Anropologia culturale tra Scienze dell'Antichità e Biologia Evoluzionista
Il termine "Antropologia" indica generalmente l'insieme degli studi che hanno per oggetto la
conoscenza dell'uomo nella sua duplice dimensione fisica e sociale. Nel primo caso si
esaminano i caratteri fisici dell'uomo in quanto animale; nel secondo si analizzano gli aspetti
sociali ovvero culturali che caratterizzano nello spazio e nel tempo i vari gruppi umani. Data
l'ampiezza dei contenuti di questa disciplina, gli studiosi sono soliti riconoscere come parti
costitutive dell'Antropologia le seguenti sottodiscipline:
1) antropologia biologica o fisica: gli sforzi si concentrano sull'analisi delle caratteristiche
fisico-biologiche umane e sulla loro evoluzione;
2) antropologia culturale o sociale: essa indaga società e cultura umana di comunità
contemporanee. Due sono gli indirizzi principali: l'etnografia, ovvero lo studio diretto delle
diverse culture attuali; e l'etnologia, cioè lo studio comparato di culture differenti sulla base dei
dati etnografici per ricavare PRINCIPI GENERALI riguardo alla società umana.
3) archeologia: studia le società del passato basandosi principalmente sui loro resti materiali
che costituiscono la cosiddetta cultura materiale. L'archeologia rappresenta il passato storico
dell'antropologia culturale ed è evidente che lo sforzo interpretativo utile ad una ricostruzione
coerente e comprensibile del passato appare in questo settore di fondamentale importanza.
Dunque l'archeologia, scienza recente (metà XIX secolo), si pone al termine del percorso
conoscitivo dell'uomo sull'uomo e contemporaneamente al crocevia di numerosi insegnamenti
di cui condivide spesso - vedremo - risultati e metodi di ricerca. Essa costituisce una parte non
solo dell'Antropologia, ma anche della Storia e della Scienza, come ora spiegheremo.
La Storia "tradizionale" si basa sulle testimonianze scritte delle passate civiltà e perciò ha
origine con la nascita della scrittura. Quest'ultima per quanto riguarda le società sorte nell'Asia
occidentale risale al IV millennio, ma nasce più tardi in altre aree del mondo. Ad esempio in
America centrale, in seno alla civiltà degli antichi Maya la diffusione della scrittura geroglifica
inizia a partire dal 292 d.C., e ancor più recente origine trova in Australia (I788 d.C.).
Tale definizione di Storia da parte del mondo scientifico contemporaneo contribuì alla
formazione del comune concetto di Preistoria, verso la metà del XIX. E' lecito chiedersi cosa ne
fosse della nozione di Preistoria prima della metà dell'800, se - cioè - gli storici delle civiltà
passate distinguessero tra storia e una possibile pre-istoria oppure se i due periodi rientrassero
sotto il medesimo titolo di "storia", e quale fu l'eventuale criterio di distinzione. Insomma,
esisteva alle origini della Storia un concetto di Preistoria? si era in grado di distinguerla dalla
Storia? come? cosa si intendeva per Storia? Sembra che le origini dell'uomo non abbiano
interessato gli antichi intelletti se non in chiave astratta, cioè attraverso la riflessione filosofica e
letteraria. Perciò la necessità di definire l'antichità dell'uomo (e porre i confini per la preistoria)
non era sentita come tale, né d'altra parte i dati e i mezzi d'indagine a loro disposizione erano tali
da consentire di formulare simili ipotesi di ricerca.
Il termine Preistoria1 entra nell'uso generale dopo la pubblicazione di Prehistoric Times
(1865) di John Lubbock il quale presenta una suddivisione della preistoria umana in 4 stadi
(paleolitico, neolitico, età del bronzo ed età del ferro). Essa si fonda essenzialmente sulle fonti
derivate dai dati materiali forniti dall'archeologia, senza escludere quelli raccolti
dall'antropologia fisica e culturale che approfondiscono i loro specifici ambiti di ricerca relativi
al progresso biologico e culturale del genere umano. Se consideriamo nella sua interezza la
storia dell'uomo dalle sue origini (almeno tre milioni di anni fa) fino ai nostri giorni, risulta
chiaro che oltre il 99% di questo arco di tempo è noto soltanto grazie a resti materiali, unica
nostra fonte di dati, mentre il relativamente breve spazio cronologico rimanente si basa
specialmente - ma non solo - sulle fonti storiche tradizionali (documenti scritti).
L'archeologia è una disciplina che rientra nel campo della scienza umanistica e storica in
virtù dei metodi e dei fini stabiliti nell'ambito delle sue ricerche.
Fino agli anni '70 gli obiettivi tradizionali dell'archeologia venivano individuati nella
conoscenza più ampia possibile del passato dell'uomo e principalmente nella ricostruzione della
1 La Preistoria, secondo l'uso italiano, è detta anche Archeologia Preistorica o Paletnologia. Essa comprende due
periodi: la PREISTORIA propriamente detta, comprendente il Paleolitico, il Neolitico e l'Eneolitico; e la
PROTOSTORIA ovvero il secondo periodo della Preistoria, comprendente l'Età del bronzo e del Ferro. Il termine
Protostoria indica quindi un'epoca di cui si abbiano documenti e monumenti ma che non fa ancora parte della vera
Storia, pur non essendo più Preistoria.
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cultura materiale, cioè nella raccolta e catalogazione di tutti quei reperti, integri o in frammenti,
che la ricerca archeologica portava gradualmente alla luce.
Attualmente l'archeologia, individuata una gerarchia ascendente di obiettivi nell'ambito della
quale il lavoro di classificazione dei reperti rimane attività essenziale e irrinunciabile per
l'archeologo, ha stabilito come fine ultimo della ricerca la ricostruzione del MODO DI VITA
delle persone che produssero i resti archeologici basata non più sull'applicazone meccanicistica
di uno jigsaw (gioco di pazienza) ma su una più impegnativa considerazione dei diversi fattori
che portarono alla definizione degli life ways (stili di vita) delle varie comunità umane.
Le diverse fasi della ricerca scientifica sono: la raccolta dei dati; la sperimentazione; la
formulazione di ipotesi (per spiegare i dati); la verifica dell'ipotesi con ulteriori dati; la
costruzione di un modello che riassuma la regolarità osservata nei dati. All'interno di queste fasi
la ricerca può servirsi di strumenti di indagine sia tecnici (analisi dei residui di cibo; datazione
al radiocarbonio - in campo archeologico) che scientifici, come l'analisi e la deduzione.
Indipendentemente dalla scelta dei mezzi di indagine, ciò che interessa allo scienziato è fornire
una SPIEGAZIONE dei CAMBIAMENTI osservati. Di qui le ragioni dello sviluppo
dell'ARCHEOLOGIA MODERNA (metà XIX) come ARCHEOLOGIA PROCESSUALE, cioè
come scienza che tenta di spiegare le ragioni delle trasformazioni culturali umane avvenute nel
corso della storia.
L'Archeologia moderna (metà XIX) comprende differenti e numerose archeologie unite tra
loro dai vari metodi sviluppati2. I criteri di distinzione principali sono di tipo cronologicogeografico: esistono quindi un'archeologia preistorica, che tratta essenzialmente del periodo
2 La Storia, ad esempio, per l'interpretazione delle testimonianze dei tempi per i quali esistono documenti scritti,
si vale fondamentalmente del metodo filologico.
La Preistoria, in relazione con il diverso materiale di cui dispone, si serve del metodo archeologico, giovandosi in
parte anche di quello linguistico, etnografico, antropologico.
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paleolitico-neolitico e che si occupa delle civiltà delle età dei metalli (bronzo; ferro) quali, ad
esempio, le Civiltà delle Americhe, della Cina, dell'Egitto nella loro prima fase; un'archeologia
storica: che comprende, tra le maggiori, la civiltà greca e quella romana (archeologia classica),
quella medievale e post-medievale (archeologia medievale; archeologia post-medievale).
Ma esistono anche delle specializzazioni trasversali a tali suddivisioni cronologicogeografiche, che possono offrire contributi assai interessanti e utili alla rappresentazione finale
della civiltà considerata. Alcune di queste branche sono:
l'archeologia ambientale: studia l'uso fatto dall'uomo di piante e animali e i modi di
adattamento delle antiche civiltà di fronte ai cambiamenti delle condizioni ambientali;
l'archeologia subacquea: di formazione piuttosto recente questa specializzazione negli
ultimi trent'anni è stata in grado di salvare dall'oblio alcuni periodi del passato grazie al recupero
di alcuni relitti di navi. Le informazioni acquisite da queste specialissime fonti archeologiche
hanno gettato nuova luce sui modi antichi di vita terrestre e marina;
etnoarcheologia: studia le culture contemporanee cercando di portare alla luce le relazioni
che legano la produzione materiale a comportamenti specifici;
l'archeologia cognitiva: studia, in base ai materiali i modi di pensiero e le strutture
simboliche utilizzati nel passato;
l'archeologia del culto: studia i resti materiali di azioni strutturate intraprese in risposta a
credenze religiose;
l'archeologia del paesaggio: analizza tutti quegli elementi che, a partire dallo studio degli
insediamenti, possono mettere in evidenza la struttura dell'attività umana su vasta area;
l'archeologia di salvataggio: detta anche di emergenza: si occupa dell'individuazione e della
documentazione - attraverso scavo - dei siti archeologici prima che vengano distrutti dalla
costruzone di infrastrutture moderne urbane o rurali;
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archeozoologia o zooarcheologia: identifica e studia i resti di specie animali rinvenuti nel
corso di indagini archeologiche contribuendo alla conoscenza delle diete umane e dell'ambiente
naturale all'epoca della deposizione dei resti;
l'archeologia delle persone: studia i resti delle persone che produssero il documento
archeologico, la loro evoluzione e i loro caratteri fisici. Ma è l'antropologo fisico colui che per
primo analizza tali documenti, fornendo all'archeologo informazioni circa la razza, ma
specialmente l'età, il sesso, lo stato di salute in vita e talvolta le somiglianze famigliari che
arrichiranno la conoscenza del passato. Le indagini più interessanti sono quelle relative alle
origini dell'uomo.
l'archeologia della morte: studia il deposito funerario come espressione della volontà umana
di rappresentarsi "distinto" dal gruppo o "uguale" in relazione allo spazio che isola una
deposizione dalle altre. Lo spazio può riflettere il potere e il prestigio tenuto in vita dal defunto.
E altre ancora ne seguirebbero (del potere, dell'abbandono, della mente, della guerra, della
connettività, attualistica, sperimentale, etc.) ma l'elenco sopra riportato basti per comprendere la
complessità e la vastità che oggi caratterizzano il mondo di questa disciplina. E come tutte le
scienze anch'essa è consapevole di poter fornire soltanto risposte provvisorie agli interrogativi
che stanno alla base delle proprie ricerche. Perciò la/e ricostruzione/i del modo di vita degli
antichi, le spiegazioni dei modelli comportamentali, dei cambiamenti, della forma assunta da
una cultura non esauriranno i sempre più numerosi quesiti che l'archeologia si pone.
L'ARCHEOLOGIA DAL PASSATO AD OGGI
Recenziorità delle acquisizioni di profondità temporale sull'origine dell'uomo
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L'archeologia come scienza nasce intorno alla metà del XIX essenzialmente come
archeologia preistorica, nel momento in cui l'acquisizione dei tre concetti chiave - l'antichità
dell'uomo, l'idea dell'evoluzione delle specie e il modello delle tre età - le forniranno un sistema
di riferimento per lo studio sistematico dei resti del passato umano raccolti grazie
all'applicazione di un nuovo rigoroso metodo di scavo, quello cosiddetto stratigrafico.
Interesse principale per quell'epoca era la definizione dell'antichità dell'uomo e del mondo.
Fino ad allora la Storia era ritenuta non ricostruibile prima dell'avvento della scrittura, perciò
l'inizio della storia umana era fatta coincidere con quello della creazione della terra e il
problema preistorico sembrava rimanere irrisolto. Si continuava a far risalire la creazione del
mondo intorno al 4004 a.C., dando credito all'ipotesi formulata nel 1650 da James Usher sulla
base delle indicazioni che si credeva desumere dalla Bibbia: in sostanza l'età della terra era
fissata a non più di seimila anni indietro secondo le interpretazioni fatte alla luce del Diluvio
Universale. La persistenza di analoghe nozioni pre-scientifiche in ambito religioso trova tuttora
riscontro nelle credenze ancora vive presso le contemporanee comunità di Jeowa.
Fenomeni precursori: scavi, ideologie e modelli archetipici evolutivi
Sin dalla più remota antichità l'uomo ha scavato il terreno per cercarvi qualcosa: argilla
pietre, minerali e, naturalmente, tesori. O meglio, ciò che allora era considerato tesoro. Così
Nabonedo ultimo re indigeno di Babilonia sul trono tra il 555 e il 539 a.C., considerò così
preziosa la pietra di fondazione scoperta in seguito agli scavi da lui condotti in un tempio da
conservarla entro una specie di museo. Sappiamo inoltre che a Delo in occasione della
purificazione del tempio effettuata nel 426 a.C., come ci racconta Tucidide (I, 8, 1) che fu
testimone dell'avvenimento, molte tombe antiche vennero alla luce i cui corredi rivelarono
l'antica presenza in quell'isola di popolazioni provenienti dall'Anatolia. Altri scavi furono
condotti dai Romani a Corinto cento anni dopo la distruzione (I46 a.C.) di quella città, nel
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luogo dell'antica necropoli alla ricerca dei vasi di bronzo richiesti dai collezionisti del tempo,
stando alle notizie riferiteci da Strabone (VII, 6, 23) geografo e storico d'età augustea. Ancora il
più famoso avvocato della romanità ricorda gli scavi condotti nella tomba di Archimede
(Cicerone, I a.C.). Ma dal punto di vista del metodo nulla a che fare ebbero tali scavi con la
recente pratica dello scavo stratigrafico. Lo scavo antico ubbidiva ad ideologie giustificative del
potere mirando a rafforzare l'immagine e il prestigio delle classi più elevate.
La ricostruzione a livello speculativo dell'immagine del passato umano secondo una
prospettiva evolutiva interessò fi
losofi e letterati molto più antichi. Esiodo (ca. 800 a.C.) nel suo poema Le opere e i giorni
illustra un passato suddiviso in cinque fasi a seconda dei livelli di civiltà raggiunti dall'uomo.
Questo sistema comprende l'età dell'Oro e degli Immortali, i quali vivevano in pace sulle loro
terre e con molti agi; dell'Argento, in cui gli uomini erano meno nobili; del Bronzo; degli Eroi
Epici; e del Ferro e dei Dolori Penosi, cioè la sua epoca. Un analogo modello evolutivo sembra
avere in mente Lucrezio, poeta latino della prima metà del I a.C., quando nel suo De rerum
natura (libri V-VI) afferma che l'uomo sarebbe progredito da una vita ferina verso forme più
evolute di civiltà imparando a usare il fuoco, creando la famiglia, il linguaggio, i regni, le città,
le proprietà.
Archeologia antiquaria
La fase successiva, corrispondente grosso modo al periodo medievale, all'Umanesimo e al
Rinascimentale, si caratterizza per il persistere dell'eclissi della cultura scientifica e per
l'onnipresenza dell'interpretazione biblica. La tradizione medievale popolare è ricca di racconti
sulla scoperta di favolosi tesori al cui esclusivo recupero i numerosi scavi medievali erano
rivolti. Mentre tanti altri oggetti della vita quotidiana che non colpivano l'imaginazione degli
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scavatori rimasero negletti. Il desiderio di recuperare dalle rovine degli antichi edifici i materiali
necessari all'edilizia (mattoni, pietre, marmi) e la ricerca di oggetti antichi di valore da
aggiungersi alle collezioni comportò la selvaggia pratica di veri e propri sterri.
Le cronache medievali ci informano tuttavia sulla facoltà di alcuni sapienti conoscitori di
apprezzare la maestria di umili produzioni ceramiche indipendentemente dal loro valore
intrinseco, incuriositi dalla funzione che quell'oggetto avrebbe potuto riacquistare. La cronaca di
Saint-Pierre d'Oudenbourg ci offre il resoconto di alcune scoperte effettuate nel 1081 nei
pressi di Colonia, culminate nel ritrovamento di "vasi splendidi e bellissimi, scrigni, scodelle e
utensili fabbricati e scolpiti con grandissimo ingegno". Ristoro d'Arezzo scriveva nel XIII
secolo dell'ammirazione incontenibile di coloro che sapevano vedere. Insomma, l'oggetto antico
cominciava a piacere perché antico, non più soltanto perché bello e di pregio. Inoltre si
cominciava a intuire il valore della funzione storica dei resti, secondo quanto emerge dalla
cronaca sui lavori di costruzione di un'abbazia scritta, all'inizio del XII secolo, da Guilbert de
Nogent in relazione alla "deposizione insolita, non cristiana delle sepolture ritrovate" ipotesi
corroborata dal fatto che "in queste tombe sono stati scoperti vasi che non sembrano
corrispondere ad alcun uso nei tempi critistiani". Guilbert proponeva la seguente alternativa: si
trattava di tombe pagane, o di tombe cristiane ma d'epoca molto antica, ancora pagana. Si
trattava infatti di un cimitero gallo-romano.
Nel secolo XV nasce una nuova disciplina che studia l'antichità e i suoi manufatti,
l'antiquaria. I caratteri e le attitudini chiave di questo periodo sono il fiorire dei "cabinets de
curiosité", il culto del passato - con la riscoperta dei testi classici conservati nei monasteri
medievali -, il collezionismo - gli antiquari accumulano nei loro gabinetti manufatti antichi ben
ordinati in serie ma confusi per epoca, funzione, significato storico. Lo scavo non assume
ancora quel ruolo fondamentale che l'archeologia moderna gli assegnerà.
Il desiderio di riesumare il passato sta alla base dell'immensa mole di "escavazioni" che
caratterizzano il XVI secolo, di cui non resta altra documentazione se non quella degli
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innumerevoli permessi rilasciati dalle autorità (si poteva ottenere una "Licentia effodiendi
theauros", cioè "di scavare tesori" o una semplice licenza di "scavo sterro") le quali non davano
alcuna prescrizione circa il modo di condurre lo scavo. Al moltiplicarsi degli scavi non fece
quindi seguito, nel Rinascimento, alcuna riflessione sul metodo con cui condurli.
Tra XVI e XVII secolo si collocano i primi tentativi di rispondere attraverso la ricerca nel
terreno agli interrogativi posti dai testi. Non a caso il termine "archeologia" nasce in Francia ad
opera dell'antiquario Jacques Spon, nella seconda metà del Seicento. In quest'epoca era andato
sviluppandosi lo studio per le antichità "nazionali", cioè per i resti di civiltà non classiche, più
remote di queste e caratterizzate dall'assenza di fonti letterarie o epigrafiche: si prediligevano i
monumenti visibili in superficie quali le tombe neolitiche dell'Europa nord-occidentale, le
misteriose architetture di Stonenge, i siti di Carnac. In questi luoghi il metodo sperimentale di
analisi avrebbe potuto dare i suoi frutti migliori rimediando alla mancanza delle fonti scritte.
Questo tipo di testimonianze sostanzialmente preistoriche si prestavano meglio delle altre ad
essere avvicinate con gli strumenti dell'"archeologia", cioè con l'osservazione diretta dei
manufatti e della loro giacitura nel terreno, anche se i reperti dell'età peristorica continuavano ad
esser interpretati come "frecce" o "saette fatate", le cosiddette cerauniae o pietre del fulmine.
All'inizio del XVIII secolo un professore di Basilea, Jacques Christophe Helin, affrontava il
problema della successione delle età corrispondenti alle varie fasi dello sviluppo della civiltà
umana stimolato dalle testimonianze derivate dallo scavo delle tombe dei Germani: le più
antiche contenevano spesso rame, le più recenti invece ferro. Nel 1785 il geologo James Hutton
studiando la stratitificazione delle rocce osserva la disposizione a strati sovrapposti e stabilisce
il principio dell'uniformitarianismo. Intorno alla metà del XVIII secolo intanto viene scoperta
Pompei (1748) e hanno luogo i primi scavi scientifici in Virginia (la sezione scavata da
Jefferson attraverso un tumulo funeario), nella Gran Bretagna meridionale (i tumuli studiati da
Hoare). Tuttavia tali scavi restano nel sistema concettuale della Bibbia.
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Nascita dello scavo moderno: l'archeologia come scienza
Un gentiluomo inglese, John Frere, trovò nel 1797 manufatti archeologici in associazione
con i resti di animali estinti, sotto diversi metri di strati geologici intatti. Questa scoperta - che
per la prima volta metteva in discussione l'età stessa della terra e l'intero sistema interpretativo
biblico -, pubblicata nel 1800, rimase ignorata per oltre mezzo secolo. Nel 1816 il geologo
William Smith dimostrò che ogni strato geologico conteneva resti organici propri3. Ma soltanto
la pubblicazione dell'opera Priciples of Geology (1830-33) di Charles Lyell offrì al mondo
scientifico la sintesi dei progressi della scienza contemporanea e nel 1841 un ispettore doganale
francese, Jacques de Perthes, che aveva condotto ricerche nelle cave di ghiaia lungo la Somme,
pubblicò prove convincenti dell'associazione di manufati umani in pietra scheggiata con ossa di
animali estinti. Tutto insomma portava a pensare che l'uomo fosse ben più vecchio di quanto si
pensasse allora e gli studiosi proponevano il riconoscimento del principio dell'antichità
dell'uomo.
Nel frattempo infatti, sulla base di questa idea, era stato messo a punto un altro strumento
concettuale utile per la comprensione della preistoria europea. La pubblicazione della guida al
Museo Nazionale di Copenaghen redatta dallo studioso danese C. J. Thomsen nel 1836
(apparve in inglese nel 1848) presentava la classificazione dei reperti archeologici del nuovo
Museo distinti in tre gruppi sulla base del materiale utilizzati per fabbricarli: così veniva
concepito il SISTEMA DELLE TRE ETÀ - Età della pietra, Età del bronzo, Età del ferro secondo una divisione poi riconosciuta utile dagli studiosi di tutta Europa. Più tardi il
successore di Thomsen, J. J. Worsae, conferì validità stratigrafica a tale idea con gli scavi da
3 Smith sistemò la sua collezione di reperti in una bacheca ordinata stratigraficamente, dove collocò i fossili su
ripiani inclinati corrispondenti alla posizione dello strato geologico in cui erano stati trovati. Infine catalogò ogni
reperto in base al genere, alla specie e al luogo, in vista dell'eventualità di un confronto con reperti anamoghi trovati
in posti differenti.
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lui tenuti nelle paludi danesi e pubblicati nel 1849 in The primeval Antiquities of Denmark , ove
stabilì un'ulteriore divisione per l'Età della pietra in Paleolitico e Neolitico.
Soltanto nel 1859 una relazione ufficiale presso la Royal Society di Londra potè
affermare L'ANTICHITÀ DELLA SPECIE UMANA sulla base di ritrovamenti
archeologici pertinenti ad un'era certamente più antica dei seimila anni contemplati dalla
Bibbia. Queste epoche, misurate in milioni di anni, erano in totale disaccordo con la scala del
tempo biblica; la controversia che ne derivò è stata risolta solamente nel XX secolo mediante
l'introduzione dei metodi di datazione sulla radioattività (1949) che permisero ai geologi di
misurare il tempo assoluto trascorso tra i vari eventi stratigrafici, senza con ciò scalzare
l'importanza del concetto di tempo relativo tuttora in uso il quale fornisce semplicemente
l'ordine degli eventi stratigrafici o archeologici.
Queste idee si armonizzavano bene con i risultati di un altro grande studioso del XIX secolo,
Charles Darwin il quale pubblicò nel medesimo anno la sua opera fondamentale, L'origine
della specie, nella quale formulava il CONCETTO DI EVOLUZIONE (spiegazione migliore
per l'origine e lo sviluppo di tutte le specie animali e vegetali), che si basava sul principio della
selezione neturale ovvero della sopravvivenza del più adatto.
La costruzione della solida struttura concettuale articolata nei tre principi suddetti aprì le
porte a una più metodica e consapevole ricerca di scavo.
La seconda metà del'Ottocento vede infatti in tutta Europa la diffusione delle ricerche
peristoriche e protostoriche e le prime applicazioni del metodo di scavo stratigrafico.
Dobbiamo a un generale, A. H. Pitt-Rivers, la dimostrazione di come fosse possibile
trasformare gli scavi archeologici in una rigorosa operazione scientifica. Egli sottolineò
l'importanza della registrazione accurata di ogni minimo dettaglio, anche di quelli
apparentemente inesplicabili e privi di rilevanza storica. La sua pratica di scavo (che si protrasse
per quindici anni a partire dal 1881) prevedeva l'esposizione globale del sito, anticipando quella
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strategia di scavo detta "per grandi aree" che diverrà basilare nell'esercizio degli archeologi di
professione soltanto dopo la metà del XX secolo.
Ma si può dire che l'inizio dell'applicazione dei principi della stratigrafia archeologica non sia
anteriore alla prima guerra mondiale. Bisogna attendere il 1915 per leggere nei manuali di scavo
i primi incerti cenni sull'applicazione dei principi stratigrafici ai siti archeologici pluristratificati:
è il caso di J. P. Dropp che pubblicò in quello stesso anno il volume Archaeolotgical
Exavation.
In Inghilterra il metodo stratigrafico si andava consolidando grazie all'opera di grandi
personalità tra cui spicca quella di Mortimer Wheeler che a partire dagli anni Trenta
promuoveva una modificazione della forma dell'area indagata suddividendola in quadrati
separati da porzioni di terreno non scavato, i cosiddetti "testimoni". Tale sistema privilegiava gli
aspetti verticali dell'indagine moltiplicando su ogni sito il numero delle sezioni stratigrafiche a
scapito delle piante.
A partire dagli anni Cinquanta la nuova strategia di scavo cominciò a fondarsi su
un'indagine estesa delle stratificazioni orizzontali mirando all'apertura di "grandi aree" che,
esposte secondo la loro successione stratigrafica, offrivano realtà topografiche e monumentali
più complesse ma agli archeologi meglio comprensibili. Lo scavo per "grandi aree" si adattava
così tanto allo studio delle città quanto allo studio delle campagne, proponendosi finalmente
l'obiettivo della ricostruzone del paesaggio antico.
Dagli anni Settanta si accolse in Italia l'esperienza di alcuni archeologi britannici che portò
all'adozione di uno dei sistemi di documentazione più agili e innovativi, il cosiddetto matrix.
Ideato da E. C. Harris, il matrix (o diagramma stratigrafico) viene presentato nel
volumePrincipi di stratigrafia archeologica. (pubblicato nel 1979) come strumento descrittivo
della stratificazione archeologica, utile per riprodurre schematicamente su un piano la realtà
tridimensionale della stratificazione. Esso costituisce il primo passo verso la ricostruzione
storica finale. La rivoluzione "Harrisiana", fornendo uno strumento indispensabile per la
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documentazione di siti particolarmente ricchi di storia come i centri urbani storici
pluristratificati delle grandi città, favorì l'espansione delle ricerche nell'ambito dell'archeologia
urbana.
La spiegazione in archeologia
Seguì tra gli anni Settanta e Ottanta una seconda rivoluzione che trovò origine negli U.S.A. e
nel Nord Europa e comportò una notevole espansione dell'etnoarcheologia, della tafonomia4 e
dell'archeologia sperimentale. Si tratta della cosidetta rivoluzione "processualista" che
concentrò una maggiore attenzione sull'analisi della formazione dei differenti aspetti delle
società e sullo studio di come questi aspetti si adattino reciprocamente, per spiegare lo sviluppo
della società nel suo insieme attraverso il tempo. L'approccio processuale al cambiamento si
fondò sulla concezione del comportamento umano come punto di sovrapposizione tra un gran
numero di sistemi, ciascuno dei quali comprende fenomeni culturali e non-culturali. I
mutamenti culturali si produrrebbero attraverso piccole variazioni verificatesi in uno o più
sistemi, mentre il mantenimento del modus vivendi di una società si basa sull'equilibrio tra i
sistemi. Risultò perciò importante isolare ciascun sistema e studiarlo come variabile separata. Di
qui l'importanza data all'analisi delle relazioni con l'ambiente, alla sussistenza, all'economia, ai
rapporti sociali, all'influenza che l'ideologia prevalente esercita su questi elementi, agli effetti
delle interazioni createsi tra le diverse unità sociali. Il fine ultimo è la ricostruzione dell'intera
configurazione di sistemi correlati tra loro. L'interpretazione processuale presuppone il tentativo
di scoprire regolarità nelle relazioni stabilite dai metodi d'indagine storico-culturale e la
possibilità di utilizzare lo strumento della generalizzazione nella spiegazione. Un esempio
sull'uso della generalizzazione è offerto dalla spiegazione processuale data da Lewis Binford
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Studio dei processi che hanno interessato i materiali organici dopo la morte di un essere vivente . Prevede anche
l'analisi al microscopio delle tracce lasciate dai denti dei predatori per stabilire gli effetti della macellazione.
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circa il problema delle origini dell'agricoltura impostato su scala mondiale e senza ricorrere ai
tradizionali concetti di "migrazione" o di "diffusione".
Infine la terza rivoluzione, ovvero quella "post-processualista", risale alla fine degli anni
80. L'approccio che cercava di formulare nuove leggi esplicative (nomotetico) proposto
dall'interpretazione processualista fu criticato da più parti come limitante e talora addirittura
banale nella formulazione di alcune leggi. Si sentiva la necessità di dare più imprtanza agli
aspetti ideologici e simbolici della società. La reazione alla spiegazione processualista si
concretizzò, all'interno della prospettiva post-processualista, nella definizione di nuovi approcci
alla spiegazione archeologica tra cui si distinguono i seguenti indirizzi principali: quello
"strutturalista", l'approccio sviluppato dalla "Scuola di Francoforte" denominato "Teoria critica
della società" e l'approccio neo-marxista.
L'approccio strutturalista fu fortemente influenzato dalle idee di un antropologo francese
Claude Lévi-Strauss e da quelle di un matematico americano che si occupò di linguistica a
partire dagli anni '60, Noam Chomsky. Lo strutturalismo, secondo Chomsky, non poteva
guardare soltanto alla struttura superficiale della lingua, ma era necessario perseguirne la
struttura profonda. Gli archeologi strutturalisti infatti ritengono che le azioni umane sono
guidate da credenze e da concetti simbolici, perciò il vero oggetto di studio sono le idee che
rappresentano le strutture del pensiero di coloro che crearono i manufatti. Secondo gli
strutturalisti all'interno di culture diverse esistono nel pensiero umano diversi "schemi
ricorrenti", ad esempio quelli degli "opposti":
cotto/crudo
sinistra /destra
sporco/pulito
uomo/ donna
uomo/natura
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pubblico/ privato
interno/ esterno
intelletto/ emozione
Le ultime quattro dicotomie strutturaliste sono facilmente applicabili dagli archeologi, in
particolare nell'esame delle piante di edifici antichi e di altri elementi di abitazioni. Si è notato
che la preoccupazione di darsi "confini" nel campo delle relazioni sociali è riconoscibile anche
in settori completamente diversi da quello dell'architettura: basti pensare alle "limitazioni"
visibili nella decorazione ceramica. Ciò sta alla base dell'idea strutturalista che le categorie di
pensiero valide per una sfera di vita siano valide anche per altre sfere.
Uno dei limiti maggiori di questo tipo di prospettiva consiste nella mancanza di una
considerazione del cambiamento "nel tempo". Di conseguenza lo strutturalismo sembra
permettere soltanto un'analisi sincronica e mostrare una maggior propensione a descrivere
piuttosto che a spiegare. Del resto, poichè tali categorie consentono di lavorare principalmente
sulla cultura materiale, l'approccio strutturalista risulta certamente pertinente all'interpretazione
archeologica.
La "Teoria critica della società" sostiene che ogni forma di conoscenza è una forma storica e
distorta di comunicazione, perciò la pretesa di perseguire una conoscenza "oggettiva" è illusoria.
Quest'ottica interpretativa cerca un fondamento al di fuori dei sistemi di pensiero esistenti.
Secondo i sostenitori di questa scuola non è possibile trattare scientificamente i "fatti sociali",
perché non esistono "fatti oggettivi". Anzi, secondo costoro chi pretende di fare ciò sostiene
tacitamente "l'ideologia del controllo" su cui si fonda il potere della classe dominante della
società moderna. E' chiaro il limite di questo tipo di approccio: il relativismo che comporta è
legato alla visione di chi legge i fatti sociali, da ciò il nascere di archeologie (e/o discipline)
marginali e alternative. Inoltre i processi di verifica ritenuti necessari dal metodo scientifico
rimangono per questa scuola negletti, considerati meri imprestiti dell'approccio positivista della
scienza.
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Il pensiero neo-marxista, ispirandosi allo strutturalismo, sostiene che la sovrastruttura
ideologica non è da considerarsi subordinata agli aspetti economici fondanti - secondo la visione
marxista classica- le basi della società. Perciò i cambiamenti culturali avvenuti nelle società
primitive non sarebbero più da leggersi in termini esclusivamente economici, ma in quelli di una
volontà di controllo sull'uso delle convenzioni da parte del gruppo di interesse.
Quasi a sintesi di queste due importanti rivoluzioni (processualista e post-processualista)
che hanno interessato i modi di recezione del problema archeologico, si sviluppa negli anni '80
una nuova prospettiva che supera alcuni dei limiti dell'archeologia funzionale-processuale degli
anni '60 pur restando nella scia della medesima, e che s'ispira all'archeologia post-processuale.
Emerge perciò l'archeologia cognitivo-processuale, attualmente impegnata nell'esplorazione
del ruolo dei simboli nei processi di trasfomazione della società e nell'esame della struttura
delle trasformazioni. Essa rimane fedele al metodo inaugurato dall'archeologia funzionaleprocessuale basato su spiegazione/ generalizzazione/ formulazione di ipotesi/ verifica delle
ipotesi; ma rifiuta il relativismo e lo strutturalismo. Ma differisce dall'archeologia funzionaleprocessuale (interessata alle relazioni con l'ambiente e alle condizioni della base economica di
una società) in quanto riconosce il valore dell'influenza dell'ideologia prevalente sugli elementi
suddetti, come ha sostenuto l'ideologia neo-marxista. L'archeologia cognitivo-processuale infatti
incorpora informazioni sugli aspetti cognitivi e simbolici delle società indagando, ad esempio, i
rapporti sociali interni (tra cui gran rilievo acquista il ruolo del conflitto interno alla società, già
evidenziato dal pensiero archeologico marxista); considerando la cultura materiale come un
fattore attivo nella costituzione del mondo sociale in cui l'uomo vive; valorizzando la
spiegazione storica grazie sia a una maggiore considerazione dei cambiamenti ciclici e delle
tendenze di lungo periodo sia all'abbandono della vecchia impostazione aneddotica; infine
riducendo la visione troppo "positivistica" della filosofia della scienza attraverso la
consapevolezza che i "fatti" non esistono oggettivamente né sono indipendenti dalla teoria: anzi
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le teorie devono essere verificate coi fatti i quali, perciò, possono modificarle. I sostenitori di
questo nuovo tipo di approccio riconoscono che formulare "leggi di processo culturale" come se
fossero "leggi universali" simili a quelle della fisica, non dà buoni risultati per la spiegazione in
archeologia. In conseguenza di ciò la contrapposizione dei due modi di valutazione di un
enunciato sostenuta a lungo dai filosofi della scienza - cioè il cosiddetto approccio della
corrispondenza (secondo il quale un enunciato è vero se ad esso corrispondono i relativi fatti) e
l'approccio della coerenza (in base al quale un enunciato è vero se è coerente con altri
enunciati giudicati veri nel sistema di concetti cui facciamo riferimento) - viene a cadere a
favore del riconoscimento che qualsiasi enunciato si basa su una combinazione dei due
approcci, cioè sulle osservazioni reali e sul sistema di riferimento concettuale.
Sulla base di questi principi l'archeologia cognitivo-processuale esamina il ruolo dei simboli.
L'archeologo che si trova sempre al di fuori della società che studia e che - in mancanza di fonti
scritte specifiche - non ha la possibilità di discutere il significato con chi celebra il rito, applica
necessariamente una strategia di distanziamento ovvero di osservazione dall'esterno di ciò che
la società effettivamente compie ritualmente, e non di ciò che dice di compiere. Perciò risulta
importante concentrare l'attenzione sul funzionamento dei simboli oltre che sul loro significato.
La religione, come altre ideologie, hanno causato grandi trasformazioni in relazione al pensiero
e al comportamento dalle società, ciò riflettendosi nel documento archeologico. Perciò lo studio
del simbolismo religioso - parte estremamente significativa del simbolismo ufficiale - e delle
sue interazioni con le componenti correlate di un sistema sociale risulta essere il punto focale
della ricerca odierna.
Un secondo importante polo d'indagine è relativo alla struttura delle trasformazioni. Quali
sono le caratteristiche di una trasformazione? L'archeologia contemporanea per affrontare la
questione ha cercato ispirazione da altre discipline quali la biologia dell'"evoluzione", la
matematica
dei "sistemi non-lineari," la fisica
dei "sistemi di non-equilibrio".
Dall'osservazione dei fenomeni relativi alle scienze biologiche, ad esempio, l'archeologia ha
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tratto alcuni concetti basilari tra i quali è noto quello di "feedback " o retroazione, mutuato a
sua volta dalla teoria dei controlli o cibernetica: tutte le società umane, come tutti i sistemi
viventi, posseggono meccanismi che garantiscono loro di mantenersi stabili nel tempo
realizzando una condizione di equilibrio chiamata omeostasi. Lo stato di omeostasi è mantenuto
per mezzo di un feedback negativo, che si verifica quando un sistema produce al suo interno
adattamenti tali da ridurre gli effetti di stimoli provenienti dall'esterno (si pensi al meccanismo
della sudorazione che evita l'aumento della temperatura corporea). Un sistema - per così dire "instabile" invece è il prodotto dell'azione di un feedback positivo, che avviene se alcune
modificazioni prodotte nel sistema rafforzano gli stimoli provenienti dall'esterno portando alla
nascita di forme completamente nuove, ovvero al processo di morfogenesi (ad esempio: le
variazioni genetiche realizzatesi nella pianta del mais e dei fagioli tra l'8000 e il 2000 a.C. in
Mesoamerica, secondo il modello cibernetico, avrebbero reso queste più produttive e più facili
da raccogliere; di conseguenza la popolazione avrebbe fatto sempre più affidamento su queste
piante per l'approvvigionamento dl cibo, nel senso di un incremento ulteriore di questa
produzione. Cosa che portò involontariamente alla domesticazione di queste specie minori,
modificando così il precedente modello di approvvigionamento utilizzato per diverse specie
vegetali).
All'interno di una prospettiva evoluzionista sembra adattarsi anche il concetto degli
"equilibri intermittenti" secondo il quale è possibile che cambiamenti molto piccoli si siano
compiuti nelle specie vegetali e animali in lunghi periodi di tempo, e cambiamenti importanti si
siano realizzati in brevi periodi: l'influenza del cambiamento graduale può condurre a una
rapido improvviso rimodellamento del sistema.
L'impiego della "teoria delle catastrofi" nella spiegazione archeologica trae origine
dall'osservazione del comportamento dei "sistemi non-lineari", che si basa sulla dimostrazione
matematica che variazioni graduali di un certo numero di variabili operanti insieme in modo
non-lineare possono produrre effetti improvvisi.
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Infine, dagli studi di termodinamica applicati alla chimica prende origine il principio
dell'"auto-organizzazione dei sistemi di non-equilibrio" secondo il quale i sistemi che si
trovano in stati di non equilibrio (per esempio in condizioni di dissipazione del calore) tendono
ad auto-organizzarsi in modo naturale in forme nuove che possono portare a cambiamenti
improvvisi.
CONCLUSIONE
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