Provincia di Roma - Dipartimento V, Servizio 4 "Geologico"

Provincia di Roma – Assessorato alle Politiche Agricole e Ambientali
Dipartimento V, Servizio 4 "Geologico"
Contratto del 23/03/2012 – n° 1/2012
Cartografia della suscettibilità da frana di parte del territorio della Provincia di Roma
RELAZIONE FINALE
Firenze, Marzo 2013
GEOMAP Srl
Lungarno C. Colombo 48, 50136 Firenze
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Contratto del 23/03/2012 – n° 1/2012
Cartografia della suscettibilità da frana di parte del territorio della Provincia di Roma
RELAZIONE FINALE – MARZO 2013
INDICE
1. PREMESSA .......................................................................................................................... 3
2. DATI DI BASE E PROGETTO GIS .................................................................................... 3
3. CARTA GEOLOGICA ......................................................................................................... 5
3.1 Premessa ........................................................................................................................ 5
3.2 Inquadramento geomorfologico dell'area di studio ..................................................... 6
3.3 Inquadramento geostrutturale dell'area di studio ....................................................... 6
3.4 Le unità geologiche affioranti ....................................................................................... 9
4. CARTA LITOTECNICA ................................................................................................... 15
5. LAYER COPERTURE ....................................................................................................... 17
6. LAYER FRANE E LAYER PUNTI INSTABILI. ................................................................ 18
6.1 Premessa ...................................................................................................................... 18
6.2 Modo operativo ........................................................................................................... 19
6.3 Censimento dei fenomeni franosi. .............................................................................. 20
6.4 Layer punti stabili. ...................................................................................................... 28
7 ANALISI DELLA SUSCETTIBILITÀ ............................................................................... 29
7.1 Presupposti metodologici ............................................................................................ 29
7.2 Metodologia operativa ................................................................................................ 30
8. SERIE STORICHE DELLA PIOVOSITÀ ........................................................................ 36
9. STUDIO DELLA SISMICITÀ STORICA ......................................................................... 40
9.1 Introduzione ................................................................................................................ 40
9.2 Sismicità remota .......................................................................................................... 45
9.3 Storie sismiche locali ................................................................................................... 48
10. INDAGINE STORICO-ARCHIVISTICA ....................................................................... 56
10.1 Analisi storica dei dissesti ......................................................................................... 56
10.2 Relazione tra dissesti e piovosità .............................................................................. 58
10.3 Relazione tra dissesti e sismicità ............................................................................... 61
11. CONCLUSIONI ................................................................................................................ 63
12 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................... 66
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1. PREMESSA
L’oggetto del contratto è la realizzazione di una cartografia della suscettibilità da frana, con
creazione di una banca dati e di cartografie tematiche in formato vettoriale, secondo una metodologia già definita e sperimentata, di una porzione del territorio della Provincia di Roma, della superficie di 90 Km2, interessante in varie proporzioni parte dei territori dei comuni di Agosta, Anticoli Corrado, Castel Madama, Ciciliano, Mandela, Marano Equo, Rocca Canterano, Roviano,
Sambuci, San Polo dei Cavalieri, Saracinesco e Vicovaro. (Figg. 1.1 e 1.2)
Il presente contratto è l’ultimo in ordine di tempo di una serie di progetti, dei quali uno fu affidato nel 2008-09 a Geomap Srl in ATI con Agristudio Srl di Firenze, volti a realizzare una cartografia delle suscettibilità da frana dell’intero territorio provinciale e iniziati con il progetto pilota
realizzato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma Tre, tra il 2006 e il
2007, del quale tutti i successivi hanno seguito l’impostazione metodologica.
Lo studio ha avuto inizio alla data di stipula del contratto e termina con la consegna di questa relazione finale.
Una relazione intermedia, prevista dal contratto a sei mesi dalla stipula, è stata presentata in data
21 Settembre 2012 ed ha riguardato le attività svolte fino ad allora:
- raccolta ed analisi dei dati esistenti,
- realizzazione di una carta geologica preliminare alla scala 1:10.000 secondo le norme
CARG,
- derivazione di una carta litotecnica dalla carta geologica,
- fotointerpretazione dei fenomeni franosi per la creazione del layer frane.
Successivamente è stata svolta l’attività di rilievo sul terreno per il completamento della carta
geologica e per il controllo e caratterizzazione dei fenomeni franosi.
In particolare il lavoro sul terreno ha avuto lo scopo di controllare tutti i fenomeni franosi rilevati
per fotointerpretazione e quelli segnalati in base ai dati d'archivio, ma non riconosciuti sulle fotografie aeree, oltre che individuare eventuali fenomeni di nuova formazione o altre situazioni
particolari.
Inoltre, durante i rilievi in campagna sono state compilate le schede-frana ed è stata raccolta una
documentazione fotografica.
2. DATI DI BASE E PROGETTO GIS
Sia i risultati del progetto pilota realizzato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma Tre nel 2006-2007, che quelli del progetto Geomap-Agristudio del 2008-2009, sono stati presentati sotto forma di un progetto GIS, denominato "franarisk_rm" e "Franarisk_rm_2_apr09" rispettivamente. Questi progetti sono stati il modello per il progetto analogo
costruito per il presente studio e denominato "Franarisk_rm_2012".
Gran parte dei dati e materiali necessari per lo studio ci sono stati forniti dalla Provincia di Roma, direttamente dal Dipartimento V, Geologico, oppure su richiesta di questo, dal Dipartimento
VI, Sistema Informativo Geografico:
- Carta Tecnica Regionale in formato raster a scala 1:5000;
- Foto aeree del volo 2002 Terra Italy a colori, fotogrammi stereoscopici in formato .ecw;
- Ortofoto AIMA 1996 in bianco e nero;
- Ortofoto 2005 Terra Italy, a colori;
- Curve di livello vettoriali da 25.000 IGM;
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Limiti amministrativi comunali;
Rete viaria provinciale in formato vettoriale;
Carta dell’uso del suolo del 2003 alla scala 1:25.000, Regione Lazio Progetto CUS;
Coperture dei dissesti e delle fasce fluviali dei PAI dell’Autorità di Bacino del Tevere;
Dissesti catasto;
Limiti bacini idrografici, da Ventriglia.
Fig. 1.1 – Inquadramento dell’area di studio nell’ambito del territorio provinciale e rispetto ai due progetti precedenti (
Università Roma Tre,
GeomapAgristudio )
Fig. 1.2 – Territori comunali interessati dallo studio
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Altri dati erano già in nostro possesso, in quanto acquisiti in occasione del progetto realizzato nel
2008-09 e ottenuti dal websit della Provincia di Roma, dall’archivio IFFI, dall’archivio dati
SIRDIS dell'Area Difesa del Suolo della Regione Lazio. Per tutti questi archivi si è provveduto a
verificare ed acquisire gli eventuali aggiornamenti.
Sono stati inoltre raccolti, dal nostro personale, i dati su dissesti e relazioni geologiche, direttamente dall’archivio del Servizio Geologico Provinciale.
3. CARTA GEOLOGICA
3.1 PREMESSA
In occasione del progetto da noi realizzato nel 2008-09, raggiungemmo un accordo con il Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma Tre, che ci permise di accedere ai dati dei
loro rilevamenti effettuati alla scala 1:10.000 nel quadro del progetto CARG per il foglio 375,
Tivoli. Per la parte dell’area di studio che rientra nel foglio 375, quindi, sono stati utilizzati quei
dati con solamente un controllo speditivo sul terreno e alcune modifiche che riguardano i terreni
di copertura.
Per le altre parti della zona, siamo partiti dai dati esistenti più recenti e affidabili, in particolare:
- per la parte rientrante nei fogli 367, Tagliacozzo e 376, Subiaco, si è fatto riferimento ai fogli
alla scala 1:50.000 editi dal Servizio Geologico, rispettivamente nel 1993 e 1998, nella fase
precedente al progetto CARG.
- per la parte rientrante nel foglio 366, Palombara Sabina, ancora in corso di rilevamento per il
progetto CARG, siamo partiti dalla Carta geologica fornitaci dal Servizio Geologico Provinciale, risultante da una compilazione di rilevamenti alla scala 1:25.000.
Ambedue queste serie di dati sono state sottoposte ad un’attenta analisi critica, consistente soprattutto nello studio delle legende, in maniera da correlare le unità mappate in questi documenti
con la nomenclatura CARG del foglio 375 e attribuire loro le sigle relative. Dove la correlazione
non era possibile, sono state mantenute le unità originali. Le correlazioni sono state controllate
sul terreno, di modo che la legenda risultante per la nostra carta geologica rappresenta una successione omogenea e coerente, adeguata alle norme CARG.
In particolare, durante i controlli sul terreno sono stati dettagliati i limiti formazionali e sono stati
introdotti alcuni affioramenti che non esistevano sulle carte preesistenti:
- due placche residue della formazione UMNa (Sintema di Mandela) sulla maggiore delle quali è fondato l’antico nucleo dell’omonimo centro,
- un piccolo affioramento della formazione vulcanica TDC (Unità di Tor de’ Cenci) situato in
prossimità del tracciato autostradale, circa 500 metri a SSW di Vicovaro.
Una seconda operazione è stata quella di adattare i limiti delle unità mappate alla base topografica CTR, attraverso la fotointerpretazione e controlli mirati sul terreno, in modo da migliorare il
dettaglio del tracciato dei limiti ed eventualmente introdurre delle divisioni all’interno delle unità, in coerenza con le unità CARG del foglio 375.
In particolare, per quanto riguarda i depositi recenti e i terreni di copertura, relativamente ai conoidi e agli accumuli di frana, sono stati riportati sulla carta geologica gli affioramenti come rilevati per il layer frane.
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3.2 INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO DELL'AREA DI STUDIO
La metà occidentale dell’area di studio è costituita dai Monti di Castel Madama e da quella settentrionale dei Monti Prenestini, ed è separata fisicamente dalla metà orientale, costituita dai rilievi settentrionali dei Monti Ruffi, dalla valle del Torrente Fiumicino. Questo torrente, il cui
corso rettilineo è evidentemente controllato da motivi tettonico-strutturali, è il principale affluente di sinistra del Fiume Aniene, ma il suo bacino idrografico solo in minima parte rientra
nell’area analizzata.
I Monti di Castel Madama e i Monti Prenestini sono generalmente costituiti da rilievi collinari,
con altitudini massime inferiori a 800 metri, la cui morfologia si presenta piuttosto blanda e con
assenza di brusche rotture di pendio, anche se localmente possono esistere versanti con acclività
abbastanza elevata. I Monti Ruffi sono invece caratterizzati da quote mediamente più elevate,
che possono arrivare a superare i 1200 metri, e da forme morfologiche generalmente mosse e
talvolta aspre, come brusche rotture di pendio e versanti molto acclivi, fino alla presenza di scarpate sub-verticali, specialmente nelle litologie a comportamento più rigido, e versanti molto incisi per azione delle acque meteoriche nelle formazioni a comportamento meno competente o plastico. In ambedue i suddetti casi le forme morfologiche sono molto favorite ed accentuate dagli
effetti della tettonica disgiuntiva.
I predetti rilievi sono delimitati dal corso del Fiume Aniene, il cui orientamento iniziale NNW
appare anch’esso evidentemente controllato dalla struttura tettonica. Successivamente, tra Roviano e Vicovaro, il corso assume una forma arcuata, per disporsi successivamente secondo una
direzione NE-SW circa rettilinea, delimitando così i versanti orientali dei Monti Ruffi, successivamente la loro terminazione settentrionale ed infine i rilievi dei Monti di Castel Madama.
Il Fiume Aniene è caratterizzato da un corso meandriforme incassato nei suoi depositi alluvionali, localmente anche abbastanza ampi. Queste aree, assieme alle più modeste superfici dei depositi alluvionali ed eluvio-colluviali del Torrente Licenza e del Fosso dello Scolo (zona di Colle
Passero), oltre a quelle dei depositi di travertino e di alcuni depositi vulcanici nella zona di Castel Madama, costituiscono le uniche aree pianeggianti o pochissimo acclivi dell’intera area di
studio.
Nella zona situata a nord del corso del Fiume Aniene, in particolare in quella più ampia che è
compresa tra San Polo dei Cavalieri e Vicovaro e dove affiora il substrato mesozoico rappresentato dalla serie sedimentaria Calcare Massiccio-Scaglia, prevale una morfologia piuttosto monotona perché caratterizzata da forme dei rilievi rotondeggianti e versanti con acclività costante. La
sola evidente eccezione è rappresentata da una rottura di pendio coincidente con la fascia di affioramento delle Marne a Fucoidi per le loro caratteristiche litologiche che più facilmente si prestano all’azione erosiva.
Nell’ambito dell’intera area esistono vari fenomeni dovuti all’azione della gravità, che si manifestano con varie tipologie, dimensioni e densità, dipendenti dalle caratteristiche litologiche delle
coperture e del substrato, di cui verrà trattato in maniera specifica nel Capitolo 6.
3.3 INQUADRAMENTO GEOSTRUTTURALE DELL'AREA DI STUDIO
L’area oggetto del presente lavoro è occupata dalle propaggini più occidentali della catena neogenica a pieghe e sovrascorrimenti dell’Appennino centrale, qui affiorante, ad ovest nei Monti di
Castel Madama, Monti Lucretili orientali ed estremo settore settentrionale dei Monti Prenestini e
ad est nei Monti Ruffi. Questo settore di catena è caratterizzato dall’affioramento di una successione stratigrafica nota come Successione Sabina, costituita da termini calcareo-silico-marnosi,
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che risulta interessata, a partire dal Lias medio, da frequenti apporti detritici grossolani provenienti dallo smantellamento della piattaforma carbonatica laziale-abruzzese. I depositi della successione si sono accumulati durante il Meso-Cenozoico, nel dominio di transizione tra la piattaforma carbonatica suddetta e il bacino pelagico umbro-marchigiano-sabino. I litotipi in facies di
piattaforma carbonatica rappresentano i resti della soglia occidentale della piattaforma carbonat ica laziale-abruzzese coinvolta nel sistema orogenico dell’Appennino centrale durante il quale,
nel Miocene, avviene la deposizione dei sedimenti terrigeni silicoclastici di avanfossa, a sedimentazione torbiditica, che affiorano nei settori morfologicamente più depressi lungo il bordo
orientale dell’area esaminata (Parotto & Praturlon, 1975).
A tali termini seguono, discordanti, i depositi sedimentari post-orogeni clastici del ciclo marino
plio-pleistocenico, le coperture vulcaniche e i depositi alluvionali del Quaternario. Lungo il corso dell’Aniene, a nord di Marano Equo dove la valle si allarga notevolmente fino all’altezza di
Anticoli-Roviano, sono presenti alluvioni lacustri e fluviali con spessori di circa 20 metri a testimonianza di una fase di stasi nell’attività erosiva operata dall’Aniene stesso e dai suoi affluenti, probabilmente favorita da un momentaneo sbarramento operato più a valle sul fiume.
Dal punto di vista dell’assetto tettonico sono state distinte in letteratura varie unità tettoniche
(Bollati et alii, 2011, 2012), sulla base della loro posizione strutturale e dello stile deformativo,
nonché delle variazioni di assetto stratigrafico. Quella che interessa maggiormente l’area
d’indagine comprende elementi del substrato meso-cenozoico dei Monti di Castel Madama,
Monti Prenestini settentrionali e Monti Ruffi, caratterizzati da ampie pieghe a piano assiale subverticale, con andamenti N-S e NNW-SSE transpressivi destri e raggi di curvatura variabili
dall’ordine delle centinaia di metri fino al chilometro. L’unità in oggetto è strutturalmente la più
bassa tra quelle in cui è organizzato il Dominio Sabino ed è limitata al letto dalla fascia di deformazione a pieghe e sovrascorrimenti, nota in letteratura come Linea Olevano-Antrodoco, allungata in direzione compresa tra N-S e NNW-SSE e causa appunto del sovrascorrimento delle
unità terziarie sabine su quelle mesozoiche della piattaforma laziale-abruzzese.
Le unità dei Monti Prenestini, limitate esclusivamente all’area sud-occidentale dello studio in
oggetto, mostrano una complessa situazione deformativa nel loro settore di raccordo con i Monti
Ruffi, in corrispondenza delle strutture di Ciciliano, dove sono riconoscibili scaglie tettoniche
costituite generalmente dalla porzione più alta dei Calcari a Briozoi e/o dalla parte basale
dell’Unità argilloso-marnosa. D’altra parte anche tutto il settore ad ovest di Ciciliano risulta interessato da importanti elementi strutturali che dislocano trasversalmente e/o interrompono bruscamente i vari litotipi affioranti, creando articolate strutture tettoniche. Fra questi riveste particolare importanza la faglia normale, ad andamento circa E-W, che costituisce la terminazione
settentrionale dell’ampia anticlinale ad andamento NNW-SSE caratterizzante la struttura principale dei Monti Prenestini (Cipollari & Cosentino, 1992). La faglia ribassa i carbonati cretacei,
portando nuovamente in affioramento i depositi miocenici del Membro di Guadagnolo, che costituisce gli affioramenti prevalenti dei Monti di Castel Madama. Fra l’altro in questo settore è proprio la valle del Fosso Empiglione che divide i Monti di Castel Madama dai Monti Prenestini.
I Monti Ruffi sono costituiti prevalentemente da terreni cenozoici calcarenitici e calcareomarnosi, deposti in un’area di transizione tra il margine della piattaforma carbonatica lazialeabruzzese e gli ambienti di mare aperto umbro-sabini. I depositi cenozoici più antichi sono rappresentati dalla Formazione di Guadagnalo (SPT), del Miocene inferiore, costituita da
un’alternanza di marne e calcareniti organogene predominanti verso l’alto. Al di sopra si rinviene l’unità dei Calcari a Briozoi (CBZ), calcareniti bioclastiche intercalate a sottili livelli terrigeni
che rappresentano il prodotto della sedimentazione di materiali provenienti dalle zone di piattaGEOMAP Srl
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forma carbonatica. Su questi affioramenti biocalcarenitici si sono sviluppati gli abitati di Saracinesco e Anticoli Corrado.
Dopo la fluttuazione del livello del mare che ha portato alla sedimentazione del Calcare a Briozoi si assiste ad una generale subsidenza che ha determinato nuovamente condizioni di mare
aperto con successiva sedimentazione delle Marne a Orbulina (UAM), del Tortoniano, con spessore medio intorno ai 20 metri. Affioramenti di questa successione, ben riconoscibili lungo un
allineamento NW-SE (versante orientale di Monte Licino-Le Prata-Fonte Lupo-Rocca di Mezzo), risultano coinvolti nella loro porzione più settentrionale da intensi effetti disgiuntivi (faglie e
sovrascorrimenti) che ne disarticolano la geometria.
In continuità di sedimentazione sulle Marne a Orbulina si depositano le torbiditi arenaceesilicoclastiche tortoniane (UAP), tramite un passaggio abbastanza graduale, con progressiva diminuzione delle faune e spessore intorno ai 500 metri. Segue una fase compressiva databile al
Messiniano, con interruzione degli afflussi di materiali silicoclastici, ed infine si ha l’emersione
dell’intera struttura, con erosione dei rilievi e colmamento delle depressioni ad opera dei materiali granulari derivati, originando estesi detriti di falda ai piedi delle dorsali. Particolare rilevanza assumono i conoidi formatisi in corrispondenza del cambiamento di pendenza dei fossi che
scendono dai rilievi carbonatici verso le valli del Torrente Fiumicino e la valle del Fiume Aniene
I rilievi di Marano Equo ed Agosta rappresentano blocchi residui del margine suddetto, costituiti
da biocalcareniti e biocalciruditi saccaroidi (C) di età cretacea, ad elevato grado di fratturazione.
Dal punto di vista strutturale, i Monti Ruffi sono costituiti da una serie di scaglie tettoniche ad
andamento NNW-SSE ed immersione generalmente a sud, tra loro parzialmente sovrascorse verso i quadranti orientale e nord-orientale durante la fase compressiva sopra citata. Ciò ha generato
un significativo sviluppo di dorsali la cui morfologia risulta controllata dall’assetto strutturale,
con evidenti contatti anomali tra i diversi litotipi affioranti. Lungo il loro versante orientale si
sviluppa il proseguimento della Linea Olevano-Antrodoco, evidenziato in particolare dalla verticalizzazione delle giaciture sul versante nord-orientale della dorsale de Il Monte e
dall’affioramento dell’Unità argilloso-marnosa messiniana al piede della stessa; qui si assiste, infatti, all’importante accavallamento a vergenza orientale delle calcareniti a Briozoi (LanghianoTortoniano) sui depositi silicoclastici del complesso torbiditico alto-miocenico laziale-abruzzese
dell’alta valle del Fiume Aniene, per lo più coperto da detrito di versante ma ben osservabile a
sud di Rocca Canterano, ove immerge a sud-ovest con inclinazioni di 60-70°. In questo tratto si
assiste fra l’altro ad un’importante dislocazione trasversale del principale fronte di accavallamento realizzata da una faglia a direzione circa E-W sub-verticale, che interrompe bruscamente verso
sud gli affioramenti calcarei.
La situazione strutturale risulta molto meno articolata dal punto di vista tettonico per quanto riguarda i Monti di Castel Madama, dove affiorano quasi esclusivamente i depositi cenozoici più
antichi, rappresentati dalla Formazione di Guadagnolo (Miocene inferiore), già citata a proposito
dei Monti Ruffi. Di rilievo un importante fronte di sovrascorrimento che si sviluppa in posizione
pressoché mediana lungo la dorsale montuosa, dalla valle dell’Aniene a nord fino a quella
dell’Empiglione a sud.
L’estremo settore nord-occidentale dell’area in esame, costituito dalla dorsale monoclinalica
Monte Arcaro-Monte Ara Grande sulla quale è ubicato l’abitato di S. Polo dei Cavalieri e delimitato a sud dalla valle del Fiume Aniene, è interessato da litotipi appartenenti al substrato mesocenozoico dei Monti Lucretili orientali. La successione stratigrafica qui affiorante, che comprende i termini della Successione Sabina (Calcare massiccio, Corniola e calcari selciferi, Rosso
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ammonitico, Calcari detritici a Posidonia, Maiolica, Marne a Fucoidi, Scaglia rossa e Scaglia
bianca, Scaglia cinerea detritica), è interessata da un’intensa attività tettonica che dà origine, alla
mesoscala, a serie di pieghe parallele piuttosto ravvicinate ad andamento NE-SW, ben evidenziate dalle numerose opposte giaciture rilevate sul terreno. Tali strutture, allineate secondo
un’ampia fascia di deformazione plicativa che produce notevoli ispessimenti di alcune formazioni (Maiolica e Scaglia cinerea), risultano essere pieghe parassite decametriche sviluppate lungo il
fianco sud-orientale di un’anticlinale chilometrica che da un andamento N-S al di fuori dell’area
d’indagine, in questo settore subisce una deviazione assumendo un andamento NE-SW con vergenza verso SE. Oltre che alla mesoscala, sugli affioramenti specialmente della Formazione della
Maiolica si osserva un’elevata densità di piccole pieghe decimetriche che rendono ancora più
complicato il riconoscimento dell’assetto regionale della sequenza mesozoica.
Questo settore risulta inoltre interessato da un sistema di faglie ad andamento NE-SW, come si è
potuto verificare dalla ricognizione in campagna di intense fasce di rocce cataclasate che si sviluppano lungo questi allineamenti.
Nell’area di studio, i depositi legati all’attività vulcanica dei Colli Albani affiorano estesamente
sui versanti settentrionali del tratto orientale della valle del Fiume Aniene, mentre solo pochi
lembi si rilevano su quelli meridionali. L’attività vulcanica, iniziata circa 600 ka (De Rita et alii,
1995) e protrattasi fino all’Olocene come attività freatica associata al maar di Albano (Funiciello
et alii, 2003), è costituita da vari apparati eruttivi, o litosomi. Nel caso in esame affiorano soltanto i prodotti appartenenti al Litosoma Vulcano Laziale, essenzialmente costituiti da pozzolane
nere e rosse che ricoprono le coltri ben più estese dell’Unità di Tor de’ Cenci, rappresentate da
depositi piroclastici massivi.
Depositi continentali di ambiente fluviale e più limitatamente lacustre del Pleistocene medioOlocene sono presenti lungo tutta la valle dell’Aniene e dell’Empiglione, mentre i travertini (di
Bagni di Tivoli) sono limitati al versante settentrionale dell’Aniene in corrispondenza
dell’abitato di Vicovaro, dove raggiungono spessori importanti.
3.4 LE UNITÀ GEOLOGICHE AFFIORANTI
La Carta Geologica riporta le seguenti serie di dati:
 le unità formazionali, uniformate alla nomenclatura CARG stabilita per il foglio 1:50.000,
375 (Tivoli),
 i dati giaciturali riguardanti la stratificazione, provenienti dalla cartografia esistente e dai nostri rilievi originali sul terreno,
 i dati tettonici, faglie e fratture.
Le unità formazionali presenti nell’area di studio sono le seguenti, dalla più recente alla più ant ica, con le relative sigle che compaiono sulla carta geologica allegata e con le descrizioni tratte
dai documenti di origine, integrate dalla osservazioni di terreno (la legenda sintetica della carta è
riportata nella tabella 3.1)
DEPOSITI RECENTI E TERRENI DI COPERTURA
h - depositi antropici. Depositi eterogenei dovuti all’accumulo e allo spostamento dei materiali
per rilevati stradali, ferroviari, terrapieni, colmate. Olocene.
SFTbb – depositi alluvionali in evoluzione. Depositi siltoso-sabbiosi e siltoso-argillosi delle
piane alluvionali. Olocene.
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at – alluvioni antiche terrazzate. Olocene.
dla – depositi limo-argillosi in facies palustre e/o lacustre. Olocene.
conoide. Depositi medio-grossolani dei conoidi fluviali e detritici. Olocene.
z – accumuli di frana. Depositi eterogenei, sciolti o a bassa coesione. Olocene.
SFTa - depositi di versante. Coperture di materiale a granulometria fine (limi, sabbie e ghiaie),
con rari frammenti litoidi grossolani, in aree di versante, prodotte da processi di trasporto limitato. Pleistocene superiore – Olocene.
SFTb2 - depositi eluvio-colluviali. Coperture di materiale a granulometria fine (limi e sabbie),
con rari frammenti grossolani di natura calcarea, prodotte da processi di alterazione; terreni residuali e terre rosse. Pleistocene superiore – Olocene.
TBTa - travertino (unità dei Bagni di Tivoli). Deposito carbonatico litoide, affiorante prevalentemente nella valle dell’Aniene. Pleistocene superiore – Olocene.
LITOSOMA VULCANO LAZIALE.
PNR - Pozzolane nere. Deposito piroclastico di colore nero, massivo e caotico, semicoerente, a
matrice cineritica grossolana, nella quale sono dispersi scorie, litici lavici, piroclastici, olocristallini e rari sedimentari termometamorfosati di dimensioni fino a 15 cm e cristalli di leucite e clinopirosseno. Pleistocene medio.
RED - Pozzolane rosse. Deposito piroclastico massivo e caotico, da viola a grigio scuro, semicoerente, a matrice cineritica grossolana, e abbondante scheletro composto da scorie rosse, litici
lavici, sedimentari termometamorfosati e olocristallini di dimensioni fino a 20 cm, e cristalli di
leucite, clinopirosseno e biotite. Pleistocene medio.
KKA - Unità di Casale del Cavaliere. Alternanze di livelli a granulometria da cineritico-fine a
cineritico-grossolana, più raramente lapillosi, con scorie e litici lavici; fra i cristalli è prevalente
la leucite, con pirosseno e biotite subordinati. Pleistocene medio.
PTI - Unità del Palatino. Deposito piroclastico da coerente a semicoerente, massivo e caotico, a
matrice cineritica grigio-nerastra composta da vetro juvenile, analcime, clinopirosseno e mica.
Lo scheletro è composto da scorie grigie o nere, porfiriche, e clasti centimetrici di lava. Pleistocene medio.
TDC - Unità di Tor de’ Cenci. Deposito piroclastico, grigio-giallastro, cineritico, da massivo e
caotico a stratificato, con lapilli accrezionari di cenere sia nella matrice che in livelli stratificati.
Lo scheletro è composto da pomici e litici lavici centimetrici, cristalli di leucite analcimizzata,
clinopirosseno e biotite. Pleistocene medio.
VCL - Formazione di Le Vallicelle. Alternanze di pomici bianche e livelli a granulometria da
cineritico-fine a grossolana, fino a lapillosa, con tracce evidenti di rimaneggiamento. Le pomici
sono porfiriche con cristalli di pirosseno. Sono organizzate in bancate decimetriche con intercalazioni di cineriti bianche, debolmente laminate, in cui sono presenti pomici bianche e in misura
inferiore litici lavici, scorie e cristalli di pirosseno. Pleistocene medio.
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DEPOSITI SEDIMENTARI POSTOROGENI.
RNM - Conglomerati di Colle Ramanna. Alternanza di banchi conglomeratici, eterometrici e
poligenici, a grado variabile di cementazione e classazione. Ambiente fluviale e di conoide alluvionale. Pleistocene medio?
UMNa - Sintema di Mandela (litofacies conglomeratica). Depositi conglomeratici poligenici,
a matrice arenitica, con intercalazioni sabbioso-limose, di aspetto massivo. Ambiente fluviale.
Pliocene superiore?
SUBSTRATO MESO-CENOZOICO (MONTI DI CASTEL MADAMA E LUCRETILI).
SPT1b - Unità Spongolitica - Membro di Guadagnolo (litofacies marnosa). Marne argillososiltose grigie ed ocra, spesso bioturbate, e marne calcaree grigie in strati di 10-20 cm, con foraminiferi planctonici, radiolari e spicole di poriferi. Intercalazioni irregolari di calcareniti e calciruditi bioclastiche avana in banchi spessi fino ad oltre 1 metro, contenenti frequenti foraminiferi bentonici rimaneggiati. Miocene inferiore-medio (Burdigaliano - Langhiano).
SPT1a - Unità Spongolitica - Membro di Guadagnolo (litofacies calcarenitica). Alternanze
di calcareniti fini e medie, in bancate irregolari, talora gradate, di colore avana e nocciola, con
punti di ossidazione di colore rosso, marne e marne calcaree di colore grigio, giallastro e avana
in strati decimetrici. Presenza di fenomeni da deformazione sinsedimentaria. La parte bassa è caratterizzata da calcari bio-litoclastici a macroforaminiferi (“brecciole” a Lepidocycline, Miogypsine e Amphistegina sp.), e marne calcaree compatte con foraminiferi planctonici. Miocene inferiore (Burdigaliano).
CFR2 - Membro delle Calcareniti a Miogypsine e Lepidocycline. Calcareniti e calciruditi bioclastiche di colore avana e nocciola, talora rosato, disposte in strati e banchi di spessore variabile
da 20 cm a 1 m, ricche in macroforaminiferi (Lepidocycline, Miogypsinoides e Miogypsina), e
subordinate marne calcaree grigiastre e verdognole, generalmente nodulari e bioturbate, associate a “pebbly calcarenites” o “pebbly mudstones”; presenti noduli di selce grigiastra, bruna e nocciola, particolarmente frequenti nella porzione inferiore. Nella porzione superiore si individuano
livelli di calcilutiti avana chiaro a foraminiferi planctonici. Oligocene superiore- Miocene inferiore (Chattiano - Aquitaniano).
CDZ - Scaglia cinerea detritica. Marne e marne argillose grigio-verdastre in pacchi di strati decimetrici, cui si alternano frequentemente calcareniti e calciruditi bioclastiche (“brecciole”), talora gradate, contenenti abbondanti foraminiferi bentonici rimaneggiati, sovente isorientati, in strati spessi fino a 60 cm, e calcari marnosi grigi e biancastri in strati di 10-15 cm, localmente con
piccoli noduli di selce, contenenti foraminiferi planctonici. Eocene superiore – Oligocene superiore (Priaboniano - Chattiano).
SC - Scaglia (scaglia rossa, scaglia bianca). Calcari marnosi bianchi, rosati e rossi, a frattura
concoide, talora ben stratificati, con liste e noduli di selce rossa, grigia e nerastra. Nella scaglia
rossa sono presenti, inoltre, calciruditi e calcareniti spesso laminate, di colore biancastro e grigio,
in strati di spessore anche metrico. Contengono foraminiferi planctonici e Radiolari nei litotipi
lutitici e calcareo-marnosi, foraminiferi bentonici in quelli più grossolani. Cretaceo superiore
(Albiano sup. - Turoniano).
FUC - Marne a Fucoidi. Marne e marne argillose rosate, verdoline e grigio chiaro, con orizzonti marnoso-argillosi grigio-nerastri (black shales), in strati sottili di 5-6 cm; marne calcaree e calcari marnosi biancastri, verdolini e grigio chiaro, con rari noduli di selce nera e bruna, in strati di
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10-20 cm. Contengono foraminiferi planctonici, Radiolari, impronte di Chondrites. Cretaceo inferiore (Aptiano - Albiano).
MAI – Maiolica. Calcari micritici bianchi, grigi e giallini, a frattura concoide, ben stratificati,
con selce policroma in liste e noduli. La potenza degli strati varia da 10 a 100 cm. Intercalazioni
di brecce calcaree medio-grossolane e calcareniti avana in strati spessi da 30 cm fino a 2 m, talora a geometria lenticolare. Localmente, verso il tetto, marne argillose verdastre, spesse da 5 a 30
cm. Fossili: rari Aptici, Radiolari, Calpionellidi. Giurassico superiore – Cretaceo inferiore (Titoniano - Barremiano).
DPO - Calcari detritici a Posidonia. Calcareniti e calciruditi oolitiche e litoclastiche nocciola,
in bancate spesse 1-3 m, talora con base erosiva, contenenti selce in liste e noduli, spessi fino a
40 cm. Rare alternanze di calcareniti fini e micriti con selce. Contengono Protopeneroplis striata
nelle porzioni oolitiche, mentre nelle litofacies più fini sono presenti gusci di Lamellibranchi pelagici (Posidonia sp.) e Radiolari. Giurassico medio (Baiociano – Batoniano).
RSA – Rosso ammonitico. Calcari marnosi nodulari rossastri, marne calcaree e argille rosse e
verdastre, talora con abbondanti ammoniti. Giurassico inferiore (Aaleniano – Toarciano)
COK – Corniola e calcari selciferi. Alternanze di biomicriti marnose grigie, biomicriti con selce e biomicriti da finemente a grossolanamente bioclastiche, con intercalazioni di calcari clastici
e bioclastici e, talora, marne argillose. Giurassico inferiore (Pliensbachiano – Sinemuriano).
MAS – Calcare massiccio. Calcari bianchi, ceroidi, subcristallini e cristallini, in grosse bancate,
calcari avana finemente detritici, calcari oolitici e calcari brecciati rossastri. Giurassico inferiore
(Sinemuriano – Hettangiano).
SUBSTRATO MESO-CENOZOICO (MONTI RUFFI E PRENESTINI).
UAPd – Associazione arenaceo-pelitica. Arenarie medio-fini, grigie e giallastre, in strati da sottilissimi a spessi con subordinate peliti grigio scure al tetto. Miocene superiore (TortonianoMessiniano).
UAPc - Complesso torbiditico altomiocenico laziale-abruzzese (litofacies arenacea). Arenarie in strati da spessi a molto spessi o massicci, con frequenti fenomeni di amalgamazione. Miocene superiore (Tortoniano).
UAPb - Complesso torbiditico altomiocenico laziale-abruzzese (litofacies arenaceo-pelitica).
Arenarie in strati da spessi a molto spessi alternati a livelli pelitici subordinati. Miocene superiore (Tortoniano).
UAM3 - Unità argilloso-marnosa (Membro delle argille a Orbulina). Marne e marne calcaree, con bioturbazioni, di colore grigio e giallastro nella porzione basale; presenza, a luoghi, di
glauconite. Marne argillose di colore grigio-bruno, ricche in foraminiferi planctonici (Orbulina
spp.), nella porzione superiore. Talora nella porzione inferiore si riscontrano laminazioni centimetriche. Miocene superiore (Tortoniano).
UAM1 - Unità argilloso-marnosa (Membro delle marne calcaree). Calcareniti e subordinate
calciruditi fini, lito-bioclastiche, con abbondante glauconite e noduli fosfatici, color marrone e
verdastro. Ricche di foraminiferi planctonici. Miocene medio (Tortoniano).
UaO – Mane calcaree e calcari marnosi grigi. Associazione di una litofacies marnosa e una litofacies biocalcarenitica in strati sottili e con frattura prismatica, spesso con granuli di glauconite. Miocene medio (Serravalliano p.p.)
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CBZ3 - Unità dei calcari a Briozoi e Litotamni (Calcareniti a Briozoi). Calcareniti e calciruditi di colore grigio-biancastro, avana e marrone, con abbondanti frammenti di Briozoi (prevalenti nella porzione inferiore), frammenti di echinodermi, foraminiferi bentonici e frammenti di
litotamni (comuni nella porzione superiore). A luoghi, verso l’alto sono presenti intercalazioni di
calcareniti fini avana chiaro con comuni foraminiferi planctonici. Miocene medio superiore?
(Serravalliano - Tortoniano?).
CBZ2 - Unità dei calcari a Briozoi e Litotamni (Calcareniti a punti rossi). Calcareniti e subordinate calciruditi prevalentemente bioclastiche (la frazione bioclastica è simile a CBZ 3:
frammenti di litotamni, briozoi, echinodermi, bivalvi, ditrupe e serpulidi, associati a foraminiferi
bentonici e planctonici) in strati piano-paralleli con spessori da 10 cm a 30 cm, con punti di ossidazione di colore rosso. Rare intercalazioni marnose molto sottili (spessori da millimetrici a centimetrici). Caratteristica la presenza di livelli con frequenti noduli di selce di colore bruno e grigio. Localmente si assiste allo sviluppo di stratificazione incrociata a basso angolo. Miocene medio (Serravalliano).
CFR1c - Membro delle Calcareniti a Nummuliti (litofacies marnosa). Alternanze di marne,
calcari marnosi e marne argillose di colore grigio-verdastro, giallastro e avana, ricche in foraminiferi planctonici (globigerinidi, spesso di grossa taglia), disposte in strati da centimetrici (talora
foliati) a decimetrici, localmente nodulari o fortemente bioturbati; presenti livelli di selce marrone, bruna e nocciola, raramente grigiastra. Si intercalano frequenti livelli di calciruditi e calcareniti bio-litoclastiche e lito-bioclastiche gradate, ricche in macroforaminiferi (piccole nummuliti e
lepidocycline), in strati e bancate, spesso canalizzate. Verso la porzione inferiore dell’unità, nonché spostandosi verso il settore meridionale, si riscontra un aumento dei livelli più grossolani e
detritici con sviluppo di calciruditi ad elementi plurimetrici (prevalenti i calcari di piattaforma
carbonatica cretacea). A più altezze si riscontra la presenza di pebbly mudstones e calciruditi ad
elementi ben arrotondati in matrice marnosa. Comuni i fenomeni da deformazione sindeposizionale. Oligocene (Rupeliano - Chattiano).
CFR1b - Membro delle Calcareniti a Nummuliti (litofacies calcarenitica). Calcareniti e calciruditi a macroforaminiferi (nummuliti e discocycline prevalenti), in strati e banchi di spessore
medio compreso tra 25 e 60 cm, talora rappresentando il litotipo esclusivo, con noduli di selce
più biancastra e grigiastra. Sono presenti intercalazioni di calcari micritici in strati da centimetrici a decimetrici, di colore avana chiaro e nocciola, con selce in lenti e noduli. Nella parte alta
prevalgono marne e marne calcaree con foraminiferi planctonici; sempre presenti gli intervalli
calciruditici bioclastici. Eocene superiore - Oligocene inferiore (Priaboniano - Rupeliano).
SCZ2b - Unità della scaglia detritica, Membro superiore (litofacies calcareniticocalcilutitica). Calcareniti avana, nocciola e biancastre, bio-litoclastiche e bioclastiche, spesso
gradate, e calciruditi lito-bioclastiche bianche e avana, a luoghi ricche in macroforaminiferi. Si
intercalano calcilutiti, calcari marnosi e marne calcaree, di colore avana chiaro, nocciola e verdognolo, in strati sottili e medi con liste e noduli di selce grigia chiara, talora rossastra, e microfauna a foraminiferi planctonici. Eocene (Ypresiano - Priaboniano).
SCZ2c - Unità della scaglia detritica, Membro superiore (litofacies calciruditica). Calciruditi e calcareniti bioclastiche biancastre cristalline in strati spessi, sovente con brecce. Caratterizzata da abbondanti risedimenti grossolani con sviluppo di vere e proprie megabrecce a base fortemente erosiva (gli elementi litoclastici coinvolti sono rappresentati prevalentemente da calcari di
piattaforma carbonatica cretacea). Il biodetrito grossolano è rappresentato da frammenti di rudiste, coralli ed echinodermi. Eocene inferiore (Ypresiano).
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C – Calcare saccaroide ad orbitoidi. Calcareniti e calciruditi biancastre ad orbitoidi, frammenti
di rudiste e di echinodermi, ricristallizzate e talora dolomitizzate, in strati medi e spessi e con intercalazioni di calcilutiti. Cretaceo superiore (Campaniano – Maastrichtiano).
SCZ1 - Unità della scaglia detritica, Membro inferiore. Micriti (calcilutiti), talora leggermente marnose, di colore bianco e avana chiaro, ben stratificate in strati da sottili a medi, con microfauna a foraminiferi planctonici (globotruncane) e subordinati livelli ricchi in calcisphaerulidi;
frequenti livelli con selce in liste e noduli di colore grigio, avana e nocciola. Intercalazioni frequenti di calcareniti e calciruditi (rare le megabrecce) lito-bioclastiche e bio-litoclastiche gradate,
con abbondanti frammenti di rudiste e inoceramidi associati a foraminiferi bentonici (rimaneggiati dalla piattaforma) e plantonici. Nella parte alta prevalgono le calcareniti gradate in strati di
30-40 cm. Cretaceo superiore (Turoniano - Campaniano).
4. CARTA LITOTECNICA
La legenda della carta litotecnica è stata elaborata a partire dalle descrizioni delle unità geologiche, supportate da osservazioni di campagna, seguendo i criteri adottati in occasione del progetto
Geomap-Agristudio del 2008-09 e dal progetto pilota del Dipartimento di Scienze Geologiche
dell'Università Roma Tre del 2006-07.
Le unità della Carta geologica, definite con criteri bio-litostratigrafici coerentemente alle specifiche del Progetto CARG, sono state accorpate in unità litotecniche omogenee, in base alle loro caratteristiche di comportamento meccanico.
Le unità così definite, con la caratterizzazione litotecnica e la loro corrispondenza con le unità
formazionali della Carta geologica, sono descritte nelle tabelle 4.1, 4.2 e 4.3, per i tre grandi tipi
di unità che affiorano nell'area di studio: depositi recenti e terreni di copertura, unità vulcaniche,
unità sedimentarie.
Tab. 4.1. depositi recenti, terreni di copertura, depositi sedimentari postorogeni
caratteristiche delle unità litotecniche e loro corrispondenza con le unità geologiche
unità litotecnica
descrizione
(h)
deposito antropico
a
alluvioni
(d)
detriti
c
colluvioni/eluvioni
z
frana
(lc)
deposito lacustre
t
travertini
deposito eterogeneo
sciolto
deposito limososabbioso inconsolidato
deposito eterogeneo
sciolto
deposito limosoargilloso-sabbioso
Cg
conglomerati
comportamento
unità geologica (sigle Carta geologica)
granulare
h - depositi antropici
granulare
duttile
SFTbb - depositi alluvionali
at – alluvioni antiche terrazzate, depositi lacustri
SFTa – depositi di versante
conoide
granulare
SFTb2 – depositi eluvio-colluviali
deposito limososabbioso
granulare
duttile
terre sciolte
granulare
duttile
da terrosi a litoide
rigido
TBTa – travertini
conglomerati grossolani
più o meno cementati
da litoide
a granulare
RNM – Conglomerati di Colle Ramanna
UMNa – Sistema di Mandela (facies conglomeratica)
terre sciolte
z – accumuli di frana
dla – depositi limo-argillosi in facies palustre o lacustre
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Tab. 4.2. unità vulcaniche
caratteristiche delle unità litotecniche e loro corrispondenza con le unità geologiche
unità litotecnica
descrizione
Poz
piroclastico, Pozzolane
granulare, granulometria mal classata, grossolana in matrice cineritica
da litoide a granulare,
mai coesivo
(Pcl)
piroclastico, ceneri e
lapilli
Pt
piroclastico, tufo litoide
(Pcs)
piroclastico, ceneri e
scorie
comportamento
granulare
unità geologica (sigle Carta geologica)
PNR – Pozzolane nere
RED – Pozzolane rosse
rigido
granulare
KKA – Unità di Casale del Cavaliere
PTI – Unità del Palatino
litoide per zeolitizzazione, densità 1,6-1,8
rigido
TDC – Unità di Tor de' Cenci
da granulare a coesivo,
secondo il grado di alterazione degli strati
da granulare a coesivo
VCL – Formazione di Le Vallicelle
Tab. 4.3. unità sedimentarie
caratteristiche delle unità litotecniche e loro corrispondenza con le unità geologiche
comportamento
rigido
unità litotecnica
descrizione
Ca
calcareniti e calcari
litoide, fratturato
Mca
marne e calcareniti
litoide
alternanza
rigido e duttile
Cs
calcari stratificati
litoide, fratturato
rigido
MC
marne e calcari
litoide,
alternanza
rigido e duttile
(MP)
marne e peliti
Ar
arenarie con intercalazioni pelitiche
litoide
duttile
litoide
alternanza
rigido e duttile
unità geologica (sigle Carta geologica)
CFR2 – Membro delle Calcareniti a Miogypsine e Lepidocycline
MAS – Calcare massiccio
CBZ3, CBZ2 – Unità dei calcari a Briozoi e Litotamni
CFR1b – Membro delle Calcareniti a Nummuliti, litofacies calcarenitica
SCZ2b, SCZ2c – Unità della Scaglia detritica, membro
superiore
C – Calcare saccaroide ad orbitoidi
SPT1a – Unità Spongolitica – Membro di Guadagnolo,
litofacies calcarenitica
CDZ – Scaglia cinerea detritica
CFR1c – Membro delle Calcareniti a Nummuliti, litofacies marnosa
SC – Scaglia rossa, Scaglia bianca
MAI – Maiolica
DPO – Calcari detritici a Posidonia
RSA – Rocco ammonitico
COK – Corniola e calcari selciferi
SCZ1 – Unità della Scaglia detritica, membro inferiore
SPT1b -- Unità spongolitica, membro di Guadagnolo,
litofacies marnosa
FUC – Marne a fucoidi
UAM1 – Unità argilloso-marnosa, Membro delle marne
calcaree
UaO – Marne calcaree e calcari marnosi grigi
UAM3 – Unità argilloso-marnosa, Membro delle argille a Orbulina
UAPd – Associazione arenaceo-pelitica
UAPc – Complesso torbiditico altomiocenico lazialeabruzzese, litofacies arenacea
UAPb – Complesso torbiditico altomiocenico lazialeabruzzese, litofacies arenaceo-pelitica
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Dal punto di vista del peso che le unità litotecniche avranno nel processo di definizione della suscettibilità da frana, questo dipende anche dalla quantità ed estensione degli affioramenti. Per
questa ragione, nelle tabelle qui sopra, questa caratteristica è stata segnalata con il modo in cui la
sigla è scritta:
- Le unità la cui sigla è in carattere grassetto, presentano affioramenti estesi e diffusi,
- Le unità la cui sigla è in carattere normale, presentano affioramenti estesi solo localmente,
- Le unità la cui sigla è fra parentesi, presentano affioramenti trascurabili.
5. LAYER COPERTURE
Il layer coperture è in realtà costituito da due layer diversi.
Un layer di poligoni, dove sono stati riportati tutti gli affioramenti dei depositi cartografati sulla
Carta litotecnica come corpi litologici distinti, ossia le unità con sigla h, a, d, c, lc, z. Si tratta
quindi di depositi antropici, alluvionali e lacustri, depositi di versante, conoidi ed accumuli di
frana, coltri eluviali e colluviali. A questi sono stati aggiunti i poligoni costituiti dai canali di
transito delle frane per colata, all'interno dei quali si è riscontrata la presenza di una sottile copertura detritica e quelli all'interno dei quali sono stati rilevati fenomeni di soliflusso, evidentemente
innescati su di una coltre, seppure sottile, di copertura, anche se non cartografata come tale sulla
carta litotecnica.
Un layer di punti, provenienti dalle osservazioni di terreno, in corrispondenza dei quali è stata
osservata la presenza di copertura, non cartografabile e/o di spessore inferiore a 2 metri. Si tratta
di quelle aree dove nella Carta geologica è affiorante il substrato e che quindi compaiono nella
banca dati come dati puntuali legati ai punti di osservazione sul terreno. La tabella associata al
file riporta il numero progressivo del punto, gli spessori minimi e massimi stimati.
Per quanto riguarda questo tipo di coperture, si possono fare le seguenti considerazioni.
Nelle zone occupate dalle unità litotecniche del litosoma vulcano laziale, che nell'area di studio
sono in genere poco estese ed hanno in gran parte un assetto orizzontale, le coperture derivanti
dal loro disfacimento sono prevalentemente di origine eluviale e di composizione da argillosa a
sabbioso-argillosa, dipendente prevalentemente dal grado di alterazione del tipo litologico da cui
derivano.
Nella parte dove affiorano le unità dei substrati meso-cenozoici le caratteristiche delle coperture
variano in funzione della loro litologia. In pratica, le unità geologiche/litotecniche che hanno una
maggior estensione e che possono dare origine a delle coperture di una qualche rilevanza, sono
distinguibili in quattro diversi gruppi per i quali si possono descrivere di massima le seguenti caratteristiche.
 Calcareniti e calcari (Ca) del substrato cenozoico dei Monti Ruffi e Prenestini (Unità dei
Calcari a Briozoi e Litotamni CBZ3): le coperture sono caratterizzate da numerosi clasti di
dimensioni centimetriche in matrice sabbiosa calcarea, talora rossastra. Esse raggiungono raramente il metro di spessore e sono completamente assenti nelle zone dove gli affioramenti
presentano una forte acclività. In questa distinzione rientra anche la formazione del Calcare
massiccio, MAS del substrato mesozoico dei Monti di Castel Madama.
 Marne e calcareniti (MCa) del substrato cenozoico dei Monti di Castel Madama (Unità
Spongolitica, Membro di Guadagnolo SPT1b): le coperture hanno di norma spessore inferiore a 1,5 m e sono caratterizzate da livelli clastici alternati ad altri a forte componente argilloso-siltosa, secondo la maggiore o minore presenza di intercalazioni marnose nel substrato.
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Nelle zone a minore pendenza prevalgono le coperture di tipo eluviale costituite da depositi
sabbioso-argillosi.
 Calcari stratificati (Cs) del substrato mesozoico dei Monti di Castel Madama (dalla Corniola
COK alla Scaglia SC): la serie si presenta generalmente coperta da una coltre pressoché costante, ma generalmente poco potente e con ispessimenti in corrispondenza di fratture beanti,
costituita da un’elevata percentuale di elementi litoidi di dimensioni centimetriche immersi in
una matrice sabbioso-limosa calcarea.
 Arenarie con intercalazioni pelitiche (Ar) del substrato cenozoico dei Monti Ruffi e Prenestini (Complessi torbiditici con litofacies arenaceo-pelitica UAPb ed arenacea UAPc): per la
loro predisposizione ad essere facilmente alterate dagli agenti esogeni, specialmente se intensamente fratturate, si presentano molto spesso con coperture sabbioso-siltose e talora argillose anche su estese superfici, ma con spessore piuttosto limitato.
Le valutazioni riferite a molte aree sono frequentemente abbastanza costanti, ma in altre possono
oscillare entro un’ampia gamma di valori. Questo fatto accade soprattutto in corrispondenza di
zone situate su substrati costituiti da alternanze di litotipi a comportamento rigido-plastico, che
secondo i casi sono soggetti ad un diverso grado di alterazione, o su rocce prevalentemente calcaree frammentate da sistemi di fratture e interessate da processi di dissoluzione chimica.
Da notare che ampie fasce dei terreni sedimentari affiorano in zone con rilievo anche molto accentuato, come nei versanti orientali dei Monti Ruffi, dove la permanenza di coperture con elevato spessore risulta pressoché difficile sui versanti più acclivi, che spesso sono stati coinvolti in
movimenti franosi anche di grandi dimensioni.
6. LAYER FRANE E LAYER PUNTI INSTABILI.
6.1 PREMESSA
Questo paragrafo, che riprende l'analogo paragrafo del capitolo 5 della Relazione Finale del progetto pilota (Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma Tre, 2006-2007), è stato
riportato integralmente qui di seguito per facilitare la comprensione della scelta della procedura
adottata nella realizzazione dell'analisi della suscettibilità da frana.
Le frane rappresentano uno dei fenomeni naturali più calamitosi attivi sul territorio nazionale,
essendo ogni anno causa di danni per persone e beni. Secondo quanto riportato dal Catalogo
AVI, realizzato a cura del CNR-GNDCI, sono almeno 17.000 gli eventi franosi che hanno interessato il territorio nazionale nel periodo intercorrente fra il 1918 e il 1998. Di questi, 2.620 hanno compromesso la totalità del bene oggetto del danno, mentre 1.352 hanno provocato vittime o
feriti. É per questo motivo che gli organi amministrativi centrali e locali si stanno sempre più dotando di strumenti normativi, a partire dalla Legge 183/89 per giungere alla Legge 267/98, volti
ad ottenere un più razionale utilizzo del territorio, mediante l’acquisizione di conoscenze di base,
derivanti dalla mappatura dei processi di versante e delle loro interazioni con insediamenti urbani
ed altre infrastrutture. L’area in esame non è certo immune da questo tipo di fenomeni che evidenziano vari livelli di rischio cui sono soggette diverse porzioni di territorio.
Il Decreto Legislativo 180 dell’11 giugno 1998 (cosiddetto Decreto Sarno), convertito successivamente nella Legge 267/98, precedentemente enunciata, prevede che le Autorità di Bacino Nazionali, Interregionali e Regionali, adottino i Piani Stralcio per l’Assetto Idrogeologico, già previsti dalla Legge 183/89 (Legge Quadro) sulla Difesa del Suolo, in maniera urgente entro il 30
giugno 1999; i Piani suddetti devono contenere la perimetrazione delle aree a rischio frana e alGEOMAP Srl
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luvione, al fine di prevedere opportune misure di salvaguardia. Questa procedura è sostanzialmente confermata dal Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 (Testo Unico sull'ambiente).
Il principale criterio suggerito per la perimetrazione delle aree a rischio è l’individuazione delle
zone in cui “la maggiore vulnerabilità del territorio si lega a maggiori pericoli per le persone, le
cose ed il patrimonio ambientale”; i criteri tecnici con cui i Piani Stralcio devono essere redatti
sono contenuti negli Atti di Indirizzo e Coordinamento che accompagnano la Legge 267/98
(DPCM 29/09/98) (Piano Straordinario).
Nei suddetti Atti di Indirizzo e Coordinamento, ove è espressamente individuata una metodologia per valutare i livelli di rischio in quattro classi, viene esplicitamente enunciato quanto segue:
“(…) la pericolosità (…) può essere realizzata attraverso metodologie capaci di calcolare la
probabilità di accadimento in aree mai interessate in epoca storica (…). Tuttavia i limiti temporali (…) consentono di assumere quale elemento essenziale per l’individuazione del livello di pericolosità, la localizzazione (…) di eventi del passato (…)”. Da quanto enunciato appare evidente
la sensibilità del Legislatore sulla necessità di valutare il rischio connesso ai fenomeni di neoformazione che però in prima istanza viene rimandato ad una seconda fase, considerando come
prioritario il censimento dei fenomeni in atto o del passato.
Un approccio di tale tipo, pur valido per i fenomeni franosi di riattivazione, non è idoneo per
l’identificazione di aree soggette a fenomeni di prima generazione.
Risulta però evidente che per una corretta pianificazione territoriale è necessario disporre sia di
un accurato censimento dei fenomeni avvenuti sia, almeno, di una previsione spaziale (suscettibilità) che consenta di valutare quali aree possano essere interessate nel futuro da frane e da quali
tipologie di frane. Nel presente lavoro viene applicata una metodologia idonea sia a valutare
l’evoluzione spaziale dei fenomeni in essere, sia ad individuare le aree predisposte alla genesi di
fenomeni di neo-formazione per le diverse tipologie di frana che interessano l’area di studio.
6.2 MODO OPERATIVO
Per dare un quadro aggiornato della situazione di stabilità dei versanti ed arrivare alla caratterizzazione della suscettibilità da frana dell'area di studio, che è lo scopo ultimo di questo studio, si è
seguita la metodologia elaborata per il progetto pilota realizzato dal Dipartimento di Scienze
Geologiche dell'Università Roma Tre, con alcune modifiche, legate soprattutto alla diversità delle condizioni geologiche e geomorfologiche di alcune porzioni dell'area di studio.
Come prima operazione si è proceduto ad acquisire ed inserire nella banca dati gli archivi dei dati esistenti, in particolare quelli fornitici dal Servizio Geologico Provinciale (che comprendevano
anche quelli dell'Autorità di Bacino del Tevere e dell'inventario IFFI), in parte già contenuti nel
progetto "franarisk_rm", integrati dai dati dell'archivio SIRDIS regionale, e i dati provenienti
dalle specifiche relazioni selezionate e raccolte da nostro personale presso l’archivio del Servizio
Geologico Provinciale, relative ad interventi non censiti in altre banche dati. Questi dati sono stati georeferenziati sulle CTR e presi in considerazione come elementi di confronto per indirizzare
la fotointerpretazione ed i successivi controlli sul terreno.
La fotointerpretazione dei fenomeni franosi è stata eseguita su tutta l'area di studio utilizzando le
fotografie aeree stereoscopiche a colori del 2002, unico documento disponibile analizzabile in
visione stereoscopica. L’interpretazione della copertura fotografica è servita inizialmente per realizzare una prima stesura della carta delle frane (allegata al rapporto di progresso a sei mesi dalla
stipula del contratto), e successivamente, per la sua completa revisione dopo aver effettuato il
controllo di verifica direttamente in campagna. In questa seconda fase, naturalmente, sono stati
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introdotti anche i numerosi nuovi elementi raccolti che hanno permesso di aggiornare i contenuti
del documento.
Il layer frane è stato costruito digitalizzando e inserendo in banca dati tutti gli elementi costitutivi dei fenomeni franosi rilevati, areali, lineari e puntuali, con riferimento alle CTR. Ciascun tipo
di fenomeno è stato classificato secondo le cinque tipologie previste dal metodo: crolli e ribaltamenti, scorrimenti rotazionali, scorrimenti traslativi, colate lente e colate rapide. A questi cinque tipi, già presenti nel progetto pilota, come già fu fatto nel progetto Geomap-Agristudio del
2008-2009, è stato aggiunto un altro tipo, definito come area interessata da deformazioni superficiali lente (soliflusso), perché questa tipologia è presente in maniera piuttosto estesa in alcune
zone dell'area di studio. Gli elementi lineari e areali rappresentati, ove riconoscibili, sono costituiti da corona, nicchia, canale di transito, materiale ribassato, materiale d'accumulo. Per tutti è
stato indicato lo stato, se attivo o quiescente.
Il layer dei punti instabili è stato costruito marcando, per i fenomeni areali e per le corone isolate, il punto a quota più alta del coronamento, mentre tutti i fenomeni puntiformi sono stati considerati punti instabili tal quali.
A tutti gli elementi mappati sono stati associati i codici dei dissesti presenti nelle diverse banche
dati preesistenti, dovunque è stato possibile stabilire una corrispondenza o anche una correlazione genetica.
6.3 CENSIMENTO DEI FENOMENI FRANOSI.
Il censimento dei fenomeni franosi, realizzato secondo la procedura illustrata al punto precedente, ha portato alla preparazione del layer frane e di una serie di 20 schede rappresentative dei fenomeni più tipici osservati nell’area di studio, schede che sono state inserite all'interno del progetto "Franarisk_rm_2012".
Tipologie di frana
La classificazione riprende quanto già definito nel progetto pilota originale, con alcune varianti
che erano già state applicate nello studio dell’area relativa al contratto Geomap-Agristudio del
2008.
Le descrizioni che seguono si riferiscono alle tipologie dei fenomeni gravitativi rilevati
nell’intera area analizzata, le quali sono da considerarsi di carattere generale, perché sono basate
sul meccanismo che ha prodotto il fenomeno senza tener conto della natura dei materiali coinvolti e delle loro varie e diverse litologie. Di fatto, quasi tutto il territorio analizzato è costituito da
tipi di rocce sedimentarie variamente stratificate, ad eccezione di una sua piccola porzione situata sul margine occidentale dell’area di studio (zona di Castel Madama), ove affiorano prodotti
vulcanici e piroclastici
La morfologia di questo secondo ambiente geologico è caratterizzata da aree di plateau con pendenza nulla o molto bassa, con margini acclivi o prossimi alla verticale dipendenti dall’erosione
fluviale, mentre, nel prevalente ambiente sedimentario, i versanti si presentano sempre caratterizzati da un’acclività da media ad elevata, localmente fino a verticale in corrispondenza di certi
affioramenti di rocce massicce o di situazioni tettoniche particolari. Di conseguenza, a causa dei
diversi rapporti tra l’inclinazione della stratificazione e quella del pendio, delle differenze di litologia e delle condizioni strutturali, sia plicative che disgiuntive, esistono in quest’ambito condizioni più favorevoli al verificarsi di fenomeni gravitativi spontanei, spesso caratterizzati da fenomeni anche di grandi dimensioni e da forme evolutive talora piuttosto complesse.
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Premesso quanto sopra, di seguito riportiamo le descrizioni delle tipologie dei fenomeni gravitativi che sono stati inseriti nella banca dati.
- Crolli e ribaltamenti – I Crolli sono fenomeni caratterizzati da caduta libera di diedri litoidi,
e talora dei terreni eventualmente sovrastanti, dipendenti dalla presenza, in rocce a comportamento rigido, di sistemi di fatture con andamento prevalentemente sub-verticale. La dimensione degli elementi dipende dalla spaziatura, ossia dalla distanza esistente tra le fratture dei
vari sistemi. I Ribaltamenti differiscono dai precedenti per la presenza di discontinuità anche
sub-orizzontali che determinano appunto questo tipo di movimento caratterizzato da una
componente laterale. In questa tipologia sono compresi anche gli Scorrimenti planari ad alto
angolo, dei quali però non è stato rilevato alcun caso.
- Scorrimenti rotazionali – Sono fenomeni gravitativi caratterizzati da movimenti di rotazione
che avvengono intorno ad un punto, esterno al versante e situato in posizione superiore al baricentro della massa mobilizzata, secondo una superficie di taglio di forma arcuata e concava
verso l’alto. Sono tipici dei terreni poco coerenti, ma si possono verificare molto frequentemente anche in sequenze fliscioidi, più raramente in formazioni rigide, ma in ambedue i casi
se intensamente fratturate.
- Scorrimenti traslativi o traslazionali – Sono caratterizzati da movimenti di scivolamento
lungo superfici di taglio planari, in genere costituite da superfici di debolezza preesistenti e
spesso coincidenti con discontinuità strutturali, piani o giunti di stratificazione tra litotipi diversi, disposte a franapoggio, ossia nello stesso senso del versante, con valori d’inclinazione
uguali o minori dello stesso. Nella nostra area di studio è stato rilevato un solo fenomeno di
questo tipo, per cui, per questa tipologia di frana, l’analisi della suscettibilità non è stata applicata.
- Colate lente in detrito o terra – Consistono in movimenti lenti per deformazione plastica e
possono assumere forme molto diverse e coinvolgere spessori di terreni di copertura altrettanto variabili.
- Colate rapide areali e lineari – Sono fenomeni dalle forme piuttosto particolari perché generalmente sono molto più sviluppati in lunghezza che in larghezza. Le colate si formano in
materiali scarsamente coesivi con elevata percentuale d’acqua e s’impostano lungo impluvi
preesistenti o di nuova formazione, spesso coincidenti con linee di debolezza sulle quali si
sono impostati fenomeni d’erosione concentrati. L’origine, la composizione e la granulometria dei materiali di copertura determinano le caratteristiche morfologiche di questo tipo di
fenomeni gravitativi. In questa tipologia rientrano anche i debris flow che sono fenomeni costituiti da materiale prevalentemente litoide, di varia pezzatura, frammisto ad una componente plastica.
Oltre ai predetti fenomeni, che rientrano nella classificazione già adottata nello studio pilota originale, è stata presa in considerazione un’ulteriore tipologia, la cui introduzione è stata a suo
tempo ritenuta necessaria per una migliore caratterizzazione del territorio analizzato. Ciò è dipeso dal fatto che questi fenomeni sono stati frequentemente rilevati sulle foto aeree e/o direttamente in campagna, dove molto spesso sono più evidenti, e perché menzionati e rappresentati
anche nella bibliografia relativa all’area di studio. Questa tipologia è la seguente.
- Aree interessate da deformazioni superficiali lente (Soliflusso)- La nuova distinzione è stata
introdotta con lo scopo di rappresentare le numerose aree che sono state individuate in uno
stato di parziale e talvolta temporanea instabilità, ma che non possono essere classificate nelle tipologie di frane precedentemente descritte, pur essendo fenomeni chiaramente dipendenti
dall’azione della gravità. Questi casi, distinti in forme areali o puntuali secondo le loro diGEOMAP Srl
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mensioni, comprendono soprattutto fenomeni di creeping e di soliflusso che interessano coltri detritiche o di suolo anche estese ma molto superficiali. In taluni casi essi possono indicare una modesta e parziale riattivazione di accumuli relativi a fenomeni non completamente
stabilizzatisi, così come possono essere più spesso localizzati in corrispondenza di vecchie o
antiche frane delle quali restano solo le vestigia dell’orlo di distacco o la morfologia
dell’alveo o del canale di transito. Questi modesti sintomi denunciano un leggero grado
d’instabilità in atto, che in certe condizioni può evolvere in fenomeni di maggiore importanza.
Di conseguenza, nella successiva elaborazione dei dati per la determinazione della suscettibilità
al dissesto, le tipologie analizzate per gli scopi di questo studio avrebbero dovuto essere sei, ma
le elaborazioni sono rimaste cinque, poiché la suscettibilità da frane di scorrimento traslativo non
è stata valutata disponendo di un solo fenomeno sicuramente attribuibile a questa tipologia.
Schedatura delle frane
Per la preparazione delle schede delle frane sono stati adottati i modelli già esistenti, che erano
stati predisposti secondo le diverse tipologie di fenomeni gravitativi prese in considerazione dal
metodo di analisi adottato. Le schede base, tuttavia, sono state anch’esse leggermente modificate
in alcuni punti rispetto alle originali, già nel precedente studio, senza tuttavia cambiarne la struttura, soprattutto per renderle più chiare nelle descrizioni e meglio rispondenti alle esigenze delle
situazioni riscontrate nell’area investigata. Queste modifiche riguardano soprattutto
l’inquadramento geografico ed amministrativo del fenomeno, alcuni cambiamenti nelle terminologie sintetiche per meglio farne comprendere il significato, e l’introduzione di nuove voci riguardanti in particolare lo stato di attività, il tipo di fratturazione, ecc.
Esse riportano informazioni di vario genere, più o meno dettagliate secondo le circostanze, relative ad esempi di frane che sono state considerate rappresentative di quel tipo di fenomeno, alle
quali spesso sono associate le relative fotografie esplicative, panoramiche e/o di dettaglio.
In taluni casi una scheda è stata utilizzata per descrivere più eventi dello stesso tipo, avvenuti su
un’area estesa o lungo un tracciato stradale ma caratterizzati da identiche condizioni geologiche,
morfologiche e strutturali che hanno favorito il loro verificarsi.
Archivio fotografico
Durante i controlli in campagna sono state riprese numerose fotografie, 180 delle quali sono state
inserite in una specifica banca dati contenente il punto di presa georeferenziato e l'azimut di vista. Molte di queste fotografie hanno come scopo principale quello di documentare i fenomeni
franosi, ma altre sono utili per mostrare situazioni morfologiche generali o locali, oltre che le diverse litologie e i rapporti tra loro esistenti, oppure situazioni strutturali particolarmente interessanti, tipo e densità di fatturazione, ecc.
Tuttavia, a proposito della documentazione fotografica dei fenomeni franosi è doveroso far presente che in molti casi non è stato possibile, per vari motivi, tra i quali l’accessibilità e la mancanza di punti di vista, effettuare una ripresa soddisfacente, oppure, com’è verificabile consultando l’archivio stesso, il fenomeno è individuabile sull’immagine solo da un occhio molto
esperto. Casi particolari a se stanti sono quelli relativi a fenomeni antichi e di grandi proporzioni,
il cui rilevamento è stato possibile solo tramite l’analisi delle fotografie aeree, dei quali in campagna sono riconoscibili a posteriori solo alcuni elementi, in parte mascherati dalla vegetazione o
nascosti da barriere fisiche.
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Ricorrenze tipologiche e stato di attività
Le considerazioni che emergono dagli elementi che sono stati rilevati mediante l’analisi delle fotografie aeree ed i controlli sul campo, senza tener conto di quelli forniti da informazioni di carattere bibliografico, sono riassunti nella seguente tabella.
Tab. 6.1 – Numero di fenomeni gravitativi per tipologia ed attività.
AREALI
Tipologia
Attività
Numero
Area interessata da deformazioni superficiali lente e/ soliflusso
attiva
72
Colata lenta
attiva
14
Colata lenta
quiescente
50
Colata rapida
attiva
2
Colata rapida
quiescente
15
Frana di crollo
attiva
1
Frana di crollo
quiescente
2
Frana di scorrimento rotazionale
attiva
9
Frana di scorrimento rotazionale
quiescente
110
Frana di scorrimento traslativo o traslazionale
quiescente
1
Totale
276
LINEARI
Tipologia
Attività
Numero
Frana di scorrimento rotazionale
quiescente
20
Totale
20
PUNTUALi
Tipologia
Attività
Numero
Area interessata da deformazioni superficiali lente e/ soliflusso
attiva
122
Colata lenta
attiva
7
Frana di crollo
attiva
1
Frana di crollo
quiescente
139
Frana di scorrimento rotazionale
attiva
8
Frana di scorrimento rotazionale
quiescente
45
Totale
322
Il numero totale delle frane rappresentate in forma areale è di 204, mentre quello delle aree interessate da deformazioni superficiali lente tipo soliflusso è di 72, per un totale complessivo di 276
fenomeni gravitativi areali. Nelle frane vere e proprie le tipologie più frequenti sono quelle relative agli scorrimenti rotazionali (119) e alle colate lente (64), ambedue prevalentemente quiescenti perché stabilizzatesi naturalmente. Le colate rapide e le frane di crollo sono nettamente
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meno rappresentate essendo il loro numero rispettivamente di 17 e 3. Alla tipologia delle frane di
scorrimento traslativo appartiene un solo caso.
Le frane puntuali, ossia quelle non rappresentabili con un poligono, sono in totale 200, mentre le
zone interessate da limitati fenomeni di deformazione superficiale, anch’esse non rappresentabili
per le loro modeste dimensioni, assommano a 122 casi, costituendo nel complesso 322 fenomeni.
Le tipologie di frane più frequenti sono quelle di crollo (140) e di scorrimento rotazionale (53),
delle quali la stragrande maggioranza è ritenuta attualmente quiescente per stabilizzazione naturale. Tra le frane di crollo puntuali rientrano anche vari fenomeni che sono stati rilevati su pareti
di tagli stradali, dove opere artificiali, quali reti e tiranti, limitano la traiettoria dei massi franati
ma non eliminano il rischio di riattivazione del fenomeno. Tra le frane puntuali non è presente
alcun caso attribuibile alla tipologia di scorrimento traslativo.
Sono state inoltre rilevate 20 forme lineari, attribuite ad orli di distacco in stato quiescente, che
rappresentano le vestigia di vecchi fenomeni le cui forme sono state completamente obliterate
dagli agenti demolitori esogeni.
Dall’insieme delle osservazioni e dai dati statistici relativi ai fenomeni gravitativi emerge che la
maggior parte di loro è avvenuta in un passato non recente, in qualche caso lontano ma non remoto, e che nella stragrande maggioranza essi si sono esauriti per motivi naturali. Le forme oggi
visibili consistono soprattutto in orli di distacco e nicchie, canali di transito, mentre più raramente sono ancora riconoscibili porzioni consistenti dei loro accumuli e volumi di materiale ribassato, ossia quello che giace sotto la superficie originaria del versante. L’area dove è stata riscontrata una maggiore attività e integrità di forme è quella dei versanti orientali dei Monti Ruffi.
Il numero dei fenomeni franosi in atto che assomma in totale a 236, comprendendo anche quelli
lineari e puntuali, è molto esiguo rispetto ai 618 fenomeni rilevati, specialmente se si tiene conto
del fatto che le sole aree interessate da deformazioni superficiali lente e/o soliflusso raggiungono
il ragguardevole numero di 194. Le numerose piccole frane di crollo, delle quali sono stati individuati i punti di distacco, sono state classificate come fenomeni quiescenti, coerentemente con
la definizione della loro tipologia, ma questi eventi costituiscono tuttavia un importante indicatore di potenziale instabilità delle pareti sulle quali essi sono avvenuti, e di questo fatto va tenuto
specialmente conto se i crolli si sono verificati per fattori esclusivamente naturali.
Le frane del tipo colata lenta sono state anch’esse classificate prevalentemente quiescenti (57)
rispetto a quelle attive (14). Tuttavia, è probabile che in occasione di particolari eventi meteorici
possa verificarsi una riattivazione in quei fenomeni che presentano ancora un residuo deposito di
accumulo.
Le aree interessate da deformazioni superficiali lente, tipo soliflusso, come detto precedentemente sono piuttosto numerose e sempre attive. Molte di loro, oltretutto, rappresentano fenomeni
particolarmente importanti ed estesi, come avviene nella zona di Mandela e sul versante sottostante Rocca di Mezzo, mente in alcuni casi si è rilevato che esse sono impostate su aree precedentemente interessate da altri tipi di fenomeni gravitativi e che in altre ancora potrebbero rappresentare i sintomi precursori di probabili futuri movimenti più profondi. Di conseguenza, proprio per queste caratteristiche, tutte le zone interessate da detto tipo di manifestazioni, di qualsiasi dimensioni, sono state inserite nel sistema come punti instabili. E’ inoltre da tener conto che in
alcune situazioni, dove questo tipo di fenomeno è stato riconosciuto distribuito uniformemente
su porzioni di versante variamente esposte, è stata attuato un frazionamento delle stesse in modo
da inserire un maggior numero di punti instabili più rappresentativo e coerente con la morfologia
locale.
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Distribuzione areale dei fenomeni franosi per tipologia
Nella seguente tabella 6.2 è riportato, per le varie tipologie di frana, il numero di eventi rilevati
in ciascun territorio comunale compreso nell’area di studio, la cui realizzazione è stata ottenuta
estraendo dalla banca dati i punti d’origine di ciascun fenomeno franoso di forma areale, puntuale o lineare, che in quest’ultimo caso si riferiscono in genere ad un singolo orlo di distacco.
Il metodo utilizzato fornisce solo un’informazione statistica riferita al numero effettivo di eventi
verificatisi in un comune, senza alterare quello totale con il conteggio di eventuali porzioni di
frane che possono avere invaso parte di un territorio comunale adiacente. E’ da tener conto inoltre che i dati si riferiscono alla superficie comunale compresa nell’area di studio e non alla sua
superficie totale.
Tab. 6.2 – Numero di fenomeni gravitativi presenti in ciascun comune
Comune
Crollo
Scorrimento Scorrimento Colata
rotazionale traslazionale lenta
Agosta
1
3
Anticoli Corrado
16
38
Canterano
3
Soliflusso
Totali
1
5
9
74
3
Castel Madama
5
8
Ciciliano
2
11
Gerano
Mandela
8
Colata
rapida
3
12
1
30
56
1
8
22
2
3
1
6
Marano Equo
8
6
35
55
12
1
8
21
27
122
3
19
1
4
15
41
Rocca Canterano
49
31
14
Roviano
13
2
1
1
Sambuci
3
San Polo dei Cavalieri 11
13
2
Saracinesco
12
20
8
1
17
58
Vicovaro
25
43
1
19
10
38
136
Totali
140
196
1
71
17
194
619
I suddetti dati mostrano che i comuni interessati dal maggior numero di eventi, indipendentemente dalla superficie coinvolta, sono quelli di Vicovaro (136) e di Rocca Canterano (122), dove, nel primo si osserva una prevalenza di frane del tipo di scorrimento rotazionale, seguita da
deformazioni superficiali e crolli, mentre nel secondo esiste un’elevata prevalenza di frane del
tipo di crollo e in subordine di frane di scorrimento rotazionale e fenomeni di soliflusso. I comuni meno interessati da fenomeni gravitativi risultano quelli di Agosta, Canterano, Gerano e Sambuci, essenzialmente per la loro modesta percentuale di territorio all’interno dell’area di studio.
Nella tabella 6.3 sono invece rappresentate le superfici in ettari di ciascun comune coinvolte dai
vari fenomeni gravitativi, calcolate sommando le aree di ciascun fenomeno rappresentabile
arealmente ed attribuendo un valore convenzionale di 0,01 ettaro per quelli rappresentati da simboli puntuali.
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Tab. 6.3 – Superfici in ettari dei fenomeni gravitativi presenti in ciascun comune
Comune
Crollo
Scorrimento Scorrimento Colata
rotazionale traslazionale lenta
Agosta
0,01
1,40
Anticoli Corrado
1,09
48,30
Canterano
1,52
Soliflusso
Totali
0,01
1,42
0,09
62,19
0,03
Castel Madama
0,05
3,03
Ciciliano
0,02
4,91
Gerano
Mandela
11,19
Colata
rapida
0,03
13,91
0,36
12,15
29,50
2,67
8,36
15,96
0,02
0,90
0,88
0,06
Marano Equo
4,37
7,74
78,05
90,22
60,36
0,01
2,72
63,10
32,57
195,45
0,03
7,48
0,01
0,04
4,18
11,93
Rocca Canterano
0,96
107,67
53,15
Roviano
0,13
6,68
0,65
Sambuci
1,10
0,03
San Polo dei Cavalieri
0,11
6,94
0,70
Saracinesco
0,12
16,97
5,79
0,89
4,65
28,42
Vicovaro
0,25
92,70
9,61
16,64
5,38
3,35
127,92
Totali
2,81
354,26
9,61
109,79
11,91
146,18
634,56
La superficie totale dei terreni coinvolti in qualche forma di dissesto è di 634,56 ettari sui
9.039,67 di territorio indagato, corrispondente quindi al 7%.
La precedente tabella evidenzia che i territori comunali maggiormente dissestati da fenomeni
gravitativi sono soprattutto quelli di Rocca Canterano, Anticoli Corrado e Mandela, tutti situati
nel settore orientale comprendente i Monti Ruffi, mentre nel settore occidentale risulta soprattutto il territorio di Vicovaro.
Problematiche nell'applicazione del metodo.
Le descrizioni e le considerazioni in precedenza riportate si riferiscono naturalmente alle caratteristiche dell’area esaminata dal presente studio, le quali non differiscono sostanzialmente da
quelle esistenti nell’area precedentemente analizzata da Geomap-Agristudio, specialmente per la
parte di questa costituita dalle successioni sedimentarie appenniniche. Tuttavia, in ambedue i casi sono state riscontrate diverse problematiche nell’applicazione della metodologia adottata per la
determinazione della suscettibilità al dissesto, perché in realtà sono stati rilevati fenomeni gravitativi verificatisi in situazioni che non sono facilmente individuabili e definibili dal semplice incrocio di parametri.
Ci riferiamo in particolare a quei litotipi, o loro sequenze, che in condizioni normali, ossia naturali, non presentano alcun rischio di frana, mentre sono potenzialmente soggetti a crolli o scorrimenti rotazionali se intaccati da scarpate artificiali, anche d’altezze molto modeste, come quelle
che frequentemente interessano la porzione direttamente a monte di strade principali e secondarie costruite a mezza costa. Di conseguenza va tenuto conto che parte dei piccoli fenomeni rilevati, verificatisi in corrispondenza di modificazioni del versante dovute ad interventi antropici,
non possono essere ritenuti significativi per il tipo d'analisi condotto in questo studio, ma sono
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comunque da considerare segnali di attenzione, e quindi indicati sul layer frane, nel caso che il
versante sia interessato da interventi antropici.
Inoltre, ricordiamo che le numerose frane di crollo, rappresentate per la quasi totalità in maniera
puntuale e talvolta concentrate su aree relativamente ristrette, sono state classificate tutte quiescenti. In realtà, l’attributo è da considerarsi riferito piuttosto all’area circostante che non al fenomeno stesso, oramai avvenuto ed esaurito. La presenza di fenomeni gravitativi di questo tipo e
così classificati è da ritenersi, quindi, un importante indicatore di potenziale instabilità su aree
che possono essere più estese quanto maggiore è il numero dei crolli rilevati, e questo fatto non è
ben esprimibile mediante un’analisi automatica.
Infine, appare evidente che la nuova tipologia di fenomeni gravitativi introdotta nell’analisi in
oggetto, ossia le Aree interessate da deformazioni superficiali lente, o Soliflusso, non sono ben
definibili, in termini di suscettibilità, applicando l’incrocio dei dati previsto dal metodo; ma,
mentre la prima esula completamente dalle finalità perseguite dallo studio ed è stata registrata
come semplice informazione, la seconda è invece molto importante perché diffusamente presente
in alcune zone del territorio e perché può talvolta rappresentare un indizio di potenziale instabilità di un versante. Di conseguenza, com’è già stato esposto, queste manifestazioni sono state inserite nel sistema considerandole come punti instabili a tutti gli effetti, indipendentemente dalle loro dimensioni.
Considerazioni su alcune situazioni particolari
Nell’area di studio esistono dei fenomeni gravitativi che potremmo definire problematici per
quanto riguarda la loro natura; altri, piuttosto particolari per la complessità delle forme che essi
assumono, anastomizzandosi con fenomeni attigui o per sovrapposizione di eventi successivi su
fenomeni preesistenti; come pure aree potenzialmente instabili ma caratterizzate in prevalenza da
movimenti superficiali.
Tra i suddetti vari fenomeni possono essere evidenziati e descritti sinteticamente i seguenti che
riteniamo maggiormente degni di nota.
-
Alcune frane esistenti nell’area situata ad est della dorsale Rocca Canterano - Rocca di Mezzo classificate come colate lente, a causa delle loro caratteristiche morfologiche e dimensionali, si sono in realtà originate come frane di scorrimento rotazionale, evolutesi successivamente in colate. Detti fenomeni sarebbero quindi da ritenere più propriamente frane di tipo
complesso, ma questa tipologia non è considerata dalla classificazione adottata nell’ambito di
questa metodologia. Ciò può, in alcuni casi, evidenziare un valore di acclività del punto origine e/o della nicchia molto elevato rispetto a quello più modesto dell’ammasso della frana,
fornendo quindi un’evidente discrepanza tra i valori massimi e minimi di acclività attribuiti
ai due tipi di frana, o condizionando addirittura detta attribuzione.
-
Il particolare stato d’instabilità del versante orientale della predetta dorsale e di quello sottostante l’abitato di Anticoli Corrado, il primo caratterizzato da numerosi ed estesi fenomeni
franosi e da varie manifestazioni di soliflusso e il secondo da un’elevata densità di fenomeni
rispetto alla sua estensione, dipende in parte dalla litologia dei terreni ivi affioranti, ma soprattutto dagli effetti prodotti dal sovrascorrimento dell’Unità dei Calcari a Briozoi sui Complessi torbiditici alto-miocenici e, conseguentemente, dalla situazione strutturale distensiva
associata a detto elemento tettonico che interessa l’intera zona e ne condiziona la morfologia.
-
Tra le forme derivanti dalla combinazione di più fenomeni, talora anche di diversa tipologia,
sono da menzionare le due grandi frane rotazionali situate sul versante idrografico sinistro
del Fiume Aniene di fronte all’antico nucleo di Vicovaro; la maggiore delle frane rotazionali
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situata sul versante orientale di Anticoli Corrado, sulla cui porzione più elevata si sono impostati in un secondo tempo due fenomeni minori ma dello stesso tipo; l’insieme di frane situato poco a sud-est di Rocca di Mezzo, che forma un unico complesso costituito da più fenomeni di almeno due diverse tipologie.
-
I versanti moderatamente acclivi circostanti al paese di Mandela, delimitati dai corsi del Torrente Licenza e del Fiume Aniene, sono interessati da un’elevata densità di fenomeni gravitativi dipendenti dalle caratteristiche litologiche della facies marnosa del Membro di Guadagnolo, che localmente è costituito in prevalenza da marne e marne argilloso-siltose alterate.
Sebbene la maggior parte dei fenomeni ivi esistenti sia stata inclusa nella tipologia delle Aree
interessate da deformazioni superficiali lente (Soliflusso) è da tener presente che tutta l’area
è caratterizzata da un elevato grado di potenziale instabilità e che, di conseguenza, si possono
innescare frane in rapida evoluzione sia per motivi naturali che a seguito di alterazioni antropiche, anche modeste.
-
La tipologia delle colate rapide, come mostrato nelle precedenti tabelle, è poco rappresentata
numericamente nell’area di studio. Il layer delle frane mostra una loro maggior relativa concentrazione nella zona a NNW del paese di Vicovaro, ove affiora la Formazione della Maiolica, nella quale la stratificazione sottile e l’elevata densità di fratture con spaziatura centimetrica favoriscono la produzione di materiale detritico. Alcuni altri fenomeni sono presenti sui
rilievi posti a sud della valle dell’Aniene, impostati nelle formazioni mioceniche calcaree
(CBZ3) e marnose o argilloso-marnose (UAM3, SPT1b).
Sono inoltre da mettere in evidenza le due seguenti considerazioni derivanti dalle osservazioni
effettuate durante i controlli di campagna.
La prima consiste nel fatto che la maggior parte delle frane puntuali del tipo rotazionale e, soprattutto, di crollo, appare dipendere da motivi strutturali disgiuntivi, in particolare legati
all’orientamento e alla densità dei sistemi di fratture che hanno favorito la disarticolazione di
pacchi di strati o di singoli diedri nelle rocce a comportamento prevalentemente rigido.
La seconda considerazione riguarda alcune piccole aree franose o singole frane evidenziate in
maniera puntiforme nella stesura della cartografia tematica, relative a fenomeni rilevati sulle foto
aeree o segnalati da relazioni tecniche raccolte presso l’archivio della Provincia di Roma o provenienti da altra fonte, ma che nel frattempo sono state bonificate realizzando opportune opere di
contenimento. Questi tipi di informazioni sono stati comunque inseriti in banca dati ritenendoli
di utilità per la caratterizzazione della stabilità dei versanti, così come sono stati segnalati gli
evidenti piccoli crolli avvenuti su pareti rocciose a ridosso della sede stradale, sebbene attualmente la pericolosità di nuovi eventi sia stata arginata o ridotta mediante la realizzazione di gabbionate, reti e tiranti.
6.4 LAYER PUNTI STABILI.
Seguendo il criterio adottato nel progetto pilota realizzato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università Roma Tre, i punti stabili sono definiti quei punti che si trovano in condizioni
di pendenza di versante al di sotto del minimo necessario per l’innesco di fenomeni franosi e ad
una certa distanza, ritenuta di sicurezza, dalle zone soggette a dissesto. In realtà, secondo i presupposti del metodo d’analisi della suscettibilità da frana, si è considerato che le zone in cui si
realizzano le condizioni di pendenza richieste sono tutte quelle al di fuori delle UTLM e che la
distanza di sicurezza da considerare è riferita alle UTLM stesse. Invece di uno sciame di punti
stabili, si è ricavato, quindi, un layer di aree stabili, applicando un buffer di 200 metri all’esterno
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delle UTLM. Rimane comunque il fatto che questo tipo di dato non influisce sui risultati, poiché
non entra nell’elaborazione dei parametri per l’analisi della suscettibilità da frana.
7 ANALISI DELLA SUSCETTIBILITÀ
7.1 PRESUPPOSTI METODOLOGICI
Dal punto di vista operativo, i principali metodi presenti in letteratura per giungere alla valutazione della suscettibilità, prevedono l’individuazione di un’unità di terreno di riferimento (o unità di mappatura o dominio omogeneo), definibile come quella porzione di superficie di terreno
che contiene una serie di caratteristiche che la differenziano dall’unità adiacente attraverso limiti
ben definiti (Hansen, 1984).
Sono stati proposti vari metodi per la suddivisione in unità territoriali di riferimento per la determinazione della suscettibilità da frana (Meijerink, 1988; Carrara et alii, 1995; Guzzetti et alii,
1999):
 Unità Geomorfologica: si basa sull’assunzione che in un ambiente naturale le relazioni fra
materiali, forme e processi diano per risultato elementi territoriali che frequentemente sintetizzano differenze di base di ordine geomorfologico e geologico;
 Matrice di Celle: il territorio viene suddiviso in celle quadrate di dimensioni predefinite che
diventano le unità territoriali di riferimento per la mappatura del territorio.
 Unità Territoriale Omogenea: ogni fattore di instabilità viene descritto mediante poche classi sufficienti ad esprimere la sua variabilità interna e vengono prodotte delle carte tematiche
per ciascun fattore di franosità; l’intersezione delle carte tematiche evidenzia porzioni di territorio aventi elementi a comune il cui numero e dimensioni sono funzione dei criteri utilizzati nella classificazione dei fattori di instabilità.
 Unità di versante: sono unità territoriali derivate in modo automatico da modelli digitali del
terreno di alta qualità. Sono sostanzialmente riconducibili a elementi geomorfologici evidenziabili mediante aree di drenaggio superficiale e linee spartiacque. A seconda del processo di
versante investigato possono essere usati bacini idrografici di vario ordine oppure soltanto loro porzioni corrispondenti a versanti.
La definizione delle unità territoriali di riferimento è necessaria per la creazione di un database
di parametri, finalizzato alla descrizione di un determinato fenomeno fisico e alla costruzione di
un modello previsionale che tenga conto della distribuzione spaziale e temporale di questi parametri. Sarebbe inoltre sbagliato non ricordare che i modelli di suscettibilità e la scelta dell’unità
di terreno di riferimento sono concettualmente e operativamente correlati; quindi in diversi casi
la scelta del metodo per valutare la pericolosità sembra essere la naturale conseguenza del tipo di
unità di terreno adottata.
Una volta che i fenomeni franosi e i parametri di instabilità sono stati immagazzinati in un database mediante l’utilizzo di un GIS, vari metodi possono essere applicati per ordinare e pesare i
parametri di instabilità e assegnare diversi livelli di suscettibilità. Questo specifico obbiettivo
può essere raggiunto attraverso vari percorsi (Brabb, 1984; Hansen, 1984; Carrara 1989; Van
Westen, 1993).
I più appropriati per il presente lavoro sono i metodi qualitativi, basati su di un unico modello
concettuale che consiste delle seguenti fasi:
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 inventario e realizzazione di una carta delle frane sulla regione in studio o in un sottoinsieme
di essa (area di prova);
 identificazione e realizzazione di carte tematiche per quei parametri geomorfologici che sono
ritenuti direttamente o indirettamente correlati con l’instabilità dei versanti;
 stima del contributo di ogni parametro all’instabilità del versante;
 classificazione della regione in studio in domini di diverso grado di suscettibilità da frana.
In generale i metodi qualitativi (detti anche metodi euristici o diretti) si basano interamente sul
giudizio della persona o delle persone che conducono la valutazione della suscettibilità da frana,
attraverso però l'elaborazione di parametri predefiniti. I dati sono acquisiti da osservazioni di
campagna e dall'interpretazione di foto aeree.
7.2 METODOLOGIA OPERATIVA
Per questo studio, come per gli studi precedenti sul territorio della Provincia di Roma, è stata applicata integralmente la metodologia, definita come Metodologia ENEA – Roma TRE, elaborata
per il progetto pilota realizzato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma
Tre, tra il 2006 e il 2007, per assicurare la continuità di analisi e la confrontabilità dei risultati,
alla quale sono state apportate solo le modifiche dovute soprattutto alla diversità delle condizioni
geologiche e geomorfologiche dell'area studiata. La descrizione della metodologia è riportata qui
di seguito, con le varianti che sono state ritenute opportune per questo progetto.
Si tratta di una metodologia essenzialmente qualitativa derivata dal metodo di sovrapposizione di
dati tematici indicizzati. L’evoluzione principale rispetto alla semplice sovrapposizione di mappe
(overlay mapping) riguarda due passaggi:
1. in primo luogo vengono individuati e classificati i Parametri discriminanti (PD) che rappresentano le condizioni necessarie ma non sufficienti per il verificarsi di una data tipologia
di frana;
2. secondariamente vengono analizzati tutti i Parametri predisponenti (PP), cioè i fattori di
qualsiasi natura che concorrono, direttamente o indirettamente, ad aggravare le condizioni di
stabilità, ma non sono sufficienti a determinarla.
L’analisi procede separatamente per ciascuna tipologia di frana che sia stata individuata nell’area
di studio. Nel caso specifico, la tipologia delle frane per scorrimento traslativo non è stata trattata, poichè la presenza di un solo caso di questo tipo nell’area di studio non permetteva di ottenere
dei risultati significativi.
I parametri discriminanti sono la geologia, considerata come unità litotecnica su cui è impostata la superficie di rottura e la pendenza del versante.
L’intersezione in ambiente GIS dei tipi litotecnici con i relativi intervalli di pendenza, identifica
per tutta l'area di studio le aree ove sussistono le condizioni necessarie ma non sufficienti per cui
quell’area sia suscettibile ad una certa tipologia di fenomeno: tali aree vengono dette Unità Territoriali Lito-Morfometriche (UTLM). La prima zonazione per parametri discriminanti “discrimina”, appunto, le aree in cui sussistono entrambe le condizioni di substrato litologico e pendenza che l’inventario delle frane ha permesso di riconoscere all’origine di almeno un fenomeno.
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Naturalmente, in base a tale distinzione fondamentale, è anche possibile escludere il territorio in
cui non si realizzano le condizioni discriminanti e quindi organizzare le successive fasi di rilevamento e analisi.
La definizione delle UTLM procede quindi attraverso l'identificazione delle classi di pendenza e
delle unità litotecniche, su cui ricadono dei punti instabili, associati a ciascuna delle sei tipologie
di dissesto. Successivamente, viene condotta un'analisi critica dei punti instabili che si trovano in
condizioni di pendenza inferiori al limite di pendenza assunto come necessario per l'innesco di
fenomeni e che dipende da ciascuna tipologia di frana. Questi punti vengono esclusi dalle elaborazioni successive, ma esaminati nelle loro caratteristiche e mantenuti in un archivio separato. In
generale si tratta di dissesti puntiformi e/o areali di piccole dimensioni, legati ad attività antropiche localizzate, o a sbancamenti lungo le strade, dei quali potrà essere tenuto conto per quanto
significano, ma che, se inseriti nell'analisi della suscettibilità, potrebbero alterarne i risultati.
Le UTLM così definite sono state mantenute come prodotto intermedio all'interno del progetto
"Franarisk_rm_2012", in quanto rappresentano il primo livello di individuazione delle aree dove
è presente un rischio di frana, che dovrà essere successivamente definito in base ai parametri
predisponenti.
Il rapporto tra tipologia di frana, unità litotecnica e pendenza del versante, che stabilisce l'insieme dei fattori discriminanti in base ai quali sono definite le UTLM, è mostrato nella tabella 7.1
che segue, dove sono indicate le occorrenze di punti instabili per unità litotecniche e per intervalli di pendenza.
Tab. 7.1: Numero di frane rilevate per tipologia, classe litotecnica e intervallo di pendenza.
SOLIFLUSSI
Sigla Lito
Unità Lito
numero
Ar
Ca
Cg
Cs
MC
MCa
MP
Pt
c
d
t
arenarie con intercalazioni pelitiche
calcareniti e calcari
conglomerati
calcari stratificati
marne e calcari
marne e calcareniti
marne e peliti
piroclastico, tufo litoide
colluvioni/eluvioni
detriti
travertini
29
25
4
21
85
8
3
1
5
6
2
totale 189
pendenza
minima
7
9
8
8
6
9
18
10
6
7
28
pendenza
massima
37
39
19
39
33
27
30
10
16
22
29
pendenza
media
21,45
23,80
14,25
16,67
14,93
16,75
22,33
10,00
9,80
16,33
28,50
pendenza
minima
14
8
13
7
10
9
12
10
pendenza
massima
43
55
39
35
10
9
12
10
pendenza
media
27,77
32,58
20,21
16,67
10,00
9,00
12,00
10,00
COLATE LENTE
Sigla Lito
Unità Lito
numero
Ar
Ca
Cs
MC
MP
Mca
Pt
d
arenarie con intercalazioni pelitiche
calcareniti e calcari
calcari stratificati
marne e calcari
marne e peliti
marne e calcareniti
piroclastico, tufo litoide
detriti
13
12
14
21
1
1
1
1
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z
totale
frana
2
totale 66
13
20
16,50
pendenza
minima
10
12
11
11
21
pendenza
massima
12
25
25
11
38
pendenza
media
11,00
18,00
19,67
11,00
29,50
pendenza
minima
16
15
32
15
12
16
13
12
12
24
pendenza
massima
37
55
32
32
37
39
13
12
40
24
pendenza
media
26,20
31,37
32,00
23,50
19,17
31,50
13,00
12,00
29,60
24,00
pendenza
minima
9
9
7
10
7
17
8
33
44
22
25
17
pendenza
massima
47
67
8
34
45
17
14
33
44
23
32
43
pendenza
media
23,26
26,53
7,50
20,41
20,15
17,00
11,00
33,00
44,00
22,50
28,50
29,25
COLATE RAPIDE
Sigla Lito
Unità Lito
numero
Ca
Cs
MC
MP
z
totale
calcareniti e calcari
calcari stratificati
marne e calcari
marne e peliti
frana
2
3
6
1
2
totale 14
FRANE DI CROLLO
Sigla Lito
Unità Lito
numero
Ar
Ca
Cg
Cs
MC
MP
Mca
c
d
t
totale
arenarie con intercalazioni pelitiche
calcareniti e calcari
conglomerati
calcari stratificati
marne e calcari
marne e peliti
marne e calcareniti
colluvioni/eluvioni
detriti
travertini
10
65
1
14
23
4
1
1
5
2
totale 126
FRANE DI SCORRIMENTO ROTAZIONALE
Sigla Lito
Unità Lito
numero
Ar
Ca
Cg
Cs
MC
MP
Mca
Poz
c
d
lc
z
totale
arenarie con intercalazioni pelitiche
calcareniti e calcari
conglomerati
calcari stratificati
marne e calcari
marne e peliti
marne e calcareniti
piroclastico, Pozzolane
colluvioni/eluvioni
detriti
deposito lacustre
frana
38
55
2
17
52
1
2
1
1
2
2
8
totale 181
FRANE DI SCORRIMENTO TRASLATIVO
Sigla Lito
Unità Lito
numero
MC
marne e calcari
1
pendenza pendenza pendenza
minima
massima media
23
23
23
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I parametri predisponenti sono rappresentati dalle condizioni geomorfologiche, morfometriche, litotecniche, tettoniche e di uso del suolo il cui contributo, differenziato per ciascuna tipologia di fenomeno franoso, determina la maggiore o minore suscettibilità. Essi non bastano a determinare la suscettibilità di un’area, ma il loro contributo distinto permette di qualificare un’area
già riconosciuta suscettibile in base ai soli parametri discriminanti (UTLM).
I parametri riconosciuti sono i seguenti:
PARAMETRI DISCRIMINANTI (PD) PARAMETRI PREDISPONENTI (PP)
Unità litotecnica
Uso del suolo
Pendenza
Tipo di contatto litologico
Zona tettonica per sistema di faglie
Zona tettonica per dominio strutturale
Rapporto giaciturale per Unità di Versante
Litologia
Esposizione per Unità di Versante
Pendenza
Distanza da asse viario
I dati relativi al parametro Unità litotecnica si riferiscono alla Carta Litotecnica derivata dalla
Carta Geologica realizzata appositamente per questo studio (vedi capitoli 4 e 5 di questo Rapporto).
Il DEM che è servito per ricavare i parametri Pendenza ed Esposizione, è stato costruito a partire
dai dati altimetrici esistenti. Sono state acquisite nella banca dati le curve di livello esistenti in
forma digitale derivate dalla base IGM 1:25.000, con equidistanza di 25 metri. Tuttavia, data la
forte acclività media dell’area di studio, l'equidistanza di 25 metri è risultata sufficiente a fornire
una base dati che permettesse di applicare la metodologia di analisi. Dai dati di cui sopra è stato
costruito un DEM, con passo di 10 metri e in certi casi di 1 metro, utilizzato nelle elaborazioni
per l'analisi di suscettibilità sull'area, oggetto di questo studio.
Come Uso del suolo è stato impiegato lo strato informativo fornitoci dal Servizio Geologico
Provinciale e realizzato dalla Regione Lazio nel 2003 in scala nominale 1:25.000, il cui contenuto informativo è riferito alla legenda derivata da quella del CORINE Land Cover con dettaglio
fino al 3° livello.
Il Tipo di contatto litologico rappresenta la discontinuità che si crea su di un versante al passaggio tra due litologie a comportamento differente. Il parametro è valutato su di una fascia di 20
metri a monte e 20 metri a valle del contatto litologico.
Non sono stati presi in considerazione nella valutazione i contatti tra litologie del substrato e depositi di copertura e tra i diversi depositi di copertura, anche se questi sono entrati nel calcolo
statistico che ha portato alla definizione del valore del parametro da utilizzare nella valutazione
della suscettibilità.
Nella nostra area di studio, le tipologie di contatto che sono state considerate sono quindi le seguenti:
LITOLOGIA A MONTE
LITOLOGIA A VALLE
alternanza rigido e duttile
rigido
rigido
alternanza rigido e duttile
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rigido
granulare duttile
duttile
da litoide a granulare
Come si può notare, nonostante la varietà di litologie affioranti nell'area, le combinazioni di contatto significative per gli scopi dell’analisi sono relativamente poche.
La Zonazione tettonica per sistema di faglie, consiste nella valutazione dell'influenza dei singoli
elementi tettonici nella determinazione del rischio di dissesto. La Zonazione tettonica per dominio strutturale, invece, si riferisce alla deformazione “diffusa” in funzione dei sistemi tettonici
locali e regionali. In realtà nella nostra area di studio, le faglie presenti sono piuttosto frequenti e
tutte sufficientemente vicine da poter costituire un dominio strutturale. Per cui, per tenere conto
dell’interferenza tra le faglie e analizzare la zonazione per domino strutturale è stato scelto un
buffer d'influenza di 200 m, in modo che un solo parametro è stato considerato come espressione
del contributo di questo tipo di dato alla valutazione della suscettibilità.
Per la spazializzazione del Rapporto giaciturale fra il versante e la giacitura degli strati, l’intera
area di studio è stata suddivisa, tramite analisi del DEM, in Unità di Versante caratterizzate
dall’omogeneità della pendenza e dell’esposizione. La pendenza è espressa in 5 classi (0°-20°,
20°-30°, 30°-40°, 40°-50°, 50°-80°). Naturalmente le aree al di sotto del limite inferiore considerato necessario per l’innesco per ciascuna tipologia di frana sono escluse già a livello di calcolo
delle UTLM. Il parametro esposizione è stato classificato per ottanti, secondo classi centrate su
N, NE, E, SE, S, W, W, NW. La successiva analisi GIS ha permesso di caratterizzare ciascuna
Unità di Versante attraverso l'incrocio, prima tra l'esposizione del versante e l'immersione degli
strati e successivamente tra la pendenza del versante e la pendenza degli strati. Il parametro rapporto giaciturale, in funzione della propensione al dissesto, è quindi espresso dalle seguenti classi:
esposizione versante rispetto ad immersione giacitura
fino a 45°
fino a 45°
da 45° a 90°
da 45° a 90°
da 90° a 135°
da 135° a 180°
pendenza giacitura rispetto a pendenza versante
minore o uguale
maggiore
minore o uguale
maggiore
qualsiasi
qualsiasi
rapporto giaciturale
franapoggio con inclinazione strati <= pendio
franapoggio con inclinazione strati > pendio
frana-traverpoggio con inclinazione strati <= pendio
frana-traverpoggio con inclinazione strati > pendio
traverpoggio
reggipoggio
Per la rappresentazione della Distanza da asse viario è stato considerato un intorno significativo
relativamente alla viabilità provinciale, considerando massimo il contributo di tale parametro nei
primi 6 metri di distanza dall’asse viario e tendente gradualmente all’annullamento oltre i 20 metri. Tale parametro intende qualificare il contributo all’instabilità di versante dato dai tagli stradali come elementi di discontinuità nel profilo del versante. Nelle aree dove la pendenza del versante è inferiore al limite minimo considerato e che quindi non rientrano nell'analisi della suscettibilità, questo parametro è servito a giustificare una serie di punti instabili che sono stati esclusi
dall'analisi perchè non ricadenti in nessuna delle UTLM.
Operativamente, nella procedura di analisi della suscettibilità, sono stati spazializzati tutti i parametri predisponenti attraverso la realizzazione di uno strato informativo per ogni tematismo.
Tutti gli strati informativi sono costituiti da layer in formato ESRI GRID con cella di 10 metri.
L’integrazione in ambiente GIS degli strati informativi relativi a ciascun parametro e il layer dei
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punti instabili, ha permesso di caratterizzare i punti instabili in funzione di una specifica combinazione di parametri predisponenti.
In seguito al rilevamento e alla valutazione dei fenomeni reali, i parametri predisponenti sono
stati classificati in funzione del contributo all’insorgenza di un fenomeno franoso. Alle varie
classi di ogni parametro predisponente, e separatamente per ogni tipologia di frana, è stato attribuito un indice (i) crescente (da 0 a 9) in funzione del contributo di ciascuna classe all’instabilità.
In questo modo per ogni parametro predisponente è stata realizzata una tabella in cui per ciascuna classe vengono riportati i valori degli indici relativamente a ciascuna tipologia di frana. A ciascun parametro, poi, viene attribuito un peso che esprime il contributo del parametro nel suo insieme, rispetto agli altri parametri, indipendentemente dalla tipologia di frana.
L'attribuzione degli indici alle singole classi e dei pesi ai parametri, ha seguito, come nei progetti
precedenti, un approccio euristico, basato comunque, per quanto possibile, su di un'analisi preliminare di tipo statistico.
Dal momento che gli indici sono espressi da numeri, tale relazione si può configurare come una
funzione matematica. Per non appesantire l’elaborazione e consentire un approccio intuitivo alla
procedura si è scelta una funzione elementare ma sufficientemente efficace: la Funzione di Suscettibilità proposta è sostanzialmente una somma pesata degli indici associati ai parametri predisponenti, applicata alle sole UTLM che verificano le condizioni discriminanti. La funzione generale applicata per il calcolo della suscettibilità di ciascun fenomeno franoso (f) è la seguente:
S f  I geol  I pend 
dove:
Sf
Igeol
Ipend
in
Pn
 i

n
n
 Pn 
n
Pn
: Suscettibilità alla tipologia di fenomeno franoso f
: indice del parametro discriminante geologia
: indice del parametro discriminante pendenza
: indice del parametro predisponente n-simo
: peso del parametro predisponente n-simo
I parametri discriminanti hanno indice 0 o 1 a seconda, rispettivamente, che non sussistano o che
sussistano le condizioni che danno luogo a suscettibilità. Di conseguenza il primo fattore assume
significato (1) solo se sussistono entrambe le condizioni di geologia e pendenza perché esista suscettibilità non nulla, in pratica se la cella in esame rientra nella UTLM di quella tipologia di frana. Il secondo fattore rappresenta al numeratore la vera e propria somma degli indici i relativi
agli n parametri predisponenti considerati moltiplicati per il peso P, che serve a bilanciare il contributo di ciascun parametro; al denominatore invece presenta la somma dei pesi P, necessaria
alla normalizzazione del risultato secondo la stessa scala degli indici (da 0 a 9).
Naturalmente l’attribuzione degli indici è stata ricavata dalle osservazioni di terreno e dalla preanalisi statistica succitata, ma la semplicità e la flessibilità della funzione consente di intervenire
facilmente sugli indici e/o sui pesi per tarare il modello, in modo da renderlo il più possibile coerente con le osservazioni. Inoltre è possibile correggere le inevitabili approssimazioni determinate dalla non perfetta conoscenza o possibilità di rappresentazione dei parametri.
Il lato negativo della metodologia sta nel fatto che i valori dei parametri sono attribuiti in base
alla casistica dei fenomeni rilevati e sono quindi strettamente dipendenti dalle condizioni dell'area studiata. Per dare un esempio, il valore massimo di pendenza rilevato per una frana di scorrimento rotazionale, di 67°, è dovuto al semplice fatto che nell'area non esistono zone significati35
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ve con pendenze maggiori. Questo aspetto limita la confrontabilità di aree vicine ma studiate separatamente, in quanto i parametri su cui si basa l'analisi di suscettibilità hanno valori diversi.
8. SERIE STORICHE DELLA PIOVOSITÀ
I dati pluviometrici storici relativi all’area di studio sono acquisibili direttamente dal sito internet
della Regione Lazio (www.idrografico.roma.it), sul quale sono reperibili gli Annali Idrologici
compilati dall’attuale Ufficio Idrografico e Mareografico, iniziati con l’anno 1951 e la cui edizione attualmente consultabile, si riferisce ai dati fino al 2002. Dati più recenti sono ricavabili,
nello stesso archivio, dai Bollettini Idrologici, dove sono riportati i dati cumulativi mensili della
piovosità, dal 2004 al 2012, ma non continuativamente per tutte le stazioni. Dai suddetti archivi
sono stati tratti i dati utilizzati nelle analisi condotte per questo studio.
Tra tutte le stazioni pluviometriche che in qualche modo contengono dati rilevanti per l’area in
esame, appartenenti al sottobacino Tevere XIV – Aniene. Le uniche che presentano una certa
continuità di registrazione e i cui dati sono rilevanti per l’area di studio, sono due, quella di Frascati e quella di Subiaco S. Scolastica, la prima posta circa 25 Km a Sud-Ovest, la seconda poco
fuori a Sud-Est dell’area di studio. La serie storica dei dati presi in considerazione si riferisce
all’arco temporale 1982-2012, con un’unica lacuna, relativa all’anno 2003.
Negli Annali Idrologici sono riportate le seguenti tabelle:
 Tab I –
Osservazioni pluviometriche giornaliere.
 Tab II – Totali annui e riassunti dei totali mensili della quantità delle precipitazioni.
 Tab III – Precipitazioni di massima intensità registrate ai pluviografi.
 Tab IV – Massime precipitazioni dell’anno per periodi di più giorni consecutivi.
 Tab V – Precipitazioni di notevole intensità e breve durata registrate ai pluviografi.
Fig. 8.1 – Esempio di tabelle relative alle osservazioni pluviometriche giornaliere.
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Dalle tabelle relative alle osservazioni pluviometriche giornaliere (Tab. I, vedi Fig. 8.1) sono stati tratti i dati per l'analisi dei rapporti tra piovosità e dissesti (Cap. 10.1).
Dalle tabelle dei totali annui e riassunti dei totali mensili della quantità delle precipitazioni (Tab.
II) sono stati tratti i dati, tabulati in due archivi all’interno del progetto Franarisk_rm_2012, "TabII_piovosità.xls" e "Grafici_TabII.xls", che sono serviti ad elaborare i diagrammi delle serie
temporali di piovosità per l’intero intervallo considerato, per le singole stazioni (Fig. 8.2) e la
media di tutte le stazioni delle piovosità totali annue (Fig. 8.3).
Piovosità m ensili totali - Stazione di Frascati
400,0
300,0
mm/mese
200,0
100,0
Mag '05
Lug '06
Sett '07
Nov '08
Gen '10
Mar '11
Mag '12
Mag '05
Lug '06
Sett '07
Nov '08
Gen '10
Mar '11
Mag '12
Mar '04
Gen '03
Nov '01
Lug '99
Sett '00
Mag '98
Mar '97
Nov '94
Gen '96
Sett '93
Lug '92
Mag '91
Mar '90
Gen '89
Nov '87
Sett '86
Lug '85
Mag '84
Mar '83
Gen '82
0,0
Mesi
Piovosità m ensili totali - Stazione di Subiaco S. Scolastica
Mar '04
Gen '03
Nov '01
Lug '99
Sett '00
Mag '98
Mar '97
Nov '94
Gen '96
Sett '93
Lug '92
Mag '91
Mar '90
Gen '89
Nov '87
Sett '86
Lug '85
Mag '84
Mar '83
Gen '82
mm/mese
500,0
400,0
300,0
200,0
100,0
0,0
Mesi
Fig. 8.2 – Andamento della piovosità mensile nelle 2 stazioni considerate.
Piovosità totali annue - media delle due stazioni
mm/anno
1500,0
1000,0
500,0
0,0
1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002
2004 2006 2008 2010
Anni
Fig. 8.3 – Piovosità totali annue, media delle 2 stazioni considerate.
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Dal diagramma della Fig. 8.3, si rileva che gli anni più piovosi sono stati: 1984, 1996, 2004,
2008e 2010, con valori tra 1200 e 1400 mm e che l'andamento medio si attesta su valori compresi tra 600 e 800 mm.
Confrontando i dati delle due stazioni, si nota, dai diagrammi di Fig. 8.2, che, mentre a Frascati i
picchi più alti si mantengono al di sotto di 250 mm, con un solo caso che arriva a 300 mm, a S.
Scolastica, numerosi picchi arrivano a 300 mm e 4 li superano, arrivando anche a toccare i 400
mm, come è comprensibile, data la posizione di questa stazione all’interno di rilievi montagnosi.
Per la sua posizione, è da ritenere che la stazione di S. Scolastica sia più rappresentativa di Frascati per la situazione dell’area di studio.
Per ambedue le stazione sono state elaborate anche le medie mensili per tutto l'intervallo temporale considerato (Fig. 8.4) e l'istogramma di frequenza (Fig. 8.5.)
mm
Medie mensili nell'intevallo 1982-2012 - Stazione di Frascati
140
120
100
80
60
40
20
0
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Mesi
Medie mensili nell'intevallo 1982-2012 - Stazione di Subiaco S.
Scolastica
200
mm
150
100
50
0
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Mesi
Fig. 8.4 – Media delle piovosità mensili nell'intervallo 1982-2012.
I diagrammi di Fig. 8.4, mostrano un andamento abbastanza allineato con le medie dell'Italia
centrale, con la massima piovosità distribuita nei mesi autunnali di Ottobre, Novembre e Dicembre.
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Frequenza della piovosità mensile nel periodo 1982-2012 Stazione di Frascati
120
100
numero di mesi
80
60
40
20
0
<30
30-60
60-100
100-150
150-200
>200
mm/mese
Fig. 8.5 – Istogramma di frequenza della piovosità mensile nelle due stazioni.
Dall'istogramma di Frascati si rileva che la distribuzione della piovosità mensile si concentra intorno a valori compresi tra meno di 30 mm e 100 mm (274 mesi su 356 considerati) e solo 9 casi
superano i 200 mm. Il mese più piovoso in assoluto del periodo, a Frascati, è Dicembre 2008,
con 297,4 mm.
Nella stazione di S. Scolastica si nota una distribuzione più ampia della piovosità mensile, tra
meno di 30 mm e 150 mm, con le frequenze più alte nei valori tra 60 e 150 mm (161 mesi su 356
totali rappresentati). Inoltre i mesi con frequenze superiori a 200 mm sono in questo caso 33. Il
mese più piovoso in assoluto, a Subiaco S. Scolastica è il Novembre 1991 con 407,8 mm, seguito
a breve distanza dal Novembre 2010 con 355,8 mm.
Nell’arco dei 30 anni considerati, i mesi più piovosi sono risultati, a Frascati Ottobre, Novembre
e Dicembre, con 6 anni su 30 ciascuno, mentre a Subiaco S. Scolastica sono Novembre e Dicembre, ognuno con 8 anni su 30.
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9. STUDIO DELLA SISMICITÀ STORICA
9.1 INTRODUZIONE
Questo paragrafo, parzialmente modificato ed aggiornato, riporta gran parte di quanto già contenuto nella relazione finale, datata aprile 2009, relativa al precedente studio eseguito tra il 2008 e
il 2009 da Geomap srl e Agristudio srl, utilizzando la stessa metodologia messa a punto nello
studio pilota realizzato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università Roma Tre tra il
2006 e il 2007.
Lo studio della sismicità storica dell’area ha come scopo quello di definire il massimo grado di
intensità sismica registrato nell’area al fine di valutare la possibilità di eventi sismici come possibili fattori di innesco di fenomeni franosi. La ricerca si è basata sull’analisi dei dati bibliografici e delle banche dati della sismicità storica e strumentale dell’INGV.
I dati di sismicità dell’area sono stati rivisti e aggiornati attraverso l’analisi delle fonti storiche e
dei cataloghi sismici da Molin e altri, all’interno di uno studio sulla sismicità della Valle
dell’Aniene effettuato in seguito alle scosse sismiche avvenute nel versante meridionale dei
Monti Ruffi nel marzo 2000 (Molin et alii, 2002).
La costruzione del catalogo dei terremoti di origine locale è stata condotta essenzialmente aggiornando e incrementando i dati estratti dal Catalogo dei terremoti italiani del CNR-Progetto
Finalizzato Geodinamica (CNR-PFG; Postpischl, 1985), il più recente che contenga scosse di
ogni intensità e tipologia, e il Catalogo macrosismico del Lazio di Dell’Olio & Molin (inedito).
Sono stati inoltre utilizzati i risultati ottenuti dalle ricerche di sismologia storica svolte dall’ING
relativamente all’area Aniene-bassa Sabina (Molin et alii, 2002).
Per quanto riguarda le fonti informative relative ai terremoti di origine locale, le indagini sono
state condotte attraverso la ricerca di nuova bibliografia, il recupero dei lavori pubblicati dopo il
1980, la consultazione di giornali ed il reperimento di documentazione inedita presso biblioteche
di Roma, la Biblioteca del Monumento Nazionale di Subiaco (BMNS) e l’Istituto Nazionale di
Geofisica (ING), dove sono attualmente conservate le cartoline sismiche pervenute all’Ufficio
Centrale di Meteorologia e Geodinamica (o Geofisica, o Ecologia Agraria) di Roma (UCMG)
dal 1900 al 1975 circa (Molin et alii, 2002). Per le scosse caratterizzate da Io>V grado MCS sono stati anche consultati il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, il Catalogo dei forti terremoti in Italia dell’Istituto Nazionale di Geofisica e SGA storia geofisica ambiente, e NT4.1, un
catalogo parametrico di terremoti di area italiana del Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti, nonché i relativi database macrosismici.
Per le scosse posteriori al 1980 sono stati utilizzati anche i dati sismometrici e macrosismici forniti dall’Istituto Nazionale di Geofisica, dati che hanno permesso di prolungare il catalogo fino al
luglio 2000. Anche per quanto riguarda l’esame dei più importanti terremoti di origine esterna,
quasi tutti caratterizzati da intensità epicentrali relativamente elevate, si è fatto in genere riferimento al catalogo CPTI e quindi ai database macrosismici dei cataloghi del GNDT e di INGSGA.
Nella Tabella 19.1 è riportato l’elenco completo degli eventi sismici dell’area considerati nelle
indagini. Per ogni terremoto sono riportati:
- data e ora dell'evento;
- numero delle località interessate (punti d’intensità, np) di cui si ha notizia;
- intensità massima osservata (Ix) ed intensità epicentrale (Io);
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-
coordinate epicentrali derivate da dati macrosismici o, per eventi recenti, da registrazioni
strumentali;
valori di magnitudo (Ml, Ms ed Md) reperiti in letteratura;
area origine, rappresentata da una sub-regione sufficientemente conosciuta da permettere una
rapida individuazione dell’area in cui ha avuto origine l’evento.
Tab 9.1 - Catalogo dei terremoti risentiti nell’area di studio (da Molin et alii, 2002)
anno
me
gi
or
mi
se
np
Ix
Io
lat.N
lat.E
Ml
Ms
Md
area origine
1216
1227
1298
1299
1348
1349
1349
1456
1461
1654
1703
1703
1706
1759
1766
1766
1830
1830
1831
1831
1855
1867
1868
1868
1871
1871
1872
1873
1873
1873
1874
1875
1876
1876
1876
1876
1877
1877
1877
1877
1877
1879
1879
1886
1886
1887
1888
1888
1890
1890
1890
12
12
09
09
12
11
07
01
02
11
01
01
01
01
10
11
01
12
08
10
09
12
02
01
01
04
10
12
07
07
07
08
01
03
08
08
08
05
08
09
09
12
09
09
02
02
05
01
01
09
09
05
26
23
14
02
03
09
09
02
02
24
18
03
22
01
11
23
15
20
14
02
05
19
30
30
08
02
18
23
24
24
31
23
05
05
28
16
16
27
27
04
09
21
00
18
11
13
00
01
02
21
23
16
06
02
03
08
09
05
13
20
22
02
02
01
23
22
22
02
05
07
23
23
23
22
00
00
04
23
18
30
25
05
30
30
30
10
30
30
30
55
05
20
53
30
40
45
50
25
40
20
30
45
46
27
1
-
1
D
7
1
1
22
24
199
10
44
196
70
99
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
3
1
1
1
1
2
1
1
1
5
1
1
2
1
1
9
3
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
D
95
D
D
100
100
110
100
100
110
100
105
F
D
D
F
F
F
F
F
45
45
F
45
45
F
45
30
50
20
20
30
50
20
30
45
40
30
70
45
40
50
50
55
30
35
35
35
45
50
85
95
100
100
100
95
110
100
95
45
45
45
45
45
30
50
20
20
30
50
20
30
45
40
30
70
45
40
50
50
55
30
35
35
35
45
50
42.550
42.170
41.480
41.302
42.308
41.630
42.680
42.470
42.080
41.925
41.925
41.925
41.925
41.925
41.925
41.925
41.942
41.925
41.925
41.802
41.925
41.925
41.877
41.925
41.925
41.720
41.897
41.906
41.925
42.025
42.025
41.925
41.926
41.926
41.926
41.926
41.926
12.830
13.380
14.070
14.711
13.543
13.680
13.120
13.200
14.080
13.095
13.095
13.095
13.095
13.095
13.095
13.095
13.037
13.095
13.095
13.336
13.095
13.095
12.993
13.095
13.095
13.350
13.102
13.200
13.095
12.994
12.994
13.095
13.231
13.231
13.231
13.231
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-
-
-
Alto Aniene
Alto Aniene
Reatino
Alto Aniene
Alto Aniene
Aquilano
Frusin.-Molise
Molise
Aquilano
Frusinate
Area di Norcia
Aquilano
Maiella
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Monti Ernici
Alto Aniene
Alto Aniene
M.ti Prenestini
Alto Aniene
Alto Aniene
Frusinate
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
GEOMAP Srl
Lungarno C. Colombo 48, 50136 Firenze
41
Provincia di Roma - Dipartimento V, Servizio 4 "Geologico"
Contratto del 23/03/2012 – n° 1/2012
Cartografia della suscettibilità da frana di parte del territorio della Provincia di Roma
RELAZIONE FINALE – MARZO 2013
anno
me
gi
or
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np
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Io
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lat.E
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area origine
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1891
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1891
1891
1891
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1894
1896
1896
1897
1897
1897
1899
1899
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1901
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1903
1903
1903
1904
1904
1904
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1906
1907
1907
1907
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1908
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1915
1915
1915
1915
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41.926
41.926
41.800
41.965
41.926
41.926
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41.926
41.926
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41.926
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Alto Aniene
Alto Aniene
Val Roveto
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Colli Albani
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Alto Aniene
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Alto Aniene
Alto Aniene
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Marsica
MarsicaMarsicaAlto Aniene
Alto Aniene
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Monti Ernici
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Alto Aniene
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Provincia di Roma - Dipartimento V, Servizio 4 "Geologico"
Contratto del 23/03/2012 – n° 1/2012
Cartografia della suscettibilità da frana di parte del territorio della Provincia di Roma
RELAZIONE FINALE – MARZO 2013
anno
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41.925
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42.009
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42.003
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13.095
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13.095
13.095
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13.231
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13.231
13.231
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13.231
13.095
13.095
13.095
13.231
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Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Valnerina
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
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Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
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Alto Aniene
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Alto Aniene
Alto Aniene
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Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
Alto Aniene
In totale nella tabella sono elencati 164 eventi di cui:
GEOMAP Srl
Lungarno C. Colombo 48, 50136 Firenze
43
Provincia di Roma - Dipartimento V, Servizio 4 "Geologico"
Contratto del 23/03/2012 – n° 1/2012
Cartografia della suscettibilità da frana di parte del territorio della Provincia di Roma
RELAZIONE FINALE – MARZO 2013
-
n. 6, riportati interamente in corsivo, risultano molto dubbi o inesistenti; di questi quattro sono di epoca medioevale (1216, 1227, 1299 e 1348) e due dell'ultimo secolo, rispettivamente
del 31 luglio 1901 e del 19 dicembre 1908;
-
n. 30, oltre ai sei di cui al punto precedente, sono privi di parametri epicentrali, generalmente
non stimabili per scarsità di informazioni; molti di questi corrispondono a probabili repliche
segnalate in località dell’Alto Aniene di alcuni importanti terremoti, in particolare di quello
del 13 gennaio 1915 (Io=XI grado MCS) con origine nella vicina Marsica; per questi eventi
vengono indicate solo data ed intensità massima osservata, mentre l’area origine, essendo incerta, viene riportata in corsivo;
-
n. 12 rappresentano terremoti di origine esterna che hanno prodotto, o probabilmente prodotto, danni in almeno una località dell’Alto Aniene; i relativi dati macrosismici di base riguardano solo località dell’Alto Aniene;
-
n. 6 rappresentano terremoti che, dopo le indagini, sono risultati di origine esterna, ma con
epicentro in aree immediatamente limitrofe all’Alto Aniene; questi eventi figurano in elenco
sia per il fatto che sono stati oggetto di indagini, sia in quanto tra le località più fortemente
interessate almeno una appartiene all’Alto Aniene;
-
n. 110 sono terremoti di origine locale; risultano tutti di epoca piuttosto recente,essendo avvenuti tra il 1867 ed il 2000; di questi n. 90 sono definiti da parametri epicentrali ricavati da
dati macrosismici e n. 20, avvenuti dal 1980 in poi, da parametri epicentrali ricavati da dati
sismometrici; questi ultimi, caratterizzati da valori di magnitudo ≥3.0, sono stati considerati
in quanto, sebbene non si posseggano informazioni sui risentimenti, sono stati molto probabilmente avvertiti dalla popolazione. In Figura 9.1 viene riportata la distribuzione temporale
degli eventi sismici nell’area sino al 1998.
Fig. 9.1 - Distribuzione temporale degli eventi sismici nell’area sino al 1998
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Ad integrazione degli eventi registrati nella precedente tabella, nella Tab. 9.2 sono riportati gli
eventi avvenuti in aree interne o prossime all’area di studio tra il luglio 2000 e l’aprile 2006, ricavati dal Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI08aq-Aprile 2009), mentre nella
successiva Tabella 9.3 sono riportati quelli con magnitudo pari o superiore a 2,0 avvenuti nella
stessa area durante il periodo maggio 2006 - settembre 2012, ricavati dal sito dell’INGV consultando le liste relative a ciascun anno ed estraendo i dati d’interesse disponibili.
Tab. 9.2 – Eventi sismici verificatisi tra luglio 2000 e aprile 2006
anno me
gi
or
mi
se
np
Imx
Io
Lat.N
Lon.E
area origine
2000
11
13
17
28
28
29
5-6
5
41.951
12.985
Monti Tiburtini
2001
12
20
01
54
09
Monti Tiburtini
2002
10
31
10
32
59
Monti Tiburtini
2003
01
27
04
03
46
64
5-6
5-6
41.773
14.707
Monti Tiburtini
2003
12
30
05
31
38
339
5-6
5-6
41.714
14.851
Monti dei Frentani
2004
10
05
23
12
22
78
5-6
5
41.908
12.995
Monti Tiburtini
2005
03
01
05
41
37
137
5-6
5
41.728
14.964
Monti dei Frentani
2005
08
22
12
02
08
57
Anzio
Tab. 9.3 – Eventi sismici verificatisi tra maggio 2006 e settembre 2012
anno me
gi
or
mi
se
Mag prof Lat.N
Lon.E
zona sismica
2007
09
24
02
15
14
2,1
7,3
41.922
12.983
Monti Tiburtini-Prenestini
2007
09
25
11
24
56
2,2
10,0 42.047
13.009
Monti Tiburtini-Prenestini
2008
11
18
10
10
38
2,0
10,0 42.040
12.993
Monti Tiburtini-Prenestini
2009
03
12
12
18
27
2,2
17,8 39.881
16.119
Monti Tiburtini-Prenestini
2009
03
20
09
40
52
2,2
17,9 42.024
12.945
Monti Tiburtini-Prenestini
2009
04
22
03
23
44
2,4
8,2
42.108
12.998
Monti Tiburtini-Prenestini
2009
05
27
07
09
39
2,1
9,9
42.047
13.102
Monti Tiburtini-Prenestini
2011
09
11
01
44
22
2,1
9,0
42.173
12.859
Monti Tiburtini-Prenestini
2012
07
14
03
39
10
2,0
7,0
42.031
12.828
Monti Tiburtini-Prenestini
2012
09
09
05
41
09
2,0
7,0
42.088
12.845
Monti Tiburtini-Prenestini
2012
09
10
21
23
57
2,8
4,0
42.098
12.859
Monti Tiburtini-Prenestini
Nel periodo documentato nella tabella soprastante sono stati registrati, in altre date e soprattutto
nella zona del comune di Arsoli, numerosi terremoti con intensità generalmente compresa tra 1,7
e 1,9. In concomitanza della sequenza sismica dell’Aquila solo l’evento del 22 aprile è stato risentito nella zona di studio.
9.2 SISMICITÀ REMOTA
I terremoti con epicentro al di fuori dell’area considerata che hanno prodotto danni nell’Alto
Aniene sono riportati in Tabella 9.4 (Molin et alii, 2002), nella quale per ogni evento sono indicati, oltre ai principali parametri, anche l’intensità massima (Iax) con cui è stato risentito, o probabilmente risentito, in una o più località dell’Alto Aniene e la distanza D in km tra l’epicentro
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del terremoto e Subiaco (considerato data la presenza del Monastero di Santa Scolastica, sede di
un preziosissimo archivio storico). I casi in cui il valore di Iax figura in corsivo significano che,
non essendo disponibili osservazioni dirette, quei dati sono stati desunti dall’andamento dei
campi macrosismici dei rispettivi terremoti.
Tab. 9.4 – Elenco dei terremoti remoti risentiti nella media-alta Valle dell’Aniene (da
Molin et alii, 2002)
Nella tabella sono riportati 12 eventi, anche se per i terremoti del 1349 e del 1703 si posseggono
solo gli effetti cumulati delle due scosse segnalate; in entrambi i casi, tuttavia, gli effetti prodottisi in Alto Aniene dovrebbero essere dovuti principalmente alle scosse provenienti dall’Aquilano,
caratterizzate da epicentro molto più vicino.
L’evento più antico è rappresentato dal grande terremoto del 9 settembre 1349 che ha apportato
danni molto gravi all’Abbazia di Santa Scolastica ed in Subiaco, dove ha raggiunto un valore
d’intensità compreso tra l’VIII ed il IX grado MCS; tale valore rappresenta in assoluto la massima intensità storicamente osservata nell’Alto Aniene. Anche nelle altre località dell’area dovrebbe essere stato risentito con intensità simile. Il terremoto del 1349, come già accennato, è un
evento particolarmente complesso, tanto che nei cataloghi più recenti è stato soggetto a parametrizzazione multipla; infatti, il relativo campo macrosismico, molto esteso e caratterizzato dalla
presenza di due principali aree di maggior danneggiamento (≥IX-X grado) tra loro distanti alcune decine di km, viene considerato come dovuto al concorso di almeno due scosse avvenute
pressocché contemporaneamente, ma con epicentro differente.
Le due aree più importanti sono situate una nella zona tra l’Aquila e la valle del Salto (Aquilano), e l’altra nella zona di Cassino-Isernia (Frusinate-Molise). Come accennato in precedenza, il
danneggiamento prodottosi nell’Alto Aniene dovrebbe essere in gran parte dovuto alla scossa
dell’Aquilano con origine più vicina rispetto a quella di Cassino- Isernia, anche se questa risulta
di intensità un po’ più elevata. Altri risentimenti di rilievo, però solo presunti compresi tra il VI
ed il VII grado MCS, potrebbero essersi verificati in occasione dei forti terremoti del 1456 (Molise), del 1461 (Aquilano), del 1654 (Frusinate), del 1703 (Aquilano), del 1706 (Maiella).
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Per questi eventi non sono disponibili osservazioni dirette e si perviene a tali valutazioni considerando l’andamento del campo macrosismico. Relativamente ai terremoti del 1703 si ha solo
notizia dell’assenza di vittime sia a Subiaco che all’Abbazia di Santa Scolastica (BMNS, sec.
XVIII), mentre non è stata reperita alcuna informazione sui probabili danni. Il terremoto del
1877, con origine nel Frusinate nei pressi di Veroli ed Isola del Liri, produsse danni molto leggeri a Jenne, mentre si ha notizia che non ne produsse in vari altri centri abitati dell’Alto Aniene,
fra i quali Subiaco e l’Abbazia di Santa Scolastica.
Il catastrofico terremoto del 13 gennaio 1915 (Io = XI grado), che distrusse completamente numerosi paesi della Marsica provocando circa 30.000 vittime, danneggiò notevolmente anche varie località dell’Alto Aniene causando una decina di vittime. I centri abitati più gravemente danneggiati furono Agosta, Filettino, Marano Equo e Trevi nel Lazio, nei quali si raggiunse l’VIII
grado MCS, nonché Affile, Jenne e Subiaco, nei quali l’intensità fu di poco inferiore (VII-VIII
grado). Si ha notizia che una replica di questo terremoto, avvenuta il 14 gennaio 1915, apportò
ulteriori danni a Subiaco e Vallepietra e probabilmente anche in altre località dell’area.
Il terremoto della Valnerina del 19 settembre 1979 rappresenta l’evento più recente di origine
esterna che ha prodotto danni nell’Alto Aniene; secondo il quotidiano Il Tempo danneggiò in
maniera molto leggera Subiaco e l’abbazia di Santa Scolastica, provocando qualche lieve crepa
nei muri, caduta di calcinacci e di qualche cornicione.
In generale, si può osservare che i 12 terremoti considerati hanno avuto origine nel tratto di catena appenninica compreso tra la Valnerina ed il Molise; le relative intensità massime (Ix) ed epicentrali (Io) sono quasi sempre elevate (≥VIII-IX grado MCS), tranne che per gli eventi del 1877
e del 14 gennaio 1915 (≤VII grado). La frequenza media con cui i terremoti di origine esterna
vengono risentiti con danni nell’Alto Aniene (intensità ≥V-VI grado MCS) risulta, sulla base dei
dati degli ultimi 130 anni generalmente considerati completi per eventi di questa intensità,
dell’ordine di un evento ogni 32-33 anni.
Praticamente impossibile stimare con attendibilità la frequenza con cui si sono verificati risentimenti di intensità ≥VI-VII grado MCS, in quanto i dati disponibili sono in buona parte desunti
dall’andamento dei campi macrosismici e, prima del 1870, dovuti solo ad eventi con elevata intensità epicentrale (Io≥IX-X grado). Si può solo notare che, considerando tutti i dati disponibili,
si perviene mediamente ad un evento ogni 100 anni circa. Per quanto riguarda i risentimenti di
intensità ancora superiore (≥VII-VIII grado) possiamo invece osservare che se ne contano 2 negli
ultimi sette secoli, uno di VIII-IX e uno di VIII osservati rispettivamente in occasione dei grandi
terremoti del 1349 e 1915 (magnitudo vicine a 7.0), entrambi con epicentro in aree relativamente
vicine all’Alto Aniene (40-50 km). Dato che per gli eventi di tale magnitudo il catalogo italiano è
generalmente considerato quasi completo, almeno per gli ultimi otto secoli, la frequenza media
di un risentimento ogni 400 anni circa appare abbastanza attendibile. In conclusione, i terremoti
di origine esterna risultano molto importanti nel definire la sismicità dell’Alto Aniene, in quanto
hanno prodotto le massime intensità storiche, pari all’VIII-IX e all’VIII grado MCS, osservate
rispettivamente in occasione dei terremoti del 1349 e del 1915; inoltre, varie volte potrebbero
aver avvicinato o raggiunto il massimo storico dovuto ai terremoti di origine locale (VII grado
MCS).
L’intensità del VIII MCS all’epicentro della sequenza che ha interessato i Monti Ruffi nel marzo
del 2000 risulta compatibile con i dati già noti e conferma il comportamento storico dell’area
(vedi Pirro M. e Di Maro R.: La sismicità recente della medio-alta valle dell’Aniene: considerazioni geologiche e geofisiche, GNGTS-Atti del 21°Convegno Nazionale 9-21/11/2002).
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Il 6 aprile 2009 alle ore 3:33 la zona de L’Aquila, com’è noto, è stata colpita da un forte terremoto. La magnitudine della scossa principale è stata valutata sia come magnitudo Richter (Ml) 5.8
che come magnitudo momento (Mw) 6.3. Gli eventi di M>5 sono avvenuti il 6, 7 e 9 aprile (rispettivamente Ml=5.8, 5.3 e 5.1). I terremoti di Ml compresi tra M=3.5 e 5.0 sono stati in totale
31. Gli effetti di questo terremoto, pur essendo stati avvertiti anche nell’area di studio, non hanno
prodotto conseguenze particolari di cui si abbia avuto segnalazione.
9.3 STORIE SISMICHE LOCALI
Nella seguente Tabella 9.5, sono riportate le massime intensità macrosismiche che hanno interessato i comuni della Provincia di Roma. Analizzando i dati in essa riportati emerge che i territori
comunali che riguardano direttamente l’area di studio o che sono situati nelle sue immediate vicinanze, evidenziati in neretto inclinato, non mostrano particolari differenziazioni riguardo alle
intensità massime registrate; infatti, i loro valori sono per la maggior parte dei casi pari ad 8, con
le sole eccezioni dei comuni di Agosta ed Arsoli, ricadenti nel settore dei Monti Simbruini, e del
comune di Marano Equo, situato sul versante orientale dei Monti Ruffi, che risultano essere stati
interessati da intensità massime di grado 9.
Tab. 9.5 – Massime intensità macrosismiche osservate nella provincia di Roma
Comune
Re
Pr
Com Lat
Long
Imax
AFFILE
AGOSTA
ALBANO LAZIALE
ALLUMIERE
ANGUILLARA SABAZIA
ANTICOLI CORRADO
ANZIO
ARCINAZZO ROMANO
ARICCIA
ARSOLI
ARTENA
BELLEGRA
BRACCIANO
CAMERATA NUOVA
CAMPAGNANO DI ROMA
CANALE MONTERANO
CANTERANO
CAPENA
CAPRANICA PRENESTINA
CARPINETO ROMANO
CASAPE
CASTEL GANDOLFO
CASTEL MADAMA
CASTELNUOVO DI PORTO
CASTEL S. PIETRO ROMANO
CAVE
CERRETO LAZIALE
CERVARA DI ROMA
CERVETERI
CICILIANO
CINETO ROMANO
CIVITAVECCHIA
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
13.09684
13.03250
12.65868
11.90347
12.26952
12.98852
12.61079
13.11477
12.67115
13.01946
12.91215
13.02712
12.17563
13.10838
12.38137
12.10282
13.03701
12.54040
12.95180
13.08405
12.88614
12.65072
12.86818
12.49733
12.89458
12.93136
12.98229
13.06840
12.09881
12.94112
12.96195
11.79899
9
9
8
<=6
7
8
7
9
8
9
8
8
<=6
9
7
<=6
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
9
<=6
8
9
<=6
41.88376
41.98083
41.72774
42.15534
42.09076
42.00958
41.46551
41.88073
41.71990
42.04042
41.74005
41.88433
42.10280
42.01802
42.13868
42.13644
41.94212
42.14150
41.86192
41.60483
41.90638
41.74634
41.97399
42.12767
41.84550
41.81832
41.94381
41.98769
41.99721
41.96112
42.04918
42.09031
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Comune
Re
Pr
Com Lat
Long
Imax
CIVITELLA SAN PAOLO
COLLEFERRO
COLONNA
FIANO ROMANO
FILACCIANO
FORMELLO
FRASCATI
GALLICANO NEL LAZIO
GAVIGNANO
GENAZZANO
GENZANO DI ROMA
GERANO
GORGA
GROTTAFERRATA
GUIDONIA MONTECELIO
JENNE
LABICO
LANUVIO
LICENZA
MAGLIANO ROMANO
MANDELA
MANZIANA
MARANO EQUO
MARCELLINA
MARINO
MAZZANO ROMANO
MENTANA
MONTECOMPATRI
MONTEFLAVIO
MONTELANICO
MONTELIBRETTI
MONTE PORZIO CATONE
MONTEROTONDO
MONTORIO ROMANO
MORICONE
MORLUPO
NAZZANO
NEMI
NEROLA
NETTUNO
OLEVANO ROMANO
PALESTRINA
PALOMBARA SABINA
PERCILE
PISONIANO
POLI
POMEZIA
PONZANO ROMANO
RIANO
RIGNANO FLAMINIO
RIOFREDDO
ROCCA CANTERANO
ROCCA DI CAVE
ROCCA DI PAPA
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
12.58167
13.00589
12.75182
12.58988
12.60080
12.40063
12.68105
12.81882
13.05244
12.97319
12.68841
12.99450
13.11028
12.67728
12.72156
13.16884
12.88517
12.69919
12.90261
12.43669
12.92208
12.13031
13.01606
12.80553
12.66103
12.40036
12.63767
12.73627
12.83093
13.03958
12.73916
12.71550
12.62287
12.80659
12.77107
12.49098
12.59633
12.71685
12.78681
12.66329
13.03298
12.89113
12.76568
12.90951
12.95872
12.89202
12.50019
12.57153
12.52301
12.47906
12.99967
13.02193
12.94456
12.70984
8
8
7
8
8
7
7
8
8
8
8
8
8
7
7
9
8
8
8
7
8
<=6
9
8
8
7
8
7
8
8
8
7
8
8
8
8
8
8
8
7
8
8
8
9
8
8
7
8
7
8
9
8
8
8
42.19568
41.73015
41.83480
42.17037
42.25518
42.07908
41.80750
41.87114
41.69773
41.83309
41.70684
41.93266
41.65549
41.78668
41.99218
41.88680
41.78523
41.67690
42.07158
42.15891
42.02723
42.13036
41.99310
42.02341
41.76981
42.20345
42.03624
41.80673
42.10752
41.64964
42.13432
41.81527
42.05431
42.13915
42.11664
42.14263
42.22923
41.71663
42.15974
41.45865
41.86024
41.83874
42.06584
42.09425
41.90627
41.88714
41.67781
42.25719
42.09064
42.20650
42.05955
41.95584
41.84583
41.76035
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Comune
Re
Pr
Com Lat
Long
Imax
ROCCAGIOVINE
ROCCA PRIORA
ROCCA SANTO STEFANO
ROIATE
ROMA
ROVIANO
SACROFANO
SAMBUCI
SAN GREGORIO DA SASSOLA
SAN POLO DEI CAVALIERI
SANTA MARINELLA
SANT`ANGELO ROMANO
SANT`ORESTE
SAN VITO ROMANO
SARACINESCO
SEGNI
SUBIACO
TIVOLI
TOLFA
TORRITA TIBERINA
TREVIGNANO ROMANO
VALLEPIETRA
VALLINFREDA
VALMONTONE
VELLETRI
VICOVARO
VIVARO ROMANO
ZAGAROLO
LARIANO
LADISPOLI
ARDEA
CIAMPINO
SAN CESAREO
FIUMICINO
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
12
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
58
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
120
12.89929
12.75522
13.02425
13.06461
12.48238
12.99470
12.44739
12.93736
12.87118
12.84013
11.87980
12.71285
12.52220
12.97969
12.95336
13.02182
13.09479
12.79787
11.93671
12.61859
12.24685
13.23109
12.99548
12.91885
12.77813
12.89552
13.00670
12.83108
12.83297
12.07804
12.54660
12.60419
12.79969
12.22930
8
7
8
9
8
9
7
8
8
8
<=6
7
8
8
8
8
9
8
7
8
7
9
9
8
8
8
9
8
7
<=6
7
7
7
<=6
42.04907
41.78974
41.90999
41.87363
41.89534
42.02501
42.10504
41.98667
41.91780
42.00979
42.04118
42.03431
42.23340
41.88139
42.00337
41.69009
41.92523
41.96360
42.14982
42.23588
42.15533
41.92557
42.08400
41.77521
41.68828
42.01656
42.09977
41.83862
41.72518
41.94962
41.60899
41.79985
41.82069
41.77170
Per ottenere una più precisa caratterizzazione sismica dell’area di studio sono state prese in considerazione le storie sismiche dei comuni compresi in detta area, estraendole dal Data Base Macrosismico Italiano 2011 (INGV-DBMI11), nel quale i comuni italiani sono elencati in base ad
almeno 3 osservazioni macrosismiche, indipendentemente dalla loro intensità.
I comuni interessati più direttamente dall’indagine sono quelli di Agosta, Anticoli Corrado, Castel Madama, Ciciliano, Mandela, Marano Equo, Rocca Canterano, Roviano, Sambuci, San Polo
dei Cavalieri, Saracinesco e Vicovaro. Oltre a questi sono stati presi in considerazione anche i
comuni di Arsoli, Canterano, Cerreto Laziale, Gerano, San Gregorio da Sassola e Tivoli, esterni
all’area di studio, ma la cui storia potrebbero essere importante ai fini di una più completa caratterizzazione sismica.
Le storie sismiche di ciascun territorio sono rappresentate da una lista degli eventi con valore di
intensità disposti in ordine decrescente, dei quali è riportata la data, l’effetto e l’area epicentrale
del terremoto, e, limitatamente ai terremoti con intensità epicentrale uguale o superiore a 4-5, il
DB fornisce anche il diagramma che evidenzia visivamente la loro distribuzione nel periodo storico documentato.
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Tutti i dati disponibili sono stati inseriti in un apposito archivio. Nella Fig. 9.2 è rappresentato un
esempio della scheda relativa alle osservazioni sismiche per il comune di Rocca Canterano, mentre nei gruppi di Figure 9.3, 9.4 e 9.5 sono mostrati tutti i diagrammi dei terremoti con intensità
superiore alla soglia del danno, raggruppati per settore d’appartenenza, che sul lato ovest
dell’area di studio corrisponde ai Monti di Castel Madama-Prenestini, nella sua parte centrale ai
Monti Ruffi, e nella zona ad est del corso del Fiume Aniene ai Monti Simbruini.
Tra tutte le storie sismiche prese in considerazione non compare quella del comune di Anticoli
Corrado, probabilmente perché gli eventi macrosismici ivi risentiti sono stati inferiori a 3 e nessuno di essi d’intensità elevata.
Fig. 9.2 –Esempio di scheda di dati sismici relativi al comune di Rocca Canterano
Storia Sismica di Rocca Canterano
Numero di eventi: 18
In occasione del terremoto
Effetti
del
I (ICS)
Data e ora
Ax
5
5-6
2
NF
NF
4
NF
4
4
5
NF
NF
6
5
5
5-6
5
3-4
Legenda:
Np
Io
Mw
1877 08 24 02:45
Lazio meridionale
54
7
5.23 ±0.22
1915 01 13 06:52
Avezzano
1041 11
7.00 ±0.09
1960 03 14 04:44
Marsica
40
7
4.75 ±0.37
1989 10 23 21:19:17
Colli Albani
65
6
4.43 ±0.15
1990 05 05 07:21:22
Potentino
1374
5.80 ±0.09
1990 06 19 02:42
Alto Aniene
40
5-6 3.95 ±0.18
1994 08 07 06:31:13
Aquilano
103
5-6 4.37 ±0.15
1997 09 26 00:33:13
Appennino umbro-marchigiano
760
5.70 ±0.09
1997 09 26 09:40:27
Appennino umbro-marchigiano
869
8-9 6.01 ±0.09
1997 11 06 02:20:27
MONTI SABINI
91
5-6 4.34 ±0.13
1998 05 12 21:46:46
Appennino abruzzese
48
5
4.06 ±0.18
1998 08 15 05:18:09
MONTI REATINI
233
5-6 4.45 ±0.09
2000 03 11 10:35:27
Alto Aniene
211
6
4.29 ±0.09
2000 05 22 15:48:48
APPENNINO CENTRALE
48
5-6 3.66 ±0.22
2000 05 28 09:29:29
Monti Tiburtini
58
5
3.91 ±0.19
2000 06 27 07:32:32
Monti Tiburtini
138
6
4.28 ±0.09
2000 11 13 17:28:28
Monti Tiburtini
29
5
3.81 ±0.19
2004 10 05 23:12:22
Monti Tiburtini
78
5
3.29 ±0.21
I(MCS): intensità macrosismica espressa in scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg)
Ax: area epicentrale
Np: numero di osservazioni macrosismiche disponibili
Io: intensità macrosismica epicentrale espressa in scala MCS
Mw: magnitudo momento
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Figure 9.3 – Storia sismica dei comuni del settore Monti di Castel Madama-Prenestini
9.3.1 – Comune di Castel Madama
9.3.2 –Comune di Ciciliano
9.3.3 –Comune di Mandela
9.3.4 - Comune di San Gregorio da Sassola
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9.3.5 – Comune di San Polo dei Cavalieri
9.3.6 – Comune di Saracinesco
9.3.7 – Comune di Tivoli
9.3.8 –Comune di Vicovaro
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Figure 9.4 - Storia sismica dei comuni del settore Monti Ruffi
9.4.1 – Comune di Canterano
9.4.2 – Comune di Cerreto Laziale
9.4.3 – Comune di Gerano
9.4.4 – Comune di Marano Equo
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9.4.5 – Comune di Rocca Canterano
9.4.6 – Comune di Roviano
9.4.7 – Comune di Sambuci
Figure 9.5 – Storia sismica dei comuni del settore Monti Simbruini
9.5.1 – Comune di Agosta
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9.5.2 – Comune di Arsoli
Dall’esame dei dati forniti dai tabulati e dai diagrammi del DBMI11 è stato possibile trarre le seguenti considerazioni.
-
La maggior parte dei sismi registrati nei comuni considerati con intensità superiore alla soglia del danno è concentrata negli ultimi anni del XIX secolo (1873, 1874, 1875, 1876, 1877
e 1892, 1899) ed i primi del XX (1915, 1919). Successivamente si deve arrivare al 2000 per
registrare nell’area un evento di una certa importanza. E’ tuttavia da evidenziare che a Tivoli
sono stati risentiti anche gli effetti dei terremoti verificatisi il 14.01.1703 nell’Appennino
Reatino e a San Gregorio da Sassola di quello verificatosi il 15.08.1795, con epicentro locale,
le cui intensità sono state rispettivamente valutate 6-7 e 7.
-
Il terremoto i cui effetti sono stati maggiormente risentiti nell’area di studio, indipendentemente dal settore di appartenenza, è quello del 13.01.1915 con area epicentrale localizzata
nella zona di Avezzano, le cui intensità sono state mediamente di valore 7, ma con risentimenti minori nei comuni di Ciciliano e Rocca Canterano (I=5-6), e superiori in quello di Tivoli (I=7-8), Marano Equo e Agosta (I=8).
-
Tra i tre settori esistono alcune evidenti differenze. Nel settore dei Monti di Castel Madama
–Prenestini è registrato un maggior numero di eventi (32 a Tivoli, 11 a San Gregorio da Sassola e Vicovaro), oltre al fatto che, come abbiamo già ricordato, i comuni di Tivoli e di San
Gregorio da Sassola sono gli unici ad aver risentito di due importanti terremoti del XVIII secolo. Solamente nel settore dei Monti Ruffi, e in particolare nei comuni di Canterano, Cerreto
Laziale, Gerano e Rocca Canterano, sono stati registrati con intensità 5-6 e 6 gli effetti del
terremoto verificatosi l’11.03.2000, che ha prodotto diversi danni al patrimonio storicomonumentale e il cui epicentro è stato individuato nell’alto bacino dell’Aniene. Nel settore
dei Monti Simbruini non risultano registrazioni di sismi con intensità 5 o superiore oltre quello di Avezzano del 1915, e gran parte degli effetti registrati sono riferiti a terremoti i cui epicentri sono situati in aree diverse da quelle degli altri due settori.
Tutti i territori comunali considerati nell’analisi, in base ai DGR 387 e 835 del 2009, sono classificati in zona sismica 2, sottozona B.
10. INDAGINE STORICO-ARCHIVISTICA
10.1 ANALISI STORICA DEI DISSESTI
Lo studio storico-archivistico degli eventi franosi nell’area è stato effettuato attraverso una ricerca, nell’archivio del Servizio Geologico della Provincia di Roma, delle pratiche esistenti relative
a dissesti ubicati all’interno dell’area di studio. I dissesti riconosciuti e le relazioni geologiche
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sono stati censiti, esaminati, catalogati e inseriti nel geodatabase Franarisk_rm_2012 come
shapefile dei punti ("relazioni_archivio_Pr.shp") e relativa tabella degli attributi. Delle 50 relazioni reperite nell’archivio della Provincia, 23 recavano l’indicazione della data dell’evento e sono quindi state incluse nell’analisi storica.
Oltre a questi, sono stati utilizzati nell'analisi i dissesti provenienti dall'archivio del sit_provRM
("Dissesticatasto_font_point.shp"), dei quali 10 ricadono nell'area di studio.
Da notare che, nonostante l'abbondanza di archivi, da quelli citati sopra, a quelli più generali
(IFFI, SIRDIS, ABT) e i numerosi eventi registrati, sono veramente molto rare le informazioni
riguardo alla data dell'evento, informazioni peraltro essenziali per un'analisi delle cause e delle
previsioni.
Nell'insieme, quindi, sono stati analizzati in totale 33 dissesti dei quali è stato possibile conoscere la data dell’evento per poterli mettere in relazione con i dati di piovosità. Questi eventi sono
riportati nella Tab. 11.1, qui di seguito.
Tab. 10.1 – Eventi considerati nell'indagine storico-archivistica.
n.
id
fonte
codice dissesto
mese
1
Dissesticatasto_font
237
2
data rif
evento
Feb ‘82
06/02/1982
SP Empolitana II, dissesti Macera lato valle
Archivio_Provincia_rm 366160_005
Gen ‘83
11/01/1983
SP Mandela km 1+100, scorrimento
3
Archivio_Provincia_rm 366160_008
Feb ‘83
04/02/1983
SP Mandela km 1+100, scorrimento
4
Archivio_Provincia_rm 366160_010
Feb ‘83
14/02/1983
Località Crapatine, scoscendimento superficiale
5
Dissesticatasto_font
Gen ‘84
06/01/1984
SP Empolitana I, Bivio Sambuci, cedimenti sottofondo
6
Archivio_Provincia_rm 366150_004
Nov ‘85
18/11/1985
SP S.Polo – M.Morra km 1+100, crollo
7
Dissesticatasto_font
238
Giu ‘87
30/06/1987
SP Empolitana II, S.Michele, frana lato valle
8
Dissesticatasto_font
315
Mar ‘88
10/03/1988
Anticoli Corrado, cedimenti lato valle
9
Dissesticatasto_font
59
Dic ‘89
21/12/1989
10
Archivio_Provincia_rm 375030_003
Dic ‘89
31/12/1989
11
Archivio_Provincia_rm 375030_002
Gen ‘91
11/01/1991
Castel Madama braccio stazione, frana
Castel Madama – braccio stazione km 0+200, scorrimento
Castel Madama – braccio stazione km 0+200, scorrimento
12
Archivio_Provincia_rm 366160_015
Mar ‘92
15/03/1992
13
Dissesticatasto_font
Apr ‘92
17/04/1992
14
Archivio_Provincia_rm 366160_007
Ott ‘92
15/10/1992
15
Dissesticatasto_font
12
Feb ‘93
17/02/1993
Via dei Cavoni, Mandela, scorrimento
SP Anticoli Corrado, Madonna del Giglio, dissesti parete lato monte
16
Dissesticatasto_font
13
Nov ‘93
23/11/1993
SP Anticoli Corrado,
17
Archivio_Provincia_rm 375030_005
Ott ‘94
12/10/1994
SP Chiesuola Castel Madama km 4+400, scorrimento
18
Dissesticatasto_font
14
Dic ‘94
05/12/1994
SP Anticoli Corrado, Cimitero, dissesti lato valle
19
Dissesticatasto_font
16
Gen ‘96
30/01/1996
SP Anticoli Corrado, pressi Cimitero, dissesti lato valle
20
Archivio_Provincia_rm 366160_018
Dic ‘96
31/12/1996
Anticoli Corrado, crollo
21
Archivio_Provincia_rm 366150_008
Nov ‘97
24/11/1997
SP Valeria vecchia km 0+300, crollo
22
Archivio_Provincia_rm 376010_007
Gen ‘99
12/01/1999
SP Barco – Le Selve – Obaco km 0+700, scorrimento
23
Archivio_Provincia_rm 366160_022
Feb ‘99
16/02/1999
24
Archivio_Provincia_rm 375030_004
Set ‘02
30/09/2002
SP Anticoli Corrado km 2, scorrimento
SP Castel Madama braccio Chiesuola km 1+300, scorrimento
25
Archivio_Provincia_rm 366160_016
Nov ‘02
19/11/2002
SP Anticoli Corrado km 2+500, crollo
94
11
SP Anticoli Corrado km 3, scorrimento
SP Anticoli Corrado, pressi centro, dissesti parete lato
monte
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26
Archivio_Provincia_rm 366160_014
Ott ‘03
22/10/2003
SP Anticoli Corrado km 1+900, crollo
27
Archivio_Provincia_rm 375030_001
Apr ‘04
25/04/2004
SP Castel Madama Osteriola, scorrimento
28
Archivio_Provincia_rm 366150_002
Apr ‘05
29/04/2005
Vicovaro SP Valeria vecchia km 0+300, crollo
29
Archivio_Provincia_rm 376010_003
Ago ‘07
21/08/2007
SP Empolitana km 15+600, crollo
30
Archivio_Provincia_rm 375040_001
Giu ‘08
15/06/2008
SP Tiburtina Sambuci km 3, crollo
31
Archivio_Provincia_rm 376010_002
Dic ‘08
12/12/2008
SP Empolitana km 15+600, crollo
32
33
Archivio_Provincia_rm 366160_006
Archivio_Provincia_rm 366160_001
Nov ‘09
Nov ‘09
02/11/2009
07/11/2009
SP Saracinesco km 2+100, scorrimento
SP Saracinesco km 0+400, loc. Maioli, scorrimento
10.2 RELAZIONE TRA DISSESTI E PIOVOSITÀ
Allo scopo di verificare la relazione tra i dissesti e la piovosità, è stato fatto il confronto tra le date degli eventi riportati nella tabella 10.1 e le due stazioni prese come riferimento, sia per la
completezza di dati, sia per la vicinanza all’area di studio, quella di Frascati e quella di Subiaco
Santa Scolastica.
Questo rapporto è mostrato dai due diagrammi di Fig. 10.1, dai quali si può rilevare che esiste
una certa corrispondenza tra periodi di alta piovosità e concentrazione di eventi franosi, anche se
non si può stabilire una relazione chiara nel dettaglio.
Relazione tra piovosità e dissesti - Stazione di Frascati
piovosità
Mag
Mar '11
Gen '10
Nov '08
Sett '07
Mag
Lug '06
Mar '04
Nov '01
Gen '03
Lug '99
Sett '00
Mag
Mar '97
Nov '94
Gen '96
Lug '92
Sett '93
Mag
Mar '90
Gen '89
Nov '87
Sett '86
Mag
Lug '85
Mar '83
dissesti
Gen '82
mm/mese
350,0
300,0
250,0
200,0
150,0
100,0
50,0
0,0
Mesi
Relazione tra piovosità e dissesti - Stazione di Subiaco S. Scolastica
500,0
400,0
300,0
piovosità
200,0
dissesti
Gen '12
Lug '10
Gen '09
Lug '07
Gen '06
Lug '04
Gen '03
Lug '01
Gen '00
Lug '98
Gen '97
Lug '95
Gen '94
Lug '92
Gen '91
Lug '89
Gen '88
Lug '86
Gen '85
Lug '83
0,0
Gen '82
mm/mese
100,0
Mesi
Fig. 10.1 – Relazione tra piovosità mensile ed eventi franosi nell'area di studio.
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Sono stati inoltre ricostruiti i grafici cumulativi di piovosità per intervalli di tempo che precedono la frana di 5, 10, 20 e 40 giorni, allo scopo di individuare le soglie di piovosità e la distribuzione temporale che maggiormente innescano i fenomeni franosi nell’area. Le stazioni prese a
riferimento sono le stesse due. Da notare che i dati di questo tipo sono limitati all’anno 2002, in
quanto da quell’anno in poi non sono disponibili gli annali idrologici con i dati giornalieri. I dissesti analizzati sono quindi quelli dal n. 1 al n. 25 della tabella 10.1.
I risultati di questa elaborazione sono riassunti nei grafici di Fig. 10.2.
Andamento delle precipitazioni, 5, 10, 20, 40 gg prima di ogni dissesto - Stazione di Frascati
mm
300,0
250,0
5 gg
200,0
10 gg
150,0
20 gg
100,0
40 gg
50,0
0,0
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25
n. di identificazione dissesto
mm
Andamento delle precipitazioni, 5, 10, 20, 40 gg prima di ogni dissesto - Stazione di
Subiaco S.Scolastica
350,0
300,0
250,0
200,0
150,0
100,0
50,0
0,0
5 gg
10 gg
20 gg
40 gg
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25
n. di identificazione dissesto
Fig. 10.2 – Andamento della piovosità nel periodo precedente i dissesti (intervalli cumulativi di 5, 10, 20 e 40 giorni precedenti, nel periodo 1982 – 2002).
Come prima osservazione si nota, come è logico, una notevole somiglianza tra i due diagrammi,
ma che, in generale i valori di Frascati sono inferiori, in rapporto alla diversa ubicazione di questa stazione rispetto ai rilievi montuosi. Per quanto riguarda la nostra area di studio, tuttavia, sono da considerare più significativi i dati di Subiaco S. Scolastica.
Dieci dissesti, i numeri 1, 3, 7, 10, 11, 12, 15, 18, 22 e 25, ricadono in periodi di piovosità inferiore ai 50 mm, anche se i n. 7, 10, 11, 18 e 25 hanno un cumulativo superiore per i 40 giorni, per
cui è difficile ipotizzare un rapporto diretto tra dissesto e piovosità.
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I dissesti che mostrano una relazione abbastanza stretta con piovosità cumulativa intensa sono i
numeri 4, 8, 14, 16, 17,21, 23 e 24, cioè un totale di 8 eventi su un totale di 25 considerati, cioè il
32% che non riteniamo molto significativo. Tuttavia, per la maggioranza di questi si tratta di
movimenti di scorrimento, per i quali un rapporto con l’intensità di piovosità è da considerare
possibile.
Per il periodo posteriore al 2002 e a partire dal 2004 (i bollettini del 2003 mancano), i grafici di
Fig. 10.3, sono stati costruiti con i totali del mese dell’evento, in confronto ai totali del mese precedente e riguardano quindi i dissesti dal n. 27 al n. 33 della Tabella 10.1.
mm
Precipitazioni totali mensili nel mese del dissesto e nel mese
precedente - Stazione di Frascati
350,0
300,0
250,0
200,0
150,0
100,0
50,0
0,0
27
28
mese prec
29
30
31
32
33
n. di identificazione dissesto
mese evento
mm
Precipitazioni totali mensili nel mese del dissesto e nel mese precedente Stazione di Subiaco S.Scolastica
300,0
250,0
200,0
150,0
100,0
50,0
0,0
27
mese prec
mese evento
28
29
30
31
32
33
n. di identificazione dissesto
Fig. 10.3 – Andamento della piovosità nel periodo precedente i dissesti (totali mensili nel
periodo 2004 – 2009)
Si nota che il dissesto n. 29 non ha nessun rapporto con la piovosità ed, in effetti, è una frana di
crollo avvenuta lungo una strada nel mese d’Agosto.
Per i dissesti n. 28 e 30 la piovosità del mese precedente è maggiore di quella del mese
dell’evento, ma anche per questi si tratta di frane di crollo lungo una strada, dove l’influenza della piovosità è probabilmente non rilevante, mentre per i numeri 27, 31, 32 e 33 la piovosità nel
mese dell’evento sembra importante, tra l’altro risultando, per gli ultimi tre, tra i valori più alti
dell’anno di riferimento.
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In ogni caso, la scarsità dei dati e il fatto che quelli disponibili si riferiscano soprattutto ad eventi
di piccole dimensioni lungo le strade, non ci permette di stabilire un rapporto sicuro tra la piovosità e l'innesco di dissesti.
Una conclusione più importante che scaturisce da questo studio, a nostro avviso, è che qualunque
organismo sia preposto alla raccolta dei dati e alla catalogazione dei fenomeni di dissesto gravitativo, specialmente se in vista di un'analisi della suscettibilità e del rischio in prospettiva, non
può prescindere da un dato essenziale, rappresentato dalla datazione, la più precisa possibile,
dell'evento censito.
10.3 RELAZIONE TRA DISSESTI E SISMICITÀ
Le indagini svolte sulla sismicità dell’Alto bacino dell’Aniene nel progetto pilota realizzato dal
Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma Tre, hanno riguardato l’analisi
dell’attività sismica di origine locale e dei principali terremoti di origine esterna. I risultati ottenuti hanno permesso di definire e distinguere la sismicità dovuta ai terremoti locali da quella dovuta ad eventi esterni.
Le intensità massime osservate hanno raggiunto valori di VII grado MCS, in occasione del terremoto di Cervara di Roma del 1941, e di VIII-IX grado, in occasione del terremoto
dell’Appennino centrale del 1349. Se si considerano solo i risentimenti di intensità ≥V-VI grado
MCS, ossia quelli che hanno prodotto come minimo danni molto leggeri agli edifici (lesioni agli
intonaci, riapertura di lesioni preesistenti, piccole cadute di calcinacci, ecc.), si può ritenere che il
catalogo sia pressoché completo per gli ultimi 130 anni, in quanto dal 1870 circa sono iniziate le
raccolte sistematiche di dati macrosismici per terremoti di ogni livello di intensità. In questo periodo l’Alto Aniene è stato interessato da tali risentimenti in dieci occasioni, di cui sei dovute a
terremoti locali e quattro a terremoti esterni, con una frequenza media di un evento ogni 13 anni.
Anche per i risentimenti di intensità ≥VI-VII grado MCS, che come minimo hanno prodotto
danni leggeri (leggere fessurazioni passanti nei muri, caduta di camini, notevoli cadute di calcinacci, ecc.), risulta necessario fare riferimento allo stesso periodo di 130 anni, in quanto coincide
con l’intervallo di tempo coperto dal catalogo dei terremoti di origine locale. Negli ultimi 130
anni l’Alto Aniene è stato interessato da risentimenti di VI-VII grado in tre occasioni, di cui due
dovute a terremoti locali ed una a terremoti esterni, quindi con una frequenza media di un evento
ogni 43 anni circa. Va ricordato che in uno dei terremoti locali l’evento sismico ha anche causato
lo sviluppo di frane da crollo.
Infine, solo in due casi l’Alto Aniene è stato interessato da risentimenti di intensità ≥VII-VIII
grado (valore corrispondente alla soglia dei danni gravi, quali notevoli fessurazioni nei muri,
crolli parziali, distruzioni e a volte anche qualche crollo totale e qualche vittima), precisamente
in occasione dei grandi terremoti di origine esterna del 1349 e del 1915, i quali hanno prodotto
importanti danneggiamenti riferibili rispettivamente all’VIII-IX e all’VIII grado MCS. Entrambi
i terremoti sono caratterizzati da Io≥X grado MCS, da magnitudo molto elevate (vicine a 7.0) e,
soprattutto, da una limitata distanza tra l’epicentro e l’Alto Aniene (40- 50 km).
Considerando che, relativamente a questi grandi terremoti, il catalogo italiano dovrebbe essere
pressoché completo almeno per gli ultimi otto secoli, e che i terremoti locali non hanno mai raggiunto intensità >VII-VIII grado, altrimenti ne avremmo avuto notizia come per quelli di origine
esterna, si può supporre che la frequenza media si aggiri intorno ad 1 evento ogni 400 anni circa.
Dai dati disponibili sui risentimenti nei singoli comuni dell’alto Aniene, relativamente a terremoti sia locali che esterni, si può osservare che le intensità massime, osservate o presunte, variano
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notevolmente secondo i casi e di conseguenza variano anche le frequenze con cui i comuni stessi
sono stati interessati da terremoti. Più in particolare si può notare che:
-
le intensità massime dovute agli eventi di origine locale sono molto variabili da comune a
comune; il valore massimo (IX grado) è stato osservato solo a Cervara di Roma, mentre
in vari comuni generalmente situati a monte di Subiaco non è mai stato raggiunto neppure il V grado;
-
le intensità massime dovute agli eventi di origine esterna (VIII-IX grado MCS) sono tutte
presunte, ad eccezione di quella di Subiaco, e collegate al grande terremoto appenninico
del 1349; appare evidente, osservando la variabilità dei valori osservati in occasione del
terremoto del 1915, che queste sono da considerarsi solo indicative.
In conclusione, la sismicità dell’Alto Aniene può essere considerata complessivamente moderata, sia relativamente alle intensità massime raggiunte, sia soprattutto alla modesta frequenza con
cui vengono risentite le intensità più elevate. La massima intensità storicamente osservata (VIIIIX grado MCS) risulta intermedia tra quelle molto elevate (X e XI grado MCS) che interessano
la fascia centrale della catena appenninica e quelle più modeste (VII grado MCS), che generalmente interessano le aree costiere tirreniche.
Dal punto di vista delle relazioni tra eventi sismici e innesco dei fenomeni franosi, gli unici dati
certi sono quelli relativi al terremoto di Canterano avvenuto l’11 marzo 2000, che ha interessato
zone vicine ed interne all'area di studio. A seguito dell’evento, infatti, si dovette procedere
all’interruzione della strada provinciale nei pressi di Canterano a causa di crolli di ammassi rocciosi. Non sono invece date testimonianze dell’attivazione di altre tipologie di frane durante lo
stesso sisma. Secondo questo dato si può quindi ipotizzare che terremoti con queste intensità
(che, sulla base dei dati storici disponibili, si sono ripetuti nell’area con una frequenza di circa 43
anni) possano essere sufficienti ad innescare crolli di significativi ammassi rocciosi, in particolare nelle aree dove questi si presentano molto fratturati.
Per quanto riguarda in particolare l'area analizzata nel presente studio, tutte le informazioni raccolte fanno presumere che l’eventuale influenza nei riguardi della stabilità dei versanti da parte
di eventi sismici, con intensità simili a quelle registrate, possa verificarsi solo in alcuni casi particolari. Tra questi è da menzionare la reale possibilità di crolli in corrispondenza di rocce a
comportamento rigido e fratturate, soprattutto dove esse affiorano su pareti molto acclivi e subverticali dovute a tagli artificiali, come nel caso di fronti di cava e lungo tracciati stradali, o naturali in corrispondenza di affioramenti ove esistono diedri disarticolati che possono slittare lungo
piani di stratificazione anche poco o per niente inclinati.
Altra azione diretta può verificarsi in corrispondenza di fenomeni gravitativi del tipo di scorrimento, specialmente rotazionale, qualora all’origine del fenomeno già esistente abbiano concorso motivi strutturali di carattere disgiuntivo. In questi casi è possibile una riattivazione parziale
del fenomeno, specialmente nella porzione esposta della corona, ma fatti di questo genere non è
stato possibile rilevarli sul terreno.
Un’area dove sono diffusamente presenti fenomeni e casistiche dei generi summenzionati, dipendenti dalla ben nota situazione geologica e strutturale, è quella situata a cavallo della dorsale
Canterano-Rocca Canterano-Rocca di Mezzo.
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11. CONCLUSIONI
Lo scopo del progetto era quello di costruire una banca dati tematica che permettesse di arrivare,
attraverso elaborazioni in ambiente GIS, a definire la suscettibilità dell'area studiata alle diverse
tipologie di fenomeni franosi. Il progetto fa seguito ad una serie di progetti analoghi che coprono
ad oggi buona parte del settore meridionale della Provincia di Roma, tra cui quello eseguito nel
2008-2009 da Geomap in associazione con Agristudio. Il primo di questi progetti, che ha definito
la metodologia, è quello realizzato dal Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Roma
Tre tra il 2006 e il 2007, su di un’area adiacente, verso Sud, a quella del presente studio.
Il lavoro svolto è consistito nella produzione di una serie di documenti di base originali:
 Carta geologica, alla scala 1:10.000, conforme alle norme CARG,
 Carta delle frane, alla scala 1:10.000,
e di una serie di documenti ed elaborazioni derivate:
 Carta litotecnica,
 Layer dei punti instabili
 Layer dei punti stabili,
 Carta delle coperture areali e puntuali,
 Carta della suscettibilità ai fenomeni di dissesto.
Sono stati inoltre assemblati dati d'archivio, da varie fonti, in particolare dal sito Internet della
Provincia di Roma (già in gran parte raccolti per il progetto precedente), dai siti di Regione Lazio, INGV e APAT.
La metodologia adottata per l'elaborazione dei dati in funzione della creazione dei layer di suscettibilità, è quella messa a punto per il progetto pilota dal Dipartimento di Scienze Geologiche
dell'Università Roma Tre, con gli adattamenti che sono risultati opportuni per le caratteristiche
dell'area studiata. Una differenza che riteniamo importante per gli scopi del lavoro è stata l'introduzione di una sesta classe di fenomeni franosi, il soliflusso, che ha portato di conseguenza all'elaborazione di un ulteriore layer di suscettibilità.
A proposito della metodologia, si deve osservare che i fattori che entrano nelle elaborazioni, derivano da un'analisi delle occorrenze dei fenomeni di dissesto rilevati nell'area studiata, rispetto
ai parametri discriminanti e predisponenti e quindi dipendono dalle condizioni geologiche, geomorfologiche e di copertura del suolo dell'area stessa. Ciò significa che, sia gli indici che i pesi
dei parametri che entrano nella valutazione, sono influenzati dalle predette condizioni e questo
limita la confrontabilità di aree vicine ma studiate separatamente, in quanto i parametri su cui si
basa l'analisi di suscettibilità hanno origine dei valori diversa.
La Carta di suscettibilità ai fenomeni franosi, che rappresenta il prodotto principale del progetto,
è in realtà costituita da cinque layer, ciascuno corrispondente ad una tipologia di dissesto: crollo,
scorrimento rotazionale, colata lenta, colata rapida e soliflusso. Il layer corrispondente alla tipologia scorrimento traslazionale non è stato elaborato, dato che di questa tipologia è presente
nell’area di studio un solo evento, perciò non significativo. All'interno di ciascun layer, la propensione del territorio a mettere in atto una determinata tipologia di fenomeno franoso è divisa in
5 classi: nulla, bassa, media, elevata e molto elevata.
Questi layer, prodotti a un livello di dettaglio corrispondente alla scala 1:10.000 degli strati informativi, forniscono indicazioni attendibili sulla distribuzione della suscettibilità al livello del
territorio ma non possono essere utilizzati per interventi alla scala di sito localizzato. Per questi,
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infatti, devono essere condotte indagini puntuali in maniera tale da individuare le opere più appropriate, in funzione delle condizioni locali di pericolosità e della vulnerabilità dei beni da proteggere. Più in particolare, le analisi devono prevedere l’identificazione delle cause della franosità locale sulla base di rilevamenti di dettaglio di ordine geologico, geomorfologico, litotecnico,
idrogeologico (es. grado di fratturazione degli ammassi rocciosi, caratterizzazione puntuale degli
assetti giaciturali, caratteristiche geotecniche delle coperture e del substrato, individuazione della
presenza e delle caratteristiche di falde acquifere sospese e/o in pressione ecc.) integrate da opportune analisi di laboratorio.
Ciò premesso e facendo riferimento alla scala del lavoro, si può considerare che le diverse classi
di suscettibilità forniscano le seguenti in indicazioni, riguardo al modo di intervenire sul territorio.
Aree a suscettibilità molto elevata
 In queste aree sono fortemente sconsigliate:
 la realizzazione di nuove opere progettuali (edifici, strade ecc.);
 la fruizione naturalistica, culturale, educativa e ricreativa (nel caso di fenomeni franosi
rapidi);
 al loro interno sono raccomandati:
 interventi di demolizione senza ricostruzione;
 interventi volti a ridurre la vulnerabilità degli edifici esistenti ed a migliorare la tutela
della pubblica incolumità, senza cambiamenti di destinazione d’uso che comportino aumento del carico urbanistico;
 interventi di bonifica e di sistemazione dei movimenti franosi.
Aree a suscettibilità elevata
 In queste aree sono sconsigliate:
 la realizzazione di nuove opere progettuali fatta esclusione per quelle di rilevante importanza socio-economica e previa approfondite indagini geologiche, geomorfologiche e
geotecniche alla scala locale;
 la fruizione naturalistica, culturale, educativa e ricreativa (nel caso di fenomeni franosi
rapidi);
 al loro interno sono raccomandati:
 interventi di demolizione senza ricostruzione, fatta eccezione per le opere di rilevante
importanza socio-economica di cui sopra;
 interventi volti a ridurre la vulnerabilità degli edifici esistenti ed a migliorare la tutela
della pubblica incolumità;
 interventi di bonifica e di sistemazione dei movimenti franosi.
Aree a suscettibilità media e bassa
 In queste aree la realizzazione di nuove opere progettuali (edifici, strade ecc.) è possibile
ma dovrebbe essere comunque preceduta da una analisi geologico-geomorfologica preliminare a scala di grande dettaglio, seguita ove necessario da indagini geognostiche e geotecniche.
Aree a suscettibilità nulla
 L’uso di queste aree non è soggetto a particolari limitazioni, almeno con riferimento al
possibile impatto di fenomeni franosi. Fanno eccezione le strette fasce al piede di versanti
ripidi e scarpate raggiungibili dai materiali mobilitati da frane ad evoluzione rapida (crolli
e colate di detrito).
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Riguardo agli eventuali interventi volti a ridurre i livelli di rischio rispetto agli elementi esposti,
si possono considerare due categorie di situazioni.
1. Fenomeni a rapida evoluzione (crolli e colate rapide). Dall’analisi a scala 1:10.000 il rischio
relativo ai crolli è elevato sia in corrispondenza della rete viaria (a causa della frequente presenza
di tagli artificiali), che in corrispondenza dei principali contatti tettonici, specialmente in prossimità dei centri abitati. Le opere di mitigazione in questo caso devono essere di tipo strutturale
(reti paramassi, tiranti ecc.).
Nel caso delle colate di detrito, le opere di mitigazione vanno finalizzate al miglioramento del
fattore di sicurezza del versante attraverso l'incremento della resistenza al taglio dei terreni e la
diminuzione degli sforzi. Particolarmente raccomandate sono la regimazione delle acque di ruscellamento superficiale e le opere di ingegneria naturalistica comprendenti tra l’altro l’impianto
di specie arbustive capaci di ridurre l’infiltrazione superficiale e di consolidare il suolo.
2. Fenomeni a lenta evoluzione (scorrimenti rotazionali, scorrimenti traslativi, colate lente, soliflusso). Anche in questo caso sono raccomandabili gli interventi di regimazione delle acque superficiali e le opere di ingegneria naturalistica. Qualora dagli studi di dettaglio emergano condizioni d'instabilità per cui questi ultimi interventi risultino inadeguati (come ad esempio nel caso
di piani di scorrimento profondi che determinino scenari di rischio potenziale su insediamenti e
infrastrutture esistenti e di progetto), potrà essere necessario impiegare tecniche di consolidamento convenzionali, previa analisi di impatto ambientale.
É stata poi condotta un'indagine storico-archivistica con lo scopo di individuare le eventuali relazioni esistenti tra i fenomeni di dissesto ed i fattori d'innesco, segnatamente la piovosità e la sismicità e definire le curve di risposta del terreno che permettano di stimare le probabilità del verificarsi di un dissesto al verificarsi di certe condizioni.
In realtà, questo tipo d'indagine ha dato scarsi risultati, soprattutto per la scarsità di localizzazione temporale degli eventi. Nonostante l'abbondanza di archivi, da quelli provinciali, a quelli più
regionali (IFFI, SIRDIS, ABT), sono risultate veramente molto rare le informazioni riguardo alla
data degli eventi, informazioni peraltro essenziali per un'analisi delle cause e delle previsioni.
Per quanto riguarda la piovosità, non riteniamo di poter affermare che si possa stabilire un rapporto sicuro tra la piovosità e l'innesco di dissesti. Anche per quanto riguarda la sismicità, un
rapporto è difficile da stabilire, in questo caso, perchè la localizzazione nel tempo degli eventi
sismici è assai più rarefatta e anche perchè la sismicità dell'area è risultata, tutto sommato, moderata.
Teniamo a ripetere qui una conclusione importante che scaturisce da questo studio, e cioè che
qualunque organismo sia preposto alla raccolta dei dati e alla catalogazione dei fenomeni di dissesto gravitativo, specialmente se in vista di un'analisi della suscettibilità e del rischio in prospettiva, non può prescindere da un dato essenziale, rappresentato dalla datazione, la più precisa possibile, dell'evento censito.
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