PATINI TEOFILO (Castel di Sangro, 1840 - Napoli

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PATINI TEOFILO (Castel di Sangro, 1840 - Napoli, 1906)
Teofilo Patini, annoverato tra i primi pittori a dedicarsi alla cosiddetta
"pittura sociale" dell'Ottocento italiano, è stato a lungo dimenticato dalla
critica, probabilmente a causa delle sue idee socialiste. Riscoperto e
valorizzato solo nella seconda metà del Novecento, oggi è considerato uno dei
protagonisti del realismo italiano.
La sua attività pittorica si svolse prevalentemente tra Napoli, Castel di Sangro
e L'Aquila, luoghi in cui, oltre che nelle maggiori città d'Italia, sono
conservate molte delle sue opere.
Terzo di dieci figli, Teofilo Patini nacque a Castel di Sangro il 5 maggio del
1840 in una famiglia molto agiata: il padre, Giuseppe, possedeva terre ed
armenti mentre la madre, donna Maria Giuseppa Liberatore, era una ricca
proprietaria di Roccaraso.
A Sulmona, dove la famiglia si trasferì nel 1846, Patini intraprese gli studi
classici presso la scuola diretta dal latinista Leopoldo Dorrucci, affiancato
nell'insegnamento dal patriota Panfilo Serafini; la loro influenza fu
fondamentale nell'indirizzare le sue propensioni patriottiche, umanitarie e
sociali.
Nel 1856, dopo aver conseguito la "cedola in belle lettere", si trasferì a
Napoli dove si iscrisse all'Università (Facoltà di Filosofia) per passare,
l'anno successivo, all'Accademia di Belle Arti dove frequentò per un triennio i
corsi di pittura.
A questa scelta, che tuttavia i genitori non approvarono, contribuirono senza
dubbio la formazione umanistica e l'ambiente familiare di elevato livello
culturale, circostanze che ne indirizzarono l'educazione in senso artistico e ne
stimolarono la sensibilità pittorica; basti ricordare che i nonni paterni
possedevano una quadreria nel palazzo di Roccaraso.
Un grande contributo per sostenere gli studi fu dato al Patini da una pensione
annua assegnatagli dall'Amministrazione Provinciale dell'Aquila.
In questi anni ebbe come maestri Giuseppe Mancinelli, Giovanni Salomone, Biagio
Molinari, e si legò presto al gruppo di pittori che faceva capo a Domenico
Morelli e Filippo Palizzi del quale fu attento allievo apprendendone la lezione
di totale adesione al "vero", in contrasto con l'accademismo classicheggiante.
Garibaldino, a soli vent'anni il Patini entrò, insieme ad Antonio Tripoti, nei
"Cacciatori del Gran Sasso", formazione voluta da Garibaldi con lo scopo di
organizzare l'insurrezione in Abruzzo e ristabilire l'ordine a L'Aquila.
Successivamente si arruolò nella Guardia Nazionale di Castel di Sangro,
impegnata nella repressione del brigantaggio negli Abruzzi, e prestò servizio
volontario per quattro mesi a Sulmona.
Nel 1863 presentò il suo primo quadro all'Esposizione napoletana.
A questa fase iniziale appartengono opere come "La rivolta di Masaniello"
(1863), ora nel Municipio di Castel di Sangro, "Il Parmigianino" (1864),
conservato nelle Collezioni d'Arte del Municipio di Napoli, ed "Arte e Libertà"
(1867). Questi dipinti furono rispettivamente esposti alla II, III e V Mostra
della Società Promotrice napoletana di cui era stato fra i fondatori.
Nel 1867, in seguito alla scomparsa dell'ammirato patriota, Leopoldo Dorrucci
commissionò a Patini il "Ritratto di Panfilo Serafini", oggi conservato nella
Pinacoteca comunale di Sulmona.
Nel 1868, grazie ad un concorso bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione
all'Accademia, a cui aveva partecipato con il dipinto "Edoardo III d'Inghilterra
e i deputati di Calais", gli fu assegnato un pensionato di due anni a Firenze,
dove soggiornò fino all'anno successivo. Qui entrò in contatto con il gruppo dei
Macchiaioli, le cui novità tecniche e pittoriche influenzarono positivamente la
sua pittura, avvicinandolo al naturalismo contemporaneo.
Nel 1870, partecipando ad un nuovo concorso con l'opera "La Zingara", poté
nuovamente usufruire di un soggiorno gratuito, questa volta a Roma dove restò
dal 1870 al 1873; tre anni molto proficui che gli consentirono di studiare ed
approfondire l'arte e lo stile di alcuni tra i maggiori artisti del Seicento
(Caravaggio, Guido Reni ecc). In particolare si dedicò agli studi sulla luce
collaborando con l'artista e amico Michele Cammarano.
A questo periodo romano risale "Nello studio di Salvator Rosa", primo premio
alla Mostra concorso del 1872 curata dall'Amministrazione Provinciale di Roma e
tutt'ora nella Collezione d'Arte di questo Ente.
In questi anni ebbe inizio la relazione sentimentale con Teresa Tabasco, modella
dell'Accademia, dalla quale ebbe una figlia, Beatrice. La coppia iniziò una
lunga convivenza che sfociò infine nel matrimonio dal quale nacquero ancora
cinque figli, due dei quali morirono in tenera età.
Negli anni successivi al 1873 un improvviso abbassamento della vista, causato da
un tracoma, lo costrinse a ridurre il lavoro anche se molti dei suoi più famosi
dipinti risultano eseguiti proprio in questo periodo, come per esempio "La
guardiana delle oche" (1873), "Case di campagna" (1874) e "I notabili del mio
paese" (1878).
In questi anni di malattia si ritirò nel paese natio dove l'interesse e
l'attenzione rivolta sino a questo momento ai personaggi del passato ed alla
storia antica si trasferirono alle vicende contemporanee, alla vita quotidiana,
al singolo individuo.
La prima opera rivelatrice di questa nuova poetica tutta rivolta al sociale, di
adesione e di denuncia della quotidianità senza futuro della sua gente, fu "Il
Ciabattino" (Collezione d'Arte del Banco di Napoli), esposto nel 1873 alla
Promotrice di Napoli.
In questi anni nei suoi quadri raffigurò la civiltà contadina abruzzese di fine
'800 e dei primi del secolo scorso, mettendo in rilievo la condizione di povertà
della regione e la capacità di resistenza e di sacrificio della popolazione.
A questo periodo risalgono alcuni quadri in cui sono proposti gli scorci di
Castel di Sangro ("Via Paradiso", "Angolo di Casteldi Sangro", "Donna nel paese
innevato"), apparentemente quadretti di genere e vedute, in realtà
rappresentazioni partecipate del piccolo mondo circostante, dell'abbandono e
della solitudine della sua gente.
Tra tutte le opere a sfondo sociale sono tre quelle che più di tutte ebbero una
forte connotazione politica, e proprio per questo vengono idealmente considerate
come facenti parte di una "trilogia sociale": "L'erede" (1880), esposta alla
Nazionale di Milano e oggi conservata a Roma presso la Galleria Nazionale di
Arte Moderna, "Vanga e latte" (1884), presentata all'Esposizione Nazionale di
Torino e acquistata dal Ministero dell'Agricoltura e Foreste nella cui sede
romana si trova tutt'oggi, e "Bestie da soma" (1886), inviata all'Esposizione
Nazionale di Venezia e oggi esposta nella Sala del consiglio Provinciale
dell'Aquila.
Esse denunciavano "... gli aspetti più drammatici di una realtà ampiamente
diffusa fra le classi rurali dell'Italia tardo ottocentesca, prendendo a
campione le emergenze di indigenza e sottosviluppo colpevolmente diffuse ed
esasperate lungo la dorsale appenninica del Centro Sud dalle improvvide
disposizioni di legge varate dal parlamento postunitario..." (Savastano 2006).
Il dissodamento del Tavoliere di Puglia, disposto dalle leggi sabaude, aveva
infatti decretato la fine della pastorizia transumante che per secoli aveva
consentito, insieme all'arricchimento di alcune famiglie, anche una decorosa
sopravvivenza alle popolazioni locali.
Mentre attendeva alla realizzazione di queste opere (1882), Patini fu chiamato a
dirigere la Scuola di Arti e Mestieri dell'Aquila e in seguito a questa nomina
si dedicò allo studio delle cosiddette arti minori promuovendone le discipline;
proprio con lo scopo di approfondirne la conoscenza, nel 1884 fu incaricato dal
Ministero dell'Agricoltura di visitare i musei artistici della Germania.
Fu inoltre incaricato dal Presidente del Consiglio Provinciale dell'Aquila di
dipingere un'importante opera per la volta dell'aula magna dell'allora Palazzo
di Provincia, oggi "Sala Patini" all'interno della Biblioteca "Salvatore
Tommasi": l'artista realizzò "L'Aquila" come simbolo dell'Abruzzo pastorale e
della sua città capoluogo.
A partire dal 1888 Patini si dedicò soprattutto ad una vasta produzione di opere
di soggetto religioso anche per accontentare la committenza ecclesiastica sia
aquilana che di altri comuni abruzzesi.
Tra di esse ricordiamo i dipinti realizzati per la chiesa di S. Maria dei
Raccomandati in San Demetrio de' Vestini, per la chiesa di S. Antonio Abate in
Calascio e quelli per il Duomo e per la chiesa di S. Maria del Suffragio a
L'Aquila.
In queste opere trasferì spesso implicazioni simboliche legate al rituale
massonico, al quale il pittore era stato introdotto fin dai primi anni di studio
presso Panfilo Serafini.
Tra gli estimatori ebbe anche la famiglia reale; infatti, nel 1895 Margherita ed
Umberto di Savoia visitarono il suo studio a L'Aquila ed il principe Amedeo
acquistò la tela raffigurante "Salvator Rosa e la Compagnia della morte", mentre
al Re d'Italia la città fece dono de "L'Allegoria dei tre Abruzzi".
A fine secolo, negli anni 1898-1900, coadiuvato da Amedeo Tedeschi, Patini portò
a termine un'importante commissione per il nuovo Santuario della Madonna della
Libera a Pratola Peligna: i due quadri di "S. Antonio" per l'altare omonimo, le
tempere murali della "Santissima Trinità", della "Visione di S. Antonio", oltre
agli "Evangelisti" dei peducci del cupolino.
Il 21 ottobre del 1906, alla vigilia di un viaggio a Napoli, gli fu conferita la
cittadinanza onoraria di Castel di Sangro, dove però non fece più ritorno: morì
inaspettatamente il 16 novembre 1906 dopo l'ennesimo attacco di cuore.
La morte prematura non gli permise di iniziare gli affreschi per l'Aula Magna
dell'Università di Napoli, già presentati come bozzetti al Concorso Nazionale
bandito l'anno precedente dal Ministero della Pubblica Istruzione .
Fu sepolto nel Cimitero Monumentale di Poggioreale a Napoli ma di recente, in
occasione del centenario della morte, per volontà dei suoi concittadini le sue
spoglie sono finalmente state traslate a Castel di Sangro dove, nella
centralissima piazza ad egli dedicata, è stato da poco collocato un monumento
commemorativo: una scultura bronzea raffigurante l'artista opera di Antonio
D'Acchille.
Bibliografia
* Ferdinando Bologna (a cura di), Teofilo Patini (1840-1906), Edigrfital, S.
Atto/Teramo 1990.
* C. Savastano, A cent'anni da Teofilo Patini, Calendario 2006, a c. di
Provincia dell'Aquila, L'Aquila, Gruppo Tipografico Editoriale, 2005.
* C. Savastano, Teofilo Patini Pittore sociale, in "Culturabruzzo", Aprile-Giu2006, 2, pp. 30-35.
Cfr. Sezione Personaggi Illustri- Arte
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