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Liberalismo, neo-giusnaturalismo, eticità.
Il problema dell’individuo in Carlo Antoni
Francesco Mattei
Università degli Studi Roma Tre
Department of Education
Via Manin, 53 - 00185 Roma
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Parva mei mihi sint cordi monimenta sodalis,
at populus tumido gaudeat Antimacho.
Catullo, Carme XCV
1. Sul soggetto: Croce, Gentile, Antoni
Il dibattito sulla postmodernità ha investito in modo prepotente, nelle sue provocazioni di fondo, la figura del soggetto e la sua antica e consolidata configurazione. Al soggetto, all’io, all’individuo, alla persona –
lemmi differenti ma usati spesso con significato vagamente sinonimico – sono state via via attribuite caratteristiche fisse, determinate, determinanti, un tempo metafisiche. E tali connotazioni hanno fatto del soggetto,
nel canone cartesiano e post-cartesiano, il centro del discorso e della realtà sociale, religiosa, metafisica (almeno nella determinazione heideggeriana dell’Essere come Dasein, come esser-ci del Sein che si “limita”, si
oggettiva e si svela). Così il soggetto, sia esso subjectum
o puro , si è sempre ritrovato ad esistere,
a pensare e ad essere pensato, come sospeso ed appeso
all’ e al j. E via via, laicizzato il suo rapporto con l’Essere e con (un) Dio, ha vissuto su di sé maEDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica, II, 2 (2013), pp. 97-119.
ISSN 2280-7837 © 2013 Editoriale Anicia, Roma, Italia.
Francesco Mattei
scheramenti e smascheramenti, volta a volta legati a
concezioni filosofiche, giuridiche, religiose, politiche,
sociali.
Si è insomma di fronte ad antropologie mutanti. E
mutando, esse hanno mutato anche il volto dell’io. Talvolta innalzandolo alle altezze inebrianti e terribili dell’Io puro (fichtiano), talaltra riducendolo ad un fascio
psichico che trova nella mente o nel super-io il luogo
della provvisoria sua koinè e di una fragile (in)consistenza1. Non è mancato chi ha parlato, ed è certo posizione originale, di «persona come metafora»2, guardando alla persona come ad «un modo di dire», ad un
trpos, ad «un concetto che non rimanda né a una sostanza, né a un principium firmissimum (sia questo un
absolutum reale, o un’assoluta “idea”)»3. Ma non è mancato nemmeno chi ha vincolato la persona ad una profonda radice teologico-metafisica: sulla scia di Aristotele
o di Tommaso, di Boezio o di Riccardo di S. Vittore,
che quella radice hanno pensato nei lunghi secoli della
1
Cfr. Vattimo e l’abusato ma non stantio «pensiero debole», in cui
si desostanzializza l’essere e con levitas lo si dice. Ma su ciò, mi sono già
soffermato. Segnalo soltanto, per un suo valore ricostruttivo, G. Vattimo
con G. Paterlini (Non essere Dio. Un’autobiografia a quattro mani,
Reggio Emilia, Aliberti, 2006), dove questo décalage dell’essere e del
pensare è testimoniato con efficacia.
2
Cfr. M. Manno, La persona come metafora. Itinerari di una
metafisica personalistica, Brescia, La Scuola, 1998.
3
Id., «Presupposti teorici del “Personalismo critico”», in G. Flores d’Arcais (a cura di), Pedagogie personalistiche e/o pedagogia della
persona, Brescia, La Scuola, 1994, pp. 255-256. E continua: «L’io è
persona quando, e soltanto quando, riesca a rideterminare come sua mondanità concreta una capacità di “eccedenza” (o “trascendenza”, o “nonintera-deducibilità”, o “di-più”)» (ibidem). Per altre declinazioni sulla
persona, cfr. F. Cambi (a cura di), Soggetto come persona, Roma, Carocci, 2007, e soprattutto, dello stesso Cambi, «Oltre i personalismi»
(ibid., pp. 37-47).
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Il problema dell’individuo in Carlo Antoni
tradizione occidentale4. Venne poi il personalismo di
conio francese, nelle versioni di Mounier e di Maritain.
E quella tradizione conobbe, forse fuori stagione,
un’altra fioritura (ora in stato di silente ridimensionamento od oblio, perché il pensiero teologico-metafisico aveva
assunto altre lontane declinazioni).
Dunque, reso alla tradizione ciò che è della tradizione, evidenziate le polisemie semantiche ed ermeneutiche della persona, dove va a collocarsi Antoni? In
quale scia ritrova il tema dell’individuo e della sua libertà costitutiva?
La risposta è semplice. Essa è presente fin dall’inizio nella sua sequela (non inerte) di Croce e nella
sua antitesi con Gentile. Ma i due maestri del neoidealismo hanno un comune antenato, lo Hegel che radica
lo spirito soggettivo nel j universale, nella ragione che dispiega la sua libertà nella storia, là dove essa
si costituisce come spirito assoluto. Antoni, invece, come
scrive Sasso, pensa in termini di « buona». Lavora ad una antropologia non «alienata» (o almeno, non radicalmente deietta). Perciò batte le strade di un neogiusnaturalismo non vanamente nostalgico.
Dice dunque Antoni, ripercorrendo le tappe genetiche della storiografia crociana: «Più che mai allora,
sotto la suggestione del Marx, il Croce avvertiva il fascino della filosofia romantica della politica, in dispregio a
qualsiasi ideologia umanitaria e ad ogni forma di giu-
4
Rinvio, per necessaria brevitas, a F. Mattei, «La radice e il
frutto. Sulla filosofia dell’educazione di M. Manno», in Id. (a cura di),
Itinerari filosofici in pedagogia. Dialogando con M. Manno, Roma,
Anicia, 2009, p. 145 e sgg.
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snaturalismo democratico»5. Ma non tralascia (come
avrebbe potuto?) di sottolineare l’influenza di Gentile
sul filosofo napoletano6, proprio in virtù di quella identificazione di essere e divenire, ragione e storia, eterno
e contingente che costituisce l’anima profonda dell’attualismo gentiliano. Ed è, questa, anima hegeliana, derivante
dall’«atteggiamento teologico» di Hegel, un atteggiamento che induce tanto Hegel che Gentile a ridurre «la
realtà a storia». Un tentativo audace e generoso. Un risultato non ben riuscito, a parere di Antoni, giacché alla
radice sta, minacciosa ed instabile, la deduzione dell’io,
la sua assoluta autodeterminazione.
Così Antoni si tiene alla larga dalle grandi “deduzioni”. Che minerebbero l’io nel suo fondamento, dato
che, instabile tra l’ideale eterno e il continuo venire
all’esistenza, il soggetto non troverebbe mai la radice
della sua concretezza. La coscienza si muoverebbe nello
spazio della astratta indeterminazione. Perciò scrive:
Per quanto intendesse l’atto come divenire storico, in quanto
lo scorgeva proporsi incessantemente compiti e problemi storicamente concreti, il Gentile non ammetteva che questo “proporsi” fosse contemplazione, bensì senz’altro lo definiva come
creazione ed azione. Lo svolgimento era, cioè, inteso da lui come piena ed assoluta “autoctisi”, autodeterminazione dell’io,
nella quale ogni momento era un’affermazione dell’io in una
5
C. Antoni, Studi sulla teoria e la storia della storiografia, in
AA. VV., Cinquant’anni di vita intellettuale italiana, 1896-1946, a cura di C. Antoni e R. Mattioli, Napoli, E.S.I., 1950, p. 65 (c.m.).
6
Così Antoni: «Si deve al Gentile l’enunciazione d’un principio, che è divenuto di capitale importanza in Croce: quello dell’identità di storia e filosofia». E ancora: «Ma la grande efficacia esercitata
dal Gentile nella formazione del pensiero crociano è consistita nell’asserzione instancabile di quell’unità dialettica dello spirito, che la teoria della distinzione delle forme dello spirito, quale si andava sviluppando
nel pensiero del Croce, sembrava compromettere» (Ibid., p. 68).
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nuova forma e però un reale annullamento dell’io nella forma in cui era prima determinato7.
La conclusione è d’obbligo: lo spirito è storia,
perché svolgimento dialettico; ma non è storia, perché
atto eterno. E da questa antinomia, sempre incombente,
Gentile non poteva uscire che in nome dell’assoluto,
sempre in nome della dizione aurorale: la «sola vera storia è l’eterna»8.
2. Sul fondamento: Hegel-Gentile-Croce
Fin qui Gentile. Ma Croce, nonostante le infinite
polemiche e le estenuanti “distinzioni”, non si allontana
troppo, sul punto, dal più giovane amico di Castelvetrano: un identico radicamento hegeliano li accomuna.
Perciò Antoni scrive:
E come già la filosofia di Hegel, anche quella di Croce rischia di apparire una teologia dello Spirito del mondo, dove gli individui sono assorbiti dal tutto9.
Dunque, tanto in Croce quanto in Gentile, a ragione
della comune radice fichtiana ed hegeliana, l’individuo
rischia il naufragio, la scomposizione interna della sua
unità. E conseguentemente, il disprezzo di «ogni ideologia umanitaria e di ogni forma di giusnaturalismo democratico». Questa la curvatura politica, il destino di
una soggettività mal piantata. Ma tutto ciò inerisce alla
ristrutturazione concettuale, prima che storico-sociale,
del principio o del cominciamento del soggetto nella co7
Ibid., p. 67.
Ibidem.
9
Id., Commento a Croce, Venezia, Neri Pozza, 1955, p. 100 (c.m.).
8
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stituzione della sua identità: il destino politico, ma anche
quello sociale, non possono che seguire la natura del cominciamento del soggetto.
Si dice “cominciamento”, e il pensiero va alla logica
hegeliana, ma è al “fondamento” che si fa riferimento. E
se l’uno è l’assolutamente indeterminato – unbestimmtes
Sein –, il puro essere vuoto – leeres Sein –, l’altro è ciò
che si dà come principium inconcussum veritatis). E
qui ha origine il “dispregio” per l’individuo intravisto da
Antoni in Croce e da lui denunciato. Ma si tratta di una
preoccupazione sempre presente nel filosofo triestino.
Perciò l’approdo concettuale al giusnaturalismo eticogiuridico, e al conseguente liberalismo etico-politico,
rappresenta soltanto un tentativo di ricollocare il soggetto10, di conferirgli un radicamento stabile, di sottrarlo alla
precarietà della sua costituzione in terreni resi franosi
dalle “deduzioni” e dalle scissioni ammalianti degli esistenzialismi. Le derive politiche hanno radice nelle costituzioni ontologiche. Minate queste, quelle necessariamente seguono.
Detto ciò, non è certo detto a quale “fondazione”
rivolgere la propria inclinazione metafisica. Né è detta
la via regia per interpretare la “posizione-costituzione”
della realtà e della soggettività. Ma è detto, ed appare
evidente, che un problema del fondamento è ancora
presente. Come pure è detto, e in forma esplicita, che
la morfologia dell’io è parte rilevante nella costruzione
10
Non apro qui il tema del rapporto liberalismo etico-politico e
liberismo economico. Mi limito a rinviare alla polemica EinaudiCroce, di cui mi sono occupato altrove (cfr. F. Mattei, La dimensione
etica tra storicismo e giusnaturalismo. Studio su C. Antoni, Roma, Anicia, 19992, p. 163 e sgg.) e ricordo il lavoro di A. Touraine (Come liberarsi del liberismo, Milano, il Saggiatore, 2000) in cui l’A. critica
con radicalità gli eccessi del liberismo economico come ladro e distruttore di soggettività.
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storico-politica della realtà. Ad essa è rivolta e da essa
è formata. Dissolta quella morfologia, è anche dissolto
lo scenario epocale che si è soliti chiamare modernità,
profondamente contrassegnata dalla signoria dell’Io e
dall’unitarietà delle sue manifestazioni.
Stupirà, forse, questa insistenza sulla soggettività.
E stupirà ancor più il riferimento a Gentile. Chi ha letto
qualche pagina del filosofo triestino, però, sa bene che il
nome di Gentile non ricorre quasi mai nei suoi scritti. E
per una necessità interna, quasi biografica, del crociano
Antoni. Impossibile tuttavia sottrarsi a questa ermeneutica su Gentile. Questi appare ad Antoni ancora profondamente legato alla “teologia hegeliana”. Il suo attualismo guadagna la soggettività per via deduttivo-trascendentale – nel senso indicato da Gentile ne La riforma
della dialettica hegeliana –, ma quella autoctisi ha in sé,
interno e necessitante, il germe del “reale annullamento”. Da questo sorgere della coscienza non si dà dunque vera libertà. E non si dà, conseguentemente, liberalismo etico-politico.
Se questa è la distanza da Gentile, e se ne comprendono le ragioni, un intervallo non dissimile Antoni interpone tra sé e il rispettatissimo Maestro Croce, quando si avvede che l’io crociano può essere fagocitato, e
proprio a causa del suo cominciamento, nei tentacoli
(politicamente) democratici, ma pur sempre (ontologicamente) inglobanti dello Spirito assoluto. E dunque,
salvare l’io vuol dire sostanzialmente salvare il suo “inizio”, far salva una radice che non avveleni sul nascere la
conseguente e consequenziale infiorescenza storico-politica.
Posta in questi termini, la questione assume una
inquietante attualità. Anzitutto, si tolgono separatezze
tali, tra teoria e prassi, che anche posizioni classiche
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non hanno disdegnato di praticare, riducendosi con ciò
ad analisi descrittive di costruzioni sostanzialmente
ideologiche. In secondo luogo, per dirla con Rovatti, si
prende atto che la “posta in gioco” è rappresentata dall’immagine e dalla consistenza della soggettività. In
terzo luogo, dal punto di vista storiografico, ma anche
più squisitamente teoretico, si finisce ancora una volta
con il dover fare i conti con l’attualismo gentiliano. Ed
a questo è doveroso guardare, pena il rischio di lasciare
in ombra uno dei nodi essenziali per comprendere questi
intrecci teorici e storico-pratici. Troppe sono infatti le
eredità manifeste, e talvolta riconosciute, e troppe le derivazioni carsiche confluite poi in movimenti dalla genealogia non sempre limpida.
L’allusione è al marxismo11. Ma è anche alla centralità dell’interpretazione attualistica. Questa sta come ultima declinazione di una signoria. Di quella signoria
dell’io che si autopone all’inizio della modernità e che
tutta l’attraversa. E quando questa sfuma, quella si dissolve. Così Natoli:
L’indugiare di Gentile entro i “termini” della soggettività molto
ci istruisce sul lento disfarsi del moderno o quanto meno di
quella modernità contrassegnata dalla signoria dell’“Io”12.
Il che significa, in sostanza, non andare troppo lontano dall’ultima posizione di Del Noce, quando questi
leggeva nell’attualismo gentiliano l’ultimo bagliore dell’immanentismo, un immanentismo «inteso nel senso
11
Per quanto riguarda il rapporto Gramsci-Gentile, rinvio a F.
Mattei, Sfibrata paideia, Roma, Anicia, 2009, p. 180 e sgg. Per il
“cominciamento teologico” in Gramsci, cfr. A. Broccoli, Il potere tra
dialettica e alienazione, Cosenza, Pellegrini, 1983, p. 370.
12
S. Natoli, Giovanni Gentile filosofo europeo, Torino, Bollati
Boringhieri, 1989, p. 11.
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letterale del Deus manet in nobis» e «come filosofia negante insieme la trascendenza religiosa e il materialismo»13 (e dunque, necessitato a proporsi come riforma
religiosa e insieme politica).
È in questa linea di radicamento-dissoluzione del
soggetto che si aprono i dubbi di Antoni. E il già venerato Maestro Croce non può sfuggire allora alla sua
critica. E così scrive:
[...] in fondo l’equazione (individuo-egoismo) ricompare nello stesso pensiero crociano, là dove l’individuo è identificato
col momento vitale-economico. Era necessario, pertanto, spezzare l’equazione, così da porre a base di un nuovo giusnaturalismo il concetto dell’individuo come fonte di tutti i valori
universali e da sostituire al concetto del patto sociale [...]
questo universale concetto14.
Ecco dunque il legame che unisce il concetto di
individuo con il giusnaturalismo. Nell’individuo, Antoni vede la fonte dei diritti, intesi non in senso astratto
e intellettualistico, ma come luogo di nascita e di creazione di valori universali. E attorno a tale nodo teorico
prendono significato anche i concetti di giusnaturalismo e di storicismo, concetti che Antoni indaga prima
per via storiografica, poi con taglio più marcatamente
teoretico. E allora, la categoria etica apparirà centrale
in quell’universale concreto che è l’individuo, e lo costringerà ad andare oltre Croce.
Scriveva Antoni nel 1953, un anno dopo la morte
di Croce, in Storia di un fagiolo:
13
A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, il Mulino, 1990, p. 10.
14
C. Antoni, La restaurazione del diritto di natura, Venezia,
Neri Pozza, 1959, pp. 9-10.
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Dell’infinita vita era una creatura singolare, unica, quale mai
prima si era prodotta e quale mai più si riprodurrà. Ed il suo
valore perciò era immenso, ché, la vita, cioè il valore, si manifesta soltanto così, singolarmente15.
E ancora:
Chiuse così anch’essa il suo breve ciclo, la sua apparizione
in questo mondo, che non fu vana, ma a suo modo anch’essa
importante: ché che cos’è poi il mondo se non un susseguirsi
innumerevole di queste apparizioni? Che cos’è la vita, se non
questo sforzo di essere, di produrre, di tramandarsi, soffrendo e
gioendo e compiendo l’immenso dovere di darsi al mondo?16.
La prosa è semplice, i temi rilevanti. Infatti, Antoni
si sofferma qui in modo nuovo sulla singolarità e sull’individuazione del valore e dell’universale. Ma è
proprio su questo concetto di individuo e sulla sua
struttura che si interrompe il consenso di Antoni nei
confronti di Croce. Nonostante i dovuti riconoscimenti
alla filosofia crociana («una celebrazione dell’individualità»), ne svela poi incongruenze e aporie, rinvenendo in
essa posizioni e ascendenze marcatamente hegeliane.
Così la filosofia crociana, nella sua interpretazione, finisce con il negare l’individualità e con il ridurla a mera vitalità. Scrive Antoni:
Ancora una volta l’esistenza individuale, come già nello schema hegeliano, non sembra degna di appartenere alla vera realtà.
E come già la filosofia di Hegel, anche quella di Croce rischia di apparire una teologia dello Spirito del mondo, dove
gli individui sono assorbiti dal tutto17.
15
Id., Gratitudine, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, p. 107.
Ibid., p. 108.
17
Id., Commento a Croce, cit., p. 100. Chioserà Sasso: «Nella
sua concezione della storia l’offendeva l’idea della provvidenza, della
logica necessaria delle cose che, schiacciando inesorabile le aspirazioni, i propositi, i “diritti” degli individui, assumeva addirittura il volto fo16
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Ma questo provvidenzialismo crociano comportava
ai suoi occhi una svalutazione dell’individuo e della sua
libera creatività: un offuscamento inaccettabile della centralità della dimensione etica individuale. Non si era infatti lontano, qui, dall’immanentismo hegeliano e da
quello gentiliano. Un immanentismo che non faceva salva, per Antoni, la singolarità dell’individuo. Croce si limitava a dare autonomia all’individuo proprio sul piano
della vitalità, ma nella struttura unitaria dell’individuo
egli scindeva le tre categorie spirituali da quella economico-vitale, la sola a cui riconosceva autonomia reale.
Così Antoni:
A suo tempo Croce aveva sacrificato l’individuo alla Categoria,
ma ora è proprio l’individuo che mette a repentaglio la categoria, ché, riducendo la categoria della vitalità agli “individui
che si susseguono nel mondo”, chiusi ciascuno nella particolare cerchia dei propri aspetti, si fa di essa una pluralità di enti incomunicabili, radicalmente diversi18.
Ma si tratta di un sacrificio inaccettabile per Antoni. Perciò egli pensa di ristabilire l’unità di individuale e universale non già nel rapporto tra l’astratto individuo e le sue opere (che, in quanto espressione dello
spirito, sono legate alla Categoria e alla universalità), ma
nella concretezza dell’individuo. Un compito a cui l’universalità dell’opera crociana, l’antico Spirito oggettivo
hegeliano, non riesce a far fronte. Perciò essa gli appare “vuota e inerte”. E perciò va ripensata:
sco e sanguinario di una dea ispiratrice delle terribili tirannidi contemporanee. E da questo punto di vista Hegel diventava il profeta di
quanto di peggio il mondo moderno avesse prodotto nel secolo ventesimo» (L’illusione della dialettica. Profilo di C. Antoni, Roma, Edizioni
Ateneo, 1982, pp. 166-67).
18
Ibid., p. 107.
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La struttura dello spirito è un’infrangibile unità organica, di cui
le categorie sono articolazioni, che è sempre reale e concepibile
solamente come Io individuale. Le categorie fungono dentro
questa individualità e non fuori o al di sopra di essa, sicché categorie che appartengono soltanto allo Spirito assoluto e non
all’individuo, non si possono concepire19.
E ancora:
Nel pensiero crociano (…) la coscienza soggettiva è tollerata, in
maniera imprecisa, come strumento, oppure è degradata a mera
vitalità (...) è resa estranea alla realtà dei valori universali20.
Contro tale “volatilizzazione dell’individuo” Antoni prende posizione, modificando notevolmente il
pensiero del Maestro, e così scrive:
In realtà l’universale non è generico Spirito, non è una serie
di categorie, ma è l’Io. L’Io è il concetto medesimo, l’a priori, la
categoria universalissima, ma è, altresì, immediatamente coscienza ed affermazione di sé come individuo. È l’universale
concreto, determinato, cioè individuato, pur conservando la
propria formale universalità. Separare i due termini è un atto
d’astrazione che crea l’insolubile problema del rapporto tra immanenza e trascendenza poste come piani separati21.
Antoni nega una possibile “deduzione” dell’Io. L’Io
è immediato e universale. Non deriva da un ipotetico Io
trascendentale, che resterebbe astratto e mai troverebbe
realtà e concretezza. Nelle sue ultime pagine, è uno dei
temi più ricorrenti. E per un accenno al tema, egli
prende spunto da una nota di poche pagine apparsa su
«Pensiero», nel ‘57, e dedicata al collega Bariè, da poco scomparso.
19
Ibid., p. 109.
Id., Storicismo e antistoricismo, a cura di M. Biscione, Napoli, Morano, 1964, p. 142.
21
Ibid., pp. 142-43.
20
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Il problema dell’individuo in Carlo Antoni
C’è in quella pagina un notevole spostamento di
prospettiva. E ritorna centrale, in lui, la funzione della
coscienza e la percezione immediata come valenza filosofica positiva, contro le deduzioni e le mediazioni della
filosofia hegeliana e crociana. Da qui, credo, quella
scelta decisa di neo-giusnaturalismo che avrebbe potuto farlo apparire, nel clima filosofico italiano, e ne era
cosciente22, un po’ anacronistico. La polemica contro
l’esistenzialismo e una certa declinazione della fenomenologia (di Heidegger, Camus e Sartre) aveva lasciato in lui segni di disagio e di disapprovazione fin
troppo evidenti:
L’io nella sua singolarità è un immediato, e soprattutto è
quanto di più soggettivo si possa immaginare: non può essere
“posto” come un oggetto. L’io, l’universalissimo, è anche l’individualissimo, e i due momenti sono entrambi, con pari immediatezza, nella coscienza, che solo in tal modo, in questa
unità di universale e individuale, è concreta. La separazione
dei due termini è intellettualistica e conduce, come in Fichte,
in Hegel, in Gentile, in Croce, alla metafisica di uno Spirito
puro, d’un Io trascendentale, d’uno Spirito del mondo, solo
soggetto, quindi alla soppressione degli individui, alla sop-
22
Id. La restaurazione…, cit., Premessa. In quel torno di tempo,
ancora caratterizzato da un diffuso neoidealismo con uscite verso il
marxismo o l’esistenzialismo dalle molte sfumature, si faceva largo,
nell’orizzonte della filosofia del diritto, una permanenza del positivismo giuridico o del giusnaturalismo. L’uno era stato visto, in tempi di
fascismo, come garanzia di diritti legati alle regole, e dunque come difesa dagli eccessi totalitari o autoritari del fascismo. L’altro, legato ad
una idea illuministica dei diritti di natura, tendeva a salvaguardare i diritti
individuali e collettivi dalle pieghe storiche che aveva assunto la fisionomia storico-giuridica durante il fascismo, e dunque delegittimare le
norme positive codificate durante il periodo autoritario. Per una discussione sul tema, cfr. N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico,
Milano, Edizioni di Comunità, 1965; N. Bobbio, M. Bovero, Società e
Stato da Hobbes a Marx, Torino, Clut, 1973.
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pressione di quel nostro io singolo ed unico che sentiamo di
essere: la nostra esistenza23.
Non stupiscono, perciò, interpretazioni molto severe su queste filosofie fenomenologico-esistenzialiste
che avanzavano prepotentemente sulle ceneri della signoria dell’Io, e che prendevano il posto di un idealismo ormai esangue o di un marxismo che voleva farsene erede:
tutte uscite di sicurezza che non convincevano Antoni.
E le citazioni, in materia, potrebbero essere copiose.
Mi limito perciò ad un solo accenno ad Heidegger, a
cui dedicava il suo ultimo corso universitario del ‘58’59 e che così concludeva:
Può sorprendere la fortuna che ha incontrato siffatto neo-eleatismo. A mio avviso questa singolare fortuna è dovuta al mito,
con cui Heidegger ha dato una significazione metafisica al senso
di angoscia, che grava sulle coscienze contemporanee (...). Per
questo suo carattere d’interprete di stati d’animo Heidegger appartiene alla storia del nostro tempo, e ciò soltanto giustifica
il lungo studio, che abbiamo dedicato alla sua opera24.
23
Id., Storicismo e antistoricismo, cit., p. 227. Ma sulle aporie
di questa posizione, e sul dilemma identità-differenza, si potrà utilmente vedere Sasso (op. cit., pp. 178-185). E ancora, ben evidenziando la
difficoltà della conciliazione di particolare e universale nell’immediatezza: «Non si avvedeva (Antoni) che se la coincidenza è un’immediata identità, l’“attuarsi”, nell’io individuale, dell’“universale vita” dev’essere inteso come un originario ‘essersi attuato’; ché, in caso
contrario, il processo stesso dell’“attuazione” si porrebbe, fra io individuale e io universale, come elemento di non coincidenza, e quindi di
semplice identità, o, meglio, identificazione, ad infinitum dei due termini» (ibid., p. 180).
24
Id., L’esistenzialismo, a.a. 1958-59, Roma, La Sapienza,
1959, p. 270. L’esistenzialismo appare ad Antoni una «cattiva difesa
della individualità», che vede l’individuo come un «brandello psichico», una creatura «finita, precaria e debole, nata dal nulla, riempita
dal nulla, destinata al nulla». E così raccomanda: «Piantino il loro albero gli esistenzialisti e si redimeranno dall’angoscia o, per lo meno,
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Ma pari fastidio egli esprime nei confronti di Sartre. Anche in lui il soggetto è ridotto, per dirla con
Croce, a pura vitalità, a deiezione, a destinazione per il
nulla, a nausea per un universale non raggiungibile25.
Ma questa riduzione radicale dell’individuo, questa
sopravvalutazione di una categoria sulle altre, espone il
soggetto a gravi rischi. Lo fa strumento devitalizzato e
impotente nelle mani delle grandi Potenze (la Nazione,
lo Stato, la Classe, il Partito26).
Ed è questo l’errore del nichilismo, dell’esistenzialismo, del volontarismo, che misconosce l’universalità
e la positività fondamentale dell’individuo umano: gli
chiede ciò che, in quella prospettiva, non può assolutamente dare27 e perde definitivamente il senso dell’umanesimo crociano28. L’io trascendentale, che è mocesseranno dal diffonderla intorno a sé» (Id., Il tempo e le idee, a cura
di M. Biscione, Napoli, E.S.I., 1967, p. 394).
25
«(...) sono allora apparse le grandi Potenze etiche, che non
hanno esitato a calpestarlo e a massacrarlo per i loro fini. In realtà sono comparsi i grandi Sacerdoti, interpreti spietati dei sacri decreti di
quelle Potenze: della Libertà, della Giustizia, dell’Umanità. Dopo di
che viene un graeculus, un Sartre ad esempio, a spiegarci che le vittime dei processi di Mosca meritavano la punizione perché non avevano saputo interpretare l’oggettività della storia: ripetendo la condanna
dei vinti, che oltre un secolo fa già formulava Hegel, ma con una teologia
della storia, che qui manca» (C. Antoni, La restaurazione…, cit., p. 94).
26
Cfr. Id., Il tempo e le idee, cit., p. 391.
27
«(...) hanno chiesto alla vitalità ciò che questa non può dare:
la verità dell’universale pensiero e una ragione morale di vivere. L’individuo è stato visto nella sua pura animalità (…). Il suo nulla era la
sua mancanza di universalità. L’errore è, anche qui, l’identificazione
dell’individuo con la sola ed esclusiva vitalità» (Id., La restaurazione…,
cit., p. 93).
28
«L’umanesimo crociano è questo senso dell’armonia, questa
capacità di comprensione e valutazione di tutte le forme della vita»
(Id., Commento a Croce, cit., p. 155). Al contrario, dice Antoni, l’esistenzialismo seguiva uno Hegel che aveva scisso essenza ed esistenza,
scissione fatta propria anche da Kierkegaard, che nel suo esistenziali-
111
Francesco Mattei
mento dell’universalità, è la percezione della coscienza
della propria identità con il Tutto, e non soltanto con le
altre autocoscienze, un Tutto che non è un radicale altro,
«ma che può essere penetrato, inteso, pensato». L’io è
perciò singolare e irrepetibile ecceità. E in questa concretezza assume significato l’universalità. Che non può
essere, per Antoni, “vuota astrattezza”:
La parola io non avrebbe senso senza questa esperienza o intuizione della propria assoluta individualità, che non è fatto psicologico o empirico, ma un dato a priori. L’io trascendentale sarebbe una vuota ed astratta universalità formale, impensabile, se
non fosse concretamente riempita da questa ecceità29.
È quanto coglie Calogero, che gli fu amico e collega, e che così scrive in Chiose all’estetica:
(...) nelle sue trattazioni di questi ultimi anni s’incontra sempre più spesso l’idea che la libera comunicazione tra gli individui sia il primo fondamento di ogni altra libertà e civiltà. Si
può quindi supporre che egli venisse sempre meglio scorgendo come quanto egli difendeva richiamandosi all’antico ideale
giusnaturalistico aveva la sua ultima radice appunto in quella
volontà di comunicare e d’intendere, mercé la quale ciascuno
di noi varca i confini di sé medesimo, e comprendendo gli altri ne instaura e difende il diritto30.
Tanto basta, credo, per dar conto dell’andatura che
andava prendendo ormai il pensiero di Antoni. Che si
incamminava oltre Croce e oltre le filosofie che si ansmo non era riuscito a superare l’esistenza individuale hegeliana (Cfr.
Id., Il tempo e le idee, cit., p. 392).
29
Id., Storicismo e antistoricismo, cit., p. 228.
30
G. Calogero, Premessa a C. Antoni, Chiose all’estetica, Roma, Opere nuove, 1960, p. 28. A conferma, scriveva Antoni: «L’Io,
come individuo isolato, come monade, non esiste, ma esiste come
centro attivo di relazioni determinate» (Id., Storicismo e antistoricismo, cit., p. 143).
112
Liberalismo, neo-giusnaturalismo, eticità..
Il problema dell’individuo in Carlo Antoni
davano imponendo. Ed è viva, in ciò, non soltanto una
preoccupazione teoretica o politica, ma anche una esigenza più squisitamente pedagogica, così espressa alla
fine del Commento a Croce:
Devo confessare che proprio nell’atto di professare questa
dottrina crociana della nostra irresponsabilità, ho avvertito la
tremenda responsabilità che mi assumevo verso le coscienze,
ingenue, che mi ascoltavano come un maestro31.
3. Istanza giusnaturalistica e prospettiva etica
Con queste premesse, la continuità Croce-Antoni
appare superata. Altro è l’individuo, altra la coscienza,
altro il giusnaturalismo. E non tanto per la dichiarata
avversione di Croce al giusnaturalismo e all’illuminismo, quanto piuttosto per i concetti su cui esso si
fonda. A questo tema Antoni ha dedicato pagine severe
in La restaurazione del diritto di natura, là dove tenta
un incontro tra la posizione storicistica e quella giusnaturalistica.
Tale esigenza discende dalla necessità di armonizzare il giudizio storico con gli altri concetti sopra evidenziati: individuo, libertà, responsabilità, coscienza, verità, storia. Anziché rivolgersi all’immanenza totale,
come fa lo storicismo crociano, Antoni tenta di armonizzare la progressiva scoperta della verità con l’antica
istanza giusnaturalistica. L’idealità giusnaturalistica –
l’antica ratio o natura – si dialettizza con la scoperta
31
C. Antoni, Commento a Croce, cit., p. 242. Ma maestro lo fu
a lungo Antoni, e intervenne anche in merito a temi più squisitamente
scolastici. Cfr. La facoltà degli spostati, Le facoltà della seconda laurea, Otto anni, Educazione unitaria, I dottori si moltiplicano: tutti in
Il tempo e le idee, cit.
113
Francesco Mattei
che l’uomo fa di sé nella sua storia etica. E il progresso
filosofico-religioso si traduce in ideali ed imperativi etici.
La critica allo storicismo hegeliano lo aveva spinto
ad accentuare il valore e la posizione dell’individuo.
L’attenzione all’individuo lo spinge a stabilire legami,
fuori dall’utilitarismo e dal contrattualismo, con norme
sovra-individuali, ma legate alla sua natura universale.
Perciò imputa le due grandi catastrofi della nazione tedesca alla sua polemica contro il diritto di natura. E la
stessa cultura italiana, da Machiavelli a Croce, necessita di una radicale revisione. Perciò tenta di trovare nello storicismo stesso la risposta all’esigenza intrinseca
nell’antico giusnaturalismo.
Di questo distingue due forme. Quello utilitaristico,
che per salvaguardare la libertà dei cittadini dall’arbitrio dello Stato ha dato origine al “contratto sociale”,
(ma che ha generato una nuova forma di totalitarismo e
di assolutismo, identificata con il nuovo Leviatano della “volontà generale”). Una seconda forma, invece, quella di Grozio, Althusius e Thomasius, tendeva a salvare
comunque la libertà, in un mondo in cui crollavano le
vecchie libertà derivate dai privilegi.
Pur con le medesime basi razionalistiche (l’uguaglianza della natura umana in tutti gli individui), essi si
differenziano nel concetto più specifico di natura umana: nella prima forma essa è intesa come egoista e selvaggia, e trova, nell’alienazione della liberta naturale
nella “volontà generale”, una nuova forma di sicurezza e
di libertà civile; la seconda, invece, si richiama all’«antica tradizione stoico-cristiana della scintilla divina
immanente nell’anima dell’individuo umano» e attribuisce all’individuo diritti inalienabili e una dignità morale a
cui non può abdicare. Nell’una si forma la persona giuridica, nell’altra quella etica. L’idea di diritto di natura
rappresenta allora, in questa tradizione, l’esigenza di un
114
Liberalismo, neo-giusnaturalismo, eticità..
Il problema dell’individuo in Carlo Antoni
universale ideale morale, il dover essere che mai è soddisfatto di fronte al reale. E da questa rivendicazione parte
il rifiuto della posizione di Hegel e di Rousseau, anche se
riconosce che, in essi, è già presente un tentativo di formazione di personalità morale e non meramente giuridica32.
Responsabile della perdita delle esigenze giusnaturalistiche è stato lo storicismo ottocentesco: enfatizzò la
concretezza storica degli “istituti” e trascurò la dimensione etica dell’individuo (in favore di quella giuridica).
Ma così, esso ha perso l’originalità dell’individuo davanti alla forza politica e lo ha lasciato in suo potere.
Così Antoni:
la dottrina del diritto di natura, proclama, contro il mero potere, contro la mera forza politica, l’esistenza di un valore o
principio, che è appunto l’eticità della natura umana ed essa esige che di questa si tenga conto come di un valore assoluto33.
Naturalmente, qui nascono le perplessità. E vi ho
accennato sopra, ricordando le pagine di Bobbio sulle
ambiguità della posizione storicistica e di quella giusnaturalistica. Antoni segue invece la sua linea di critica allo storicismo tedesco, relativistico, e tenta di salvare, forse troppo generosamente, quello crociano:
Lo storicismo crociano, proprio in quanto, a differenza di quello
relativistico tedesco, asserisce l’identità dello spirito e dei suoi
valori universali nella varietà delle opere, nella diversità degli
stili, delle tradizioni, dei costumi, è fondamentalmente giusnaturalistico. Ma lo è in senso storico e dinamico, in quanto ammette
la progressiva rivelazione e scoperta della ratio34.
32
Per quanto concerne il pensiero di Antoni su Rousseau, cfr. F.
Mattei, Il Rousseau di Carlo Antoni, in «Studi sulla Formazione»,
XVI (2013), 1, pp. 197-209.
33
Id., Il tempo e le idee, cit., p. 547.
34
Id., Storicismo e antistoricismo, cit., p. 160.
115
Francesco Mattei
E per concludere, voglio accennare alle ultime lezioni di Antoni. Nel corso universitario del ’56-’57 egli
legge, in modo singolare, le Lezioni sulla filosofia della
religione di Hegel, e vi torna ancora sopra in La religione di Hegel, pubblicato lo stesso anno su «Pensiero». Non è un corso estemporaneo, giacché gli ultimi
anni del suo insegnamento sono dedicati proprio al
commento di quelle Vorlesungen. E tenta, cosa piuttosto
insolita per l’interpretazione corrente, una lettura “personalistica”35 di quello stesso Hegel sempre considerato
padre del totalitarismo e dell’annullamento dell’individuo.
Il tono è molto personale. La polemica con Hegel
è attutita. Antoni sembra avvicinare il problema religioso con particolare cura e acribia, fino a rileggere i
ripensamenti hegeliani dopo i primi moti rivoluzionari
del 1830 parigino. Si ha l’impressione di una coscienza
più affinata e perplessa. In Hegel, egli dice, non è possibile separare il momento teologico da quello storicistico. La consacrazione della storia è possibile soltanto in
riferimento all’assoluto. E lo storicismo dialettico è
chiamato a pensare questa unione. La sua razionalità si
spiega e dispiega con la finale identificazione della storia
con l’assoluto. E se la filosofia del diritto ha contribuito a “finitizzare” la storia e la politica (e l’individuo che
ne partecipa), la filosofia della religione è chiamata a restituirgli la sua universalità, in quanto teoria non più
del cittadino o del suddito, ma dell’uomo. E così essa
reintegra l’uomo nella sua “personalità piena”.
Con un movimento mistico negativo, non ignoto alla
tradizione filosofica tedesca, Dio si annulla nell’Io, che
35
Dice Antoni: «Hegel dà qui un inatteso rilievo al concetto della personalità, di cui non c’è traccia nelle sue opere precedenti» (Il sistema di Hegel, p. 182).
116
Liberalismo, neo-giusnaturalismo, eticità..
Il problema dell’individuo in Carlo Antoni
si spoglia nella sua finitezza, per diventare pensiero
universale e concretezza dell’Assoluto. Perciò dice Antoni: «L’ultima e piena realtà di Dio è l’Io in quanto personalità»36. In esso Hegel raggiunge la vera realizzazione dell’universale concreto.
Qui il finito e l’infinito si incontrano e coincidono: ciò che è
nel tempo attinge il non temporale, l’assoluto. L’Io umano si
identifica con l’Io divino. Ma se si libera dalla sua umana finità, non perde la sua personalità, che è una cosa sola con
l’Assoluto. Qui Hegel conclude, si può dire, il travaglio di
tutta la sua vita risolvendo finalmente il problema dell’“alienazione” del soggetto di fronte al trascendente Oggetto, risolve il problema della libertà dell’uomo di fronte a Dio (...).
La storia ha un senso e carattere sacro, ma il culmine, l’atto
perfetto e supremo dell’assoluto nell’uomo, è la apoteosi sfolgorante dell’Io; in quanto personalità religiosa37.
Dio ha qui bisogno del mondo e con esso si riconcilia. Ma qui il mondo è la coscienza dell’uomo.
Conclusione aporetica? Potenza della dialettica?
Forse. Ma nonostante le critiche aperte e radicali alla
dialettica hegeliana, è difficile affermare che egli non
ne abbia subito il fascino38. Anche se, fino alla fine,
vedrà l’esperienza filosofico-religiosa legata alla tensione e all’ulteriorità. E dunque, contraria alla conclusione del movimento dialettico, anche nella ritrovata
identità dello Spirito nell’Io religioso.
Ciononostante, chiude le sue lezioni (e il suo Hegel)
con una venatura non eticistica, non totalitaria, non assorbente. Con un riconoscimento non usuale alle ultime
36
Id., Il sistema di Hegel, Roma, la Sapienza, a.a. 1956-57, pp.
193-194.
37
Id., Storicismo e antistoricismo, cit., p. 178.
38
Id., Considerazioni su Hegel e Marx, Napoli, Ricciardi, 1946,
pp. 1-20.
117
Francesco Mattei
pieghe hegeliane sull’eticità dello Stato e sulla personalità. La prima, l’eticità dello Stato,
deve provenire dalla religione della totale libertà dell’Io. L’individuo, quindi, deve ubbidire allo Stato, ma lo Stato deve avere
per suo principio etico-religioso la libertà. Uno Stato che non
obbedisca a questo principio, è un cattivo Stato, che ha una cattiva religione, cattive leggi, una cattiva costituzione39.
La seconda, la coscienza della personalità, «libera,
autonoma, sovrana nella sua assolutezza, deve risultare
superiore allo Stato»40.
Ma se così fosse, lo Hegel teorizzatore dello Stato
etico avrebbe fatto qui (definitivamente) il suo tempo.
Non so se per hegeliano pentimento, o per generosa ermeneutica antoniana.
39
40
118
Id., La religione di Hegel, cit., p. 196.
Ibidem.
Liberalismo, neo-giusnaturalismo, eticità..
Il problema dell’individuo in Carlo Antoni
Riferimenti bibliografici
Ricordo alcuni studi di Antoni. Per una bibliografia più ampia rinvio a F. Mattei, La dimensione etica tra storicismo e giusnaturalismo. Studio su C. Antoni, Roma, Anicia, 19992.
Il problema estetico, Casella, Napoli 1924.
Dallo storicismo alla sociologia, Firenze, Sansoni, 1940, 19732.
La lotta contro la ragione, Firenze, Sansoni, 1940.
Considerazioni su Hegel e Marx, Napoli, Ricciardi, 1946.
Lo storicismo da Hegel a Croce, a.a. 1948-49, Roma, 1949.
La filosofia di Hegel, a.a. 1954-55, Roma, 1955.
La teodicea di Hegel, a.a. 1955-56, Roma, 1956.
Il sistema di Hegel, a.a. 1956-57, Roma, 1957.
Lo storicismo, Torino-Roma, ERI, 1957.
L’esistenzialismo, a.a. 1958-59, Roma, 1959 (ora in L’esistenzialismo di M. Heidegger, Napoli, Guida, 1972).
La restaurazione del diritto di natura, Venezia, Neri Pozza, 1959.
Gratitudine, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959.
Chiose all’estetica, Roma, Opere nuove, 1960 (con presentazionericordo di G. Calogero).
Storicismo e antistoricismo, Napoli, Morano, 1964 (a cura di M.
Biscione, saggi che vanno dal 1931 al 1957).
Il tempo e le idee, a cura di M. Biscione, Napoli, E.S.I., 1967 (interventi apparsi su «Il Mondo»).
Lezioni su Hegel. 1949-57, a cura di M. Biscione, Napoli, Bibliopolis, 1989.
Carteggio Croce-Antoni, a cura di M. Mustè, Bologna, il Mulino,
1996 (con Introduzione di G. Sasso).
119
Socrate né fu dispregiatore degli iddii patrij né
introduttore di nuovi.
Io mi sono spesse volte maravigliato per quali
ragioni gli accusatori di Socrate persuasero agli
Ateniesi lui essere alla città debitor della morte.
Perché l’accusa contro di lui era quasi in questi
termini concepita: Socrate offende la giustizia
perché non ha per Dei quelli che la città per
iddii riconosce, e nuovi altri numi introduce.
Offende ancor la giustizia viziando la gioventù.
Primieramente dunque che egli non riconoscesse per Dei quelli che la città come tali riconosceva, di quale argomento si sono serviti
mai? Perché chiaramente egli spesso in casa
sua, spesso ancora sopra i comuni altari della
città sacrificava, e apertamente si valeva della
divinazione.
[Senofonte, Dei Detti memorabili di Socrate,
Libro I, capo 1, trad. di Michel-Angelo Giacomelli pistoiese, Casa editrice M. Guigoni, 1876,
con note e variazioni di A. Verri].