Comunità Montana Valtellina di Sondrio GESTIONE E VALORIZZAZIONE DEGLI ALBERI FORESTALI IN PROVINCIA DI SONDRIO Comunità Montana Valtellina di Sondrio Ideazione: Area Agricoltura della Comunità Montana Valtellina di Sondrio Realizzazione: Massimo Pizzatti Casaccia Testo e disegni di Massimo Pizzatti Casaccia Fotografie di Massimo Pizzatti Casaccia e Giampaolo Palmieri Stampato dalla Tipografia Polaris - Sondrio nel settembre 2004 Si ringraziano la Segheria Masotti F.lli per la gentile collaborazione e tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa pubblicazione. Comunità Montana Valtellina di Sondrio Via Nazario Sauro, 33 23100Sondrio www.cmsondrio.it Indice PRESENTAZIONE INTRODUZIONE 5 7 PARTE PRIMA: GLI ALBERI, IL BOSCO, IL LEGNO Gli alberi forestali della nostra Provincia La gestione del bosco Caratteristiche del legno Misurazione del legno Segagione e stagionatura 9 9 10 13 21 23 PARTE SECONDA: LE SPECIE Abete bianco Abete rosso Aceri Bagolaro Betulla Carpino nero Castagno Cembro Ciliegio Faggio Frassini Larice Noce Olmi Ontani Pino silvestre Pioppo tremolo Robinia Rovere Salici Tasso Tiglio 27 27 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52 54 56 58 60 62 64 66 68 70 ORIZZONTI VEGETAZIONALI GLOSSARIO 72 73 Presentazione Fra i compiti istituzionali di una Comunità Montana vi è anche quello di assicurare la valorizzazione delle zone montane non solo garantendo una funzione di coordinamento, supporto ed incentivazione delle attività mirate alla valorizzazione delle risorse naturali, ma anche promuovendo iniziative di studio e di divulgazione. In quest’ottica, la Comunità Montana Valtellina di Sondrio si è trovata a svolgere un sempre più importante ruolo di “garante” per uno sviluppo sostenibile del proprio territorio. In più occasioni è stato ribadito quanto il comparto forestale risulti importante per le aree montane come la nostra, non fosse altro che per assicurare una gestione integrata del territorio mirata al rispetto delle risorse naturali ed al miglioramento delle condizioni di vita di chi vi abita e vi opera. Non si può infatti dimenticare il peso che da sempre rappresentano i boschi nella nostra Comunità Montana; a fronte di una superficie di circa 79.000 ettari, gli ambiti boscati ammontano a più di 27.000 ettari, di cui il 76% di proprietà pubblica ed il restante 24% di proprietà privata. Sulla base di tali premesse, è nata l’idea di realizzare questa pubblicazione tecnico-operativa, che vuole rappresentare un agile strumento di supporto per quegli operatori che, pur non essendo “esperti” nel settore, intendano operare una corretta gestione e valorizzazione della risorsa forestale. L’ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA Geom. Giovanni Negri IL PRESIDENTE Dott. Aldo Faggi 5 6 Introduzione Sulla botanica, sulla selvicoltura e sulla tecnologia del legno non manca la letteratura specifica; questa pubblicazione si vuole avvicinare a chi ha poca familiarità con i termini scientifici, ma frequenta il bosco, e vuole approfondire le proprie conoscenze sugli alberi che lo popolano. La conoscenza non è finalizzata solo all’utilizzo del legno, per cui una specie legnosa risulta più o meno adatta ad un certo impiego, ma anche ad approfondire l’aspetto naturalistico: non si vuole certo stimolare il taglio irresponsabile degli alberi, quanto piuttosto comprendere il valore di un albero nel suo ambiente. E’ difficile riunire in un “volumetto” nozioni di selvicoltura e di tecnologia del legno; il fatto di approfondire gli aspetti tecnologici vuole essere un aiuto ad individuare il miglior impiego dell’albero quando questo “diventa” legname. Tutto il materiale legnoso può essere bruciato nelle stufe o nei camini, o negli impianti che servono grandi insediamenti o molte abitazioni. Prima di essere bruciato o di essere altrimenti decomposto, l’albero può vivere una seconda vita dopo il taglio, certamente meno maestosa e appariscente, ma altrettanto dignitosa e utile, nei manufatti, che da sempre accompagnano la vita dell’uomo. Non compaiono qui tutte le conoscenze pratiche sull’uso del legno, ma sicuramente quelle basilari, che permettono di apprezzare le differenze esistenti tra le varie specie e di valorizzare gli assortimenti legnosi. Mi auguro che questa pubblicazione possa far conoscere il valore e le potenzialità di un tronco, prima che venga sezionato come legna da ardere o che rimanga a marcire in bosco. Ben inteso, sia la legna da ardere sia il processo di decomposizione del legno hanno, pur su scala differente, una grandissima utilità, ma rappresentano le “ultime“ possibilità che un legno ha di rendersi utile, e, come già detto, di vivere una seconda vita. L’uso cosciente e responsabile delle risorse locali rinnovabili, nel nostro caso quella legnosa, ci avvicina consapevolmente alla natura: fare selvicoltura significa, infatti, non solo tagliare gli alberi, ma anche permettere ed assecondare la crescita di nuovi alberi, curare i giovani boschi, confrontarsi con ritmi biologici diversi dai nostri. In questo modo si può meglio comprendere ed apprezzare il paesaggio forestale che ci circonda, ma anche valutare ciò che a volte accade, nel campo delle utilizzazioni legnose, in Paesi che non fanno selvicoltura, bensì tagli di rapina, compromettendo la vitalità e l’esistenza stessa dei propri boschi, con l’unico scopo di immettere sul mercato mondiale ingenti quantitativi di legname a basso prezzo, o di sostituire il bosco con usi speculativi ed effimeri del suolo. Le piante verdi, grazie alla fotosintesi clorofilliana che avviene nei tessuti fogliari, “consumano” anidride carbonica e rilasciano nell’aria ossigeno. Le foglie stanno sui rami, formando fronde ombrose. I rami sono saldamente inseriti nel fusto tramite la deviazione dei tessuti di accrescimento annui: ecco i nodi. Ciò che nella pianta ha un significato strategico, nel legno può apparire come un difetto. Allo stesso modo la resina, l’imbarcamento, l’alburno e così via. Il legno può essere interpretato come una “ struttura leggera a basso consumo energetico che la natura ha inventato per permettere alle specie di competere tra loro a costi ridotti nella lotta per la sopravvivenza” (C. Mattheck e H. Breoler). Una corretta segagione, una buona stagionatura e un bravo falegname possono rendere il dovuto omaggio a questo materiale naturale. Si precisa che il linguaggio ed i termini adottati sono volutamente semplici, anche se talvolta non corretti sotto l’aspetto scientifico, con lo scopo di rendere il più possibile comprensibile la trattazione. 7 8 Gli alberi forestali della nostra Provincia PARTE PRIMA GLI ALBERI IL BOSCO IL LEGNO Gli alberi che formano i boschi della nostra Provincia sono comuni a tutto l’arco alpino, e non solo. In questo manuale compaiono le specie autoctone o naturalizzate, giudicate meritevoli di trattazione nei riguardi della loro diffusione, dell’importanza economica e dell’impiego del legno. Le specie trattate sono una trentina; quelle normalmente note nel mondo rurale, almeno col nome, sono circa al metà; quelle poi veramente conosciute, oltre che col nome, anche sotto l’aspetto botanico, ecologico e dell’impiego del legno sono veramente poche. Eppure camminando in un bosco con spirito osservatore, è facile incontrare in pochi minuti una decina di specie arboree diverse. Abete rosso, Larice, Castagno, Robinia sono tra le specie note a tutti, se non altro all’impatto visivo; all’atto dell’utilizzazione, la maggior parte delle specie legnose finisce indistintamente nel “calderone” della legna da ardere, senza sapere che, con le dovute cure, un giovane albero può diventare, in qualche decennio, un fornitore di legname da lavoro di ottima qualità. All’opposto, capita di vedere impianti forestali abbandonati o non correttamente curati, dai quali i proprietari si aspettano di ottenere ricavi decisamente spropositati rispetto le caratteristiche degli alberi presenti. Non è sufficiente piantare alberi di Noce per avere un reddito futuro: un cattivo Noce vale meno di una bella Betulla! La maggior parte delle specie trattate è autoctona, cioè sin dalla sua comparsa sulla Terra, si è diffusa anche sulle nostre montagne, subendo le vicissitudini sconvolgenti legate alle glaciazioni ed in generale ai cambiamenti climatici. Nei secoli l’uomo ha favorito, consciamente o inconsciamente, certe specie a danno di altre, esercitando il taglio dei boschi, a volte anche in modo indiscriminato. Pensando al Castagno, è facile credere che la sua ampia diffusione sia stata sostenuta e favorita dall’uomo, che per secoli lo ha coltivato. Alcune specie si sono diffuse in seguito all’importazione da paesi lontani di pochi soggetti, all’epoca sconosciuti; il clima ed i terreni ad esse adatte ne hanno permesso l’inserimento stabile anche nei nostri boschi: pensiamo alla Robinia, che viene dagli Stati Uniti, all’Ailanto e alla Buddleia, che vengono dalla Cina. Nel secolo scorso furono condotte sperimentazioni per migliorare i boschi italiani, introducendo specie esotiche dalle quali si sperava di ottenere buoni risultati in termini di produzione legnosa; ne 9 fu interessata anche la nostra provincia, con piantagioni di Douglasia, Cedri e Pini strobi. I risultati della sperimentazione non furono incoraggianti, e tuttora si possono osservare le piantagioni superstiti, ormai abbandonate alla libera evoluzione. La gestione del bosco I boschi in cui l’uomo non esercita alcuna attività ( taglio o pascolo) o non arreca azioni di disturbo più o meno pesanti (come lo sono gli incendi), sono soggetti alla sola evoluzione naturale, o libera evoluzione. Perché si possano vedere i segni della libera evoluzione, tuttavia, è necessario che un bosco segua questo destino almeno per qualche decennio, se si tratta di bosco giovane, o tempi più prolungati in caso di boschi adulti. Molti boschi delle zone meno accessibili, come quelli dei pendii più ripidi, ostacolati dalle balze rocciose e difficili da percorrere sono attualmente soggetti alla libera evoluzione; il fatto che non sempre ospitino alberi secolari, può derivare dal fatto che il terreno fertile a disposizione sia limitato e non ne consenta la crescita, oppure che si trovino in una fase ancora giovanile. Chi osserva bene, infatti, potrà trovare qualche segno dei tagli eseguiti nel passato: ceppaie quasi decomposte, funi metalliche ( residui di vecchie teleferiche), aie carbonili ecc., testimoni dei tempi in cui lo sfruttamento del bosco era molto intenso. I boschi che periodicamente vengono tagliati, invece, sono sottoposti ad un regime selvicolturale. In seguito al taglio, lo spazio disponibile viene occupato da nuovi alberi, che si possono originare dalla germinazione dei semi, provenienti dalle piante rimaste in piedi o dalle stesse piante tagliate, quando ancora non lo erano, oppure possono originarsi dai ricacci delle gemme presenti sulla ceppaia delle piante tagliate. Inoltre, anche superfici che fino ad un determinato momento non erano bosco, possono trasformarsi in boschi, come è il caso di molti terreni agricoli abbandonati. Se nel bosco prevalgono nettamente le piante nate da seme, il bosco è una fustaia (foto 1); se prevalgono i ricacci delle ceppaie, detti polloni, il bosco è un ceduo (foto 2). Fustaia o ceduo determinano il governo del bosco. Naturalmente sono possibili, anzi sono assai frequenti, anche le situazioni miste, soprattutto quando i tagli riguardano superfici di limitata estensione e sono eseguiti in epoche diverse. Spesse volte, come sovente accade nei boschi frammentati secondo la proprietà, si susseguono su piccole superfici tratti di fustaia, di ceduo, di situazioni miste (ceduo matricinato, ceduo sotto 10 fustaia). La scienza forestale che tratta il taglio e la cura dei boschi, cioè la selvicoltura, impartisce regole precise per la gestione dei diversi tipi di bosco; per contro, la gestione ordinaria dei boschi deriva da un mosaico di situazioni particolari, create da soggetti con competenze e finalità diverse. Il diritto di proprietà dei boschi non consente di esercitarvi qualsiasi attività. In tutte le civiltà e in tutti i paesi, gli ordinamenti giuridici riconoscono l’utilità dei boschi, indipendentemente da chi ne sia il proprietario, a favore della collettività, e ne tutelano la conservazione. L’ordinamento giuridico italiano fornisce le basi per la tutela dei nostri boschi già dal 1923; la legge più importante a tale riguardo era il Regio Decreto Legge 3267 del 1923, in seguito modificato ed integrato da varie leggi statali e regionali. Lo Stato Italiano inoltre ha demandato alle Regioni le funzioni amministrative che riguardano i boschi, e la Regione Lombardia, al pari delle altre, ha emanato a sua volta una serie di norme che riguardano il settore forestale. Particolare importanza assumono la legge regionale 8 del 05/04/1976 (in seguito modificata dalla L. R. 80 del 22/12/1989), che impartisce le linee della politica forestale in Lombardia, e il Regolamento Regionale 1 del 23/02/1993, che contiene le Prescrizioni di Massima e le Norme di Polizia Forestale. A chi esegue periodicamente attività selvicolturali nel bosco (tagli, ripuliture ecc.) si consiglia vivamente la lettura di queste ultime. Le fustaie possono essere coetanee, quando le piante hanno la stessa età, a meno di pochi anni di differenza. Le fustaie coetanee si possono originare a seguito di tagli che interessano tutte le piante presenti in un certo bosco: lo spazio rimasto vuoto viene occupato dalla rinnovazione naturale (foto 3), ossia dalle piantine che nascono dai semi che germogliano, e il taglio si chiama taglio raso. La rinnovazione naturale è il metodo migliore e più sicuro che permette la perpetuità dei boschi; le giovani piantine sono adatte al bosco in cui nascono, perché figlie delle piante preesistenti nello stesso luogo, che a loro volta vi si sono adattate. Le fustaie coetanee si originano anche a seguito dei tagli successivi: la rinnovazione naturale si insedia dopo dei tagli che si fanno ad intervalli. Essi consistono in taglio di preparazione, taglio di sementazione, tagli secondari, che favoriscono l’illuminazione del suolo, la fruttificazione e la disseminazione delle piante mature e la nascita delle piantine, e taglio di sgombero, che elimina le rimanenti piante del vecchio ciclo quando le giovani piantine sono ormai affermate. A differenza del taglio raso, il trattamento dei tagli successivi man- 1) Fustaia di Abete rosso 4) Perticaia di Pino silvestre 2) Ceduo di Faggio 3) Rinnovazione naturale 11 tiene sempre una buona copertura del suolo, utile per la sua protezione. Quando si decide di impiantare un bosco nuovo, o quando la rinnovazione naturale tarda ad insediarsi, o non corrisponde alle specie desiderate, si può ricorrere alla piantagione di piantine nate nei vivai forestali. A questo riguardo è utile precisare che la provenienza del seme da cui sono nate le piantine non deve essere casuale: l’abete rosso che proviene dalla Siberia può non essere adatto alle Alpi; sulla stessa catena alpina si susseguono zone con clima e terreno diversi, e l’abete rosso di una zona può non essere adatto ad essere piantato in un’altra. Naturalmente quanto detto per l’abete rosso vale anche per tutte le altre specie. E’ facile intuire come le fustaie coetanee con rinnovazione naturale, nelle fasi iniziali, contengano un numero altissimo di giovani piante (foto 4), e man mano che le piante crescono, il loro numero diminuisce sensibilmente. Ciò che succede è la selezione naturale, che fa in modo che le piante superstiti siano le più vigorose e adatte al bosco in cui si trovano. Nelle fustaie coetanee sottoposte a regime selvicolturale è opportuno eseguire degli interventi che assecondino ed accelerino il processo di selezione naturale; questi interventi sono gli sfolli ed i diradamenti (foto 5), ed hanno lo scopo di eliminare le piante più deboli e di cattivo aspetto, regolando la densità del bosco a livelli ottimali. Quando la fustaia coetanea è matura si eseguono i tagli di utilizzazione, che corrispondono al taglio raso o ai tagli successivi, a seconda del trattamento adottato. Quando le piante della fustaia non hanno la stessa età, ma convivono sulla stessa superficie piante mature, piante giovani e rinnovazione naturale, si dice che la fustaia è disetanea. Durante le utilizzazioni i tagli che si eseguono riguardano piccole aree disposte a macchie sull’intera superficie del bosco; il trattamento adottato è quello del taglio saltuario. Nelle aree di taglio si utilizzano poche piante mature e contigue, e all’occorrenza si possono eseguire sfolli e diradi che riguardano le piante più giovani presenti in quella stessa area. La rinnovazione naturale si instaura solo nelle buche create a seguito del taglio delle piante mature. I tagli saltuari si possono eseguire ogni 10-20 anni, e col tempo si percorre tutta la superficie del bosco; le buche create coi primi tagli ospiteranno piante mature, e le buche più recenti piante più giovani, determinando così il tipico aspetto della fustaia disetanea. Dalle fustaie si ricavano assortimenti legnosi di grandi dimensioni, che vengono impiegati come legname da lavoro. 12 Il governo a ceduo può essere applicato solo a quei boschi formati da specie che hanno la capacità di riprodursi per via vegetativa, ossia che possono emettere polloni (foto 6). Abete rosso, Abete bianco, Larice e Pino silvestre, che formano gli estesi boschi di conifere delle nostre montagne, non hanno la capacità di riprodursi per via vegetativa, e per essi il governo a fustaia è l’unico possibile. Al contrario la maggior parte delle latifoglie nostrane è in grado di riprodursi sia per seme che per via vegetativa: il governo scelto per i boschi di latifoglie può quindi essere sia il ceduo che la fustaia. Il taglio del bosco ceduo viene praticato durante il riposo vegetativo; le Prescrizioni di Massima stabiliscono le date di inizio e di termine del periodo di taglio, differenziate a seconda della quota del bosco. La rinnovazione avviene all’inizio della stagione vegetativa successiva al taglio, grazie alle gemme presenti sulla ceppaia, che germogliano. I polloni che si originano crescono velocemente, se paragonati alle piantine nate da seme della stessa specie. Una piantina di Castagno di un anno raggiunge circa 10 cm di altezza, mentre un pollone, sempre di Castagno, al primo anno può superare il metro. I semi presenti in terra germogliano anche nel bosco ceduo, ma l’ombra eccessiva proiettata dai polloni non permette lo sviluppo delle piantine, che presto deperiscono. Solo dove le ceppaie sono più rade, o dove una ceppaia perde la vitalità e non forma più polloni, le piantine si possono sviluppare ed affermarsi. La vitalità delle ceppaie dura per qualche ciclo, e poi comincia a decadere, e il selvicoltore deve fare in modo di rimpiazzare quelle esauste. I polloni, grazie alla loro rapida crescita, possono essere tagliati a intervalli piuttosto ravvicinati; il periodo di tempo che intercorre tra un taglio e l’altro si chiama turno. All’epoca del taglio, le piante nate da seme avranno dimensioni assai minori dei polloni nati lo stesso anno, e sarà opportuno risparmiarle; verranno tagliate nei turni successivi, quando potranno fornire gli assortimenti desiderati. Se appartengono ad una specie che può riprodursi per via vegetativa, formeranno nuove ceppaie. I semi da cui nascono le piantine possono essere prodotti sia dai polloni che dalle piante nate da seme; in entrambi i casi vengono considerate matricine. Per garantire una continua sostituzione delle ceppaie che di volta in volta si esauriscono, le Prescrizioni di Massima impongono, per certe specie, il rilascio al momento del taglio di un certo numero di matricine, che potranno essere tagliate nei turni successivi. Le matricine, oltre a produrre semi, hanno il compito di proteggere il suolo, che altrimenti subito dopo il taglio rimarrebbe scoperto. Per questo motivo le matricine devono avere buone caratteristiche di stabilità, soprattutto nei confronti del vento e della neve. Il ceduo in cui non si allevano le matricine viene detto semplice, mentre nel caso opposto matricinato. Per le specie più vitali, come il Castagno e la Robinia, il riscoppio dei polloni dopo il taglio è molto rigoglioso: su una ceppaia sola si possono formare diverse decine di polloni. Questo numero è certamente eccessivo se si considerano i polloni che effettivamente possono raggiungere lo scadere del turno con un buon accrescimento ed una buona conformazione. Analogamente alle fustaie nelle fasi giovanili, anche per il giovane ceduo sono opportuni degli interventi di selezione dei polloni, con cui si eliminano quelli più deboli, male ancorati alla ceppaia, storti, ammalati ecc., per rilasciare solo quelli che possono raggiungere lo scadere del turno in buone condizioni (foto 7). Un particolare trattamento del ceduo è il ceduo a sterzo; in questo caso all’epoca del taglio si preleva solo una parte dei polloni, scelti tra i più vecchi. Sulla ceppaia rimangono sempre dei polloni, più giovani di quelli tagliati, che garantiscono una buona protezione del suolo. Durante il taglio si esegue anche lo sfollo dei polloni più giovani in soprannumero; i tagli vengono ripetuti all’incirca ogni 810 anni, e i polloni più vecchi raggiungono l’età di 24-30 anni. Questo trattamento è adatto alle specie che gradiscono l’ombra, come il Faggio. Gli assortimenti legnosi che si ottengono dal ceduo sono di dimensioni inferiori a quelli delle fustaie mature; l’assortimento principale oggigiorno è la legna da ardere e la paleria agricola o per bioingegneria; dalle matricine si può ottenere legno da lavoro. Caratteristiche del legno Le piante legnose presenti sul nostro territorio e che hanno significato per la produzione legnosa, si ripartiscono in conifere e latifoglie. Le prime prendono il nome dal frutto che producono, ossia la pigna, a forma di cono, ed hanno le foglie allungate, a forma di ago, e perciò sono dette anche aghifoglie. Le latifoglie prendono il nome dall’avere la lamina fogliare più o meno espansa, e sono dette anche piante “da foglia”. Nel nostro clima gli alberi si accrescono secondo il ritmo delle stagioni, formando degli strati di legno che si dispongono uno sull’altro, e che nelle sezioni trasversali dei tronchi appaiono come anelli (fig. 1). In primavera, quando il suolo ha una buona dispo- Fig. 1 - Schema dell’accrescimento legnoso in sezione longitudinale (sinistra) e trasversale (destra). nibilità di acqua, inizia l’accrescimento dell’anno, con la formazione, immediatamente sotto la corteccia, e quindi in posizione esterna rispetto agli altri strati, della prima parte del nuovo strato legnoso, ricco di canali che trasportano la linfa grezza dalle radici alle foglie. Il nuovo strato legnoso termina sui getti di accrescimento con la cacciata dell’anno. Col progredire della stagione vegetativa prosegue l’accumulo di legno, con canali di trasporto e materia di sostegno. In estate si completa l’accrescimento, con accumulo di sostanza di sostegno più densa e spesso di colore più scuro. Questa successione è visibile nelle sezioni trasversali dei tronchi: la parte chiara dell’anello corrisponde al legno primaverile, quella più scura o più densa al legno tardivo. Il legno delle conifere è composto soprattutto da elementi che hanno il compito di trasportare la linfa e di sostenere la pianta, che si chiamano tracheidi, 13 Fig. 2 - Legno di conifera in sezione radiale (ingrandito). e si sviluppano in direzione dell’asse del fusto; si possono trovare inoltre i canali resiniferi, anch’essi in direzione assiale, che trasportano la resina (fig. 2). Nel legno delle latifoglie il trasporto della linfa è svolto da canali detti vasi, mentre il sostegno della pianta spetta alle fibre. I raggi esistono sia nelle conifere che nelle latifoglie, e si sviluppano in senso trasversale, dal midollo verso l’esterno, come i raggi di una ruota. In certi casi i canali resiniferi, i vasi ed i raggi possono essere visti a occhio nudo, o meglio con una semplice lente di ingrandimento. Per osservare il legno e riconoscere i suoi elementi, è necessario definire le direzioni e le corrispondenti sezioni fondamentali. Se si taglia un tronco lungo il proprio asse, come si fa comunemente per ricavare le tavole, si crea una sezione longitudinale; in particolare, se il taglio passa per il midollo, la sezione viene detta longitudinale radiale (fig. 3), mentre se non passa per il midollo la sezione si dice longitudinale tangenziale (fig. 4). Naturalmente il taglio radiale, su tutta la lunghezza di un tronco, a causa della non perfetta dirittezza di quest’ultimo, Fig. 3 - Tronco in sezione radiale. Fig. 4 - Tronco in sezione tangenziale 14 Fig. 5 - Tavole in sezione trasversale. In alto: tavola radiale; in basso: tavole tangenziali. potrà non interessare sempre esattamente il midollo, ma la sezione nel complesso viene comunque detta radiale. Se il taglio del tronco viene fatto perpendicolarmente all’asse, come quando si fa il taglio di abbattimento di una pianta, si ottiene una sezione trasversale (fig. 5). L’osservazione del legno riesce più agevole se le superfici sono ben lisce: le sezioni longitudinali dovranno essere piallate, e la trasversale piallata o eseguita con una lama circolare di precisione. Il taglio con la motosega, a causa della superficie di taglio scabra che lascia, spesso non consente una buona osservazione. La successione degli anelli di accrescimento si osserva bene in sezione trasversale; si può inoltre rilevare la differenziazione tra alburno, che è la corona più esterna di legno, e durame, che è la parte più interna (foto 8). L’alburno è di colore chiaro, mentre il durame, se è differenziato, è di colore più scuro; il limite tra le due zone può coincidere con un anello di accrescimento, oppure essere irregolare. Sempre in sezione trasversale si possono osservare la presenza di canali resiniferi, nel caso delle conifere, e la disposizione dei vasi nel caso delle latifoglie. Certe latifoglie come il Frassino e la Robinia formano i vasi con diametro maggiore nel legno primaverile, che di conseguenza risulta molto poroso, e quelli con diametro via via più piccolo nel legno tardivo, che di conseguenza risulta più compatto e denso. Questa particolare disposizione dei vasi nella cerchia annuale prende il nome di porosità anulare; quando invece i vasi si distribuiscono omogeneamente nella cerchia annuale, il legno risulta a porosità diffusa (fig. 6). Quando si prende in esame il legno di una certa specie ai fini delle lavorazioni, è importante riconoscere la tessitura e la venatura. La tessitura deriva dalla disposizione e dalle dimensioni degli elementi che costituiscono il legno: Frassino e querce, ad esempio, hanno tessitura grosso- lana, dovuta alla porosità anulare, mentre Acero e Ciliegio hanno tessitura fine. La tessitura può essere osservata sia in sezione trasversale che nelle sezioni longitudinali. La venatura è il disegno formato dalla successione delle cerchie di accrescimento annuali, ed è particolarmente evidente quando il passaggio da una cerchia a quella successiva è marcato da un cambiamento di colore, come avviene ad esempio nel Larice e nell’Olmo. L’effetto più appariscente della venatura si osserva nelle sezioni longitudinali: nella longitudinale radiale si ha la venatura a rigatino, mentre nella longitudinale tangenziale si ha la venatura fiammata (fig. 7). Le querce e il Faggio hanno i raggi ben visibili: in sezione trasversale appaiono piuttosto sottili e lunghi, mentre in sezione radiale appaiono come dei nastri alti qualche millimetro, che riflettono la luce in modo diverso dal restante legno. L’effetto che determinano, molto evidente, sono le specchiature (foto pag. 65). Ci sono specie, come il Ciliegio, in cui i raggi sono visibili, ma molto piccoli, e l’effetto delle specchiature risulta poco evidente. Le caratteristiche finora esaminate permettono di comprendere come il legno sia un materiale non omogeneo, ossia gli elementi che lo compongono hanno una ben precisa disposizione, che cambia a seconda della direzione considerata. Questo fatto influenza molte proprietà fisiche del legno: esse cambiano a seconda della direzione considerata. Ad esempio, un’esperienza molto comune permette di osservare come, spaccando la legna da ardere, la resistenza allo spacco sia minore in senso assiale che in senso trasversale. La non omogeneità del legno si chiama più propriamente anisotropia. Allo stato fresco il legno ha un alto contenuto di umidità, che diminuisce lentamente dal momento in cui i fusti vengono abbattuti e seguono le successive lavorazioni; la perdita di umidità procede fin tanto che l’umidità del legno si trova in equilibrio con l’umidità dell’ambiente in cui il legno si trova. Il processo di perdita di umidità si chiama stagionatura; è chiaro che la stagionatura dipende, nella fase finale, dall’umidità ambientale: un ambiente molto secco favorirà la perdita di buona parte dell’umidità del legno, e all’opposto un ambiente umido favorirà il mantenimento dell’umidità. Allo stato fresco, il peso di un campione di 1 m3 di legno di Abete rosso in media si aggira attorno a 860 kg; parte di questo peso è dovuta all’acqua contenuta. Se si potesse seccare completamente il campione di legno, si arriverebbe ad un peso pari a circa 390 kg, il che significa che 470 kg di peso originario erano dati dall’acqua contenuta. In condizioni normali la perdita di umidità non si spinge 15 5) Pineta di Pino silvestre diradata 6) Ceppaia e polloni di Castagno 8) Differenziazione tra alburno e durame in un tronco di Larice 7) Giovane ceduo di Robinia dopo una ripulitura 16 Fig. 6 - Legno di latifoglia in sezione radiale (ingrandito). In alto: porosità diffusa; in basso: porosità anulare. sino al valore assoluto: il metro cubo di legno di Abete rosso correttamente stagionato avrà un peso di circa 440 kg, e senza dispositivi particolari è praticamente impossibile abbassare ulteriormente tale peso. Per quantificare il livello di umidità del legno, si usa rapportare il contenuto di acqua del campione col peso secco del campione, e lo si esprime in percento. Il peso di 440 kg del campione di Abete rosso di 1 m3 corrisponde ad una umidità del 12%; questo valore, per convenzione, è detto umidità normale del legno, ed è il valore al quale corrisponde una buona stagionatura del legname da lavoro. Il legname da usare per falegnameria fine da interni dovrebbe avere un’umidità ancora inferiore, attorno all’8-9%, che ne garantisce la stabilità, ed è ottenibile solo tramite gli essiccatoi. Se l’umidità ambientale aumenta, il legno che si trovava in equilibrio con essa, tende a riassorbire parte dell’umidità dell’aria, fino a portarsi nuovamente in condizione di equilibrio, e questo accade anche in 17 Fig. 7 - A sinistra: venatura a rigatino in tavola radiale; a destra: venatura fiammata in tavola tangenziale. campioni di legno perfettamente stagionati. La possibilità di perdere o assorbire acqua è una caratteristica fondamentale del legno. Ad ogni perdita di umidità corrisponde una diminuzione delle dimensioni, detta ritiro (per l’esattezza, il ritiro inizia quando l’umidità del legno si abbassa sotto il 30 %; dallo stato fresco al 30% l’acqua evapora senza causare ritiro); viceversa, ad ogni assorbimento di umidità corrisponde un aumento delle dimensioni, detto rigonfiamento. La componente del legno che più di tutte può scam- Fig. 8 - In alto: imbarcamento di una tavola radiale; in basso: trave fessurata contenente il midollo. Le frecce indicano il verso prevalente del ritiro. 18 biare acqua, assorbendola o cedendola, è la lignina. Il contenuto in lignina non è omogeneo nel legno: le zone dove più si accumula sono la parte tardiva degli anelli di accrescimento, cui conferisce il colore scuro, e i nodi. Le variazioni del contenuto di umidità del legno, perciò, sono più consistenti nei punti più ricchi di lignina, e ne consegue che le variazioni dimensionali non sono identiche in tutte le direzioni. Si usa esprimere il ritiro che subisce il legno durante la perdita di acqua, passando dallo stato fresco a quello perfettamente anidro, in percentuale rispetto allo stato fresco. Ciò che interessa in pratica è il ritiro dallo stato fresco allo stato di umidità normale del 12%, che varia dallo 0,20,3% in direzione longitudinale, dal 2-3% nella direzione radiale, e dal 4-5% nella direzione tangenziale. Come si vede, l’entità del ritiro è diversa nelle tre direzioni fondamentali considerate. Una tavola segata allo stato fresco e lunga esattamente 1 m, subirà un accorciamento durante la stagionatura pari a 2-3 mm; nel caso di una tavola radiale larga 10 cm allo stato fresco, il ritiro nel senso della larghezza sarà pari a circa 2-3 mm; nel caso di una tavola tangenziale larga 10 cm allo stato fresco, il ritiro nel senso della larghezza sarà pari a circa 4-5 mm. Sulla tavola radiale il ritiro tangenziale agirà nel senso dello spessore; analogamente, sulla tavola tangenziale, il ritiro radiale agirà nel senso dello spessore. Sia il ritiro che il rigonfiamento hanno, come è facilmente intuibile, effetti deformanti sugli assortimenti legnosi. Uno dei primi segnali del ritiro compare già sulle teste dei tronchi pochi giorni dopo l’abbattimento delle piante, con delle caratteristiche fratture che corrono in senso radiale (foto 9). Se il tronco non viene segato, le fratture possono interessare tutta la lunghezza del tronco. Nel caso di specie facilmente suscettibili allo spacco, come il Castagno, possono prendere il sopravvento 1 o poche fratture che si estendono su tutta la lunghezza del tronco, e raggiungono il midollo, con un’apertura sulla superficie esterna di qualche cm. Se i tronchi allo stato fresco vengono prontamente segati, il ritiro interessa gli assortimenti ottenuti. L’effetto più vistoso si ha sulle tavole tangenziali, che subiscono l’imbarcamento, mentre le tavole che meno si deformano sono quelle radiali (fig. 8). Le travi contenenti il midollo sono destinate a spaccarsi, analogamente a quanto succede ai tronchi, con spaccature che vanno dal midollo verso l’esterno, mentre le travi che non contengono il midollo risultano meno deformabili. La massa volumica, o densità, del legno è il peso di una unità di volume, e in pratica si esprime in kg per m3. La massa volumica del legno non è un valore costante nel tempo, poiché dipende dalla variazione del contenuto di acqua; per esprimere la massa volumica di un legno, è necessario specificare a quale contenuto di umidità si riferisce. La massa volumica varia inoltre da specie a specie: esistono legni molto leggeri, come il Pioppo e l’Abete rosso, che hanno massa volumica ad umidità del 12% rispettivamente pari a 360 e 440 kg/ m3, e legni decisamente più pesanti, come il Larice e il bosso, che hanno massa volumica ad umidità relativa del 12% rispettivamente pari a 660 e 990 kg/m3. I valori espressi vanno considerati come medi di numerose prove eseguite; la massa volumica infatti, per una stessa specie e allo stesso contenuto di umidità, può variare a seconda dello spessore degli anelli di accrescimento o della porzione di fusto considerata (il legno verso la base del fusto è più pesante del restante). Per questo motivo i testi specifici possono riportare valori di massa volumica leggermente diversi tra loro. Di seguito si riporta una tabella con i valori medi di massa volumica delle specie nazionali, allo stato fresco e ad umidità relativa del 12%. 9) Spaccature radiali sulla testa di un tronco Massa volumica Kg/m3 Stato fresco U = 12% Abete bianco 920 460 Abete rosso 860 440 Acero di monte 830 660 Alloro 900 720 Bagolaro 960 720 Betulla 950 650 Bosso 1070 990 Carpino 1050 800 Castagno 1000 570 Cembro 870 450 Ciliegio 900 620 Cipresso 860 610 Faggio 1050 730 Frassino 960 750 Gelso 950 630 Ginepro 1020 600 Ippocastano 900 550 Larice 900 660 Leccio 1100 960 Maggiociondolo 1000 730 Noce 930 700 Nocciolo 920 650 Olivo 1120 920 Olmo 1000 650 Ontano 850 540 Pino domestico 850 620 Pino marittimo 950 630 Pino mugo 880 520 Pino nero 900 550 Pino silvestre 880 550 Pioppo 800 360 Platano 1000 570 Robinia 1050 750 Rovere 1050 820 Salice 880 450 Sorbo degli uccellatori 960 770 Tasso 1020 760 Tiglio 900 600 specie N.B. i valori di massa volumica riportati nella sezione relativa alla trattazione delle singole specie si intendono riferiti a U = 12%. 19 10) Taglio della tacca di direzione 11) Taglio di abbattimento 12) Inserimento del cuneo 13) Abbattimento avvenuto 14) Sramatura 20 Misurazione del legno Il legname viene comunemente misurato in peso o in volume. Il peso, espresso generalmente in quintali (simbolo: q), viene impiegato per misurare la legna da ardere già depezzata. Risulta comodo infatti pesare il carico dei mezzi impiegati per il trasporto; riguardo la legna da ardere giova ricordare che il peso, per una certa partita, è soggetto a calo, man mano che procede la perdita di umidità, e pertanto ha un valore momentaneo. A volte il peso viene usato per misurare il legname delle latifoglie, sia in tronco che in tavole, per il fatto che spesso i tronchi non hanno forma regolare, così come le tavole ottenute, che generalmente non vengono refilate, e di conseguenza risulta più impegnativo adottare misure volumetriche. La misura del volume viene riservata generalmente al legname delle conifere, che ha forma più regolare, ed ai segati ottenuti. In questo caso l’unità adottata è il metro cubo (simbolo: m3; abbreviazione: mc). Il volume viene impiegato nella misurazione sia del legname abbattuto, sia delle piante in piedi. Nel caso delle piante abbattute, queste risultano ispezionabili in ogni punto ed il reperimento delle misure non presenta problemi. Con l’abbattimento (foto 10-14) si procede al taglio della pianta, che cade sul letto di caduta. Si procede quindi alla sramatura e al taglio del cimale, e ciò che rimane è il fusto da lavoro. I rami vengono tagliati il più possibile radente il fusto, mentre il cimale viene tagliato in corrispondenza di un diametro che oscilla attorno a 20 cm; nel caso in cui il taglio delle piante viene fatto a scopo commerciale, il contratto fissa, tra l’altro, il diametro minimo in punta dei fusti. L’operazione successiva dell’allestimento è la sezionatura, con la quale si ottengono i tronchi (foto 15), preparati secondo le misure commerciali. Poiché le teste dei tronchi possono subire dei danneggiamenti durante l’esbosco, è necessario lasciare il salvalegno, cioè 10-20 cm di legno in più sulla lunghezza del tronco. I tronchi verranno poi intestati in segheria, eliminando il salvalegno, e con esso i residui di terra e sassi che può contenere. La misurazione del legname abbattuto può riguardare il fusto oppure i tronchi, e può essere fatta sul letto di caduta o sul piazzale di imposto. Il metodo usuale per la misurazione del fusto o del tronco consiste nel moltiplicare la sezione, rilevata a metà della lunghezza, per la lunghezza stessa (fig. 9) La sezione si ricava misurando il diametro con un Fig. 9 - Misurazione del diametro e della lunghezza. apposito calibro, chiamato cavalletto dendrometrico (foto 16). Il diametro si esprime in centimetri; può essere misurato sopra corteccia oppure sotto corteccia. In quest’ultimo caso è necessario scortecciare un anello di fusto o di tronco nel punto in cui si inserisce il calibro. La misura viene approssimata per difetto al centimetro pieno: se ad esempio la misura reale è 35,7 cm, quella adottata è 35 cm. Nel caso il fusto o il tronco nel punto in cui si rileva il diametro abbiano sezione ovale, si misurano i diametri maggiore e minore, e si usa la media dei due valori, data dal rapporto Dm = D1 + D2 2 con Dm = diametro medio D1 = diametro maggiore D2 = diametro minore La sezione si ricava dalla nota formula S = R2 × π con S = sezione, in cm2 R = raggio, in cm π = 3,14 Volendo operare col diametro, la formula diventa D2 ×π 4 con D = diametro, in cm S= La lunghezza si rileva generalmente tramite una cordella metrica, e si esprime in metri. La misura viene approssimata per difetto al mezzo metro: se ad esempio la lunghezza reale è 13,80 m, quella adottata è 13,50 m. 21 Poiché il volume si esprime in metri cubi, è necessario convertire il valore della sezione in metri quadri. In sintesi la formula da applicare è la seguente: D2 V = ______ ×π×L 40000 con V = volume, in m3 D = diametro, in cm L = lunghezza, in m A seconda che il diametro venga misurato sopra corteccia o sotto corteccia, si ottiene rispettivamente il volume lordo o il volume netto. Conoscendo la massa volumica (densità) dei tronchi di una determinata specie legnosa di cui si è misurato il volume, è possibile calcolarne il peso. Esempio per un tronco di Larice fresco e scortecciato: VL Abete rosso = 57,18 m3 VL Larice = 79,46 m3 VL totale = 136,64 m3 il volume netto si ricava con i seguenti calcoli: D = 47 cm L = 5,50 m 2 47 x 3,14 x 5,50 = 0,95 m3 V netto = _______ 40000 Massa volumica = 900 kg/m3 Peso = 0,95 x 900 = 855 kg Nel caso in cui il legname misurato sia oggetto di compravendita, durante la misurazione si esaminano anche i difetti di ogni tronco che possono influire sulla qualità dei segati ottenibili. I tronchi misurati vengono quindi ripartiti in cataste distinte a seconda della specie legnosa e della qualità, o più propriamente della classe. E’ importante, onde evitare contestazioni, fare riferimento a norme precise che definiscono i difetti ammessi per ogni classe. La Raccolta Provinciale degli Usi, edita dalla Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Sondrio, nel capitolo relativo alla compravendita dei prodotti, tratta anche i prodotti della selvicoltura, tra cui il legname grezzo. Sono stabiliti degli sconti in percentuale da attribuire ad ogni tronco difettoso, in funzione della misura o dell’intensità del difetto. Il volume così scontato è il volume nettissimo, ed è quello che viene adottato dalle parti per il calcolo del valore del lotto di legname. La Regione Lombardia ha predisposto un capitolato per la vendita dei lotti boschivi pubblici, ove tra l’altro si trova una tabella con i difetti del legname e i relativi sconti in percentuale. Per il calcolo del volume sotto corteccia, o volume netto, di una partita di legname è possibile ricorrere all’applicazione di riduzioni percentuali sul volume lordo. Le Tariffe del Trentino Alto Adige, di cui si dirà più avanti, forniscono i seguenti valori relativi alla corteccia, da togliere al volume lordo: 22 – Abete rosso e Abete bianco: 10% – Larice: 20% – Pino silvestre: 15% – Cembro: 14% Questi valori rappresentano delle medie di numerose prove, e si riferiscono all’intero fusto da lavoro; poiché lo spessore della corteccia diminuisce dalla base del fusto verso il cimale, non è corretto applicare le riduzioni percentuali solo a uno o pochi tronchi. Se ad esempio il volume lordo di una partita di legname composta da Abete rosso e Larice è stato così misurato: 57,18 x 10 = 51,46 m3 VN Abete rosso = 57,18 – __________ 100 79,46 x 20 = 63,57 m3 VN Larice = 79,46 – __________ 100 VN totale = 51,46 + 63,57 = 115,03 m3 Perdita per corteccia = 136,64 – 115,03 = 21,61 m3 = 16% del VL totale Anche la legna da ardere può essere misurata in volume; è questo il caso in cui si trova all’imposto, pronta per essere caricata sugli autotreni, opportunamente accatastata. In questo caso si misura il volume della catasta intera, che deve avere forma squadrata e composta solitamente da tronchetti lunghi 1 m, comprensiva sia dello spazio occupato effettivamente dal legno, sia degli spazi vuoti tra un pezzo e l’altro. Si ottiene così il volume sterico; un metro stero contiene legno ed aria, e la percentuale di legno sarà tanto maggiore quanto più ordinata sarà costruita la catasta. In condizioni normali, per la legna da ardere il valore medio della quota di legno oscilla dal 50% al 60%. I grossisti spesso acquistano la legna da ardere a metro stero, mentre la vendita al dettaglio, come già ricordato, avviene generalmente a peso. La misurazione delle piante in piedi presenta degli ostacoli dovuti al fatto che, in condizioni normali, il diametro a metà altezza e l’altezza non sono accessibili all’operatore. Un metodo per stimare il volume di una pianta in piedi consiste nel moltiplicare la sezione del fusto, rilevata a 1,3 m da terra, per l’altezza della pianta, e dividendo il risultato per due (fig. 10). L’altezza della pianta viene misurata indirettamente con degli appositi strumenti, detti ipsometri; in man- canza, l’altezza viene stimata a occhio. La formula che si applica è la seguente: D21,30 x π X H x 0,5 V = ______ 40000 con V = volume, in m3 D1,30 = diametro rilevato a 1,30, in cm H = altezza della pianta, in m Dovendo procedere alla misurazione del volume di molte piante in piedi, delle quali sia noto il diametro a 1,3 m da terra, è possibile impiegare apposite tabelle dette tavole di cubatura, che forniscono il volume, per una certa specie legnosa, in funzione del diametro, e a volte anche dell’altezza. L’operazione di rilevamento del diametro delle piante in piedi è detta cavallettamento (foto 17). Nella nostra provincia è molto diffusa l’applicazione di particolari tavole di cubatura, le Tariffe del Trentino Alto Adige, adatte per Abete rosso, Abete bianco, Larice, Pino silvestre e Faggio. La corretta applicazione di dette tavole è riservata ai Tecnici Forestali. Fig. 10 - Diametro e altezza di una pianta in piedi. Segagione e stagionatura Il legname tondo o tondame è costituito da fusti o tronchi, che possono essere utilizzati tali e quali, oppure destinati alla segagione. Il tondame viene usato tale e quale, a meno di trattamenti preservanti, per travature dei tetti, linee elettriche o telefoniche, recinzioni, paleria agricola ecc.. I tronchi migliori di molte specie possono essere destinati alla tranciatura o alla sfogliatura. La prima, effettuata dalla tranciatrice, consiste nel tagliare i tronchi longitudinalmente con una grossa lama senza denti, che agisce come uno scalpello; si ottengono i tranciati, con spessore generalmente di qualche decimo di millimetro. La sfogliatura consiste nel far girare il tronco sul proprio asse contro una lama, lunga come il tronco, che asporta un sottile spessore di legno lungo tutta la lunghezza del tronco. Analogamente ai tranciati, gli sfogliati hanno spessore di qualche decimo di millimetro. La differenza sostanziale tra i due processi sta nel fatto che la sfogliatura produce fogli larghi come il tronco e molto lunghi, con venatura a rigatino, mentre la tranciatura permette di ottenere disegni dal fiammato al rigatino man mano che procede dalla periferia verso il midollo del tronco, con fogli lunghi come il tronco e larghi al massimo quanto il diametro del tronco. Tranciati e sfogliati sono impiegati nell’industria del mobile, e nella produzione di pavimenti e di compensati. Spesso il tronco da trancia o da sfogliatura rappresenta l’assortimento tondo più remunerativo che può essere ricavato da un fusto. I tronchi scadenti possono essere sminuzzati e destinati alla produzione di energia, cellulosa, pannelli e compost. Quando il tronco è destinato ad essere trasformato in assortimenti segati, esso prende la denominazione di toppo da sega o tondame da sega (foto 18). Il tondame da sega viene segato preferibilmente allo stato fresco, risultando così più tenero, e di seguito avviato alla stagionatura (foto 19). Il legname segato serve per la produzione di travi e tavole. Esistono diverse classificazioni relative alla denominazione degli assortimenti segati in funzione delle dimensioni e delle caratteristiche. Le travi di gran lunga più impiegate sono a spigoli vivi e facce parallele (foto 20); in carpenteria trovano uso anche travi con spigoli smussati secondo la naturale rotondità del fusto, oppure con le facce non perfettamente parallele. In particolare si distinguono: – travi uso Fiume, a facce parallele e smussi su tutta la lunghezza; 23 15) Tronchi di Larice 16) Cavalletto dendrometrico 17) Cavallettamento in fustaia 18) Tondame da sega di Abete rosso 24 Fig. 11 In alto: trave uso Fiume; al centro: trave uso Trieste; in basso: trave uso Cadore. – travi uso Trieste, a facce parallele nel primo terzo della lunghezza, e poi con squadratura che segue la rastremazione del tronco; – travi uso Cadore, con squadratura che segue la rastremazione del tronco per tutta la lunghezza (fig. 11). La parte di tronco che sta tra la periferia e la prima faccia della trave o della tavola si chiama sciavero. Le tavole possono essere refilate a spigoli paralleli, come è il caso delle tavole di conifere, oppure non refilate, come è il caso delle tavole di latifoglie per falegnameria. Un tempo si producevano pure tavole di conifere refilate, ma a spigoli non paralleli, seguenti la rastremazione del tronco, dette tavole refilate coniche, al fine di ridurre al minimo le perdite di lavorazione; venivano impiegate per lo più nella posa di pavimenti. La segagione di un tronco in tavole può avvenire secondo diversi schemi (fig. 12). Il taglio sul tronco è il più semplice e rapido da eseguire, ma più le tavole ottenute si allontanano dal midollo, più sono soggette a deformazione durante la stagionatura; il taglio di quarto è più laborioso, poiché richiede la movimentazione del tronco ad ogni taglio, ma le tavole ottenute sono più stabili. Eseguita la segagione, i segati devono essere correttamente stoccati per procedere alla stagionatura, ossia alla perdita di umidità. Sia le travi che le tavole devono essere disposte in cataste sollevate da terra e al riparo dalla pioggia, con i vari strati intervallati da listelli ordinatamente disposti, che permettano la circolazione dell’aria all’interno delle cataste (foto 21). Le tavole non refilate di latifoglie vengono generalmente disposte in modo da riprendere la posizione originaria che occupavano nel tronco, sempre intervallando ogni tavola con i listelli; ciò che si forma è la boule (foto 22). Le tavole di Castagno, a causa dell’elevato contenuto in tannino, vengono disposte verticalmente a V rovesciata, con particolari sostegni, senza riparo dalla pioggia, che col tempo dilava i tannini. Fig. 12 Schemi di segagione. A sinistra taglio sul tronco; a destra: taglio sul quarto. 25 18) Segagione di un tronco di Abete rosso 20) Catasta di tavole listellata 19) Travi refilate di Abete rosso 21) Boules di Noce 26 Abete bianco SECONDA PARTE LE SPECIE Famiglia: Pinacee Nome scientifico: Abies alba Nomi dialettali: avez, vez. Caratteri botanici L’Abete bianco è una conifera sempreverde che può superare i 40 m di altezza e i 300 anni di età. Il fusto è diritto e cilindrico, e la corteccia è grigia e liscia nelle piante giovani, con delle caratteristiche bolle piene di resina, mentre diventa screpolata nelle piante mature. Gli aghi sono di forma appiattita, verdi lucenti nella pagina superiore, e con due linee bianche nella pagina inferiore. Le pigne sono portate erette, e quando i semi sono maturi si sfaldano sulla pianta: cadono le squame ed i semi, mentre il rachide rimane solitario sui rametti (ecco perché non si trovano pigne ai piedi della pianta). Le piante adulte hanno un caratteristico portamento detto “a nido di cicogna”, dovuto alla progressiva diminuzione della crescita del getto apicale, che provoca un addensamento dei rami sulla cima, come se vi fosse costruito appunto un grosso nido. Caratteri ecologici e note selvicolturali L’Abete bianco è una specie che necessita di una buona umidità del terreno e dell’aria, e pertanto si trova bene sui versanti ombrosi con clima molto piovoso, dove si mescola all’Abete rosso e al Faggio. Soprattutto in gioventù sopporta molto bene l’ombra, riuscendo a vivere anche sotto la copertura delle piante adulte. Si rinnova esclusivamente tramite i semi, che vengono dispersi dal vento grazie all’ala di cui sono forniti. Nell’orizzonte montano l’Abete bianco può formare boschi puri, o consociarsi in genere con l’Abete rosso. Il taglio delle piante mature fatto su piccole superfici (3-4 piante vicine) crea delle piccole radure dove sono favorite la nascita e lo sviluppo delle piantine di Abete bianco. Si possono formare gruppi di novellame molto densi che, sebbene sopportino a lungo la concorrenza reciproca, devono essere sfoltiti selezionando i soggetti migliori, fino a lasciare solo un leggero contatto tra le chiome, che permette un regolare accrescimento. Le giovani piantine sono appetite dai mammiferi erbivori (capre e caprioli) che si cibano volentieri dei germogli, rallentandone o compromettendone lo sviluppo. L’Abete bianco è pure soggetto agli attacchi da parte di un fungo che ne causa il cancro, il quale 27 si manifesta sul fusto con degli ingrossamenti caratteristici; in corrispondenza dell’ingrossamento i fusti vengono spesso spezzati dal vento. Coi diradamenti successivi agli sfolli si elimineranno le piante rimaste soffocate, eccessivamente esili ed allungate, o colpite dal cancro. In genere è opportuno favorire la mescolanza di specie, che nel caso dell’Abete bianco si attua volentieri con l’Abete rosso e il Faggio. Le produzioni del bosco di Abete bianco non differiscono sensibilmente dal bosco di Abete rosso. Il legno Massa volumica: 4,6 q/m3 Legno biancastro con alburno e durame indifferenziati. Gli anelli di accrescimento sono ben marcati; i nodi sono scuri e molto duri. Il legno è privo di resina, che invece è presente nella corteccia. Solitamente il legname viene commerciato assieme a quello dell’Abete rosso, anche se rispetto a questo è leggermente meno pregiato a causa dei nodi difficilmente lavorabili e delle deformazioni cui è soggetto durante la stagionatura. Il legno si usa in falegnameria ma non è considerato pregiato. E’ ancora utilizzato nelle alberature delle barche in legno. I tronchi da sega si allestiscono generalmente di 4 m o più di lunghezza e di almeno 20 cm di diametro minimo, mentre i tronchi per travatura si allestiscono secondo le esigenze. La legna da ardere non costituisce l’assortimento principale. Si destinano a questo impiego i rami, con alto potere calorifico. Corteccia Portamento delle pigne 28 Fronda durante la fioritura Pigna, squama e semi Foglie 29 Abete rosso Famiglia: Pinacee Nome scientifico: Picea abies Nomi dialettali: pesc, pescia Caratteri botanici L’Abete rosso è una conifera sempreverde che può superare i 40 m di altezza e i 400 anni di età. Il fusto è slanciato e diritto, con corteccia grigio-rossastra ruvida, che si sfalda in piccole placche nelle piante più vecchie. Le foglie sono aghiformi, sottili, appuntite e a sezione romboidale, verdi scure. Le pigne sono portate pendule sui rametti; a maturità disperdono i semi, ed in seguito cadono intere. L’apparato radicale ha uno sviluppo tipicamente superficiale, e per questo spesso le piante adulte sono sradicate dal vento. Caratteri ecologici e note selvicolturali Tra le conifere nostrane è sicuramente la più diffusa, anche se genericamente ed erroneamente indicata col nome di pino. Si trova sui versanti, dalla zona del Castagno fino oltre i 2000 m. Predilige i terreni freschi, ed è meno esigente di umidità rispetto all’Abete bianco; è resistentissima al freddo, ma tollera anche il caldo; nei riguardi della luce, rifugge le esposizioni troppo luminose come pure quelle eccessivamente ombreggiate. Forma estesi boschi puri, ma si trova anche mista alle latifoglie, o ad altre conifere come Abete bianco, Larice e Pino silvestre. Il legname migliore si ricava dai boschi dell’orizzonte montano o subalpino, e a questi pertanto conviene indirizzare gli sforzi, piuttosto che sui soggetti che si trovano a quote inferiori. Questi ultimi crescono molto velocemente e sono assai ramosi, a discapito della qualità tecnologica del legname. I giovani popolamenti densi necessitano di sfolli e diradi per eliminare i soggetti più stentati, riconoscibili dal getto apicale molto ridotto. La potatura dei rami verdi praticata sulle giovani piante, con l’intento di ottenere fusti slanciati e con pochi nodi, in genere risulta dannosa. La regolazione della densità del bosco dosa la quantità di luce che colpisce le chiome. Poca luce porta alla formazione di fusti con buone caratteristiche, cioè molto allungati e con pochi nodi, ma poco resistenti al vento; molta luce porta alla formazione di piante tozze, con rami anche nella parte bassa del fusto e quindi molti nodi nel legno, ma più resistenti alle intemperie. Nei boschi puri dell’orizzonte montano, con molte piante mature, conviene impostare i tagli a gruppi 30 di 4-5 piante, distanziati tra loro, per non scoprire eccessivamente il terreno e stimolare l’invasione delle infestanti. Nell’orizzonte subalpino i boschi sono più radi, e le piante mature verranno tagliate a gruppi più piccoli, di 2-3 piante ciascuno. Il bosco di Abete rosso è tra i più produttivi tra quelli del nostro ambiente. Un ettaro di pecceta matura in condizioni medie può produrre, e anche superare, 400 m3 di legname. Una pianta di 40 cm di diametro misurati a 1,30 m da terra, di bell’aspetto, ha un volume del fusto di circa 1 m3. Il legno Massa volumica: 4,4 q/m3 Il legno, di colore chiaro, non presenta differenziazione tra alburno e durame, e gli anelli di accrescimento sono ben visibili. La tessitura fine, la fibratura diritta lo rendono ben lavorabile. E’ molto usato in falegnameria nella costruzione di mobili ed infissi, ed in carpenteria nella realizzazione di travi e coperture per tetti. All’aria aperta deperisce rapidamente. Il legno di buona qualità dovrebbe avere non meno di 3-4 anelli di accrescimento per ogni cm di spessore. I tronchi da sega si allestiscono normalmente di 4 m di lunghezza, mentre quelli per travi secondo le esigenze. I rami forniscono un ottimo combustibile, ad alto potere calorifico. Pigna, squama e semi Fronde durante la fioritura Corteccia Portamento delle pigne 31 Aceri Famiglia: Aceracee Sul nostro territorio sono presenti allo stato spontaneo tre specie di aceri, e precisamente Acero di monte, Acero riccio e Acero campestre. Nome scientifico: – Acero di monte: Acer pseudoplatanus; – Acero riccio: Acer platanoides; – Acero campestre: Acer campestre Nomi dialettali: aser Caratteri botanici L’Acero di monte e l’Acero riccio sono grandi alberi che possono raggiungere 40 m di altezza, con fusto diritto, cilindrico e chioma ampia, molto longevi. La corteccia è grigia e ruvida, e nelle piante mature si distacca in grandi placche caratteristiche. La fioritura è poco appariscente; l’Acero di monte ha i fiori pendenti, che compaiono dopo l’emissione delle foglie, mentre l’Acero riccio ha i fiori eretti e compaiono prima dell’emissione delle foglie. L’Acero campestre è un piccolo albero con tronco spesso contorto e chioma globosa, a crescita lenta. La corteccia è da grigia a marrone, ruvida e screpolata con creste lunghe qualche centimetro. I frutti sono delle samare doppie, facilmente trasportabili dal vento grazie alle ali che li accompagnano. Caratteri ecologici e note selvicolturali L’Acero di monte si trova dall’orizzonte submontano all’orizzonte montano nelle localizzazioni piuttosto umide e non eccessivamente esposte al sole. Sopporta bene l’ombra soprattutto da giovane, e per questo riesce a rinnovarsi anche nei castagneti da frutto non più coltivati, all’ombra delle vecchie piante. Grazie alla sua elevata traspirazione, contribuisce al prosciugamento dei terreni umidi. L’Acero riccio ha esigenze simili all’Acero di monte, ma risulta molto meno diffuso. L’Acero campestre è diffuso, ma non molto frequente, nei piani submontano e submontano; esige localizzazioni calde e più luminose rispetto agli altri due aceri. Gli aceri si riproducono normalmente da seme, ma rigettano bene anche dalle ceppaie, e possono per questo essere trattai anche a ceduo. Raramente gli aceri formano boschi puri; più di frequente si trovano misti al altre latifoglie. L’Acero di monte e l’Acero riccio si governano convenientemente a fustaia, poiché in tal modo è possibile la produzione di fusti da lavoro. Si individuano i 32 Samare di Acero di monte (sopra) e di Acero campestre (sotto) migliori soggetti, (fusto diritto e chioma raccolta in alto) che a 50-60 anni di età potranno essere pronti al taglio, potendo comunque vivere molto più a lungo senza che intervengano deprezzamenti del legno. Per ottenere fusti con pochi nodi, è necessario mantenere un certo grado di copertura che stimoli l’accrescimento in altezza e il raccoglimento della chioma in alto. E’ necessario inoltre evitare con cura di danneggiare la corteccia delle piante che devono rimanere in piedi, poiché il legno è facilmente attaccabile, a partire dalle ferite, dai funghi che provocano la carie. Il legno Acero di monte e Acero riccio 3 Massa volumica: 6,6 q/ m . Il legno è di colore bianco, senza differenziazione tra alburno e durame; la tessitura è fine e la fibratura diritta. Il legno è molto apprezzato per la sua buona lavorabilità e per le ottime caratteristiche meccaniche. Le tavole radiali presentano caratteristici effetti sericei grazie alla presenza dei raggi, piccoli ma visibili. Particolari effetti cromatici possono derivare dalla porzione basale del fusto delle piante mature (tigratura, occhio di pernice). Il legno viene utilizzato nella costruzione di mobili, strumenti musicali e in lavori di torneria. Un tempo era assai impiegato nella fabbricazione delle stoviglie da cucina. L’assortimento principale e più ricercato è il tronco da trancia o da sfogliatura, soprattutto se marezzato; molto apprezzato è anche il tronco da sega, che può essere assorbito anche dall’industria locale. Fioritura di Acero campestre Acero di monte Legno a venatura fiammata (a sinistra) e a rigatino (a destra) Foglie e samare di Acero di monte 33 Bagolaro Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Ulmacee Celtis australis fucarten, biscugin Caratteri botanici E’ una pianta che raggiunge 20–25 m di altezza, e può vivere qualche secolo. Il fusto in genere è diritto, e la corteccia è di colore grigio cenere e liscia. La chioma è molto ampia e rotonda, con foglie seghettate e appuntite, leggermente più scure nella pagina superiore. I fiori sono poco evidenti, piccoli e gialli. Il frutto è una piccola drupa quasi nera, portata da un lungo picciolo, che matura in autunno, ed è appetita dagli uccelli. Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Bagolaro è originario dei paesi mediterranei, e grazie alla sua coltivazione si è diffuso anche da noi. Preferisce le posizioni soleggiate e calde, e si adatta molto bene ai terreni poveri. Si rinviene frequentemente sulle zone rocciose che affiorano tra i vigneti; le sue radici penetrano con forza tra le fenditure, provocando non di rado il crollo di qualche blocco roccioso. Per questo motivo sulle zone terrazzate non è una pianta gradita. Il Bagolaro si trova spesso nelle alberature cittadine, dove si adatta molto bene agli spazi ristretti e sopporta altrettanto bene l’inquinamento atmosferico. E’ facilmente attaccabile dalla carie nel fusto e nelle grosse branche, e pertanto la potatura deve essere accuratamente eseguita in modo da ridurre al minimo la possibilità di infezioni. Il legno Massa volumica: 7,2 q/m3 Il legno è di colore chiaro, duro e molto resistente. Viene impiegato nella fabbricazione di manici e oggetti torniti; talora viene pure segato ed impiegato in falegnameria. Grazie alla sua elasticità veniva impiegato per la costruzione di ruote e stanghe per carri. Foglie e fiori 34 Fusto Foglie e frutti Albero 35 Betulla Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Un betuleto maturo può contenere una massa di 80120 m3/ha. Betulacee Betula pendula bedula, bedoi. Caratteri botanici La Betulla può raggiungere i 30 m di altezza e i 70 cm di diametro. Si caratterizza per la corteccia bianca e liscia, che rimane tale per lungo tempo; negli alberi più vecchi si ispessisce, diventa ruvida, fessurata e di colore scuro. I giovani rametti sono di colore bruno-rossiccio, spesso lunghi e pendenti. I fiori maschili sono separati da quelli femminili: i primi compaiono già dall’autunno, in forma di amenti penduli, e liberano il polline giallastro a primavera, quando compaiono i fiori femminili, in forma di amenti eretti. I fiori femminili formano l’infruttescenza allungata, che contiene e libera a maturità i piccoli semi, dotati di ala, che vengono dispersi dal vento. La chioma è molto leggera e verde chiaro. Il legno Massa volumica: 6,5 q/m3 Il legno è di colore bianco, con alburno e durame indifferenziati; la tessitura fine e la fibratura diritta lo rendono di facile lavorazione, adatto alla costruzione di mobili, di oggetti intagliati e torniti, e si presta anche alla sfogliatura. Il legno stagionato è piuttosto duro e poco propenso a fendersi. Il legno fresco è facilmente attaccato da funghi e insetti se viene lasciato all’aperto. La corteccia è facilmente infiammabile, e da secca può essere impiegata come esca per il fuoco, e anche il legno è un buon combustibile. Caratteri ecologici e note selvicolturali La Betulla è molto amante della luce, ed ha carattere pioniere; per questo si insedia facilmente lungo le scarpate stradali e in genere sul terreno smosso, sui coltivi abbandonati, nei boschi distrutti dal fuoco, dall’orizzonte submontano all’orizzonte montano, sempre in localizzazioni ben illuminate. E’ molto resistente al freddo, e cresce bene anche sui terreni poveri e ghiaiosi. La Betulla può formare boschi puri, che tuttavia non sono destinati a durare a lungo. Infatti attraverso la chioma delle betulle filtra sempre una certa quantità di luce che giunge al suolo, e che permette la crescita di alberi ed arbusti diversi, che si avvantaggiano della leggera ombra fornita dalle betulle. Per questo si dice che la Betulla è una importante specie preparatoria. In genere la Betulla risulta meno gradita delle specie a cui spesso si accompagna, come il Frassino maggiore, le querce o le conifere, e quindi generalmente la gestione del betuleto non mira alla sua conservazione, ma a favorire la sostituzione con le specie più gradite. La rinnovazione del betuleto si può ottenere esclusivamente col taglio raso, che permette una buona illuminazione del suolo, accompagnato da una lavorazione superficiale del terreno, che si attua involontariamente durante i lavori di esbosco del legname. Si ricorda tuttavia che il taglio raso è vietato dalla vigente normativa forestale, se non preventivamente autorizzato. Corteccia 36 Amenti maschili Legno Fronde e infruttescenze 37 Carpino nero Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Corilacee Ostrya carpinifolia carpen Caratteri botanici Il Carpino nero è un piccolo albero, con fusto spesso dritto e regolare, e corteccia bruno-rossastra che si screpola in lunghe scaglie. Le foglie sono simili a quelle dell’Olmo campestre, ma a differenza di queste, sono simmetriche, rispetto alla venatura centrale, fino alla base. I fiori maschili sono amenti penduli e cilindrici lunghi fino a 8 cm, che compaiono in autunno, mentre i femminili sono amenti più corti e tozzi, simili a quelli del luppolo, che compaiono in primavera. Il Carpino nero ha una notevole capacità pollonifera, ed è molto indicato nella costituzione di boschi cedui. Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Carpino nero è una pianta amante del caldo, che in Valtellina e Valchiavenna non è molto diffusa; si trova nelle localizzazioni con temperatura mite, dove può formare anche boschi puri, preferibilmente sui versanti ombrosi. Si trova generalmente nei boschi cedui dell’orizzonte montano inferiore. Il legno Il legno del Carpino nero ha durame ed alburno indifferenziati, è di colore rosso-bruno, ed è molto duro; non si presta nelle costruzioni, a causa delle ridotte dimensioni dei fusti, delle deformazioni che subisce durante la stagionatura e della scarsa durabilità all’aperto. Per la sua durezza e la fibratura contorta risulta di difficili segagione e piallatura. Viene impiegato nella fabbricazione di piccoli oggetti, e in passato, in parti meccaniche, come ruote dentate e navette da telai. L’uso principale del legno è come combustibile, per cui viene molto apprezzato. Infruttescenza 38 Legno Foglie Infruttescenze 39 Castagno Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Fagacee Castanea sativa castan, arbul Caratteri botanici Albero maestoso e molto longevo, può superare i 500 anni di vita. E’ stato largamente diffuso nei secoli passati, grazie ai frutti commestibili e al legname, che si presta a svariati impieghi. Come per tutte le specie che si riproducono anche per via vegetativa, l’aspetto dei polloni è in genere diverso da quello delle piante nate dai semi. Gli alberi di maggiori dimensioni sono quelli nati da seme, che spesso venivano innestati, che si trovano nelle selve, mentre i polloni hanno generalmente una forma più slanciata e meno ramificata, dovuta anche alla maggior densità dei boschi cedui rispetto alle selve da frutto. La facoltà pollonifera è elevatissima. Il Castagno ha i fiori maschili separati da quelli femminili, ed entrambi sono portati da infiorescenze. Le infiorescenze sono di due tipi: alla base del rametto di un anno si formano le infiorescenze che portano solo fiori maschili, in forme di lunghi amenti bianco-giallastri, mentre all’apice del rametto si formano le infiorescenze miste, che portano cioè sia fiori maschili, sia fiori femminili. I fiori femminili sono portati in gruppi di tre, verso la base delle infiorescenze miste. Dopo la fecondazione, il fiore femminile si trasforma nel riccio. Il seme, e non l’intero frutto, è la castagna. Il Castagno è tra le principali piante mellifere della nostra provincia. e necessita di terreni freschi per poter crescere bene. I fiori sono sensibili alle gelate tardive. Le castagne sono molto nutrienti, e sono appetite non solo dall’uomo, ma anche da mammiferi, uccelli e insetti che in autunno frequentano i castagneti. Il seme ha buona capacità germinativa, e le giovani piantine necessitano di una leggera illuminazione per potere accrescersi bene. Nell’ambito della specie esistono numerose razze e varietà che si differenziano per la forma del frutto, l’epoca di maturazione, il colore della corteccia, la qualità del legno, la forma delle foglie ecc.. I castagni coltivati si raggruppano comunemente in marroni, con 1-2 castagne per ogni riccio, con pellicola sottile non penetrante nel seme, e castagne, con 2-4 castagne per riccio, con pellicola che penetra ripetutamente nel seme. Nelle selve destinate alla produzione di castagne la Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Castagno occupa i versanti sia ombrosi che assolati, fino verso 1000 m di quota, dove è stato coltivato da lungo tempo. E’ moderatamente termofilo, Infiorescenza maschile (in alto) e infiorescenza mista (in basso) Castagneto da frutto 40 Fioritura Paleria segata densità degli alberi deve essere mantenuta bassa, con non più di 100 piante per ha, per consentire una buona illuminazione delle chiome e una abbondante fruttificazione. Per la piantagione si ricorre generalmente a trapianti già innestati con la varietà desiderata; successivamente con la potatura si devono eliminare le branche secche, quelle più vecchie e ombreggiate. Le selve devono inoltre essere tenute libere dagli altri alberi e arbusti, per non ombreggiare i castagni e per facilitare la raccolta delle castagne. I castagneti destinati alla produzione di legno sono Legno Innesto a doppio spacco Fronde e frutti 41 generalmente cedui, e sono molto più densi delle selve, per poter ottenere fusti slanciati e con pochi rami. La rinnovazione avviene prontamente dopo il taglio, col riscoppio di numerosi polloni. E’ importante regolarizzare la densità dei polloni sulle ceppaie, per eliminare quelli male inseriti e mal conformati. Attualmente i turni adottati sono piuttosto elevati, tra 20 e 30 anni, e permettono di ottenere fusti di diametro a 1,30 m da terra superiore a 30 cm. E’ consigliabile intervenire con un primo interventi di sfollo dei polloni sulle ceppaie entro 5-6 anni dopo il taglio, seguito da un diradamento verso i 15 anni. Da una pianta matura di Castagno destinato alla produzione dei frutti si raccolgono da 6 a 20 kg di castagne. Un ettaro ceduo di 30 anni correttamente gestito può contenere, nelle situazioni migliori, fino a 200 m3 di legname. Il legno Massa volumica 5,7 q/m3 Alburno bianco-giallastro, molto ristretto, e durame da marrone chiaro a bruno. La tessitura è grossolana, e la fibratura è generalmente diritta, e permette una buona lavorabilità e finitura. Dai fusti tagliati si ricava un gran numero di assortimenti: tra quelli ancora impiegati si ricordano la paleria agricola o per recinzioni, travi per tetti, tondame per paravalanghe o per difesa dei versanti, tronchi da sega. Di recente è stata condotta con successo la sperimentazione delle scandole di Castagno per la copertura dei tetti. La paleria può essere tonda, o lavorata a spacco a partire da tronchi di dimensioni superiori. Nella produzione di assortimenti da impiegare all’aperto, il Castagno tra le specie nostrane si rivela estremamente adatto grazie alla notevole durabilità del legno, soprattutto del durame. I tronchi da sega costituiscono l’assortimento più pregiato ottenibile; è necessario che siano sufficientemente diritti e con cipollatura contenuta entro limiti accettabili. Dai segati si ottiene legname per mobili, infissi e doghe per botti; i tronchi migliori possono altresì essere tranciati. La legna da ardere è poco apprezzata a causa dell’elevato contenuto in tannino, che ostacola la combustione e forma depositi lungo i condotti dei fumi; la fascina, tuttavia, per il fatto di essere formata da giovani rami, con basso contenuto di tannino, fornisce una fiamma vivace. La combinazione dei tannini con certi metalli forma composti di colore scuro che si possono diffondere lungo le fibre del legno; tale fatto deve essere tenuto in considerazione nel fissaggio del legname da lavoro con viti e chiodi. 42 Cembro Famiglia: Nome scientifico: Nome dialettale: Pinacee Pinus cembra gembro Caratteri botanici E’ un albero molto longevo e di lento accrescimento. La chioma è sempreverde e globosa, e il fusto generalmente diritto. La corteccia è di colore grigio, liscia e con bolle di resina nelle piante giovani, screpolata in squame nelle piante adulte. Le foglie sono aghiformi, riunite a fascetti di cinque aghi ognuno. I fiori compaiono a primavera; sia i maschili che i femminili sono piccoli amenti rossastri. I femminili si trasformano, dopo la fecondazione, nelle pigne, che durano sulla pianta fino alla primavera del terzo anno. I semi contenuti sono avvolti da un tegumento legnoso, e sono commestibili. Caratteri ecologici e note selvicolturali E’ una pianta tipicamente alpina, molto resistente al freddo e poco sensibile alle esposizioni, anche se gradisce una leggera copertura in gioventù. Cresce bene su terreni freschi, ma non vuole ristagni idrici. Il seme è molto appetito da mammiferi e uccelli che frequentano le cembrete; gli scoiattoli e la nocciolaia sono veri specialisti nel cibarsi dei semi estraendoli dalle pigne ancora chiuse. Alla loro innata attitudine a creare scorte di cibo, si deve il fatto che piccoli depositi di semi posti nel terreno, e non utilizzati, germoglino, formando gruppetti di piantine. Si diffonde spontaneamente sui pascoli abbandonati, tuttavia a causa della pesantezza del seme la rinnovazione è sempre concentrata attorno alle piante madri. Il legno Massa volumica 4,5 q/m3 Il legno di cirmolo gode di una fama consolidata, al pari di quella del Noce tra le latifoglie, a motivo della tessitura fine e della fibratura diritta, che lo rendono ben lavorabile. Il durame ha un bel colore rosso salmone, mentre l’alburno è chiaro; le cerchie di accrescimento sono generalmente molto ristrette e regolari. I tronchi sono adatti ad essere scolpiti e lavorati al tornio, mentre con i segati si realizzano mobili e rivestimenti interni. Il legno, leggero, ha un caratteristico e gradevole profumo dovuto alla resina. Pigna, squama e seme Corteccia Albero Fronde e fiori 43 Ciliegio Famiglia: Sottofamiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Rosacee Prunoidee Prunus avium sciaresa, sceresa, sciaresera, sceresera. Caratteri botanici Il Ciliegio selvatico è un albero che raggiunge e spesso supera i venti metri di altezza; ha un fusto diritto ricoperto da una corteccia grigio chiara con lenticelle ben visibili, disposte orizzontalmente. Nelle piante adulte gli strati più esterni della corteccia spesso si lacerano in striscioline orizzontali. La chioma è espansa e globosa, con rami disposti in palchi regolari. La fioritura, di colore bianco, è caratteristica e particolarmente vistosa, ed avviene prima dell’emissione delle foglie. Il frutto è una drupa sferica di colore rosso scuro, liscia, con polpa commestibile. Il seme, comunemente chiamato nocciolo, è di consistenza ossea e liscio. Frutto e seme costituiscono un’importante fonte alimentare per gli animali selvatici. Gli uccelli si cibano volentieri dei frutti, contribuendo alla disseminazione e diffusione della specie. Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Ciliegio selvatico si trova dall’orizzonte submontano fino a 1200 – 1400 m di altitudine; la sua distribuzione è facilmente individuabile durante la fioritura. Si nota nei boschi di latifoglie formatisi sui coltivi abbandonati e nei castagneti, sia sui versanti soleggiati che su quelli ombrosi. La rinnovazione avviene prevalentemente da seme, grazie soprattutto alla disseminazione operata dagli uccelli; le plantule si sviluppano preferibilmente nelle localizzazioni ben illuminate o sotto una leggera copertura. Il Ciliegio si riproduce anche per polloni radicali, formando piccoli boschetti molto densi. E’ molto resistente al freddo, ma la fruttificazione viene spesso compromessa dalle gelate durante il periodo della fioritura. Non è un albero molto socievole, e perciò non forma boschi puri, al contrario si trova volentieri frammisto ai boschi dell’orizzonte submontano e dell’orizzonte montano inferiore. Il Ciliegio si trova sia in aperta campagna, come albero isolato, generalmente piantato e non di rado innestato per la produzione dei frutti, sia spontaneo in bosco. Per la produzione di legno l’interesse 44 si concentra sulle piante in bosco, o comunque sui soggetti selvatici. Le giovani piantine di Ciliegio necessitano di una buona quantità di luce per potersi sviluppare in modo ottimale; le cure colturali devono essere indirizzate esclusivamente alle piante nate da seme e non ai polloni radicali. Questi ultimi si riconoscono per la loro disposizione a gruppi coetanei e densi, e non sono in grado di fornire assortimenti con buone qualità tecnologiche. Le prime cure colturali devono eliminare la concorrenza degli arbusti, che possono soffocare le piantine togliendo loro la luce necessaria. Quando le piante hanno superato l’altezza degli arbusti, si individuano quelle con buon portamento (fusto diritto, non biforcato), e vengono allevate fino a maturità, mantenendo sempre la chioma in sufficiente illuminazione. L’industria della trasformazione predilige i tronchi dritti e senza nodi da destinare alla tranciatura e alla sfogliatura, è pertanto conveniente praticare la potatura del terzo inferiore del fusto, eliminando i rametti quando non superano i 3 cm di diametro, per evitare di lasciare cicatrici troppo ampie sul fusto, che deprezzano il valore degli assortimenti ritraibili. La potatura va eseguita a fin inverno, poco prima della ripresa vegetativa, in modo che la ferita venga rimarginata entro l’anno. Il Ciliegio è considerato una specie a legname pregiato, ed è indicato nella formazione di impianti con finalità produttive. E’ indispensabile impiegare materiale vivaistico di buona qualità, con la specifica attitudine alla produzione da legno. Il legno Massa volumica. 6,2 q/m3 Il legno presenta una tipica differenziazione tra alburno, di colore chiaro, e durame, rosso-bruno; i raggi sono piccoli ma ben visibili, gli anelli di accrescimento sono ben marcati e conferiscono una venatura particolare alle tavole, la tessitura è fine e compatta. Il legno è pregiato soprattutto per il colore e per la buona lavorabilità e la possibilità di essere ben rifinito, si utilizza esclusivamente il durame. Stagiona senza difficoltà e si usa prevalentemente al coperto; all’aria aperta è facilmente deperibile. Viene impiegato nella fabbricazione di mobili, strumenti musicali, liste per pavimento, lavori di ebanisteria e di tornitura. Talora viene impiegato nella fabbricazione delle botti, impiegate nella preparazione dell’aceto balsamico, nell’affinamento della grappa ecc. Viene inoltre tranciato e sfogliato. La legna da ardere non costituisce l’assortimento principale, anche se il legno di Ciliegio ha un ele- vato potere calorifico. Si destinano a questo impiego le ramaglie e gli scarti della segagione. I tronchi di dimensioni commerciali devono avere diametro minimo di 30 cm e lunghezza di almeno 2 m. La maturità giunge a 40-50 anni di età, ed in seguito la pianta invecchia rapidamente. In condizioni ottimali di illuminazione e sui terreni fertili l’accrescimento è rapido, mentre declina col diminuire della luce a disposizione della chioma. L’assortimento più remunerativo è costituito dal tronco per tranciatura o sfogliatura. Sono pure ricercati i tronchi da sega, che vengono assorbiti anche dal mercato locale. Non è una specie che cresce in purezza su superfici estese, e quindi la produzione/ettaro è variabile con la densità dei soggetti. Le piante mature superano generalmente 1 m3 di volume. Corteccia Foglie Fusto Fiori Legno 45 Faggio Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Fagacee Fagus sylvatica fo, fagiöla Caratteri botanici Il Faggio è una latifoglia maestosa che può vivere fino a 300 anni, e raggiungere diametri superiori al metro. La corteccia è caratteristica, grigia e sottile, spesso macchiata di bianco per la presenza di licheni. Le foglie sono a margine intero e ondulato. I fiori maschili sono raggruppati in corti capolini penduli, mentre i femminili sono riuniti due a due e racchiusi in un involucro, detto cupola, coperto di aculei. A maturità la cupola si apre in quattro valve, e lascia cadere i due semi, detti Faggiole. La fruttificazione avviene ogni anno, ma solo ogni 45 anni è particolarmente abbondante. Il Faggio ha una discreta capacità di riproduzione per polloni emessi dal fusto, cosicché può essere governato anche a ceduo. Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Faggio è diffuso in Valtellina e Valchiavenna in modo discontinuo, e non forma boschi puri molto estesi. Al contrario, sulle Alpi orientali e sull’Appennino è una tra le specie forestali maggiormente diffuse. Il Faggio è una specie che ama l’umidità, soprattutto dell’aria, che lo protegge dalle gelate tardive, verso cui le gemme sono molto sensibili, e predilige le esposizioni ombrose. Sembra che l’insufficiente umidità atmosferica sia il principale fattore che ne limiti la diffusione in Provincia. Sul nostro territorio prevale nettamente la forma di governo a ceduo, puro o misto alle querce. Si trova pure misto all’Abete bianco e all’Abete rosso, in posizione sottoposta. La scarsa vitalità delle ceppaie e il lento accrescimento, se paragonato a quello di altre latifoglie, impongono una buona pratica nella gestione dei cedui. Durante il taglio è opportuno rilasciare alcuni polloni con funzione di tirasucchio, per mantenere alta la vitalità delle ceppaie. Inoltre il Faggio deve essere sempre tagliato “sul nuovo”, cioè il taglio non deve interessare la parte di ceppaia preesistente alla formazione dei polloni, pena la loro mancata o ridotta emissione. Questo fatto porta nel tempo all’innalzamento delle ceppaie. Una particolare forma di ceduazione, praticata in passato, prevedeva il taglio a più di un metro da terra, per evi46 tare il morso delle capre a danno dei giovani polloni. E’ importante curare la sostituzione delle ceppaie vecchie o esauste mediante la rinnovazione naturale: le giovani piantine si instaurano successivamente alle annate in cui la produzione di seme è cospicua. Il turno comunemente adottato va da 20 a 25 anni, e la massa a maturità oscilla da 80 a 100 m3 all’ettaro. Il legno proveniente dai cedui è utilizzato come legna da ardere. Le fustaie di Faggio da noi sono piuttosto rare, tuttavia è sempre possibile trovare individui nati da seme, isolati o misti ad altre specie. Il legno Massa volumica 7,3 q/m3 Il legno non presenta differenziazione tra alburno e durame, ed è di colore bianco. La tessitura è fine e la fibratura diritta; sono ben visibili i raggi, che conferiscono aspetti particolari alle tavole. Il legno di Faggio è facilmente deperibile all’aperto; il processo di vaporizzazione è in grado di renderlo più durevole poiché asporta le sostanze più facilmente appetibili dagli agenti del degrado, e gli conferisce un’elevata durezza e un colore rossiccio. Dai tronchi regolari provenienti dalle fustaie si ricava legname da lavoro, destinato alla produzione di mobili e oggetti vari; è pure adatto ad essere tornito e sfogliato. È di facile lavorazione e può essere portato ad un buon grado di finitura, e inoltre si presta ad essere piegato a vapore. Il legno proveniente dai cedui fornisce un’ottima legna da ardere, con elevato potere calorico, superiore a quello fornito dal legno di fustaia, perché più denso. Il fuoco prodotto dal Faggio fa poco fumo e non scoppietta, e lo rende adatto ai forni per pizza. Cupola e faggiole Foglie e frutti Legno Corteccia Gemme 47 Frassini Famiglia: Nome scientifico – Frassino maggiore: – Orniello: Nomi dialettali: Oleacee Fraxinus excelsior Fraxinus ornus frasen Caratteri botanici I frassini presenti nella nostra provincia appartengono a due specie: Frassino maggiore e Orniello. Il primo è un albero che può raggiungere notevoli dimensioni, con altezza fino a 40 m. La corteccia è grigio-verde e liscia nelle piante giovani, e ruvida e screpolata nelle piante adulte. I fiori, piccoli e riuniti in densi ciuffi, compaiono prima dell’emissione delle foglie, e sono di colore viola. I frutti sono samare appiattite, lunghe da 3 a 4 cm, portati a grappoli vistosi. Le foglie sono composte da 3-7 paia di foglioline, più quella apicale, e sono portate opposte sui rametti. Il Frassino maggiore è una specie che tollera l’ombra in gioventù, mentre le piante adulte crescono bene anche in piena luce. E’ molto resistente alle basse temperature, ma teme le gelate tardive, che possono danneggiare la gemma apicale. L’Orniello è un albero di modeste dimensioni, con corteccia grigia e liscia anche a tarda età. I fiori compaiono dopo l’emissione delle foglie e sono riuniti in ciuffi bianSamare di Frassino chi molto vistosi. Le foglie sono maggiore composte da 2-4 paia di foglioline, più quella apicale, e sono portate opposte sui rametti. E’ una pianta amante del caldo e delle esposizioni luminose, e tollera molto bene i terreni con poca disponibilità idrica. Entrambi i frassini hanno una spiccata facoltà pollonifera, emettendo polloni sia dalla ceppaia che dalle radici. Il Frassino maggiore si diffonde spontaneamente nei boschi di latifoglie ombrosi, si insedia nelle selve di Castagno non curate e nei prati abbandonati dei maggenghi; si trova per lo più come soggetto di alto fusto, isolato o a piccoli gruppi. L’Orniello si trova nei boschi cedui delle zone calde e soleggiate, e forma di solito boschi misti con le querce. Albero 48 Il legno Massa volumica 7,5 q/m3 Legno ad alburno e durame indifferenziati, di colore bianco-giallo lucente. Il legno proveniente dalle fustaie appartiene alla specie Frassino maggiore. E’ un legno pregiato, duro e molto elastico, che si presta anche ad essere piegato al vapore. E’ adatto alla costruzione di mobili, parquet, manici e piccoli oggetti. Un tempo era ricercato per lavori da carradore. Il legno ha un elevato potere calorico; alla combustione si destina soprattutto il legno proveniente dai cedui di Orniello. Fioritura di Orniello Legno Fronde e frutti di Frassino maggiore Fronde e frutti di Orniello 49 Larice Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Pinacee Larix decidua lares Caratteri botanici E’ un grande albero che può raggiungere i 40 m di altezza e superare il metro di diametro; è assai longevo, potendo superare i 400 anni di età. Dove le condizioni di clima e terreno sono favorevoli, l’accrescimento è sostenuto, almeno in gioventù, e qui il Larice può raggiungere le dimensioni maggiori; dove invece le condizioni climatiche raggiungono valori estremi per la vita del Larice, l’accrescimento è lentissimo, e può raggiungere le maggiori età. Il Larice è l’unica conifera presente sull’arco alpino che non è sempreverde; infatti in autunno perde le foglie, rimane spoglio in inverno, e torna a rinverdire a primavera. Durante il ciclo vegetativo le foglie passano dal verde tenero al giallo-rossiccio, creando delle suggestioni cromatiche uniche sui versanti. Il fusto è generalmente diritto, e i rami sono distribuiti a palchi regolari. La corteccia è gialla sui getti dell’anno, poi diventa grigia, dapprima liscia e poi sempre più fessurata nel senso dell’asse del fusto, formando delle placche che nelle piante adulte e vecchie possono superare 20 cm di spessore. Il colore allora assume delle sfumature che vanno dal grigio al rosso cupo e al nero. Sotto gli strati più superficiali di sughero, la corteccia ha sempre un colore rosso cupo. Sul fusto e sui rami possono vivere dei licheni anche molto vistosi, a forma di crosta o di ciuffi grigioverdi. La fioritura avviene poco prima dell’emissione delle foglie; i fiori maschili sono dei piccoli amenti gialli, mentre i femminili sono piccoli ovali rossicci, che dopo l’impollinazione si trasformano gradualmente nelle pigne. Si riproduce solo tramite i semi, che vengono diffusi dal vento. Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Larice si può trovare in ambienti altimetricamente molto diversi: dal limite superiore della vegetazione arborea, fino ai coltivi abbandonati di media montagna, abbracciando quasi interamente i versanti delle montagne, ma solo negli orizzonti montano e subalpino può formare estesi boschi puri. Il Larice, come la Betulla, predilige le esposizioni luminose: si può instaurare sui pascoli abbandonati, sulle scarpate delle strade di montagna o nelle 50 tagliate sufficientemente ampie. I rami che non ricevono una sufficiente quantità di luce, cioè quelli più bassi, seccano sulla pianta, e in seguito cadono. Il Larice è’ molto resistente al freddo e per questo riesce a vivere a quote assai elevate, dove il vento pungente lo mantiene basso e contorto. I Lariceti dell’orizzonte montano sono destinati lentamente a trasformarsi in altri boschi: infatti la leggera ombra proiettata al suolo dalle chiome permette la diffusione di altre specie arboree, che si avvantaggiano di questa protezione. E’ assai poco probabile che la rinnovazione di Larice si instauri in un Lariceto maturo, mentre l’Abete rosso è tra le specie che vi si diffondono. Per poter rinnovare il Lariceto, è necessario eseguire tagli raso piuttosto consistenti, che permettano una forte illuminazione del suolo. Durante gli stadi giovanili molte piante soffrono per l’eccessiva densità, e sono stimolate ad accrescersi in altezza a ritmo sostenuto, con lo scopo di intercettare la luce solare diretta, di cui necessitano, col risultato di formare fusti sottili e molto lunghi, assai poco stabili nei confronti dello sradicamento ad opera degli agenti atmosferici. E’ allora opportuno diradare il Lariceto, eliminando i soggetti con le caratteristiche sopra ricordate. I Lariceti dell’orizzonte subalpino sono più stabili, poiché all’aumentare della quota il Larice prende il sopravvento sulle altre specie arboree, che si dimostrano meno competitive. Un ettaro di Lariceto maturo può contenere oltre 500 m3 di legname; benché possa vivere molto a lungo, i turni adottati variano da 80 anni alle quote inferiori, a 120-150 anni alle quote superiori. Periodicamente i Lariceti di alta montagna sono defogliati da un parassita, la Zeiraphera diniana, tuttavia senza soccombere. Il legno Massa volumica 6,6 q/m3 Durame ed alburno sono ben differenziati: il primo ha colore rosso-bruno, mentre il secondo, in genere piuttosto ristretto, è bianco-giallo. Gli anelli di accrescimento sono sempre ben visibili. Nel legno ci sono numerosi canali resiniferi, e spesso anche tasche di resina. La fibratura diritta e la tessitura da fine a media lo rendono ben lavorabile. Al pari del Castagno, il legno di Larice si fende facilmente, e questa proprietà deve essere tenuta in considerazione durante la segagione, la stagionatura e il successivo impiego. Il legno del durame è molto resistente all’aperto, nei riguardi degli agenti atmosferici e dei parassiti, e per questo il Larice è la specie più usata nelle costruzioni sulle alpi. Da secoli i tronchi squadrati con la scure sono serviti per la costruzione di case, stalle e fienili, spesso ricoperti di scandole, sempre di Larice. I tronchi di Larice, come quelli di Castagno, si prestano ottimamente per realizzare strutture di difesa del suolo e paravalanghe. I segati si prestano alla realizzazione di pavimenti, rivestimenti, infissi, mobili. I rami, i tronchi difettosi e gli scarti di lavorazione forniscono un’ottima legna da ardere, che scoppietta durante la combustione. Il legname migliore si ricava dai fusti con anelli di accrescimento regolari e non troppo ampi, che sono propri delle piante dei boschi di alta montagna; le piante cresciute a bassa quota di solito hanno anelli eccessivamente larghi e alburno molto ampio, a discapito della qualità. Dal Larice si ricava la resina, che si estrae con particolari fori praticati sul fusto, o più comunemente si raccoglie dalle piante tagliate; trova impiego nella medicina popolare come cicatrizzante e antisettico, sia per gli uomini che per il bestiame domestico. Corteccia Fronde Lariceto Scandole 51 Noce Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Juglandacee Juglans regia nus, nughera Caratteri botanici E’ un grande albero, con chioma molto espansa, che può raggiungere i 30 m di altezza e 1,5 m di diametro. La corteccia è grigio chiaro, liscia nelle piante giovani, e screpolata secondo l’asse del fusto nelle piante adulte e vecchie. I fiori maschili sono amenti penduli di colore verde-giallo, che si sviluppano sui rametti dell’anno precedente, mentre i fiori femminili sono globosi e poco appariscenti, portati sui rami dell’anno. Le foglie sono composte da 2 a 4 paia di foglioline, più quella apicale, di forma ellittica, ed emanano un odore caratteristico se vengono sfregate. Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Noce è un albero legato agli ambienti rurali piuttosto che forestali; viene spesso piantato nei prati o attorno alle abitazioni, oltre che per la produzione del legno, per la produzione dei frutti. E’ originario dell’Asia centrale e occidentale, ed è stato ampiamente diffuso dall’uomo nei secoli passati per il frutto ed il legno, entrambi apprezzati e ricercati. Necessita di piena luce, e sopporta male la vicinanza di altre piante che lo mettono in ombra. Capita a volte di trovare dei noci nati in bosco, grazie all’involontaria disseminazione operata da uccelli e piccoli mammiferi, ma si tratta in genere di piante esili e sottoposte, a causa della concorrenza esercitata dagli alberi circostanti. Non teme il freddo durante il riposo vegetativo, ma è piuttosto sensibile alle gelate primaverili. Per poter crescere bene necessita di terreni fertili, profondi e sufficientemente freschi. Esistono numerose varietà che si differenziano per le caratteristiche del frutto. finitura; la fibratura può presentare caratteristiche ondulazioni e deviazioni che, se sapientemente valorizzate, possono costituire elemento di pregio nei manufatti. Il durame in genere è resistente all’attacco degli insetti lignivori, mentre l’alburno deperisce rapidamente. Da stagionato, il legno di Noce è tra quelli più stabili; è indicato per mobili di pregio e liste da pavimento, e si presta molto bene alla produzione di fogli tranciati. Il Noce è impiegato assai di frequente in arboricoltura da legno, tuttavia capita spesso di osservare impianti con sesti eccessivamente fitti e piante mal conformate, con inserzione della chioma al di sotto dei primi due metri, e con brutte ferite da potatura. Per ottenere tronchi da lavoro di buona qualità, è necessario che il fusto sia privo di rami grossi almeno fino a 3-4 m da terra, e per essere destinato alla tranciatura deve essere sufficientemente diritto. E’ possibile effettuare la potatura per innalzare il punto di inserimento della chioma, ma questa deve essere fatta quando i rami sono di piccole dimensioni, meglio se dell’anno in corso. Amenti maschili Il legno 3 Massa volumica 6,3-7,5 q/m Alburno e durame nettamente differenziati: il primo è bianco, mentre il secondo va dal marrone chiaro al bruno. La percentuale di durame aumenta con l’età della pianta, tuttavia l’alburno è sempre ben presente, e contribuisce ad innalzare la percentuale di scarto sulla segagione. Il legno ha tessitura fine, si lavora bene e può essere portato ad un’ottima Fronde e frutti 52 Albero Fusto con cicatrici da potatura Legno 53 Olmi Famiglia: Nomi scientifici – Olmo campestre: – Olmo montano: Nomi dialettali: Ulmacee Ulmus minor Ulmus montana ulf Caratteri botanici Gli olmi spontanei nella nostra provincia sono l’Olmo campestre e l’Olmo montano. Sono grandi alberi che possono raggiungere notevoli dimensioni e qualche secolo di vita. Il fusto è generalmente diritto e la chioma globosa. La corteccia è grigia e liscia in gioventù, e diviene spessa e screpolata con l’avanzare dell’età; in certi soggetti di Olmo montano la corteccia, soprattutto sui rametti, presenta delle creste di sughero alte anche più di 1 cm. Le foglie sono ruvide e nettamente asimmetriche alla base. I fiori, poco vistosi, sono riuniti in ciuffetti rosso porpora, e compaiono prima dell’emissione delle foglie; la maturazione dei frutti è molto precoce, e a maggio avviene la disseminazione. Il frutto è una samara, con una larga ala che lo circonda completamente. L’Olmo ha una spiccata facoltà vegetativa, potendo emettere polloni dalla ceppaia e dalle radici. Caratteri ecologici e note selvicolturali L’Olmo campestre si può trovare nei terreni fertili delle zone agricole, ai bordi dei prati o sui coltivi abbandonati dell’orizzonte submontano e montano. Veniva allevato per ricavare la frasca, utilizzata come alimento del bestiame domestico. Per vegetare bene necessita di esposizioni luminose; i polloni radicali, a volte emessi in gran quantità, possono formare dense macchie pure, mentre le piante nate da seme si trovano isolate o a piccoli gruppi. L’Olmo montano è specie tipicamente forestale, e si trova misto nei boschi di latifoglie dell’orizzonte montano, ove predilige le esposizioni non eccessivamente luminose. Da qualche decennio gli olmi sono devastati da una malattia fungina a decorso letale, lasciando indenne solo qualche giovane pianta. La capacità di fruttificare sin da giovane e l’emissione di polloni garantiscono per ora la sopravvivenza della specie. 54 Il legno Massa volumica 6,5 q/m3 Il legno presenta alburno e durame differenziati; il primo è chiaro, mentre il secondo è marrone più o meno scuro. La tessitura è grossolana e conferisce ai segati disegni particolari; la fibratura talvolta è deviata. Il legno stagionato è particolarmente duro, tanto da rendere la chiodatura particolarmente difficile, e resistente all’usura. La stagionatura dei segati comporta spesso notevoli deformazioni, che ne limitano l’impiego. Le tavole più stabili possono essere impiegate nella fabbricazione di mobili e di liste da pavimento. Il legno si presta bene ad essere piegato a vapore; è pure indicato nella produzione di tranciati. Samara di Olmo campestre (sinistra) e di Olmo montano (destra) Albero Legno Fronde 55 Ontani Famiglia: Nomi scientifici – Ontano bianco: – Ontano nero: Nomi dialettali: Betulacee Alnus incana Alnus glutinosa agnisc, unisc, nisc Caratteri botanici L’Ontano bianco è un albero che raggiunge modeste dimensioni e non è molto longevo. La corteccia è grigia e si mantiene liscia e lucida anche sugli esemplari adulti. Le foglie sono ovali e appuntite, più chiare nella pagina inferiore. I fiori maschili e femminili si sviluppano prima dell’inverno, e la fioritura è molto precoce. I fiori maschili sono amenti penduli, mentre i femminili hanno l’aspetto globoso; questi ultimi si trasformano in infruttescenze ovali composte da squame legnose contenenti i piccoli semi alati, che vengono dispersi dal vento. L’Ontano nero può raggiungere dimensioni di poco superiori a quelle dell’Ontano bianco, e al pari di questo è poco longevo. I fusti in genere sono diritti e a sezione rotonda. La corteccia è marrone scuro, e si screpola in piccole placche sugli alberi adulti. Le foglie sono arrotondate all’apice; i fiori sono simili a quelli dell’Ontano bianco; le infruttescenze sono portate su un lungo picciolo. Entrambi gli ontani hanno un’elevata facoltà pollonifera dalla ceppaia. Caratteri ecologici e note selvicolturali L’Ontano bianco accompagna i boschi di latifoglie e di conifere dell’orizzonte montano posti nelle localizzazioni più umide e fresche, potendo formare anche piccoli boschetti puri. In genere si comporta da specie preparatoria, potendosi insediare anche sui terreni nudi; è infatti una specie che arricchisce il terreno di azoto, grazie a simbiosi batteriche che interessano le radici, e permette in seguito lo sviluppo di altre latifoglie, come il Frassino maggiore e l’Acero, o dell’Abete rosso. Si instaura spesso anche sui prati abbandonati e nelle aree golenali, dove contribuisce notevolmente al trattenimento del terreno in caso di esondazioni. E’ molto resistente al freddo. L’Ontano nero è strettamente legato alla presenza di acqua nel suolo, e per questo vegeta bene lungo i fossi e nelle aree con ristagno idrico. Fusto di Ontano nero 56 Il legno Massa volumica: 5,4 q/m3 per Ontano nero L’Ontano bianco ha legno leggero, tenero e di scarso valore; si degrada molto velocemente all’aperto. Il legno di Ontano nero presenta alburno e durame differenziati, quest’ultimo di colore rosso salmone da fresco, che degrada in giallo ruggine durante la stagionatura. Il legno è leggero e tenero, a tessitura fine e fibratura diritta, molto ben lavorabile. Si presta per la fabbricazione di piccoli oggetti domestici e torniti, e anche alla produzione di segati per falegnameria. Al pari di quello dell’Ontano bianco, il legno si degrada facilmente all’aperto, ma resiste molto bene sommerso in acqua. Per questo motivo veniva impiegato per opere idrauliche e palificazioni sommerse. Foglie e infruttescenze di Ontano bianco Foglie e infruttescenze di Ontano nero Legno di Ontano nero 57 Pino silvestre Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Pinacee Pinus sylvestris teun, tiun, teo, pin Caratteri botanici E’ una conifera sempreverde che può raggiungere 40 m di altezza e 1 m di diametro. La corteccia delle piante giovani e dei rami ha un caratteristico colore arancione, ricoperta da sottili pellicole, mentre sui fusti delle piante adulte varia da grigio a bruno, screpolata in placche grossolane. Gli aghi sono rigidi e pungenti, di colore grigioverde, portati solitari sui rametti dell’anno, e riuniti a coppie sui rami più vecchi. I fiori maschili sono piccoli amenti gialli, mentre i femminili sono globosi e rossastri; la pigna che si forma è di consistenza legnosa, di colore grigio-marrone, e matura in due anni. Il seme, cadendo dalla pigna, viene facilmente trasportato dal vento. Nei boschi densi il fusto è diritto e slanciato, la chioma è raccolta in alto e si appiattisce nelle piante adulte; nei boschi radi può avere portamento basso e tozzo. Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Pino silvestre è amante della luce quasi quanto il Larice, e sopporta molto bene i periodi siccitosi anche durante la stagione vegetativa. Grazie a questa proprietà riesce a vivere anche su terreni difficili come i ghiaioni e gli accumuli detritici. E’ molto resistente al freddo. Può formare estesi boschi puri sui versanti soleggiati dell’orizzonte montano, oppure mescolarsi col Larice e con l’Abete rosso. La formazione delle pinete pure è favorita dai tagli raso, che comportano una forte illuminazione del suolo: il novellame è sempre molto abbondante, e le giovani formazioni necessitano di sfolli e diradamenti per garantire una giusta illuminazione delle chiome. Infatti per ricercare la luce nei boschi troppo fitti, i pini sono stimolati ad accrescersi in altezza, formando fusti molto esili e poco resistenti al vento e alla neve. Le pinete di Pino silvestre sono molto infiammabili, a causa della resina contenuta negli aghi, nelle gemme, nelle pigne e nel legno; il fuoco si propaga facilmente anche alla chioma delle piante in piedi. Corteccia 58 Il legno Massa volumica 5,5 q/m3 Il legno presenta alburno chiaro e durame rossastro; gli anelli di accrescimento sono sempre ben marcati. E’ leggero e presenta sempre un certo contenuto di resina. Le caratteristiche tecnologiche e meccaniche possono variare di molto a seconda della provenienza delle piante; il legname migliore si ricava dalle piante adulte cresciute lentamente, con fusto diritto, nodi piccoli e anelli di accrescimento stretti e regolari. Con i tronchi migliori si producono segati per la fabbricazione di serramenti, mobili e rivestimenti interni, mentre quelli scadenti vengono impiegati nella fabbricazione di imballaggi. All’aperto il legno deperisce abbastanza rapidamente, ma si presta bene ad essere impregnato con sostanze preservanti, che lo rendono molto duraturo. Il legno brucia molto bene, ma produce molto fumo a causa dell’elevato contenuto in resina. Pigna, squama e semi Tronco sottoposto a resinazione Fronde e pigna 59 Pioppo tremolo Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Betulacee Populus tremula albera Caratteri botanici E’ un albero poco longevo, che raggiunge al massimo un’ottantina di anni. Ha fusto diritto e slanciato; i rami bassi seccano progressivamente e cadono, cosicché il fusto appare nudo per buona parte del suo sviluppo. La corteccia è grigio-verde, liscia nelle piante giovani, e screpolata per la presenza di numerose lenticelle col passare degli anni. Le foglie sono di due tipi: la maggior parte è tondeggiante, con margini ondulati, e picciolo appiattito, mentre quelle che si sviluppano sui getti apicali e dai polloni sono più grandi, triangolari, con picciolo cilindrico. La pianta è dioica, ossia esistono individui maschili e individui femminili. I fiori maschili e femminili sono entrambi amenti penduli; i femminili si rivestono di una lanugine bianca quando i frutti sono maturi. In seguito i frutti, molto leggeri, vengono dispersi dal vento grazie alla peluria di cui sono muniti. Si riproduce facilmente per seme, ed anche per polloni radicali. Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Pioppo tremulo è una pianta amante della luce e molto frugale, e colonizza i terreni nudi esposti al sole, spesso assieme alla Betulla, al Pino silvestre e ad altri alberi pionieri. E’ molto utile nella ricolonizzazione di terreni nudi, come sui corpi franosi o su superfici percorse dal fuoco, formando boschetti puri che garantiscono in poco tempo una buona copertura; la diffusione è facilitata grazie alla capacità di riprodursi anche per polloni radicali. La lettiera prodotta dalle foglie viene decomposta molto facilmente, riuscendo così a migliorare terreni ghiaiosi e poveri di sostanza organica, e a consentire gradualmente l’ingresso di altre specie arboree, che in seguito prendono il sopravvento. Si trova di frequente misto ad altre specie dell’orizzonte submontano e montano, soprattutto sui terreni ghiaiosi e detritici. Oltre al Pioppo tremolo, specialmente sul fondovalle, si possono trovare altri pioppi (nero, bianco, gatterino), con minore diffusione, presenti di solito ai bordi delle zone coltivate, oltre naturalmente ai pioppi euroamericani coltivati. 60 Il legno Massa volumica: 4,8 q/m3 Il legno non presenta differenziazione tra alburno e durame; è di colore bianco, leggero, a tessitura media e fibratura diritta. E’ molto poco durevole all’aperto. Non ha un utilizzo specifico, essendo disponibile in quantità limitata e con diametri piuttosto ridotti, Un tempo veniva usato per la produzione di tavolame andante per la copertura di tetti, e per la fabbricazione di scrigni per alimenti. I segati possono essere impiegati per la produzione di imballaggi, analogamente a quanto avviene per i pioppi coltivati. Viene inoltre impiegato occasionalmente come legna da ardere. Amenti Fronde Fusto 61 Robinia Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Leguminose Robinia pseudoacacia rubin Caratteri botanici E’ un albero che può raggiungere 30 m di altezza; la corteccia sui giovani rami e fusti è di colore bruno-rossiccia e liscia, mentre diventa rugosa, con costolature longitudinali intrecciate, prevalentemente grigia, sui fusti adulti. Le foglie sono composte da 8-10 paia di foglioline, più quella apicale; alla base delle foglie si sviluppano a coppie le robuste spine, che permangono per molti anni. I fiori sono raccolti in grappoli bianchi, molto profumati; sono ricchi di ghiandole nettarifere, che costituiscono un’importante fonte alimentare per le api. I fiori fecondati originano un legume bruno e appiattito, che contiene i piccoli semi; i legumi rimangono sui rami anche dopo la caduta delle foglie. Ha una notevole capacità di riproduzione vegetativa, potendo emettere polloni sia dalla ceppaia che dalle radici. Caratteri ecologici e note selvicolturali La patria d’origine della Robinia sono gli Stati Uniti del Sud-est, da cui venne importata in Europa nel XVII secolo. Si diffuse e si adattò alle nuove terre molto presto, tanto che oggi si considera una specie naturalizzata. È molto comune nei boschi soleggiati del fondovalle e dell’orizzonte montano inferiore, dove può formare estesi boschi puri. E’ tra le prime specie che colonizzano i coltivi abbandonati, diffondendosi tramite i semi o, più spesso, tramite i polloni radicali. Nei boschi cedui si rinnova e si diffonde immediatamente dopo i tagli, quando il suolo è raggiunto da molta luce; in poco tempo i polloni possono coprire completamente lo spazio disponibile Sulle radici si possono instaurare delle simbiosi con batteri che arricchiscono il terreno di azoto. L’emissione di numerosi polloni e la loro sostenuta crescita impongono l’adozione di alcuni interventi selvicolturali volti a mantenere il robinieto nelle condizioni migliori. E’ necessario uno sfollo dei polloni attorno al quinto anno, che ne rilasci circa un terzo. E’ necessario porre particolare attenzione a che l’inserzione del pollone sulla ceppaia sia il più possibile diritta, 62 a favore della stabilità. I piccoli fusti tagliati saranno molto spinosi e sottili, di nessun valore. Al decimo anno si esegue un diradamento, durante il quale si individuano i soggetti più promettenti, che possono rimanere in piedi per un ulteriore periodo; si potrà asportare fino la metà dei soggetti presenti. I fusti tagliati potranno fornire legna da ardere, e date le modeste dimensioni, potranno essere movimentati manualmente. A venti anni si potrà scegliere se eseguire il taglio di utilizzazione, o se prolungare il turno per ottenere fusti più grossi: in questo caso si potrà effettuare un secondo diradamento leggero, a carico dei soggetti mal conformati o inclinati, che non offrono garanzie di stabilità. E’ opportuno inoltre tagliare i rampicanti come la vitalba, che soffocano la pianta, o causano una maggiore intercettazione della neve da parte delle chiome, con pericolo di caduta della pianta. L’adozione di turni oltre i 20 anni deve essere giustificata dalla buona qualità del legname presente, in vista di un suo utilizzo non solo ai fini energetici ma anche da lavoro. A seconda della fertilità della stazione, un robinieto di 15 anni può avere una massa che va da 75 a 150 m3/ha. Il legno Massa volumica 7,5 q/m3 Il legno presenta un’ampia zona di durame, di color giallo tendente al verde o al bruno, e una sottile cerchia di alburno, di colore chiaro. Presenta una tessitura grossolana ed una fibratura generalmente diritta, talvolta intrecciata. E’ ben noto per la sua grande durabilità, grazie all’elevato contenuto di tannini nel durame; resiste bene all’aperto, e anche in acqua, tanto da poter essere utilizzato nella realizzazione degli ormeggi per le piccole imbarcazioni. Ha un elevato potere calorifico, grazie al quale attualmente la legna da ardere costituisce l’assortimento principale dei robinieti; il basso contenuto di umidità consente una rapida stagionatura ai fini della combustione. Dai tronchi sufficientemente diritti si può ricavare paleria ad uso agricolo: pali da vigna e pali per frutteti. Per il primo utilizzo, si preferisce ricavare i pali spaccando longitudinalmente i tronchi, analogamente a quanto si fa col Castagno. I tronchi diritti aventi almeno 2 m di lunghezza e 18-20 cm di diametro possono essere segati, per la produzione di manici, liste da parquet o assortimenti da falegnameria; i tronchi migliori vengono pure tranciati. Fronde e frutti Fioritura Fusto Alberi Legno 63 Rovere Famiglia: Nome scientifico: Nomi dialettali: Fagacee Quercus petraea rul, rugul Caratteri botanici La Rovere è una quercia caducifolia che può raggiungere imponenti dimensioni e superare i 200 anni di età. La foglia è piuttosto coriacea e caratteristicamente lobata; durante l’inverno alcune giovani piante mantengono le foglie secche attaccate ai rami. La corteccia è di colore grigio-marrone, liscia nelle piante giovani, rugosa e screpolata nelle piante adulte. I fiori maschili sono amenti penduli, mentre i femminili sono uniti a piccoli gruppi. Il frutto è la ghianda, molto pesante, e per essere diffusa necessita dell’aiuto degli animali. Ha una buona capacità pollonifera dalla ceppaia. Caratteri ecologici e note selvicolturali La Rovere si rinviene sia sui versanti soleggiati, sia su quelli ombrosi, dall’orizzonte submontano all’orizzonte montano, con una certa predilezione per le esposizioni luminose; si mescola ad altre latifoglie eliofile o mesofile, ed è tra le specie che vegetano bene sulle rupi boscate, riuscendo ad approfondire il robusto apparato radicale tra le fessure della roccia. Le ghiande sono appetite da mammiferi e uccelli, che contribuiscono a diffondere la specie; la fruttificazione avviene con abbondanza solo in determinati anni, successivamente ai quali nasce un gran numero di semenzali, che tuttavia si selezionano drasticamente se non ricevono una adeguata quantità di luce solare. Anche l’emissione dei polloni è favorita dall’illuminazione delle ceppaie. I roveri adulti si trovano, nella nostra provincia, soprattutto nei boschi cedui; l’allungamento dei turni e l’abbandono di molte superfici boscate o agricole favorisce la diffusione del Rovere dal seme. Il legno 3 Massa volumica 8,2 q/m L’alburno è di colore bianco, ed è sempre piuttosto ampio, mentre il durame è di colore marrone; la delimitazione tra le due zone non segue sempre un’unica cerchia di accrescimento. La tessitura è grossolana, con i raggi sempre ben visibili, e la fibratura è generalmente diritta. Il legno è pesante, e nella zona del durame è ricco di tannini, che gli con64 feriscono un’elevata durabilità; bisogna ricordare che i tannini reagiscono con i metalli ferrosi, formando macchie nere che possono risultare antiestetiche. Durante la stagionatura, che è piuttosto lenta, i segati manifestano una forte tendenza a spaccarsi. Il legno viene impiegato nella fabbricazione di mobili, liste da pavimento, doghe per botti. Le botti di Rovere sono molto pregiate (le barriques sono botti particolari, di Rovere, con la superficie interna tostata alla fiamma, e sono in grado di cedere determinati aromi al vino contenuto). Il legno di Rovere è inoltre usato per la costruzione di parti di imbarcazioni. Il legno dei roveri nostrani risulta in genere poco adatto alla lavorazione, a causa delle forti deformazioni cui è soggetto durante la stagionatura. Il legno fornisce un ottimo combustibile, soprattutto quello proveniente dai boschi cedui; un tempo era molto ricercato per la produzione di carbone. Ghiande e foglie Fronde e frutti Legno a venatura fiammata (a sinistra) e a rigatino (a destra) Corteccia 65 Salici Delle numerose specie e sottospecie presenti, vengono trattate le due che hanno maggior interesse sotto l’aspetto forestale e della produzione legnosa. Famiglia: Nomi scientifici – Salice bianco: – Salicone: Nomi dialettali – Salice bianco: – Salicone: Salicacee Salix alba Salix caprea salesc, salec videsc, vedes Caratteri botanici Il Salice bianco è un albero che può raggiungere i trenta metri di altezza, con fusto spesso diviso e ampia chioma. La corteccia è di colore grigio, fessurata in strisce longitudinali sui fusti adulti, liscia, da giallo a rosso-bruno sui rami e sui fusti giovani. Le foglie sono lanceolate e pelose nella pagina inferiore. I fiori maschili e femminili sono portati da individui separati, e vengono emessi contemporaneamente alle foglie. I fiori maschili sono amenti che a maturità si colorano di giallo, mentre i femminili sono verdi, e a maturità producono i piccoli semi piumosi. Il Salice bianco ha una spiccata facoltà pollonifera, potendo emettere numerosi polloni dalla ceppaia e dal fusto, e inoltre si riproduce bene per talea. Il Salicone è un alberello che al massimo raggiunge i 15 m di altezza, con fusto spesso contorto. La corteccia è di colore grigio-verde, reticolata sui fusti più vecchi. Le foglie sono ovali, appuntite all’apice, pelose sulla pagina inferiore. La fioritura è molto precoce e avviene prima dell’emissione delle foglie; quella degli individui maschili è molto appariscente per il colore giallo assunto. Gli amenti femminili sono poco appariscenti, mentre lo sono assai di più le infruttescenze, grigie e piumose. Il Salicone è un’importante pianta per le api, offrendo polline e nettare all’inizio della stagione. La capacità pollonifera è meno spiccata che nel Salice bianco, e la capacità di riproduzione per talea è molto bassa. Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Salice bianco è una specie tipica dei boschi planiziali che crescono lungo le rive dei fiumi o dei 66 torrenti. Predilige le esposizioni luminose e necessita di buona disponibilità di acqua nel suolo, e non è resistente alle basse temperature. Negli ambiti ripariali è una specie pioniera, riuscendo a diffondersi rapidamente per seme sui terreni sabbiosi o ghiaiosi di accumulo o denudati dalle piene dei corsi d’acqua. La sottospecie vitellina è largamente diffusa e impiegata dall’uomo per la produzione di vimini. Il Salicone è una specie rustica, che spesso si trova nei boschi di latifoglie o di conifere dei suoli umidi; si comporta da specie pioniera sui conoidi dei torrenti e in generale sugli accumuli detritici, sempre sui suoli umidi. E’ diffuso dall’orizzonte submontano a quello subalpino, ed è piuttosto resistente al freddo. Necessita di una discreta illuminazione della chioma, e per questo la sua permanenza nei boschi che progressivamente si infittiscono risulta poco duratura. Il legno Massa volumica 4,5 q/m3 Il legno dei salici è leggero, con alburno biancastro e durame rosato, fibratura generalmente diritta e tessitura fine, poco propenso a fendersi. E’ molto poco durevole se impiegato all’aperto, ed è facilmente attaccabile dagli insetti lignivori. Come legno da lavoro è poco ricercato: può essere impiegato nella fabbricazione di tavolame andante, oggetti da cucina e giocattoli. Nella combustione sviluppa poco calore, ma la fiamma è vivace e produce poco fumo. Per la produzione di vimini si capitozzano ogni anno le piante in inverno-inizio primavera; in seguito i vimini vengono puliti dai rametti secondari, e assortiti per lunghezza. Si impiegano soprattutto per la legatura della vite ai sostegni. Fioritura di Salice bianco Fioritura di Salicone Salici bianchi capitozzati Tronco di salice bianco Ceppaia di Salicone 67 Tasso Famiglia: Nome scientifico: Nome dialettale: rinomato da sempre per la sua elasticità, e per questo veniva impiegato un tempo nella fabbricazione di archi e balestre. Taxacee Taxus baccata tas Caratteri botanici Il Tasso è un’aghifoglia sempreverde che si presenta spesso con fusto policormico, ossia diviso in più fusti, dall’aspetto robusto e a volte maestoso. Non è una conifera. Le foglie sono lineari e appiattite, non pungenti, verde cupo sulla pagina superiore, e più chiare sulla pagina inferiore. La corteccia è liscia e rossiccia nei giovani esemplari, e si desquama in sottili placche con l’avanzare dell’età. La pianta generalmente è dioica, ossia con individui maschili e individui femminili. I fiori maschili sono piccoli, globosi, di colore giallo, raggruppati sui rametti giovani; i fiori femminili sono poco appariscenti, simili a gemme. Il frutto è una bacca di colore rosso, di consistenza vischiosa, e racchiude il seme. Le foglie, la corteccia ed il seme sono assai tossici per l’uomo e per molti animali erbivori, a causa di un alcaloide contenuto, mentre la polpa del frutto è commestibile, e ricercata da molti uccelli. Caratteri ecologici e note selvicolturali In bosco il Tasso è molto raro, probabilmente a causa dei tagli intensi cui è stato soggetto, sia per utilizzarne il legno, sia per eliminarlo come pianta tossica. Sopporta molto bene l’ombra, e necessita di terreni freschi, con buon apporto di umidità, e per questo si può trovare nelle forre dei torrenti montani, e più raramente nei boschi ombrosi di latifoglie. La crescita è molto lenta; si propaga per seme, e talvolta rigetta dalla ceppaia. Il Tasso viene piantato anche nei giardini delle abitazioni, dove tollera bene anche le esposizioni soleggiate. Il legno Massa volumica 7,6 q/m3 Il legno si presenta con alburno chiaro, quasi bianco, e durame rossiccio, con evidenti anelli di accrescimento. E’ privo di resina, e la tessitura è molto fine. E’ molto ricercato per la fabbricazione di oggetti torniti e per lavori di ebanisteria. E’ 68 Corteccia Fronde e frutti Albero Legno 69 Tiglio Famiglia: Nome scientifico: Nome dialettale: Tiliacee Tilia cordata tei Caratteri botanici E’ un albero che può raggiungere notevoli dimensioni e molto longevo. La corteccia è grigia sui fusti e rossastra sui rametti, liscia nelle piante giovani, fessurata longitudinalmente nelle piante adulte e vecchie. Le foglie sono a forma di cuore, e sulla pagina superiore hanno dei ciuffi di peli rossastri all’ascella delle nervature. I fiori sono portati da una foglia particolare, una brattea allungata, che a maturità cade assieme ai frutti. I fiori sono bisessuali e costituiscono una importante fonte alimentare per le api all’inizio dell’estate. I frutti sono rotondi e grigi. Il Tiglio possiede una spiccata capacità di riproduzione vegetativa, potendo emettere numerosi polloni da ceppaia. Caratteri ecologici e note selvicolturali Il Tiglio nei riguardi della luce ha un temperamento intermedio, pertanto non si trova sui versanti eccessivamente soleggiati; gradisce i terreni freschi e fertili. Si trova frequentemente misto ad altre latifoglie, quali Acero di monte e Frassino, ma può formare anche boschi puri, dall’orizzonte submontano all’orizzonte montano. Grazie alla sua capacità pollonifera si presta bene al governo a ceduo, ma analogamente ad altre specie, raggiunge le maggiori dimensioni se nato da seme. Il legno Massa volumica 6,0 q/m3 Alburno e durame non sono differenziati. Il legno si presenta di colore bianco opaco, a tessitura fine e fibratura diritta. E’ molto poco resistente all’aperto, poiché viene facilmente attaccato dai funghi lignivori. E’ molto ricercato per la realizzazione di oggetti torniti, lavori di intaglio e sculture, essendo di facile lavorazione. Si presta anche alla produzione di segati, impiegati in falegnameria fine e in liuteria. Come legna da ardere ha poco valore. Albero 70 Testa di tronco Fioritura Fronde e frutti Ceduo invecchiato 71 Orizzonti vegetazionali La successione degli orizzonti vegetazionali non dipende solo dalla quota altimetrica, ma anche dall’esposizione e dal clima. Il limite tra un orizzonte e l’altro pertanto non corrisponde ad una quota fissa, ma varia a seconda del luogo. ORIZZONTE NIVALE ZOLLE PIONIERE 2700 m circa PASCOLI ORIZZONTE ALPINO CESPUGLI CONTORTI LIMITE SUPERIORE DEGLI ALBERI SINGOLI 2000 m circa LIMITE SUPERIORE DEI BOSCHI DI CONIFERE ORIZZONTE SUBALPINO PECCETA SUBALPINA PRATI E PASCOLI 1500 m circa LIMITE SUPERIORE DEI BOSCHI DI LATIFOGLIE PECCETA MONTANA ORIZZONTE MONTANO PINETE DI PINO SILVESTRE SELVE DI CASTAGNO 500 m circa BOSCAGLIE DI LATIFOGLIE TERMOFILE ORIZZONTE SUBMONTANO VIGNETI E FRUTTETI PRATI 72 200 m Glossario Nel glossario che segue vengono elencati e spiegati i termini specifici adottati nel testo o comunque che possono interessare le materie trattate. In parte sono tratti dal glossario allegato alle Prescrizioni di Massima e norme di Polizia Forestale (Regolamento Regionale 1/1993). Amento: infiorescenza composta da fiori unisessuali. Arbusti: piante perenni, legnose, con rami e fusto che si dipartono da breve altezza, alte da 2 fino a 4-6 metri (ontano verde, biancospino, pino mugo ecc.). Bosco: secondo la vigente normativa regionale si intende un soprassuolo arboreo od arbustivo, a qualunque stato di età, di origine naturale od artificiale, con densità di copertura (superficie occupata dalle chiome) a maturità non inferiore al 20%. Conservano la destinazione a bosco i terreni che per cause naturali (valanghe, incendi, trombe d’aria ecc.) od artificiali (tagli a raso) siano rimasti temporaneamente privi di copertura forestale, ma in cui sia comunque possibile un processo di rinnovazione naturale entro 10 anni. Sono considerati bosco: – soprassuoli di superficie maggiore di 2.000 metri quadri; – soprassuoli di superficie minore, ma di larghezza maggiore di 25 metri (misurati dagli estremi dell’area di insidenza delle chiome, considerati a 5 metri dal fusto), se posti a meno di 100 metri da boschi propriamente detti; – soprassuoli ad andamento longitudinale (fasce alberate) purché aventi almeno per un tratto le caratteristiche di bosco; – soprassuoli costituiti da specie arboree od arbustive colonizzatrici di età media uguale o superiore a tre anni, formatisi su terreni destinati ad altra qualità di coltura. Bosco coetaneo: popolamento formato da alberi di età uguale o poco diversa. Le chiome si localizzano su un unico piano spaziale. Bosco disetaneo: popolamento formato da alberi di età sensibilmente diversa. Le chiome si localizzano su vari piani spaziali, anche sovrapposti. Ceduo a Capitozza: trattamento del ceduo applicato soprattutto ai salici da vimini, in cui si recide il fusto ad una certa altezza; in corrispondenza del taglio la pianta emette polloni e reagisce con un ingrossamento dei tessuti detto “capitozza”. Ceduo a sgamollo: modello in disuso di trattamento, tranne nelle alberature campestri, consistente nell’asportazione periodica dei rami laterali lasciando intatta la parte superiore della chioma. Veniva adottato per la produzione della frasca, per l’alimentazione del bestiame domestico Ceduo a sterzo: trattamento nel quale su ogni ceppaia vi sono polloni di età e dimensioni diverse. Durante il taglio vengono abbattuti i polloni più vecchi, e parte di quelli più sottili. Ceduo composto: modello di governo in cui sulla medesima superficie convivono un ceduo ed una fustaia costituita da matricine di età multipla del turno. Ceduo matricinato: al momento del taglio nel bosco ceduo viene rilasciato un certo numero di soggetti provenienti da seme o di polloni scelti fra i migliori allo scopo di disseminare e di sostituire le ceppaie esaurite. Le matricine vengono tagliate nei turni successivi. Ceduo semplice: forma di trattamento del bosco ceduo in cui il soprassuolo viene tagliato a raso, senza rilascio di matricine. Cespuglio: piante perenni, legnose, a fusto policormico, con rami eretti, prostrati o striscianti, alte non più di 1-2 metri (mirtilli, ginestre, salici nani, rododendri ecc.). 73 Conversione: operazione selvicolturale per cui si passa da una forma di governo ad un’altra (ad esempio da ceduo a fustaia). Il passaggio da ceduo a fustaia avviene attraverso i tagli di rinnovazione e selezione attuati, in genere, dopo un periodo di invecchiamento del ceduo. Dioica: detto di pianta con individui maschili, cioè che portano esclusivamente fiori maschili, e individui femminili, cioè che portano esclusivamente fiori femminili. Alcune diciture di “maschio” o “femmina” applicate a certe specie, come “ontano maschio”, non sono corrette, poiché gli ontani sono piante monoiche. Diradamento: taglio di parte dei fusti di un soprassuolo coetaneo e coetaneiforme immaturo, allo scopo di valorizzare le piante rilasciate. Il taglio si attua attraverso il prelievo delle piante dominate, di diametro inferiore, soprannumerarie, malformate, difettose, ed anche delle piante dominanti di ostacolo a quelle che si vogliono favorire. Drupa: frutto carnoso con seme (nocciolo) avvolto da un guscio legnoso. Eliofilo: amante della luce. Esbosco: trasporto della legna e del legname abbattuti o concentrati fino al punto in cui può essere caricato da mezzi di trasporto ordinari. Fustaia: bosco composto per lo più da piante nate da seme. Governo: sistema di rinnovazione del bosco. Governo a fustaia o ad alto fusto: forma di governo nella quale la rinnovazione del soprassuolo avviene attraverso piante da seme, provenienti da disseminazione naturale, piantagione o semina naturale. Governo a ceduo: forma di governo nella quale la rinnova- rione del soprassuolo avviene per via agamica, cioè con polloni emessi, a seguito di un taglio, dalla ceppaia o dalle radici. 74 Infiorescenza: insieme di fiori riuniti su uno stesso asse, detto rachide, semplice o ramificato. Marezzatura: particolare fibratura ondulata presente talvolta nella porzione basale dei fusti, che conferisce al legno un aspetto ricercato. Matricina (o allievo): fusto rilasciato dopo il taglio di un ceduo per uno o più turni successivi, allo scopo di disseminare e di sostituire, dopo il taglio, le ceppaie esaurite, nonché di produrre assortimenti di maggiore dimensione. Mesofilo: che predilige le condizioni intermedie, con riferimento ad un particolare fattore (luce, umidità ecc.). Monoica: detto di pianta con fiori completi (o bisessuali), oppure che porta, sullo stesso individuo, sia fiori maschili che fiori femminili. Novelleto: il primo stadio evolutivo di una fustaia coetanea che va dalla germinazione del seme all’età in cui le chiome vengono a contatto e la copertura si chiude. Periodo di curazione: l’intervallo in cui si susseguono i tagli saltuari nel trattamento delle fustaie disetanee. Perticaia: il terzo stadio evolutivo della fustaia coetanea che comprende la fase di differenziazione dei fusti ed il culmine dell’incremento diametrico; inizia il fenomeno della potatura naturale. Policormico: fusto che si divide in più parti, a portamento verticale. Pollone: fusto che si origina da gemme situate presso la base o le radici di piante di latifoglie tagliate o che hanno subito una lesione. Provvigione: la massa di materiale legnoso costituita dal volume totale degli alberi in piedi in un determinato bosco. Rinnovazione: insieme delle piantine che permette la perpetuazione del bosco. La rinnovazione può essere di origine artificiale, quando le piantine provengono dai vivai e vengono messe a dimora in bosco, o naturale, quando si instaura senza l’intervento diretto dell’uomo. La rinnovazione naturale può essere di origine gamica, ossia provenire dalla germinazione dei semi, o agamica (detta anche vegetativa) ossia costituita da polloni. Samara: frutto non carnoso e munito di ala, come in acero e frassino. Selezione naturale: processo naturale che, nel caso del bosco, elimina gradualmente gli individui meno adatti a vivere in un certo luogo. Sfollo: taglio di selezione applicato ai popolamenti coetanei allo stadio di novelleti o di giovani spessine. nei, allo scopo di assicurare l’apertura permanente della copertura, secondo modalità legate alle caratteristiche delle singole specie, per consentire il pronto insediamento della rinnovazione naturale. Taglio di sgombero: l’ultimo dei tagli di rinnovazione a carico dei popolamenti coetanei, che elimina le piante del vecchio ciclo quando la rinnovazione risulta assicurata. Taglio raso: forma di trattamento attraverso la quale si prelevano, contemporaneamente, tutti i fusti di un alto fusto coetaneo. Taglio saltuario: forma di trattamento delle fustaie disetaneiformi, che unisce le caratteristiche dei tagli di maturità e dei tagli intercalari allo scopo di imporre al popolamento una struttura disetanea, di favorire lo sviluppo di tutte le classi di età e della rinnovazione. Spessina: il secondo stadio evolutivo della fustaia coetanea, dalla chiusura delle chiome fino alla culminazione dell’incremento in altezza. Tagli secondari: tagli che seguono il taglio di sementazione, eseguiti a carico dei popolamenti coetanei, allo scopo di favorire, con l’ulteriore apertura della copertura, l’affermazione della rinnovazione già insediata e l’insediamento di altro novellame. Stadi evolutivi della fustaia coetanea o coetaneiforme: – novelleto; – spessina; – perticaia; – fustaia adulta; – fustaia matura. Tagli successivi: forma articolata di trattamento dei soprassuoli coetanei mediante il quale, con interventi successivi, vengono attuati tagli di rinnovazione che hanno lo scopo di consentire lo sviluppo della rinnovazione sotto la protezione di parte delle piante del vecchio ciclo. Possono essere preceduti dai tagli di preparazione e comprendono il taglio di sementazione, tagli secondari e taglio di sgombero. Struttura: modo di presentarsi del bosco nello spazio aereo; coetanea, disetanea, irregolare. Termofilo: amante del caldo. Taglio di preparazione: taglio di fusti di un soprassuolo prossimo ai tagli di maturità all scopo di aprire la copertura, di consentire migliore sviluppo alle piante portasemi e di preparare il terreno e la lettiera al ricevimento del seme. Taglio di sementazione: il primo dei tagli di rinnovazione nel trattamento a tagli successivi a carico dei popolamenti coeta- Tipi di ceduo: I diversi tipi di trattamento originano i seguenti tipi di bosco ceduo: – ceduo semplice – matricinato – composto – a sterzo – a capitozza – a sgamollo. 75 Tipi di taglio: Tagli intercalari: qualsiasi taglio effettuato in boschi coetaneiformi in un momento intermedio fra il suo insediamento e la maturità; comprendono sfolli nei novelleti e diradamenti nelle spessine, perticaie e fustaie. Tagli di maturità o principali: taglio del soprassuolo a maturità, applicando le più opportune forme di trattamento. taglio a raso (su soprassuoli coetaneiformi); tagli successivi (su fustaie coetaneiformi) che comprendono: – taglio di preparazione – taglio di sementazione – taglio secondario – taglio di sgombero – taglio saltuario (su fustaie disetaneiformi). Trattamento: Turno: Sistema di operazioni destinate a regolare l’evoluzione e la rinnovazione del bosco; le forme fondamentali sono: il numero di anni che deve intercorrere tra l’impianto o la rinnovazione di un soprassuolo coetaneo ed il taglio di maturità. 76