Anropologia culturale tra Scienze dell'Antichità e Biologia Evoluzionista Il termine "Antropologia" indica generalmente l'insieme degli studi che hanno per oggetto la conoscenza dell'uomo nella sua duplice dimensione fisica e sociale. Nel primo caso si esaminano i caratteri fisici dell'uomo in quanto animale; nel secondo si analizzano gli aspetti sociali ovvero culturali che caratterizzano nello spazio e nel tempo i vari gruppi umani. Data l'ampiezza dei contenuti di questa disciplina, gli studiosi sono soliti riconoscere come parti costitutive dell'Antropologia le seguenti sottodiscipline: 1) antropologia biologica o fisica: gli sforzi si concentrano sull'analisi delle caratteristiche fisico-biologiche umane e sulla loro evoluzione; 2) antropologia culturale o sociale: essa indaga società e cultura umana di comunità contemporanee. Due sono gli indirizzi principali: l'etnografia, ovvero lo studio diretto delle diverse culture attuali; e l'etnologia, cioè lo studio comparato di culture differenti sulla base dei dati etnografici per ricavare PRINCIPI GENERALI riguardo alla società umana. 3) archeologia: studia le società del passato basandosi principalmente sui loro resti materiali che costituiscono la cosiddetta cultura materiale. L'archeologia rappresenta il passato storico dell'antropologia culturale ed è evidente che lo sforzo interpretativo utile ad una ricostruzione coerente e comprensibile del passato appare in questo settore di fondamentale importanza. Dunque l'archeologia, scienza recente (metà XIX secolo), si pone al termine del percorso conoscitivo dell'uomo sull'uomo e contemporaneamente al crocevia di numerosi insegnamenti di cui condivide spesso - vedremo - risultati e metodi di ricerca. Essa costituisce una parte non solo dell'Antropologia, ma anche della Storia e della Scienza, come ora spiegheremo. La Storia "tradizionale" si basa sulle testimonianze scritte delle passate civiltà e perciò ha origine con la nascita della scrittura. Quest'ultima per quanto riguarda le società sorte nell'Asia occidentale risale al IV millennio, ma nasce più tardi in altre aree del mondo. Ad esempio in America centrale, in seno alla civiltà degli antichi Maya la diffusione della scrittura geroglifica inizia a partire dal 292 d.C., e ancor più recente origine trova in Australia (I788 d.C.). Tale definizione di Storia da parte del mondo scientifico contemporaneo contribuì alla formazione del comune concetto di Preistoria, verso la metà del XIX. E' lecito chiedersi cosa ne fosse della nozione di Preistoria prima della metà dell'800, se - cioè - gli storici delle civiltà passate distinguessero tra storia e una possibile pre-istoria oppure se i due periodi rientrassero sotto il medesimo titolo di "storia", e quale fu l'eventuale criterio di distinzione. Insomma, esisteva alle origini della Storia un concetto di Preistoria? si era in grado di distinguerla dalla Storia? come? cosa si intendeva per Storia? Sembra che le origini dell'uomo non abbiano interessato gli antichi intelletti se non in chiave astratta, cioè attraverso la riflessione filosofica e letteraria. Perciò la necessità di definire l'antichità dell'uomo (e porre i confini per la preistoria) non era sentita come tale, né d'altra parte i dati e i mezzi d'indagine a loro disposizione erano tali da consentire di formulare simili ipotesi di ricerca. Il termine Preistoria1 entra nell'uso generale dopo la pubblicazione di Prehistoric Times (1865) di John Lubbock il quale presenta una suddivisione della preistoria umana in 4 stadi (paleolitico, neolitico, età del bronzo ed età del ferro). Essa si fonda essenzialmente sulle fonti derivate dai dati materiali forniti dall'archeologia, senza escludere quelli raccolti dall'antropologia fisica e culturale che approfondiscono i loro specifici ambiti di ricerca relativi al progresso biologico e culturale del genere umano. Se consideriamo nella sua interezza la storia dell'uomo dalle sue origini (almeno tre milioni di anni fa) fino ai nostri giorni, risulta chiaro che oltre il 99% di questo arco di tempo è noto soltanto grazie a resti materiali, unica nostra fonte di dati, mentre il relativamente breve spazio cronologico rimanente si basa specialmente - ma non solo - sulle fonti storiche tradizionali (documenti scritti). L'archeologia è una disciplina che rientra nel campo della scienza umanistica e storica in virtù dei metodi e dei fini stabiliti nell'ambito delle sue ricerche. Fino agli anni '70 gli obiettivi tradizionali dell'archeologia venivano individuati nella conoscenza più ampia possibile del passato dell'uomo e principalmente nella ricostruzione della 1 La Preistoria, secondo l'uso italiano, è detta anche Archeologia Preistorica o Paletnologia. Essa comprende due periodi: la PREISTORIA propriamente detta, comprendente il Paleolitico, il Neolitico e l'Eneolitico; e la PROTOSTORIA ovvero il secondo periodo della Preistoria, comprendente l'Età del bronzo e del Ferro. Il termine Protostoria indica quindi un'epoca di cui si abbiano documenti e monumenti ma che non fa ancora parte della vera Storia, pur non essendo più Preistoria. 2 cultura materiale, cioè nella raccolta e catalogazione di tutti quei reperti, integri o in frammenti, che la ricerca archeologica portava gradualmente alla luce. Attualmente l'archeologia, individuata una gerarchia ascendente di obiettivi nell'ambito della quale il lavoro di classificazione dei reperti rimane attività essenziale e irrinunciabile per l'archeologo, ha stabilito come fine ultimo della ricerca la ricostruzione del MODO DI VITA delle persone che produssero i resti archeologici basata non più sull'applicazone meccanicistica di uno jigsaw (gioco di pazienza) ma su una più impegnativa considerazione dei diversi fattori che portarono alla definizione degli life ways (stili di vita) delle varie comunità umane. Le diverse fasi della ricerca scientifica sono: la raccolta dei dati; la sperimentazione; la formulazione di ipotesi (per spiegare i dati); la verifica dell'ipotesi con ulteriori dati; la costruzione di un modello che riassuma la regolarità osservata nei dati. All'interno di queste fasi la ricerca può servirsi di strumenti di indagine sia tecnici (analisi dei residui di cibo; datazione al radiocarbonio - in campo archeologico) che scientifici, come l'analisi e la deduzione. Indipendentemente dalla scelta dei mezzi di indagine, ciò che interessa allo scienziato è fornire una SPIEGAZIONE dei CAMBIAMENTI osservati. Di qui le ragioni dello sviluppo dell'ARCHEOLOGIA MODERNA (metà XIX) come ARCHEOLOGIA PROCESSUALE, cioè come scienza che tenta di spiegare le ragioni delle trasformazioni culturali umane avvenute nel corso della storia. L'Archeologia moderna (metà XIX) comprende differenti e numerose archeologie unite tra loro dai vari metodi sviluppati2. I criteri di distinzione principali sono di tipo cronologicogeografico: esistono quindi un'archeologia preistorica, che tratta essenzialmente del periodo 2 La Storia, ad esempio, per l'interpretazione delle testimonianze dei tempi per i quali esistono documenti scritti, si vale fondamentalmente del metodo filologico. La Preistoria, in relazione con il diverso materiale di cui dispone, si serve del metodo archeologico, giovandosi in parte anche di quello linguistico, etnografico, antropologico. 3 paleolitico-neolitico e che si occupa delle civiltà delle età dei metalli (bronzo; ferro) quali, ad esempio, le Civiltà delle Americhe, della Cina, dell'Egitto nella loro prima fase; un'archeologia storica: che comprende, tra le maggiori, la civiltà greca e quella romana (archeologia classica), quella medievale e post-medievale (archeologia medievale; archeologia post-medievale). Ma esistono anche delle specializzazioni trasversali a tali suddivisioni cronologicogeografiche, che possono offrire contributi assai interessanti e utili alla rappresentazione finale della civiltà considerata. Alcune di queste branche sono: l'archeologia ambientale: studia l'uso fatto dall'uomo di piante e animali e i modi di adattamento delle antiche civiltà di fronte ai cambiamenti delle condizioni ambientali; l'archeologia subacquea: di formazione piuttosto recente questa specializzazione negli ultimi trent'anni è stata in grado di salvare dall'oblio alcuni periodi del passato grazie al recupero di alcuni relitti di navi. Le informazioni acquisite da queste specialissime fonti archeologiche hanno gettato nuova luce sui modi antichi di vita terrestre e marina; etnoarcheologia: studia le culture contemporanee cercando di portare alla luce le relazioni che legano la produzione materiale a comportamenti specifici; l'archeologia cognitiva: studia, in base ai materiali i modi di pensiero e le strutture simboliche utilizzati nel passato; l'archeologia del culto: studia i resti materiali di azioni strutturate intraprese in risposta a credenze religiose; l'archeologia del paesaggio: analizza tutti quegli elementi che, a partire dallo studio degli insediamenti, possono mettere in evidenza la struttura dell'attività umana su vasta area; l'archeologia di salvataggio: detta anche di emergenza: si occupa dell'individuazione e della documentazione - attraverso scavo - dei siti archeologici prima che vengano distrutti dalla costruzone di infrastrutture moderne urbane o rurali; 4 archeozoologia o zooarcheologia: identifica e studia i resti di specie animali rinvenuti nel corso di indagini archeologiche contribuendo alla conoscenza delle diete umane e dell'ambiente naturale all'epoca della deposizione dei resti; l'archeologia delle persone: studia i resti delle persone che produssero il documento archeologico, la loro evoluzione e i loro caratteri fisici. Ma è l'antropologo fisico colui che per primo analizza tali documenti, fornendo all'archeologo informazioni circa la razza, ma specialmente l'età, il sesso, lo stato di salute in vita e talvolta le somiglianze famigliari che arrichiranno la conoscenza del passato. Le indagini più interessanti sono quelle relative alle origini dell'uomo. l'archeologia della morte: studia il deposito funerario come espressione della volontà umana di rappresentarsi "distinto" dal gruppo o "uguale" in relazione allo spazio che isola una deposizione dalle altre. Lo spazio può riflettere il potere e il prestigio tenuto in vita dal defunto. E altre ancora ne seguirebbero (del potere, dell'abbandono, della mente, della guerra, della connettività, attualistica, sperimentale, etc.) ma l'elenco sopra riportato basti per comprendere la complessità e la vastità che oggi caratterizzano il mondo di questa disciplina. E come tutte le scienze anch'essa è consapevole di poter fornire soltanto risposte provvisorie agli interrogativi che stanno alla base delle proprie ricerche. Perciò la/e ricostruzione/i del modo di vita degli antichi, le spiegazioni dei modelli comportamentali, dei cambiamenti, della forma assunta da una cultura non esauriranno i sempre più numerosi quesiti che l'archeologia si pone. L'ARCHEOLOGIA DAL PASSATO AD OGGI Recenziorità delle acquisizioni di profondità temporale sull'origine dell'uomo 5 L'archeologia come scienza nasce intorno alla metà del XIX essenzialmente come archeologia preistorica, nel momento in cui l'acquisizione dei tre concetti chiave - l'antichità dell'uomo, l'idea dell'evoluzione delle specie e il modello delle tre età - le forniranno un sistema di riferimento per lo studio sistematico dei resti del passato umano raccolti grazie all'applicazione di un nuovo rigoroso metodo di scavo, quello cosiddetto stratigrafico. Interesse principale per quell'epoca era la definizione dell'antichità dell'uomo e del mondo. Fino ad allora la Storia era ritenuta non ricostruibile prima dell'avvento della scrittura, perciò l'inizio della storia umana era fatta coincidere con quello della creazione della terra e il problema preistorico sembrava rimanere irrisolto. Si continuava a far risalire la creazione del mondo intorno al 4004 a.C., dando credito all'ipotesi formulata nel 1650 da James Usher sulla base delle indicazioni che si credeva desumere dalla Bibbia: in sostanza l'età della terra era fissata a non più di seimila anni indietro secondo le interpretazioni fatte alla luce del Diluvio Universale. La persistenza di analoghe nozioni pre-scientifiche in ambito religioso trova tuttora riscontro nelle credenze ancora vive presso le contemporanee comunità di Jeowa. Fenomeni precursori: scavi, ideologie e modelli archetipici evolutivi Sin dalla più remota antichità l'uomo ha scavato il terreno per cercarvi qualcosa: argilla pietre, minerali e, naturalmente, tesori. O meglio, ciò che allora era considerato tesoro. Così Nabonedo ultimo re indigeno di Babilonia sul trono tra il 555 e il 539 a.C., considerò così preziosa la pietra di fondazione scoperta in seguito agli scavi da lui condotti in un tempio da conservarla entro una specie di museo. Sappiamo inoltre che a Delo in occasione della purificazione del tempio effettuata nel 426 a.C., come ci racconta Tucidide (I, 8, 1) che fu testimone dell'avvenimento, molte tombe antiche vennero alla luce i cui corredi rivelarono l'antica presenza in quell'isola di popolazioni provenienti dall'Anatolia. Altri scavi furono condotti dai Romani a Corinto cento anni dopo la distruzione (I46 a.C.) di quella città, nel 6 luogo dell'antica necropoli alla ricerca dei vasi di bronzo richiesti dai collezionisti del tempo, stando alle notizie riferiteci da Strabone (VII, 6, 23) geografo e storico d'età augustea. Ancora il più famoso avvocato della romanità ricorda gli scavi condotti nella tomba di Archimede (Cicerone, I a.C.). Ma dal punto di vista del metodo nulla a che fare ebbero tali scavi con la recente pratica dello scavo stratigrafico. Lo scavo antico ubbidiva ad ideologie giustificative del potere mirando a rafforzare l'immagine e il prestigio delle classi più elevate. La ricostruzione a livello speculativo dell'immagine del passato umano secondo una prospettiva evolutiva interessò fi losofi e letterati molto più antichi. Esiodo (ca. 800 a.C.) nel suo poema Le opere e i giorni illustra un passato suddiviso in cinque fasi a seconda dei livelli di civiltà raggiunti dall'uomo. Questo sistema comprende l'età dell'Oro e degli Immortali, i quali vivevano in pace sulle loro terre e con molti agi; dell'Argento, in cui gli uomini erano meno nobili; del Bronzo; degli Eroi Epici; e del Ferro e dei Dolori Penosi, cioè la sua epoca. Un analogo modello evolutivo sembra avere in mente Lucrezio, poeta latino della prima metà del I a.C., quando nel suo De rerum natura (libri V-VI) afferma che l'uomo sarebbe progredito da una vita ferina verso forme più evolute di civiltà imparando a usare il fuoco, creando la famiglia, il linguaggio, i regni, le città, le proprietà. Archeologia antiquaria La fase successiva, corrispondente grosso modo al periodo medievale, all'Umanesimo e al Rinascimentale, si caratterizza per il persistere dell'eclissi della cultura scientifica e per l'onnipresenza dell'interpretazione biblica. La tradizione medievale popolare è ricca di racconti sulla scoperta di favolosi tesori al cui esclusivo recupero i numerosi scavi medievali erano rivolti. Mentre tanti altri oggetti della vita quotidiana che non colpivano l'imaginazione degli 7 scavatori rimasero negletti. Il desiderio di recuperare dalle rovine degli antichi edifici i materiali necessari all'edilizia (mattoni, pietre, marmi) e la ricerca di oggetti antichi di valore da aggiungersi alle collezioni comportò la selvaggia pratica di veri e propri sterri. Le cronache medievali ci informano tuttavia sulla facoltà di alcuni sapienti conoscitori di apprezzare la maestria di umili produzioni ceramiche indipendentemente dal loro valore intrinseco, incuriositi dalla funzione che quell'oggetto avrebbe potuto riacquistare. La cronaca di Saint-Pierre d'Oudenbourg ci offre il resoconto di alcune scoperte effettuate nel 1081 nei pressi di Colonia, culminate nel ritrovamento di "vasi splendidi e bellissimi, scrigni, scodelle e utensili fabbricati e scolpiti con grandissimo ingegno". Ristoro d'Arezzo scriveva nel XIII secolo dell'ammirazione incontenibile di coloro che sapevano vedere. Insomma, l'oggetto antico cominciava a piacere perché antico, non più soltanto perché bello e di pregio. Inoltre si cominciava a intuire il valore della funzione storica dei resti, secondo quanto emerge dalla cronaca sui lavori di costruzione di un'abbazia scritta, all'inizio del XII secolo, da Guilbert de Nogent in relazione alla "deposizione insolita, non cristiana delle sepolture ritrovate" ipotesi corroborata dal fatto che "in queste tombe sono stati scoperti vasi che non sembrano corrispondere ad alcun uso nei tempi critistiani". Guilbert proponeva la seguente alternativa: si trattava di tombe pagane, o di tombe cristiane ma d'epoca molto antica, ancora pagana. Si trattava infatti di un cimitero gallo-romano. Nel secolo XV nasce una nuova disciplina che studia l'antichità e i suoi manufatti, l'antiquaria. I caratteri e le attitudini chiave di questo periodo sono il fiorire dei "cabinets de curiosité", il culto del passato - con la riscoperta dei testi classici conservati nei monasteri medievali -, il collezionismo - gli antiquari accumulano nei loro gabinetti manufatti antichi ben ordinati in serie ma confusi per epoca, funzione, significato storico. Lo scavo non assume ancora quel ruolo fondamentale che l'archeologia moderna gli assegnerà. Il desiderio di riesumare il passato sta alla base dell'immensa mole di "escavazioni" che caratterizzano il XVI secolo, di cui non resta altra documentazione se non quella degli 8 innumerevoli permessi rilasciati dalle autorità (si poteva ottenere una "Licentia effodiendi theauros", cioè "di scavare tesori" o una semplice licenza di "scavo sterro") le quali non davano alcuna prescrizione circa il modo di condurre lo scavo. Al moltiplicarsi degli scavi non fece quindi seguito, nel Rinascimento, alcuna riflessione sul metodo con cui condurli. Tra XVI e XVII secolo si collocano i primi tentativi di rispondere attraverso la ricerca nel terreno agli interrogativi posti dai testi. Non a caso il termine "archeologia" nasce in Francia ad opera dell'antiquario Jacques Spon, nella seconda metà del Seicento. In quest'epoca era andato sviluppandosi lo studio per le antichità "nazionali", cioè per i resti di civiltà non classiche, più remote di queste e caratterizzate dall'assenza di fonti letterarie o epigrafiche: si prediligevano i monumenti visibili in superficie quali le tombe neolitiche dell'Europa nord-occidentale, le misteriose architetture di Stonenge, i siti di Carnac. In questi luoghi il metodo sperimentale di analisi avrebbe potuto dare i suoi frutti migliori rimediando alla mancanza delle fonti scritte. Questo tipo di testimonianze sostanzialmente preistoriche si prestavano meglio delle altre ad essere avvicinate con gli strumenti dell'"archeologia", cioè con l'osservazione diretta dei manufatti e della loro giacitura nel terreno, anche se i reperti dell'età peristorica continuavano ad esser interpretati come "frecce" o "saette fatate", le cosiddette cerauniae o pietre del fulmine. All'inizio del XVIII secolo un professore di Basilea, Jacques Christophe Helin, affrontava il problema della successione delle età corrispondenti alle varie fasi dello sviluppo della civiltà umana stimolato dalle testimonianze derivate dallo scavo delle tombe dei Germani: le più antiche contenevano spesso rame, le più recenti invece ferro. Nel 1785 il geologo James Hutton studiando la stratitificazione delle rocce osserva la disposizione a strati sovrapposti e stabilisce il principio dell'uniformitarianismo. Intorno alla metà del XVIII secolo intanto viene scoperta Pompei (1748) e hanno luogo i primi scavi scientifici in Virginia (la sezione scavata da Jefferson attraverso un tumulo funeario), nella Gran Bretagna meridionale (i tumuli studiati da Hoare). Tuttavia tali scavi restano nel sistema concettuale della Bibbia. 9 Nascita dello scavo moderno: l'archeologia come scienza Un gentiluomo inglese, John Frere, trovò nel 1797 manufatti archeologici in associazione con i resti di animali estinti, sotto diversi metri di strati geologici intatti. Questa scoperta - che per la prima volta metteva in discussione l'età stessa della terra e l'intero sistema interpretativo biblico -, pubblicata nel 1800, rimase ignorata per oltre mezzo secolo. Nel 1816 il geologo William Smith dimostrò che ogni strato geologico conteneva resti organici propri3. Ma soltanto la pubblicazione dell'opera Priciples of Geology (1830-33) di Charles Lyell offrì al mondo scientifico la sintesi dei progressi della scienza contemporanea e nel 1841 un ispettore doganale francese, Jacques de Perthes, che aveva condotto ricerche nelle cave di ghiaia lungo la Somme, pubblicò prove convincenti dell'associazione di manufati umani in pietra scheggiata con ossa di animali estinti. Tutto insomma portava a pensare che l'uomo fosse ben più vecchio di quanto si pensasse allora e gli studiosi proponevano il riconoscimento del principio dell'antichità dell'uomo. Nel frattempo infatti, sulla base di questa idea, era stato messo a punto un altro strumento concettuale utile per la comprensione della preistoria europea. La pubblicazione della guida al Museo Nazionale di Copenaghen redatta dallo studioso danese C. J. Thomsen nel 1836 (apparve in inglese nel 1848) presentava la classificazione dei reperti archeologici del nuovo Museo distinti in tre gruppi sulla base del materiale utilizzati per fabbricarli: così veniva concepito il SISTEMA DELLE TRE ETÀ - Età della pietra, Età del bronzo, Età del ferro secondo una divisione poi riconosciuta utile dagli studiosi di tutta Europa. Più tardi il successore di Thomsen, J. J. Worsae, conferì validità stratigrafica a tale idea con gli scavi da 3 Smith sistemò la sua collezione di reperti in una bacheca ordinata stratigraficamente, dove collocò i fossili su ripiani inclinati corrispondenti alla posizione dello strato geologico in cui erano stati trovati. Infine catalogò ogni reperto in base al genere, alla specie e al luogo, in vista dell'eventualità di un confronto con reperti anamoghi trovati in posti differenti. 10 lui tenuti nelle paludi danesi e pubblicati nel 1849 in The primeval Antiquities of Denmark , ove stabilì un'ulteriore divisione per l'Età della pietra in Paleolitico e Neolitico. Soltanto nel 1859 una relazione ufficiale presso la Royal Society di Londra potè affermare L'ANTICHITÀ DELLA SPECIE UMANA sulla base di ritrovamenti archeologici pertinenti ad un'era certamente più antica dei seimila anni contemplati dalla Bibbia. Queste epoche, misurate in milioni di anni, erano in totale disaccordo con la scala del tempo biblica; la controversia che ne derivò è stata risolta solamente nel XX secolo mediante l'introduzione dei metodi di datazione sulla radioattività (1949) che permisero ai geologi di misurare il tempo assoluto trascorso tra i vari eventi stratigrafici, senza con ciò scalzare l'importanza del concetto di tempo relativo tuttora in uso il quale fornisce semplicemente l'ordine degli eventi stratigrafici o archeologici. Queste idee si armonizzavano bene con i risultati di un altro grande studioso del XIX secolo, Charles Darwin il quale pubblicò nel medesimo anno la sua opera fondamentale, L'origine della specie, nella quale formulava il CONCETTO DI EVOLUZIONE (spiegazione migliore per l'origine e lo sviluppo di tutte le specie animali e vegetali), che si basava sul principio della selezione neturale ovvero della sopravvivenza del più adatto. La costruzione della solida struttura concettuale articolata nei tre principi suddetti aprì le porte a una più metodica e consapevole ricerca di scavo. La seconda metà del'Ottocento vede infatti in tutta Europa la diffusione delle ricerche peristoriche e protostoriche e le prime applicazioni del metodo di scavo stratigrafico. Dobbiamo a un generale, A. H. Pitt-Rivers, la dimostrazione di come fosse possibile trasformare gli scavi archeologici in una rigorosa operazione scientifica. Egli sottolineò l'importanza della registrazione accurata di ogni minimo dettaglio, anche di quelli apparentemente inesplicabili e privi di rilevanza storica. La sua pratica di scavo (che si protrasse per quindici anni a partire dal 1881) prevedeva l'esposizione globale del sito, anticipando quella 11 strategia di scavo detta "per grandi aree" che diverrà basilare nell'esercizio degli archeologi di professione soltanto dopo la metà del XX secolo. Ma si può dire che l'inizio dell'applicazione dei principi della stratigrafia archeologica non sia anteriore alla prima guerra mondiale. Bisogna attendere il 1915 per leggere nei manuali di scavo i primi incerti cenni sull'applicazione dei principi stratigrafici ai siti archeologici pluristratificati: è il caso di J. P. Dropp che pubblicò in quello stesso anno il volume Archaeolotgical Exavation. In Inghilterra il metodo stratigrafico si andava consolidando grazie all'opera di grandi personalità tra cui spicca quella di Mortimer Wheeler che a partire dagli anni Trenta promuoveva una modificazione della forma dell'area indagata suddividendola in quadrati separati da porzioni di terreno non scavato, i cosiddetti "testimoni". Tale sistema privilegiava gli aspetti verticali dell'indagine moltiplicando su ogni sito il numero delle sezioni stratigrafiche a scapito delle piante. A partire dagli anni Cinquanta la nuova strategia di scavo cominciò a fondarsi su un'indagine estesa delle stratificazioni orizzontali mirando all'apertura di "grandi aree" che, esposte secondo la loro successione stratigrafica, offrivano realtà topografiche e monumentali più complesse ma agli archeologi meglio comprensibili. Lo scavo per "grandi aree" si adattava così tanto allo studio delle città quanto allo studio delle campagne, proponendosi finalmente l'obiettivo della ricostruzone del paesaggio antico. Dagli anni Settanta si accolse in Italia l'esperienza di alcuni archeologi britannici che portò all'adozione di uno dei sistemi di documentazione più agili e innovativi, il cosiddetto matrix. Ideato da E. C. Harris, il matrix (o diagramma stratigrafico) viene presentato nel volumePrincipi di stratigrafia archeologica. (pubblicato nel 1979) come strumento descrittivo della stratificazione archeologica, utile per riprodurre schematicamente su un piano la realtà tridimensionale della stratificazione. Esso costituisce il primo passo verso la ricostruzione storica finale. La rivoluzione "Harrisiana", fornendo uno strumento indispensabile per la 12 documentazione di siti particolarmente ricchi di storia come i centri urbani storici pluristratificati delle grandi città, favorì l'espansione delle ricerche nell'ambito dell'archeologia urbana. La spiegazione in archeologia Seguì tra gli anni Settanta e Ottanta una seconda rivoluzione che trovò origine negli U.S.A. e nel Nord Europa e comportò una notevole espansione dell'etnoarcheologia, della tafonomia4 e dell'archeologia sperimentale. Si tratta della cosidetta rivoluzione "processualista" che concentrò una maggiore attenzione sull'analisi della formazione dei differenti aspetti delle società e sullo studio di come questi aspetti si adattino reciprocamente, per spiegare lo sviluppo della società nel suo insieme attraverso il tempo. L'approccio processuale al cambiamento si fondò sulla concezione del comportamento umano come punto di sovrapposizione tra un gran numero di sistemi, ciascuno dei quali comprende fenomeni culturali e non-culturali. I mutamenti culturali si produrrebbero attraverso piccole variazioni verificatesi in uno o più sistemi, mentre il mantenimento del modus vivendi di una società si basa sull'equilibrio tra i sistemi. Risultò perciò importante isolare ciascun sistema e studiarlo come variabile separata. Di qui l'importanza data all'analisi delle relazioni con l'ambiente, alla sussistenza, all'economia, ai rapporti sociali, all'influenza che l'ideologia prevalente esercita su questi elementi, agli effetti delle interazioni createsi tra le diverse unità sociali. Il fine ultimo è la ricostruzione dell'intera configurazione di sistemi correlati tra loro. L'interpretazione processuale presuppone il tentativo di scoprire regolarità nelle relazioni stabilite dai metodi d'indagine storico-culturale e la possibilità di utilizzare lo strumento della generalizzazione nella spiegazione. Un esempio sull'uso della generalizzazione è offerto dalla spiegazione processuale data da Lewis Binford 4 Studio dei processi che hanno interessato i materiali organici dopo la morte di un essere vivente . Prevede anche l'analisi al microscopio delle tracce lasciate dai denti dei predatori per stabilire gli effetti della macellazione. 13 circa il problema delle origini dell'agricoltura impostato su scala mondiale e senza ricorrere ai tradizionali concetti di "migrazione" o di "diffusione". Infine la terza rivoluzione, ovvero quella "post-processualista", risale alla fine degli anni 80. L'approccio che cercava di formulare nuove leggi esplicative (nomotetico) proposto dall'interpretazione processualista fu criticato da più parti come limitante e talora addirittura banale nella formulazione di alcune leggi. Si sentiva la necessità di dare più imprtanza agli aspetti ideologici e simbolici della società. La reazione alla spiegazione processualista si concretizzò, all'interno della prospettiva post-processualista, nella definizione di nuovi approcci alla spiegazione archeologica tra cui si distinguono i seguenti indirizzi principali: quello "strutturalista", l'approccio sviluppato dalla "Scuola di Francoforte" denominato "Teoria critica della società" e l'approccio neo-marxista. L'approccio strutturalista fu fortemente influenzato dalle idee di un antropologo francese Claude Lévi-Strauss e da quelle di un matematico americano che si occupò di linguistica a partire dagli anni '60, Noam Chomsky. Lo strutturalismo, secondo Chomsky, non poteva guardare soltanto alla struttura superficiale della lingua, ma era necessario perseguirne la struttura profonda. Gli archeologi strutturalisti infatti ritengono che le azioni umane sono guidate da credenze e da concetti simbolici, perciò il vero oggetto di studio sono le idee che rappresentano le strutture del pensiero di coloro che crearono i manufatti. Secondo gli strutturalisti all'interno di culture diverse esistono nel pensiero umano diversi "schemi ricorrenti", ad esempio quelli degli "opposti": cotto/crudo sinistra /destra sporco/pulito uomo/ donna uomo/natura 14 pubblico/ privato interno/ esterno intelletto/ emozione Le ultime quattro dicotomie strutturaliste sono facilmente applicabili dagli archeologi, in particolare nell'esame delle piante di edifici antichi e di altri elementi di abitazioni. Si è notato che la preoccupazione di darsi "confini" nel campo delle relazioni sociali è riconoscibile anche in settori completamente diversi da quello dell'architettura: basti pensare alle "limitazioni" visibili nella decorazione ceramica. Ciò sta alla base dell'idea strutturalista che le categorie di pensiero valide per una sfera di vita siano valide anche per altre sfere. Uno dei limiti maggiori di questo tipo di prospettiva consiste nella mancanza di una considerazione del cambiamento "nel tempo". Di conseguenza lo strutturalismo sembra permettere soltanto un'analisi sincronica e mostrare una maggior propensione a descrivere piuttosto che a spiegare. Del resto, poichè tali categorie consentono di lavorare principalmente sulla cultura materiale, l'approccio strutturalista risulta certamente pertinente all'interpretazione archeologica. La "Teoria critica della società" sostiene che ogni forma di conoscenza è una forma storica e distorta di comunicazione, perciò la pretesa di perseguire una conoscenza "oggettiva" è illusoria. Quest'ottica interpretativa cerca un fondamento al di fuori dei sistemi di pensiero esistenti. Secondo i sostenitori di questa scuola non è possibile trattare scientificamente i "fatti sociali", perché non esistono "fatti oggettivi". Anzi, secondo costoro chi pretende di fare ciò sostiene tacitamente "l'ideologia del controllo" su cui si fonda il potere della classe dominante della società moderna. E' chiaro il limite di questo tipo di approccio: il relativismo che comporta è legato alla visione di chi legge i fatti sociali, da ciò il nascere di archeologie (e/o discipline) marginali e alternative. Inoltre i processi di verifica ritenuti necessari dal metodo scientifico rimangono per questa scuola negletti, considerati meri imprestiti dell'approccio positivista della scienza. 15 Il pensiero neo-marxista, ispirandosi allo strutturalismo, sostiene che la sovrastruttura ideologica non è da considerarsi subordinata agli aspetti economici fondanti - secondo la visione marxista classica- le basi della società. Perciò i cambiamenti culturali avvenuti nelle società primitive non sarebbero più da leggersi in termini esclusivamente economici, ma in quelli di una volontà di controllo sull'uso delle convenzioni da parte del gruppo di interesse. Quasi a sintesi di queste due importanti rivoluzioni (processualista e post-processualista) che hanno interessato i modi di recezione del problema archeologico, si sviluppa negli anni '80 una nuova prospettiva che supera alcuni dei limiti dell'archeologia funzionale-processuale degli anni '60 pur restando nella scia della medesima, e che s'ispira all'archeologia post-processuale. Emerge perciò l'archeologia cognitivo-processuale, attualmente impegnata nell'esplorazione del ruolo dei simboli nei processi di trasfomazione della società e nell'esame della struttura delle trasformazioni. Essa rimane fedele al metodo inaugurato dall'archeologia funzionaleprocessuale basato su spiegazione/ generalizzazione/ formulazione di ipotesi/ verifica delle ipotesi; ma rifiuta il relativismo e lo strutturalismo. Ma differisce dall'archeologia funzionaleprocessuale (interessata alle relazioni con l'ambiente e alle condizioni della base economica di una società) in quanto riconosce il valore dell'influenza dell'ideologia prevalente sugli elementi suddetti, come ha sostenuto l'ideologia neo-marxista. L'archeologia cognitivo-processuale infatti incorpora informazioni sugli aspetti cognitivi e simbolici delle società indagando, ad esempio, i rapporti sociali interni (tra cui gran rilievo acquista il ruolo del conflitto interno alla società, già evidenziato dal pensiero archeologico marxista); considerando la cultura materiale come un fattore attivo nella costituzione del mondo sociale in cui l'uomo vive; valorizzando la spiegazione storica grazie sia a una maggiore considerazione dei cambiamenti ciclici e delle tendenze di lungo periodo sia all'abbandono della vecchia impostazione aneddotica; infine riducendo la visione troppo "positivistica" della filosofia della scienza attraverso la consapevolezza che i "fatti" non esistono oggettivamente né sono indipendenti dalla teoria: anzi 16 le teorie devono essere verificate coi fatti i quali, perciò, possono modificarle. I sostenitori di questo nuovo tipo di approccio riconoscono che formulare "leggi di processo culturale" come se fossero "leggi universali" simili a quelle della fisica, non dà buoni risultati per la spiegazione in archeologia. In conseguenza di ciò la contrapposizione dei due modi di valutazione di un enunciato sostenuta a lungo dai filosofi della scienza - cioè il cosiddetto approccio della corrispondenza (secondo il quale un enunciato è vero se ad esso corrispondono i relativi fatti) e l'approccio della coerenza (in base al quale un enunciato è vero se è coerente con altri enunciati giudicati veri nel sistema di concetti cui facciamo riferimento) - viene a cadere a favore del riconoscimento che qualsiasi enunciato si basa su una combinazione dei due approcci, cioè sulle osservazioni reali e sul sistema di riferimento concettuale. Sulla base di questi principi l'archeologia cognitivo-processuale esamina il ruolo dei simboli. L'archeologo che si trova sempre al di fuori della società che studia e che - in mancanza di fonti scritte specifiche - non ha la possibilità di discutere il significato con chi celebra il rito, applica necessariamente una strategia di distanziamento ovvero di osservazione dall'esterno di ciò che la società effettivamente compie ritualmente, e non di ciò che dice di compiere. Perciò risulta importante concentrare l'attenzione sul funzionamento dei simboli oltre che sul loro significato. La religione, come altre ideologie, hanno causato grandi trasformazioni in relazione al pensiero e al comportamento dalle società, ciò riflettendosi nel documento archeologico. Perciò lo studio del simbolismo religioso - parte estremamente significativa del simbolismo ufficiale - e delle sue interazioni con le componenti correlate di un sistema sociale risulta essere il punto focale della ricerca odierna. Un secondo importante polo d'indagine è relativo alla struttura delle trasformazioni. Quali sono le caratteristiche di una trasformazione? L'archeologia contemporanea per affrontare la questione ha cercato ispirazione da altre discipline quali la biologia dell'"evoluzione", la matematica dei "sistemi non-lineari," la fisica dei "sistemi di non-equilibrio". Dall'osservazione dei fenomeni relativi alle scienze biologiche, ad esempio, l'archeologia ha 17 tratto alcuni concetti basilari tra i quali è noto quello di "feedback " o retroazione, mutuato a sua volta dalla teoria dei controlli o cibernetica: tutte le società umane, come tutti i sistemi viventi, posseggono meccanismi che garantiscono loro di mantenersi stabili nel tempo realizzando una condizione di equilibrio chiamata omeostasi. Lo stato di omeostasi è mantenuto per mezzo di un feedback negativo, che si verifica quando un sistema produce al suo interno adattamenti tali da ridurre gli effetti di stimoli provenienti dall'esterno (si pensi al meccanismo della sudorazione che evita l'aumento della temperatura corporea). Un sistema - per così dire "instabile" invece è il prodotto dell'azione di un feedback positivo, che avviene se alcune modificazioni prodotte nel sistema rafforzano gli stimoli provenienti dall'esterno portando alla nascita di forme completamente nuove, ovvero al processo di morfogenesi (ad esempio: le variazioni genetiche realizzatesi nella pianta del mais e dei fagioli tra l'8000 e il 2000 a.C. in Mesoamerica, secondo il modello cibernetico, avrebbero reso queste più produttive e più facili da raccogliere; di conseguenza la popolazione avrebbe fatto sempre più affidamento su queste piante per l'approvvigionamento dl cibo, nel senso di un incremento ulteriore di questa produzione. Cosa che portò involontariamente alla domesticazione di queste specie minori, modificando così il precedente modello di approvvigionamento utilizzato per diverse specie vegetali). All'interno di una prospettiva evoluzionista sembra adattarsi anche il concetto degli "equilibri intermittenti" secondo il quale è possibile che cambiamenti molto piccoli si siano compiuti nelle specie vegetali e animali in lunghi periodi di tempo, e cambiamenti importanti si siano realizzati in brevi periodi: l'influenza del cambiamento graduale può condurre a una rapido improvviso rimodellamento del sistema. L'impiego della "teoria delle catastrofi" nella spiegazione archeologica trae origine dall'osservazione del comportamento dei "sistemi non-lineari", che si basa sulla dimostrazione matematica che variazioni graduali di un certo numero di variabili operanti insieme in modo non-lineare possono produrre effetti improvvisi. 18 Infine, dagli studi di termodinamica applicati alla chimica prende origine il principio dell'"auto-organizzazione dei sistemi di non-equilibrio" secondo il quale i sistemi che si trovano in stati di non equilibrio (per esempio in condizioni di dissipazione del calore) tendono ad auto-organizzarsi in modo naturale in forme nuove che possono portare a cambiamenti improvvisi. CONCLUSIONE 19