Arte Un dipinto fiorentino a Genova “Il sogno di San Giuseppe” di Agostino Ciampelli di Franco Renzo Pesenti Del fervore di fondazioni e di rinnovamento delle chiese seguito, alla fine del Cinquecento e agli inizi del Seicento, alla Riforma Cattolica è testimonianza in Genova la chiesa di S. Anna del Monastero dei Carmelitani Scalzi, il primo di questo ordine fondato in Italia, nel 1584; testimonia gli estesi rapporti religiosi, culturali ed anche economici esistenti nel periodo tra la Repubblica e la Spagna. La salita cui si accede partiva dalla “Portella” nelle vecchie mura medievali ed è ora intersecata dalla Circonvallazione a monte iniziata nel 1865. Nella chiesa la cappella di S. Giuseppe, che ha un elegante assetto rococò, reca due cartelle sopra le porte laterali con scritte in rilievo che ci informano che la cappella fu fondata nel 1617 dall’illustrissimo Giovanni Andrea Pallavicini e ridotta a perfezione (fu praticamente del tutto riassettata) dalla illustrissima Lilla De Mari Pallavicini nel 1771. Lilla De Mari quondam Stefano alla data era vedova da nove anni di Alessandro Pallavicini, che portava il nome del nonno, figlio di Giovanni Andrea, appunto il fondatore. Col giuspatronato le cappelle nobiliari venivano considerate come un’autentica proprietà immobiliare e le spese sostenute contabilizzate nell’elenco delle “attività patrimoniali”, come per i palazzi, le ville e il resto degli immobili. Il dipinto all’altar maggiore è ancora quello commissionato dal fondatore e consegnato due anni dopo la fondazione perché reca la scritta con firma e data che trascriviamo “Augustinus Ciampellius… Rome MDCXIX”, con a mezzo alcune lettere guaste, probabilmente resto di “Floren- A fronte Agostino Ciampelli, “Il sogno di San Giuseppe” (particolare). 27 tinus” o di “Fecit”. È da notare come l’artista, Agostino Ciampelli, evidenzi il proprio luogo di attività: Roma. Il suo committente Giovanni Andrea, settimo figlio di Tobia Pallavicino che muore nel 1580, dovette aver parte nella vita pubblica genovese perché nei primi vent’anni del ’600 lo troviamo procuratore e governatore e cinque volte candidato al Dogato. Giovane, nel 1589, è elencato tra i partecipanti alla fastosa parata in Strada Nuova della Compagnia dei Gaudenti, composta prevalentemente da “nobili vecchi”, compagnia che l’anno dopo fu soppressa per timore che apprestasse strutture politiche alternative a quelle della Repubblica. Bassi, i figli Alessandro a Londra, Fabrizio a Roma e il figlio del fratello a Madrid. Un altro figlio era gesuita. Anche politico per diverse cariche pubbliche, Tobia Pallavicino è noto soprattutto come protagonista della iniziativa culturale e del mecenatismo a Genova a mezzo Cinquecento per la costruzione e la decorazione della Villa delle Peschiere e del Palazzo di via Aurea ora Camera di Commercio. Fratello di Tobia è Agostino, il fondatore del Palazzo di via Garibaldi 1; i figli di questo sono ricordati nella lapide sopra il portale della chiesa del Gesù come quelli che “Templum hoc cum adiuncta professorum Domo a fondamentis extruxerunt ab anno MDLXXXIX”. Dalla famiglia Gio Andrea aveva ricavato ricchezze e relazioni. Tobia, suo padre, era stato uno degli uomini più ricchi di Genova, gestendo l’appalto del commercio dell’allume di Tolfa (il fissativo del colore dei tessuti); per tale attività in esclusiva il figlio Orazio risiedeva nei Paesi Con queste disponibilità e conoscenze non stupisce che Gio Andrea ordinasse il dipinto a uno dei pittori più in vista della città papale. Nel 1619 Agostino Ciampelli non era però all’apice della sua fortuna presso la corte papale. Nato a Firenze nel 1565 era stato allievo del pittore Santi di Tito, uno dei più autorevoli nella città. È introdotto e lavora alla corte dei Medici; gode della protezione del cardinale Alessandro che nel 1594 lo chiama a Roma al suo seguito. Per lui dipinge ad affresco in S. Prassede; per papa Clemente VIII opera nel 1596-97 nel Battistero, nella Chiesa e nella Sagrestia del Laterano; nel 1600 i Gesuiti gli affidano la cappella di S. Andrea nel- “Processione dello stendardo di Sant’Andrea” incisione di G.B. Bracelli su disegno di A. Ciampelli. Vienna, Albertina Graphische Sammlung. A fronte Agostino Ciampelli, “Le esequie di Michelangelo in San Lorenzo”. Firenze, Casa Buonarroti. © 2004 Foto Scala, Firenze. 28 Arte la loro chiesa e la volta della Sagrestia. Le sue fortune sembrano volte al meglio quando nel 1605, con la morte di Clemente VIII, viene eletto col nome di Leone XI il cardinale De Medici, ma questi muore dopo un mese e le commissioni vaticane avranno altri favoriti. Il dipinto inviato a Genova nel 1619 è ben significativo dello stile del Ciampelli in quel periodo ed è per se stesso quasi da manuale per esemplificare il luogo comune, che però non è per questo falso, che un’opera d’arte reca in sé la storia culturale precedente e in atto che decanta nella interpretazione e nella comunicazione degli artisti. Nei progressivi livelli di lettura del dipinto si avvertono le diverse Arte poetiche che hanno governato la pittura tra Firenze e Roma dagli anni ottanta del ’500 al secondo decennio del secolo successivo, e cioè il “disegno” fiorentino, i dettami controriformistici, il luminismo caravaggesco, il naturalismo secentesco, i presentimenti barocchi. In Agostino Ciampelli rimasto a Firenze fino quasi ai trent’anni è ben accertabile il disegno che è invenzione, abbozzo, articolazione delle immagini e che viene progressivamente rivestito dal colore con una pennellata minuta e compatta che segue le forme nei loro andamenti e ne determina la costituzione chiaroscurale. Qui la stesura è ricca di passaggi translucidi che presuppongono 29 anche l’esperienza fatta sui pittori bolognesi a Roma, quali Carracci e Domenichino. I dettami controriformistici si impongono a Firenze a partire dal Sinodo del 1573 e Santi di Tito, appunto maestro del Ciampelli, se ne fa l’interprete più accreditato e affermato. A fronte dell’arte di corte, alla ricerca di un complesso virtuosismo anche compositivo e simbolico per dare forma alle idee, occorre che l’arte religiosa sia di chiara e immediata comprensibilità e persuasività per i fedeli con una piana distribuzione delle immagini e una loro accertabile funzione. I tre personaggi del dipinto hanno ciascuno un proprio riservato ambito, un proprio impianto che ne sottolinea il ruolo; v’è l’abbandono nel sonno di Giuseppe, di cui avvertiamo il sommovimento dell’animo solo nel dischiudersi delle labbra e quasi nella vibrazione delle palpebre: la ricchezza interiore di Maria, che legge alla luce di una candela; l’apparire sull’alto dell’angelo che nel dispiegare membra e vesti luminose infrange l’intimità della scena. L’ambiente è notturno, nell’ombra, e le forme si rivelano alla luce. È innegabile la conoscenza del Caravaggio e del decennio di pittura passato dopo la sua morte. La saldezza e la perspicuità dei corpi sono conferma dell’averlo ammirato. Ma la poetica è diversa: Caravaggio usa solo lo squadro della luce diurna, lo delimita e lo individua; la luce non è quella universale, da mondo antropocentrico, in cui l’uomo governa la propria storia, ma, con rivoluzione galileiana, è solo rivelatoria del “qui ed ora” in cui si condensa un nodo della drammaticità dell’esistere umano. Il “notturno” ha invece precedenti particolarmente con Tintoretto e Bassano, veneti, e col ligure Cambiaso, tutti significativi, e consapevoli dell’incalzare dell’ombra. Ma l’uso estensivo del lume artificiale, la candela, la lanterna, la fiaccola è proprio dei caravaggeschi soprattutto nordici che operano di seguito al Caravaggio. Ciampelli ha visto sicuramente le opere di Gerrit van Honthorst (Gherardo delle Notti) che è appunto a Roma dal 1616 e riparte per Utrecht nel 1620, conseguito un successo la cui fama lo precede in patria. La candela nei caravaggeschi ha una funzione narrativa e nel dipinto del Ciampelli ricava il luogo di elezione intellettuale e spirituale di Maria, se ne fa quasi simbolo. A contrasto col protestantesimo, per i cattolici è fondamentale la celebrazione di Maria. Per altro verso la giovane, quasi adolescente, che apprende, aggiunge una nota di amabile quotidianità, un richiamo all’esperienza. Così è per il cestino da lavoro davanti al suo tavolo e per gli arnesi ed il bancone di Giuseppe che ora poco si vedono per lo scurire delle vernici bituminose. Insomma c’è nel dipinto quell’inflessione verso il naturale che, alimentata dai fiamminghi, tenderà a scorrere sotterranea o in vista per tutto il secolo. Non ne era alieno il Ciampelli. I “parerga”, cioè notazioni marginali con cui si alleviava un attimo il tono della rappresentazione erano quasi un genere letterario. Il Ciam- 32 pelli lo esercita volentieri: lo scherzar di bambini, spesso con un cane, è rappresentazione in lui abbastanza frequente. Nel dipinto “Le esequie di Michelangelo” che invia nel 1617 a Michelangelo il Giovane a Firenze il momento rappresentato è solenne; sul proscenio però un paludato personaggio invita bonariamente a tacere due bimbi che stanno ruzzando con un cane. Il dipinto fiorentino, col doppio provenire della luce, da un lato e dall’alto, introduce a quanto si può osservare circa l’avvio del barocco nel “Sogno di S. Giuseppe”. L’apparizione dell’angelo propone un forte contrasto di luci e di spazi che esalta registicamente il comporsi della dimensione terrena e di quella divina. C’è una dialettica tra la ferma luce della candela che disegna lo spazio conchiuso e pacato dell’ambiente terreno e la luce del sopramondo che nell’alto apre un percorso verso l’infinito e prende forma nel proporsi a chiazze evidenziate dall’ombra del corpo dell’angelo, nello zigzagare delle sue vesti, nelle trasparenze che le percorrono. Anche la tecnica pittorica si fa diversa, nel rilevare gli scorrimenti luminosi, nei cangiantismi freddi della veste, nel rosa translucido delle fasce del manto, nel livido del torace e il colore rosato del volto. Questo angelo col suo dinamismo, col suo apparire sospeso e vibrato, è un lacerto berniniano e cortonesco e il suo comporsi nel contesto certifica di un artista ben avvertito e consapevole. Del secondo decennio del secolo sono notevoli del Ciampelli gli interventi nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini. Egli torna in auge però con l’elezione di Urbano VIII, Barberini, del 1623. Viene eletto Principe dell’Accademia di S. Luca nello stesso anno. Inizia l’amicizia con Gian Lorenzo Bernini e dal 1624 si trova a lavorare con Pietro da Cortona giovanissimo in S. Bibiana. Nel 1627 dipinge una pala per S. Pietro e nel 1629 è nominato Soprastante della Fabbrica della Cattedrale, cioè il direttore per la decorazione, mentre Bernini lo è per l’architettura. Giunto a tanto, muore nel 1630. Ciampelli mantenne i rapporti con la città natale e con l’Accademia del Disegno e fu ben attivo nell’Arciconfraternita di San Giovanni dei Fiorentini a Roma. Questa gli commette nel 1629 l’addobbo della facciata della chiesa in occasione del trasporto dello stendardo di S. Andrea Corsini da S. Pietro alla chiesa stessa. Un’occasione per celebrare la Nazione fiorentina e i suoi membri più illustri, come si vede nell’incisione di G.B. Bracelli fatta su disegno dello stesso Ciampelli. E qui avvertiamo il sorridere dell’artista nel raffigurare un piccolo cane, solo, al centro della piazza, mentre si svolge il fastoso ingresso dei notabili nella chiesa. A fronte Agostino Ciampelli “Il sogno di San Giuseppe”, particolare dell’angelo e della data e firma dell’artista. Alle pagine precedenti L’intero dipinto e particolari. Arte Arte 33