci anni sviluppi scientifici che si
volessero seri, ovvero impedire che qualcuno svolgesse effettivamente un tema cacopedico
proponendolo come attendibile1. Di fatto successe che quell’enciclopedia seria da cui partire per
l’elaborazione di una voce cacopedica, non contemplasse ambiti come la psicoanalisi e la
sociologia della cultura, «perché tutto era già stato fatto sul serio». In verità, chi avesse seguito
anche soltanto negli ultimi dieci anni l’evoluzione delle «scienze psicologiche», si accorgerebbe oggi
di quanto lavoro cacopedico ormai infattibile sia andato perduto, peraltro con la compiacenza, in
quel settore specifico della psicologia rappresentato dalla clinica, di tutti quelli specialisti della
mente che con idee cacopediche in testa ormai assorbite per serie, hanno fatto e fanno tuttora la
propria fortuna professionale. Così la psicologia versa oggi in uno stato cacopedico preoccupante,
da rendere senz’altro urgente l’esercizio cacopedico in regress, tale per cui i cacopedisti odierni
come già quelli della vecchia generazione, oltre a scrivere nuove voci della loro enciclopedia,
debbono preoccuparsi di smascherare quelle già esistenti ma celate dietro la formula della
scientificità; nondimeno, vale pure che costoro, consapevoli dell’esperienza cacopedica ormai
perduta, inizino a realizzare adesso nuovi lavori cacopedici secondo lo spirito originario, quello di
mettere in scacco le nuove idee balzane presentate come serie, quando arrivassero.
L’esperienza della Psicologia Cacopedica nasce nel 2006 con la costituzione del Centro
Studi Patologie Inapparenti (CSPI), durante un pomeriggio domenicale in cui chi scrive, con la
compagnia di Patrizia Barchi, che diverrà successivamente la segretaria del CSPI, decise da far
qualcosa per contrastare uno specifico problema che alligna nella psicologia, o meglio nella
nosografia psichiatrica, cioè l’espansione delle categorie diagnostiche utilizzate dagli psichiatri per
designare il disagio mentale; basti ricordare che nel 1880 esistevano soltanto sette categorie
psicopatologiche (mania, melanconia, monomania, paresi, demenza, dipsomania, epilessia) contro
le trecento attuali. Di fronte a tanta volontà classificatoria – che certamente paga: le case
farmaceutiche, gli psicologi, gli psichiatri, gli psicoanalisti – venne da domandarsi se non fosse
possibile l’elaborazione di nuove etichette diagnostiche da attribuire (per scherzo) a taluni
«pazienti» prima che la medicina ufficiale potesse farlo sul serio e con intenti non semplicemente
propagandistici. Così vennero fissati idealmente i passaggi da seguire per l’elaborazione di una
voce diagnostica, a cui possibilmente lo psicologo cacopedico dovrà attenersi durante il proprio
lavoro:
1
Cfr. Umberto Eco, Il secondo diario minimo, Bompiani, Milano 1992.
5
-
per prima cosa è necessario partire da un comportamento qualsiasi, che non rimandi a
nessuna condizione in particolare di un soggetto né che sia legato in maniera significativa a
qualche comportamento o pensiero del medesimo;
-
poi si tratta di trovare un’espressione che riesca a designare con efficacia solo fonica il
comportamento in fase di patologizzazione;
-
infine, evasa la parte descrittiva dei sintomi e dei segni fisici inapparenti, si procede con
l’analisi a occhio all’individuazione dei legami tra il disturbo e la popolazione generale,
attraverso caratteristiche come l’età, la cultura, il sesso.
Tra le prime diagnosi elaborate, che chiameremo diagnosi potenziali – dunque quadri
comportamentali
atipici
relativamente
ai
quali
comincia
a
farsi
sentire
opportuna
la
stigmatizzazione medica – citiamo la Sindrome da sonnolenza notturna, il Disturbo di accrescimento
normale, il Disturbo da disoccupazione mentale, il Disturbo dell’inconscio e la Compulsione
pneumodinamica2. In una fase successiva l’attività del CSPI è andata affinandosi nella direzione di
rendere maggiormente sistematica la propria attività, attraverso il costituendo Manuale preventivo
dei disturbi mentali il cui fine, oltre a fare il verso all’imponente e serio DSM (la bibbia ufficiale
d’ogni psichiatra, per esteso: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, giunto aggi alle
soglie della quinta edizione), è quello di rappresentare un imprescindibile punto di riferimento per
chi si avvicinasse al nostro lavoro. Nel Manuale preventivo i disturbi cacopedici sono raccolti sulla
base del quadro comportamentale preso in considerazione; accanto alle diagnosi potenziali, è
prevista l’area delle Nuove Dipendenze Patologiche, in cui per esempio è inserita la Dipendenza
dall’età anagrafica, nonché l’area della Psicopatologia letteraria, in cui è inserita la Sindrome del
bibliofilo inappagato, elaborata da uno dei primissimi collaboratori del CSPI, Paolo Albani.
2
Queste primissime diagnosi sono state pubblicate sulla rivista Tèchne (n. 16) nonché sul primo
numero di Psicologia cacopedica.
6
A distanza di quasi due anni dalla sua fondazione, il nostro centro prevede oggi un Corso di studi
per laurearsi in Psicologia Cacopedica, nonché una fiorente attività di ricerca su molteplici temi
di nostro interesse. Per l’ottenimento della laurea occorre che l’aspirante dottore si misuri su
materie come la Psicologia Potenziale, la Psicopatologia Inapparente, la Storia Psicocacopedica, la
Pazientologia e la Psicologia Involutiva. Una volta ottenuta la laurea potrà scegliere un settore di
lavoro in cui impegnarsi. Potrà dedicarsi alla ricerca preventiva, elaborando nuove voci
diagnostiche da inserire nel Manuale preventivo; potrà inserirsi nel gruppo di ricerca
Psicoterapeuti a confronto, i terapeuti visti dai pazienti, il cui obiettivo è quello di mettere a
confronto, fingendosi pazienti, le caratteristiche di differenti terapeuti (seri) del disagio mentale al
fine di trarre conclusioni circa il loro Grado di Realtà Cacopedica; potrà unirsi al gruppo di lavoro
impegnato sul fronte della Psicocacopedia Generale, il cui obiettivo dichiaratamente saggistico
prevede l’elaborazione di una serie di opere manualistiche ad uso di tutti i simpatizzanti
cacopedici. A titolo esemplificativo citiamo alcuni titoli ad oggi già inseriti nel catalogo della casa
Editrice Inapparente: Come diventare malati di mente, Freud suicida e i suoi emuli, Vacanze
psichiatriche. Le migliori cliniche per riposarsi, La pulsione a pettegolare e altre pulsioni simili; potrà
impegnarsi nel gruppo di lavoro finalizzato alla gestione della Scuola di Psicoterapia Regressiva,
deputata alla formazione di specialisti nell’insegnamento della malattia mentale, la cui
competenza professionale potrà subitamente palesarsi nella Scuola elementare per diventare
malati di mente, ove la direttrice Patrizia Barchi impiega un metodo ancora in fase sperimentale
per diventare malati fin da piccoli.
Ancora, sarà possibile dare il proprio contributo nell’ambito della costituenda Agenzia
assicurativa per malati mentali, che si cura di risarcire i danni provocati a terzi da episodi acuti
di pazzia; sarà possibile impiegarsi nel nuovissimo Fiore di cardo. Centro Malessere e
Degradazione Fisica gestito da Silvia Defant, ove sottoporsi a sedute di traumatologia fisica
nonché ad altri trattamenti assai meno invasivi ma egualmente speciali come per esempio le
«sabbiature oculari»; infine, se il neodottore si riconoscesse particolari doti diplomatiche e
organizzative, potrà impegnarsi nell’allacciamento e nel mantenimento dei contatti con quegli
istituti simili al CSPI al fine di rendere maggiormente efficace l’attività di ricerca: citiamo il
CENVIS, il Centro per la Valutazione dell’Imbecillità Sociale, con sede centrale a Pisa e sedi
distaccate a Livorno e Putignano, l’ASFOL, l’Associazione per lo Sviluppo delle Forze Opposte al
Lavoro3, e l’IDV, l’Istituto di Demenza Volontaria.
Chi desiderasse avvicinarsi ad una bibliografia di Psicologia Cacopedica, è chiaro che
avrebbe molto materiale a disposizione, stante la natura bizzarra di molte pubblicazioni proposte
come scientifiche almeno a partire dal decennio 1870-1880, fondamentale per la nascita della
psicologia cosiddetta scientifica. Un’opera che raccogliesse tutti i lavori cacopedici propugnati
come seri, che potrebbe a buon diritto intitolarsi Rassegna di spazzatura psicologica, è
evidentemente nei progetti del CSPI, facendo anche in modo che una volta scoperto un autore
cacopedico si decida di nominarlo «cacopedista involontario», a riconoscenza del lavoro cacopedico
profuso, un’etichetta questa finora attribuita a psicoanalisti del calibro di Heinz Hartmann,
elaboratore del concetto di «ambiente medio prevedibile», a Wilhelm Reich, elaboratore del
concetto di «orgone», «forma mobile dell’energia cosmica ovunque presente», a Sandor Ferenczi,
che dimostrò nel 1924 che era possibile ricostruire durante la seduta psicoanalitica il passato più
3
Per una iniziale documentazione sull’attività di questi istituti si veda Paolo Paolicchi, Il fattore I.
Per una teoria generale dell’imbecillità, Felici Editore, Pisa 2006.
7
lontano della razza. Ma va da sé che unitamente alla scoperta dei cacopedisti involontari, c’è pure
una tradizione di letteratura cacopedica (e volontaria) ancora in gran parte da scoprire,
d’argomento psicologico s’intende e chiaramente anteriore alla fondazione del CSPI. Si tratta di
autori che secondo il modo d’uso in Letteratura Potenziale potremmo chiamare «plagiari per
anticipazione»4, cioè autori che hanno svolto in un tempo anteriore alla fondazione del Centro
lavori rientranti a buon diritto nella Psicologia Cacopedica, e che inderogabilmente a tutti gli
psicologi cacopedici ancora in formazione è fatto obbligo di conoscere. Fermo restando che dal
punto di vista cronologico un riferimento imprescindibile è senz’altro rappresentato dall’Elogio
della follia di Erasmo, di cui, diciamocelo, l’attività del CSPI tenta di rappresentare la riedizione
moderna, tenteremo nel successivo articolo la stesura di una bibliografia più esaustiva possibile.
4
Vedi Paolo Albani, «L’OpLePo e i plagiari per anticipazione», in AA.VV., La Biblioteca Oplepiana,
Zanichelli, Bologna 2005.
8
Per una Bibliografia di Psicologia Cacopedica
In un’accezione allargata, quella che negli ultimi due anni ha cominciato a imporsi nell’ambito del
Centro Studi Patologie Inapparenti (CSPI), quando si parla di Psicologia Cacopedica si allude di
fatto ad una psicologia bizzarra, che movendo dal proponimento di sfidare la psichiatria nel creare
ex novo delle sindromi psicopatologiche, ha finito successivamente per assorbire tutta una
tradizione di divertissement d’autore il cui principale scopo è tradizionalmente stato quello di
esaltare la pazzia, considerandola ora una forma suprema di intelligenza, ora invece una tara
tanto connaturata e indelebile degli esseri umani. Se un riferimento imprescindibile per la prima
tradizione di ricerca va senz’altro all’Elogio della follia di Erasmo, per l’altro indirizzo potremmo
assegnare un ruolo di primissimo piano a Carlo Maria Cipolla, autore delle Leggi fondamentali
della stupidità umana5. Sia il lavoro di Erasmo che quello del Cipolla potremmo poi avvicinarli a
quelli di innumerevoli altri autori che non valgono certo di meno quanto a forza immaginativa, e
così citiamo tra gli erasmiani Giovanni Papini6, Pino Aprile7 e Paul Watzlawick8, mentre il Cipolla
potremmo metterlo in buona compagnia con Walter Boughton Pitkin9, André Glucksmann10,
Geyer Horst11, Robert Musil12, Piero Paolicchi13, Giancarlo Livraghi14, Francesco Betti15 e alla
Piccola antologia della stupidità curata per la rivista Tèchne da Paolo Albani (quarto numero). Se le
opere di questi autori possiamo indicarle come inevitabili punti di partenza per una promettente
formazione cacopedica, per chi volesse successivamente, e in maniera più dettagliata, avvicinarsi
a dei lavori aventi maggiormente un taglio monografico, pensiamo di rendere un buon servizio
individuando nella sterminata letteratura esistente almeno sei tradizioni di studio, rimandando ad
un altro saggio l’approfondimento di una settima tradizione altrettanto cacopedica ma avente la
particolarità di non sapere di esserlo, le cui opere potremmo a buon diritto raccoglierle in un
ipotetico saggio dal titolo Rassegna di spazzatura psicologica. Giusto per un assaggio, citiamo tutti
5
Carlo Maria Cipolla, «Le leggi fondamentali della stupidità umana» in Allegro ma non troppo, Il
Mulino, Bologna 1988.
6
Da vedere in particolare «Visita a Freud», «Filomania», «La chirurgia morale», «La malattia come
medicina», «L’imbestiatore»: Gog, Giunti, Firenze 1995. Vedi anche: «L’Istituto del Regresso», «Il
rimbecillimento progressivo», «L’Università dell’omicidio», «Il Congresso del panclasti», «Il grande
savio», «Visita a Voronof», «Conversazione con Paul Valéry»: in Il libro nero, Vallecchi, Firenze 1951.
Vedi altresì Chiudiamo le scuole, Vallecchi, Firenze 1919 e «La pazzia» in L’altra metà, Facchi,
Milano 1919.
7
Pino Aprile, Elogio dell’imbecille, Piemme, Alessandria 1997.
8
Paul Watzlawick, Istruzioni per rendersi infelici, Feltrinelli, Milano 1984.
9
Walter Boughton Pitkin, Introduzione alla storia della stupidità umana, Bompiani, Milano 1934.
10
André Glucksmann, La stupidità, Longanesi, Milano 1986.
11
Geyer Horst, Della stupidità, Bompiani, Milano 1957.
12
Robert Musil, Sulla stupidità, Archinto, Milano 2001.
13
Piero Paolicchi, Il fattore i. Per una teoria generale dell’imbecillità, Felici, Pisa 2006.
14
Giancarlo Livraghi, Il potere della stupidità, Monti & Ambrosini, Trento 2004.
15
Francesco Betti, Le strategie della stupidità. Perché siamo stupidi. Perché siamo geniali, Etas,
Milano 2006.
9
i movimenti psicoterapeutici raccolti nel volume Psicoterapie folli16, nonché una messe di concetti
così strampalati ma spacciati come seri come, per esempio, quello di «ambiente medio
prevedibile», di «esperienza emozionale correttiva», di «inconscio tecnologico» e di «lavaggio
emozionale»; ancora, significative la «bremologia», la «cifrematica» e l’«ontopsicologia», per non dire
della «psicologia del traffico» e della «psicologia turistica», per cui viene da pensare che i più
moderni psicologi non sappiano davvero più cosa inventarsi.
Dicevamo di sei tradizioni di studio che hanno variamente raccolto diverse decine di autori,
che potremmo così suddividere:
-
Autori di bizzarrie psicologiche, spesso finalizzate a sbertucciare la psicologia ufficiale, pur
confondendosi con uno spirito talvolta unicamente ludico anche se complessivamente
iconoclasta. A parte il «pensiero dinoccolato» di echiana memoria, vale citare il lavoro di
Honoré de Balzac17, Nikolaj Aleksandrovič Rubakin18, Edoardo Sanguineti19, Giordano
Fossi20, Pasquale Romano21, Hermann Strobel22 e Gabriele Aprea23;
16
Margaret Singer e Janja Lalich, Psicoterapie folli, Erickson, Trento 1998.
17
Autore della Patologia della vita sociale (Bollati Boringhieri, Torino 1992) che raccoglie il Trattato
della vita elegante, la Teoria dell’andatura e il Trattato degli eccitanti moderni.
18
Scrittore russo fondatore della Psicologia bibliologica, scienza che studia i fenomeni psicologici
legati all’esistenza del libro e alle ricchezze libresche dell’umanità, attraverso la dipendenza
funzionale di tre serie di fenomeni psichici: il lettore, il libro, l’autore (Cfr. Paolo Albani – Paolo
Della Bella (a cura di), Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale, Zanichelli, Bologna
1999.
19
Scrive negli anni Settanta l’«intervista impossibile» a Freud ora raccolta nel volume curato da
Lorenzo Pavolini Le interviste impossibili (Donzelli, Roma 2006). Sanguineti parla della cosiddetta
«nevrosi da scambio», che consiste in un tentativo di inversione delle parti, per cui si vogliono
alterare i ruoli e rovesciare i rapporti: è come se una persona, essendo un fratello di una sorella,
volesse fare la sorella di suo fratello.
20
Giordano Fossi, «Lo psichismo fecondativo: un nuovo approccio allo studio della psicologia
cellulare, dell’impotenza e del vaginismo», in Gli argonauti, n. 22, settembre 1984. L’Autore,
autodefinitosi cardinale eretico della psicoanalisi, affronta uno studio sulla vita psicologia dello
spermatozoo e della cellula uovo. Elabora nel saggio il concetto di pre-protomentale e suggerisce
di identificare la mente prima dentro «le singole cellule e poi, negli esseri pluricellulari, nelle
connessioni fra le cellule che avvengono attraverso i meccanismi di identificazione e di
controidentificazione proiettiva». Più avanti Fossi affronta l’argomento già avviato dalla Klein sui
processi anticonoscitivi e sulle psicosi inapparenti, e scrive: «il meccanismo anticonoscitivo è
quello che impedisce di passare da una conoscenza cellulare a quella pluricellulare e la psicosi
inapparente è pure quella intracellulare». Nella chiusa del saggio il Nostro spiega come abbia
ampiamente dimostrato l’utilità dello psichismo cellulare. «Se non fosse per modestia – aggiunge –
direi che la teorizzazione proposta è in grado di risolvere ogni problema in psicoanalisi».
21
Il lavoro del Romano è fondamentale per tutti gli psicologi; egli è il fondatore della acuologia, «la
scienza che insegna ad ascoltare. Fra i vari tipi di ascolto catalogati da Romano registriamo quello
«assente», tipico dell’ascoltatore che presenta uno sguardo vuoto e che interviene in modo
10
-
Autori che hanno concentrato i loro sforzi nell’esaltazione di mattoidi scienziati o
comunque di personaggi fuori dall’ordinario: Rodolfo Wilcock24, Paul Collins25, Ermanno
Cavazzoni26 e Georg Groddeck27, giusto per citarne alcuni, ma i lavori antologici di
sporadico e distratto, e quello «autentico», che s’instaura quando tra chi parla e chi ascolta si
raggiunge un coinvolgimento totale». Cfr. Paolo Albani – Paolo Della Bella (a cura di), op. cit.
22
Autore della Psicoanalisi del mal di denti, Bollati Boringhieri, Torino 2006. Strobel mostra come
i denti siano dei centri vitali che nelle loro specifiche patologie fanno da specchio a un disagio
psichico ben individuabile e analizzabile.
23
Aprea scrive Il mio psicoanalista si è suicidato, Edizioni Cento Autori, Napoli 2007. Un breve
racconto in cui un paziente si ritrova a fare la parte dell’analista suo malgrado. Tutto succede
quando il paziente un giorno arriva in seduta e trova l’analista steso sul lettino. «Mi accomodai in
silenzio, sulla sua poltrona bassa, e presi tra le mani il taccuino con i fogli a quadretti, che vi era
appoggiato sopra. Lui mi rimproverò per il ritardo e cominciò a parlare. Fu inarrestabile. Un fiume
in piena di psicosi, una valanga di nevrosi, una cascata di fobie, una tracimazione di ossessioni.
(…) Continuavo ovviamente a pagarlo, per non metterlo a disagio, anche se i miei risparmi
cominciavano ad assottigliarsi paurosamente». Finché un giorno arriva la notizia del mancato
suicidio. Esilarante. Un gioco delle parti.
24
Rodolfo Wilcock, La sinagoga degli iconoclasti, Adelphi, Milano 1972. Vedi in particolare il
capitolo dedicato ad Alfred Attendu, psichiatra francese che pubblica nel 1945 l’opera che lo rese
famoso, Il fastidio dell’intelligenza, in cui viene narrata l’attività del Sanatorio di Rieducazione
ossia ospizio di cretini che lo psichiatra dirigeva. La tesi del libro è «che in ogni sua funzione e
attività non necessaria alla vita vegetativa, il cervello è una fonte di fastidi. Per secoli, l’opinione
corrente ha ritenuto che l’idiozia sia nell’uomo un sintomo di degenerazione; Attendu ribalta il
secolare pregiudizio e afferma che l’idiota altro non è che il prototipo umano primitivo, di cui
siamo soltanto la versione corrotta, e perciò soggetta a disturbi, a passioni e a smanie contro
natura, che al vero cretino, al puro, sono felicemente risparmiati.
25
Paul Collins, La follia di Banvard, Adelphi, Milano 2006. Tredici miniromanzi su menti brillanti
e idee strampalate, come quella di Symmes, convinto che la terra fosse cava e abitata al suo
interno. Pubblicò una dichiarazione annunciando in gran pompa una spedizione al Polo Nord che
lo avrebbe dimostrato, ma «a tutto ciò Symmes allegò saggiamente un certificato di sanità
mentale».
26
Ermanno Cavazzoni, Vite brevi di idioti, Feltrinelli, Milano 1994. «Ogni giorno un idiota diverso,
solo o accompagnato, compie le sue vane imprese, di una comicità spesso tragica. Ci sono
tentativi di volo con un'automobile, piromani sfortunati col fuoco, donne perseguitate da bande di
corteggiatori, un Cesare Lombroso sospettato di scemenza congenita, mariti che pensano solo al
sistema solare, un pittore che non capisce la sua pittura e un critico che non capisce le sue
critiche, un nobiluomo così artefatto che ogni tanto si screpola, una teoria mai sentita sopra i re
magi, e poi calcolatori fenomeno, esseri nani, calamite, donne balena, famiglie in gita domenicale».
27
Georg Groddeck, Satanarium, Il Saggiatore, Milano 1996. Raccolta di scritti dei malati mentali
ospiti del manicomio che Groddeck dirigeva, lettura che apre l’interesse al linguaggio degli
alienati, caratterizzato dalla presenza di numerosi neologismi. «La tendenza alla creazione di
parole con gradi diversi di artificialità è molto comune tra i malati di mente. In un articolo apparso
sulla Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale del 1889, lo psicologo Eugenio Tanzi
11
Maurizio Bettini e Omar Calabresi28, di Paolo della Bella e Paolo Albani29, nonché quello di
Federico Di Trocchio30, potrebbero ampiamente aiutare il lettore che fosse interessato ad
approfondire questo settore, senza dimenticare altri autori che per quanto nelle loro opere
non si siano occupati direttamente della pazzia contribuiscono nondimeno a dare una
mano per chi volesse uscir di testa. Non potendo citare larga parte della letteratura
mondiale, facciamo un titolo su tutti, Don Chisciotte della Mancia. Sempre in ambito
letterario, un trattamento particolare vale però riservarlo a Mario Tobino, benché la sua
poetica sia da collocarsi su posizioni niente affatto cacopediche. Da medico di manicomio
qual’era, egli parla in alcuni suoi volumi, segnatamente nelle Libere donne di Magliano e in
Per le antiche scale, della malattia mentale, facendone una attenta fenomenologia, che
certamente può tornare utile a chi volesse unire al Don Chisciotte, sempre nell’intenzione
di uscire pazzo, qualcosa di altrettanto efficace (anche se più, come dire, «tecnico»)31.
-
Autori che si sono spinti ad immaginare paradisi abitati finalmente da malati mentali, o
comunque situazioni in cui fosse finalmente raggiunta la perfetta somiglianza tra tutti gli
esseri viventi, regni utopici o per meglio dire distopici: Jules Verne32, Evgenij Zamjatin33,
raccoglie 239 neologismi di pazzi di numerosi manicomi italiani come pure di altra fonte. Secondo
Tanzi, almeno il 30% dei paranoici sono «neologisti». Fra gli esempi riportati da Tanzi, questa
enorme parola: “dominusmotspherifateur”, e questa specie di scongiuro: “pitroski marabiska
patomba lemba zagamba strapùlika”». Cfr. Paolo Albani e Berlinghiero Buonarroti, Aga Magra
Difùra. Dizionario delle lingue immaginarie, Zanichelli, Bologna 1994.
28
Maurizio Bettini e Omar Calabresi, BizzarraMente. Eccentrici e stravaganti dal mondo antico alla
modernità, Feltrinelli, Milano 2002.
29
Paolo Albani – Paolo Della Bella (a cura di), op. cit.
30
Federico Di Trocchio, Il genio incompreso. Uomini e idee che la scienza non ha capito, Mondadori,
Milano 1997.
31
Ma non si trascuri anche un altro autore (già psichiatra) che può dare una mano per perdere la
Trebisonda, Patrick McGrath, con i volumi Follia (Adelphi, Milano 1998), Spider (Bompiani, Milano
2004) e Trauma (Bompiani, Milano 2007).
32
Nelle Indie nere Verne racconta di un’intera città che non sa più vivere sulla superficie, nel
paese del carbone, e che organizza la vita, le leggi, il nutrimento, i funerali, la procreazione, la
cultura, tutto, negli abissi e nei labirinti di gallerie della miniera, sotto la luce artificiale in
perpetuo: un incubo, a fatica l’immaginazione lo regge. Qualcosa di altrettanto opprimente
immagina Giovanni Papini in «Nuovissime città» (Gog) dove l’architetto Sulkas Perkunas progetta
la «Citta dell’Eguaglianza Perfetta», formata da migliaia di case assolutamente eguali: della stessa
altezza, dello stesso stile, dello stesso colore, dello stesso numero di finestre e porte».
33
Evgenij Zamjatin, Noi, Lupetti, Milano 2007. Zamjatin, ingegnere navale di professione e
maestro di fantascienza a tempo perduto, immagina che in un remoto ma inevitabile futuro
l’intera umanità cadrà sotto il governo totalitario dello Stato Mondiale Unico. Guidato da un
Grande Benefattore e controllato da Guardiani che soffocano ogni dissidenza, esso trasforma gli
individui in numeri e li priva dell’immaginazione per garantire l’«armonia quadrata», matematica,
dell’insieme. La vita è scandita dal «Libro delle Ore» che impone a tutti lo stesso identico ritmo e
dunque la perfetta coincidenza di tutti i movimenti e tutte le azioni. Formato da individui che
vivono come cifre, secondo le armoniose leggi della tavola pitagorica, lo Stato Unico è un
12
Jules Romains34, Aldous Huxley35, Philip Dick36, Kurt Vonnegut37 e Guido Ceronetti38. Una
trattazione speciale merita riservarla a Egas Moniz, nato nel 1874 a Coimbra, neurologo,
ingranaggio perfetto in cui regna la felicità. Il protagonista, un matematico che si chiama D-503,
progetta una gigantesco razzo di vetro e acciaio, l’Integrale, per diffondere nell’universo il modello
politico dello Stato Unico. D-503 si lascia però infettare da un numero irrazionale, ovvero si
invaghisce di I-330, giovane rivoluzionaria adepta di un gruppo segreto che cospira per
impadronirsi dell’Integrale e sovvertire lo Stato. Grazie ai Guardiani, che neutralizzano il
complotto, il Benefattore riafferma la sua sovranità ed escogita un modo per garantire
definitivamente la stabilità dell’ordine: una Grande Operazione di lobotomia che recida in tutti gli
individui la parte del cervello dove ha sede l’immaginazione. E’ infatti l’imprevedibilità di questa
facoltà a produrre instabilità, disordine, disgregazione. Subita l’operazione, gli uomini nuovi sono
finalmente adatti per inserirsi nell’ordine dello Stato Unico.
34
Jules Romains, Knock o Il trionfo della medicina, Liberilibri, Macerata 2007. Dall’Introduzione di
Max Bruschi: Commedia in tre atti in cui il «dottor Papalaird cede al collega Knock la sua
condotta. Un lavoro di tutto riposo (o forse addirittura una fregatura), visto che nessuno ricorre al
medico, e i pochi che lo fanno vengono rispediti al mittente con generici consigli. Nel giro di tre
mesi Papalaird, tornato al paese, troverà l’albergo del paese trasformato in una sorta di hotel della
salute, e i villici totalmente ospedalizzati e soprattutto felici e contenti di esserlo».
35
Aldous Huxley, Il mondo nuovo, Mondadori, Milano 1933. Romanzo che dettaglia il «mondo
nuovo» prodotto dall’incrocio tra scienze biologiche, psicologia behaviorista e produzione di massa,
con una civiltà costruita in provetta e un’umanità divisa in caste, tutte appropriatamente
condizionate, nel contesto dell’abolizione della famiglia, dell’individualismo, dell’arte. Il vero
collante del «mondo nuovo» è il «soma», potentissimo sedativo ad ampio raggio usato da tutti gli
abitanti. Sull’onda di questa lettura, e dopo aver ben appreso gli effetti imponenti del soma,
varrebbe la pena aprirsi alla psicofarmacologia odierna per domandarsi almeno quanto sia
cacopedica (leggi bizzarra). Un punto di partenza può essere rappresentato dal volume di Pietro
Adamo e Stefano Benzoni, Psychofarmers, Isbn Edizioni, Milano 2005. Tornando a immaginare
una «civiltà costruita in provetta», interessante è il recupero della «lanterna rossa» di Guido
Ceronetti apparsa sulla Stampa il 16 febbraio 2004, ove un essere post-umano in età di liceo, nato
ovviamente in provetta, osserva i pochissimi compagni concepiti ancora con l’«ignobile copula
preistorica». Lo scenario non è da autentica malattia mentale soltanto perché tutte le malattie
sono superate, ma a favore ai nostri occhi di un’unica grande malattia che si chiama vita, capace
di durare centosettanta anni in assenza «dai rumori chiamati musica» e dalle «follie della libertà
individuale».
36
Di Dick si veda per esempio Follia per sette clan (Fanucci, Roma 2005) dove i protagonisti sono
gli abitanti di Alfa, un sistema planetario popolato da malati di mente, divisi in sette diversi clan a
seconda della specifica patologia che li affligge.
37
Kurt Vonnegut, «Harrison Bergeron» in Fantasia e fantascienza, n. 1, ed. Minerva, 1962.
«Harrison Bergeron» è un racconto in cui «l'anno era il 2081, e tutti erano finalmente uguali».
L'uguaglianza si è ottenuta handicappando chi ha qualche abilità superiore agli altri: facendo
portare pesi ai forti, imbruttendo i belli e così via. Il protagonista è un mezzo superuomo, e così si
ritrova tutti gli handicap artificiali possibili. Le persone intelligenti vengono handicappate facendo
sentire loro suoni, rumori e musiche, tanto più frequentemente quanto più sono intelligenti, per
non dar loro il tempo di mettere a fuoco un pensiero.
13
letterato e politico (fu deputato, ambasciatore, ministro degli Esteri). Moniz inventò nel
1935 un procedimento che ancora oggi, benché abbandonato, ha un nome che fa paura
(per chi non fosse cacopedico, si capisce): lobotomia. Tutto cominciò ad un congresso in
cui chirurghi americani mostrarono che se agli scimpanzé si tagliavano i lobi frontali dal
resto del cervello, le scimmie smettevano di saltare su e giù per la gabbia. Moniz tornò a
casa entusiasta e cominciò a praticare la lobotomia sui pazienti del manicomio di Lisbona,
soprattutto donne, senza alcun permesso. Fu un successone: i matti diventavano vegetali
o zombie, e le corsie psichiatriche non risuonavano più di urla isteriche. Moniz divenne un
eroe, premiato nel 1949 con il Nobel in quanto «uomo meraviglioso».
-
Autori nella cui produzione siano rintracciabili spunti per etichette diagnostiche potenziali,
quando non addirittura vere e proprie trattazioni scientifiche (ma cacopediche) che
potrebbero a buon diritto far parte del Manuale preventivo dei disturbi mentali: Enriques
Vila-Matas39, Mauro Giancaspro40, Ermanno Cavazzoni41, Giuliano Da Empoli42, Adriano
38
Mettiamo Ceronetti in compagnia di questi scrittori in quanto quasi tutta la sua opera si può
intendere come una prolungata cronaca da un mondo di matti, che tuttavia è qui e ora,
sinteticamente: c’è già, siamo noi. Dal Silenzio del corpo (che peraltro può dare anche un buon
incoraggiamento a un ideale metodo cacopedico; si ricordi quanto vi si legge intorno alla medicina:
«tradizionalmente è una disciplina filosofica, che si può studiare come si vuole, anche
frequentando facoltà mediche») alla Pazienza dell’arrostito, per Ceronetti «l’uomo è tutto qua: un
pacchetto di visceri e di pelle facilmente arrostibili, sparsi di un po’ di mistero cosmico in
granellini di pensiero». Ancora, sempre caustico e pessimista: «un’idea dell’assurdo, della miseria
che siamo, la danno le cabine telefoniche il sabato sera, appannate da gente che sfoga parole
dietro il vetro, in un’agitazione epilettoide verticale, mangiandosi l’apparecchio con tremendi
morsi, digerendosi cannibalicamente insieme all’apparecchio l’altro che gli parla di lontano, per
possederlo meglio, godersene la forza (i bambini, le amate, specialmente!), veri antropofaghi di
parole idiote, di notizie insignificanti, di contrasti fatui, e quando finalmente escono sembrano
veramente aver sollevato la bocca da un “fiero pasto”, emergere da un coito prolungato, le bocche
ridono ancora della stupidità ingoiata, sono stanchi, soddisfatti, non più soli, non più affamati,
possono andare, finalmente, a mangiare». Dai malati che diventeremo un giorno (letteratura
distopica), ai malati che già ora siamo diventati (Ceronetti), alla malattia che invece abbiamo in
quanto uomini; ebbene un riferimento bibliografico che a questo punto si pone obbligatorio è alla
Malattia chiamata uomo di Ferdinando Camon, cronaca di un percorso psicoanalitico visto
dall’interno, ove la malattia (mentale), se non nell’uomo, almeno sia riconoscibile nello svolgersi
delle quattro sedute analitiche settimanali, che possono andare avanti per sette anni, come nel
caso di Camon, oppure per sette mesi, come fu il caso di Zeno Cosini, senza tuttavia che il
risultato vari di molto; e allora è assolutamente da rileggere l’inizio dell’ultimo capitolo della
Coscienza di Zeno: «L’ho finita con la psico-analisi. Dopo di averla praticata assiduamente per
sette mesi interi sto peggio di prima».
39
Enriques Vila-Matas, Bartleby e compagnia, Feltrinelli, Milano 2002. Scrive Vila-Matas: «già da
parecchio tempo indago sull’ampio spettro della sindrome di Bartleby in letteratura (…) che fa sì
che certi creatori, pur avendo una coscienza letteraria molto esigente (o forse proprio per questo),
finiscano per non scrivere nulla; oppure scrivono uno o due libri e poi rinunciano alla scrittura;
14
Purgato43 e Paolo Albani44.45 Si considerino inoltre i lavori antologici di Alberto Castoldi46
per le patologie legate alla passione per i libri47 e quello di Dennis Diclaudio, autore di Io
oppure ancora, dopo aver avviato senza problemi un work in progress, si ritrovino un giorno
letteralmente paralizzati per sempre».
40
Mauro Giancaspro, Il morbo di Gutenberg, l’ancora del mediterraneo, Napoli 2003. Un volume
sulle patologie di chi ama troppo i libri: bibliomania, bibliofollia, unitamente ad una galleria di
ritratti memorabili di lettori e scrittori, con le loro manie, tic, infatuazioni. Magari da leggere
assieme a Scrivere è un tic di Francesco Piccolo (minimum fax, Roma 1994).
41
Ermanno Cavazzoni, Gli scrittori inutili, Feltrinelli, Milano 2002. Vi si affronta una patologia a
tutti gli effetti potenziale: Ipertrofia scritturale.
42
Giuliano da Empoli, Overdose. La società dell’informazione eccessiva, Marsilio, Venezia 2002. La
condizione informativa ai limiti della schizofrenia tipica della nostra «società delle reti»: cause e
soprattutto conseguenze dell’Overdose cognitiva, certamente una promettente etichetta potenziale.
43
Adriano Purgato, Fobie. Le nuove ossessioni del secolo XXI, Castelvecchi, Roma 2006. Una
raccolta delle principali fobie dei nostri tempi, dall’Anuptofobia (la paura di rimanere single),
all’Allodoxafobia (paura dell’opinione degli altri), alla Sinofobia (paura dei cinesi), all’Islamofobia (la
paura dell’Islam). A qualcosa di simile si era dedicato anche Zygmunt Barman nella Società
dell’incertezza (Il Mulino, Bologna 1999) che contiene il Catalogo delle paure postmoderne.
44
La produzione di Albani che segnaliamo comprende: «Alcune considerazioni sul problema della
nascita delle idee», in Terra del fuoco, n. 34, febbraio 1991: il tema affrontato riguarda il modo in
cui si concepiscono le idee a patire dall’unione dell’idea-maschio e dell’idea-femmina; «La forma
bizzarra dei libri», in Culture del testo e del documento. Le discipline del libro nelle biblioteche e
negli archivi, Vecchierelli Editore, n. 23, 2007: qui è possibile rintracciare una sommaria
descrizione di alcune patologie letterarie come lo Sindrome del book sniffer e la Bibliofagia;
«Scacciapensieri portatile», in Tèchne, n. 9/10/11, 2001: qui Albani elabora un originale
strumento di Psicoterapia Potenziale ad uso di pazienti affetti da Iperplasia pensierosa negativa;
infine dal Caffè illustrato segnaliamo i seguenti lavori: «Un dizionario degli incerti», n. 2,
settembre/ottobre 2001: un lavoro di alta divulgazione scientifica intorno all’opera di due
psicologi britannici circa la condizione dell’incertezza patologica – Sindrome di Oblomov
o
Immobilità da soffitto; «Come diventare vecchi», n. 6, maggio/giugno 2002: presentazione di uno
studio sulla sintomatologia della vecchiaia in cui viene descritto il fenomeno del ciondolamento,
del ciabattamento e del parlare da soli; «Stringersi in una parola», n. 7/8, luglio/ottobre 2002: qui
Albani si sposta nell’ambito della Psicocacopedia linguistica offrendoci acute analisi su asserti del
tipo: «passami il coso che è sul coso»; «La “contrainte” e i pazzi letterari», intervento per convegno,
2001: una relazione sulle costrizioni linguistiche cui si sottopongono i cosiddetti «pazzi letterari»,
che in forza di autoimposizioni linguistiche, come per esempio scrivere un intero romanzo scritto
senza mai impiegare la lettera e, tendono «a valorizzare la forza visionaria dell’attività letteraria».
45
Altri nomi da aggiungere a questa lista sarebbero quelli di autori che nelle loro ricerche si sono
dedicati alle sindromi cosiddette nominative, recanti cioè il nome di personaggi più o meno celebri,
come Pierino, Don Giovanni, Sansone, Peter Pan etc. Per chi volesse saperne di più, rimandiamo
ad altre risorse, ad esempio Internet, o alla maschera di ricerca di una qualsiasi libreria o
biblioteca magari on-line. Basterà scrivere «sindrome» come titolo e la lista che verrà fuori sarà
senz’altro corposa.
15
sono paranoico. Guida tascabile ai più tremendi disturbi mentali che già senti di avere48.
Occasionalmente anche autori come Flaiano (Complesso di parità), Umberto Eco (Autismo
fabulatorio, Shock da ovvietà, Sindrome del complotto, Sindrome del sospetto, Complesso
di Temistocle, Sindrome di Bayard) e Armando Massarenti (Procastinite cronica) si sono
dedicati alla fenomenologia di patologie potenziali. Infine, un grande patologo potenziale (e
cacopedico) fu senz’altro Bernardino Ramazzini (1633-1714), che scrisse nei primi anni del
Settecento amabilissime dissertazioni sulle malattie dei letterati e su quelle dei lavoratori
(una lista lunghissima: malattie dei vasai, dei pittori, degli speziali, dei becchini, dei fornai,
dei lacchè, dei pescatori, degli scrivani, dei fabbricanti di sapone, etc.)49.
-
Autori appartenenti alla tradizione della cosiddetta pseudobiblia, con cui si indicano i libri
«che non esistono o non sono mai esistiti», di stretto argomento psicologico s’intende e di
cui è possibile aver notizia consultando il fondamentale Mirabiblia. Catalogo ragionato dei
libri introvabili di Paolo Albani e Paolo della Bella (Zanichelli, Bologna 2003). E’ un piacere
ricordare volumi come: L’immaginazione artificiale (Milano, D. Benati & Figli, 2001), I
calzini del Metterling come espressione della Madre Fallica (Journal of Psychoanalysis, nov.
1935), Psicopatologia della vita condominiale nei piccoli centri prealpini in età scolare (Torino
1990), Plurilinguismo e monomania a confronto (Portovenere 1990), Casi di petrarchismo
comatoso trattati con insulina (Lavagna 1990), Intossicazioni lessicali nei soggetti esposti al
vocabolario (Bordighera 1990), Varianti degeneri e perdita della pazienza nella critica del
‘900 (Bordighera 1990), Il mobilio dell’io e gli stili dell’es (Mentone 1990), Studio sul modo di
produrre artificialmente il genio (Milano, L’Altrieri, 1955), Caratterologia dei pantaloni
(Milano,
Benedikt
Pfaff,
1935),
rispettabilmente cretini (Milano,
La vita burocratica ossia del modo di diventare
L’Altrieri, 1955). Per gli psicoanalisti, un volume
straordinario è senz’altro quello di Fears Hoffnung, Colloqui con Helmholtz (LosannaMilano, Hrolf, 1966), ove «gli argomenti toccati sono molti, dalla psicopatologia alla
religione, fino al motivo per cui Helmholtz non riuscisse a ottenere una carta di credito.
Helmholtz ricorda, fra gli altri, il caso di una paziente di Freud, Edna S., affetta da paralisi
isterica al naso. Non riusciva a imitare il coniglio quando le si chiedeva di farlo». Ancora,
interessante il libro di Dobb Arthur, Non serviam (Washington-Roma, Pergamon Press,
1974), «trattato scientifico sulla “personetica”, termine formato da persona e genetica,
parole di origine latina, che sta a significare “produzione artificiale di esseri intelligenti”». A
46
Alberto Castaldi, Bibliofollia, Mondadori, Milano 2006. Ancora un volume sui «folli di libri, folli
fino ad uccidere». Bibliofili, bibliomani, bibliofagi e falsari di libri.
47
Vedi anche altri due volumi: Coralba Colomba (a cura di), Bibliomanie. Passioni, malattie e
dannazioni di chi ama troppo i libri, Marco Valerio Editore, Torino 2003, testo che raccoglie
Bibliomania di Gustave Flaubert, Il bibliomane Foulard di Jean Baptiste Felix Descuret e L’Infero
del bibliofilo di Charles Assolineau.; e Renaud Muller, Il desiderio di libro, Silvestre Bonnard,
Milano 2000.
48
49
Dennis Diclaudio, Io sono paranoico, Isbn Edizioni, Milano 2007.
Vedi due volumi: Per una vita austera lunga sana proficua (Firenze Libri, Reggello 2005) che
contiene: Dissertazione sulle malattie dei letterati, La salute dei principi, Dissertazione sulla tutela
della salute delle vergini religiose, Annotazioni sulla vita sobria. E Le Malattie dei Lavoratori (De
morbis artificium diatriba), Libreria Chiari, Firenze 2000.
16
chi non fosse bastata la consultazione di Mirabiblia, suggeriamo il volume di Theodor
Saretsky, Il sesso come sublimazione del tennis (Mondadori, Milano 1988), in cui è
possibile avvicinare una vasta letteratura ancora tutta da divulgare del maestro Freud;
riportiamo alcuni titoli: Fissazioni masturbatorie e impugnatura occidentale, Invidia del
pene e racchetta a padella, L’angoscia da tennis interruptus. Infine, un'altra vivacissima
antologia ove sia possibile rintracciare altri pseudolibri d’argomento psicologico è quella
curata da Russel Ash e Brian Lake, I libri più assurdi del mondo (Castelvecchi, Roma
2007), ove compaiono Esposizione e rimozione del cervello (Health Series Consortium,
1984), L’età avanzata. Cause e prevenzione (Physical Culture Publishing Co., New York,
1912), La scrittura del malato di mente (J. Churchill and Sons, 1870), Come diventare
schizofrenico (Apollyon Press, Everett, Washington, 1992), Il significato inconscio dei capelli
(Gorge Allen and Unwin, London, 1951), L’alcolista autodidatta (EUP, London, 1975), Come
otturare le carie mentali (Malboro, Beverly Hills, Ca 1978), Cosa dire quando si parla da soli
(Grindle Press, Scottsdale, Ariz, 1982).
-
Per finire, autori che affrontano la malattia mentale con fare divertito (anche se nondimeno
tragico), spesso perché la vivono personalmente a tal punto da farne il centro della propria
poetica. Un caso speciale è rappresentato da Ottiero Ottieri, che ebbe a dire in
un’intervista di non essere un semplice malato, ma un policlinico. Di Ottieri, grande
depresso, ossessivo e alcolista, segnaliamo tutta la produzione successiva al periodo
industriale, ma segnatamente Il diario del seduttore passivo (Giunti, Firenze 1995), dove
per esempio l’ansia «rode, erode, scassa, / a seghetta, a mantice, / urlante, sorda, / fa
muovere di corsa le gambe, / le mette in fuga pei corridoi, / gli spazi, le strade, i boschi»;
dove per esempio Ottieri coglie che «il malato è mimetico, / ha il male / che il terapeuta
vuole»; e dove Ottieri, alias Sanzio Filippo, di sé dice: «chi sono allora? / Un interpreteinterpretatore, / un narciso lacerato, / uno schizo, un bipolare? / Lei è solo / il signor
Sanzio Filippo. / Perché voglio definirmi / solo attraverso le targhe / della malattia
mentale? / Lei è in disperata cerca / di una briciola di certezza». Sempre del periodo postindustriale segnaliamo inoltre i volumi La psicoterapeuta bellissima (Guanda, Parma 1994),
in cui Ottieri ammette che «non potendo guarire / mi consolo con brani di conoscenza /
della neuroscienza», considerando anche che un matto «diventa ancora più matto /
quando capisce che un affine / lo ritiene sinceramente alieno / e ha sparso la voce / che è
alieno»; e l’altro, esilarante, Vi amo (Einaudi, Torino 1988), in cui l’Ottieri-alcolista
compone un’ode all’amato vino: «Ti amo, pio vino, che immite / un sentimento di euforia /
e di caduta / al mio petto / infondi. Tu mi permetti / la scimmia della felicità / e poi
ancora la voglia della scimmia e il coma. / Dopo il coma sto un poco quieto / inquieto, /
finché rinasce, / la voglia di te, mia unica / ragione di vita. Sei, vino / una goccia nel
deserto, / una breve sopportazione / della realtà ortostatica / del risveglio e anche /
concilii il sonno / durante il quale si sogna / vino o timore, tumore di vino. / Tu lanci la
poesia / e la bruci. Ogni bicchiere / è un colpo di martello / nel cervello, la festa della
lenta morte». Infine nel Poema osceno (Longanesi, Milano 1996) Ottieri ci fornisce una
suprema descrizione delle personalità normale: «La personalità normale, / ascolta, è
questa: / gratitudine senza / sottomissione; / indipendenza senza / ribellosità; / odio
senza / proiezione; / amore senza / idealizzazione; / indipendenza di / pensiero; /
capacità di sublimazione; / capacità di reggere / la frustrazione; / eliminazione / di
17
iperemozionalità / e di ottusità / emozionale. / O anche, ascolta: / maggior libertà. /
Capacità di gioia. / Cessazione / della compulsione. / Diminuzione di tendenza / alla Dep.
/ Capacità d’essere / genitore. / Miglioramento / degli affari sociali / (non v’è un
Ministero?) / Saper usare la gente / qual fine (Cavaliere, attento!) / non quale mezzo; /
equilibrio / di lavoro e gioco / con successo in entrambi. / Esercizio dello sport. / Piacere
negli altri. / Io aggiungo, di mio, / sempre duro cazzo. / Superamento di spazio-tempo. /
Abolizione di eternità / o morte. / Ricchezza, ricchezze»50.
Fine.
50
Al nome di Ottieri, che inseriamo come detto in una sesta tradizione di ricerca cacopedica,
l’impressione è di non doverne aggiungere altri, tanto appare insuperabile la sua produzione.
Segnaliamo soltanto l’incipit di un libro che valga come incoraggiamento per ulteriori scoperte; si
tratta del volume Paura di volare, di Erca Jong: «C’erano 117 psicoanalisti sul volo della Pan
American per Vienna e o ero stata in analisi da almeno sei di loro. E ne avevo sposato un settimo.
Dio solo sa se dovevo ringraziare l’inettitudine degli spremicervelli in generale io la mia splendida,
irriducibile resistenza all’analisi, ma sta di fatto che avevo ancora paura di volare, più di quando
erano cominciate le mie avventure psicoanalitiche, qualcosa come tredici anni prima». Non è
cacopedico?
18
Per saperne di più, ma seriamente
Val la pena ricordare che la Psicologia Cacopedica muove da una problematica seria che alligna
nelle psicologia e nella medicina in generale, ovvero quella della «patologizzazione della salute», per
cui progressivamente si assiste ad una crescente attribuzione di etichette diagnostiche anche a
normali vicissitudini della vita, quando ci recassero un fastidio anche di poco superiore a quello
solito. Al lettore che volesse saperne di più, al di là dello spirito scherzoso che noi prediligiamo,
indichiamo una serie di testi che valgono come punto di partenza per una immersione nel tema.
-
Angell, Marcia, Frama&Co. Quasi tutta la verità sull’industria farmaceutica, Il Saggiatore,
Milano 2006.
-
Blech, Jörg, Gli inventori delle malattie. Come ci hanno convinti di essere malati, Lindau,
Torino 2006.
-
Bobbio, Marco, Leggenda e realtà del colesterolo. Le labili certezze della medicina, Bollati
Boringhieri, Torino 1993.
-
Ehrenberg, Alain, La fatica di essere se stessi. Depressione e società, Einaudi, Torino 1999.
-
Illich, Ivan, Nemesi medica. L’espropriazione della salute, Boroli, Milano 2005.
-
Foucault, Michel, Il potere psichiatrico, Feltrinelli, Milano 2004.
-
Furedi, Frank, Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana, Feltrinelli,
Milano 2005.
-
Kutchins, Herb – Stuart Kirk, Ci fanno passare per matti. Il DSM: la bibbia della psichiatria
e la creazione dei disturbi mentali, Fioriti, Roma 2003.
-
Moynihan, Ray – Alan Cassels, Farmaci che ammalano e case farmaceutiche che ci
trasformano in pazienti, Nuovi Mondi Media, 2005.
-
Rost, Peter, Global Pharma. Confessioni di un insider dell’industria farmaceutica, Rizzoli,
Milano 2007.
-
Szasz, Thomas S., Farmacrazia. Medicina e politica in America, Spirali, Milano 2005.
19
Manuale preventivo dei disturbi mentali
II edizione
Frutto del lavoro della task force cacopedica del Centro Studi Patologie Inapparenti, il volume offre
una panoramica aggiornatissima sui risultati più recenti raggiunti nell’ambito della nosografia
psichiatrica. Basandosi sul concetto di diagnosi preventiva, la task force cacopedica ha
approfondito un lungo elenco di patologie mentali da aggiungersi a quelle tradizionalmente
codificate dal celebre DSM, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, relativamente al
quale il Manuale preventivo vuole rappresentare un’integrazione, se non addirittura, nel futuro, il
legittimo sostituto.
Allo stesso modo che nel DSM, anche nel Manuale preventivo è previsto un sistema
multiassiale, dove ciascun asse però considera un’unica dimensione clinica, la patologia, e questo
per facilitare la formulazione della diagnosi a carico del paziente, quando non, addirittura, più
diagnosi relativamente allo stessa persona, in preciso stile cacopedico. I disturbi cacopedici sono
distribuiti su otto assi:
-
Sindromi potenziali;
-
Disturbi iatrogeni;
-
Sindromi nominative;
-
Nuove dipendenze patologiche;
-
Sindromi in sala d’attesa;
-
Disturbi del tempo libero;
-
Nuove fobie;
-
Patologie letterarie.
20
Le Sindromi potenziali costituiscono tutti i quadri comportamentali atipici relativamente ai
quali comincia a farsi sentire opportuna la stigmatizzazione medica. Ai lettori di Psicologia
cacopedica sono già noti diversi quadri potenziali come la Sindrome da sonnolenza notturna, il
Disturbo di accrescimento normale, il Disturbo da disoccupazione mentale, la Sindrome da marito
pensionato, la Compulsione pneumodinamica e la Masturbazione compulsiva.
L’asse delle Sindromi nominative raccoglie tutti i quadri patologici che rimandano al
comportamento di personaggi più o meno celebri, come la Sindrome di Cenerentola, la Sindrome di
Peter Pan, la Sindrome di Biancaneve, la Sindrome di Brontolo e molte altre ancora.
Le Sindromi in sala d’attesa sul terzo asse sono tutte quelle sindromi in attesa di entrare a
far parte tra i disturbi mentali maggiormente dignitosi e raccolti nell’imponente DSM; tra le altre
citiamo: il Disturbo da deficit di attenzione e iperattività per adulti, la Sindrome di alienazione
parentale, la Sindrome dello spogliatoio, il Disturbo della vescica timida e la Sindrome da stress
postnatalizio.
Le Nuove fobie sono le paure tipiche del nostro tempo nonché quelle paure che finora non
hanno ricevuto l’attenzione che meritavano dagli specialisti della mente. Alcuni esempi: la
Biofobia, l’Islamofobia, l’Atarassofobia, la Sinofobia, l’Anuptofobia, l’Autofobia (ovvero la paura di
se stessi).
I Disturbi iatrogeni sono ciò che risulta di un errato intervento psicologico, come una
psicoterapia ma anche un semplice consulto psichiatrico. Esempi: Dipendenza dalla psicoterapia o
sottomissione progressiva, la Sindrome dell’etichettato, la Sindrome dello sfruttato, la Reazione
terapeutica negativa, la Psicosi di transfert, il Distanziamento da se stessi, la Patologia del
terapeuta trasferita, la Sindrome del setting, la Sindrome da interpretazione analitica, il Disturbo da
overdose di lessico psicologico, e la Sindrome da revolvig door.
Le Nuove dipendenze patologiche contemplano quegli atteggiamenti di dipendenza che pur
essendo il risultato degli stessi meccanismi neurotrasmettitoriali implicati nelle dipendenze
tradizionali (da eroina, da cocaina) sono tuttavia il risultato di attaccamenti morbosi per esempio
ad una specifica età, come è il caso della Dipendenza dall’età anagrafica, o a degli specifici gesti,
come quelli delle pulizie domestiche (Dipendenza dalle pulizie).
Nei Disturbi del tempo libero rientra la patologia cui per esempio si va incontro al termine di
un periodo intenso di lavoro (Depressione da vacanza) o al termine di una ricca carriera
professionale (Nevrosi da pensione), senza dimenticare i rischi dell’accoppiamento (Depressione
post-coitale) o quelli inerenti la mancanza del lavoro (Sindrome del disoccupato).
Le Patologie letterarie sono infine quelle patologie legate all’amore per i libri, come la
Bibliofollia, la Bibliomania e la Bibliofagia.
AA.VV., Manuale preventivo dei disturbi mentali, Editrice Inapparente, Bardalonia 2008.
II edizione.
[18*24, pp. 400, Euro 140]
21
Dipendenza dall’età anagrafica
Nel Manuale preventivo dei disturbi mentali la Dipendenza dall’età anagrafica è inserita tra le
Nuove dipendenze patologiche, insieme alla Dipendenza dalle pulizie, alla Dipendenza dal denaro e
alla Dipendenza dal cibo, del cui rimedio si occupò Carlo Dossi quando scrisse sul finire
dell’Ottocento sull’Abolizione della fame, progetto filosofico-economico (e psicologico, diremmo noi
oggi) facente parte delle innumerevoli iniziative delle sue Note azzurre.
La Dipendenza dall’età anagrafica è un disturbo che affligge l’intera popolazione sia
maschile che femminile, dai primissimi anni di vita fino alla morte. Pur essendo una malattia
asintomatica, è indubbio che ciascun essere umano si trovi in qualsiasi momento in una delle
quattro fasi che classicamente ne specificano la tipologia, che sono: infanzia, giovinezza, adultità,
senescenza; e il disturbo passa dalla fase asintomatica a quella sintomatica (processo chiamato
slatentizzazione) quando il paziente comincia a desiderare di avere un’altra età, superiore alla
propria (si usa la specifica: con desiderio di invecchiamento) o inferiore alla propria (si usa la
specifica: con desiderio di ringiovanimento). Tra le due sottotipologie, quella con desiderio di
ringiovanimento ha una prognosi peggiore, anche se recentemente la medicina ha messo al
servizio di questi pazienti svariate strategie terapeutiche – vedi la seconda parte di questo lavoro.
Per una corretta designazione della malattia, il clinico dovrà ogni volta distinguere gli
aspetti sintomatici dallo stadio evolutivo naturale che il paziente sta attraversando; posto che i
pazienti nella fase giovinezza e senescenza hanno un maggior rischio di sviluppare la
sintomatologia (con opposti desideri, quello di crescere e quello di ringiovanire), capita nondimeno
che anche nell’infanzia e nell’adultità possano prodursi dei sintomi, che generalmente assumono
l’estremo desiderio di rimanere come si è, ovvero piccini nel primo caso (si usa la specifica:
desiderio di non crescere) oppure adulti nel secondo (desiderio di non invecchiare). Capita a volte di
osservare dei pazienti adulti con desiderio di invecchiamento, in forza dell’ansia di raggiungere
presto la cosiddetta età pensionabile; l’evoluzione della malattia in questi pazienti è ancora in fase
di studio, poiché alcuni di loro una volta raggiunta la pensione riprendono vigore e dimostrano
un’età inferiore a quella che hanno, mentre altri sono condannati, una volta raggiunta la
pensione, ad un’evoluzione assai critica della sintomatologia, che presto li condurrà alla morte.
Infine, espressioni atipiche del disturbo sono quando un paziente sembra mostrare, a dispetto
degli anni che passano, sempre la stessa età (in gergo si usa l’espressione: è sempre lo stesso),
oppure quando il paziente mostra un’età mentale differente da quella anagrafica, fenomeno da
molti clinici apprezzato soprattutto quando la prima è superiore alla seconda, un po’ meno
quando la seconda è superiore alla prima (si parla in questi casi di cretinismo, stupidità, etc.).
Anche se il desiderio di ringiovanire e quello opposto di non invecchiare restano i sintomi
principali della malattia, ci sono molti altri aspetti che uno psicologo esperto dovrà considerare
per una corretta diagnosi e per una valutazione della gravità. Un elemento da considerare con una
certa attenzione è la cura dei propri capelli; spesso molti pazienti utilizzano delle tinture,
solitamente di colore castano, nero, o biondo, per eliminare i cosiddetti capelli bianchi; altri, affetti
dalla cosiddetta pelata (scientificamente: alopecia), ricorrono invece ai cosiddetti capelli finti,
assemblati insieme a formare un parrucchino da fissare sul capo per mezzo di una speciale colla
antiallergica. Generalmente la manipolazione dei capelli è un sintomo che si sviluppa nella fase
senescenza, insieme, spesso, a interventi aventi di mira l’abbigliamento, per cui vengono prediletti
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abiti attillati e preferibilmente alla moda (anche a costo di apparire ridicoli, va detto – altro segno
del disturbo), e a interventi aventi di mira la scelta delle compagnie, per cui vengono prediletti
amici e compagni più giovani, elemento che pur lenendo nel paziente la tristezza per la propria età
lo espone tuttavia ad un ulteriore segno della malattia, l’invidia dell’età altrui. Altro aspetto da
considerare è l’uso che viene fatto dei cosiddetti prodotti cosmetici (ma anche dei trucchi); per
mezzo di creme astringenti o tonificanti o rilassanti, o iniezioni di botulino o collagene, i pazienti
(solitamente donne di una certa età) tentano l’eliminazione delle cosiddette rughe, solchi che si
formano sulla pelle per atrofia del connettivo sottostante, prevalentemente intorno agli occhi e
sulla fronte ma anche nel collo, da qui l’espressione scientifica tuttora insuperata di collo di
gallina.
Le terapie per la Dipendenza dall’età anagrafica si muovono prevalentemente nell’ottica
della cosiddetta riduzione del danno, constatata l’impossibilità di un rimedio sicuro e definitivo a
parte la morte. Sicché non c’è nessuna vera terapia, ad esclusione di una serie di svariati
stratagemmi che essenzialmente mascherano l’evoluzione dei sintomi quando non finiscono
paradossalmente per accentuarli. Gli stratagemmi terapeutici vengono distinti in ufficiali e
cacopedici: tra i primi segnaliamo il lifting del viso, il cui scopo è quello di migliorare l’aspetto del
proprio volto per mezzo di una sollevata e di una stirata della pelle, e la dermoabrasione, che
sinteticamente persegue lo stesso obiettivo del lifting per mezzo però di una piccola fresa abrasiva
che corregge le piccole cicatrici, rende meno visibili le smagliature e lima gli strati più superficiali
della cute. Tra gli stratagemmi terapeutici d’ispirazione cacopedica segnaliamo due macchinari di
recente brevettatura: si tratta del Dilatatore biografico e del Compressore biografico. Nel primo caso
il paziente, legato alla macchina per le mani e per i piedi, viene sottoposto a due forze di eguale
intensità ma di direzione contraria, tale che allungandogli l’altezza si verifichi il passaggio dalla
fase infanzia alla fase giovinezza o adultità (l’una o l’altra a seconda della durata del tiraggio).
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Nel Compressore biografico il paziente è invece sottoposto al processo inverso. Incastonato
tra due sponde fissate l’una sopra il capo e l’altra sotto la pianta dei piedi, e trattenuto il corpo
rigidamente lineare per ovviare ad eventuali spostamenti in senso laterale, il paziente viene
sottoposto ad una forte pressione tale che la sponda sotto i piedi tenti di avvicinarsi a quella sopra
le testa e viceversa. Il risultato raggiunto, di rimpicciolimento del corpo, permetterà al paziente di
passare dalla fase senescenza o dalla fase adultità a quella giovinezza o infanzia, anche se in
questo caso sarà determinante accompagnare il processo di compressione biografica ad un
programma di rimbecillimento cognitivo. Ma questa è un’altra storia.
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Dipendenza dalle pulizie
Nella seconda edizione del Manuale preventivo dei disturbi mentali la Dipendenza dalle pulizie è
inserita nello spettro delle Nuove dipendenze patologiche, insieme alla Dipendenza dall’età
anagrafica già illustrata in questo stesso numero di Psicologia cacopedica. Si tratta di un disturbo
prevalentemente femminile, il cui esordio coincide spesso con il matrimonio, e il cui decorso
solitamente sfavorevole va incontro ad una remissione spontanea con l’avvicinarsi della terza età,
quando lo stato fisico delle pazienti non consente più quel continuo sforzo fisico che la pulizia
richiede. Molti studiosi hanno osservato che la Dipendenza dalle pulizie ricorre spesso nell’ambito
familiare, vale a dire che se una persona ne soffre spesso ne soffre anche un altro componente del
nucleo familiare, generalmente femmina. Ciò ha portato ad avvalorare una componente ereditaria;
tuttavia alcune caratteristiche psicologiche sono innegabili fattori di rischio, come la bassa
autostima e il senso di incapacità e inefficacia, la tendenza al perfezionismo, e una serie di
convinzioni sbagliate riguardo a ciò che è pulito e ciò che non lo è, accompagnate in molti casi a
fenomeni di alterate percezioni per cui queste pazienti vedono lo sporco al posto del pulito oppure
più sporco di quanto non ve ne sia realmente. Quanto alle convinzioni sbagliate, è pressoché certa
la pressione derivante da regole culturali e di costume, così diffuse nel mondo occidentale da
spingere chiunque ad attribuire alla pulizia più valore di quanto non gliene venga dato presso
altre culture, o più di quanto, anche nella nostra stessa cultura, gliene venisse dato, per esempio,
fino a tutto l’Ottocento.
Analizzando i racconti di alcune pazienti affetti da Dipendenza dalle pulizie, è stato
evidenziato che il principale fattore di mantenimento risiede nella contentezza che le pazienti
sperimentano successivamente alla pulizia della casa. Siccome qualsiasi azione tende a
ripresentarsi se procura delle sensazioni desiderabili, ecco che queste pazienti beneficiando di uno
stato di benessere successivamente allo svolgimento delle pulizie, tenderanno sempre più a
ricorrere alle pulizie per sentirsi egualmente appagate, non riuscendovi evidentemente attraverso
altre risorse comportamentali. Va detto che nelle fasi iniziali della malattia alcune pazienti sono
ancora capaci di interrompere le operazioni di pulizia a favore di qualche breve svago o
divertimento, magari fuori dalle mura domestiche; successivamente però occasioni simili
divengono sempre più rare, e così alle pazienti non rimane che ricorrere alla scopa e agli stracci
per spolverare per raggiungere un briciolo di serenità. Il disturbo tenderà poi ad aggravarsi man
mano che lo spirito perfezionista riuscirà a farsi maggiore spazio, instillando nelle pazienti
un’attenzione eccessiva anche per gli spazi più remoti della casa, aspettative irrealistiche nella
durata del pulito (il risporcarsi della casa è vissuto con un senso di generale fallimento), un
continuo dubbio per la qualità della pulizia appena effettuata, e infine una crescente vulnerabilità
ai discorsi e agli sguardi dei conviventi, così che qualsiasi pronunciamento anche finalizzato alla
riconoscenza per una casa tanto pulita viene accolto come un segno di grave disapprovazione. Per
una corretta diagnosi il clinico deve trovarsi in presenza di persone scarsamente interessate ai
normali piaceri e svaghi della vita; persone maldestramente capaci di esprimere il proprio disagio
e le proprie emozioni tanto che nei momenti tristi non trovano di meglio che consolarsi ricorrendo
alla pulizia di qualcosa; persone infine con una tendenza alle relazioni interpersonali discontinue,
preferendo alla compagnia dei pari quella dell’aspirapolvere, dei saponi e di tutto quanto viene
impiegato nella pulizia della casa.
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Si osservano più sottotipi della Dipendenza dalle pulizie, quello esteso, il ripetitivo, il tossico
e l’occasionale, individuati sulla base della qualità e della quantità delle pulizie effettuate.
Vediamoli in ordine. Nel sottotipo esteso le pazienti generalmente effettuano le pulizie in tutte le
porzioni della casa, curando sia le superfici esterne che quelle interne dei mobili. Si tratta di
pulizie che comprensibilmente vengono effettuate non più di una volta al giorno, anche se
nondimeno queste pazienti riescono egualmente a saturare il tempo a disposizione pari alla
differenza tra le ventiquattro ore giornaliere e i periodi trascorsi a dormire e a cibarsi, pause che
tuttavia vanno incontro ad una riduzione con l’aggravarsi del quadro patologico. Si può dire che a
queste pazienti non sfugge nulla, per costoro la casa deve essere tutta pulita e il loro disagio è
massimo quando scoprissero che qualcosa non è stato pulito secondo la norma. Nel sottotipo
ripetitivo generalmente le pazienti amano pulire soltanto alcune stanze della casa procrastinando
la pulizia delle altre a quando gli venisse voglia di farlo. Ad un clinico che visitasse la loro
abitazione balzerebbe subito agli occhi come vi siano dei locali massimamente puliti ed altri
addirittura quasi sporchi, che riceveranno una cosiddetta «passata» soltanto in prossimità di feste
particolari o visite fuori dall’ordinario. Questo sottotipo viene indicato come ripetitivo perché le
stanze che beneficiano delle pulizie giornaliere vengono pulite e ripulite più volte nell’arco della
stessa giornata o dello stesso pomeriggio, senza che le pazienti si rendano minimamente conto
della manifesta inutilità delle loro operazioni; ciò che importa è chiaramente la funzione
ansiolitica del pulire sul pulito. Nel sottotipo tossico, per le pazienti la pulizia importante, spesso
l’unica, è quella degli spazi visibili, certamente dei locali più frequentati della casa ma anche
all’interno di essi saranno prevalentemente le superfici esterne a beneficiare della pulizia.
Importante in questo sottotipo del disturbo non è tanto eliminare quanto nascondere lo sporco,
che presto finirà per accumularsi per esempio sotto i letti, dentro gli armadietti della cucina, nei
ripostigli, insomma in tutte quelle porzioni della casa che raramente anche un ospite
estremamente pignolo avrebbe voglia di ispezionare. Va da sé che si tratta di pazienti che tengono
in massimo conto il giudizio degli altri, pur sapendo di meritarlo solo parzialmente, e non è
infrequente osservare nel quadro clinico l’emergere di sentimenti di colpa e di inadeguatezza. Nel
sottotipo occasionale ha un peso maggiore una caratteristica che nondimeno si riscontra anche in
tutti gli altri sottotipi: la perdita di controllo. Le pulizie in questo caso hanno la manifesta utilità
di riportare l’attivazione psicomotoria delle pazienti ad un livello normale, successivamente a forti
momenti di collera che queste persone non sono capaci di risolvere se non pulendo la casa. La
frequenza delle pulizie in questo caso è occasionale e coincide appunto con l’emergere della
rabbia; una volta avviate, tuttavia, le pulizie possono assumere la forma estesa come pure la
ripetitiva o la tossica, senza che per le pazienti vi sia differenza alcuna nel raggiungimento di un
minore livello di rabbia.
Per la terapia della Dipendenza dalle pulizie il Centro Studi Patologie Inapparenti sta
lavorando intorno ad un insieme di linee guida ad uso di tutti i clinici cacopedici (e non solo, va
detto). In linea generale gli obiettivi da far raggiungere a queste pazienti sono: un innalzamento
del livello della soglia critica ovvero del livello di vulnerabilità sopra la quale scatta la voglia di
pulire; una maggiore tolleranza dello sporco o piuttosto una maggiore tolleranza al convincimento
che certe cose siano sporche (è di cruciale importanza la dimensione soggettiva e oggettiva dello
sporco); apprendimento di tecniche di rilassamento da impiegare nei momenti di tensione in
alternativa alle pulizie; ampliamento degli interessi delle pazienti affinché siano stimolate ad
uscire di casa per distrarsi e non pensare alle pulizie; infine sarà importante aiutare queste
pazienti ad attenersi ad un piano programmato delle pulizie, da ridursi nel corso del giorni senza
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che il loro sistema nervoso raggiunga un livello inaccettabile di scompenso – tecnica
dell’esposizione e della prevenzione della risposta, ovvero: si cerca di esporre le pazienti ad un
livello crescente di sporco e nello stesso tempo si incoraggiano a prevenire la risposta (cioè pulire)
che lo stimolo «sporco» gli procura.
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Disturbo da deficit di copulaggio
Il Disturbo da deficit di copulaggio si evidenzia in quelle persone che non copulano quanto
desidererebbero, o quanto sarebbe augurabile che copulassero per evitare di mostrarsi irritabili e
acidi a contatto per esempio con i colleghi di lavoro o con la cerchia degli amici e dei familiari. E’
difficile stimarne la diffusione stante anche le molteplici cause che ne motivano l’esistenza. Va
appunto detto che vi sono almeno cinque tipologie di pazienti che in maniera assai differenziata
possono richiedere una consulenza specialistica, considerando in ogni caso che almeno una
tipologia delle cinque rimane a tutt’oggi pressoché sconosciuta dalla medicina ufficiale. Si tratta di
quei pazienti che ritengono di non aver mai provato attrazione per una persona, e il cui rifiuto del
sesso piuttosto che da una presa di posizione ideologica sembrerebbe derivare da una condizione
non dissimile da quella per cui si hanno capelli ricci o occhi blu. Altro non è dato sapere, a parte il
convincimento di alcuni clinici secondo cui questi pazienti se un giorno accedessero, per caso o
per magia, alla possibilità della copula, anche per loro si realizzerebbe lo strano fenomeno del non
poterne fare più a meno, la ragione oltretutto per cui l’assenza di coito fa soffrire, fino a farsi
patologia. Così, il dubbio è che questi pazienti stranamente asessuati in fondo lo siano per
mancanza di occasioni, per bruttezza o per insufficienti abilità seduttive; un po’ per le stesse
ragioni che caratterizzano i pazienti cosiddetti sfigati, i cui fallimenti nella seduzione sono
protocollari e il cui affidamento al fai da te pressoché una certezza. Eppure raramente questi
pazienti ammettono di fallire, davanti agli altri sono spesso portati a giustificare la loro strana
solitudine con un altrettanto strana inappetenza, e come la volpe fa con l’uva anche loro dicono di
non avere una donna per non averla trovata che gli piace, scusa tanto puerile quanto falsa,
quando diffusa.
Le successive due tipologie del Disturbo da deficit di copulaggio sono maggiormente
conosciute dalla medicina, e si tratta generalmente di quei pazienti che pur conducendo una
normale vita matrimoniale si ritrovano a fare l’amore (tecnicamente: scopare) meno di quando
vorrebbero; tale evenienza può concretizzarsi per due differenti ragioni: nella prima, si prevede che
la moglie non la dia più (la passera), mentre nella seconda si prevede che il marito non la voglia più
(s’intende: sempre la medesima passera). Ma va da sé che esiste anche la versione femminile di
questa tipologia del disturbo, così all’origine abbiamo un marito che non si concede più oppure
una moglie che non lo vuole più, magari perché le è venuto a noia (il membro maschile s’intende,
quando fosse sempre lo stesso). Ora, considerando il primo tra questi due fenomeni che possono
stare all’origine della malattia, per cui c’è qualcosa che non viene più dato (l’apparecchio femminile
o quello maschile), e considerando anche che l’intervallo medio di accoppiamento per sane coppie
eterosessuali moderatamente giovani sia ogni tre giorni, è evidente che se per esempio uno dei
due coniugi si concede secondo un intervallo pari a quattro o a cinque o a più giorni,
automaticamente il rispettivo coniuge andrà in crisi, esponendosi non soltanto allo sviluppo della
malattia ma anche al rischio di andare incontro nell’arco di qualche mese ad una cosiddetta
Copulazione Extra Coppia (CEC), ovvero ad una scopata fuori dal letto coniugale, che potrà anche
ripetersi successivamente fino a procurare al coniuge tradito la cosiddetta Prominenza Cornocefalica. A questo punto abbiamo un coniuge che dapprima sviluppa la malattia (Disturbo da
deficit di copulaggio, del terzo tipo) ma che poi ricorrendo ad una CEC riacquista un equilibrio
psicofisico ottimale; dall’altra parte abbiamo un coniuge tradito, che sviluppa la Prominenza
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corno-cefalica, e il cui destino sarà quello di sviluppare nel giro di qualche mese i primi sintomi
del mancato copulaggio, prefigurando uno stato invertito di salute e malattia ove è ora egli stesso
ad accusare la seconda. Ma il rimedio è semplice; ricorrere alla CEC, se almeno c’è voglia. E così
via.
La quarta tipologia del Disturbo da deficit di copulaggio si ha quando l’apparecchio
riproduttivo (dell’altro, s’intende) non lo si vuole più, dicevamo per noia, quando fosse sempre lo
stesso. Sono soprattutto i maschi a subire una pressione biologica per cui ricercano più che le
femmine differenti copule, ovvero altre passere con cui fornicare. Si tratta del cosiddetto effetto
Coolidge. La leggenda vuole che il presidente USA e sua moglie stessero facendo separatamente il
giro di una fattoria modello. Quando lui raggiunse il pollaio che conteneva un solo gallo e alcune
dozzine di galline, il suo accompagnatore gli disse: «la signora Coolidge voleva che le segnalassi
che questo gallo copula molte volte al giorno». «Sempre con la stessa gallina?», chiese lui. «No,
signore», rispose l’altro. «E allora per favore lo dica alla signora Coolidge!», rispose il presidente.
Messa così è evidente che entrambi i coniugi sono esposti alla malattia, anche se prevedibilmente,
non essendoci nulla che faccia escludere il ricorso alla CEC da parte del presidente, sarà la
signora Coolidge a sviluppare l’intero quadro patologico. Ecco il Disturbo da deficit di copulaggio,
quarto tipo.
Infine ecco l’ultima versione del disturbo, che si ha quando l’organo non funziona più, che
vi sia oppure no una sana concupiscenza. A sviluppare quest’ultimo tipo della malattia sono
generalmente pazienti di un’età superiore ai 55 anni, molti uomini almeno a giudicare dal ricorso
al Viagra che nel 2001 ha fruttato alla Pfizer (l’azienda che lo produce) un utile di un miliardo e
mezzo di dollari. Ma intanto anche per la donna, che pure comincia a non lubrificarsi più dopo la
cinquantina, stanno arrivando rimedi portentosi come la sostanza chiamata PT-141, la quale
sembra agisca direttamente sui centri nervosi che si trovano nel cervello. Insomma un deficit di
copulaggio (quinta versione) in fase remissiva, e dei vecchietti che a novant’anni andranno ancora
in orbita, quando non in paradiso, ma sul pezzo, sempre (fenomeno del mors in coitu, quanto
gradito!).
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Scuola di Specializzazione in
Psicoterapia Regressiva
Direttore scientifico: Giuseppe Frosini
Con la Scuola di Specializzazione quadriennale in Psicoterapia Regressiva il Centro Studi Patologie
Inapparenti intende formare specialisti nell’insegnamento della malattia mentale. La Scuola nasce
con la specifica finalità di controllare l’incidenza della malattia mentale nel corso del tempo,
attraverso la promozione di specifiche forme di disagio calcolate in base alle caratteristiche di un
territorio.
Requisiti di ammissione:
Per l’ammissione al Corso è richiesta la laurea in Psicologia Cacopedica oppure una lunga e
cronica esperienza di malattia mentale. Fanno punteggio elementi quali l’assenza di titoli di
studio, tentativi di suicidio, carcerazioni, trattamenti sanitari obbligatori e in generale qualsiasi
ricovero di tipo psichiatrico. Per l’iscrizione è necessario inviare alla segreteria del Centro il
proprio Curriculum Vitae con una lettera motivazionale di accompagnamento. Le prove di
ammissione avranno luogo alla fine del mese di novembre.
Programma:
L’attività didattica è articolata in due ambiti: insegnamenti teorici e formazione pratica. La
formazione pratica comprende: il training patologico individuale, le esercitazioni di gruppo su
materiale clinico, la supervisione delle terapie patologiche effettuate, e infine un ricovero
psichiatrico della durata di una settimana in una clinica convenzionata con il Centro. Al
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candidato che ha superato l’esame finale sarà conferito il Diploma di Specializzazione in
Psicoterapia Regressiva, legittimante l’esercizio dell’attività di trainer psicopatologico.
Orari e costi e docenti:
Le 400 ore annuali di attività didattica in aula (esclusi il tirocinio è l’analisi patologica individuale)
si svolgeranno in 12 fine settimana (nei giorni di venerdì, sabato e domenica), in 11 mesi l’anno. Il
costo del Corso è pari a 4700 Euro annuali da versare in un'unica transazione bancaria. I docenti
del Corso sono tutti psicologi cacopedici con una lunga esperienza di malattia mentale.
Bibliografia:
Manuale di base:
Come diventare malati di mente
Testi monografici:
La manutenzione del disagio mentale
Come diventare un pensatore psicotico
Il pensiero in erezione. Principi di seghe mentali
Pensare usura la mente
Gli insegnamenti:
Primo anno:
Terzo anno:
Epistemologia cacopedica
Irrigidimento neuromuscolare
Storia Psicocacopedica
Tecniche di discontrollo
Didattica patologica
Tecniche di sregolazione emotiva
Elementi di disadattamento
Egocentrismo
Interazione patologica
Farmacologia depressiva
Motivazione alla malattia
Elementi di stupidità
Patologia della noia
Secondo anno:
Quarto anno:
Disturbi clinici di base
Disturbi di personalità
Disturbi clinici potenziali
Farmacologia psicotica
Psicodiagnostica preventiva
Elementi di paranoia
Psicologia involutiva
Principi di psicosi
Fenomenologia della fiacca
Tecniche suicidarie
Psicopatologia dell’imbecillità
Narcisismo applicato
Pazientologia
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La Scuola è aperta anche con un servizio di consulenza e sostegno
per futuri genitori di malati mentali.
A chi è rivolto:
Mamme e papà il cui figlio ha scelto di diventare malato di mente.
Che cosa è:
Uno spazio dove, con l’aiuto di esperti cacopedici, affrontare varie tematiche legate alla difficile
scelta di diventare malati di mente. Un momento di confronto e supporto rispetto a compiti, scelte
diseducative e difficoltà varie legate alle varie fasi dell’assorbimento della malattia. Infine uno
spazio informativo rispetto agli aspetti legislativi, pratici e procedurali sui vari reati commessi in
virtù della malattia mentale.
Che cosa offre:
Incontri di preparazione alla malattia, un percorso per apprendere nuove tecniche relazionali di
accudimento e custodia, incontri con esperti per confrontarsi sui cambiamenti dentro di sé, nella
coppia, sperimentazioni di giochi e attività con malati fino a 65 anni.
Tutte le consulenze sono gratuite e viene garantita
da tutti gli operatori la massima riservatezza.
Per ulteriori informazioni contattare:
Centro Studi Patologie Inapparenti
Via Sant’Espedito (protettore dei casi disperati), 802 – Bardalonia
Tel. 339.317890287670
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Agenzia assicurativa per malati mentali
L’Agenzia assicura i rischi derivanti dalla malattia mentale, impegnandosi a corrispondere
all’assicurato, entro i limiti convenuti, le somme che siano dovute a titolo di risarcimento per
danni involontariamente cagionati a terzi. Non sono assicurati i danni causati dalla partecipazione
dell’assicurato a eventuali ritrovi sportivi di malati di mente, s’intende gare o competizioni
sportive. L’assicurazione non è operante inoltre:
-
se il malato di mente ha scelto di diventare tale dopo un corso effettuato presso l’Istituto di
Demenza Volontaria;
-
se la malattia mentale fosse il diretto risultato della prolungata frequentazione di
istituzione religiose, come chiese, oratori, ma anche partiti politici di stretta osservanza
ideologica;
-
se la situazione di malattia si rivelasse simulata successivamente ai controlli periodici
effettuati dall’Agenzia;
-
nel caso i danni causati dal malato siano sovrapponibili ai danni causati da altre persone,
che si trovassero insieme a lui in occasione degli incidenti, come accompagnatori,
assistenti sociali, infermieri etc.;
-
nel caso i danni siano procurati agli assistenti medesimi;
-
nel caso il malato di mente, a meno che non sia affetto da Disturbo da dipendenza da
sostanze, agisca in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti.
L’assicurazione vale per il territorio della Repubblica Italiana, della Città del Vaticano, della
Repubblica di San Marino e degli Stati dell’Unione Europea. Al momento del pagamento della
prima rata, il malato mentale deve presentare un certificato che attesti la patologia; le rate
successive devono essere pagate alle previste scadenze. Il premio di polizza è determinato in base
alla residenza del malato mentale, essendo evidente una concentrazione di malati particolarmente
critica in certe aree. Nel caso di improvvisa guarigione dalla malattia, o qualora il malato
decidesse di sospendere la polizza, sarà necessario trasmettere all’Agenzia un documento
attestante i nuovi intendimenti; in linea generale, l’Agenzia sconsiglia sospensioni della polizza in
occasione di miglioramenti nello stato di salute che non si rendessero evidenti per un tempo
prolungato e non interrotto da occasionali ricadute. Qualora invece il malato mentale peggiorasse
con il trascorrere del tempo, l’Agenzia ha facoltà di modificare le condizioni di premio sulla base
del nuova quadro sintomatologico. In mancanza di disdetta data da una delle due parti almeno
trenta giorni prima della scadenza, il contratto, se di durata non inferiore all’anno, è rinnovato
per una durata pari ad un anno, e così successivamente.
La denuncia del sinistro deve essere redatta sul modulo approvato con decreto del Ministro
della Salute n. 653 del 2005, e deve contenere l’indicazione di tutti i dati relativi alla polizza ed al
sinistro così come richiesto nel modulo stesso. La predetta denuncia deve essere presentata entro
tre giorni da quello in cui il sinistro si è verificato. Alla denuncia devono far seguito, nel più breve
tempo possibile, le notizie, i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro. A fronte di omissione
nella presentazione della denuncia di sinistro, nonché nell’invio di documentazione o atti
giudiziari, l’Agenzia ha diritto di rivalersi, in ragione del pregiudizio sofferto, per le somme che
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abbia dovuto pagare al terzo danneggiato in conseguenza dell’applicazione della legge. L’Agenzia
assume, fino a quando ne ha interesse, a nome dell’assicurato, la gestione stragiudiziale e
giudiziale delle vertenze in qualunque sede nella quale si discuta del risarcimento del danno,
designando, ove occorra, legali o tecnici. Ha altresì facoltà di provvedere per la difesa
dell’assicurato in sede penale, sino all’atto della tacitazione dei danneggiati. L’Agenzia non
riconosce le spese incontrate dall’assicurato per i legali o tecnici che non siano da essa designati e
non risponde di multe od ammende né delle spese di giustizia penali. L’assicurato è tenuto a
comparire in giudizio nei casi in cui la procedura lo richieda.
L’Agenzia garantisce l’indennizzo dei danni materiali e immateriali provocati dal malato
proprietario della polizza su cose o persone, che siano diretta conseguenza del proprio stato di
malattia; per l’elenco dei quadri patologici considerati si faccia riferimento al DSM (Manuale
diagnostico e statistico dei disturbi mentali), escludendo tuttavia dall’elenco il Disturbo della
condotta (con i relativi sottotipi) e il Disturbo Antisociale di Personalità, pena il fallimento
dell’Agenzia assicurativa medesima. I danni che ricevono una particolare attenzione da parte
dell’assicurazione sono:
-
esaurimento nervoso dei genitori di malati affetti da Demenza giovanile;
-
rotture di oggetti, come porzioni del mobilio casalingo e simili, lanciati in coincidenza di
attacchi acuti di Stress;
-
cali d’autostima in coniugi di malati affetti da disturbi sessuali, in particolare dal Disturbo
da desiderio sessuale ipoattivo;
-
perdita di appetito nei familiari di malati affetti da Disturbi del comportamento alimentare;
-
derivanti da disgregazione dei membri di famiglie con malati affetti da Disturbo da
dipendenza da sostanze.
L’assicurazione non copre i danni:
-
derivanti da omicidi commessi in occasione di episodi depressivi o psicotici acuti;
-
causati da semplici imprecazioni che i malati di mente rivolgessero ad altri esponenti della
specie umana;
-
provocati da malati affetti da Cleptomania;
-
derivanti da atti di guerriglia, insurrezioni, che i malati di mente decidessero di organizzare
ai danni delle persone sane;
-
preesistenti al sinistro denunciato.
I documenti assicurativi che consigliamo a qualsiasi malato di portarsi appresso durante
la circolazione/vagabondaggio sul suolo europeo, sono il certificato di assicurazione e il
contrassegno non scaduto da portare nelle tasche dei pantaloni. Ricordiamo infine di presentare
tempestivamente denuncia qualora l’assicurato causi involontariamente un sinistro.
Per conoscere i premi relativi alle specifiche patologie si faccia riferimento al sito:
www.pazziassicurati.it. Il contratto di assicurazione verrà considerato concluso una volta evase
tutte le procedure amministrative con la Sede Legale dell’Agenzia sita in Bardalonia in Via
Sant’Espedito (protettore dei casi disperati) n. 802, Pistoia (PT).
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Giuseppe Frosini intervista
il cane di Pavlov
Frosini: Bau! Bau!
Il cane di Pavlov: Bau! Bau! Chi è, che vuoi?
Frosini: Qui parla Frosini, sono un epigono del signor Ivan Petrovič Pavlov, si ricorda?
Il cane di Pavlov: Bauu!! Grrr!!
Frosini: Ma no, non si spaventi, ho detto che sono un epigono, cioè un allievo del grande Maestro
Pavlov, colui che nel 1904 ebbe a ricevere nientemeno che il Nobel per la medicina…che
grand’uomo! Ecco, se davvero riuscisse a calmarsi… Vorrei farle alcune domande sul suo rapporto
col Maestro, d’altra parte avete lavorato insieme per molti decenni, non è così?
Il cane di Pavlov: Grrr!! Gr! Mmh… Aspetta, perdonami, ancora un attimo e mi calmo, ma vedi,
sentire il nome di Pavlov mi incute sempre timore, mica per altro, ma il fatto è che quell’imbecille
mi ha sottoposto per un diavolo di anni a una serie di esperimenti così idioti che quando ci
ripenso ho sempre paura di doverli ripetere.
Frosini: Beh, ma… non può dimenticare che grazie a quegli esperimenti il Maestro Pavlov ha vinto
il Nobel, ecco, il Nobel!!
Il cane di Pavlov: Ma che Nobel e Nobel! Ora, dimmi te, ti pare che si possa vincere il Nobel per
degli esercizi tanto banali. Vincere un Nobel per avere scoperto come digerisce un cane, ma
andiamo!
Frosini: Ma come, il Nobel non è stato vinto per la scoperta del condizionamento classico?
Il cane di Pavlov: Ma caro signore lei mi pare davvero poco informato. Pavlov si è preso il Nobel
unicamente per aver studiato come digerisco io, pensi un po’ se vi può essere cosa più scema. Poi
un giorno accadde che mentre egli mi sottoponeva a tutte le più impensabili prove di digestione,
siccome già prevedevo che quegli esercizi sarebbero durati ancora a lungo, mi venne l’idea di stare
al gioco, o meglio pensai di cominciare a vivere quei momenti con un altro spirito, insomma
cominciai a viverli come se fossero dei giochi fino a fornire esattamente a Pavlov quelle risposte
che egli s’aspettava. Ma se vuole le racconto meglio…
Frosini: Ma certo che voglio, sono qui apposta. D’altra parte non ci risulta che per tutto il secolo
passato qualcuno abbia avuto l’idea di intervistarla, mica per altro, giusto per avere un altro
punto di vista su come sono andate le cose.
Il cane di Pavlov: Si, è proprio così. Ma voi uomini siete davvero strani; finché avete bisogno di
compagnia ci coccolate e ci trattate come vostri simili, quando poi invecchiamo oppure quando a
voi non interessa di andare a spasso, ecco che si potrebbe anche morire e quasi vi faremmo un
piacere. Il cane…altro che amico dell’uomo!
Frosini: Ma caro cane, ci sembrate effettivamente proprio arrabbiati col vostro Maestro.
Il cane di Pavlov: Cosa crede; ecco, me lo faccia dire, poi così sarò starò più tranquillo: il Nobel lo
volevo io e invece…invece quel farabutto, di ritorno da Stoccolma, non ebbe a riportarmi neppure
un osso da masticare. Farabutto! Egoista! Va bene, mi sono calmato. Dicevamo?
Frosini: Si diceva che mi avrebbe potuto raccontare come sono andate le cose, dal suo punto di
vista, si capisce.
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Il cane di Pavlov: Le cose sono andate che un giorno, mentre io ero a cuccia, il Pavlov arrivò e mi
condusse in una stanza semibuia, e se non ricordo bene in quella stessa stanza credo di averci
passato davvero i successivi dieci anni, tanto sono durati i nostri giochini. La stanza era semibuia
e silenziosa. Poco dopo mi ritrovai legato ad un apparecchio per il collo e per le zampe, ditemi voi
se questa vi pare una posizione in cui mettere un cane. Pavlov mi disse di stare fermo e zitto, ed io
gli ubbidii poiché in fondo gli ero affezionato, era il mio padrone fin dalla nascita. Non compresi
che da quel momento la mia vita non sarebbe più stata quella di prima. Ricordare ora quel
periodo non è affatto simpatico, mi creda.
Frosini: Su su, coraggio, ecco, tenga un biscotto, gradisce?
Il cane di Pavlov mangia un biscotto.
Il cane di Pavlov: Gnam Gnam!! Buono, davvero buono! Insomma, Pavlov mi legò a
quest’apparecchio, dopodiché cominciò a mostrarmi una bella bistecca tutta sanguinolenta, ed io,
come qualsiasi altro cane avrebbe fatto al mio posto, cominciai a sentire la voglia di mangiare, e
cominciai a salivare, cioè cominciai a sentirmi la bocca piena di saliva. Ma per inciso, ecco, non è
che qualcosa di simile accade anche a voi umani quando vi trovaste davanti a del cibo?
Frosini: Sì, certo; noi diciamo che ci viene l’acquolina in bocca! Ma andiamo avanti, era così
interessante quello che mi diceva…
Il cane di Pavlov: Ecco, in questa prima fase dell’esperimento il Pavlov si mostrò davvero generoso
con me, dandomi sempre quella bistecca che mi aveva appena mostrato e facendomela gustare
davvero senza fretta. Nel frattempo, lui cronometrava sempre il tempo della masticazione e poi,
benché fosse evidentemente più lungo, anche l’intero tempo che io impiegavo a digerire, fino a
rifarla, intendo la bistecca, magari il giorno dopo.
Frosini: Va bene, e per questo allora vinse il Nobel, è così?
Il cane di Pavlov: Precisamente. Poi però successe un fenomeno che voi umani chiamate di
«serendipia», ovvero successe che il Pavlov pur continuando a cronometrarmi la digestione si
accorse di un fenomeno che di fatto non stava cercando, qualcosa che poi lo condusse al concetto
di condizionamento classico. Ma le cose andarono così, mi ascolti. Si diceva che il Pavlov mi dava
delle bistecche e poi aspettava che avessi finito di digerirle, cronometrandomi. Ora, come capirà, è
comprensibile che quelle bistecche sanguinolente molto spesso lasciassero a terra delle gocce di
sangue soprattutto quando il Pavlov si allungava per darmele. Il fatto è che queste gocce sul
pavimento, quando più tardi mi fosse capitato di rivederle, continuavano a procurarmi successive
salivazioni, tanto più se in forza della digestione che stavo compiendo cominciava a salirmi
nuovamente fame. In questi momenti il Pavlov deve aver pensato che queste nuove salivazioni
fossero qualcosa di magico, di sconosciuto, senz’altro da studiare, e infatti iniziarono così tutti gli
esperimenti a cui fui sottoposto successivamente e grazie ai quali si cominciò a parlare di
condizionamento classico.
Frosini: Però, davvero interessante, tenga, prenda un po’ d’acqua.
Il Frosini allunga al cane di Pavlov una ciotola piena d’acqua e il cane beve.
Il cane di Pavlov: Chof chof chof!! Allora siamo arrivati agli esperimenti sul condizionamento. Le
ho detto di come mi capitasse di salivare per le gocce di sangue cadute sul pavimento, ma Pavlov,
che era miope, chiaramente non se ne accorse, e pensò evidentemente che salivassi per altre
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ragioni che casualmente si fossero presentate nell’ambiente. Sta di fatto che egli pensò di vedere
se salivassi anche soltanto all’udire di un suono, e così per tutte le giornate successive egli avviò a
presentarmi in maniera accoppiata prima la carne e poi un suono, prima la carne e poi un suono,
così, per non so quante volte, ed io ovviamente producevo per ciascuna di queste presentazioni
una quantità di saliva davvero impressionante. Poi successe, in maniera del tutto improvvisa, che
Pavlov smise improvvisamente di mostrami la carne ma continuò unicamente a presentarmi il
suono, così, più volte, mentre io lo guardavo senza obiettivamente capire cosa volesse. Ogni due
minuti quello suonava, altri due minuti e quello suonava, finché capii che Pavlov voleva che
salivassi, e così decisi di salivare, tanto per fargli piacere. Ecco, tutto qui. Ancora qualche tempo e
venni a sapere che dopo quella mia intuizione si cominciò a parlare di condizionamento classico,
ovvero del fatto che in alcune circostanze siamo portati a emettere delle risposte che all’apparenza
non c’entrano, ma è come se le cose che ci circondano ce le chiedessero. Che dici, mi sono
spiegato?
Frosini: Eccome, direi che non poteva essere più chiaro. Le confesso che ho creduto finora che la
salivazione successiva alla presentazione del suono fosse in realtà il risultato di qualche processo
determinato fisiologicamente, come posso dire, magari dal suo sistema nervoso, ma invece ora
apprendo che le cose non sono così semplici.
Il cane di Pavlov: E’ un vizio di voi umani quello di spiegare in maniera semplice cose in verità
assai complesse; e poi credete sempre che noi animali non si sia capaci di decidere cosa fare o
cosa non fare, quando invece anche con Pavlov fui io a decidere di salivare visto che lui non
s’aspettava altro. Siete fatti così, voi uomini.
Frosini: Beh, ora non si sbilanci troppo. Che soprattutto voi cani siete degli animali intelligenti
questo è vero, ma da qui a dire che siete sempre voi a decidere quello che fare, ecco, un po’ ce ne
passa, o no?
Il cane di Pavlov: Ci risiamo. Di te credevo di fidarmi e invece anche a questo giro sono rimasto
fregato, ora capisco perché mi hai dato anche un biscotto, e perfino da bere. Volevi che parlassi,
ecco tutto, anche questa dovrà dirla ai miei amici della Protezione dei Cani.
Frosini: Ma dai, non si arrabbi! La mia impressione è che lei sopravvaluti un po’ le sue capacità
intellettive, ma d’altra parte ammetto che per lasciarsi alle spalle un passato tanto glorioso
effettivamente qualche dote speciale dovrà pure averla.
Il cane di Pavlov: Ora si ragiona. A questo punto, a meno che lei non voglia porgermi altre
domande io sarei tentato di salutarla, sa, ho molto da fare: c’è mia moglie di là nella cuccia che mi
sta aspettando, siccome abbiamo degli ossi da sistemare ma lei, per gli acciacchi che ha, non
riesce a lavorare da sola. Allora, ci salutiamo?
Frosini: Va bene, salutiamoci. La ringrazio infinitamente dell’intervista, caro cane di Pavlov …e
buon proseguimento!
Il cane di Pavlov: Bau! Bau!
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L’Editrice Inapparente
Per rispondere alle crescenti esigenze degli operatori cacopedici, il CSPI è orgoglioso di presentare
la nuovissima Editrice Inapparente, dedita a partire dallo scorso autunno alla pubblicazione di
opere manualistiche e monografiche su molteplici tempi inerenti la professione clinica. I volumi
che qui presentiamo fanno parte delle collane Cambiare in negativo e Lo psicologo controvoglia, in
grado, crediamo, di fornire allo specialista cacopedico, da una parte una serie di ausili per
migliorare il proprio sapere distruttivo, e dall’altra, dei validi approfondimenti teorici sui molti
temi riguardanti il funzionamento dell’animo umano.
Nelle recensioni delle pagine successive, senza che mai compaia esplicitamente,
viene fatta larga allusione alla scrittrice Cristina Campo, autore di libri come Gli
imperdonabili e La tigre assenza. Qual è l’elemento da scoprire? Per giocare
scrivete a [email protected], ben sapendo che se anche vincerete in cambio non
riceverete niente, a parte la segnalazione di vittoria sul prossimo numero di
Psicologia Cacopedica.
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Come diventare malati di mente
Prevedibilmente sarà con estremo interesse che la comunità scientifica accoglierà Come diventare
malati di mente, uscito nei mesi scorsi per l’Editrice Inapparente e nel giro di pochissimo tempo
già in testa alle classifiche di vendita nelle librerie specializzate. Si tratta di un volume
esplicitamente destinato a coloro che volessero diventare malati di mente, usufruendo così delle
innumerevoli opportunità che qualsiasi malattia comporta; tra le righe sembra tuttavia emergere
anche una nuova concezione forse polemica della malattia mentale, in contrasto con le teorie
maggiormente diffuse dai tempi di Freud. Un’osservazione da cui parte Giuseppe Frosini è relativa
al fatto che tutte le teorie eziopatogenetiche del disagio mentale sono in realtà delle teorie
elaborate post facto, ovvero successivamente allo sviluppo di una forma specifica di disagio dalla
cui osservazione si tenta di risalire alle cause originarie. Secondo Frosini abbiamo invece una vera
teoria esplicativa della malattia mentale quando fossimo capaci di fabbricarla in laboratorio,
sfruttando le leggi del rinforzo e del condizionamento sociale. Di fatto è quello che Frosini ha
tentato di fare nei lunghi anni della sua ricerca solitaria, durante i quali sembra essere riuscito
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nell’impresa di far diventare malati di mente almeno una ventina di volontari, che si sono
sottoposti alla sperimentazione ottenendone meravigliosamente in cambio stati patologici davvero
invidiabili; ogni disturbo sembra esserne uscito puro, senza alcuna sovrapposizione per esempio
tra stati d’ansia e stati depressivi come spesso si osserva nella normale pratica clinica. Secondo
quanto riferisce l’Autore, in questa prima fase sperimentale egli è riuscito a creare tre disturbi
depressivi e altrettanti d’ansia, quattro stati psicotici, due disturbi alimentari, tre disturbi di
personalità, due disturbi sessuali e due disturbi da dipendenza da sostanze; un ventesimo
disturbo, il cui nome tuttavia non è dato sapere (ma potremmo supporlo: Paranoia culturale),
sembra averlo assorbito lo stesso Frosini come apprendiamo a pagina 47, quando dice di non
essere più disposto ad ammettere teorie differenti dalla sua, avendone sperimentato, e anche sulle
proprie cellule, le magnifiche potenzialità (i maligni dicono tuttavia come egli fosse già matto
prima).
In tutta la prima parte del libro il Frosini affronta molti argomenti intorno al disagio
mentale, non senza prima averne dato una sintetica ma efficace definizione: un disturbo mentale
è qualsiasi costruzione personale che viene usata ripetutamente a dispetto della sua consistente
invalidazione. Segue un elenco di buoni motivi per diventare malati: per esempio, potersi divertire
di più; non avere responsabilità; trovare più facilmente lavoro quando fosse compiuta l’iscrizione
alle cosiddette liste protette. Vale comunque sottolineare l’idea del Frosini sulla motivazione alla
malattia, secondo cui il miglior modo per uscir di testa è quando non si ha alcun motivo per farlo.
In effetti, concordiamo.
Successivamente alla prima parte utile per ampliare la motivazione e per capire
maggiormente il significato della malattia, segue una parte in cui si sceglie il disturbo mentale più
adatto, che ovviamente non potrà essere del tutto scollegato dal naturale temperamento di un
soggetto. Per chi fosse tendenzialmente agitato e avesse anche strani pensieri è chiaro che
potrebbe di buon grado beneficiare delle particolarità di un disturbo psicotico; viceversa, ad un
temperamento mite risulterà più facile lo sviluppo della depressione. Altro discorso riguarda le
aspettative che ciascun aspirante malato ripone nello stato di malattia: chi per esempio cercasse
prevalentemente compagnia, gli sfiancanti rituali di un disturbo ossessivo-compulsivo potrebbero
di gran lunga migliorare la qualità della vita; a chi preferisse il rischio viene suggerito il disturbo
antisociale di personalità, che consente di sfidare continuamente le regole del vivere civile; chi
volesse invece elaborare un buon motivo per suicidarsi va da sé che il miglior disturbo è la
depressione, anche se sembrano raggiungersi buoni risultati pure con i disturbi alimentari e da
dipendenza da sostanze (in particolare eroina e cocaina).
La terza parte del volume è relativa alla vera e propria fase di apprendimento della malattia
mentale. Frosini ritiene che vi siano almeno quattro metodi per un corretto assorbimento della
malattia, e tutti egualmente efficaci quando le indicazioni che egli fornisce fossero seguite
attentamente. Il primo modo per diventare malati consiste nel cominciare a frequentare persone
già malate; il secondo prevede invece la frequentazione di coloro che il disagio mentale presumono
di curarlo, ma che in verità spesso lo alimentano, non solo perché lo conoscono ma spesso perché
lo vivono personalmente; il terzo modo prevede la ricerca di eventi traumatici ove si riuscisse a
prevedere un buon impatto distruttivo sul proprio sistema cerebrale; il quarto modo, infine,
prevede di seguire in maniera ordinata le indicazioni del Frosini, indicazioni che scompongono
l’apprendimento della malattia in successive fase di lavoro: anzitutto vale partire dal modificare il
proprio stato d’animo (fase preparatoria), cui segue la fase dell’apprendimento di specifici
atteggiamenti della malattia prescelta, a cui ancora segue la fase dell’armonizzazione dei nuovi
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atteggiamenti appresi secondo una modalità in sé compiuta e sensata. Rimane la fase del
consolidamento dei comportamenti cosiddetti problematici, in cui sarà essenziale il ripetuto
esercizio, per poi poter concludere il percorso di cambiamento attraverso un breve training di
prevenzione della normalità, qualora il neopaziente si trovasse in specifici ambienti dove il
comportamento precedente al percorso patologico premesse per ritornare in primo piano. Secondo
Frosini il miglior modo per mantenere nel tempo la patologia acquisita consiste nel frequentare
preferibilmente persone malate, o almeno farlo per i primi anni successivi al trattamento.
L’ultimo capitolo del volume dal titolo significativo Quando si è pronti per il manicomio,
tratta di una serie di espedienti utili al neopaziente per misurare il proprio livello di disagio,
espedienti che vanno dalla compilazione di test di ottundimento mentale, fino per esempio alla
misurazione del tempo in cui si è capaci di rimanere immobili nella stessa posizione. Merito
dell’Autore è quello di aver inserito in questa parte un considerevole numero di casi clinici a cui il
lettore può ispirarsi, per vedere quantomeno se il proprio cambiamento sia stato sufficientemente
catastrofico.
Giuseppe Frosini, Come diventare malati di mente, Editrice Inapparente, Bardalonia 2007.
[cm 15 * 22, pp. 390, Euro 28]
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Il Galimbertino.
Dizionario di Psicologia Cacopedica
Qualsiasi psicologo cacopedico per non dire di chiunque sia interessato alle cosiddette scienze
umane, non mancherà d’essere riconoscente a Puccio Quaratesi per lo sforzo compiuto
nell’elaborazione di questo Galimbertino. Dizionario di Psicologia cacopedica, prima opera
veramente compiuta in grado di raccogliere le nozioni emerse nell’ultimo decennio dal gruppo di
ricerca ruotante intorno al Centro Studi Patologie Inapparenti. L’idea all’origine del lavoro di
Quaratesi è stata quella di inserire in un unico lavoro tutti gli autori, le teorie, i concetti, le
patologie e le pratiche terapeutiche potenziali che sempre maggiormente sono impiegate nella
pratica cacopedica; inoltre, essendo ormai opinione condivisa da molti che la Psicologia
Cacopedica pur avendo una storia breve (almeno nell’ambito applicativo) abbia nondimeno un
lungo e glorioso passato, Quaratesi ha inserito al termine del volume un Storia del pensiero
cacopedico contemporaneo, dai tempi di Umberto Eco fino ai giorni nostri, che può rappresentare
per il clinico ma anche per il divulgatore o il ricercatore cacopedico un validissimo ausilio cui
appoggiarsi.
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Il Galimbertino conta 846 lemmi, che si succedono in ordine alfabetico, e per ciascuno di
essi, ove siano conosciute, sono riportate le fonti bibliografiche o almeno, quando si tratta di
specifiche teorie, approssimativamente l’anno in cui sono state formulate. I rimandi tra i vari
lemmi sono indicati da una freccia (→) che precede il lemma a cui si rinvia. Poiché molte voci
derivano da materiale clinico preso durante la pratica professionale, per ciascuna di esse viene
suggerita la corretta pronuncia, per mezzo di accenti o dieresi collocate sopra le singole lettere. In
effetti, riteniamo che in molte occasioni siano davvero essenziali per una corretta pronuncia delle
parole, in particolare per i tanti neologismi che il Quaratesi ha raccolto con notevole acribia
transitando per le più importanti cliniche cacopediche d’Italia. Come esempio da riportare, citiamo
un’espressione delirante assai significativa che sembra essere stata udita dal Quaratesi presso la
clinica Ville Sbertoli, e che secondo le intenzioni dell’alienato che l’ha pronunciata avrebbe dovuto
scongiurare una catastrofe ambientale. Si tratta del lemma «minoù cossù francé», qualcosa che
più che un delirio sembra una formula magica, anche se è indubitabile il suo scollegamento con
la realtà.
Riteniamo che le voci più utili siano quelle in cui finalmente apprendiamo le esatte
definizioni di moltissimi concetti cacopedici, da bischerite a fiacca, da palletico a ruzzo, fino a
smania. Si apprende per esempio che la bischerite è un fenomeno per cui le persone, di ambo i
sessi, sono spinte a mostrarsi per alcuni minuti ma anche per ore, quando non per intere
giornate, in atteggiamenti di manifesta ilarità, finalizzati a rendere partecipe il prossimo ad una
stato di generale scherno e imbecillità; il palletico è una stato di agitazione psicomotoria che
investe prevalentemente gli arti sia inferiori che superiori, che insorge in momenti in cui si è
costretti a stare per esempio in un posto in cui non vorremmo stare, o a fare qualcosa che
riteniamo di massima inutilità; la smania è qualcosa di simile al palletico ma si differenzia per
una maggiore energia disgregante nel soggetto che la vive, tale da condurlo a dei veri e propri
scatti fisici. Capita a volte nella pratica clinica di sentire: «ho la smania», oppure: «mi ha fatto
venire la smania». Ecco, generalmente simili espressioni alludono al fatto che nello spirito del
soggetto è entrato un certo grado di agitazione psicomotoria, magari per la durata (eccessiva)
dell’interazione clinica ma anche soltanto per un generale stato fisico alterato e bisognoso di un
po’ di riposo.
Come tutti i dizionari, anche del Galimbertino, prevedibilmente, verranno presto fatte
versioni ridotte quando non vere e proprie copie da spacciarsi come altri originali, ma va da sé che
lo sforzo di Puccio Quaratesi rimarrà una pietra miliare nella storia della pratica cacopedica se
non addirittura nella storia delle scienze delle spirito.
Puccio Quaratesi, Il Galimbertino. Dizionario di Psicologia Cacopedica, Editrice Inapparente,
Bardalonia 2018.
[cm 18 * 25, pp. 870, Euro 56]
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Il finto tonto
Nella nostra cultura è diffuso il convincimento di dover apparire in un certo modo per riuscire ad
essere apprezzati dagli altri, e così da molti anni hanno riscosso un sempre maggiore successo
manuali di varia natura, per riuscire ad essere assertivi, oppure dei buoni amanti, dei buoni
genitori, insomma degli uomini di successo. Sembrano tuttavia essere sfuggite agli esperti
psicologi le potenzialità comportamentali del «finto tonto», su cui finalmente fa luce questo saggio
di Vittoria Guerrini che ha dedicato gli ultimi decenni della sua vita professionale a studiare
questa singolare e dimenticata materia.
Nella prima parte del Finto tonto (Editrice Inapparente, Bardalonia, 2006, pp. 214, Euro
20) viene spiegato in maniera assai particolareggiata cosa significa essere un finto tonto e quali
siano i vantaggi e gli svantaggi; per esempio, sarà possibile far maturare negli altri minori
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aspettative verso il nostro comportamento e ciò è massimamente utile per chi desiderasse evitare
compiti indesiderati o scocciature di varia natura (è noto che ai tondi si tende a non attribuire
grandi responsabilità); per contro, tuttavia, mostrarsi un finto tonto può chiamare su di sé lo
scherno da parte degli altri, e ciò è generalmente sgradevole tanto più per quelle persone che
fossero particolarmente vulnerabili al giudizio altrui.
Nella seconda parte, il saggio si sviluppa intendendo suggerire al lettore una messe di
strategie per diventare un bravo finto tonto, con il ricorso ad innumerevoli prove pratiche che
fanno di Vittoria Guerrini davvero una delle più sensibili esperte della materia. Completa il
volume un test per misurare il proprio livello di «fintatontaggine, da autosomministrarsi, secondo
le indicazioni dell’Autrice, all’inizio e alla fine della lettura del saggio, anche per una stima delle
capacità acquisite.
Vittoria Guerrini, Il finto tonto, Editrice Inapparente, Bardalonia 2006.
[cm 14 * 21, pp. 214, Euro 20]
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L’inconscio multiplo
Che una certa insoddisfazione per le teorie sull’intelligenza fosse diffusa tra gli psicologi da
almeno qualche decennio è cosa abbastanza nota, almeno da quando il neuropsicologo Howard
Gardner propose di parlare di molteplici forme di intelligenza, senza limitarsi alle due principali da
sempre conosciute, quella logico-matematica e quella narrativa. L’insoddisfazione condivisa dagli
studiosi ruotava intorno al dubbio se quelle facoltà tanto sottili che Gardner considerava (qualità
musicali, spaziali etc.) si potessero davvero attribuire ad un piano, diciamo così, superficiale di
ragionamento, o non dovessero piuttosto essere legate a livelli più profondi della coscienza.
Recenti studi hanno finalmente dato ragione agli scettici e chi volesse farsi un’idea della querelle
può dedicarsi alla lettura dell’Inconscio multiplo. La teoria che fa l’intelligenza a pezzi, edito dalla
Editrice Inapparente e acquistabile presso le librerie specializzate ad un prezzo un po’ esoso ma
tutto sommato giustificabile di 230 Euro. L’autore, Massimiliano Putti, è uno sconosciuto
neurologo che alla soglia dei sessant’anni ha deciso di pubblicare tutti gli scritti della sua lunga
carriera, vergati prevalentemente sull’Isola di Montecristo dove egli svolge il regolare lavoro di
guardiano del faro, che gli garantisce quell’autonomia nella ricerca altrimenti minata nei normali
atenei universitari, italiani e non solo. Dicevamo che il prezzo è alto ma giustificabile in quanto il
volume è davvero ben documentato, con una prima parte in cui sono esposte tutte le teorie
sull’intelligenza, una seconda in cui viene ripercorsa la scoperta dell’Inconscio (che in maniera
inesatta viene tradizionalmente attribuita al Freud), e una terza e ultima parte, quella
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scientificamente più innovativa, in cui viene esposta la cosiddetta teoria dell’Inconscio multiplo,
speculare per certi aspetti alla teoria dell’intelligenza multipla (che il lettore sprovveduto
conoscerà nella prima parte) ma, prevedibilmente, maggiormente in grado di reggere alle critiche
che nei prossimi mesi verranno sicuramente formulate. Di certo, la teoria del Putti fa
maggiormente sistema, appare in sé coerente, e si combina perfettamente con le recenti
acquisizioni nel campo delle neuroscienze; ultimo, ma forse il più meritevole aspetto almeno per
chi scrive, è il fatto che una teoria dell’Inconscio multiplo spiega finalmente come mai anche i
bambini più piccoli siano capaci di mostrare insospettabili abilità in specifici contesti disciplinari
(musica, pittura, linguistica) senza tuttavia che la loro intelligenza si sia ancora sviluppata. Di
fatto, ed ecco la sorpresa del libro, una rosa di abilità tanto estesa non può significativamente che
dipendere dall’Inconscio multiplo, che, sia detto per inciso, non ha nulla a che vedere con quello
collettivo se non per l’unico fatto di essere entrambi opere di fantasia.
L’elenco di inconsci che il Putti ha ricavato dalle proprie analisi è veramente assai esteso, e
converrà qui soffermarsi, per darne un’impressione al lettore, soltanto sull’Inconscio linguistico,
l’Inconscio spaziale, l’Inconscio musicale, e l’Inconscio interpersonale, lasciando da parte oltre che
l’Inconscio naturalistico e quello esistenziale, anche quello narrativo e logico-matematico, per le
evidenti similitudini con le omologhe speculazioni svolte nell’ambito dell’intelligenza, che pur non
essendo le medesime hanno tuttavia molti punti in comune.
L’Inconscio linguistico è quella porzione dell’Inconscio che presiede fin dai primi anni
all’apprendimento del linguaggio, per buona pace di Skinner il quale fino a tutti gli anni Sessanta
si ostinò a pensare al linguaggio al pari di qualsiasi altro comportamento appreso. Scopriamo
quasi a distanza di cinquant’anni come le primissime lallazioni del bambino siano in realtà il
frutto di meccanismi già preformati e situati al di sotto della coscienza, anche se qualcosa di
simile ebbe a dire il Chomsky per altro proprio in risposta al comportamentismo skinneriano; ma
ciò che ancora mancava per una corretta teoria sullo sviluppo del linguaggio era il raccordo o
piuttosto la conferma su di un piano neurofisiologico di questa concezione che potremmo dire
chomskiana, che solo con le attuali tecniche moderne d’indagine (TAC ma in particolare PET), e
soprattutto grazie alla maestria del Putti, è stato possibile ottenere. Sperabilmente, la ricerca
futura potrà ora risolvere le molte lacune che ancora segnano l’ambito dei disturbi specifici del
linguaggio, come la logorrea, il mutismo selettivo, nonché la tendenza ad attaccare i bottoni,
disturbo che di solito si evidenzia nell’età adulta e che generalmente va incontro ad un
aggravamento negli ultimi anni di vita.
L’Inconscio spaziale è ciò che determina la capacità di elaborare un modello spaziale del
mondo ed essere in grado di posizionarcisi (nel mondo, non nel modello); la ricerca scientifica ha
finora avvalorato la tesi che l’uomo, in quanto gettato nel mondo, non dovesse in realtà sforzarsi
per trovarvi un proprio spazio, ma che piuttosto l’essere-nel-mondo costituisse una realtà già data.
Il Putti anche in questo caso contribuisce in maniera decisiva al progresso della ricerca.
Osservando come le femmine di Homo Sapiens siano marcatamente deficitarie del cosiddetto
senso dell’orientamento, egli arriva a formulare due ipotesi: o le suddette femmine sono da
collocarsi al di fuori della specie umana oppure, giocoforza, la capacita di orientarsi è qualcosa
che si può apprendere nelle fasi dello sviluppo, facendo prevedibilmente leva su quegli organi che
ne costituiscono la base organica. Parendogli al Putti evidentemente rischioso collocare la
femmina di Homo Sapiens fuori dalla specie, e osservando, durante un breve soggiorno nel
continente, come le medesime femmine riuscissero, se opportunamente stimolate, e nell’arco di
poco tempo, a muoversi anche da sole negli spazi aperti, non gli rimane altro che ipotizzare
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l’esistenza di una specifica struttura deputata a farci muovere nello spazio, il cui volto risulterà
essere quello dell’Inconscio spaziale grazie ai successivi riscontri di laboratorio. Va detto che
anche in questo caso il Putti permette un notevole avanzamento alla ricerca; a questo punto, gli
spazi ulteriori che si aprono sono essenzialmente d’ordine applicativo, ruotanti intorno
all’elaborazione di strategie d’insegnamento in grado di scongiurare che le femmine della specie
umana continuino a perdersi per la strada quando non fossero accompagnate, sfida finora
perduta da tutti i programmi scolastici di ogni ordine e grado (domiciliari compresi).
Chi si fosse sorpreso dei risvolti tanto concreti del lavoro del Putti, avrà ulteriormente da
meravigliarsi con la lettura delle pagine dedicate all’Inconscio musicale, la cui teorizzazione fa
praticamente piazza pulita di tutti i programmi scolastici finalizzati al recupero dei cosiddetti
alunni difficili. L’osservazione da cui partì Putti sul finire degli anni Settanta fu la seguente: un
bambino che nei primi anni della crescita cominciasse a mostrare un ritardo nell’apprendimento
sarà prevedibilmente un adulto ritardato, senza che a nulla servano i programmi scolastici di
recupero o le ripetizioni domestiche svolte con un’insegnante a domicilio. Ecco, pur in contrasto
con le linee pedagogiche dominanti, per cui si dà credito alla supposizione che ciascun essere
umano, fin da piccolo, quando fosse accompagnato da personale specializzato nell’insegnamento,
sia capace di abbattere le proprie tare cognitive per arrivare ad apprendere sempre maggiori
nozioni, il Putti cominciò a elaborare una serie di sperimentazioni in grado di dimostrare come gli
individui siano fin dalla nascita entità immodificabili, a tal punto da considerare la scuola del
tutto superflua, meno per chi tuttavia non ne ricava alcun vantaggio. A distanza di trent’anni le
ricerche del Putti dimostrano effettivamente la sensatezza delle sue profetiche supposizioni, e il
concetto di Inconscio musicale rende comprensibile finalmente perché certe persone non
capiscono niente, malgrado i nostri sforzi per spiegar loro anche cose davvero semplici.
L’ultima porzione di inconscio di cui abbiamo pensato di rendere conto è il cosiddetto
Inconscio Interpersonale, che tratta della capacità di comprendere gli altri e di star loro accanto,
di comprendere cosa li motiva, come lavorano e come collaborarci. Crediamo che questa sia la
parte meno interessante del lavoro del Putti, che comprensibilmente risente del suo forzato
isolamento sull’isola e che evidentemente non ha goduto di quel riscontro con la dimensione
sociale più allargata che forse gli occorreva. Anche in questo caso le ricerche del Putti si muovono
verso una dimensione che secondo un modo un po’ superato ma tuttora pregnante potremmo
indicare come innatista, per cui la capacità di muoversi in mezzo agli altri piuttosto che il
risultato di specifiche abilità sociali da apprendersi nel corso dello sviluppo, sarebbe qualcosa di
radicato nel nostro Inconscio, in grado certamente di modificarsi ma con training di lavoro ben
diversi dalle semplici sessioni di assertività che ancora molti clinici si ostinano a somministrare ai
pazienti affetti, per esempio, dalla Sindrome delle cattive maniere.
In conclusione tuttavia torniamo a ribadire come il prezzo del volume, pur sulle prime
esoso, lasci alla fine della lettura assolutamente soddisfatti. La bibliografia, davvero completa, è
aggiornata alla fine del 2007. Nelle ultime pagine, infine, un indice analitico aiuta nella
consultazione di specifiche voci una volta che si fosse assimilata la filosofia complessiva del lavoro
del Nostro.
Massimiliano
Putti, L’Inconscio multiplo. La teoria che fa l’intelligenza a pezzi,
Inapparente, Bardalonia 2008.
[cm 15 * 22, pp. 503, Euro 230]
48
Editrice
Vacanze psichiatriche.
Dopo la moda delle vacanze nei luoghi della spiritualità monastica, ecco finalmente un volume per
chi volesse nuovamente cercare un po’ di solitudine e un po’ di riposo, soprattutto interiore:
Vacanze psichiatriche. Le migliori cliniche per riposarsi, scritto da Bernardo Trevisano, giovane
psicologo controvoglia, per l’ormai famosa Editrice Inapparente, che da almeno un paio d’anni
cavalca la scena editoriale con opere sempre assai discusse ma nondimeno preziose per tutti gli
specialisti della mente. Stavolta è merito della casa editrice rivolgersi al vasto pubblico, con una
guida davvero accessibile a tutti, dai bambini agli anziani, non trascurando i malati di mente che
volessero soggiornare dei brevi periodi presso le migliori cliniche psichiatriche d’Italia, magari alla
ricerca di nuovi metodi per stare peggio. L’impressione è che il volume si appresti nel giro di poco
tempo a fare veramente tendenza, e chi scrive cerca effettivamente di dare un contributo in questa
direzione, avendo effettivamente scoperto, affacciandosi al volume prima e presso alcune cliniche
dopo, un insospettato piacere nell’uscir di casa con il solo scopo di rinchiudersi in clinica: il
piacere, sia detto senza riguardi, di uscir completamente di testa.
49
Il lavoro del Trevisano nasce sul finire del 2006, epoca in cui si ricorderà ci furono molti
episodi di pazzia domestica, mariti che aggredirono le mogli e figli che nel giro di poco tempo
sterminarono ambedue i genitori. Il Trevisano grazie ad un episodio acuto di psicosi tentò di
strangolare il fratello gemello, senza tuttavia riuscirci; fu così però che ebbe la fortuna di rimanere
ospite per una decina di mesi presso l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino,
dove poté farsi una preliminare cultura sulla vita in clinica che presto, una volta dimesso, cercò di
sfruttare con l’intenzione di permettere ad altri di potersi avvicinare a un tipo di esperienza vicina
alla sua. E’ così che negli anni successivi il Trevisano spende gran parte del proprio tempo e delle
proprie energie soggiornando per brevi periodi in quasi tutte le cliniche del territorio nazionale,
che poi riporterà in Vacanze psichiatriche testandone la comodità, la qualità del cibo, la distanza
dai centri urbani, e suggerendo infine una stima del grado di ospitalità garantita dal personale
medico che vi lavora. Il testo fornisce chiaramente tutte le informazioni per una vacanza in clinica,
spiegando come evadere il primo contatto, come fare la prenotazione, e come presentarsi il giorno
prefissato alle porte della struttura, in quali condizioni d’abbigliamento e di volto, al fine di essere
sistemato in un padiglione della struttura piuttosto che in un altro. E’ importante sapere che
quasi tutte le cliniche psichiatriche ospitano ai piani alti, diciamo successivi al secondo, i
ricoverati più abbienti e perciò generalmente messi meglio, almeno nell’aspetto, stando il fatto che
la povertà rende più brutti; ai piani bassi invece vi soggiornano di solito quelli messi
finanziariamente peggio, con i quali sarà possibile instaurare prevedibilmente un più dialogo
sincero, essendo che la povertà rende sì più brutti ma anche più simpatici.
Le cliniche schedate dal Trevisano sono precisamente 335, che ad un superficiale controllo
ci risultano essere quelle più dignitose tra le 700 circa esistenti; sono esclusi i cosiddetti
manicomi privati, quelli costituiti cioè da singoli nuclei familiari per ragioni ovviamente di spazio;
come sono escluse le strutture adibite al parcheggiamento dei malati anziani, anche loro molto
spesso malati mentali e potenzialmente in grado di poter fornire agli ospiti di passaggio una
gradevole compagnia, ma la ragione dell’esclusione risiede a detta del Trevisano «nella persistente
immobilità che quasi sempre caratterizza i malati anziani, tale da tradire le aspettative formative
che i nostri lettori generalmente hanno». E’ vero in effetti che chi decidesse di sperimentare una
vacanza in clinica avrebbe in sorte quella di veder aumentato il proprio livello di pazzia, potendo
ora meglio mimarne gli atteggiamenti fino a farli propri, col passare dei mesi e degli anni; ecco
perciò l’importanza di selezionare la clinica più adatta anche sulla base della specifica malattia
mentale che si ha in animo di conoscere e poi di assorbire, o quantomeno di aggravare, qualora ce
l’avessimo già prima magari ad uno stadio troppo insoddisfacente. Per i disturbi dell’umore le
migliori cliniche sembrano essere quelle toscane, mentre quelle del Lazio sembrano offrire molti
vantaggi per i disturbi alimentari. Le regioni meridionali sono le migliori in assoluto per i disturbi
della condotta, quelle della Campania in testa; al nord invece è più facile trovare strutture
specializzate nei disturbi dello spettro schizoide, in particolare quelle collocate nei centri alpini
d’alta quota.
Merito del Trevisano è stato quello di aver attribuito a ciascuna clinica un giudizio di valore
complessivo, così, per il Nostro, la migliore struttura esistente risulta essere la Casa di Cura Forra
Calcinaia, situata nella campagna aretina e raggiungibile facilmente dall’autostrada (uscita
Arezzo). Gli standard assolutamente alberghieri comprendono un servizio ristorazione con menù
dietetici personalizzati, camere singole con bagno, telefono, TV e accesso a Internet, e infine un
servizio «infermieristico» di compagnia esclusivamente femminile, gestito da ragazze carine ad uso
dei pazienti maschi (trattasi chiaramente di prestazione aggiuntiva rispetto alla tariffa ordinaria).
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Presso la Casa di Cura Forra Calcinaia è possibile seguire inoltre numerosi seminari clinici aventi
argomento la malattia mentale, di cui vengono esaminati i vantaggi principali come passare
osservati in società, fino allo studio dei principali metodi di contenzione generalmente ancora
usati nei primi decenni del Novecento, insieme ad altre pratiche come bagni caldi, percosse e
imposizione di digiuno. La tariffa giornaliera presso Forra Calcinaia è pari a 100 Euro, a cui vanno
aggiunte le prestazioni aggiuntive: quella infermieristica appena detta (le cui tariffe variano a
seconda delle richieste del paziente), sedute di regressione cognitiva e sedute di potenziamento
psicotico.
Segnaliamo infine che il volume del Trevisano conta 473 pagine, tutte numerate. In fondo
al testo vari indici permettono un’agevole consultazione dell’opera, che appunto può essere
avvicinata in base a un criterio geografico oppure nosografico, cioè sulla base di una malattia
scelta tra le 200 considerate.
Bernardo Trevisano, Vacanze psichiatriche. Le migliori cliniche per riposarsi, Editrice Inapparente,
Bardalonia 2017.
[cm 16 * 25, pp. 473, Euro 28]
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Il Sé esaurito
Sicuramente il bel libro di Giusto Cabianca segnerà nella storia della psicologia una tappa
fondamentale, e quanto più la comunità scientifica riuscirà a conoscerlo tanto maggiormente
dovrà mettersi in animo la riformulazione di molti concetti esistenti sul funzionamento cognitivo
ed emotivo, per non parlare delle vicissitudini che finora erano state concepite come occasioni
favorenti gli scompensi psicopatologici, da oggi necessariamente da rivedere a favore, si spera,
anche di migliori interventi terapeutici. Insomma il testo di cui vi parliamo, dal significativo titolo
Il Sé esaurito, merita la lettura senz’altro da parte dei professionisti della salute mentale,
segnatamente psicologi e psichiatri, per non dire dei vantaggi di cui beneficerebbe il vasto
pubblico se avesse la fortuna di avvicinarlo, per cui molti scoprirebbero le ragioni e sperabilmente
i rimedi del proprio esaurimento. L’ipotesi cosiddetta «indiziaria» su cui Cabianca basa la propria
ricerca, prevede che a rendere significative le attribuzioni di benessere o malessere che ciascuno
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di noi formula rispetto a se stesso, bastino quelle occasionali riflessioni che può capitare di
pronunciare nel corso della giornata, magari davanti allo specchio oppure in occasione di qualche
piccola dimenticanza in ordine al posizionamento di chiavi, vestiti, portafogli, riflessioni aventi
come oggetto preferibilmente il proprio Sé inteso come «nucleo della coscienza autoriflessiva»; tra
le principali che il Cabianca riporta, citiamo la riflessione «sono esaurito», solitamente
pronunciata da soggetti che in effetti stanno abbastanza male ma a cui finora la medicina ufficiale
non ha prestato l’attenzione dovuta. Il Cabianca sostiene invece che simili espressioni rivelino di
un soggetto molto più di quanto egli stesso sia capace di spiegare con altre e più numerose parole,
da rendere opportuna, malgrado la mancata conoscenza di ulteriori elementi di disagio, la
diagnosi di esaurimento, che egli ritiene dettagliabile in esaurimento emotivo, cognitivo e nervoso.
Inoltre, scoperta del Cabianca, è che pure i pronunciamenti dei familiari e degli amici possano
avere, come dire, consistenza sintomatologica, in particolare la riflessione omologa a quella
precedente e il cui suono è: «sei esaurito», che in effetti fa supporre che la persona a cui viene
applicata lo sia davvero.
Pur non potendo per ragioni di spazio scendere nel dettaglio, ci focalizziamo su una
caratteristica che accomuna tutti gli esauriti, siano essi esauriti dal punto di vista nervoso,
cognitivo o emotivo, ossia la loro persistenza nel fare quello che solitamente fanno, creando molto
spesso dei danni a chi sta loro accanto quando non delle pesanti sciagure. Il fatto è che gli
esauriti sono tali anche nel rendersi conto quanto sta loro accadendo, che finiscono
sistematicamente per ignorare andando avanti sulla strada della disfatta. In simili circostanze, è
chiaro che se i familiari o gli amici più prossimi non si rendono conto di quanto sta accadendo al
congiunto, finiscono per correre il pesante rischio di diventare esauriti a loro volta, stante il fatto
che come Cabianca osserva a pagina 67 del volume (e ci pare il primo ad aver raggiunto in
psicopatologia una simile consapevolezza), «l’esaurimento è fenomeno contagioso, al pari di tutte
le sindromi psicopatologiche finora conosciute». In effetti, l’impressione che la depressione,
l’ipocondria, la paranoia, siano malattie contagiose diremmo che è assai convincente, a tal punto
da far sorgere l’interrogativo sul perché in cent’anni di psicologia scientifica nessuno, tranne ora il
Cabianca, sia arrivato a sostenerlo. Ma sappiamo che gli studi in psicologia non progrediscono
diversamente da quelli delle altre branche del sapere, per cui ad ampi intervalli di stasi seguono
fiorenti periodi di avanzamento, magari sull’onda di intuizioni davvero occasionali ma nondimeno
straordinarie. Così, dopo la prima parte ruotante prevalentemente intorno all’analisi degli asserti
linguistici degli esauriti, abbiamo una seconda parte nel Sé esaurito che approfondisce il
fenomeno del contagio, in cui vengono descritti i meccanismi caratterizzanti la trasmissione delle
malattie per arrivare poi alla proposta, nelle ultime pagine del volume, ad un vaccino antifollia, su
cui il Cabianca annuncia di voler concentrare i propri sforzi di originale ed esperto ricercatore, da
qui agli anni futuri.
Tornando al fenomeno del contagio, l’Autore lo ritiene suddivisibile in tre successivi
passaggi, che vanno dall’imitazione dell’atteggiamento di malattia nei suoi tratti esteriori (postura,
sguardo, gestualità), alla conoscenza-assimilazione dei suoi specifici termini, per finire poi con
l’approfondimento di questi stessi termini per mezzo di risorse come enciclopedie mediche e siti
on-line dedicate alla malattia mentale, che induce nei futuri pazienti un effetto riconoscimento
non dissimile da quello tipico degli studenti di medicina, che finiscono presto per attribuirsi la
maggioranza delle sindromi che vanno imparando. Insomma, ciò che avviene è un processo di
autoetichettamento che prende il via dall’osservazione delle malattie altrui, verso le quali ciascun
essere umano sente una perversa attrazione, fino all’approfondimento delle caratteristiche delle
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malattie, caratteristiche che in breve tempo finiranno per animarsi in quel soggetto che ha
pensato di avvicinarle con lo stesso spirito con cui si consulta un vocabolario, senza immaginare
di potervi rimanere intrappolato magari per sempre. Ed è a margine di quest’interessante parte
sul contagio, che il Cabianca avanza quell’interrogativo che poi lo condurrà verso la conclusione
del volume, e noi alla fine di questa presentazione: «alla luce della nostra teoria sulla trasmissione
“virale” delle malattie mentali, ci chiediamo se non possa essere opportuno proibire la diffusione
sui mezzi di comunicazione di massa delle informazioni mediche inerenti le patologie
psichiatriche, alla luce anche dell’attribuzione (sensata) dell’aumento della depressione e degli
attacchi di panico, per esempio, alla diffusione di Internet, ove come sappiano sono reperibili
numerose informazioni di natura medica specialistica. Sperando che il nostro testo passi nelle
mani di qualche lettore non psicologo né psichiatra, ci auguriamo che la maggioranza di loro
decidano di gettar via qualsiasi volume circolante per casa che abbia come oggetto la medicina,
per procedere successivamente con l’inserimento di blocchi specifici nella navigazione in Internet,
tale da non poter più accedere ad alcun tipo di informazione di natura psicopatologica on-line;
solo così, forse, nel 2020, la depressione non sarà la malattia più diffusa al mondo, come da
tempo ci sentiamo insistentemente ripetere».
Giusto Cabianca, Il Sé esaurito, Editrice Inapparente, Bardalonia 2008.
[cm 15 * 22, pp. 390, Euro 28]
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La pulsione a pettegolare e altre pulsioni simili
E’ con estrema gioia che presentiamo il volume di Antonio Peri dal titolo La pulsione a pettegolare
e altre pulsioni simili, che l’Editrice Inapparente manda in libreria il prossimo 20 marzo replicando
prevedibilmente i successi già ottenuti dagli altri volumi in catalogo, dal Finto tonto a Vacanze
psichiatriche, fino all’Inconscio multiplo. Tutti sappiamo che già Freud si misurò ad inizio del
Novecento con il concetto di pulsione, scrivendo che «la pulsione è una costituente psichica che
produce uno stato di eccitazione che spinge l’organismo all’attività, geneticamente determinata ma
suscettibile
di
essere
modificata
dall’esperienza
individuale»;
e
Freud
si
spinse
pure
all’individuazione di un catalogo delle pulsioni, comprendente tante pulsioni «quanti sono i tipi
noti di attività», e così scrisse, per esempio, sulla pulsione dell’Io, sulla pulsione di vita e sulla
pulsione di morte. Ora, riflettendo sul livello estremamente concettuale caratterizzante le pulsioni
individuate dal maestro viennese, il Peri finisce per giungere all’elaborazione di un catalogo di
pulsioni altrettanto vasto di quello finora conosciuto, ma la cui principale caratteristica è la
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maggiore concretezza che lo caratterizza, per cui apprendiamo di una serie di pulsioni la cui
origine va ricercata in «bisogni» assai più concreti e quotidiani dell’animo umano, come il bisogno
di mentire e quello per certi aspetti omologo di confessare, quello di chiacchierare, quello di
giocare e quello di prendersi cura di qualcuno. Ma è su quel bisogno di chiacchierare su cui
sembra fondarsi la cosiddetta «pulsione a pettegolare» che il Peri concentra gran parte della sua
attenzione, riconoscendoli «una potenza vitale straordinaria, a tal punto da dover ammettere che
le persone chiacchierone campano generalmente di più, con l’estremo sacrificio di chi sta loro
accanto».
Il volume del Peri si compone di due parti, una prima introduttiva sulla storia delle
pulsioni e una seconda maggiormente concentrata sulla pulsione a pettegolare, che si completa
con una ampia fenomenologia della cosiddetta «pettegolata», definita «come conversazione
protratta più o meno a lungo (spesso a lungo), per passatempo o come sfogo a considerazioni e
pensieri frivoli o banali oppure malevoli (spesso malevoli)». Oltre che della pettegolata, si
apprendono poi ulteriori definizioni come quella di «pettegolo» e «pettegolezzo», certamente utili a
chi si avvicinasse per la prima volta all’argomento e che altrimenti correrebbe il rischio di
perdersi. A fondamento della pettegolata, il Peri pone l’avere del tempo da perdere e il non sapere
come impiegarlo, osservando tuttavia «come l’impulso a pettegolare sia molto forte nelle donne di
una certa età, che pur avendo molteplici impegni da portare avanti (cura della casa, di un marito
e dei nipoti) trovano comunque il modo di pettegolare». In verità, osserviamo noi, potremmo dire
che la pettegolata è quell’unica attività tra le molte possibili del comportamento che si possa
svolgere in associazione con altre azioni, a parte quella di dormire o stare sott’acqua, dando per
scontato ovviamente di trovarsi in compagnia, anche se recenti ricerche dimostrerebbero da parte
di alcuni individui l’impulso a pettegolare addirittura in solitudine. Vale comunque sottolineare, a
parte quella ricreativa, l’altra funzione della pettegolata che la rende così diffusa nel consorzio
umano, vale a dire la funzione conoscitiva, per quanto la materia oggetto di conoscenza sia molto
spesso povera quando non del tutto insignificante.
Secondo il Peri, quando un individuo pettegola (emittente) c’è generalmente un altro
individuo in ascolto e desideroso di apprendere (destinatario), che presto cercherà a sua volta di
cambiare ruolo in una pettegolata successiva, che prevedibilmente avrà ampia probabilità di
svolgersi. In linea generale, avviare una pettegolata è come dare un calcio al pallone, si sa bene
quando sta per partire ma assai meno del suo futuro atterraggio; così, l’itinerario della pettegolata
va avanti generalmente come si va avanti in discesa, senza fare alcuno sforzo per spingere. In
fondo, la pettegolata è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare
della cosa da comprendere, da qui la naturale indifferenza dei pettegoli verso altre forme di
conoscenza, che non siano legate per esempio alla «tradizione» o all’«autorità» o alla «rivelazione».
Ed ecco che nelle ultime pagine il Peri non trattiene una certa acrimonia verso il pensiero
religioso, a suo dire ampiamente basato sull’impulso a pettegolare, che egli contrappone
correttamente a quello scientifico ma attribuendo a quest’ultimo, e meno correttamente ci sembra,
un primato tutto da dimostrare nel favorire assai più dell’altro la durata della vita. Per altro, qui il
Peri cade involontariamente in contraddizione, avendo sostenuto in precedenza, come anche noi
abbiamo riportato più sopra, che le persone pettegole campano probabilmente di più. Delle due
l’una: a meno di non ammetterne la coesistenza in uno stesso individuo, il che tuttavia confonde
invece di chiarire, o rende più longevi la pulsione a pettegolare oppure il pensiero razionale logicomatematico, trascurando, anche se del tutto arbitrariamente, il ruolo che possono aver avuto le
nostre preghiere quando davvero finissimo per salire al creatore molto in là con gli anni, evenienza
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la cui dimostrazione sembra ancora impossibile per homo sapiens, insieme all’esistenza di Dio ed
altre amenità simili. Ora, riconoscendo anche noialtri come più veritiera l’osservazione che i
pettegoli campano effettivamente di più, e senza voler nulla togliere al lavoro del Peri, vorremmo
tuttavia suggerire al lettore un terzo modo di affrontare l’interrogativo sulla longevità, che però
escluda ambedue le cause sopra esposte, forse troppo contaminate da una modalità forzatamente
binaria di ragionamento. Quello che proponiamo è di concentrarsi non tanto sui motivi per cui i
pettegoli campano di più, ma semmai su ciò che causa nei non pettegoli, o nei pettegoli ad un
grado più basso, di morire prima. Vale a dire ci chiediamo se vi siano altre circostanze
prevedibilmente associate ad una tendenza non pettegola di vivere gli scambi comunicativi, in
grado di giustificare le morti risultanti più precoci a paragone di quelle altre, più tardive, dei
pettegoli. A chi volesse avviare una ricerca in tal senso, proponiamo di riflettere per esempio sulla
tendenza all’obesità, sulla tendenza al perfezionismo o sulla tendenza al pensiero depressivo,
caratteristiche da indagare su due differenti gruppi sperimentali avendo cura di gestire l’impulso a
pettegolare al pari di una variabile indipendente; e chissà che alla fine non ci si trovi di fronte a
delle sorprese. Per ora tuttavia, in mancanza di ulteriori studi, il volume di Antonio Peri
sembrerebbe essere la migliore ricerca nell’attuale panorama editoriale intorno all’impulso a
pettegolare, ed è chiaro che lo consigliamo vivamente.
Antonio Peri, La pulsione a pettegolare e altre pulsioni simili, Editrice Inapparente, Bardalonia
2008.
[cm 15 * 22, pp. 390, Euro 28]
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Freud suicida e i suoi emuli
Tutti sappiamo quanto i libri scomodi abbiano difficoltà a trovare spazio nell’attuale panorama
editoriale, è così che accogliamo con estremo favore la scelta della Editrice Inapparente di
pubblicare questo saggio di Estrangelo Odessa dal titolo Freud suicida e i suoi emuli, il cui titolo
evoca fin da subito scottanti verità sulla storia della psicoanalisi. Il volume si presenta da una
parte come un utile saggio storiografico per chi volesse apprendere qualcosa di più intorno ad una
pagina oscura del pensiero psicoanalitico, la morte di Freud, dall’altra parte, concentrando una
certa attenzione su altri suicidi ben più conosciuti in ambito psicoanalitico, pone interessanti
interrogativi sulla professione dell’analista, sintetizzabili in brevi domande che potremmo così
formulare: quanto sono frequenti negli esperti delle malattie della mente quelle stesse patologie
che essi si propongono di curare? E come mai nella professione dello psichiatra e dello psicologo
vi si riscontrano un numero di morti suicide estremamente alto a paragone di quelle
caratterizzanti altre categorie professionali, come la categoria degli avvocati e degli architetti? E
infine, dando per scontato che il suicidio di molti psicologi sia il risultato di una patologia
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psichiatrica, quale spiegazione è da ritenersi più vera tra l’una che considera che sia il prolungato
contatto coi i malati di mente a condurre alla pazzia, e l’altra che invece considera che molti
psicologi siano già matti ben prima di iniziare l’esercizio della professione, che semmai avrebbe il
singolare vantaggio di indurli a posticipare l’estremo gesto? Domande effettivamente interessanti
con una serie di risvolti anche sul piano etico, per cui varrebbe la pensa di domandarsi,
osservando anche la scarsa riuscita di molti psicoterapeuti, con la sola eccezione di chi non
pratica, se davvero valga la pena di mantenere operativa la cosiddetta «cura basata sulla parola»,
non certamente per far risparmiare agli analizzandi quei soldi che altrimenti potrebbero impiegare
con maggiore riuscita, ma unicamente per permettere agli psicologi di suicidarsi prima.
Nella prima parte del saggio, Estrangelo Odessa, rovistando tra i polverosi documenti degli
Archivi Freud aventi sede a Vienna, ci racconta come fu Max Schur a somministrare a Freud
quelle dosi di morfina che gli causarono la morte, nella notte del 23 settembre 1939, rendendo
evidente
come
quella
del
maestro
non fu affatto
una
morte
«accompagnata»
dall’ago
dell’anestesista, e meno ancora una morte naturale, ma piuttosto una morte a tutti gli effetti
volontaria e voluta con estrema lucidità e fermezza. E apprendiamo da Schur, per mezzo di ampie
citazioni che Odessa trae dal Caso di Freud. Biografia scritta dal suo medico (edito per la prima
volta in Italia da Bollati Boringhieri nel 1976 e rieditato nel 2006 col titolo Freud in vita e in morte)
quanto sia singolare non che Freud si sia suicidato ma soprattutto che non si sia suicidato prima,
invece di aspettare il 1939 per trovarsi addirittura sul suolo inglese; è davvero singolare come
l’ampio uso di cocaina che Freud fece fin dagli ultimi anni dell’Ottocento, e il ricorrente
presentarsi di galoppanti crisi depressive, abbiano potuto preservare il maestro della psicoanalisi
da una morte volontaria più precoce. Ma seppure in ritardo, anche in questo Freud ha fatto
scuola, e così Odessa dedica quasi tutta la seconda parte del volume a narrarci di psicoanalisti
che si sono suicidati, in maniera più o meno bizzarra quando non spettacolare, come il suicidio di
Herbert Silberer, uno dei primissimi membri della Società psicoanalitica viennese, che si uccise a
quarantuno anni impiccandosi alle sbarre di una finestra. «Prima dell’insano gesto, però, aveva
sistemato una torcia elettrica in modo tale che la luce colpisse direttamente il suo volto, così, al
suo ritorno, la moglie avrebbe potuto vedere subito l’espressione della morte». All’indomani del
ritrovamento, si scrisse «che quello di Silberer sembra un suicidio riuscito, senza cioè tentativi né
minacce; in una certa misura, più una prova di sanità che del contrario», considerazione che oltre
a dire qualcosa di pregevole sulla fine di quel povero sciagurato, fa anche luce sulla perspicacia
dei molti analisti che si dedicano a commentare le gesta dei colleghi.
La psicoanalisi vanta al suo attivo almeno una quarantina di suicidi, numero aggiornato
agli anni Novanta. Tra gli italiani vale ricordare il nome di Vittorio Benussi, maestro di Cesare
Musatti che tanto si è speso nell’introdurre in Italia il pensiero di Freud. Altri nomi noti, sono
quelli di Wilhelm Stekel, psicoanalista austriaco, e Bruno Bettelheim, psicoanalista statunitense,
autore di discussi studi sull’autismo raccolti nella Fortezza vuota, e di Un genitore quasi perfetto.
Pur senza raggiungere l’originalità di Herbert Silberer, altri metodi che gli psicoanalisti hanno
adottato per farsi fuori sono: inserimento del capo dentro il forno della cucina, taglio dell’arteria
della carotide, defenestrazione, iniezione di vino barbera endovena, colpo di pistola, overdose di
farmaci, riempimento delle tasche con pietre e immersione in acqua. Ed è così che il volume di
Odessa, soprattutto verso la fine, si rivela anche un buon manuale di suicidio ad uso di aspiranti
morituri, siano essi oppure no curatori d’anime e di parafrenie. Certo che ammazzarsi da
psicoterapeuti offre maggiore gloria, potendo entrare a far parte d’una tradizione tanto fiorente, è
perciò che prima di sparire conviene sempre compiere qualche studio di comportamento, anche
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per vedere se davvero non valga la pena vivere; poi, una volta avuto l’accesso al setting, se l’idea
fosse ancora la stessa, vale provare a siringarsi del veleno mentre quello davanti a noi, di spalle,
parla, per assistere, ma ormai dall’aldilà, quanto tempo egli
impieghi a scoprirci defunti, ma
chissà che non vada via indifferente approfittando finalmente di non pagare.
Estrangelo Odessa, Freud suicida e i suoi emuli, Editrice Inapparente, Bardalonia 2007.
[cm 15 * 22, pp. 390, Euro 28]
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Psicostatistica potenziale
di Wislawa Szymborska
Su cento persone:
che ne sanno sempre più degli altri
- cinquantadue;
insicuri a ogni passo
- quasi tutti gli altri;
pronti ad aiutare,
purché la cosa non duri molto
- ben quarantanove;
buoni sempre,
perché non sanno fare altrimenti
- quattro, be', forse cinque;
propensi ad ammirare senza invidia
- diciotto;
viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa
- settantasette;
dotati per la felicità
- al massimo poco più di venti;
innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
- di sicuro più della metà;
crudeli,
se costretti dalle circostanze
- e' meglio non saperlo
neppure approssimativamente;
quelli col senno di poi
- non molti di più
di quelli col senno di prima;
che dalla vita prendono solo cose
- quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;
ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
- ottantatre
prima o poi;
degni di compassione
- novantanove;
mortali
- cento su cento.
Numero al momento invariato.
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Cacopoesie
di Lorenzo Barchetta
La mia personalità multipla
LA MIA DOPPIA PERSONALITA’
DA’ LUOGO A VARIE OPPORTUNITA’
LA MATTINA SEI LA MONTALCINI
LA SERA LA MONDAINI
ALLE DUE RAMAZZOTTI
ALLE TRE LA BANDA BASSOTTI
TI SVEGLI ROBIN HOOD
TI ADDORMENTI COCKWOOD
AL LAVORO ALDO MORO
IN DISCOTECA FABRIZIO MORO
A PRANZO TI CREDI NAPOLEONE
E LA SERA CORLEONE.
(Senza titolo)
L’ANORESSIA E’ MALINCONIA
IL MIO NOME E’ LUCIA
VOGLIO ESSERE PERFETTA E NON MANGIO LA COTOLETTA
VOLEVO FARE LA MODELLA
MA NON ERO ABBASTANZA BELLA
ORA PIEGO LA TESTA SUL WATER
PERCHE’ HO MANGIATO UN SOLO WAFER
ADORAVO DANZARE IN TUTU’
ADESSO
DAVANTI ALLO SPECCHIO
MI CHIEDO “CHI SEI TU”
CUCU’!
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Fiore di cardo
Centro Malessere e Degradazione fisica
di Silvia Defant
Il Centro Badness «Fiore di Cardo» è un progetto che nasce dall’esigenza di completare le
insostituibili terapie psicologiche con adeguati trattamenti per il corpo; il disagio mentale può
infatti essere favorito e coltivato minando sistematicamente l’equilibrio fisico.
Il
nostro
centro
adotta
terapie
specifiche
indicate
nelle
patologie
degenerative,
infiammatorie e traumatiche, garantendo l’aumento del numero di episodi acuti.
DIAGNOSTICA
Check-up delle potenzialità stressogene
TERAPIE
Auricoloterapia
Stimolazione molesta dei punti riflessi del padiglione auricolare con la finalità di intervenire
aggravando comfort funzionali, cefalee e ansia.
Scollega-mente
Corso teorico-pratico di gingillometria applicata per destrutturare la memoria, indebolire
l’attenzione, sfavorire la concentrazione.
Aiuta ad abbassare in modo considerevole le performance intellettive nella vita quotidiana, nel
lavoro, nello studio.
Insensibil-mente
I sensi sono i nostri lati deboli esposti al mondo. Valutiamo insieme i più vulnerabili per
sviluppare semplici ed efficaci tecniche per garantire la loro perpetua
impermeabilità.
Golosa-mente
«Sono depresso, quindi mangio»
Scoprire e consolidare le cattive abitudini alimentari per portare in tavola consapevolmente
preoccupazione e stress.
Tecniche d’ingozzo e conseguente «rigurgito programmato».
Nozioni di base di «fame nervosa».
MASSOTERAPIA
Massaggio stress
Attraverso colpi secchi e ben piazzati si interviene sull’equilibrio posturale, destabilizzandolo,
ottenendo la parziale e momentanea paralisi di taluni arti.
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Massaggio stressante a 4 mani
30 minuti di incessante solletico eseguito contemporaneamente da due esperti, agisce sulle fasce
muscolari donando un generale senso di impotenza.
DISCIPLINE ORIENTALI
Massaggio Tibetano
Dall’antichissima tradizione tibetana il massaggio inizia con lunghi momenti di apnea imposta,
facilitando l’aumento del battito cardiaco e una generale sensazione di svenimento.
Massaggio Yoga-Thai
Trae origine dai monasteri tibetani e indiani dove la pratica dello Yoga faceva parte della disciplina
quotidiana. Forti della totale e irrecuperabile estraneità a detta cultura, in quanto occidentali,
attraverso repentine e vigorose manovre passive si conferisce al corpo rigidità e malessere, grazie
anche alle numerose possibili contratture, favorendo tensioni croniche e acciacchi di varia natura.
Massaggio Shiatsu metodo del Maestro Ohashi – Lezioni di coppia
Un’ora per la coppia motivata ad imparare un modo diverso ma appropriato di infastidirsi
vicendevolmente con l’antica pratica della violenza fisica. Un modo naturale, un contatto, un vero
e proprio «scambio di energia» che garantisce una crescita esponenziale dei livelli di tensione.
Apnea coatta
Tecniche d’apnea volontaria per provocare frequenti ed efficaci interruzioni dell’apporto di
ossigeno alle cellule celebrali, utili nelle fasi critiche della giornata.
Sabbiature oculari
30 minuti d’ immersione in una «tempesta di sabbia» con gli occhi adeguatamente dilatati da un
apposito apparecchio, utili per raggiungere un buon danneggiamento della cornea.
64
L’empatia
di Paolo Albani
Di una strana forma d'empatia soffriva Gustav Klenze, un impiegato del Museo d'Arte Moderna
(MUMOK) di Vienna.
Klenze era un uomo sulla cinquantina, di media statura e aveva pochi capelli e un occhio,
il sinistro, che guardava dalla parte opposta del destro; inoltre teneva sempre la pipa spenta in
bocca, il che gli conferiva, insieme all'accentuato strabismo, un'aria che lo faceva somigliare
vagamente a Jean-Paul Sartre.
Era sufficiente che Klenze si soffermasse a guardare uno che stava lavorando, che era
affaccendato in qualche occupazione (e più l'occupazione era pesante e più l'effetto empatico si
manifestava in modo esplosivo, incontrollabile), che dopo, puntualmente, si sentiva stanco,
provato, fiacco e senza forze come se avesse lavorato lui, e non la persona oggetto della sua
investigazione.
Gli attacchi di empatia si annunciavano sempre allo stesso modo: Klenze cominciava a
sudare, a sentirsi dei dolorini un po' dappertutto, ai muscoli delle braccia e delle gambe, e anche
alla schiena, e sul collo, come quando uno ha i sintomi dell'influenza, e poi gli entrava un forte
mal di testa, un dolore martellante alle tempie e dietro la nuca, che per farselo passare doveva
prendere subito un optalidon, e mettersi a letto.
Klenze era cosciente del suo fastidioso disturbo. Così, se passeggiava in un parco e per
caso lì nei dintorni c'era un uomo che potava una siepe in cima a una scala rifilando violenti colpi
di cesoia o armeggiava solerte in mezzo ai fiori di un'aiuola o zappettava nel prato, Klenze si
voltava dall'altra parte e lo ignorava. Se poi gli capitava d'incrociare uno che faceva jogging, che
correva verso di lui trafelato, con la maglietta intrisa di sudore e i polpacci in tensione, alzava gli
occhi al cielo e aspettava che sparisse dalla sua visuale.
A causa dell'empatia di cui soffriva, Klenze aveva in odio - e non era da biasimare per
questo - certe persone visibilmente prestanti che gli provocavano quelle reazioni inconsulte.
In particolare non poteva vedere i facchini delle piccole stazioni, sopraffatti da montagne di
valigie, messe anche sottobraccio e a tracolla per portarne di più, e i muratori nei cantieri, e poi
gli acrobati del circo che si producono in esercizi faticosissimi, gli scaricatori di porto, quelli che
lavorano ai mercati generali, che già all'alba cominciano a sollevare pile di cassette e non si
fermano mai, gli operai che sventrano l'asfalto delle strade con i martelli pneumatici e continuano
a vibrare anche quando sono in pausa, e in genere tutti coloro che praticano dello sport, gli atleti.
Fra gli sport, più di tutti, Klenze detestava il sollevamento pesi e la lotta libera: sarebbe
morto se lo avessero costretto ad assistere a una di quelle competizioni, sia pure in tv.
Una volta Klenze svenne in strada davanti a un negozio di barbiere nei pressi della
cattedrale di S. Stefano. Accadde un istante dopo che aveva guardato, soprapensiero, un uomo
corpulento scendere da uno scivolo appoggiato sul portellone aperto di un camion con la scritta
«TRASLOCHI BERNHARD»: l'uomo, curvo quasi ad angolo retto, puntando i piedi, portava sulla schiena
una lavatrice.
65
Ciò che pare non è
Ovvero la Sindrome del vanesio sconsolato
di Patrizia Barchi
Vanitas vanitatis et omnia vanitas. . . Vanità delle vanità, dice Qoèlet, tutto è vanità. In ogni
tempo, sul tema della vanità tanto è stato scritto e pensato: ad esempio, Flaubert la poneva «alla
base di tutto» poiché «anche la coscienza non è altro che vanità interiore» e Berto le ha dedicato
un intero libro, L’elogio della vanità, in cui si domanda cosa sia la vanità, dove abbia origine, quali
utilità o problemi essa produca all’individuo. Una curiosità: nell’Ottocento Paul Lacroix traccia il
profilo del bibliomane vanitoso: «Ha delle belle edizioni, delle splendide rilegature, una biblioteca
ben selezionata e ben ordinata; spende delle somme immense per completarla […]; del resto egli
non legge, e spesso non ha mai letto. […] La sua biblioteca è una curiosità che esibisce a tutti»51.
Il detto popolare «chi è gravido di vanità partorisce menzogne» è in sintonia col De Mauro, che
definisce vanesio «colui che si compiace in modo fatuo e vanitoso di qualità che in realtà non
possiede, rivelando un carattere vacuo e superficiale»52. Secondo le statistiche ufficiali, la
Sindrome del vanitoso colpisce soprattutto soggetti di sesso maschile in età compresa tra i 10
anni e la morte e consiste in un’alterazione dei neuroni, anche se non si sa ancora a quale livello
del cervello. L’insorgenza dei sintomi, che avviene di solito nell’adolescenza, è piuttosto lenta;
all’inizio si tratta di semplici tic narcisistici come fare la doccia sei volte al giorno e specchiarsi
nelle vetrine o nelle pozzanghere, poi però, con l’andare del tempo, la malattia assume tratti
inconfondibili, con manifestazioni conclamate e risolutive da rendere possibile la formulazione di
una corretta diagnosi. L’età di mezzo (35-45 anni) è quella in cui si raggiungono i picchi massimi,
mentre in età senile la malattia tende a regredire nuovamente in alcuni semplici tic narcisistici,
come pettinarsi spesso i pochi capelli in capo o attribuirsi doti e prestazioni ormai scomparse. Per
questa ragione, la sindrome rientra nello spettro dei cosiddetti disturbi a campana, così chiamati a
causa del loro caratteristico andamento simile alla curva di una campana.
Illustrazione grafica dei disturbi a campana:
Età di mezzo
(picchi massimi)
Adolescenza
Età senile
(tic narcisistici)
(tic narcisistici)
51
Paul Lacroix, Les amateurs de vieux livres, Editions des Cendres, Paris 1994. pp. 37-42.
52
Tullio de Mauro, Dizionario della lingua italiana, Mondadori, Milano 1999.
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Nella fase acuta della malattia, cioè nell’età di mezzo, i pazienti presentano comportamenti
caratteristici, in particolare manifestano un morboso interesse verso il proprio corpo: bagni al
propoli, capelli impomatati, saune, terme e palestra diventano strumenti indispensabili per
sentirsi in salute forti belli virili e capaci di superprestazioni in più campi. La cura del corpo è un
continuum della dieta del vanitoso: carne bianca, broccoli, sushi, integratori vitaminici (barrette),
fagioli, caffè d’orzo. È curioso che il profilo psicologico del paziente-tipo trovi corrispondenza con
quello dell’italiano medio: entrambi non leggono libri (salvo riviste di fitness o la gazzetta dello
sport), frequentano bar e circoli dove parlano solo agli uomini (essendo poveri di argomenti con
l’altro sesso) di donne, di avvenimenti sportivi, di quanto sono bravi a fare qui e a fare là, delle
ultime conquiste (inesistenti), delle (pseudo) prestazioni sessuali, dell’ultima (immaginaria)
vacanza in Sardegna; possiedono una bella macchina, che lavano e lucidano dentro e fuori ogni
sabato pomeriggio alle due e mezzo, sono maschilisti, poveri di spirito, deboli di carattere, amano i
festeggiamenti calcistici, i vestiti firmati, sputare sentenze. Il paziente, in compagnia di amici
ostenta vanitosamente le proprie doti fisiche e intellettuali (che vede solo lui) per ottenere
ammirazione, lode, stupore. Infatti, egli ama soprattutto stupire, raccontare leggendarie imprese
personali, usare toni pomposi, ricevere glorie e plausi (la caratteristica psicologica fondamentale è
quella di mettere in mostra le proprie presunte qualità per sentirsi apprezzare, ammirare, lodare).
Si rivolge allo psicologo quando, disilluso, si rende conto che nessuno gli dà ascolto, quando in
società non ottiene il successo sperato. Stando ai dati, 7 pazienti su 10 all’analisi psicologica
accusano marcato sconforto, Depressione da invisibilità sociale (DIS) e desiderio incoercibile
(strong-desire) di mettere in atto i comportamenti vanesi, nonostante si rendano conto delle
conseguenze negative che possono derivarne sul piano relazionale. Vi sono oggigiorno diverse
terapie per la Sindrome del vanesio sconsolato, molte delle quali possono alleviare i sintomi e la
sintomatologia generale, ma non esiste ancora un trattamento definitivo. Nuove speranze
provengono dall’ultimo ritrovato in campo farmacologico, il PPPP, Piccolo Proprio Piccolo Principe,
uno stimolatore di quei neuroni che non si sa cosa regolano: si sa però che aiuta il paziente a
trovare idealmente un pianetino tutto suo, dove può liberamente apparire migliore di quello che è,
mentire a se stesso e agli altri, compiacersi e farsi compiacere. Come il Piccolo Principe, che
poteva ammirare gli adorati tramonti semplicemente spostando una sedia, così il farmaco aiuta il
vanesio a compiacersi semplicemente inghiottendo una pillola. E’ importante personalizzare la
terapia a seconda della gravità della malattia e a seconda dell’età del soggetto. In ogni caso, lo
psicologo sarà consapevole che più di tanto non potrà essere fatto, poiché «meno si ha ingegno,
più abbonda vanità», come recita la saggezza popolare.
67
Scuola elementare per diventare malati di mente
di Patrizia Barchi
Scuola affiliata al
CSPI (Centro Studi Patologie Inapparenti),
Via Cerreta, 229-229, località verde e montagnosa
attraversata dal torrente Limestre
(che percorre serpeggiando il territorio da est a ovest),
a soli 5 km dal Libero territorio di Bardalonia
Direttrice: Patrizia Barchi
Vicaria: Gabriella Signorini
(anche docente in gingillometria piana, nonché uno
dei massimi esperti nel campo gingillometrico, in ambito nazionale)
Introduzione del Ministro della P.I. (Pazzia Inapparente)
Nell’epoca attuale «fare scuola» significa soprattutto dare senso, valore e dignità al matto: questa
è la sfida. Una scuola che intende educare le nuove generazioni a diventare malati di mente deve
aver chiari alcuni fondamentali punti. Il primo punto è «chi educhiamo». Non possiamo non
trovarci d’accordo che il nostro compito è quello di educare la persona che ha deciso di diventare
malata di mente: un essere unico ma anche ripetibile. Educare significa trarre fuori e consolidare
quanti più sintomi, disturbi di tipo psico-socio-senso-affettivo-relazionale-percettivo-cognitivo,
alterazioni e interrelazioni anomale dei diversi aspetti che strutturano la personalità, per
sviluppare un’identità di matto consapevole e aperta. La scuola elementare per diventare malati
mentali deve essere un luogo dove si riconosce significato alla pazzia, dove sono possibili la
trasmissione e la libera manifestazione dei sintomi che peggiorano la qualità della vita del ragazzo
e dove si valorizzano sentimenti e atteggiamenti di carattere depressivo, vissuti emozionali di
inadeguatezza, limiti cognitivi. Soprattutto deve essere un ambiente che infonde scoraggiamento,
dipendenza, ansia, depressione, inibizione, frustrazione, cercando di stimolare schizofrenie,
psicosi, deliri, allucinazioni di vario tipo e quant’altro.
Il secondo punto fondamentale è «perché educhiamo». Anche in questo caso non possiamo non
essere d’accordo che educhiamo per:
1. consegnare il patrimonio di malati mentali che ci viene dal passato perché non vada
disperso e possa essere messo a frutto (si studiano e si prendono a modello le vite di Van
Gogh, John Nash, Antonio Ligabue, Alda Merini, Dino Campana, Gaetano Donizetti, ma
anche quelle di Wilhelm Reich, Gustav Jung, Erasmo da Rotterdam, Alejandro Jodorowsky,
Edmondo de Amicis, Sandor Ferenczi, Isaac Asimov, Cesare Lombroso, Alfred Attendu e
altri matti illustri);
2. preparare al futuro introducendo i giovani matti nella vita adulta;
68
3. accompagnare e sostenere il faticoso percorso di formazione della propria personalità
psicotica.
L’obiettivo della scuola elementare per diventare malati di mente non è di proporre un’educazione
che spinga all’inserimento positivo nella società e a fare scelte autonome e feconde, bensì di
accompagnare il malato mentale passo dopo passo nello sviluppo della malattia, affinché non
guarisca e ne resti dipendente tutta la vita.
Il Ministro
Aspetti organizzativi
Organizzazione oraria della scuola elementare: ingresso ore 6.00, uscita ore 20.00.
Spazi: la scuola consta di 555 aule, 11 sezioni per classe. Attualmente si arriva fino alla sezione
M, ma il numero è inesorabilmente destinato ad aumentare. Vi sono 33 laboratori, 3 per ogni
sezione. La scelta del numero esiguo dei laboratori, oltre a ragioni oggettive legate allo spazio
disponibile, dipende dal fatto che si vuole abituare i bambini a lavorare e collaborare con i
compagni di tutte le classi, per entrare in contatto e assimilare più malattie di mente possibili. Le
attività laboratoriali, gestite solo da insegnanti cacopedici, vengono svolte nelle ore pomeridiane e
prevedono strettamente sei materie di studio, una da approfondire ogni anno e due in quinta.
Sono: lesioni della fantasia in prima, rifiuti di psicologia in seconda, gingillometria piana in terza,
ignorantologia in quarta, psicologia involutiva e stipsi culturale in quinta.
Arredi: la scuola non ha mensa, né giardino, né palestra.
Servizi: non esistono il servizio trasporto, di medicina scolastica, sportivo.
Integrazione di alunni senza deficit: non esiste per nulla.
Accoglienza e inserimento alunni stranieri: molto efficace solo nel caso di sicuri motivati a
diventare malati di mente.
Continuità con altre scuole: è prevista solo con l’Università di Psicologia Cacopedica del Centro
Studi Patologie Inapparenti (CSPI), alla quale vi si può accedere direttamente dopo la quinta.
Risorse professionali: possono intervenire nella realizzazione e nello svolgimento dei progetti della
scuola esperti e docenti cacopedici già impegnati in specifici settori di lavoro, come elaboratori di
nuove voci diagnostiche nella ricerca psicopatologica, o scrittori di opere e manuali di
psicocacopedia generale.
Aggiornamento professionale: i maestri e le maestre della scuola elementare per diventare malati
di mente possiedono la laurea in Psicologia Cacopedica, conseguita presso l’Università del CSPI.
Tuttavia, in ogni scuola che si rispetti, il continuo aggiornamento è basilare. Nel nostro caso, è
obbligatorio e il mancato adempimento comporta multe salate fino all’espulsione dalla scuola
stessa. Agli insegnanti è richiesto un continuo autoaggiornamento in materia di psicoterapia
69
peggiorativa, tesa a educare all’equilibrio e alla stabilità della malattia mentale. Essi devono
seguire regolarmente, un giorno si e uno no, convegni e lezioni tenuti da insegnanti cacopedici
presso il CSPI. Gli argomenti trattati riguardano una particolare forma di psicologia, cosiddetta in
regress, ovvero quella psicologia che ha come oggetto di studio i modi e i metodi per peggiorare,
aggravare, danneggiare e porre in condizioni sempre più svantaggiose alunni già con situazioni
mentali altamente patologiche, in modo che non ci siano mai - e poi mai - anche i più
microscopici miglioramenti. È importante che tutti i maestri adottino la stessa metodologia di
insegnamento: un rapporto direttivo, autoritario, non empatico finalizzato a fornire all’alunno
disorientamento, inconsapevolezza, incapacità di leggere le proprie emozioni e gestirle, senso di
irresponsabilità, non cura di sé.
Clima della scuola: per un proficuo sviluppo e consolidamento della patologia mentale, la scuola
non punta sul dialogo e la collaborazione con i genitori i cui figli hanno deciso di diventare malati
di mente. Tra i docenti del plesso non c’è intesa né rispetto, la direttrice non è disponibile ad
ascoltare le loro problematiche, né quelle dei genitori, è però aperta all’innovazione nel campo
della regressione mentale e mantiene stretti contatti con tutti gli istituti simili, come l’IDV (Istituto
di Demenza Volontaria) o la facoltà di Irrilevanza Comparata.
Programmi e aree disciplinari
Area linguistico- espressiva
Dopo un’attenta osservazione delle prestazioni che risultano inadeguate (esempio il bambino
arriva a scuola che sa già scrivere il nome in stampatello, leggere qualche parolina, eseguire
semplicissime somme), si rinforzeranno tutte le difficoltà che possono costituire il blocco per le
successive acquisizioni necessarie all’apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo veri
e propri. Si dovranno sviluppare i prerequisiti necessari per non imparare mai a leggere, scrivere e
far di conto. Pertanto, attraverso la scelta di specifiche attività didattiche, si cercherà di
confondere e di non sviluppare mai:
1
la direzionalità
2
la sequenzialità spazio-temporale
3
lo schema corporeo
4
il controllo del proprio movimento
Nel malato di mente devono permanere per tutto l’arco della vita rigidità mentale, egocentrismo,
visione sincretica e confusa del mondo, difficoltà di calcolo (incolonnamento, direzionalità, ecc.).
Andranno altresì incoraggiati gli atteggiamenti di dipendenza dall’adulto e valorizzati anche i più
piccoli sintomi di disturbi di apprendimento fin dalla loro insorgenza. Andranno rinforzati (se
necessario facendo ricorso ad atteggiamenti colpevolizzanti e predicatori, ricatti, punizioni o
sotterfugi):
5
gli sbagli
6
le esitazioni
7
le svalorizzazioni di se stessi
70
Area storico-geografica
È l’area delle scienze cacostoricogeografiche che si occupano dello studio delle società formate
soprattutto da matti irrecuperabili, nello spazio e nel tempo. Al loro interno si articolano i temi
relativi alla storia della pazzia e alla sua collocazione geografica, il cui scopo è quello di arrivare a
costruire percorsi strutturati socialmente e spazialmente differenziati su come diventare malati
mentali. Quest’area è particolarmente importante, dal momento che uno dei suoi obiettivi centrali
è lo sviluppo di disturbi che non permettano ai soggetti di diventare attivi cittadini e di rimanere
per sempre emarginati dalla società in cui vivono, cioè dei pesci fuor d’acqua. Gli alunni dovranno
rendersi conto che conoscere la storia della malattia mentale, nazionale, europea e mondiale, li
aiuta a capire meglio e a consolidare adeguatamente il proprio disturbo. Vediamo quali sono i
traguardi di sviluppo da raggiungere al termine della classe quinta:
1. L’alunno conosce elementi significativi dei matti del passato e del loro ambiente di vita
(manicomi, case di cura, ospedali psichiatrici ecc.);
2. Riconosce le tracce (luoghi che emarginano e matti inguaribili) presenti sul territorio e
ne comprende l’importanza;
3. Si rende conto che lo spazio geografico è costituito da elementi fisici e antropici (es.
reparto psichiatrico/malato mentale) strettamente collegati tra loro;
4. Sa ammalarsi concretamente, attingendo all’esperienza quotidiana e al bagaglio di
conoscenze su matti del passato recente e lontano.
Area matematico-scientifica-tecnologica
È l’area delle discipline che studiano e propongono i modi di non pensare, gli artefatti involutivi e
le esperienze regressive che possono proficuamente incidere su tutti gli aspetti della vita dei
giovani aspiranti malati di mente. Queste conoscenze contribuiscono in modo determinante alla
formazione psicopatologica degli alunni, in particolare insistendo sullo sviluppo dell’incapacità di
mettere in rapporto il pensare con il fare. I principi della matematica e dell’informatica sono oggi
indispensabili per sviluppare soprattutto l’incapacità di critica, di giudizio, di ragionamento e
l’inconsapevolezza delle proprie affermazioni (l’obiettivo è non capire, non capire ciò che si dice,
parlare a vanvera). Le discipline dell’area hanno in comune l’esperienza del laboratorio, sia come
luogo fisico, sia come momento in cui l’alunno non è attivo, non progetta e non sperimenta, in
altre parole non impara - e non dovrà mai imparare - a risolvere problemi da solo. Gli strumenti di
indagine propri dell’area matematica servono a potenziare i disturbi e i problemi psicologici che
già si possiedono e a favorire la nascita di nuovi; inoltre, permettono di approfondire la
comprensione della propria malattia, incrementando la motivazione a peggiorare.
La Direttrice
Patrizia Barchi
71
Risacca
Ovvero ciò che il mare di cazzate della psicologia
lascia sulla spiaggia
di Sandro Franceschini
Tacchi da Panico
Origine del
Disturbo del comportamento
alimentare
72
Preso e Pubblicato
Quella che segue è opera d’involontarie menti cacopediche, che decidiamo di
pubblicare senza apportarvi alcuna modifica, a parte l’omissione dei nomi degli
autori per rispetto delle loro evidenti condizioni psicopatologiche.
ReFES rete
fiorentina
per l’economia
solidale
Associazione culturale
Sinergie Loc. Piè Tassito
Introdacqua 67030 (Aq)
12 - 17 marzo 2007
Calenzano – (Fi)
Pontenuovo, Strada Provinciale Barberinese
Asineria di Arci Asino
Corso di formazione per operatori
in
ATTIVITA' ASSISTITA DALL'ASINO
(onoterapia)
Come utilizzare l’Asino nelle attività ludiche, didattiche, terapeutiche.
L’Asino come partner di mediazione nella relazione.
L’Attività Assistita con l’Asino è una pratica equestre che utilizza l’asino come strumento
terapeutico e si concretizza in un «complesso di tecniche di educazione e rieducazione» mirata ad
ottenere il superamento di un danno sensoriale, motorio, cognitivo, affettivo e comportamentale.
Un approccio dalle infinite potenzialità che si propone come co-terapia funzionando da
«acceleratore» delle acquisizioni, dell'efficacia e dei risultati di altre terapie.
73
E' una tecnica che sta attirando l'attenzione di molti specialisti e la considerazione di numerosi
centri terapeutici. Riprende il concetto di «pet», animale d'affezione, e si rivolge ad un'utenza che
spesso esprime un disagio o un malessere sul piano dell'adattamento, della socializzazione, del
comportamento, dell'affettività.
E' un metodo attivo, che non permette mai di restare passivi o di isolarsi. L'asino, per le sue
caratteristiche: morbido, disponibile e affettuoso, svolge un ruolo fondamentale. L'istituirsi di un
sistema di comunicazione asino-utente-operatore, crea un contesto educativo ed evolutivo in un
ambiente gradevole, ricco di stimoli, a contatto con la natura.
L'Attività Assistita con l’Asino, per la natura stessa dell'animale, per la specifica funzione di
facilitatore dell'operatore, per la metodologia d'approccio, ha la capacità di ridare fiducia, di
rimettere in moto i sentimenti e il piacere della comunicazione emotiva. Possono trovare vantaggio
dall’Attività Assistita con l’Asino persone sole, cardiopatici ed ipertesi, bambini ed anziani, malati
psichiatrici e tossicodipendenti, detenuti, sieropositivi, audiolesi e non vedenti. Persone con
problemi di ansia, stress, accettazione, disarmonia emotiva. Con problemi della personalità e dello
sviluppo. Dalla forma più lieve di instabilità emotiva all'autismo.
Disturbi dell’attenzione, del sonno, dell’alimentazione, dell’aggressività, dei livelli di attività e di
eccitabilità sono spesso una risposta a uno stato emotivo di malessere, sono il sintomo di un
disagio, sono la reazione a dinamiche educative poco funzionali e/o inadeguate.
L'attività con l'asino ci aiuta a recuperare una comunicazione autentica, semplice, profonda,
basata sulla corporeità, sulla spontaneità, sul gioco. Si gioca insieme in un ambiente sereno,
divertente, affettivo, dove la presenza dell'asino crea costantemente situazioni buffe, divertenti,
nuove, stimolanti.
Nella relazione utente-asino si instaura un importante canale di contatto corporeo attraverso il
quale si acquisisce controllo e fiducia di sé, si favorisce un arricchimento sensoriale ed emotivo, si
stimola una riorganizzazione delle strutture psichiche in un clima relazionale che permette di
lasciarsi andare.
L’asino è un animale molto adatto allo scopo, grazie al temperamento docile, alla sua intelligenza
e memoria.
L’Associazione Sinergie «Progetto Asinomania», forte dell’esperienza accumulata in anni di
attività, intende realizzare un servizio innovativo, integrato sul territorio, in grado di garantire ai
bambini ed agli adulti in difficoltà, la fruizione completa del diritto alla riabilitazione ed
all’integrazione.
Gli iscritti
Il corso è indirizzato: - a tutti coloro che amano gli Asini; - a chi desidera realizzare una attività
nuova e particolare; - a coloro che progettano un cambiamento nella propria vita; - a chi cerca
tranquillità, pace e vuole procedere a passo d’Asino; - a figure professionali di diversa estrazione:
animatori, conduttori di gruppo, educatori, operatori sociali, volontari, insegnanti, medici,
psicologi, infermieri, fisioterapisti, agricoltori, asinieri.....
74
Finalità
Permettere ad ognuno di chiarire a se stesso i propri progetti e ciò che intende costruire con
l’asino. Acquisire competenze tecnico-teoriche e sviluppare abilità sul piano pratico.
Direttore del corso
(omissis)
Psicologo analista, Direttore del centro di Asinomania
Presidente del Consorzio Nazionale Allevatori di Asini (Coldiretti)
Durata
Durata complessiva del corso in ore 54, dal lunedì 12 marzo al sabato 17, ore 9,00- 19,00.
Destinatari
Numero complessivo destinatari 20.
Con priorità per residenti nella provincia di Firenze e Prato.
Infoline:
Assoc. Pantagruel 055 473070
Assoc. Arci Asino Castello 348 9384829
E-mail: [email protected][email protected]
www.arciasino.org
Prezzo di partecipazione 650,00 euro
La quota include: prima colazione e pranzi
Prenotazione 200,00 euro tramite bonifico bancario a:
(omissis). Conto banco posta n. (omissis)
75
Auto (caco) analisi
E . . . Saluti e baci!!!
La periodicità di Psicologia cacopedica è scandita in gran parte dai picchi maniacali del
sottoscritto, da collocarsi generalmente durante il mese di gennaio e precisamente nella terza e
nella quarta settimana; non è un caso che anche quest’anno la rivista arrivi in «edicola» nel
periodo del freddo, precisamente in questo inizio di febbraio, un ritardo di pochi giorni rispetto al
numero precedente che tuttavia è da attribuirsi a motivazioni organizzative più che umorali.
L’ipotesi che ritengo più verosimile è che il picco maniacale tragga origine dalla ingente quantità di
cioccolata che ingerisco durante le feste natalizie, anche se invero cerco di mantenere un livello di
assorbimento abbastanza alto durante tutto l’anno. L’insorgere del periodo creativo si manifesta
generalmente con una certa irrequietezza, ho difficoltà nell’addormentamento e spesso sono
costretto ad alzarmi dal letto e fare un giro per casa con la speranza di calmarmi. In questi
momenti non è raro che abbia delle intuizioni psicologiche davvero simpatiche, che devo cercare
di appuntare al più presto pena il rischio di dimenticarle e passare l’indomani nel tentativo di
farmele tornare in testa, spesso inutilmente. Durante questo periodo non noto un aumento degli
scambi verbali con le persone che mi stanno vicino, salvo sentirmi spinto a comunicargli che sto
attraversando un periodo «cacopedico», vale a dire un periodo bizzarro, con attacchi di bischerite
acuta e una agitazione motoria davvero difficile da sopportare. Con il passare dei giorni mi viene
spontaneo ridurre l’alimentazione, e a distanza di due settimane si aggiungono dei risvegli precoci
al mattino, che sinceramente sfrutto con molta gioia per lavorare, qualcosa di incredibile a
paragone degli sforzi per alzarmi dal letto che sono costretto a compiere per tutto il resto
dell’anno. Il periodo massimamente produttivo lo raggiungo generalmente intorno al venti di
gennaio, giorno più giorno meno, un periodo assai rischioso per me, avendo spesso accusato
l’impulso a fare davvero qualcosa fuori dall’ordinario, che magari avrebbe potuto compromettermi
la vita futura. Fortunatamente ho imparato a custodirmi, così esco senza soldi per evitare spese
che non potrei permettermi, evito di guidare l’auto e cerco di non trovarmi in posizioni rialzate da
terra per essere sicuro di non buttarmi. Davvero la lotta spirituale è tremenda come qualsiasi
guerra (Rimbaud).
Nel grafico è possibile osservare il mio livello dell’umore (in ordinata) in relazione ai mesi dell’anno
(in ascissa). E’ ben visibile il picco cacopedico che generalmente cade nel mese di gennaio.
50
40
30
20
10
0
Gennaio
Marzo
Maggio
Luglio
76
Settembre
Novembre
Nel periodo maniacale, un fatto che davvero non finisce di sorprendermi è la solidarietà che ricevo
dalle persone che conosco, o almeno da alcune di loro; procura una strana gioia sentirsi compresi
quando si sa bene di essere fuorditesta. Alternativamente, posso pensare che lo siano anche i miei
simili, ma questa mi pare un’idea troppo irrispettosa per essere vera; piuttosto, sono convinto che
Patrizia Barchi, Paolo Albani, Silvia Defant, Sandro Franceschini e Lorenzo Barchetta, abbiano
finto malesseri simili ai miei per evitare che da solo mi distruggessi, anche se davvero, ad oggi, mi
riesce difficile decidere se essergli riconoscente più per il loro spirito infermieristico o per quello
che ha finito per dare (diciamo involontariamente) ampio rinforzo al mio delirio. Che si sia tutti
malati?
Malattie a parte, rimane ora doveroso pagare dei debiti. La poesia di Wislawa Szymborska
(originariamente Contributio alla statistica ma che io ho ribattezzato Psicostatistica potenziale) è
tratta dal volume Adelphi Discorso all’Ufficio oggetti smarriti. Le vignette alle pagine 6, 16 e 49
sono di Massimiliano Bucchi e sono apparse sul quotidiano la Repubblica; quella di pagina 52 è
sempre di Bucchi ma è apparsa sul settimanale Venerdì. La vignetta di pagina 75 è tratta dal sito
tuttoperilsuicidio.8m.com, che consiglio vivamente di consultare evitando tuttavia di farlo nei
periodi depressivi. Non si sa mai. I disegni alle pagine 25, 36 e 43 sono tratti dal volume Esercizi
di stilo di Franco Matticchio, mentre il disegno sulla quarta di copertina è del mio amatissimo
Guido Ceronetti. Infine, il volantino del corso di onoterapia è arrivato sul mio computer per mezzo
di quelle decine di mail che ogni giorno ricevo ma che solo parzialmente guardo, ma ammetto che
quando l’ho scoperto mi è andata parecchio bene. Più che gli estensori di quel delirio involontario,
mi sento di ringraziare il CESVOT che con tanta generosità si è perfino spinto a sostenere (coi
nostri soldi?) un Corso di formazione per operatori in attività assistita dall’asino, un’iniziativa che
davvero contribuisce a ricordarmi come i miei sforzi (caco)immaginativi debbano ancora
raggiungere il massimo dell’allenamento, ma soprattutto, spiace dirlo, come la cacopedia abbia
ancora da continuare ad essere un work in regress, per cui piuttosto che creare occorre
distruggere,
dato
che
tanto
frequentemente
in
molti
si
sono
dati
alla
pazzia,
pur
inconsapevolmente. Ma questo fa sempre piacere.
Un doveroso ma sincero ringraziamento a Silvia Defant che si è avvicinata alla causa
cacopedica con grande slancio; è lei che ha curato l’impaginazione del testo nonché la grafica dei
volumi inapparenti.
Arrivederci al prossimo gennaio, a meno che la serotonina non salga prima.
M.P.
77
Brevi Anamnesi Individuali
Paolo Albani. Rettore dell’Un.Po (Università del Po), istituzione associata alla prestigiosa
L.U.I.S.A. (Libera Università Internazionale di Scienze Anomale), fa parte del Comitato Scientifico
dell’I.I.R.E.F.L. (Institut International de Recherches et d’Explorations sur les Fous Littéraires) in
quanto studioso di teorie bizzarre e improbabili (Forse Queneau. Enciclopedia delle Scienze
Anomale, Zanichelli 1999); è inoltre docente di Linguistica fantastica alla Facoltà di Scienze inutili
di Barcellona dove tiene un corso sui linguaggi immaginari (Aga magéra difúra. Dizionario delle
lingue immaginarie, Zanichelli 1994; Les Belles Lettres 2000) e membro della sezione italiana della
londinese Joseph Crabtree Foundation, dedicata alla vita e alle opere di un personaggio d’incerta
esistenza; non disdegna gli esercizi imbastiti dall’Opificio di Letteratura Potenziale e la lettura di
libri irreali (Mirabiblia. Catalogo ragionato di libri introvabili, Zanichelli 2003).
Lorenzo Barchetta. Il mio nome è Lorenzo ma non ha senso. Sono una pornostar e anche
rockstar.
Patrizia Barchi. Insegnante di scuola primaria di indole vivace, aspetto inappariscente, carattere
dolce. In gioventù è stata ricoverata per una decina d'anni presso l'ex manicomio di Villa Sbertoli
a Pistoia, esperienza che ha segnato positivamente la sua vita futura conferendole quella follia
necessaria per riscuotere successo sociale e lavorativo: è direttrice della scuola elementare per
malati di mente, segretaria del CSPI, scrittrice della domenica, psicologa cacopedica, pittrice di
volti disperati, fotografa digitale.
Silvia Defant. Nata nel 1973 conduce una vita minata dalla normalità, fin quando, raggiunta l’età
adulta, venuta in contatto con personalità di spicco del mondo cacopedico, si avvicina a speciali
tecniche autolesive, che poi la condurranno a fondare il Centro Malessere e Degradazione Fisica
«Fiore di Cardo».
Sandro Franceschini. Vive e lascia vivere. Svolge attività di gabinetto nella regione Toscana,
precisamente a Prato, una o due volte al giorno. Laureato in una disciplina rinomata e frivola, ha
prodotto numerose pubblicazioni, la più conosciuta delle quali Mente e parcheggiamento è stata
tradotta in 7 lingue da lui create appositamente. Anela alla pratica della Suinicultura.
Giuseppe Frosini. Pseudomino di [omissis]. Psicologo cacopedico e umorista, docente di
Psicologia Potenziale e di Psicoterapia Regressiva, malato mentale volontario dal 1995 ovvero
dall’anno in cui raggiunge la maggiore età; inoltre, soffre involontariamente di Depressione
improvvisa, soprattutto quando sente dire cose che non stanno né in cielo né in terra. Membro del
Centro per la Valutazione dell’Imbecillità Sociale (CENVIS), dell’Associazione per lo Sviluppo delle
Forze Opposte al Lavoro (ASFOL) e dell’Istituto di Demenza Volontaria (IDV). Fonda nel 2006 il
Centro Studi Patologie Inapparenti e nell’anno successivo amplia i suoi interessi verso la
Psicoterapia Regressiva fondando la Scuola di Specializzazione omonima. Vanta numerose
pubblicazioni cacopediche ma raggiunge la notorietà nella comunità scientifica con la creazione
del Manuale preventivo dei disturbi mentali, giunto alla seconda edizione.
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Sommario dei numeri precedenti
Psicologia cacopedica n.1, primavera 2006
L’editoriale
Papini Giovanni
Sindrome da Sonnolenza notturna
Sàndor Ferenczi
Disturbo di accrescimento normale
Alfred Attendu
Disturbo da disoccupazione mentale
Note sulla Cacopedia
Sindrome da marito pensionato
Facolta di Psicologia Cacopedica
Compulsione pneumodinamica
La biblioteca dello psicologo cacopedico
Disturbo dell’inconscio
Anticipazioni sul prossimo numero
I nostri miti:
In redazione
Giordano Fossi
Psicologia cacopedica n.2, gennaio 2007
Una psicologia al potenziale
Autofobia
Sindrome del bibliofilo inappagato (di Paolo Albani)
L’ansia della tartaruga
Sindrome del cardioleso
Overdose cognitiva
Sindrome delle illusioni perdute
Masturbazione compulsiva
Sindrome da intrappolamento
Stipsi mentale
Disturbo oppositivo-provocatorio del pene
Sindrome da defecazione ostruita
Disturbo della velocità
Sindrome da indipendenza da sostanze
Il disturbo mentale per le persone noiose
Diagnosi preventiva
Manuale preventivo dei disturbi mentali
Intervista a Inconscio
Libri cacopedici (di Patrizia Barchi)
Psicoanalisi del mal di denti
Disturbi del sistema binario
Facoltà di Psicologia cacopedica
Gingillometria piana (di Gabriella Signorini)
La ricerca cacopedica
Bardalonia
Nevromachia (di Giuliana Maldini)
Tanto di cappello a
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I Congresso Internazionale di
Psicologia Cacopedica
Centro Studi Patologie Inapparenti (CSPI)
Sponsored by Istituto di Demenza Volontaria (IDV)
Bardalonia, 24 luglio 2008
Presidente del Congresso:
Giuseppe Frosini
Comitato Scientifico:
Paolo Albani, Patrizia Barchi, Silvia Defant,
Sandro Franceschini, Lorenzo Barchetta,
Gabriella Signorini, Fabrizio Giannini
Segreteria organizzativa:
CSPI
Via Sant’Espedito (protettore dei casi disperati), 802 – Bardalonia.
Tel. 339.317890287670
Language:
The official congress language will be English, but a limited number of session will be
simultaneously translated into Italian.
Reduced rates:
Students and members of IDV, ASFOL, CENVIS, AIAMC, SITCC.
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Informazioni generali:
Le domande di iscrizione, unitamente all’attestazione del pagamento della quota, dovranno essere
inviate alla Segreteria Organizzativa entro il 1 maggio 2008. Le quote di iscrizione per l’intero
Congresso sono: 300 Euro quota intera, 250 Euro per chi avesse diritto alla riduzione, 150 Euro
per gli accompagnatori. La quota d’iscrizione dà diritto alla partecipazione ai lavori del Congresso
alla cena di Gala che si svolgerà la sera del 24 alle ore 21. Chi volesse l’attestato di partecipazione
(gratuito) è pregato di mandare una comunicazione scritta alla segreteria.
Programma preliminare:
-
L’apprendimento del linguaggio dei matti nelle fasi dello sviluppo
-
Come simulare la malattia mentale
-
La valutazione cacopedica: presentazione del Test d’Ottundimento Cognitivo (TOC)
-
Violenza sui giovani adulti: quando fermarsi?
-
Nuovi metodi di suicidio
-
Le Nuove Dipendenze Patologiche
-
L’abolizione della fame in soggetti soprappeso
-
Depressione post-coitale: un progetto d’intervento
-
Choc da invecchiamento e ideazione suicidaria
-
Conseguenze dell’abuso sessuale infantile: quali rischi per gli abusanti?
-
Lo smaltimento degli anziani
-
Nuove terapie per la depressione da vedovanza
-
La fenomenologia del «dar di balta»
-
Lo psicoterapeuta è uno psicopompo?
-
Nuovi comportamenti autolesivi
-
Il metodo «Perdolatesta»: programma di analisi e modificazione del comportamento
-
Stare zitti. Nuovi metodi per l’apprendimento del mutismo selettivo
-
Come farsi una weltanschaung psicotica
-
La manutenzione del disagio mentale
-
La diagnosi differenziale in ambito cacopedico
-
La Teoria della prassi postergata
-
Nuovi metodi per rimuovere i ricordi
-
La simulazione dell’età pensionabile in soggetti stanchi di lavorare
-
Nuovi metodi per la circonvenzione degli incapaci
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Come contribuire alla ricerca cacopedica
Chi intendesse dare un contributo alla ricerca cacopedica può farlo sottoscrivendo l’abbonamento
a Cortocircuito, rivista di cultura ludica, cacopedica e potenziale (direttore: Sandro Montalto)
disponibile o ordinabile nelle librerie fiduciarie Joker e per abbonamento. Abbonamento ordinario
annuale € 15,00 - sostenitore € 20,00 - per paesi UE € 25,00; per paesi extra UE € 30,00; da
versarsi sul Conto Corrente Postale n. 40946642 intestato a: Edizioni Joker s.a.s., oppure sul
conto
bancario
Bancoposta
Impresa
(IBAN:
IT29U0760110400000040946642,
BPPIITRRXXX) di Edizioni Joker s.a.s.
Sito Internet: http://www.edizionijoker.com/cortocircuito%202007_1.html
Altre risorse:
http://www.paoloalbani.it
http://space.tin.it/giochi/palbani
http://www.ilcaffeillustrato.it
http://www.deriveapprodi.org/estesa_rivista.php?id=88
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