Ferrannini - Associazione Italiana di Psicogeriatria

Cosa può insegnare la psichiatria ai giovani medici? Vecchie e nuove sfide
Luigi Ferrannini
Direttore Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze, ASl 3, Genova
Presidente Società Italiana di Psichiatria
I. La lezione della 180
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il problema dei diritti dei pazienti affetti da disturbi mentali di vario tipo
l'introduzione nel nostro Paese di un sistema di psichiatria di comunità
l'inserimento dell'assistenza psichiatrica nel complesso dell'assistenza sanitaria
1.1 Le tappe del percorso
a)
b)
c)
d)
e)
le "esperienze esemplari" degli anni ‘60
le prime modificazioni legislative (L. 431/68: ricovero volontario e CIM)
il dibattito culturale, sociale e tecnico-scientifico e sociale che precede la 180
la stagione delle “riforme di cittadinanza” (divorzio, 194, 515, Ordin.Penitenz. 180, 833)
il processo attuativo ( i PP.OO.Nazionali 1994-2000, i PSN 200-2008, le Linee di Indirizzo per la
Salute Mentale 2008, il DPCM 1 aprile 2008 sulla Sanità Penitenziaria e sul superamento degli
OPG , il PNP 2010-2012, il Patto per la Salute 2010-2012 ) e quello abrogativo (solo in questa
legislatura oltre 10 DdL…)
1.2 Cosa serve oggi di questa “lezione”?
a) Le ragioni di una nuova attenzione ai diritti : metamorfosi dei diritti (dai diritti naturali a nuovi
diritti storicamente determinati :cura, assistenza, protezione sociale…), nuovi poteri e nuove
precarietà, diritti come protezione/difesa dei valori
b) Il diritto alla cura dei “soggetti deboli”: protezione/difesa/garanzia e sviluppo/ empowerment
(inclusione sociale e lavorativa, QoL, WB…), nuovi diritti e nuovi obblighi/responsabilità (per
tutti), diritti “imperfetti” ( L.Battaglia, 1999, da sviluppare, sostenere e tutelare), Convenzione ONU
sui diritti delle persone con disabilità, recepita nel nostro ordinamento con la Legge n.18/2009
c) La “rottura” anche radicale dei paradigmi e delle evidenze del tempo può servire…quando apre lo
sviluppo della ricerca e delle conoscenze sui meccanismi patogenetici e sui modelli di trattamento
d) G. Tognoni ( 1998) – “per una menoria dei contenuti e dei metodi della 180” – ci ricordava che : 1)
le storie complessive delle persone sono più importanti delle loro diagnosi cliniche nel determinare
la prognosi in termini di esiti; 2) le variabili istituzionali (presenza o assenza di servizi; qualità,
intelligenza, organizzazione degli operatori; articolazione di strategie di assistenza sanitaria e non)
sono di fatto il denominatore ed il contenitore che permettono ai singoli interventi clinici diagnostici, terapeutici, riabilitativi - di configurarsi come una effettiva presa in carico di problemi,
caratterizzati da una storia naturale che si declina e si decide nel tempo; 3) i bisogni-malattie, le
disabilità, la non autonomia possono essere presi sul serio (nella loro specificità e variabilità, nelle
loro espressioni di severità-gravità o di carico assistenziale-gravosità) solo se vengono normalmente
riconosciuti come parte dei diritti non negoziabili di cittadinanza;
e) Oggi serve rilanciare: 1) lo sviluppo di una epidemiologia dei diritti, quale modello operativo di
valutazione permanente delle pratiche dei servizi; 2) l'attenzione alla persona nella sua globalità, e
non agli aspetti sintomatici, che allontanano dalla comprensione psicopatologica e dalla costruzione
di relazioni di cura efficaci.
1
II. I bias della clinica ed il rapporto tra clinica e persone

il lavoro clinico come “crocicchio epistemologico” - spazio di conoscenza, di pratica e di
negoziazione – ed il “fare diagnosi” non solo come attribuzione del paziente ad una o più categorie
di un sistema nosologico, ma soprattutto come agire clinico che investe l’intero processo di presa in
carico ( approccio categoriale vs approccio dimensionale ) e che utilizza anche un “approccio
psicoterapeutico” (cioè di ascolto, comunicazione e relazione), inteso come interazione e dialogo
intercorporeo tra due soggetti ( il medico ed il “suo” paziente), ove la parola, la voce, il gesto
ritrovano spazio e senso

“diagnosi” è una brutta parola, sempre in bilico tra bias, limiti, in-certezze? tra lo stupore del
sintomo, l’arrendevolezza alla nosografia e la ricerca di/del senso…tra una diagnosi “dal davanti”
(oggettiva, riduttiva, riproducibile, nosografica, in terza persona e la diagnosi
“dentro”(interrogativa, esplicativa, narrativa, relazionale, empatica…)

la parzialità delle sistemazioni nosografiche e la centralità del funzionamento psichico e
cerebrale (mind e brain) delle persone, come elemento strutturante le possibili espressività
psicopatologiche che si manifesteranno nel corso della vita, da cui scaturisce l’esigenza di nuove
dimensioni (tratto, spettro, soglia, comorbilità ed altro ancora) a testimoniare il basso fattore
predittivo delle unitarietà sindromiche convenzionalmente definite

il rischio di deconnettere il sintomo dal vissuto: “Se l’obiettivo è classificare malattie, si
possono utilizzare sintomi squalificati, privati cioè della loro qualità psicologica soggettiva … . In
sostanza, il modo in cui classifichiamo le cose finisce con il renderle diverse, creando una sorta di
riverbero della nosografia sulla clinica. Ma, se la classificazione ha a che vedere con il progetto
terapeutico, è indispensabile non sottacere il vissuto di cui il sintomo è soltanto l’epifenomeno.
Infatti non è proprio possibile curare oggetti svalutati. Ogni progetto terapeutico, per dirsi tale, deve
essere sostenuto da un’aspettativa, da una certa quota di speranza. In questo senso il sintomo non
può essere considerato il punto di arrivo della diagnosi. E’ piuttosto il punto di passaggio : un punto
di un percorso … . E’ a questo punto necessario operare una trasformazione: trasformare il sintomo
in vissuto, recuperare la dimensione vissuta del sintomo … . Questa posizione costituisce il
presupposto di ogni operazione terapeutica in senso lato : cogliere questo punto cruciale di transito
tra sintomo e vissuto per permettere la presa in carico (della persona) e la cura del sintomo in
quanto espressione di una sofferenza” (G. Foresti e M. Rossi Monti, 2002). “Molti dei sintomi
target che curiamo possono essere valutati solo chiedendo ai nostri pazienti di parlarci delle loro
esperienze soggettive … I pensieri, i sentimenti, gli impulsi sono importanti non solo perché sono
responsabili di enormi sofferenze umane, ma anche perché producono cose.” (K. Kendler ,2005)

ed i vissuti…? “Le classificazioni psichiatriche hanno prodotto una complessa matrice di
istituzioni e di pratiche, ma i pazienti e tutte le persone a vario titolo coinvolte nelle costruzioni
prodotte dalla classificazione (compresi gli psichiatri) cambiano in relazione a come vengono
classificate. I pazienti, in particolar modo, non sono mai indifferenti ma interagiscono direttamente
anche con le classificazioni di cui sono, in vario grado, individualmente e collettivamente
consapevoli.”(I. Hacking, 1999)

l’importanza che hanno nel processo diagnostico i fattori di contesto e gli angoli di
osservazione – la “controversia” Rosenham-Spitzer 40 anni dopo - : il manicomio prima, ma anche i
servizi di comunità adesso; i paradigmi e le ideologie dominanti; le fonti di pressione ed i vari
conflitti di interesse, da quello economico a quelli più complessi, di natura tecnico-scientifica od
ideologica
2

esiste una “clinica della globalizzazione”? effetti della globalizzazione sulla/nella cultura,
nelle tecniche e nei paradigmi scientifici; sul nesso sofferenza - espressività psicopatologica malattia; sull’ “idea” della/sulla malattia del paziente e dei famigliari vs esigenza di una clinica e di
un “saper fare” culturalmente fondato… il caso emblematico della depressione/disturbi dell’umore:
uno, nessuno, centomila….(dalla epidemia epocale ad un DSMV con poca depressione…)
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clinica attiva e dell’azione, capace di coniugare approccio “individual”e quello di “public
health”, cioè di salute pubblica e di popolazione, capace cioè di definire priorità, nel singolo
trattamento ma anche nelle politiche dei servizi
III. Le caratteristiche dei sistemi di PdC
3.1. Questioni principali

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


ricerca di un modello equilibrato di assistenza ospedale-territorio (“balanced care”) e
medicina generalista – medicina specialistica (“stepped care”)
prendere in carico sia i DPM che i cd
proteggere la salute fisica dei pazienti
sviluppare la riabilitazione e l’inclusione sociale
sostenere l’epowerment degli utenti e dei famigliari
avere una programmazione a lungo termine, una organizzazione flessibile ed
interdisciplinare
coniungare le evidenze, le esperienze e la dimensione etica ( le tre E)
3.2 Ricucire lo strappo tra formazione, ricerca, approccio psicopatologico, dimensione clinica e presa
in carico della persona malata e del suo contesto, puntando su alcuni obbiettivi: a) lo sviluppo di un
approccio multidisciplinare nella ricerca e nella clinica; b) la definizione di percorsi assistenziali e
di modelli organizzativi in grado di rispondere alle nuove esigenze; c) lo sviluppo di ponti tra
discipline scientifiche ed umanistiche; d) lo sviluppo della appropriatezza nelle sue molteplici
dimensioni, anche attraverso il coinvolgimento dei destinatari
3.3 “Monter et demonter sanc cesse”, R. Castel 1976
IV. Alcuni problemi aperti
1. I problemi di salute mentale della popolazione
-
Aree di bisogno prioritarie:
Disturbi psichici gravi all’esordio e salute mentale dell’adolescenza e nella giovane età adulta
Disturbi dell’umore, suicidi e tentati suicidi in tutte le età della vita
Disturbi del Comportamento Alimentare in età evolutiva e nell’adulto
Disturbi psichici correlati con le dipendenze patologiche e i comportamenti da abuso
Disabilità complesse e disturbi psichici correlati in età evolutiva e adulta
Disturbi psichici “comuni”
Disturbi psichici correlati alla patologia somatica specialmente ad evoluzione cronica
Disturbi psichici nell’anziano
Disturbi psichici dei detenuti, degli internati e dei minori sottoposti a provvedimento penale
3
Per ciascuna delle aree di bisogno occorre delineare motivazioni, contenuti, obiettivi prioritari da
raggiungere, strumenti e metodi, secondo quattro dimensioni:
a)
b)
c)
d)
Livelli essenziali di assistenza (LEA) ,percorsi di cura “esigibili”, integrazione socio-sanitaria
Strumenti e metodologie: percorsi clinici, reti, integrazione
Programmi innovativi e nuove professionalità da formare
Sistemi di monitoraggio
2. Il ritorno della cronicità (la cronicità come destino e come speranza) e la continuità
terapeutico-assistenziale

il tema della cronicità – centrale in tutta la prassi medica - nella cultura e nelle pratiche
psicologico-psichiatriche rimanda tuttavia immediatamente ad alcune dimensioni, in sé
contraddittorie: la dimensione istituzionale ( ed i connessi fenomeni di istituzionalizzazione) e la
dimensione psicopatologica , in quanto la cronicità area multiforme e complessa, intreccio di fattori
clinici ed extraclinici, di idee sulla malattia e di attese, di sguardi da luoghi ed angoli di
osservazione diversi, di soggetti multipli (paziente, familiari, caregivers, curanti, …)

“la cronicità ha a che fare con il tempo: non con il tempo vissuto (un tempo soggettivo
interiore) ma con il tempo crono-logico (il tempo delle lancette dell’orologio e della clessidra).
L’esistenza di ciascuno di noi è gettata nel tempo ed è un’esistenza cronica; ma questa parola,
quando sia applicata alla medicina, in particolare alla psichiatria, ha in sé (e desta intorno a sé)
risonanze incontrollabili emotivamente ed esistenzialmente” (Borgna,1995)

due direttrici ci sembrano fondamentali: promuovere la salute mentale nella comunità e
promuovere servizi finalizzati ai percorsi di ripresa (Linee di Indirizzo per la Salute Mentale ,Min
Sal,2008)

sviluppare l’approccio alla “recovery”, complesso e multidimensionale (Davidson &
Straauss, 1992,Farkas, 2007; Bonney & Stickley, 2008), che originariamente “implica un processo
di recupero o di sviluppo di un valido senso di appartenenza e di un senso di identità positivo al di
là della propria disabilità, e quindi la ricostruzione della propria vita nella comunità più ampia,
nonostante le limitazioni imposte da tale disabilità” e richiede che i servizi assumano una funzione
di supporto e di catalizzatore per una clinica “recovery-oriented”, i cui punti forti ci sembrano
essere: a) non fermarsi alle categorie; b) verificare e sistematizzare le pratiche quotidiane; c)
rifiutare le (pseudo)soluzioni sicure; d) sviluppare e promuovere la formazione indipendente come
manutenzione; e) mantenere la capacità di pensare nella turbolenza e nel vuoto; f) stabilire relazioni
e servizi di “prossimità”; g) trasformare pratiche rigide, frammentate, standardizzate in pratiche
personalizzate, connesse, condivise

“S’impone una programmazione chiara ed uniforme, che riaffermi la necessità di attivare la
promozione della salute mentale nelle varie fasi del ciclo vitale (adolescenza, età giovanile, adulta,
anziana), favorendo l’integrazione funzionale tra servizi a patologia limitrofa (tossicodipendenza,
disabilità, disturbi cognitivi in età senile), i miglioramenti organizzativi tesi ad affrontare le
patologie emergenti (disturbi del comportamento alimentare, disturbi della personalità), i percorsi
differenziati per tipo di patologia, la nuova cronicità ed il bisogno di lungoassistenza.” (Ministero
del Welfare, 2009).
3. I trattamenti senza consenso in psichiatria: un nodo dolente tra clinica e controllo
sociale
4

Il percorso normativo ed applicativo: Legge 36/1904 , norme nel campo della prevenzione e
del trattamento delle malattie infettive e contagiose ( la cd “quarantena”) – ai fini della tutela della
salute della collettività
( Testo Unico delle Leggi Sanitarie, 1933), Costituzione Italiana ( 1948 ) abbiamo la prima forte
esplicitazione delle garanzie nei trattamenti senza consenso ( art. 32, secondo comma ), Legge
431/68 con la caduta del paradigma che i trattamenti psichiatrici sono sempre obbligatori e la
apertura al principio della volontarietà della cura, Legge 180/78 (“legge speciale per un problema
speciale”) ed agli artt. 33-34-35 della Legge 833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, Atti
internazionali e nazionali (Convenzione di Oviedo1997, CNB 2000 e 2002, Codici di varie
professioni sanitarie , …)

il “caso particolare” del paziente psichiatrico: consapevolezza di malattia e conseguente
capacità di (auto)determinarsi rispetto ai trattamenti, quando necessari ed indifferibili e speriamo –
aggiungiamo noi – appropriati ed efficaci ed il ribaltamento verso la centralità della volontarietà
del trattamento ed il superamento delle “istituzioni speciali” ( i Manicomi )

i problemi connessi ai limiti ( cioè le precise condizioni/indicazioni in cui mettere in atto
ASO/TSO), alle garanzie ( “uguali per tutti”) ed alle responsabilità (istituzionali e professionali)

i problemi applicativi di norme “uguali per tutti”, che rendono estremamente differenziate le
procedure in tema di ASO/TSO attualmente utilizzate nel nostro Paese ( come delineati dal
Documento della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle PPAA – Aprile 2009 )…due
esepmi indicativi: il TSO sui minori ed il TSO differenziato “per patologia” (DCA, DPP…Demenze
?)

oltre il “caso particolare”…i paradigmi portanti si complessizzano e si intrecciano: la malattia
infettiva ( “ti devi curare per non danneggiare gli altri” ) ,la malattia mentale ( “ti devi curare
perché non capisci che ti serve”) ,la malattia oncologica (“ti devi curare altrimenti muori”), la
malattia degenerativa (“ti curiamo per il tuo bene, anche se tu non ne sei consapevole”) , aprendo
spazi alla integrazione ed al confronto con altre discipline ( psicologia , antropologia, etica,
sociologia, diritto) e con altre “specialità”( neurologia, geriatria, oncologia , nefrologia , cure
palliative,…)

la costruzione di una “clinica del rifiuto/non consenso/non adesione al trattamento”, in ogni tipo di
malattia (riguarda infatti il 70%dei trattamenti sanitari), per rendere possibile (e non solo
formalmente) il passaggio dalla non coscienza di malattia alla consapevolezza, che è dimensione al
contempo razionale ed emotiva, attraverso una nuova dimensione della relazione di aiuto e
dell’empatia

centralità del principio di autodeterminazione ( l’”adulto competente” può decidere di non curarsi) e
di quello di beneficialità ( il soggetto ha il diritto di decidere, ma anche le cure che vengono
proposte devono essere di comprovata efficacia), nella cui ottica bisognerebbe sviluppare ricerche
in tema di outcome a lungo termine dei trattamenti senza consenso prolungati e di qualsiasi altra
forma di obbligatorietà di cura
4. La crisi dell’èquipe

necessità di un approccio multidisciplinare e centralità del lavoro di equipe, nel quale
alcuni fattori assumono comunque particolare importanza: a) le identità professionali che
producono legittime richiese ed aspettative di autonomia operativa; b) l’assetto dei servizi e lo “stile
5

centralità della formazione - intesa come manutenzione di competenze, relazioni e stili di
lavoro – anche attraverso strumenti differenti: a) gruppi di discussione su casi clinici; b) audit
clinico con operatori esterni all’equipe; c) supervisione sui casi e sulle relazioni/emozioni
complesse; d) accreditamento professionale di qualità, attraverso percorsi calibrati sulle specificità
del servizio e dell’equipe; e) accreditamento nell’ambito dei programmi ECM di attività di/in
servizio (riunione d’equipe, aggiornamento professionale su temi specifici, revisione letteratura
scientifica, programmi per l’applicazione di Linee Guida nazionali ed internazionali e di documenti
di consenso delle Società Scientifiche); f) promozione e sviluppo di studi osservazionali e di
ricerche applicative in “real world”; g) attivazione di programmi di farmacovigilanza, quale
strumento di monitoraggio dell’appropriatezza dei trattamenti farmacologici e di rilevamento e
segnalazione degli effetti indesiderati.
5. No Health Without Mental Health

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La psichiatria è oggi una moderna specialità medica
Almeno un terzo di tutti i sintomi somatici che arrivano all’osservazione medica non
è riconducibile ad una patologia fisica di base, pur causando una sofferenza significativa, ma anche
in diversi disturbi mentali la dimensione somatica non è meno importante di quella psichica e
rappresenta parte integrante del nucleo della patologia
La presenza di una patologia mentale aumenta il rischio di insorgenza di una varietà
di malattie fisiche e ne peggiora la prognosi e viceversa, la presenza di alcune malattie fisiche
aumenta il rischio di comparsa di vari disturbi mentali
La concomitanza di un disturbo mentale influenza negativamente l’accesso alle cure
per le malattie fisiche e l’aderenza a tali cure, ma anche la qualità delle cure per le malattie fisiche
è mediamente peggiore nelle persone con patologie menali, la qual cosa solleva il problema della
discriminazione di tali persone da parte della classe medica
Alcune terapie che vengono usate per i disturbi mentali aumentano il rischio di
insorgenza di alcune patologie fisiche, ma anche alcune terapie che vengono usate per le patologie
fisiche aumentano il rischio d’insorgenza di alcuni disturbi mentali
Infine, la questione dei rapporti tra “mente” e “corpo” è oggi centrale nella
riflessione e nella ricerca nell’ambito della filosofia della medicina così come della psicopatologia
Per concludere: ma gli psichiatri e la psichiatria da che parte stanno ?
1.
“Are psychiatrics an endangered species?” / “Gli psichiatri sono una specie a rischio/in via di
estinzione?”(World Psychiatry, n. 1, 2010)
1.1 H. Katsching, Le sfide interne ed esterne
a)
b)
c)
validità delle definizioni diagnostiche della psichiatria e dei sistemi di classificazione
sta diminuendo la fiducia nei risultati degli studi sull’intervento terapeutico
presenza di fatto di sottogruppi con ideologie contrapposte, cosa che determina una non
chiarezza nel profilo del ruolo dello psichiatra
d)
aumentato criticismo di utenti e familiari
6
e)
intrusione di altre professioni nel campo tradizionalmente di competenza dello psichiatra e
scarsa reputazione all’interno della medicina e della società in generale con il declino del
reclutamento in psichiatria
f)
non è chiaro se la psichiatria sopravvivrà come disciplina medica unitaria o divisa in “area
generica” ed “area specialistica”
1.2 M. Maj, Editoriale
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
diversi orientamenti teorici in psichiatria, come l’inevitabile riflesso della complessità biopsico-sociale dei disturbi mentali, che richiedono un altrettanto complesso approccio
(biopsicosociale)
invece della contrapposizione conflittuale, i fautori dei diversi approcci dovrebbero
ricercare sinergie e potenzialità trasversali
cosa è una patologia, il rapporto fra disturbo e limitazione funzionale, il ruolo dei valori,
contrapposti all’evidenza nel processo diagnostico
la Psichiatria potrebbe anticipare un dibattito che in futuro coinvolgerà l’intero campo
medico
“rinascita della psicopatologia”, ripetutamente invocata negli ultimi anni
produzione di maggiori evidenze su tutti i tipi di trattamento
se c’e crisi nella psichiatria, è una crisi di sviluppo, sempre in bilico tra scienza medica e
scienza del comportamento - quindi in qualche modo scienza umana e sociale- ed al rapporto tra
dimensione organizzativa e dimensione tecnico-terapeutica.
2. Pessimismo, ottimismo o realismo?
“Noi psichiatri siamo soltanto i funzionari di una determinata società, pagati per rispondere
alla sua domanda ed eventualmente per chiarire tale domanda…La psichiatria che praticheremo sarà
conforme alla società ed alla condizione che verrà riservata alla follia. Se la società è tecnocratica,
praticheremo una psichiatria tecnocratica. Se la società è rivoluzionaria, praticheremo una
psichiatria rivoluzionaria…Se la società è alienata, non praticheremo più alcuna psichiatria.”
(Hochmann ,1971).
Se questo è vero, e non lo si può certo mettere in dubbio, a noi piace ricordare anche che la
psichiatria di comunità ha aperto le porte, non solo delle istituzioni, ma soprattutto delle persone a
nuovi sguardi sulla malattia mentale e sulle persone, che possono diventare sempre di più “sguardi
complici” per utilizzare la felice metafora di Alda Merini, favorendo un nuovo protagonismo di
utenti e famigliari e quindi una nuova clinica ed una nuova assistenza.
E voi ….?
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